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a cura di
Antonio Iacobini
Campisano Editore
Roma 2009
Indice
pag. 11 Premessa
Antonio Iacobini
Christoph Riedweg
dovessero recare le raffigurazioni dei più importanti fra gli hierarches, vale a
dire, oltre al Crisostomo, Basilio di Cesarea, Gregorio il Teologo e Atanasio di
Alessandria, o, forse, Nicola 6.
Nel campo del terzo registro, placchette romboidali sono disposte a gruppi
di quattro, formando piccoli quadrifogli. Le cornici per le formelle sono
sostanzialmente identiche a quelle con rose entro girali del secondo registro. A
metà di ciascun lato della cornice si diparte ortogonalmente una fascia della
medesima larghezza, la quale va a raggiungere la tripla cornice esterna del bat-
tente, lì dove essa forma i clipei. La decorazione di queste fasce ortogonali è
identica a quella della incorniciatura della formella. Nel battente di sinistra,
però, le due fasce che si dipartono dai lati superiore e inferiore dell’incornicia-
tura della formella presentano un motivo differente: un tralcio vegetale nella
fascetta superiore e una borchietta quadrata con sedici puntini in quella infe-
riore. L’incongruenza può forse essere spiegata con un risarcimento, in antico,
di due elementi danneggiati o mancanti con pezzi in soprannumero resisi
disponibili ma destinati ad altro manufatto 7.
Il campo a quadrifogli si ritrova anche nel quarto ed ultimo registro, quello
inferiore; da notare, però, che quasi tutto lo spazio del campo è occupato da
una cornice a fasce piuttosto elaborata, la quale dà origine a una ripartizione in
quadrati, destinata ad accogliere, in ciascun battente, quattro formelle aniconi-
che. La fascia esterna, più sottile, reca inciso un motivo a cerchietti colorati; le
due fasce ortogonali interne, più larghe, fungono da divisorio per le otto for-
melle e sono arricchite da un motivo a coppie di cornucopie simmetriche dalla
cui imboccatura fuoriescono due piccioli che reggono un grappolo centrale;
alla base delle cornucopie si trovano foglie (nelle bande verticali) o grappoli (in
quelle orizzontali).
Delle otto formelle sopravvive per intero solo quella in basso a destra nel
battente di destra. Anche qui compare la parte sommitale di una coppia di
cornucopie con caule baccellato e bocca decorata da una fila di perline entro
due listarelle. Due foglie stilizzate a quattro lobi paralleli fuoriescono dai cali-
ci. Altre due foglie, con i lobi ripiegati verso il basso, riempiono gli spazi di
risulta negli angoli in basso. Al centro, fra i due calici, si diparte uno stelo che
sorregge un grappolo di uva. Nello stesso battente, della formella in alto a sini-
stra rimane solo un frammento di difficile lettura. Il frammento della prima
formella in alto a sinistra nel battente di sinistra lascia invece scorgere parte
delle ali, la coda e la zampa di un uccello che ghermisce una preda, forse un
altro volatile.
I motivi decorativi adoperati nelle cornici e nelle campiture dei registri del
vimothyron di Karyes conoscono una straordinaria diffusione nell’ambito della
produzione di avori di origine costantinopolitana. Pelekanidis riconduceva
alcuni di essi all’atmosfera stilistica del X-XI secolo, apparentandoli con il grup-
po di manufatti costantinopolitani che A. Goldschmidt aveva denominato
“antikisierenden Kästen” 8. Più di recente si è parlato anche – e con maggiore
puntualità – di cofanetti a rosette (“rosette caskets”). In tale categoria di ogget-
ti, esemplata dal ben noto Cofanetto di Veroli (Londra, Victoria and Albert
526 ALESSANDRO TADDEI
posta di datazione del vimothyron al XII secolo, senza tuttavia escludere del
tutto una cronologia più alta 18.
II
Sempre alla seconda metà del X secolo o, comunque, a data anteriore alla
fine dell’XI, Pelekanidis attribuiva un altro vimothyron athonita, quello appar-
tenente al monastero di Hilandar, ricordato brevemente da S. Radojčic´ nel suo
studio sul patrimonio del monastero, apparso nel 1955. Esso fu poi pubblicato
approfonditamente da Verena Han nel 1956. Radojčic´ e la Han collocarono il
manufatto, sulla base delle loro osservazioni stilistiche, in un ambito compreso
fra la seconda metà del XII e il XIV secolo 19. I contributi più recenti sui due bat-
tenti intarsiati di Hilandar, pur nella loro brevità, ne spostano la realizzazione a
data anteriore: il volume dedicato al monastero da D. Bogdanovic´ li fa risalire a
prima del 1200. P. Mylonas, sposando le considerazioni stilistiche di Pelekanidis
e della Loverdou-Tsigarida sull’esemplare conservato al Protaton, ne anticipa
ulteriormente la datazione al periodo della prima fondazione del monastero,
ovvero agli ultimi decenni del X secolo 20.
Di forma analoga a quello del Protaton, il vimothyron di Hilandar (fig. 2) è di
dimensioni leggermente più ridotte (1,25 x 0,75) 21 e si trova in uno stato di con-
servazione alquanto più precario. Consta di due battenti a coronamento curvili-
neo ripartiti ciascuno in tre registri sovrapposti, i due inferiori di forma rettan-
golare, quello superiore a quarto di cerchio. Dal punto di vista degli elementi
costitutivi della decorazione sono evidenti le assonanze con il vimothyron del
Protaton: anche qui una cornice tripartita con fascia centrale a tralcio e fasce
laterali a file di quadratini posti sulla diagonale suddivide i battenti in pannelli
rettangolari. Le due fasce laterali di tale cornice si intrecciano, come accadeva a
Karyes, per formare clipei a metà dei lati di ogni riquadro. Lungo il profilo cur-
vilineo sommitale doveva essere presente una ulteriore fascia in avorio a tralcio
con girali caricati da rosette (ne rimane il tratto iniziale sul battente destro)
mentre non si scorge traccia alcuna dei pomelli posti lungo il coronamento.
Una differenza percepibile rispetto ai battenti del Protaton – oltre al numero
dei riquadri, pari a sei contro gli otto di Karyes – è costituita dalla fascia oriz-
zontale in avorio, anch’essa decorata a rosette entro girali, che contribuisce a
creare una separazione più netta tra il registro superiore e quello mediano. La
campitura dei due quarti di cerchio del registro superiore è affidata, come nel-
l’altro vimothyron, a un ordito a quadratini disegnati da listarelle sottili e ospi-
tanti gruppi di cinque placchette quadrate disposte a quinconce. I due riquadri
rettangolari del registro sottostante recano lo stesso tipo decorativo, salvo la
presenza di quattro – e non cinque – placchette in ogni gruppo. Il registro infe-
riore è caratterizzato da placchette romboidali su file diagonali, formanti picco-
li quadrifogli.
Ognuno dei sei riquadri ospitava inoltre un pannello iconico rettangolare,
inquadrato da una cornice d’avorio a fascia decorata da rosette entro girali.
528 ALESSANDRO TADDEI
Tutte le cornici sono lineari e non presentano quella varietà di motivi vista nel
vimothyron di Karyes. Dei pannelli iconici non rimane alcuna traccia. In via di
ipotesi, è stato affermato che nei due pannelli del registro superiore potessero
comparire i profeti Davide e Salomone, nel registro mediano l’arcangelo
Gabriele e la Theotokos dello Evangelismos, nei due riquadri inferiori due hie-
rarches, forse Basilio di Cesarea e Giovanni Crisostomo 22.
La semplice osservazione dei due manufatti non può che condurre alla con-
clusione che essi furono realizzati da una medesima bottega e che tale bottega,
come affermano sia Pelekanidis sia la Loverdou-Tsigarida nel caso di Karyes è
forse da collocare a Costantinopoli. Ma l’unicità formale dei due vimothyra, per
i quali non si conosce a tutt’oggi alcun possibile raffronto crea numerosi inter-
rogativi.
Innanzitutto quale fu la tecnica usata per la campitura dei diversi riquadri,
così come per la decorazione delle cornici verticali e orizzontali dei due batten-
ti, tecnica che presenta problemi di contestualizzazione sostanziali.
In mancanza di termini di paragone cronologicamente o geograficamente
affini, la tentazione è quella di ricorrere all’Egitto, in particolare alle monumen-
tali porte della chiesa della Vergine (al-‘Adhra’) nel cosiddetto Monastero dei
Siriani (Deir Suriani) nel Wādı̄ Natrūn. Le porte in mogano della chiesa di al-
‘Adhra’ sono due, la più antica collocata come schermo del vano centrale del
presbiterio (hai’kal), la più recente posta a proteggere il varco di passaggio tra la
navata e il khūrus., spazio che impropriamente potremmo definire come una
sorta di transetto. Entrambe le porte si devono alla committenza dell’abate
Mosè di Nisibi e presentano grandi affinità strutturali e stilistiche. Sono caratte-
rizzate da intarsi in avorio e ben datate entro la prima metà del X secolo grazie
alle iscrizioni presenti sulla loro incorniciatura. All’interno dei pannelli che
decorano i battenti si dispiega un ricco campionario di motivi geometrici di
campitura tratti da un repertorio decorativo largamente diffuso e codificato fin
dall’epoca tardoantica, imprescindibile punto di riferimento stilistico e tematico
per le arti suntuarie delle epoche successive. A ciò si aggiunga l’inserimento nel
registro superiore di formelle rettangolari con figure di Persone divine e santi
accompagnate da ornamentazioni vegetali stilizzate. Tali immagini di piccole
dimensioni, collocate come su di un’iconostasi, costituiscono un antecedente
tipologico e funzionale anche per i vimothyra del Protaton e di Hilandar 23.
Dal punto di vista tecnico un fatto è certo: la presenza di osso – oltre all’avo-
rio – fu sottolineata da Cutler sia a proposito delle cornici decorative del cofa-
netto costantinopolitano con guerrieri, figure dionisiache e animali (Dumbar-
ton Oaks nr. 53.1), della seconda metà del X o dell’inizio dell’XI secolo sia di
quelle dei vimothyra del Protaton e di Hilandar nonché della più tarda porta
lignea della Olympiotissa di Elassona in Tessaglia (v. più avanti), postulando
appunto un legame preciso fra la realizzazione seriale dei “rosette caskets” e
quella delle porte intarsiate 24. Per altro verso, però, la campitura cosiddetta a
marqueterie delle superfici dei battenti ha ricevuto minore attenzione. La sua
analisi non conduce solamente entro il campo minato delle produzioni seriali,
in cui elementi decorativi di tipo modulare venivano applicati secondo schemi
LE PORTE BIZANTINE IN GRECIA 529
III
ra portante. Sulla faccia esterna ogni battente viene detto essere rivestito in
bronzo ma l’esatta natura della lega non è mai stata stabilita 30.
La porta è ripartita in otto pannelli quadrati su quattro registri sovrapposti.
La struttura a montanti e traverse del telaio è ricalcata, nella decorazione, dalla
cornice che separa i diversi pannelli. Tale cornice è profilata esternamente da
un listello ad astragalo in bronzo fuso che corre lungo il margine del battente.
Essa presenta un motivo decorativo a girali contigui formati da caulicoli e
includenti foglie di vite alternate a complessi anthemia. Chiodi a larga testa (cm
5,8), in numero di tre per ogni traversa assicurano la cornice al supporto ligneo;
fanno eccezione le due traverse mediane, nelle quali il chiodo adiacente alla
linea di giunzione dei battenti viene sostituito da una maniglia ad anello (diam.
cm 9,4) retta da una protome leonina in bronzo fuso, montata su di un disco
circolare (diam. cm 10,8) decorato a foglie trifide stilizzate (fig. 4). Il listello di
copertura della giunzione è applicato sul battente di sinistra ed è decorato da
un tralcio con appendici foliate e palmette. Sulla placchetta posta in corrispon-
denza delle due maniglie trova posto una croce ornata di gemme.
Il piano degli otto pannelli rientra di circa 3 cm rispetto a quello della corni-
ce. I pannelli sono costituiti da lamine spesse all’incirca mezzo millimetro lavo-
rate a sbalzo, fatto che rappresenta un caso unico fra le porte bizantine conser-
vatesi fino a oggi 31. Ciascuno dei pannelli è inquadrato da una cornice a sguincio
costituita da due listelli ad astragalo includenti fra loro una sottile fascia a pal-
mette e fiori di loto. Il pannello vero e proprio comprende una bordura forma-
ta da una fascia decorata da trecce a tre capi, una listarella di profilatura interna
a rocchetti e un campo centrale. I quattro pannelli dei due registri superiori
recano un motivo a croci gemmate e foliate; i quattro dei due registri inferiori
sono caratterizzati da rosette a dodici petali, eseguite a bassorilievo (figg. 5-6).
Per quanto concerne l’analisi particolareggiata dei diversi motivi stilistici
adoperati nei pannelli e nelle cornici della porta non si può non rimandare all’e-
same approfondito condotto da Bouras 32. Sia consentito tuttavia di aggiungere
una brevissima considerazione sui due motivi che caratterizzano i pannelli.
Come si è visto, J. Flemming aveva sottolineato le analogie tra le croci foliate
dei pannelli della porta e quella che decora il verso del reliquiario argenteo
della Vera Croce di Limburg an der Lahn (Diözesanmuseum), dovuta proba-
bilmente a committenza imperiale e collocabile in data posteriore alla fine degli
anni ’60 del X secolo 33. C. Bouras si soffermava peraltro a rilevare la maggiore
morbidezza del disegno nel caso di Limburg ma, al tempo stesso, la buona qua-
lità formale dei pannelli dell’Athos. Il gusto classicheggiante della croce foliata
del reliquiario di Limburg scemava nei battenti della Lavra, al fine di dare spa-
zio a una maggiore apparenza di compostezza, segno di un adattamento delibe-
rato di forme antiche al gusto contemporaneo 34. Fra gli altri raffronti portati da
Bouras, tuttavia, quello che colpisce veramente per le analogie nell’impianto –
soprattutto per la cornice a tralcio vegetale con girali contigui e anthemia – è
costituito dalla decorazione del verso della stauroteca della Procuratoria di S.
Marco a Venezia (Santuario 75). La minore enfasi posta da Bouras su questo
confronto era ben giustificata dall’incertezza della datazione di questo reliquia-
LE PORTE BIZANTINE IN GRECIA 531
IV
Una porta in legno di noce sopravviveva fino alla Seconda Guerra Mondiale
nel varco di comunicazione fra il nartece interno e il naos della chiesa della
Nascita della Vergine (Gennisis tis Theotokou), oggi meglio nota come Kokkini
Ekklisia (Chiesa Rossa) a Voulgarelli, villaggio sito 56 km a nord-est di Arta, in
Epiro. La Kokkini Ekklisia e la sua porta furono pubblicate nel 1924 e poi nel
1927 da A. Orlandos, il quale supervisionò in seguito (1956) il radicale restauro
dell’edificio 62.
La Kokkini Ekklisia fu per un certo periodo metochion dipendente della
Moni Vellas di Ioannina e a tale relazione di dipendenza si deve il nome di
“Panagia [tis] Vellas” con cui essa è altresì conosciuta. In origine, tuttavia, essa
costituiva il katholikon di una istituzione monastica autonoma, chiamata signi-
ficativamente “Vasilomonastiro”, riflesso evidente di un suo stretto collegamen-
to con la corte despotale dell’Epiro. Gli edifici di questo monastero sono oggi
del tutto scomparsi. Il katholikon fu eretto probabilmente all’inizio degli anni
’90 del XIII secolo per volontà del protostrator Teodoro Tzimiskis e di suo fra-
tello Giovanni, personaggi appartenenti alla corte del despota dell’Epiro
Niceforo I Comneno Doukas, morto tra il 1296 e il 1298. Nell’affresco che ritrae
gli ktitores Teodoro e Giovanni, ancor oggi visibile all’interno della chiesa, si
trova l’iscrizione dedicatoria del ciclo pittorico che riveste le pareti dell’edificio;
l’epigrafe reca una indicazione cronologica la cui interpretazione ha diviso la
critica: Orlandos sceglieva la lettura “1281”, secondo lo scioglimento proposto a
suo tempo da S. Lambros 63. In anni più recenti tale scioglimento è stato sostan-
zialmente abbandonato e si preferisce leggere nella epigrafe la data 1295/1296,
ascrivendo di conseguenza la costruzione dell’edificio agli anni 1293-129464.
Della perduta porta lignea della chiesa Orlandos ha lasciato una breve
descrizione, un disegno e una fotografia di difficile lettura, nella quale, peraltro,
il battente sinistro appare capovolto (figg. 7, 9) 65.
La porta aveva due battenti e misurava complessivamente 1,71 x 0,90 m, con
uno spessore pari a cm 5. Chiudeva il varco di passaggio tra il nartece e il naos.
La ridotta altezza dei due battenti era probabilmente dovuta a un accorciamen-
to cui essi furono sottoposti al fine di adattarli alle dimensioni della porta in cui
si trovavano in opera. Orlandos aveva potuto immediatamente rilevare tale
stato di cose osservando l’interruzione brusca della decorazione al margine
inferiore, con un taglio peraltro praticato in maniera differente da un battente
all’altro.
La decorazione a intaglio ricopriva interamente la superficie dei due batten-
ti. Per quanto si può ancora giudicare dalle immagini a disposizione, tale deco-
razione era sostanzialmente articolata su tre registri sovrapposti, più o meno
della medesima altezza, separati da due fasce orizzontali caratterizzate da un
motivo a treccia. Una analoga bordura a treccia, leggermente più larga, correva
lungo il margine interno dei battenti, sul margine di contatto.
Il registro superiore era caratterizzato da due grandi croci latine con i bracci
rettilinei costituiti anch’essi da fasce a treccia e della medesima altezza del regi-
536 ALESSANDRO TADDEI
stro; in tal modo, lo spazio risultava quadripartito e poteva ospitare nei quarti
superiori quattro coppie di cerchi allacciati per ogni battente. Al loro interno
comparivano figure geometriche (nodi di Salomone e intrecci) e nei quattro
cerchi posti più in alto altrettanti monogrammi: ΙCΧ, ΝΚ, ΦΧ e ΦΠ, ossia
Iησου̃ς Χριστ
ς Νικα̃ e Φω̃ς Χριστου̃ Φαι′νει Πα̃σιν. Nei quarti inferiori,
invece, trovavano posto gruppi di cerchi allacciati di minori dimensioni (due
gruppi da otto nel battente sinistro, due gruppi da sei in quello destro), ospi-
tanti fiori a sei petali appuntiti o rosette a otto petali arrotondati, queste ultime
sicuramente mutuate dal repertorio decorativo della scultura. Asimmetrico
appare il braccio inferiore della croce del battente sinistro, lungo il quale un
tratto della fascia a treccia veniva rimpiazzato da un banda ad astragalo, segno
evidente di un rimaneggiamento analogo a quello che si vedrà nel registro infe-
riore della porta della Olympiotissa di Elassona. Tutti gli spazi vuoti di risulta
all’esterno della griglia di cerchi erano riempiti da una decorazione vegetale
con anthemia e semi-anthemia.
Il registro mediano è costituito da una semplice griglia di quadrati a lati con-
cavi intrecciati e privi di motivi di riempimento; la griglia è abilmente collegata
alle bande a treccia verticali e orizzontali che delimitano il registro.
Il registro inferiore, infine, che si era conservato solo in parte a causa del-
l’amputazione della sua porzione terminale, si distingueva per i grandi cerchi
allacciati recanti figurazioni varie che lo movimentavano, riscontrabili in nume-
ro di sei per ogni battente ma verosimilmente in numero maggiore – otto(?) –
nello stato originario anteriore alla riduzione. Nel battente di sinistra si distin-
guevano ancora due figure di animali rampanti (leoni?) con la testa volta indie-
tro verso la coda e due motivi geometrici a intreccio di quadrati; nel battente
destro due coppie di animali, l’una affrontata e l’altra di spalle; al di sotto, due
quadrati intrecciati. Anche qui, gli spazi all’esterno dei cerchi erano riempiti da
anthemia e da composizioni geometrico-vegetali.
La certezza che la porta non si trovasse nella sua sistemazione originaria si
accompagnava, in ogni caso, alla più totale mancanza di informazioni riguardo
la sua destinazione primitiva. Orlandos era dell’avviso che essa non potesse
essere antecedente alla edificazione del katholikon, che egli, come già detto,
riteneva avvenuta nel 1281. L’affermazione veniva basata inoltre sull’osservazio-
ne delle caratteristiche stilistiche e tecniche del manufatto, che egli definiva
prodotto della massima fioritura artistica del despotato di Epiro, legata al me-
cenatismo dei sovrani Niceforo I e Anna. Al tempo stesso, egli individuava il
1320 come terminus post quem non corrispondente, in forza delle contingenze
politiche, alla fine di tale fioritura e all’affievolirsi dell’attività delle botteghe
epirote.
La stessa datazione veniva adottata da G. Sotiriou unitamente alle brevi con-
siderazioni da lui formulate a proposito della decorazione dei due battenti. Egli
notava come tale decorazione fosse costituita da “[...] un assemblage de motifs
géométriques, d’animaux et de feuillage stylisé, comme on en observe aussi
dans les bas-reliefs en marbre de la même époque, mais les travail est ici plus
délicat que dans le marbre, la matière étant plus tendre”. Se, da un lato, lo stu-
LE PORTE BIZANTINE IN GRECIA 537
VI
breve contributo di A. Zachos non è mai seguita, fatte salve le pagine dedicate-
gli da C. Bouras, una pubblicazione approfondita del vimothyron 71.
Il battente (m 1,41 x 0,40) è di forma rettangolare con terminazione superio-
re a quarto di cerchio. Intagliato in legno di noce, è suddiviso in due registri
sovrapposti incorniciati e separati fra loro da una bordura lineare decorata con
motivi a treccia a due capi o a quadrati intrecciati. Lungo il profilo curvilineo
sommitale la treccia lascia il posto a un tralcio vegetale formante girali contigui.
Nella parte alta del registro superiore, al di sopra della rappresentazione prin-
cipale, trova posto un clipeo a cornice lineare ospitante un busto di profeta 72; il
fondo è lavorato a giorno in forma di griglia di piccoli ovali. Il restante spazio
del registro è interamente occupato da un baldacchino – riflesso evidente del-
l’arte dei manufatti eburnei (dittici, trittici, icone etc.) – sorretto da coppie di
colonnine dai fusti intrecciati a metà altezza e coronate da capitelli a forma di
testa umana; la copertura, impostata al di sopra di un arco il cui profilo è movi-
mentato da una serie di piccoli archetti, appare rivestita da tegole. Il fondo del
pannello, al di sotto del baldacchino, è riempito da un motivo a giorno costitui-
to da una griglia di piccoli ottagoni a lati concavi. Sotto il baldacchino è l’ar-
cangelo Gabriele a figura intera, cui, sul perduto battente destro, doveva corri-
spondere la Vergine, a formare la scena dello Evangelismos. La suddivisione fra
i due registri è assicurata da una fascia tripartita, recante un motivo a treccia;
sul margine superiore è una banda con decorazione a linea spezzata e su quello
inferiore una cornice ad archetti che riprende il motivo presente sulle arcate dei
baldacchini. Il registro inferiore, organizzato come il soprastante, ha però il
fondo riempito uniformemente da una decorazione a giorno a quadratini. Il
personaggio qui rappresentato al di sotto del baldacchino è l’apostolo Pietro,
raffigurato frontalmente con il capo volto di tre quarti e con grande aureola cir-
colare. Gli si doveva affiancare, sul battente destro, una figura di pari rilievo,
forse san Paolo, come ipotizzò Zachos 73.
I connotati formali della figura dell’angelo balzano immediatamente all’at-
tenzione se confrontati con le linee un po’ convenzionali ma sostanzialmente
morbide del san Pietro del registro inferiore, nelle quali Sotiriou poteva ancora
vedere un riflesso delle rappresentazioni dell’apostolo nel trittico Harbaville
(Parigi, Musée du Louvre, OA 3247) o in quello con Deisis e santi del Vaticano
(Museo Sacro nr. 2441), del X-XI secolo 74. Pur nella sua immediatezza, la figura
di Pietro ritiene infatti il ricordo di prototipi anteriori mentre nella rigida e
ingenua trattazione dell’angelo si riconosce un linguaggio del tutto differente,
assolutamente estraneo all’arte aulica. Forse è la stessa energia spontanea che
contraddistingue la scena dell’Annunciazione su una piccola icona in steatite
(cm 9,8 x 9,1) di incerta provenienza, datata al XIII secolo e oggi conservata al
Museo Benaki di Atene (nr. 13500) 75, nella quale le due figure dell’angelo e della
Vergine sono collocate al di sotto di due semplici archi sorretti da colonnine,
soluzione ben nota anche nel campo della decorazione di formelle di porte,
applicata più tardi nelle due formelle con l’arcangelo e la Vergine della porta di
Vatopedi (v. appendice), solo per non citare gli esempi italiani.
Poiché per l’epoca del vimothyron di Ioannina non si può mai parlare con
LE PORTE BIZANTINE IN GRECIA 539
VII
nel Museo Bizantino di Atene (BM 1060, 1063, T287), del XIV secolo, dove le figu-
re zoomorfe (aquila, grifone con coda di serpente e grifo-leone) sono inserite
entro arcate rette da coppie di colonnine annodate 92. Si può pensare, inoltre, a
decorazioni più semplici ma di immediato effetto come il pannello marmoreo
con grifone (fine sec. XIII) conservato nella collezione archeologica della chiesa
della Parigoritissa di Arta (nr. 60), forse proveniente dalla chiesa di S. Teodora
nella stessa capitale del despotato di Epiro 93. Si può quindi rilevare senza dub-
bio la più volte invocata uniformità artistica dei territori un tempo controllati
dal despotato di Epiro e l’irradiazione che i suoi centri maggiori, Arta e Ioanni-
na, ebbero tanto sulla Grecia nord-occidentale quanto sui Balcani meridionali
tra la fine del XIII e il XIV secolo, riuscendo a imporre in modo capillare la pro-
pria influenza in regioni spesso marginali o la cui accidentata morfologia costi-
tuiva un ostacolo non indifferente alle comunicazioni di qualsivoglia genere.
VIII
rimossa dal nartece e sottoposta, quattro anni più tardi, a un radicale restauro,
conservativo e integrativo. Fu poi presentata ad Atene in due esposizioni, la
prima già nel 1964, la seconda nel 1985-1986, quindi a Firenze nel 1986 e a Lon-
dra nel 198797. Attualmente (2008) essa ha trovato finalmente la sua sistemazio-
ne all’interno del nuovo museo allestito negli ambienti dello skevophylakion del
monastero 98.
L’interesse risvegliato dalle esposizioni e dalla unicità tipologica, per la Gre-
cia, di questi battenti lignei, unicità resa tanto più evidente dalla perdita della
porta di Voulgarelli, fa sì che sulla xylini thyra del monastero di Elassona si sia
formata una bibliografia scientifica relativamente corposa. G. Sotiriou ne dava
alle stampe nel 1927 la prima pubblicazione particolareggiata, accompagnata da
due immagini tanto più preziose in quanto ci mostrano i due battenti nella loro
collocazione originaria 99. Lo stesso Sotiriou tornava poi a parlarne brevemente
nel 1930, ma senza aggiungere nuovi elementi 100. Bisognerà attendere il 1964 e il
corpus redatto da C. Bouras perché il manufatto riceva nuovamente attenzione,
e questa volta in maniera certamente più puntuale. Le conclusioni presentate
da Bouras nella sua tesi furono da lui approfondite in una comunicazione pre-
sentata al XVII Congresso internazionale di studi bizantini e nuovamente pub-
blicate, in forma più estesa, nel 1989-1990101. Non sono da trascurare, infine, le
pagine dedicate alla porta da E. Constantinidi nel suo volume sulla decorazio-
ne pittorica del katholikon della Olympiotissa, il cui apporto risulta particolar-
mente meritorio per aver tentato una puntualizzazione della problematica lega-
ta all’iscrizione datante 102.
La porta (fig. 13), le cui dimensioni raggiungono i m 2,37 x 1,40, presenta le
medesime caratteristiche tecniche viste in quella di Molyvdoskepastos. Infatti,
gli elementi apparentemente strutturali del prospetto anteriore di ciascun bat-
tente non possiedono, in realtà, tale funzione bensì sono applicati sulla tavola
che costituisce il telaio portante del battente stesso. Ad ogni modo, un sistema
formato da due montanti e quattro traverse assicurate tramite chiodi in otto-
ne 103 al retrostante telaio forma l’incorniciatura principale per i sei pannelli
posti sulla porta, diversi fra loro per decorazione e forma, marcatamente ret-
tangolari i quattro superiori (cm 61 x 40), quasi quadrati i due del registro più
in basso (cm 50 x 40).
La decorazione dei montanti e delle traverse è affidata a due varianti di un
motivo a linee ondulate, in realtà una particolare quanto inedita versione di
treccia, a due capi nel battente destro, a tre in quello sinistro, realizzata tramite
l’inserimento, entro gli intagli praticati nel legno, di due strisce di osso separate
da una foglia di legno più scuro 104. Gli spazi liberi all’interno delle trecce sono
riempiti da quadratini sulla diagonale con cerchietto iscritto, elemento noto alla
tecnica degli intarsi in avorio su legno e già rilevato nei vimothyra del Protaton
e di Hilandar.
I pannelli sono animati da schemi decorativi che si ripetono simmetricamen-
te da un battente all’altro sia per le bordure sia per i pannelli stessi, con la sola
eccezione, come si vedrà, del pannello inferiore del battente destro. Le bordu-
re che incorniciano i pannelli, applicate con chiodi di ottone a diretto contatto
544 ALESSANDRO TADDEI
nello di destra la griglia non occupa tutto lo spazio a disposizione e i due regi-
stri verticali di cerchi completi sono qui ridotti a uno e mezzo, mentre il resto
dello spazio viene riempito da due bande lignee verticali, l’una (largh. 61 mm) a
sinistra della griglia, l’altra (58 mm) a destra, la prima con motivo ad astragalo,
l’altra con motivo a treccia (fig. 17) 110.
Dall’osservazione dei due intarsi a griglia di cerchi, Bouras giunse alla con-
clusione che essi non avevano solamente subito gli evidenti riadattamenti che
portarono all’asimmetria fra battente destro e battente sinistro, ma anche che
dovevano essere stati originariamente pensati per pannelli aventi una differente
altezza, analoga a quella dei pannelli dei due registri soprastanti. La porta dun-
que, doveva avere inizialmente proporzioni diverse e possedere tre registri di
pannelli rettangolari identici 111. In base a tali dati, Bouras sosteneva che la porta
si trovasse in opera a Elassona in stato di reimpiego e che doveva essere ante-
riore alla chiesa stessa. Con gli elementi stilistici a disposizione egli doveva però
limitarsi a proporre una vaga datazione tra l’XI e l’inizio del XIII secolo 112.
Rimane da esaminare l’iscrizione frammentaria contenuta nelle due formelle
conservatesi nei due pannelli superiori. È possibile che in origine le formelle
recanti iscrizione fossero quattro, poste sulla stessa fila, fatto che presuppor-
rebbe una lacuna tra i due frammenti di epigrafe. La lacunosità del testo ha
aperto la strada a una lunga serie di scioglimenti, ipotesi e tentativi di lettura
quanto mai vari. Il primo tentativo puntuale di sistematizzazione di quanto
scritto in proposito risale al 1991 e si deve a K. Englert 113. L’anno successivo è la
volta del volume della Constantinidi, la quale ha tentato la strada di una più
diretta correlazione tra il dato epigrafico e la storia della edificazione del katho-
likon 114.
Il nucleo della questione, rappresentato dalla mancata concordanza tra l’an-
no e l’indicazione dell’indizione incisi sulla formella del battente destro ha dato
vita ad una linea di interpretazione più sostanziale, che è poi quella maggior-
mente condivisa dalla critica recente. Si deve partire dal rilevare la probabile
inversione delle due ultime cifre dell’anno CTΩ∆I, da leggersi CTΩI∆ (6814,
ossia 1305/1306 d.C.). A questo punto, tuttavia, la lettura “Le porte furono rin-
novate (o rimesse in opera) [...] dell’anno 6814 nella terza indizione” pone un
problema fondamentale: nel 6814 cade una quarta e non una terza indizione. Si
è dunque proposto di emendare CTΩI∆ in CTΩIΓ (6813, dunque 1304/1305),
tenendo per corretta l’indizione. La teoria dell’inversione delle ultime due cifre
non veniva accettata da A. Orlandos, il quale sosteneva lo iota finale essere un
apice numerale e, pertanto leggeva CTΩ∆′ (6804, ossia 1295/1296). Per evitare
l’incongruenza fra anno e indizione, dal momento che al 1295/1296 corrisponde
non una terza ma una nona indizione, Orlandos riteneva la restante parte del-
l’iscrizione ΕΝIΝΓ da leggersi “il terzo giorno di giugno”115.
La Constantinidi richiamava giustamente l’attenzione sul fatto che le due
datazioni, divergenti solamente di un decennio, appaiono cronologicamente
verosimili e compatibili con le vicende della fondazione e del completamento
del katholikon. Secondo il punto di vista della studiosa, l’ultimo dei due fratel-
li sevastokratores, Costantino, morto nel 1303, potrebbe aver ordinato i battenti
546 ALESSANDRO TADDEI
APPENDICE
La porta bronzea del monastero di Vatopedi all’Athos
NOTE
Allorché il prof. Antonio Iacobini mi rivolse l’invito a presentare una comunicazione sulle porte di
epoca bizantina in Grecia, vivamente mi esortò a tentare di avvicinare e far meglio conoscere al pubblico
uno dei manufatti più belli e più invisibili, ovvero la porta lignea intarsiata del monastero della Olympio-
tissa di Elassona, in Tessaglia. Giudicai opportuno, dunque, dedicare una parte sostanziale del mio lavoro
proprio a questi battenti, molto studiati ma poco noti in Italia. Pertanto, è mio desiderio innanzitutto
rivolgere un sentito ringraziamento alla dottoressa Aspasia Dina, responsabile della Settima Eforia delle
LE PORTE BIZANTINE IN GRECIA 549
Antichità Bizantine di Larissa per avermi concesso il nulla osta alle riprese fotografiche a fini di pubblica-
zione della porta, all’epoca (2006) non visibile al pubblico. Il mio debito di riconoscenza si estende natu-
ralmente alla Hiera Mitropoli di Elassona, nella persona del suo presule, il Rev.mo metropolita Vasilios,
il quale mi ha reso possibile l’accesso allo skevophylakion del monastero. La redazione della sezione “tes-
salica” del presente contributo, tuttavia, non sarebbe stata possibile senza il sollecito interessamento e la
squisita disponibilità dell’archimandrita Padre Chariton Toumbas, delegato per le questioni sacerdotali
della Mitropoli di Elassona, che con la sua passione e curiosità, intelligenza e conoscenza del territorio e
dei beni artistici in esso presenti mi ha fornito un aiuto più che sostanziale. Mi preme, inoltre, indirizzare
un particolare ringraziamento al prof. Santo Lucà per l’interesse dimostrato già in sede congressuale per i
risvolti più squisitamente paleografici legati al dibattito sulla iscrizione della porta della Olympiotissa
nonché per i preziosi consigli e suggerimenti fornitimi in tal senso.
1
G. Matthiae, Le porte bronzee bizantine in Italia, Roma 1971, pp. 15, 30.
2
Verranno tuttavia esclusi i vimothyra dipinti, i quali hanno conosciuto una straordinaria diffusione
tanto nell’arte del periodo tardobizantino quanto in quella di epoca ottomana, ma la cui analisi impli-
cherebbe uno studio a parte finalizzato alla loro contestualizzazione entro le linee di sviluppo della pit-
tura piuttosto che entro quelle della scultura e delle arti suntuarie.
3
S. Pelekanidis, Βυζαντινο′ ν βηµο′θυρον εξ Aγι′ ου Oρους, in “Aρχαιολογικη′ Εφηµερι′ς”, 1957,
pp. 50-67. Si veda anche la ristampa dell’articolo in Mελε′τες παλαιοχριστιανικς και′ βυζαντινς
ρ χαιολογι′ας, Thessaloniki 1977, pp. 221-241. Pelekanidis (ibid., pp. 66-67, nt. 3) escludeva catego-
ricamente la pertinenza del manufatto al templon principale della basilica del Protaton data la incom-
patibilità con le misure della Orea Pyli (m 1,275 x 0,96) e degli accessi alla prothesis e al diakonikon.
L’opinione di Pelekanidis si basava inoltre su uno studio condotto in precedenza da Anastasios Orlan-
dos sul templon stesso, studio che aveva portato quest’ultimo a sostenere che il templon dovesse essere
coevo alla fondazione della basilica.
4
Innanzitutto una breve scheda, redatta da K. Loverdou-Tsigarida nel catalogo dell’esposizione dedi-
cata al Monte Athos tenutasi a Salonicco nel 1997, nella quale l’autrice non si discosta sostanzialmente
dalle conclusioni raggiunte da Pelekanidis: K. Loverdou-Tsigarida, in Θ ησαυροι′ του̃ Aγι′ου Oρους,
catalogo della mostra, Thessaloniki – Mousio Vyzantinou Politismou (21 giugno 1997-30 aprile 1998),
Thessaloniki 1997, pp. 304-305, nr. 9.15. Nel 1998 I. Ševčenko, The Lost Panels of the North Door to
the Chapel of the Burning Bush at Sinai, in ΑΕTΟΣ. Studies in honour of Cyril Mango presented to him
on April 14, 1998, a cura di I. Ševčenko e I. Hutter, Stuttgart-Leipzig 1998, pp. 284-298, riprendeva
l’argomento in relazione al suo tentativo di datazione della porta nord della Cappella del Roveto
Ardente al Sinai. Un’ulteriore breve menzione del vimothyron del Protaton insieme all’accostamento
comparativo con il vimothyron del monastero di Hilandar è reperibile nell’atlante fotografico del-
l’Athos pubblicato nel 2000 da P. Mylonas (Aτλας του̃ Aθωνος, Wasmuth 2000, II, pp. 118-119,
riproduzione a colori alle figg. 44-45): Mylonas si spinge a suggerire la data del 965 (anno della rico-
struzione del Protaton) come cronologia per i due battenti. Sulla cronologia della basilica si veda Id.,
Les étapes successives de construction du Protaton au Mont Athos, in “Cahiers Archéologiques”, 28,
1979, pp. 143-160.
5
B. Pitarakis, Eργα βυζαντινς µικροτεχνι′ας, in Aγιον Oρος. Κειµη′ λια Πρ ωτα′ του, catalogo
della mostra, Thessaloniki - Megaro Nedelkou (28 maggio-30 novembre 2006), Thessaloniki 2006, pp.
118-119.
6
Pelekanidis, Βυζαντινο′ ν βηµο′ θυρον, p. 51, nt. 1-2, tav. 14a. Tanto nel caso del registro superio-
re quanto in quello dei mediani, l’impossibilità di ricorrere all’esame di analoghi esemplari che abbia-
no conservato in opera le proprie formelle figurate fa sì che la ricostruzione rimanga arbitraria. L’ipo-
tesi di Pelekanidis risente naturalmente del raffronto con gli esempi più tardi, nei quali il repertorio dei
personaggi che fanno da corteggio all’Annunciazione subisce un processo di parziale codificazione (in
alto i profeti, in basso hierarches, evangelisti o apostoli etc.) ma non è detto che nelle epoche anteriori
si verificasse altrettanto.
7
Sembra infatti di poter scorgere parte di una fascia decorativa non pertinente, del tipo a scanala-
ture sottili con piccole borchie quadrate formate da gruppi di puntini, molto diffuso per la rifinitura di
spigoli e coperchi di cofanetti; tali fasce erano sicuramente prodotte in serie e tagliate a misura secon-
do la necessità.
8
A. Goldschmidt, K. Weitzmann, Die byzantinischen Elfenbeinskulpturen des X.-XIII. Jahrhun-
derts, Berlin 1930, I. (Kästen), pp. 17-19. Pelekanidis, Βυζαντινο′ ν βηµο′ θυρον, p. 53, nt. 3.
9
A. Cutler, The Hand of the Master. Craftmanship, Ivory and Society in Byzantium (9th-11th Centu-
ries), Princeton 1994, p. 62 e passim. Sui cofanetti eburnei in generale si veda Id., On Byzantine Boxes,
in Late Antique and Byzantine Ivory Carving (Variorum Collected Studies Series: CS617), Aldershot
1998, art. nr. 16, passim. Sul cofanetto di Veroli v. Id., in The Glory of Byzantium. Art and Culture of the
550 ALESSANDRO TADDEI
Middle Byzantine Era. A.D. 843-1261, catalogo della mostra, New York – The Metropolitan Museum
of Art (11 marzo-6 luglio 1997), New York 1997, p. 230, nr. 153 (con bibliografia).
10
Pelekanidis, Βυζαντινο′ ν βηµο′ θυρον, p. 53, nt. 5. Sul cofanetto del museo di Darmstadt si veda:
Goldschmidt, Weitzmann, Elfenbeinskulpturen, I., p. 50, nr. 69, tavv. 50a-e.; H. Maguire, in The Glory
of Byzantium, p. 234, nr. 157 (con bibliografia).
11
Goldschmidt, Weitzmann, Elfenbeinskulpturen, I., pp. 49-50, nr. 68a-d, tavv. 48-49.
12
Ibid., tav. 50a.
13
Pelekanidis, Βυζαντινο′ ν βηµο′ θυρον, pp. 54-56. Anche il problematico cofanetto del Fitzwil-
liam Museum di Cambridge con leoni e grifi costituirebbe un buon termine di paragone per la decora-
zione a doppio tralcio se la sua forma attuale non derivasse da un rimontaggio: Goldschmidt, Weitz-
mann, Elfenbeinskulpturen, I., p. 43, nr. 52, tav. 33a-e.
14
K. Weitzmann, Catalogue of the Byzantine and Early Mediaeval Antiquities in the Dumbarton
Oaks Collection, III (Ivories and Steatites), Washington D.C. 1972, pp. 58-60, nr. 25, tav. 36, tav. a col.
5. Datazione al 945-975 circa secondo J.C. Anderson, in The Glory of Byzantium, p. 202, nr. 139 (con
bibliografia).
15
I. Kalavrezou, in The Glory of Byzantium, pp. 203-204, nr. 140 (con bibliografia).
16
A. Cutler, Inscriptions and Iconography in Some Middle Byzantine Ivories: The Monuments and
Their Dating, in Late Antique and Byzantine Ivory Carving, art. nr. 10, p. 653, tav. 8a.
17
Weitzmann, Dumbarton Oaks Collection, pp. 73-77, nr. 30, tavv. 44-49.
18
Pitarakis, Eργα βυζαντινς µικροτεχνι′ας, p. 119.
19
S. Radojčic´, Уметнички споменичи манастира Хиландара (Monumenti artistici di Hilan-
dar; in serbo con riass. in francese), in “Зборник радова – Византолошки институт – Recueil des
travaux de l’Institut d’études byzantines”, 3, 1955, pp. 163-194, in part., p. 186, tav. 50. V. Han, Двери
из Хиландара украшене коштаном интарзијом (Porta di altare decorata con intarsi in osso da
Hilandar; in serbo con riass. in inglese), in “Зборник Музеја примењене уметности” (Rivista del
Museo d’arte applicata), 2, 1956, pp. 5-23 (non vidi). Ead., Интарзија на подручју Пеђке
Патријаршије (Oggetti intarsiati della regione del Patriarcato di Peč; in serbo con riass. in inglese),
Novi Sad 1966, pp. 19-20 (non vidi): la Han data peraltro alla seconda metà del XII secolo anche il
vimothyron del Protaton. Pelekanidis (Βυζαντινο′ ν βηµο′ θυρον, p. 67, nt. 4) ipotizza l’appartenenza
del vimothyron a uno scomparso keli del monastero attuale oppure al primitivo monydrion, di cui si ha
notizia fino al 1076 e che poi fu sostituito dall’attuale monastero, fondato da san Savva e da suo padre,
il gran župan serbo Stefano I Nemanja (1180-1196).
20
D. Bogdanovic´ et Al., Chilandar on the Holy Mountain, Belgrade 1978, p. 58, fig. 36. Secondo
Mylonas (Aτλας του̃ Aθωνος, II, pp. 118-119, figg. 44-45) il vimothyron potrebbe appartenere alla
committenza dello ktitor del primitivo monastero, Georgios Chelandarios, ricordato in un documento
datato all’anno 985.
21
Pelekanidis, Βυζαντινο′ ν βηµο′ θυρον, p. 67, nt. 3.
22
S. Radojčic´, Уметнички споменичи, p. 186. Bogdanovic´ et Al., Chilandar, p. 58.
23
La comparazione dei due vimothyra dell’Athos con le porte del monastero del Wādı̄ Natrūn costi-
tuiva parte di una riflessione stilistico cronologica di I. Šcevčenko, The Lost Panels, p. 297. Sulla chie-
sa di al-‘Adhra’ e sulle due porte lignee in essa conservate si veda H.G. Evelyn White, W. Hauser, The
Monasteries of Wâdi ’n Natrûn, III (The Architecture and Archaeology), New York 1933, pp. 187-190,
197-200, tavv. 58-59, 64-65. M. Cramer, Das Christlich-Koptische Ägypten Einst und Heute, Wiesbaden
1959, pp. 20, 30, 75-76, tav. 39. La porta più antica è datata dall’epigrafe siriaca posta sull’architrave
ligneo, ove si dice che il santuario della chiesa fu eretto dall’abate Mosè di Nisibi nell’anno dei Greci
1225, cioè il 913-914 d.C., al tempo dei patriarchi Gabriele I di Alessandria (909-920) e Giovanni IV
di Antiochia (910-923). Ciascun battente è formato da tre ante ripiegabili, recanti ognuna sette pan-
nelli rettangolari (cm 35,5 x 19) sovrapposti. La porta, pertanto, possiede quarantadue pannelli a deco-
razione geometrica e vegetale disposti su sette registri. Il registro superiore è l’unico caratterizzato da
pannelli iconici disposti secondo una evidente simmetria concettuale e politica: i due centrali (il 3° e 4°
da sinistra) recano le figure del Cristo e della Vergine accompagnate da epigrafi in lingua copta con la
titolatura monofisita Emmanuil e Hagia Maria; il 2° e il 5° san Marco (Alessandria) e sant’Ignazio
(Antiochia); nel 1° e nel 6° compaiono i due campioni dell’ortodossia monofisita, san Dioskoros per
l’Egitto e san Severo per la Siria. Negli altri registri si trova impiegata una ricca serie di motivi geome-
trici fra cui – nel quarto registro a partire dall’alto – croci a estremità patenti e gemmate entro quadri-
lobi, con alla base una coppia di foglie d’acanto simmetriche. L’iscrizione incisa sugli stipiti della
seconda porta della chiesa afferma che i battenti furono realizzati all’epoca dei patriarchi Kosmas III di
Alessandria (920-932) e Basilio di Antiochia (923-935), per la precisione nel corso dell’anno 1238, cor-
rispondente al 926-927 d.C. A differenza della porta del hai’kal, in quella del khūrus. i due battenti sono
formati da due sole ante ciascuno ma i pannelli che ne animano la superficie possiedono le stesse
LE PORTE BIZANTINE IN GRECIA 551
dimensioni (35,5 x 19 cm) di quelli dell’altra porta. Sull’anta interna del battente di sinistra si conserva
inoltre la maniglia bronzea originale, formata da una piastra a croce patente con estremità gemmate
sulla quale è fissato il gancio di sostegno dell’anello. Sei registri sovrapposti di quattro pannelli ciascu-
no connotano la porta. Nel registro superiore le figurazioni sono disposte secondo il medesimo schema
simmetrico della porta del hai’kal: nei pannelli esterni san Marco e san Pietro, fondatori rispettivamen-
te dei patriarcati di Alessandria e di Antiochia; nei due centrali la Vergine orante (Maria i Hagia), vesti-
ta della penula egizia e il Cristo Emmanuil. Per una bibliografia aggiornata sul Deir Suriani, v. G. Ga-
bra, Coptic Monasteries. Egypt’s Monastic Art and Architecture, 2003, p. 56. Foto recente della porta del
hai’kal: M. Zibawi, Images de l’Égypte chrétienne. Iconologie copte, Milano-Paris 2003, p. 112, fig. 132.
24
Cutler, The Hand of the Master, p. 265, nt. 67. Sul cofanetto cfr. Weitzmann, Dumbarton Oaks
Collection, pp. 49-55, nr. 23, tavv. 25-31.
25
Pelekanidis, Βυζαντινο′ ν βηµο′ θυρον, p. 64, nt. 1-2. In seguito alla conquista dell’Egitto mame-
lucco, nel 1512, ma anche grazie all’influenza dell’arte veneziana, una vera e propria moda per l’intar-
sio in osso su supporto ligneo finì per invadere i territori balcanici dell’impero ottomano conoscendo
una diffusione veramente capillare, fin nei centri provinciali minori. Da uno di questi centri, Atene,
proveniva l’artista Lavrentios che firma il thronos (1577) del patriarca di Costantinopoli Geremia II,
oggi conservato a Istanbul nella chiesa di S. Giorgio al Fanar: A. Ballian, Eκκλησιαστικ σηµικ
π τν Κωνσταντινου′π ολη κα o πατριαρχικς θρνος του̃ Iερεµα Β, in “∆ελτο Κντρου
Mικρασιατικω̃ν Σπουδω̃ν”, 7, 1988-1989, pp. 67-68, nt. 37, 43, fig. 10. Tali opere, tuttavia, rimango-
no sovente al di fuori del campo di indagine, collocate come sono in quell’area concettuale dai confini
incerti che è la cosiddetta “arte postbizantina”. Ciò espone fra l’altro al rischio di lasciare sfuggire alcu-
ni elementi caratterizzanti presenti in esse come derivati di modelli più antichi. L’impronta decisamen-
te ottomana delle decorazioni non impedisce infatti forme di continuità con il passato, legate soprat-
tutto alla natura stessa degli arredi ecclesiastici. Per quanto riguarda l’Athos, è noto un significativo
corpus di suppellettili liturgiche, quali tavoli, analogia e proskynitaria. Fra gli altri, va ricordato il pro-
skynitarion della Moni Hagiou Dionysiou, del 1547, parte di un gruppo di oggetti appartenente allo
stesso monastero (fra cui i battenti di finestra del nartece) legati probabilmente alla committenza del
voevoda di Moldavia Petru IV Rareş (1527-1538; 1541-1546): A. Ballian, in Θησαυρο του̃ A γου
Oρους, pp. 369-370, nr. 9.65. Allo stesso gruppo vanno ascritti i due coevi battenti della porta del nar-
tece: H. Brockhaus, Die Kunst in den Athos-Klöstern, Leipzig 1891, p. 252, tav. 31. S. Kadas, H Iερ
Μον A γου ∆ιονυσου, Hagion Oros 1997, p. 54 (non vidi). Venti anni più tardi, nel 1567, venivano
messi in opera i due battenti intarsiati in avorio e placche d’argento della porta del katholikon del
monastero di Vatopedi, opera degli artisti Lavrentios e Ioasaf: Brockhaus, Athos-Klöstern, p. 252. G.
Millet et alii, Recueil des inscriptions chrétiennes de l’Athos (Bibliothèque des Écoles françaises d’Athè-
nes et de Rome, 91), 1904, p. 19, nr. 56. F. Dölger, Mönchsland Athos, München 1943, p. 138, fig. 74;
K. Chrysochoidis, Aπο′ τν #θωµανικ κ ατκ τηση ω ς το′ ν 20ο′ αι$να, in Iερ Mεγστη Mον
Βατοπαιδου, Hagion Oros 1996, I, fig. 40. Altre due porte si trovano nel monastero di Iviron, l’una
fra esonartece e naos (1597), l’altra fra eso- ed exonartece (1622): Brockhaus, Athos-Klöstern, p. 252,
nt. 2-3. Millet, Inscriptions de l’Athos, pp. 72-73, nr. 235-236. Da ricordare, infine, lo analogion della
Moni Xenophontos (Brockhaus, Athos-Klöstern, p. 252, tav. 30) nonché il monokiron (portacandela,
alt. m 1,17) proveniente dalla skiti di S. Anna, del XVI-XVII secolo (Ballian, in Θησαυρο του̃ A γου
Oρους, pp. 355-356, nr. 9.51).
26
A. Didron, Le Mont Athos, in “Annales Archéologiques”, 21, 1891, p. 35. G.A. Sotiriou, Tο′
Aγιον Oρος, Athina 1915, p. 136. A. Adamantiou, s.v. Aθως. T µνηµει%α κ α & τ'χνη, in Mεγλη
Eλληνικ Eγκ υκ λοπαιδεα, II, Athina 1927, p. 355. D. Talbot Rice, Byzantine Art, Harmondsworth
1964, p. 467. M. Restle, s.v. Athos, in Reallexikon zur byzantinischen Kunst, I, Stuttgart 1966, p. 418. C.
Bouras, Les portes et les fenêtres en Architecture Byzantine, tesi di dottorato, Paris 1964, pp. 21-26,
tavv. 9-16.
27
J. Flemming, Kreuz und Pflanzenornament, in “Byzantinoslavica”, 30, 1969, 1, pp. 88-115, in part.
p. 101, tav. 11, fig. II.15.
28
M.E. Frazer, Church Doors and the Gates of Paradise. Byzantine Bronze Doors in Italy, in “Dum-
barton Oaks Papers”, 27, 1973, pp. 145-162, in part. p. 154, fig. 14.
29
C. Bouras, The Byzantine Bronze Doors of the Great Lavra Monastery on Mount Athos, in “Jahr-
buch der österreichischen Byzantinistik”, 24, 1975, pp. 229-250.
30
Ibid., p. 231, nt. 8.
31
Ibid., p. 234. Si possono tuttavia ricordare la due lamine a sbalzo con l’arcangelo Gabriele e la
Vergine dell’Annunciazione, inserite nella tarda porta bronzea appartenente al katholikon del mona-
stero di Vatopedi, forse del XV secolo (v. appendice).
32
Bouras, Bronze Doors, pp. 237-248.
33
Flemming, Kreuz und Pflanzenornament, p. 101. Sulla stauroteca si veda A. Frolow, La relique de
552 ALESSANDRO TADDEI
la Vraie Croix. Recherches sur le développement d’un culte, Paris 1961, pp. 232-237, nr. 135. Id., Les
reliquaires de la Vraie Croix, Paris 1965, in part. pp. 159-160, 178-186, figg. 38-39. Sulla questione della
datazione e per un quadro bibliografico aggiornato si veda N.P. Ševčenko, The Limburg Staurothek
and its Relics, in Θυµαµα στη µνµη της Λασκ αρνας Mπου′ρα, Athina 1994, I, pp. 289-294; II,
tavv. 166-167. Una eccellente riproduzione a colori è reperibile in A. Cutler, J.-M. Spieser, Das mitte-
lalterliche Byzanz 725-1204, München 19962, p. 166, figg. 124-125.
34
Bouras, Bronze Doors, p. 248.
35
Frolow, La Vraie Croix, pp. 485-486, nr. 663. Id., Les reliquaires, passim, fig. 48. Id., Reliquie
orientali e reliquiari bizantini, in H.R. Hahnloser, Il Tesoro di San Marco, I (Il Tesoro e il Museo), Firen-
ze 1971, pp. 31-41, in part. pp. 34-35, nr. 24. J.C. Anderson, in The Glory of Byzantium, p. 79, nr. 37
(con bibliografia): datazione tra il 975 e il 1025.
36
Duomo di Amalfi (1060): G. Matthiae, Le porte bronzee bizantine in Italia, Roma 1971, pp. 63-65,
figg. 1-2, 4; Atrani, chiesa di S. Salvatore (1087): ibid., pp. 91-92, figg. 67-68; Venezia, S. Marco, porta
di Leone da Molino (1112): ibid., pp. 103-107, fig. 113; duomo di Salerno (prima metà XII sec.): ibid.,
pp. 93-95, figg. 71-72. Si veda anche Frazer, Gates of Paradise, p. 148, fig. 1 (Amalfi); ibid., p. 149, fig.
4 (Atrani); ibid., p. 152, fig. 11 (Venezia); ibid., p. 160, figg. 20-22 (Salerno). Si vedano inoltre, nei pre-
senti Atti, i contributi di S. Moretti, “Cum valde placuissent oculis eius...”: i battenti di Amalfi e Mon-
tecassino, e di M. della Valle, Le porte bizantine di Atrani e Salerno.
37
Flemming, Kreuz und Pflanzenornament, pp. 100-101, fig. II.14.
38
Bouras, Bronze Doors, pp. 240-241.
39
T.N. Pazaras, in Θησαυρο του̃ A γου Oρους, pp. 236-237, nr. 6.1.
40
Id., Tα βυζαντιν γλυπ τ του καθολικου′ της Μονς Βατοπ εδου, Thessaloniki 2001, 25-31,
dis. 6-9, figg. 8-11, 16-23. Tanto il motivo a rosette quanto quello della croce foliata sono costante-
mente presenti e applicati in versioni più o meno complesse.
41
Bouras, Bronze Doors, pp. 248-249.
42
Ibid., p. 249, nt. 91-95.
43
M. Lascaris, Le monastère de Mesonisiotissa à Kastoria et la famille serbe des Bagaš, in XIIe Con-
grès International des Études Byzantins. Résumés des communications, Belgrade-Ochride 1961, p. 61.
L’identificazione Mesonisiotissa-Mavriotissa è stata rimessa in discussione da E. Drakopoulou, Η πο′λη
της Καστορις τη βυζαντιν και µεταβυζαντιν εποχ (12ος-16ος αι.), Athina 1997, pp. 63-64.
44
T. Malmquist, Byzantine 12th Century Frescoes in Kastoria. Agioi Anargyroi and Agios Nikolaos
tou Kasnitzi, Uppsala 1979, pp. 13, 127-128. A. Wharton Epstein, Middle Byzantine Churches of Kasto-
ria: Dates and Implications, in “The Art Bulletin”, 62, 1980, pp. 195, 201, nt. 55. S. Pelekanidis,
M. Chatzidakis, Καστορι (Βυζαντιν τχνη στν Eλλ"δα), Athina 19922, p. 81.
45
G. Gounaris, H Παναγα Μαυρι$τισσα τς Καστορια̃ς, Thessaloniki 1993, pp. 9-11.
46
L’unica descrizione completa della porta che sia stata pubblicata si trova, per quanto mi consta,
contenuta nel volume di N.K. Moutsopoulos, Καστορι: Παναγα & Μαυρι$τισσα, Athina 1967,
p. 38, figg. 39-40, 40a.
47
C. Bertelli, Notizia preliminare sul restauro di alcune porte di S. Sofia a Istanbul, in “Bollettino del-
l’Istituto centrale del restauro”, 34-35, 1958, pp. 95-111, fig. 78. P.A. Underwood, Notes on the Work
of the Byzantine Institute in Istanbul, in “Dumbarton Oaks Papers”, 14, 1960, pp. 210-213, fig. 10. Fra-
zer, Gates of Paradise, p. 154, fig. 16. Si veda inoltre, nei presenti Atti, A. Guiglia Guidobaldi, C. Bar-
santi, Le porte e gli arredi architettonici in bronzo della Santa Sofia di Costantinopoli.
48
Matthiae, Le porte bronzee, pp. 97-101, figg. 81-112, in part. p. 100, fig. 83. Frazer, Gates of Para-
dise, p. 152, fig. 10. Si veda inoltre, nei presenti Atti, A. Paribeni, Le porte ageminate della basilica di S.
Marco a Venezia tra storia e committenza.
49
M. Sklavou-Mavroidi, Γ λυπτ του̃ Βυζαντινου̃ Μουσεου Aθηνω̃ ν. Κατλογος, Athina 1999,
pp. 128-130, nr. 175-176 (con bibliografia).
50
T.N. Pazaras, in The Glory of Byzantium, p. 37, nr. 2B (con bibliografia).
51
Frolow, Les reliquaires, p. 224.
52
Ibid., pp. 134-136.
53
Bréhier, La sculpture, pp. 91-92, tav. 67. Frolow, La Vraie Croix, pp. 331-332, nr. 340. Id., Les reli-
quaires, pp. 97, 126, 169, 219, 249, fig. 41, nr. 340. Anderson, in The Glory of Byzantium, p. 81, nr. 40
(con bibliografia). S. Lerou, L’usage des reliques du Christ par les empereurs aux XIe et XIIe siècles: le
saint bois et les saintes pierres, in Byzance et les reliques du Christ, a cura di J. Durand e B. Flusin, Paris
2004, pp. 180-181, fig. 9.
54
Goldschmidt, Weitzmann, Elfenbeinskulpturen, II. (Reliefs), Berlin, 1934, pp. 46-47, nr. 72a-b,
tav. 28. Cutler, The Hand of the Master, pp. 114-115, figg. 124, 159 (con bibliografia).
55
Le due valve furono riconosciute come appartenenti a un unico dittico da Goldschmidt, Weitz-
mann, Elfenbeinskulpturen, II., p. 37, nr. 40 (Hannover), 41a-b (Dresda), tav. 17. Cutler, The Hand of
LE PORTE BIZANTINE IN GRECIA 553
the Master, pp. 205-206, fig. 223; pp. 104-105, figg. 110-111 (con bibliografia). Per la valva di Hanno-
ver, cfr., anche, S. Taft, in The Glory of Byzantium, pp. 146-147, nr. 92.
56
Goldschmidt, Weitzmann, Elfenbeinskulpturen, II., p. 37, nr. 39, tav. 16. J. Durand, in Byzance.
L’art byzantin dans les collections publiques françaises, catalogo della mostra, Paris – Musée du Louvre
(3 novembre 1992-1 febbraio 1993), Paris 1992, pp. 236-237, nr. 150.
57
Ci si può fare un’idea di tale analogia strutturale osservando, per esempio, la croce a scalini su
placca eburnea del Museo Puškin a Mosca (metà sec. X): cfr. Goldschmidt, Weitzmann, Elfenbein-
skulpturen, II., p. 47, nr. 73a, tav. 29.
58
Il dibattito a proposito della cronologia degli affreschi della Panagia Mavriotissa è quanto mai
vivo. Si rimanda, pertanto, alla bibliografia disponibile: S. Pelekanidis, Καστορι. Βυζαντινα
Τοιχογραφαι. Πνακες, Thessaloniki 1953, pp. 26-28, tavv. 78-82. Id., Χρονολογικ προβλµατα
τω̃ ν τοιχογραφιω̃ ν του̃ καθολικου̃ τς Παναγας τς Μαυρι$τισσας Καστορια̃ς, in
“Aρχαιολογικ ’Eφηµερς”, 1978, pp. 147-159. Wharton Epstein, Churches of Kastoria, p. 202.
Pelekanidis, Chatzidakis, Καστορι, pp. 66-67, 69, 80-81, fig. 14. Gounaris, H Παναγα
Mαυρι$τισσα, p. 26, fig. 21.
59
Moutsopoulos, Καστορι: Παναγα Mαυρ ι$τισσα, p. 38, fig. 39. Gounaris, H Παναγα
Mαυρι$τισσα, p. 26, fig. 23.
60
In particolare, l’affresco con il battesimo sembrerebbe posteriore, come notato da Pelekanidis,
Χρονολογικ" προβλµατα, p. 158 e dalla Wharton Epstein, Churches of Kastoria, pp. 204-206: cfr.,
inoltre, Pelekanidis, Chatzidakis, Καστορι, p. 80.
61
Non mi sembra sia mai stata avanzata un’ipotesi di datazione che prescinda dalla cronologia della
fase primitiva dell’edificio: cfr. M. Ćorovic´-Ljubinkovic´, Средњевековни дчборез у источним
областима Југославије (Sculture lignee medievali nelle regioni orientali della Iugoslavia; in serbo con
riass. in francese), Beograd 1965, p. 43, tav. 10b.
62
A.K. Orlandos, Ξυλγλυπτος βυζαντιν θυ′ ρα, in “∆ελτον τ$ς Χριστιανικς Aρχαιολογικ$ς
Eταιρεας”, II.1, 1924, 3-4, pp. 69-73. Id., Μνηµει%α του̃ ∆εσποττου τς Hπερου - H Κκκ ινη
Eκκ λησι (Παναγα Βελλα̃ς), in “Hπειρωτικ" Χρονικ"”, 2, 1927, pp. 153-169. V.N. Papadopou-
lou, Η Βυζαντιν Α ′ ρ τα κ αι τα µνηµεα της, Athina 2002, pp. 118-119.
63
S. Lambros, cit. in Orlandos, Ξυλγλυπτος βυζαντιν θυ′ ρα, p. 73, nt. 1.
64
Papadopoulou, Η Βυζαντιν Α ′ ρ τα, p. 125.
65
Orlandos, Ξυλγλυπτος βυζαντιν θυ′ ρα, pp. 71-73, dis. a p. 72. Id., Κκκ ινη ’Eκκ λησι, pp.
157-158, fig. 5. Un’ulteriore descrizione della porta è reperibile in Bouras, Les portes et les fenêtres, pp. 62-64.
66
G.A. Sotiriou, La sculpture sur bois dans l’art byzantin, in Mélanges Charles Diehl, II (Art), Paris
1930, p. 173.
67
B.D. Filow, Die altbulgarische Kunst, Bern 1919, p. 35, tav. 35. Una riproduzione a colori della
porta si trova in Tesori dell’arte cristiana in Bulgaria, fig. a p. 23.
68
M. Šuput, Les reliefs byzantins remplis de pâte colorée des XIIIe et XIVe siècles, in “Zograf”, 7,
1977, pp. 36-44, in part. pp. 43-44.
69
A.K. Orlandos, Η Παρηγορ τισσα, Athina 1963, pp. 104-108, figg. 107-108. N.K. Moutsopou-
los, Οι βυζαντιν'ς εκκ λησες της Α ′ ρ τας, Thessaloniki 2002, p. 122, fig. 38.
70
A. Zachos, Βυζαντινο′ ν εν Hπερω. βηµο′ θυρ ον, in “Hπειρωτικ" χρονικ"”, 3, 1928, pp. 220-
222.
71
G.A. Sotiriou, La sculpture sur bois, pp. 175-177, ne fa l’oggetto di alcune considerazioni ma senza
fornirne una descrizione particolareggiata. Una breve menzione è anche in A. Hadjimihali, La sculptu-
re sur bois (L’art populaire de la Grèce, 2), Athènes 1950, p. 6. In anni più recenti, esso appare in Bou-
ras, Les portes et les fenêtres, pp. 90-93 e nella scheda a cura di D. Kostantios, in Βυζαντιν κ αι
Μεταβυζαντιν Τ'χνη, catalogo della mostra, Athina – Palio Panepistimio (26 luglio 1985-6 gennaio
1986), Athina 1985, p. 32, nr. 21.
72
Nei due piccoli clipei ai lati dell’aureola doveva essere evidentemente indicato il nome del profe-
ta. Non mi risulta che esso sia stato letto o che sia oggi leggibile.
73
Zachos, Βυζαντινο′ ν βηµο′ θυρον, p. 221.
74
Sotiriou, La sculpture sur bois, p. 176. Sui trittici del Vaticano e Harbaville cfr. le schede curate da
I. Kalavrezou, in The Glory of Byzantium, pp. 131-132, nr. 79 e 133-134, nr. 80 (con bibliografia).
75
V. Phoskolou, in Η κ αθηµερ ιν ζω στο Βυζντιο, catalogo della mostra, Thessaloniki –
Lefkos Pyrgos (ottobre 2001-gennaio 2002), Athina 2002, p. 510 nr. 699 (con bibliografia).
76
Sotiriou, La sculpture sur bois, pp. 176-177: “[...] la porte du sanctuaire de Janina ne se rattache
pas au cycle de l’art hellénistique de la capitale; c’est plutôt une production épirote du XIIe ou du
XIVe siècle environ, qui suit la tradition orientale”.
77
E. Papatheophanous-Tsouri, Ξυλγλυπτη πρ τα του̃ κ αθολικ ου̃ τς Μονς Κοιµσεως
Θεοτκ ου στη Μολυβδοσκ 'παστη Iωανννων, in “Aρχαιολογικ Eφηµερς”, 1993, pp. 83-106.
554 ALESSANDRO TADDEI
Alle pp. 86-93 dell’articolo è stilata una descrizione estremamente particolareggiata del manufatto,
descrizione cui ci si rifarà in questa sede, riportandone i punti salienti.
78
D. Nicol, The Churches of Molyvdoskepastos, in “Annual of the British School of Athens”, 48,
1953, pp. 141-153, in part. p. 144. D. Pallas, in “Bulletin de Correspondence Héllénique”, 82, 1958, p.
727, nt. 1; p. 744, fig. 32. C. Bouras, Les portes et les fenêtres, pp. 76-81. A. Grabar, Sculptures byzanti-
nes du moyen âge, II (XIe-XIVe siècle), Paris 1976, p. 120, tav. 86c. Papatheophanous-Tsouri, in
“Aρχαιολογικ-ν ∆ελτον”, 35, 1980, B1 (χρονικ), pp. 339-340. Ead., in “Aρχαιολογικ-ν ∆ελτον”
36, 1981, B2 (χρονικ), p. 294. Ead., Ξυλγλυπτη πρ τα του̃ κ αθολικ ου̃ τς Μονς Κοιµσεως
Θεοτκου Μολυβδοσκ επστου Iωανννων, in Β′ Συµπσιο Βυζαντινς κ α Mεταβυζαντινς
Aρ χαιολογας κ α T'χνης, Περιλψεις .νακοιν/σεων, Athina 1982, p. 89.
79
Papatheophanous-Tsouri, Ξυλγλυπτη πρ τα, p. 104.
80
Ibid., pp. 83, 104.
81
Ibid., p. 86, nt. 9.
82
Ibid., pp. 90-91.
83
Fra i diversi raffronti portati a proposito delle fasce a balustri, nella pubblicazione si richiamano
giustamente il trono ligneo del monastero di Rila, del sec. XIV (Filow, Altbulgarische Kunst, p. 35, fig.
30), l’architrave della chiesa dell’isola di Maligrad (Lago della Grande Prespa, FYROM), del 1369 ma
anche un analogion e, soprattutto, un frammento di un epistilio di iconostasi in legno dalla chiesa di S.
Stefano a Kastorià, del sec. XIV, quest’ultimo profondamente legato alle tendenze della scultura con-
temporanea, come dimostrano i fregi per i quali la fascia a balustri funge da separatore, l’uno caratte-
rizzato da figure di animali e fiori stilizzati entro cerchi allacciati, l’altro da motivi vegetali (tralci ondu-
lati singoli e doppi con foglie d’acanto: Sotiriou, La sculpture sur bois, pp. 173-175, figg. 1-2, tav. 14.2;
Papatheophanous-Tsouri, Ξυλγλυπτη πρ τα, p. 101. A questi motivi si unisce la banda trasversale
con decorazione vegetale e due clipei, l’uno racchiudente una croce, l’altro un fiore a sei petali, que-
st’ultimo spesso ricorrente nella porta di Voulgarelli.
84
Cfr. Papatheophanous-Tsouri, Ξυλγλυπτη πρ τα, p. 100, nt. 62.
85
La riduzione della porta a un unico battente comportò inoltre il trasferimento della serratura e l’a-
pertura di un nuovo foro per la chiave, alla destra del pannello con san Paolo: ibid., pp. 90-91.
86
Per la descrizione particolareggiata dell’incorniciatura della porta: ibid., pp. 92-93.
87 ´
Corovic´-Ljubinkovic´, Средњевековни дчборез, pp. 33, 146, tavv. 4c, 5a-b, 6a.
88
Papatheophanous-Tsouri, Ξυλγλυπτη πρ τα, p. 94, nt. 17; p. 95, nt. 25.
89
Cfr. L. Boura, The Griffin through the Ages, Athens 1983; T.N. Pazaras, Aνγλυφες σαρκοφγοι
κ α ε πιτφιες πλκ ες τς µ'σης κ α 3στερ ης βυζαντινς περ ιδ ου στν Eλλδ α, Athina 1988.
Cfr., inoltre, le considerazioni e i numerosi esempi riportati in Papatheophanous-Tsouri, Ξυλγλυπτη
πρ τα, pp. 96 e segg., soprattutto p. 98 e nt. 48. La porta di Ohrid, che fino alla seconda guerra mon-
diale si trovava nella chiesa di Sveti Nikola Bolnički, è oggi conservata nel Museo Storico Nazionale di
Sofia (nr. 29339). La porta (m 1,75 x 0,88) consta di due battenti ripartiti ciascuno in otto pannelli ret-
tangolari disposti su quattro registri più due bande trasversali. All’epoca in cui essa fu fotografata da
Kondakov (1901) sopravviveva gran parte della incorniciatura lignea, animata da rosette a rilievo
incluse in un doppio tralcio vegetale ondulato. I diversi pannelli, collocati con una certa simmetria tra
un battente e l’altro, sono incorniciati da bordure a treccia o a listarella. I soggetti raffigurati nei pan-
nelli comprendono creature fantastiche (centauro, grifone), animali reali (leoni, aquile, uccelli da
preda, pavoni, volpi, serpenti, orsi e scimmie) e cavalieri, di cui alcuni nimbati, probabilmente santi
militari. Nel battente destro trovano posto due formelle, probabilmente di reimpiego, con un motivo a
girali abitati. La porta veniva assegnata al XIV secolo dalla Ćorovic´-Ljubinkovic´, Средњевековни
дчборез, pp. 45-53, 148-150, tav. 10a. A. Grabar, Sculptures byzantines, pp. 118-121 (nr. 116), preferi-
va una sua collocazione tra XII e XIII secolo, datazione ribadita da A. Paribeni in Tesori dell’arte cri-
stiana in Bulgaria, catalogo della mostra, Roma – Mercati di Traiano (22 maggio-15 luglio 2000), Sofia
2000, pp. 193-194, nr. 70 (con bibliografia). Le figure di animali fantastici e reali a grandi dimensioni
inaugurano uno dei filoni più vitali di quella che sarà poi l’arte popolare dei Balcani in età ottomana.
90
S.T. Brooks, Sculpture and the Late Byzantine Tomb, in Byzantium. Faith and Power (1261-1557),
catalogo della mostra, New York – The Metropolitan Museum of art (23 marzo-4 luglio 2004), New
York 2004, pp. 112-113, nr. 58 (con bibliografia).
91
Pazaras, Aνγλυφες σαρκοφγοι, pp. 38-39, tavv. 30β, 32α.
92
Sklavou-Mavroidi, Γ λυπτ του̃ Βυζαντινου̃ Μουσεου, p. 211, nr. 299 (con bibliografia).
93
S. C´určić, Religious Settings of the Late Byzantine Sphere, in Byzantium. Faith and Power, pp. 79-
80, nr. 35 (scheda a cura di V.N. Papadopoulou, con bibliografia).
94
G.A. Sotiriou, Βυζαντιν Mνηµει%α τς Θεσσαλας II κ α Ι∆ αι ω̃ νος, in “Eπετηρς
Eταιρεας Βυζαντινω̃ν Σπουδω̃ν”, 4, 1927, pp. 312-331, in part. pp. 316-324. N. Nikonanos,
Βυζαντινο ναο τς Θεσσαλας. Aπ τ 10ο αι ω̃ να ω ς τν κ ατκ τηση τς περιοχς π του′ ς
LE PORTE BIZANTINE IN GRECIA 555
Του′ ρκ ους τ 1393, Athina 1979, pp. 152-153. M. Hatziyannis, L’architecture byzantine à l’époque des
Paléologues: le cas du catholicon de l’Olympiotissa à Élasson (Thessalie), tesi di dottorato, Université de
Paris I – Panthéon-Sorbonne, Paris 1989. K. Englert, Der Bautypus der Umgangskirche unter besonde-
rer Berücksichtigung der Panagia Olympiōtissa in Elasson, Frankfurt am Main 1991, in part. pp. 21 e
segg. M. Hatziyannis, Relations architecturales entre la Thessalie et la Macedoine à l’époque des Paléolo-
gues: les cas du catholicon de l’Olympiotissa à Élasson, in Θεσσαλα. ∆εκ απ'ντε χρνια
αρχαιολογικς 'ρευνας 1975-90, Athina 1994, II, pp. 371-386. S. C´určić, The Role of Late Byzantine
Thessalonike in Church Architecture in the Balkans, in Symposium on Late Byzantine Thessalonike, a
cura di A.-M. Talbot, (“Dumbarton Oaks Papers”, 57, 2004), pp. 73-74. E.K. Hatzitryphonos, Tο
περστωο στην υστεροβυζαντιν εκκ λησιαστικ αρχιτεκ τονικ . Σχεδιασµς-λειτουργα, Thes-
saloniki 2004, p. 327, nr. 31 (con bibliografia).
95
E.C. Constantinides, The Wall Paintings of the Panagia Olympiotissa at Elasson in Northern Thes-
saly, Athens 2002.
96
La porta meridionale fu messa in opera nel 1840 a spese dello hieromonachos Teofilo, originario
di Tyrnavo, significativo centro posto lungo la strada che collega Elassona con Larissa. Essa è caratte-
rizzata da una ricchissima decorazione, riflesso della fase finale del periodo “barocco” dell’arte dell’in-
taglio della Grecia del Nord (regioni del Pindo e dell’Olimpo). I due battenti, articolati ciascuno in tre
pannelli rettangolari sovrapposti, sono animati, al pari della cornice e dell’architrave della porta, da
ornati vegetali; agli angoli esterni superiori della porta sono scolpite le figure dei due arcangeli Miche-
le e Gabriele. All’interno di ciascun pannello è iscritta una losanga, entro la quale è ospitata una for-
mella quadriloba. Le due formelle del registro superiore rappresentano rispettivamente la Vergine e il
Cristo in trono mentre le altre quattro formelle recano le figurazioni zoomorfe degli evangelisti. La for-
mella inferiore del battente di sinistra lascia in parte il posto a un’iscrizione entro cornice triangolare,
ricavata in metà della losanga, che recita: ∆ΙΑ ΕΞΟ∆ΟΥ ΘΕΟΦΙΛΟΥ HΕΡΟΜΟΝΑΧΟΥ
ΤΥΡΝΑΒΙΤΟΥ 1840. Cfr. Sotiriou, Μνηµει%α τς Θεσσαλας, p. 327. E. Skouvaras, Oλυµπι$τισσα,
Athina 1967, p. 29; K. Lazaris, Iερ Μον Παναγας Oλυµπιωτσσης, Elassona 2002 2, p. 56. Nello
stesso anno 1840 fu realizzato il nuovo templon in legno scolpito, opera dell’artista Dimitris di Metso-
vo, il quale probabilmente è autore anche dei proskynitaria presenti all’interno del katholikon, salvo
quello più antico, datato 1750 e firmato da Ioannis e Manos. Il nuovo templon fu approntato in sosti-
tuzione di quello di epoca bizantina, verosimilmente marmoreo.
97
Cfr. Hatziyannis, L’architecture byzantine à l’époque des Paléologues, p. 143, nt. 1.
98
Cfr. il volume pubblicato a cura della Hiera Mitropoli di Elassona: H Iερ Μητρπoλις Eλασσω̃ νoς.
Oι Eνoρες, oι Iερ8ς κα9 τ; κειµλια′ τους, Eλασσ/ν 2007, p. 119, figg. alle pp. 120-121.
99
Sotiriou, Μνηµει%α τς Θεσσαλας, pp. 327-331, figg. 11-12. Nella fotografia (fig. 12) si vede be-
ne anche l’incorniciatura lignea della porta, sulla quale non sono riuscito a reperire informazione alcu-
na, dato che la porta attuale, di recente fattura, è inserita entro una cornice moderna, priva di decora-
zione. La cornice sembrerebbe costituita da tre tavole poste a rivestire gli stipiti e l’architrave. La deco-
razione appare abbastanza semplice a fronte di quella dei battenti: ciascuna tavola è infatti attraversa-
ta da coppie di linee incise trasversali ottenute con piccole unghiature; gli spazi rettangolari compresi
fra due coppie di linee sono riempiti da altre due linee diagonali formanti una X. Non possedendo
ulteriori dati mi è impossibile formulare qualsivoglia ipotesi di datazione di tale cornice, che potrebbe
essere opera tarda.
100
Id., La sculpture sur bois, p. 175.
101
Bouras, Les portes et les fenêtres, p. 57-62. Id., The Main Door of the Narthex in the Katholikon of
the Monastery of Olympiotissa in Elasson, Thessaly, in Abstracts of Short Papers of the 17th Internatio-
nal Byzantine Congress (Washington D.C., 3-8 agosto 1986), Dumbarton Oaks-Georgetown University
1986, p. 41. Id., The Olympiotissa Woodcarved Doors. Reconsidered, in “∆ελτον τ$ς Χριστιανικς
Aρχαιολογικς Eταιρεας”, 4, 1989-1990, 15, pp. 27-32. Agli studi dedicati alla porta da C. Bouras
si sono affiancate nel tempo numerose menzioni, più o meno estese, del manufatto: si vedano, fra gli
altri, E.A. Skouvaras, Oλυµπι$τισσα, pp. 24-27. Hadjimihali, La sculpture, p. 6. S.M. Houlia, in
Βυζαντιν και Μεταβυζαντιν Τ'χνη, p. 32, nr. 20. Hatziyannis, L’architecture byzantine à l’époque
des Paléologues, pp. 143-146. Englert, Der Bautypus, pp. 16-20.
102
Constantinides, The Wall Paintings, pp. 59-66.
103
Bouras, Olympiotissa Woodcarved Doors, p. 27, nt. 6.
104
Ibid., pp. 27, 32.
105
Ibid., p. 27.
106
Ibid., p. 27, nt. 5.
107
La formella era ancora integra al momento in cui G. Sotiriou pubblicò la porta (1927); da allora
la sua metà sinistra è andata perduta. Sotiriou, Μνηµει%α τς Θεσσαλας, p. 324; cfr. Bouras, Olym-
piotissa Woodcarved Doors, p. 29.
556 ALESSANDRO TADDEI
108
Cfr. Constantinides, The Wall Paintings, p. 60.
109
Laddove Bouras (Olympiotissa Woodcarved Doors, p. 27) discute dei due pannelli del registro
superiore, leggiamo che “Of the small motifs set within the four-sided shapes, four have survived, two
with representations of birds and another two incised with the date inscriptions”; tuttavia, appare
abbastanza evidente che nella figura frammentaria del pannello del battente di destra non si può ravvi-
sare un uccello, quanto piuttosto un animale simile a un leone nella classica rampant posture.
110
Ibid., p. 29.
111
Postulando l’originaria esistenza di tre registri di cerchi completi per ogni intarsio più una fascia
non decorata posta tra la bordura e l’intarsio (come negli altri pannelli della porta), si deve ammettere che
il riquadro doveva avere in origine dimensioni pari a cm 61 x 40, identiche, cioè, a quelle degli altri pan-
nelli: ibid., pp. 29-30. La porta deve essere stata ridotta di circa 11 cm in altezza: cfr. ibid., p. 31, nt. 11.
112
Constantinides, The Wall Paintings, p. 134.
113
Englert, Der Bautypus der Umgangskirche, pp. 18-20.
114
Constantinides, The Wall Paintings, pp. 63-65.
115
Orlandos, Kκκ ινη ’Eκκ λησι, pp. 158-159.
116
Constantinides, The Wall Paintings, p. 134.
117
Ibid., p. 64, nt. 63; p. 234. L’inserimento delle due bande appare però abbastanza accurato e di
qualità decisamente alta a fronte dei rozzi interventi integrativi effettuati sulla porta in età moderna e
ancora visibili nelle fotografie anteriori al restauro del 1964. Cfr. Sotiriou, Μνηµει%α τς Θεσσαλας,
fig. 11.
118
Constantinides, The Wall Paintings, p. 65, nt. 75. Nel corso di una breve conversazione al termi-
ne del mio intervento, il prof. Santo Lucà ha attirato la mia attenzione sul pericolo rappresentato dal
tradurre letteralmente il verbo con l’italiano “rinnovare” e sulla osmosi rilevabile nel greco bizantino
tra i concetti di “rinnovamento”, “messa in opera” e “edificazione”.
119
Ibid., p. 66.
120
Bouras, Olympiotissa Woodcarved Doors, p. 31, nt. 10.
121
Si tratta di una piccola porta che serrava un tempo un accesso secondario del nartece. Ne è ripro-
dotta un’immagine nella recente guida pubblicata dal monastero: Iερ Μον A γας Τριδος
Σπαρµου̃ Oλυ′ µπου, Elassona 2006, fig. a p. 89. Rivolgo ancora un sentito ringraziamento all’archi-
mandrita Padre Chariton Toumbas per la sua cortesia nel segnalarmi l’esistenza del battente nonché
per avermi concesso di visitare lo skevophylakion del monastero di Hagia Triada.
122
La porta rimane, a quanto ne so, ancora inedita.
123
N.P. Kondakov, Памятники Христианскаго искусства на Ао - он (Monumenti di arte cri-
stiana all’Athos), Sankt-Petersburg 1902, pp. 238-239, tav. 38. L. Bréhier, La sculpture et les arts
mineurs byzantins, Paris 1936, pp. 83-84, tav. 50. Matthiae, Le porte bronzee, pp. 15, 59, fig. 9. E. Tsi-
garidas, Βυζαντιν µικροτεχνα, in Iερ Μεγστη Μον Βατοπαιδου, II, pp. 497-499, fig. 440. K.
Loverdou-Tsigarida, Thessalonique, centre de production d’objets d’arts au XIVe siècle, in Symposium on
Late Byzantine Thessalonike, pp. 251-252, figg. 19-20.
124
Ibid., p. 251, nt. 76.
125
Bouras, Les portes et les fenêtres, pp. 70 e segg.
126
Loverdou-Tsigarida, Thessalonique, centre de production, p. 252.
127
Ibid.
128
Kondakov, Памятники, p. 238, tav. 38.
129
E. Lambertz, H βιβλιοθκ η κα τ χειργραφ της, in Iερ Μεγστη Μον Βατοπαιδου,
II, p. 569, nt. 51.
130
S.B. Mamaloukos, The buildings of Vatopedi and their patrons, in Mount Athos and Byzantine
Monasticism. Papers from the Twenty-eighth Spring Symposium of Byzantine Studies (Birmingham,
marzo 1994), a cura di A. Bryer e M. Cunningham, Aldershot 1996, p. 117.
131
L. Boura, Three Byzantine Bronze Candelabra from the Grand Lavra Monastery and Saint Catheri-
ne’s Monastery in Sinai, in “∆ελτον τ$ς Χριστιανικη′ς Aρχαιολογικ$ς Eταιρεας”, 4, 1989-1990,
15, p. 23.
REFERENZE FOTOGRAFICHE
1 (da Θησαυρο του̃ Aγου Oρους 1997); 2 (da Bogdanović et alii 1978); 3-6 (da Bouras 1975);
8 (da Moutsopoulos 1967); 7, 9 (da Orlandos 1924); 10 (da Βυζαντιν και Μεταβυζαντιν Τ'χνη
1985); 11-12 (da Papatheofanous-Tsouri 1993); 13-17 (A. Taddei, Roma); 18 (da Iερ Μεγστη Μον
Βατοπαιδου 1996).
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12. Molyvdoskepastos (Konitsa), monastero della Dormizione della Vergine, porta lignea
del katholikon.
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13. Elassona, monastero della Panagia Olympiotissa, porta lignea intarsiata proveniente
dal katholikon.
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14-15. Elassona, monastero della Panagia Olympiotissa, porta lignea intarsiata proveniente
dal katholikon (part.).
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16-17. Elassona, monastero della Panagia Olympiotissa, porta lignea intarsiata proveniente
dal katholikon (part.).
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