Sei sulla pagina 1di 24

.

ARCHITETTURA BIZANTINA

• MATERIALI E TECNICHE
L’edilizia bizantina si distingue in due categorie: quella basata sui conci di pietra, caratteristica
della siria-palestina e di gran parte dell’Asia Minore, e quella di mattoni e pietrisco, tipica di
Costantinopoli, dei Balcani e dell’Italia.
Mentre negli edifici romani del periodo imperiale lo strato di cemento era più sottile dei
mattoni, in quelli bizantini si verificava il contrario, causando però irregolarità e deformazioni
alle costruzioni.
Il marmo era usato nelle colonne, nei cornicioni, negli architravi, nei pulpiti, negli stipiti delle
porte. A cominciare dall’epoca della tarda repubblica romana, i marmi colorati esotici erano
diventati indice dell’importanza di un edificio, e ne era enormemente aumentata la diffusione.
Per ottenere la varietà di colori si dovette sfruttare un gran numero di cave, situate in tutto il
bacino mediterraneo: il porfido rosso in Egitto, il verde antico di Tessaglia, il giallo antico in
Tunisia. Poiché il trasporto per mare era molto più facile ed economico di quello per terra, le
cave situate in prossimità della costa erano le più ricercate. Questo spiega in parte la diffusione
del marmo di Proconneso, divenuto il marmo tipico dell’architettura bizantina. Sebbene non
fosse una pietra di eccezionale bellezza (bianco con venature grigio-azzurre) aveva il vantaggio
di essere adatto a tutti gli usi, tanto per i bassorilievi ornamentali quanto per gli elementi di
grosse proporzioni.

• CITTA’ DEL PERIODO BIZANTINO


Nella grande maggioranza dei casi la città bizantina era semplicemente la continuazione di
una città romana che, a sua volta, poteva avere origine ellenistica o anteriore. Come esempio
possiamo parlare di Gerasa in Giordania, una fondazione ellenistica sviluppata in periodo
romano e diventata sede vescovile nel IV secolo. Qui il vescovo era divenuto il più importante
patrono delle arti, e grazie a lui sorsero molte edifici di culto come il gruppo di tre chiese con
atrio in comune o il complesso della cattedrale.
Una seconda categoria, meno numerosa, è rappresentata da città fondate in periodo bizantino.
Un’ esempio è Resafa nel deserto siriano, trasformata in città da Giustiniano, il quale costruì le
mura e le cisterne.
Costantinopoli, inaugurata nel 330, non fu una creazione ex novo, ma l’ampliamento di una
città più antica risalente al VII secolo a.C. Il centro della città si sovrappose a quello della città
di Settimio Severo: oltre all’ippodromo, al palazzo e alle terme, si raggruppavano alcuni altri
edifici pubblici, come il Senato e la Santa Sofia, costruita dal successore di Costantino,
Costanzo II. Da questo nucleo centrale, un’ampia strada colonnata, chiamata Mese,
conduceva verso ovest a un foro ellittico, nel mezzo del quale si trovava la statua di Apollo-
Helios. Continuando verso ovest, si raggiungeva una piazza chiamata Philadelphion, su cui
sorgevano due colonne di porfido ornate dai famosi Tetrarchi, ora a Venezia. All’altezza del
Philadelphion la Mese si biforcava: un braccio andava verso nord-ovest e raggiungeva la chiesa
dei Santi Apostoli, dove furono sepolti Costantino e i suoi successori, e l’altro braccio si
dirigeva verso ovest al Foro di Arcadio.
Lo sviluppo urbano fu così rapido che in poco tempo i quartieri popolati cominciarono a
invadere il territorio fuori le mura, e dunque nel 413, per proteggere gli abitanti dalla minaccia
dei barbari, Teodosio II costruì una cerchia più ampia di mura. Queste, ancora esistenti,
consistono in un fossato, un cammino esterno, un muro provvisto di torri, un cammino interno
e un muro principale con torri quadrate e poligonali dove si trovava la Porta d’Oro, l’ingresso
monumentale a triplice arcata.
• ARCHITETTURA RELIGIOSA PALEOBIZANTINA

L’improvvisa trasformazione dell’antica Bisanzio in capitale dell’Impero rese necessaria


l’adozione di formule architettoniche tradizionali, che dovevano renderla simile ad altre
capitali.
Dal IV al VI secolo, la basilica fu, sia in Oriente che in Occidente, la forma canonica della
chiesa parrocchiale, episcopale e monastica. L’esempio classico di basilica nella capitale è San
Giovanni di Studio, una struttura aperta che era preceduta da un atrio e che possedeva una
galleria. Le tre navate erano separate da due file di sette colonne di verde di Tessaglia, e
l’abside, semicircolare all’interno e poligonale all’esterno, era illuminata da tre grandi finestre.
Qui la semplicità della struttura architettonica contrasta con la ricchezza della decorazione.

La contemporanea basilica dell’Acheiropoietos di Tessalonica è sotto molti aspetti simile a San


Giovanni di Studio, ma presenta alcune differenze. È più grande e più allungata, il nartece è
completamente chiuso e non ha un’apertura centrale esterna ma solo porte laterali. L’aperura
fra il nartece e la chiesa è invece molto ampia e consiste di una triplice arcata o tribelon. I
capitelli a fiori di acanto sono tutti identici, e così pure i fusti delle colonne, di marmo del
Proconneso ad eccezione delle due colonne del tribelon, che sono di verde antico.

Oltre alle basiliche episcopali e parrocchiali, un’importante categoria di edifici paleobizantini


sono i luoghi di culto per i martiri e i santi e le chiese di pellegrinaggio.
Principali santuari commemorativi eretti da Costantino in Terrasanta: la chiesa della Natività
di Betlemme (1) e la chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme (2).
1. La chiesa di Costantino, costruita sotto quella attuale di Giustiniano, consisteva di tre parti,
ovvero un atrio, una basilica a cinque navate, e un ottagono che racchiudeva la grotta.
2. Presenta alcune somiglianze con la chiesa della Natività, come la suddivisone in cinque
navate, ma è più grande e più importante. Mentre a Betlemme l’ottagono conteneva
realmente l’oggetto della venerazione (la grotta), a Gerusalemme il Sepolcro di Cristo era
situato in un cortile aperto a ovest della basilica, ed era contenuto in una struttura
architettonica separata a forma di baldacchino.
Un esempio di un grande martirion è la chiesa di San Demetrio a Tessalonica, una grande
basilica a cinque navate, con transetto e galleria, costruita intorno al V secolo. Secondo la
leggenda San Demetrio subì il martirio a Tessalonica dentro l’impianto di riscaldamento delle
terme che si trovavano vicino all’ippodromo, e così sorse sopra le terme, incorporandone la
sottostruttura che formò una specie di cripta sotto il bema. Oltre il fatto che qui non vi si
trovano le reliquie del santo, l’oggetto più venerato della basilica non è la cripta, bensì un
ciborio rivestito d’argento che conteneva un oggetto simile a un letto, su cui era rappresentata
un’immagine del santo.

Quasi contemporaneamente a San Demetrio sorse in Siria il grande complesso di Qal’at


im’an, un santuario commemorativo centrato attorno al pilastro di San Simeone Stilita. La
S
pianta è cruciforme, e consiste in un ottagono centrale che racchiude il pilastro e di quattro
basiliche radiali, fra cui quella orientale è leggermente più lunga delle altre e termina con tre
absidi semicircolari. Verso la fine VI secolo l’ottagono era scoperto: può darsi che un tetto non
sia mai esistito o che a quell’epoca fosse già crollato. La chiesa cruciforme era il nucleo
centrale di un complesso monumentale, di cui facevano parte anche un battistero e un edificio
monastico; ai piedi della collina il piccolo villaggio si trasformò in un centro di pellegrinaggio.

Mentre la pianta basilicale rimaneva la più comune, esistevano diverse forme a pianta centrale,
come la cattedrale di Bosra (512). La pianta era un circolo inscritto in un quadrato, con abside
sporgente e pastofori, e il nucleo centrale era a quadrifoglio, con quattro nicchie traforate e
quattro pilastri a forma di L che probabilmente sostenevano una cupola.
• L’ ETA’ DI GIUSTINIANO

Alle soglie dell’età di Giustiniano si situa un importante monumento, la grande chiesa di San
Polieucto a Costantinopoli, eretta nel 524-527 circa. Gli scavi hanno portato alla luce una
quantità di materiale decorativo, fra cui molti marmi colorati, colonne intarsiate e mosaici del
pavimento e delle pareti; le nicchie erano ornate di pavoni con la coda aperta a ruota.
Abbandonata nell’ XI secolo, la chiesa fu saccheggiata e spogliata, e molti dei suoi elementi
scolpiti, come i cosiddetti Pilastri Acritani, finirono a Venezia dopo la Quarta Crociata.
Le altre chiese bizantine che ancora esistono furono dovute al mecenatismo dell’imperatore.
La chiesa dei Santi Sergio e Bacco a Costantinopoli, costruita fra il 527 e il 536, presenta un
involucro interno ottagonale e si articola sulle diagonali con esedre semicircolari. Fra ogni
coppia di pilastri sorgono due colonne, coronate da capitelli a cesto, tranne sul lato orientale,
dove si apre sul bema. Al livello della galleria si ripete lo stesso ordine, ma le colonne hanno
capitello d’imposta ionici. La cupola è una struttura molto raffinata, e consiste di sedici spicchi
alternatamente piani, traforati da finestre, e concavi, leggermente arretrati. L’ingegnosità del
disegno contrasta con la trascuratezza dell’esecuzione, poiché l’ideazione del progetto era
dovuta a un architetto di valore, ma la sua esecuzione fu affidata a costruttori poco esperti.

La prima Santa Sofia fu costruita probabilmente da Costanzo II e dedicata nel 360, ed era una
chiesa a copertura lignea, distrutta da un incendio nel 404. Anche la seconda chiesa fu distrutta
dal fuoco durante la rivolta di Nika nel 532, e non appena le rovine furono rimosse cominciò la
ricostruzione di Santa Sofia, da parte degli architetti Antemio di Tralles e Isidoro di Mileto. La
pianta fu disegnata con grande accuratezza, ma la difficoltà maggiore derivava dalle sue
dimensioni e soprattutto dalla cupola, che dopo essere stata portata a termine durò solo
vent’anni. Dopo il crollo gli architetti originali erano morti, e dunque fu consultata una
commissione di esperti che rese lo spazio centrale più vicino a un quadrato e realizzò una
cupola più alta, ovvero quella attuale.
Tutti i marmi furono prodotti appositamente, tranne il porfido egiziano, che a quel tempo non
si estraeva più. Le otto colonne di porfido delle esedre, infatti, sono tutte di dimensioni
differenti, e anziché ridurle alla stessa altezza tagliando quelle più lunghe, i costruttori
variarono l’altezza dei piedistalli. Nella navata alle quattro colonne allineate del pianterreno
corrispondono sei colonne al livello della galleria, e nelle nicchie ci sono due colonne in basso
e sei in alto, cosicché il ritmo dell’ordine superiore non corrisponde a quello inferiore, anche se
si tratta di una soluzione non proprio corretta dal punto di vista strutturale.
L’interno di Santa Sofia è così imponente che l’esterno è stato spesso trascurato, descritto
come nudo e pesante. Oggi è difficile averne una buona visione a causa dei contrafforti che si
appoggiano all’edificio su tutti i lati, dei mausolei dei sultani, dei minareti, i quali distraggono
la nostra attenzione dalle forme architettoniche.
Poco lontano da Santa Sofia c’era un ampio cortile porticato che era noto come “la Basilica” e
usato per vari scopi giuridici, commerciali e culturali. Giustiniano fece scavare il cortile e vi
installò una cisterna sotterranea nota come Cisterna Basilica. Essa è composta da 28 file di 12
colonne l’una che sostengono volte a crociera.
La cisterna di Filosseno (Binbir Direk, cioè “Mille e una colonna”), sempre a Costantinopoli, è
più piccola ma di disegno più ardito, infatti l’architetto, per darle maggior profondità, collocò
due serie di fusti di colonne una sopra l’altra.
La storia monumentale di Ravenna nel periodo paleocristiano è generalmente divisa in tre
periodi. Il primo incomincia nel 402, quando la residenza dell’Imperatore d’Occidente fu
trasferita da Milano a questa cittadina, e finisce nel 493, quando, dopo un lungo assedio,
Ravenna fu conquistata da Teodorico. Il secondo periodo, del regno ostrogoto, arriva fino al
540, l’anno della riconquista della città di Belisario. Il terzo, che è il periodo bizantino vero e
proprio, è quello di Ravenna capitale dell’Esarcato d’Italia, che dura fino al 751.
Nessuno potrebbe definire bizantini i monumenti del primo periodo, come il Mausoleo di
Galla Placidia e il Battistero degli Ortodossi, e neanche quelli del periodo ostrogoto, come la
chiesa di Sant’Apollinare Nuovo, l’opera più ambiziosa del regno di Teodorico.
San Vitale fu iniziata in periodo ostrogoto ma presenta una concezione tutta bizantina, anche
per quanto riguarda la tecnica, poiché troviamo mattoni sottili separati da abbondante malta,
cioè proporzioni inverse a quelle allora prevalenti nell’Italia settentrionale. Mentre a
Costantinopoli la curvatura della cupola comincia alla base delle finestre, a Ravenna c’è un
tamburo intermedio consistente di due zone, prima una cornice di nicchie poco profonde, poi,
sopra e fra le nicchie, otto ampie finestre; e la cupola comincia a curvarsi verso l’interno solo al
di sopra delle finestre.

L’architettura della Siria settentrionale era un’architettura di pietra, classica nella concezione,
tanto all’interno quanto all’esterno, e ricchissima di ornamentazioni scolpite.
Miglior esempio della tradizione siriana in questo periodo è la basilica di Qalb-loze, del VI
secolo. Sono interessanti due caratteristiche, entrambe tipiche dell’architettura siriana:
1. La sostituzione dei pilastri di muratura alle colonne, per cercare di ridurre il numero dei
sostegni per integrare meglio la navata centrale con quelle laterali. Qui infatti abbiamo tre
archi per lato, che trasformano l’interno praticamente in un unico spazio;
2. Il trattamento della facciata, che comprendeva una loggia centrale fiancheggiata da due
torri.
L’esempio più noto di architettura di tipo giustinianeo in Siria è il complesso monumentale di
Qasr ibn-Wardan, datato in base alle iscrizioni fra il 561 e il 564. Esso consisteva in un
palazzo, una caserma e una chiesa, e doveva trattarsi della residenza di un importante capo
militare. L’architetto non era un costantinopolitano, ma un siriano esperto delle tendenze
contemporanee dell’architettura bizantina. Ciò che subito colpisce a vederla è la tecnica
muraria insolita, a fasce alternate di mattoni e di blocchi squadrati di basalto. La pianta della
chiesa è rettangolare e il nucleo interno dell’edificio è molto alto in proporzione alla larghezza.
Mentre gli architetti bizantini innalzavano di solito la cupola direttamente sopra gli archi
maggiori, qui sugli archi si appoggia un tamburo esternamente ottagonale, e i pennacchi che
segnano il passaggio dal quadrato al circolo partono dal tamburo e non sotto ad esso. Quanto
ai rilievi, gli stipiti e gli architravi delle porte sono in uno stile locale piuttosto rozzo, e i
capitelli sono elaborate imitazioni siriane di modelli bizantini. Il palazzo è un edificio a due
piani, di cui oggi si conserva solo la parte centrale, che presenta una grande sala a quadrifoglio,
che probabilmente era sormontata da una cupola e doveva trattarsi di una sala delle udienze.
Nel VI secolo i monasteri fortificati erano molto rari, ma divennero poi assai comuni nel
Medioevo. Esempio è il monastero del Monte Sinai (più tardi chiamato di Santa Caterina),
una fondazione imperiale eretta fra il 548 e il 565 per la protezione dei monaci e la difesa
contro le incursioni arabe in Palestina. La chiesa ha due torri ai lati della facciata occidentale e
un’abside che non sporge all’esterno, e inoltre, elemento insolito, vi sono delle cappelle, cinque
per ogni lato, che si aprono sulle navate laterali.
Se è vero che lo stile tipicamente giustinianeo non ebbe grande influenza sull’architettura
dell’Impero, ci possiamo chiedere perché quest’epoca sia considerata così decisiva. Le risposte
al quesito possono essere due:
1. Si può osservare che nell’area metropolitana il VI secolo vide l’abbandono di certe
tradizioni classiche: il capitello corinzio fu sostituito da quello d’imposta, la trabeazione
orizzontale fa la sua ultima apparizione nei Santi Sergio e Bacco, viene abbandonato il
pavimento a mosaico per uno di semplici lastre di marmo e di opus sectile a motivi
geometrici;
2. Ragione di natura storica: l’architettura bizantina del VI secolo, considerata come
l’architettura di un impero universale, rappresenta la conclusione di un lungo sviluppo, ma
questo impero crollò e l’architettura giustinianea rimase un imponente monumento alla
grandezza passata.

• I SECOLI BUI

In Grecia il declino si manifesta verso il 580, e dopo questa data restano in mani bizantine solo
alcuni avamposti costieri, come Tessalonica, Atene, Corinto, mentre il paese è interamente
occupato dagli Slavi. In Asia Minore le condizioni sono diverse, ma la situazione abbastanza
simile: non ci furono occupazioni straniere nelle campagne che però, per circa due secoli,
subirono goni anno le devastazioni degli Arabi; molte città scomparvero completamente, altre
si restrinsero alla cittadella fortificata.
È molto limitato il numero delle chiese che possono essere attribuite con qualche certezza ai
secoli bui (due secoli e mezzo). Possiamo indicare la parziale ricostruzione di Sant’Irene a
Costantinopoli, compiuta dopo il terremoto del 740.
Alle fine dell’VIII secolo appartiene Santa Sofia di Tessalonica, una grande chiesa che può
essere considerata come un monumento commemorativo dell’offensiva che indebolì la
pressione slava sul paese. Il disegno dell’edificio è simile a quello di Sant’Irene o di Qasr ibn-
Wardan, ovvero una basilica cruciforme con cupola. Quest’ultima è incassata in un massiccio
tamburo quadrato, con tre finestre per ogni lato, e le colonne e i capitelli sono materiale di
spoglio. Santa Sofia non va considerata come l’opera di un architetto provinciale, ma come la
più grande e la più riuscita opera della Bisanzio dell’VIII secolo.
Un gruppo di chiese abbastanza importanti appartengono allo stesso gruppo architettonico di
Santa Sofia a Tessalonica. Fra di esse possiamo citare la chiesa della Dormizione a Nicea, San
Nicola a Myra, San Clemente ad Ankara, la cattedrale di Bizye nella Turchia europea e la
chiesa ora in rovina di Dere Asi in Licia. Tutte si trovano nell’attuale Turchia, cioè in quel che
rimaneva dell’Impero Bizantino dopo la grande ondata di invasioni.
La chiesa della Dormizione di Nicea andò distrutta nel 1922, ma è ben documentata da
fotografie anteriori a quella data. La chiesa aveva un interno cruciforme definito da quattro
massicci pilastri, la navata centrale era separata da quelle laterali da arcate sostenute da pilastri
rettangolari di marmo, ed era coronato da una cupola. Questo monumento fu in gran parte
ricostruito dopo il terremoto del 1065. La chiesa originale si può datare grazie ai famosi
mosaici del bema, alterati dagli Iconoclasti e restaurati dopo l’843, che forniscono il terminus
ante quem del 730 circa.
La chiesa di San Nicola a Myra è una basilica a cupola piuttosto grande, con gallerie sostenute
non da colonne, ma da pilastri in muratura, e contenente nell’abside un synthronon con
corridoio anulare, come a Sant’Irene a Costantinopoli. La forma della chiesa fu alterata da un
pessimo restauro nel 1862, che portò alla ricostruzione di gran parte delle sovrastrutture e alla
sostituzione della cupola con una volta a crociera. La pianta complessa dell’insieme, con tutti i
vari annessi, riflette le esigenze di un importante centro di pellegrinaggio, che continuò a
funzionare anche quando le reliquie del Santo furono trasferite a Bari nel 1087.
Molti elementi della chiesa della Dormizione si ritrovano in un altro monumento distrutto,
San Clemente ad Ankara, che conosciamo da alcune vecchie fotografie. È una chiesa
cruciforme piuttosto piccola, con una galleria sulle navate laterali e sul nartece, sostenuta da
coppie di pilastri di marmo, e con una cupola, senza tamburo, illuminata da quattro finestre.
Gli elementi di marmo scolpiti con un motivo a “arco e freccia” e la forma piuttosto tozza
della chiesa indicano una data preiconoclasta, il VI o VII secolo.
L’edificio in rovina di Dere Asi in Licia comprende una basilica cruciforme con cupola e due
strutture ottagonali di destinazione incerta, una a nord e una a sud, entrambe con absidi. La
chiesa aveva sul nartece e sulle navate laterali una galleria accessibile per mezzo di due torrette
esterne, e alcuni frammenti del mosaico delle pareti testimoniano la ricchezza della
decorazione originale.
Il gruppo appena esaminato di basiliche cruciformi con cupola è generalmente considerato
come la transizione fra l’architettura del VI secolo e quella del IX e del X. È però più esatto
dire che rappresenta un tipo giustinianeo adatto per chiese piuttosto grandi destinate ai fedeli
(poiché possiedono una galleria), un tipo che fu abbandonato dopo il IX secolo perché non
c’era più bisogno di queste chiese.
Gli architetti bizantini, verso la fine dell’VIII e gli inizi del IX secolo, introdussero la pianta a
croce greca: si trattava di una cupola sostenuta da quattro volte a botte, disposte in modo da
formare una croce greca. Questo sistema, chiaramente visibile all’esterno, era inscritto in un
quadrato per mezzo di quattro supporti interni, colonne o pilastri di muratura. Le quattro
braccia laterali erano coperte da volte a crociera, da volte a vela o anche da cupole più piccole.
Un’altra caratteristica è l’assenza di qualsiasi suddivisone interna, infatti lo spazio è unitario e
non si presta alla separazione dei sessi. Da queste osservazioni si deduce che la chiesa a croce
greca sorse in ambiente monastico.
Questo periodo vide una grande rinascita del monachesimo, a dispetto dell’opposizione
imperiale. Gli imperatori iconoclasti, particolarmente Costantino V, perseguitarono i monaci
per la loro difesa del culto delle icone, ma senza successo.
Prima di lasciare i secoli bui, bisogna soffermarsi sull’Armenia. A cominciare dall’ultimo
quarto del VI secolo, l’elemento armeno acquistò straordinaria preminenza nella società
bizantina. C’erano molti armeni nell’Impero, la maggior parte arruolati come soldati, e
l’esercito, in un momento in cui l’Impero era costretto ad essere militaristico, era la chiave
dell’avanzamento sociale. I più antichi monumenti cristiani dell’Armenia datano dal V o VI
secolo, e sono basiliche con volta a botte sostenute da due file di pilastri in muratura.
Le più strette analogie tra Armenia e Siria si trovano nella basilica di Ereruk, che, sebbene
sostenuta da pilastri a L, pare fosse a copertura lignea. Aveva il muro dell’abside rettilineo,
colonnati laterali aperti, e facciata fiancheggiata da due torri rettangolari. Anche i particolari
sono tipicamente siriani, come i portali sormontati da frontoni e sostenuti da colonne
incassate.

La basilica non ebbe vita lunga in Armenia e, verso la fine del VI secolo, cedette il passo alla
chiesa a cupola. L’architettura armena si sviluppò quando quella siriana era giunta alla fine
della sua fioritura, e anche all’inizio della decadenza dell’Impero d’Oriente, e quindi nel VII
secolo fu la più importante di tutto l’Oriente cristiano. Tuttavia la supremazia non durò a
lungo a causa dell’occupazione araba.
In Armenia appaiono, più o meno simultaneamente, i seguenti tipi architettonici:
1. Il tetraconco con cupola, generalmente inscritto in un rettangolo. Esempi: chiese di Avan
presso Erivan e di Santa Hirp’sime a Ecmiadzin. L’adattamento del quadrifoglio al
rettangolo fu risolto inserendo fra le absidi maggiori del tetraconco quattro esedre più
piccole, a forma di ferro di cavallo. Questi piccoli ambienti, situati sulle diagonali, davano
accesso a delle celle angolari, circolari ad Avan e rettangolari nelle altre chiese. Se l’interno
è forse troppo frammentario, l’esterno acquista invece una massiccia monumentalità, con le
quattro facciate praticamente uguali e solcate da un paio di nicchie a forma di cuneo che
creano profonde zone d’ombra;
2. L’ottagono. Esempio: Zoravor presso Evgard, chiesa piuttosto piccola, ora in rovina, che
contiene otto esedre absidate disposte radialmente. Esternamente le absidi sono triangolari,
e formano lo stesso tipo di nicchie a cuneo notate nel primo gruppo. Lo spazio interno è
interamente coperto da una cupola che poggia su un alto tamburo;

3. Il quadrifoglio a doppio involucro. Esempio: chiesa delle Potenze Angeliche presso


Ecmiadzin. Visto dall’esterno doveva apparire composto di tre cilindri decrescenti,
collocati uno sull’altro. Il cilindro più basso era ravvivato esternamente da arcate cieche, ed
entro il suo perimetro era contenuto il quadrifoglio: quattro esedre di sei colonne l’una,
separate da quattro pilastri a forma di W. Lo stesso ordinamento si ripeteva al livello della
galleria, e l’intera struttura era coronata da una cupola su nicchie angolari;

4. Un gruppo di chiese a cupola piuttosto grandi, che hanno internamente quattro pilastri
isolati. Esempio: chiesa di Mren, eretta in un momento di forte influenza bizantina
sull’Armenia. Incarna in ogni caratteristica il principio della croce greca, ma presenta un
leggero allungamento longitudinale. La cupola è sostenuta da quattro pilastri di mattoni e
da nicchie d’angolo, e il tamburo è ottagonale, alto ed elegante.
• IL PERIODO MEDIO-BIZANTINO

Nella prima metà del IX secolo l’Impero Bizantino non è più un grande impero mediterraneo.
L’eredità di Roma è passata in gran parte agli Arabi, che ora dominano dall’Asia centrale alla
Spagna. A confronto dei domini dei califfi, quelli dei basileus sono piccoli e sottosviluppati:
comprendono Asia Minore, la Grecia e le lontane province della Crimea e dell’Italia
Meridionale.
L’ultimo imperatore iconoclasta fu Teofilo (829-842), e oltre a riparare le mura verso il mare,
pare che si sia occupato soltanto di costruire palazzi. L’edificio più noto è il Gran Palazzo, una
serie di padiglioni, di cui il principale aveva la forma di triconco.
Come l’arte dell’epoca di Teofilo, così anche quella di Basilio I (867-886) era un’arte di corte.
Egli era un avventuriero armeno animato dall’orgogliosa ambizione di una renovatio imperii
Romani, non “nuovo e differente”, ma una restaurazione e un consolidamento del vecchio. Il
catalogo delle sue costruzioni indica 25 chiese a Costantinopoli e 6 nei sobborghi che egli
rinnovò. Costruì anche 8 chiese nuove tutte dentro il Palazzo Imperiale, e la più importante
era la Chiesa Nuova, dedicata nell’880. Essa era coperta da cinque cupole e con tutta
probabilità aveva pianta a croce greca. La straordinaria diffusione della pianta a cinque cupole
nei secoli successivi testimonia l’importanza della Nea Ekklesia come modello. Le cupole
risplendevano di mosaici, mentre esternamente erano coperte di tegole di ottone.
Il rinnovamento architettonico di Basilio I consistette in un ritorno, su scala ridotta, ai gloriosi
monumenti di Giustiniano, ma con una differenza: mentre le opere maggiori di Giustiniano
erano monumenti pubblici, quelle di Basilio I erano private; o, per essere più precisi, erano
riservate a un gruppo limitato di dignitari e di cortigiani che avevano accesso al palazzo. E
come l’imperatore si comportarono i committenti minori. Da questo momento in poi anche la
maggior parte dell’architettura religiosa divenne privata, e invece di chiese parrocchiali ed
episcopali, si costruirono soprattutto chiese monastiche.
In epoca medio-bizantina il monastero era di solito circondato da un muro, e, passato il
portale, il visitatore si trovava in un grande cortile aperto. Qui al centro si trovava la chiesa,
mentre i quartieri di abitazioni erano disposti tutto attorno. Dopo la chiesa, l’edificio più
importante era il refettorio, che poteva sorgere isolato o far parte del rettangolo residenziale, e
che era una struttura allungata, fornita di abside, con lunghe tavole e panche. I morti venivano
di solito sepolti fuori dal monastero, tranne personaggi come il fondatore o il benefattore, che
erano sepolti in sarcofagi nella navata o nel nartece.
Passando all’evoluzione della chiesa, notiamo che a Costantinopoli la prima fase
dell’architettura medio-bizantina è caratterizzata dalla pianta a quattro colonne.
La chiesa settentrionale di Fener-i ‘Isa Cami fu costruita dal patrizio Costantino Lips, e
sebbene piccola, era di notevole ricercatezza. Nella pianta possiamo notare le due cappelle
laterali, aggiunte al nucleo a croce greca inscritta, i pastofori, le grandi finestre laterali che
illuminano la navata, e la torre affianco al nartece. La scala conduceva al tetto, su cui altre
quattro cappelle, ciascuna coperta da una piccola cupola. Vista dall’esterno, la chiesa era a
cinque cupole, come la Nea Ekklesia, e presentava la moltiplicazione delle cappelle. La
decorazione interna era di straordinaria ricchezza, e anche se i mosaici sono scomparsi si
conserva una grande quantità di rilievi. Altri due tipi di decorazione erano usati: l’intarsio e le
piastrelle smaltate. Si sono portati alla luce frammenti di un gran numero di icone intarsiate e
anche piastrelle di ceramica, probabilmente di ispirazione islamica.

Un’altra chiesa monastica, quella del Myrelaion, sorge su un’alta sottostruttura simile nella
pianta alla chiesa sovrastante. Era piccola ma molto armoniosa, costruita interamente in
mattoni. Probabilmente, nel periodo turco, le quattro colonne furono sostituite da pilastri e le
tre ampie finestre dell’abside furono murate. La cupola a spicchi è quella originale, e la
decorazione interna comprendeva mosaici, rivestimenti di marmo e bordi di ceramica.

Nella chiesa ora nota come Santa Maria dei Calderai a Tessalonica, costruita nel 1028,
osserviamo un ulteriore sviluppo della concezione architettonica rappresentata dai due
monumenti costantinopolitani appena descritti. La pianta è del normale tipo a quattro colonne
e, come il monastero di Costantino Lips, il piano superiore del nartece ha due campate a
cupola, ma presenta tre cupole invece che cinque. Poiché le due cupole del nartece sorgono
piuttosto in alto, si dovette alzare la cupola centrale, per mezzo di un tamburo più alto del
normale, con due ordini di finestre. La novità, che diventa una tendenza generale nell’XI
secolo, sta nel crescente arretramento dei piani, con aperture ad arco e archi ciechi che hanno
due, tre, o anche quattro rientranze.
La prima metà dell’XI secolo fu un’epoca di innovazioni architettoniche, e, sotto Basilio II
(976-1025), l’Impero aveva raggiunto l’apice della sua potenza. Il periodo dal 1025 fino
all’irruzione nell’Asia Minore dei Turchi Selgiuchidi (1071) è uno dei più fertili nella storia
dell’architettura bizantina. I più notevoli edifici prodotti da questa rinascita artistica si trovano
nella Grecia continentale e insulare.
La prima metà del IX secolo non ci ha lasciato monumenti; fra quelli della seconda metà
possiamo ricordare Sant’Andrea a Peristerai, una chiesa monastica eretta nell’870-71. Essa è
piuttosto rozza e senza ornamenti, ma il disegno è interessante, infatti si tratta di un
quadrifoglio coronato da cinque cupole.

Nella seconda metà del X secolo fu importata dalla capitale la pianta a croce greca inscritta, il
cui esempio più notevole è la chiesa della Theotokos nel monastero di San Luca (Osios Lukas)
nella Focide. I muri sono costruiti con la tecnica del cloisonnè, cioè le pietre, disposte in filari
singoli, sono ciascuna incorniciata da mattoni, tanto orizzontalmente che verticalmente.
Il tipo di chiesa con cupola su trombe può essere illustrato dal katholikon. Il quadrato centrale
è piuttosto grande e quasi interamente coperto dalla cupola. La navata, su tutti i lati, si articola
in vani sussidiari con volte a crociera, che sostengono una galleria, e questi vani non formano
delle vere e proprie navate laterali, perché sono divisi uno dall’altro da spessi muri che servono
da contrafforti laterali per la cupola. L’effetto interno è più sobrio che a Nea Moni, e l’esterno
è più equilibrato, perché la cupola è proporzionata alla massa dell’intera struttura. Non
sappiamo quando né da chi sia stato costruito, sappiamo soltanto che la sua costruzione deve
essere stata originata dalla crescente popolarità della tomba miracolosa di San Luca, molto
frequentata come luogo di pellegrinaggio.

A partire dal 1040 furono costruite delle grandi chiese che si distinguono per le cupole ampie,
sostenute non da pennacchi ma da nicchie angolari, cioè su base ottagonale. Strutturalmente si
possono dividere in due classi: quelle semplici, in cui la cupola poggia direttamente sulle
pareti, e quelle complesse, dove il nucleo centrale è avvolto da vani sussidiari (Osios Lukas).
La pianta a trombe angolari aveva senza dubbio lo scopo di unificare l’interno della chiesa e di
rendere possibile l’ampliamento della cupola fornendola di otto punti di sostegno anziché di
quattro.
L’esempio più antico che si conosca del tipo semplice è il katholikon di Nea Moni (Nuovo
Monastero), nell’isola di Chio. Consiste in una nave quadrata, senza navate laterali, coperta
praticamente tutta da una cupola molto grande. In confronto a quello della chiesa a croce
greca inscritta, l’effetto interno, con le superfici ondulate, è decisamente barocco. Gli elaborati
rivestimenti di marmo, i mosaici e i pavimenti a disegno sono indizi dell’iniziale ricchezza del
monastero.
Il compito di ricostruire l’impero toccò alla dinastia dei Comneni (1081-1204), il cui potere si
basava sull’aristocrazia militare delle province. Essi abbandonarono il vecchio Palazzo
Imperiale presso l’ippodromo in cui il basileus aveva risieduto per 700 anni, e si trasferirono
nel palazzo più piccolo delle Blacherne, che, dominando sull’angolo settentrionale delle difese
cittadine, doveva avere il carattere di una fortezza. Alcune delle fondazioni imperiali si sono
conservate e ci danno un’idea della produzione architettonica bizantina nel tardo XI e nel XII
secolo.
La chiesa monastica di Cristo Pantepoptes, che si affaccia sul Corno d’Oro, fu fondata intorno
al 1100 dalla madre di Alessio I. Essa è piuttosto piccola ed è un esempio classico del tipo a
quattro colonne (le colonne originali devono essere state sostituite in periodo turco dagli attuali
pilastri ottagonali di pietra). In questo edificio non c’è nulla che non avrebbe potuto essere
fatto 150 o 200 anni prima, come la cupola a nervature, i pastofori smerlati, il nartece a tre
campate con una galleria che si apre sulla navata attraverso un elegante tribelon.
Nel monastero dinastico dei Comneni a Costantinopoli, dedicato a Cristo Pantocratore,
notiamo lo stesso apparente regresso. Qui furono sepolti i più grandi dei Comneni, Giovanni II
e Manuele I, e più tardi, nel XIV e nel XV secolo, gli imperatori della famiglia dei Paleologi.
Questo grande complesso consiste in tre chiese giustapposte: quella meridionale, dedicata a
Cristo (3); quella settentrionale dedicata alla Vergine (1); quella di mezzo, un mausoleo a
cupola, è dedicata a San Michele (2).
La chiesa meridionale è il maggiore esempio costantinopolitano del tipo a quattro colonne,
fatte di marmo rosso, e in seguito sostituite da pilastri di pietra. Il nartece era a cinque campate
coperte a volta, aveva una galleria, e la cupola sulla campata centrale rappresenta una
trasformazione più tarda, costruita per migliorare l’illuminazione. Era particolarmente
notevole la decorazione, come i rivestimenti di marmo e il magnifico pavimento di opus
sectile, consistente in medaglioni con bordi a intreccio, come un tappeto continuo.
La chiesa settentrionale è un po’ più piccola ma appartiene allo stesso tipo architettonico.
Il mausoleo è diviso in due campate e coperto da due cupole, e aveva un pavimento simile a
quello della chiesa meridionale.
Una terza chiesa che può essere messa in relazione con la dinastia dei Comneni è quella del
Salvatore di Chora, famosa per i suoi mosaici del XIV secolo. Una cupola piuttosto grande
poggiava direttamente su pilastri di mattoni, i cui spigoli sporgevano nella navata in modo da
formare una pianta cruciforme con braccia laterali poco sviluppate. Questa disposizione
ricorda una fase anteriore dell’architettura bizantina, rappresentata da chiese come la
Dormizione di Nicea e Santa Sofia di Tessalonica.

Isacco Comneno, il patrono del monastero di Chora, fondò verso la fine della sua vita un altro
monastero, quello della Vergine Cosmosoteira a Pherrai, in cui fu sepolto. Si tratta di un
edificio piuttosto grande, ma non molto elegante, che presenta una cupola sostenuta da due
pilastri di mattoni a est e due paia di colonne a ovest, e dei vani angolari coperti da piccole
cupole.
Possiamo avere l’impressione che gli interessanti esperimenti dell’XI secolo siano stati
abbandonati nella Costantinopoli dei Comneni. Rimane il desiderio di creare interni ampi e
liberi, ma anziché sviluppare ulteriormente la pianta ottagonale con cupola su trombe, gli
architetti bizantini tornarono alle vecchie tradizioni.
Dal punto di vista architettonico non ci fu soluzione di continuità fra il primo e il secondo
periodo bizantino. La principale novità consistette in una maggiore ricerca dell’eleganza
esteriore, che però non andò a discapito dell’interno, che rimase di primaria importanza.
L’architettura medio-bizantina continuò ad essere un’architettura degli interni, e quando si
introdusse l’articolazione plastica dell’esterno, essa rifletteva le divisioni interne. Inoltre, lo
spazio interno era centripeto piuttosto che longitudinale (come nella basilica), ed era
organizzato gerarchicamente: partendo dalla cupola, si scendeva alle volte, si diffondeva nel
bema e nell’abside e arrivava a terra. La costruzione spaziale e le dimensioni medie di una
chiesa simile erano particolarmente adatte per una decorazione pittorica che rifletteva la natura
gerarchica e immutabile dell’universo cristiano. Questa decorazione trovava nel mosaico la sua
espressione ideale, infatti, contro uno sfondo di tessere d’oro, le figure sembravano abitare lo
spazio stesso della chiesa e conversare fra loro.

• IL PERIODO TARDO-BIZANTINO

La storia di questo periodo non riguarda uno stato unitario ma una serie di principati minori.
A cominciare dal principio del XIII secolo, con lo stabilirsi di principati latini in terre che
precedentemente erano appartenute allo stato bizantino, sorse in Oriente un numero
considerevole si castelli, di abbazie e di chiese di tipo occidentale. A Costantinopoli il periodo
della dominazione latina (1204-61) non fu molto produttivo dal punto di vista architettonico:
l’unica costruzione che è stata attribuita ad esso è il portico sud-orientale di Santa Sofia.
L’architettura gotica lasciò una traccia sensibile, se pure non particolarmente forte, in elementi
come l’arco a sesto acuto, la volta a nervature, il campanile, e la pianta allungata nelle chiese.
Il Despostato dell’Epiro, che era il principale rivale di Nicea nella lotta per la corona di
Costantinopoli, ha lasciato monumenti architettonici più importanti, alcuni dei quali
direttamente legati alla famiglia reale. Si può definirli provinciali, perché hanno qualcosa, per
così dire, di casalingo, un po’ rozzi. Due di questi monumenti sono quasi identici di forma: la
Kato Panagia presso Arta e la Porta Panagia presso Trikkala. Entrambi hanno tetti congiunti a
croce, molto comuni in Grecia a cominciare dal XIII secolo, e presentano un effetto simile a
quello di una croce greca senza cupola. All’esterno le due chiese sono ornate da una
decorazione geometrica di piastrelle e dentelli applicati con noncuranza della simmetria.
I despoti dell’Epiro avevano i loro sepolcri dinastici nella chiesa delle Blacherne presso Arta,
una basilica a tre navate. Qualche decennio più tardi fu resa più grandiosa per l’aggiunta di tre
cupole, una sulla navata principale e due su quelle laterali, introdotte però senza alcun
riguardo per l’articolazione architettonica preesistente.
Il capolavoro della scuola epirota è la chiesa della Parigoritissa di Arta, eretta tra il 1283 e il
1296 come fondazione della casa regnante dell’Epiro, che era imparentata da matrimoni con
gli Orsini di Cefalonia e altre potenze occidentali. Vista dall’esterno, la sua massa cubica
ricorda la forma di un palazzo italiano, tranne per il fatto che dal tetto orizzontale si staccano
cinque cupole e una lanterna aperta. Le sue facciate piatte sono divise in tre piani: due ordini
di finestre bilobe e una base di pietrisco irregolare con lesene sporgenti.
La casa dei Paleologi ha dato il suo nome all’ultima fase della storia e dell’arte bizantina. Nel
periodo breve fra il 1261 e il 1330 circa a Costantinopoli e a Tessalonica furono eretti alcuni
edifici interessanti, che però continuano le tradizioni medio-bizantine, senza alcun tentativo di
rinnovare.
Fra gli edifici ecclesiastici che ancora si conservano di questo periodo a Costantinopoli, il più
importante è la chiesa meridionale del monastero di Costantino Lips, fondata dall’imperatrice
Teodora, moglie di Michele VIII Paleologo. Dunque invece di costruire un monastero
interamente nuovo, fu ampliato uno già esistente, forse con l’intenzione di imitare il complesso
del Cristo Pantocratore, il mausoleo dinastico dei Comneni. Affianco alla chiesa originale fu
costruita una chiesa un po’ più ampia, con la cupola sostenuta da quattro pilastri di pietra. La
chiesa di Teodora è preceduta da un nartece a cupola che non si estende per tutta la larghezza
del naos perché al momento della costruzione esisteva già la torre della chiesa settentrionale; e
tutto il complesso è circondato sui due lati da un deambulatorio a volta. Uno sguardo alla
pianta permette di riconoscere una caratteristica importante, cioè l’abbondanza di arcosoli: ce
ne sono 5 nel naos, 4 nel nartece e 7 nel deambulatorio. Quello che occupa il posto d’onore,
cioè l’arcosolio che si trova ad est della navata meridionale, era destinato a Teodora.

La stessa preoccupazione per la vita futura la ritroviamo nell’elegante parekklesion di Santa


Maria Pammakaristos, del 1310 circa. Si tratta di una cappella commemorativa eretta in onore
del generale Michele Dukas dalla sua vedova. Essa è del tipo classico a quattro colonne,
preceduta da un nartece a due piani che è coperto da due piccole cupole. L’esterno costituisce
uno dei migliori esempi dell’architettura dei Paleologi nella capitale. Per la presenza del
nartece a due piani, la cappella ha forma cubica, divisa in tre zone di arcate cieche, con archi
ampi che si alternano con archi stretti, nicchie slanciate. L’interno, molto piccolo, risplende di
marmi e mosaici.
Fra il 1316 e il 1321 il dotto statista Teodoro Metochites raggiunse la carica di primo ministro
e restaurò il monastero del Salvatore di Chora. Anche questo non è un edificio interamente
nuovo, ma l’ampliamento di uno già esistente. L’involucro della nave fu lasciato com’era,
mentre fu ricostruita la cupola, e i due narteci e il parekklesion mortuario a sud della chiesa
sono opera di Metochites. Naturalmente, le parti nuove dovettero essere adattate a quelle
vecchie e a certe esigenze funzionali, e si produssero così notevoli irregolarità. L’architettura è
molto inferiore ai mosaici e agli affreschi meritamente famosi dell’interno e ai rivestimenti di
marmo, a cui Metochites dedicò la sua cura maggiore.
Un altro esempio di architettura sacra all’età dei Paleologi a Costantinopoli è l’elegante
esonartece di Kilise, che rappresenta un caso analogo al Salvatore di Chora: una chiesa già
esistente, a quattro colonne, dell’XI secolo circa. La facciata dell’esonartece che, per
l’inclinazione del terreno, sorge su un podio, è coronato da tre cupole decorate da mosaici ed è
diviso in due zone: una zona inferiore di due triple arcate che fiancheggiano la porta centrale, e
una zona superiore di cinque finestre ad arco che corrispondono alle cinque campate in cui è
diviso all’interno il nartece. La facciata-portico, di cui Kilise Cami è un bell’esempio, pare
fosse nell’epoca tardo-bizantina un elemento molto comune.
Nel campo dell’architettura civile, con cui la facciata a portico è forse più strettamente
connessa che con quella ecclesiastica, l’unico monumento dell’età dei Paleologi ancora
esistente a Costantinopoli è il Tekfur Sarayi, un edificio rettangolare a tre piani. Esso fu
costruito fra il 1261 e il 1291, ed era noto come il Palazzo del Porfirogenito, con riferimento
non all’imperatore Costantino VII Porfirogenito, ma probabilmente al suo omonimo, il terzo
figlio di Michele VIII.
Tessalonica, artisticamente più vicina alla capitale che alle altre città greche, all’inizio dell’era
dei Paleologi godette di un periodo di prosperità che trovò espressione nella costruzione di
diverse chiese, per la maggior parte monastiche. La più notevole è quella dei Santi Apostoli,
del tipo a quattro colonne, e caratterizzata da una galleria a forma di U, sormontata da cupole
su quattro angoli, e da un portico aperto verso ovest consistente in due triple arcate su
entrambi i lati della porta d’ingresso.

Il contributo del periodo dei Paleologi consiste essenzialmente nell’aggiunta di annessi che
avvolgono su tre lati le chiese già esistenti.
Il Principato del Peloponneso sud-orientale, che aveva il suo centro nella fortezza di Mistrà, fu
ceduto a Costantinopoli nel 1261. Mistrà non è interamente una città medioevale, ma
conserva, meglio che qualsiasi altro luogo, il carattere di una città tardo-bizantina. Il nucleo
centrale era costruito da una piazza circondata su due lati dal palazzo dei Despoti,
caratterizzato da particolari occidentali, come gli archi piatti, policentrici, le finestre a ogiva
polilobate. Vi era la chiesa metropolitana, costruita su pianta basilicale nel 1291-92, e dopo
questa, il più antico edificio religioso era la chiesa monastica dei Santi Teodori, l’ultimo
esempio di pianta ottagonale su trombe angolari. Accanto ad essa vi era una seconda chiesa,
dedicata alla Vergine Hodegetria, che serviva come katholikon del monastero. La sua
principale caratteristica è la sovrapposizione di una pianta a croce greca, con cupola, sulla
basilica con galleria. Qui abbiamo in basso una basilica con una fila di tre colonne su entrambi
i lati della navata, mentre i pilastri in muratura che sostengono la cupola partono dal
pavimento della galleria.

Passando da Mistrà a Trebisbonda, ci troviamo in un mondo diverso. L’impero di Trebisbonda


(1204-1461) ha lasciato un certo numero di edifici, che però, a parte l’eccezione di Santa Sofia,
non sono stati ancora studiati a fondo. Il complesso di Santa Sofia consiste di una chiesa
principale, di una chiesa più piccola e di un alto campanile datato 1427. La chiesa principale
ha una struttura a quattro colonne piuttosto allungata, coronata da una sola cupola su tamburo
decagonale. Il suo elemento più caratteristico, sconosciuto all’architettura bizantina e
certamente derivato dalla Georgia, sono i tre portici aperti sporgenti sui tre lati a nord, ovest e
sud. Troviamo numerosi particolari selgiuchidi, come i capitelli ad alveare e i medaglioni
decorativi.

Nelle chiese bizantine più antiche è l’interno che conta, un sistema chiuso, coperto dalla volta
del Cielo. Nell’età dei Paleologi questa illusione non esiste più. Di solito la cupola è così alta
da parere un pozzo capovolto, e il busto di Cristo Pantocratore si fa più piccolo e lontano. Col
diminuire delle dimensioni della chiesa, si moltiplica il numero delle scene dipinte. Le figure
non sono quelle monumentali del periodo precedente, che emergevano da uno sfondo azzurro
o d’oro, ma sono piccole e coprono ogni centimetro di superficie. Il periodo dei Paleologi vide
anche l’introduzione dell’iconostasi, un’alta recinzione fra la navata e il bema. Per contrasto
l’esterno acquista un ruolo dominante. Esso è ravvivato da elementi che creano un gioco di
luci e ombre, come nicchie, arcature, file di dentelli, e reso coloristicamente vivace da
decorazioni di piastrelle e di pietra.
Con questa fase pittoresca, l’architettura bizantina giunge alla conclusione nella sua terra
d’origine.

Potrebbero piacerti anche