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Il quadriportico della chiesa di

Sant’Agata Maggiore
Indagine preliminare alla luce degli scavi e degli studi
condotti nel secolo scorso
Tesina per il Corso di Archeologia e Storia dell’Arte Medievale
in Italia Settentrionale

a cura di Romano Guido


Gaetano
Anno accademico
2019/2020

Veduta della chiesa di Sant’Agata Maggiore


(da https://it.wikipedia.org/wiki/
Basilica_di_Sant%27Agata_Maggiore#/
media/File:San'Agata_Maggiore_-
_Ravenna_2016.jpg).
Obiettivo della ricerca
Lo studio portato avanti in questa tesina ha l’intento di ripercorrere, per sommi
capi, le vicissitudini storiche legate ad un particolare manufatto edilizio una
volta antistante alla chiesa di Sant’Agata: il quadriportico. Le maggiori
informazioni su tale avancorpo derivano da uno scavo effettuato nei primissimi
anni del ‘900, dall’allora Soprintendente ai Monumenti della Romagna Giuseppe
Gerola; gli esiti del suo lavoro, per quanto condotto con mezzi non propriamente
moderni, hanno permesso di riportare in luce una struttura architettonica
fondamentale per l’edificio sacro di via Mazzini. L’esistenza di un atrio di
ingresso, infatti, cambia radicalmente la concezione sul funzionamento della
chiesa nel passato: di sicuro, la necessità di incuneare in uno spazio ridotto tale
porticato, tra il fiume Padenna e la facciata di Sant’Agata, è legata a funzioni
liturgico - processionali a noi ormai non più chiaramente intellegibili e per
questo di primaria importanza, dal momento che una loro decodificazione
porterebbe ad una piena comprensione dell’intero corpo di fabbrica. Inoltre, la
sua scoperta e la possibilità di legarlo ad un momento cronologico precipuo, il
VI secolo, ci orientano verso una rivalutazione di tutte le posizioni assunte fino
ai giorni nostri sulla fondazione dell’edificio stesso. Dunque, per quanto limitato
ad una mera analisi della documentazione a disposizione, l’intento dello scritto è
quello di spronare ad un’ulteriore ricerca storico - archeologica nel settore in
questione, cosicché si possa finalmente giungere a conclusioni più certe e
precise sulla basilica ravennate.
Storia degli studi
Alcune delle figure coinvolte nell’indagine sul monumento:

- Ciampini (1698†): lo studioso del Seicento fornisce una data approssimativa sulla presunta realizzazione del mosaico absidale presente nella chiesa, il 400, e allude al vescovo durante la
cui reggenza si collocherebbe l’opera medesima, Esuperanzio. La datazione e l’attribuzione, tuttavia, vanno spostati al secolo successivo, quando sul seggio vescovile ravennate siede
Massimiano. Di fondamentale importanza, comunque, risulta il suo contributo per la storia degli studi sulla chiesa, dal momento che, nell’opera Vetera Monimenta, ci lascia una
testimonianza sulle fattezze del mosaico che avrebbe occupato il catino absidale: un Cristo assiso in trono, fiancheggiato dagli Arcangeli. Il resoconto del Ciampini è ancor più degno di
considerazione, poiché fu uno dei pochi a visionare l’opera in maniera autoptica, prima della sua definitiva scomparsa nel 1688, quando Ravenna fu colpita da un violento terremoto.

- Facciolli: Nella relazione sui “Lavori compiuti dall’Ufficio Regionale” del 1898, redatta da tale ingegnere Facciolli, sono riportati in maniera piuttosto dettagliata e a mo’ di resoconto
cronistorico sia le motivazioni di fondo che hanno condotto all’escavazione all’interno della navata della chiesa, sia i risultati ottenuti dopo gli interventi effettuati. L’autore esordisce con
una constatazione di fatto: il pavimento della chiesa sul finire del XIX secolo è in condizioni davvero deplorevoli, per cui urge una tempestiva manutenzione che possa conferire nuova
dignità allo stabile tutto. I sondaggi toccano una quota di – 2,80 m e riportano alla luce una porzione di mosaici che, su base stilistica e iconografica, sono stati ricondotti al V secolo d.C.

- Testi Rasponi (1915, Note agnelliane: i vescovi ravennati del 5. secolo): interessantissima la sua dissertazione sull’appartenenza cronologica della parte inferiore dell’abside fino alle
finestre: qui, materiale e metodo di costruzione sono a suo giudizio di V secolo (in accordo quindi con quel modus construendi che, protraendosi fino ad epoca teodoriciana, prevede l’uso di
mattoni frammentari uniti con calce bianca e breccia). I laterizi di Sant’Agata sono in effetti frammentari (presentano le seguenti misure, cm 41 x 31 x 7,5) e sono immersi in una malta di
calce bianca con abbondante breccia. Come riporta l’autore, se la breccia è abbondante soprattutto nelle opere barbariche, mentre è finissima in quelle imperiali, si può allora agevolmente
concludere che l’abside doveva collocarsi orientativamente tra il 476 e il 526 (da Odoacre sino alla morte di Teodorico, quando i laterizi raggiungono invece le misure di 44 x 32 x 7 cm).

- Gerola: importantissimo il ruolo rivestito dal veneto Giuseppe Gerola; la sua grande sensibilità per l’arte e la cultura in generale, senza alcuna forma di campanilismo individuale, lo hanno
portato a ricoprire cariche e ad intraprendere opere di grande impatto e risonanza per le comunità che beneficiarono del suo contributo. Tra queste, sicuramente di vitale importanza per la
storia degli studi ravennati è stato lo scavo archeologico del giardino antistante alla chiesa di Sant’Agata. La lungimiranza del Gerola ha portato il Soprintendente alla scoperta di un atrio
d’ingresso alla basilica, del tutto dimenticato dalle fonti storiche locali, nonché al rinvenimento di numerose arche sepolcrali, attualmente ancora esposte in situ (Il quadriportico di S. Agata,
1934).

- Martinelli Angiolini: l’autrice si sofferma sull’ambone presente nella chiesa, odiernamente conservato tra la nona e la decima colonna del colonnato settentrionale. È in marmo bianco,
con venature orizzontali di colore grigio – verde cupo; consta di due parti quasi semicircolari e deve avere avuto in passato una base alta 1,50 m. La tipologia “a balcone” sembra avvicinarlo
a quelli ravennati di Santo Spirito e S. Apollinare Nuovo; tuttavia, il tipo tutto particolare di decorazione ci orienta verso l’ambone presente nella Basilica del Foro Severiano di Leptis
Magna. Se questo di S. Agata non è reimpiegato, potrebbe allora datarsi al VI secolo (Amboni ravennati, 1966).

- Pasi: ulteriore conferma sulla probabile costruzione (o ricostruzione) dell’area absidale/presbiteriale nel VI sec. L’autrice evidenzia come i resti degli intradossi delle finestre dell’abside,
dei lacerti musivi conservati nelle tre finestre centrali dell’emiciclo, siano vicini a dei pattern iconografici molto diffusi nel VI secolo d.C., inserendosi questi così molto bene nel contesto di
ipotetico rifacimento della zona terminale dell’edificio nel secolo summenzionato (La decorazione musiva degli intradossi delle finestre absidali della basilica di S.Agata Maggiore di
Ravenna, 1984).

- Russo: diversi i suoi contributi sulla basilica di Sant’Agata, alcuni dei quali toccano aspetti differenti sull’immobile. In particolare, degno di nota è lo scavo condotto nell’area presbiteriale
della chiesa, alla metà degli anni 80; l’indagine ha permesso di arrivare sino al piano di calpestio antico, ad una quota di 2,10 m circa, e di rinvenire le tracce della cattedra vescovile e
dell’emiciclo dei subsellia. L’approfondimento nella zona sacra, inoltre, ha restituito tutta una serie di materiali utili all’individuazione cronologica della terminazione absidale in questione,
tra i quali numerosi tubi fittile che, sulla base della tecnica per la loro messa in opera, sono stati ricondotti al VI secolo (Scavi e scoperte nella chiesa di S. Agata di Ravenna. Notizie
preliminari, 1989; Nuovi dati per la conoscenza delle volte in tubi fittili dallo scavo della chiesa di S. Agata di Ravenna, 2003).

- Cirelli: nel suo libro del 2008, Ravenna: archeologia di una città, l’autore in questione ha gettato le fondamenta per uno studio archeologico integrale della città adriatica, nel quale
affrontare in maniera analitica e di dettaglio i resti monumentali (e non) presenti nel centro romagnolo. Tra queste vestigia del passato, uno sguardo è stato gettato anche sul complesso di S.
Agata, per il quale si sono messi in evidenza (anche tramite elaborazioni GIS), i diversi elementi cronologici che compongono l’edificio: l’abside e il quadriportico, entrambi con mattoni di
tipo giulianeo, sono quelli che maggiormente contribuiscono all’individuazione della chiesa.
Compendio storico sulla basilica
Dedicata alla martire catanese, al pari di altre due chiese attestate a Ravenna in età medioevale, la basilica di Sant’Agata
maggiore era situata a Ravenna nell’antica regio Circli, prospiciente il corso dello scomparso fiume Padenna. Mancano
sicure notizie sulla sua fondazione, ancora comunque in età tardoantica. Più che la presenza del monogramma del vescovo
Petrus (identificato dal Zirardini con Pietro II, 494-519) in un pulvino del colonnato – che può essere un reimpiego
postantico – offre più solido appiglio il richiamo del protostorico ravennate Agnello alla sepoltura del vescovo Giovanni I
(477-494), già effigiato sopra la cattedra, e forse identificabile come il fondatore della chiesa. In ogni caso la muratura
dell’abside, che utilizza nella parte superiore i mattoni allungati comuni negli edifici promossi in età giustinianea da
Giuliano Argentario, unitamente a tubi fittili nel catino, fa pensare ad un completamento della zona presbiteriale nel VI
secolo avanzato, forse durante l’episcopato di Agnello (556-569), che qui servì come diacono e fu sepolto. A quest’epoca
doveva risalire anche la decorazione musiva del catino absidale, di cui permangono miseri resti leggibili nell'intradosso
delle finestre, e che cadde durante il terremoto dell’11 aprile 1688; un fortunoso disegno del padre Cesare Pronti,
pubblicato dal Ciampini (1699), ne testimonia l’iconografia, con Cristo assiso su un trono gemmato “a lira” e
fiancheggiato da due angeli con baculum in mano, collocati su di un prato fiorito. Ancora durante il VI secolo, sulla fronte
della chiesa fu innalzato un quadriportico con loggiato interno, a racchiudere un’area con destinazione ancora non chiara
(cimiteriale o liturgica). L’aspetto attuale della chiesa di S. Agata Maggiore si deve in buona parte agli interventi attuati
alla fine del Quattrocento, quando si procedette all’innalzamento del pavimento per fare fronte alla subsidenza del terreno,
reimpostando così l’intero colonnato. Attorno a quello stesso periodo fu probabilmente eliminato anche l’antistante
quadriportico, per innalzare l’attuale campanile cilindrico (1560). Altri interventi si ebbero dopo il terremoto del 1688,
come il rialzamento dell’arcone absidale, o quello all’inizio dell’Ottocento, quando venne costruito il robusto arcone di
sostegno all’altezza della terza colonna, con aggiunta di contrafforti esterni; e ancora quello del 1892, quando nello scavo
fu esplorato il primitivo livello tardoantico (a m. 2,80): in quell’occasione fu estratto un lacerto dell’originario mosaico
pavimentale, recante motivi fitomorfi molto vicini a modelli nordafricani di V secolo. Nei restauri effettuati da Giuseppe
Gerola, fu sia liberato il presbiterio dalle suppellettili barocche, che la facciata da una serie di edifici che ne
compromettevano la leggibilità. Si intraprese uno scavo del quadriportico, del sepolcreto antistante e, alla fine di questi
lavori, si innalzò davanti all’ingresso l’attuale protiro rinascimentale, proveniente dalla vicina S. Nicolò. S. Agata, tuttavia,
ha visto anche altri interventi: quelli del 1963-64, quando furono aperte le originali finestre dell’abside, e quelli su più
vasta scala effettuati tra il 1979 e il 1989, quando ci fu il rifacimento del tetto ligneo e della pavimentazione in cotto.
L’interno della chiesa di Ravenna, come oggi si presenta pur attraverso successive alterazioni e restauri, conserva in buona
parte quella che doveva essere l’originaria spazialità dell’edificio tardoantico; la pianta è di tipo basilicale orientata, a tre
navate (spartite da arcate poggianti su colonne) e con abside di tipo ravennate (poligonale all’esterno e semicircolare
all’interno).
Topografia della chiesa in antico
La basilica di Sant’Agata Maggiore
(definita maggiore poiché nel
Medioevo, a Ravenna, vi erano altre
due chiese dedicate alla santa) sorse
nel periodo tardoantico in posizione
prospiciente il fiume Padenna (ora
scomparso, ma il cui corso è
ravvisabile nell’attuale Via Mazzini)
e in prossimità del circo cittadino (di
cui si conserva la memoria nella “via
del cerchio”, proprio sul lato
meridionale dell’edificio).
Fig. 1: in rosso la chiesa e l’area dell’ippodromo; in bianco via
Mazzini [N/S] e via del Cerchio [E/O] (elaborazione dell’A. da https://
www.google.it/maps).
Ubicazione della chiesa nella Regio dell’Ippodromo

Fig. 2: i due edifici storici nella metà


orientale della città (elaborazione
Sant’Agata Ippodromo dell’A. da https://design.tre.digital/
progetti/beni-culturali/29-ricostruzione-
in-3d-ravenna-antica).
L’orientamento delle chiese ravennati sul Padenna

Edifici come S. Agata, la Basilica


Apostolorum, S. Michele in
Africisco, S. Giovanni Battista e S.
Vittore dovevano essere in stretta
connessione con il fiume Padenna: è
probabile che il loro orientamento sia
stato determinato (anche se non in
maniera esclusiva) dall’andamento
del corso in questione.
Tav. I: chiese ravennati relazionate al corso del Padenna (elaborazione
dell’A. da CIRELLI 2008, p. 106).
La vicinanza di S.Agata con il porto interno
Non è improbabile che il grande bacino creato dal crocevia tra i due fiumi (il Padenna si allacciava con un diverticolo al Lamisa) garantisse
uno spazio sufficiente al transito di imbarcazioni e all’approdo di queste. La biforcazione era antistante proprio alla chiesa di S. Agata, per
cui si può immaginare che qui vi fossero impianti e strutture funzionali alla navigazione (banchine e moli): la basilica avrebbe così finito
per beneficiare di una posizione alquanto felice, data la sua ubicazione sull’asse principale di Ravenna, in prossimità di un porticciolo
interno e a pochi metri dal mercato civico.

Fig. 3: la relazione della chiesa con il


mercato civico [in blu] e la zona portuale Zona portuale?
interna [in rosso] (elaborazione dell’A. da Mercato civico
https://design.tre.digital/progetti/beni-
culturali/29-ricostruzione-in-3d-ravenna-
antica).
Impianto della chiesa
Tav. II: pianta della basilica (da
Ha un impianto basilicale classico.
BOVINI 1969, p. 204).
Le misure dello spazio chiesastico
sono di 49,50 m di lunghezza per 25
m di larghezza.

Esso risulta diviso in 3 navate (di cui


quella centrale più larga delle laterali)
per mezzo di 20 colonne, disposte su
due filari, e chiuso sul lato orientale
da una grande abside semicircolare
(poligonale all’esterno); essa, in
origine, era inquadrata da due
pastophoria ormai non più esistenti.
Elementi datanti per la cronologia
della chiesa
Abside esterna

Nella parte esterna l’emiciclo di


laterizi palesa due tessiture murarie
differenti: una ascrivibile al V
secolo e l’altra al VI. Non è ben
chiaro se la differenziazione
costruttiva riscontrata sia dovuta a
interruzioni di cantiere o a
ripristino in epoca successiva.
Certo è che i mattoni impiegati
appartengono a due momenti
diversi della storia dell’edificio e
per tale motivo lo collocano un po’
Fig. 4: abside esterna con
“a cavaliere” tra i due secoli. differenziazione delle partiture
murarie (foto ed elaborazione
dell’A.).
Programmi decorativi dell’abside

Uno di questi cicli musivi sembra essere collegato al vescovo Giovanni Angelopte (477-494),
ritratto come protagonista di un evento miracoloso nel registro al di sopra dei subsellia
presbiteriali; l’altro invece, una volta presente nel catino absidale, ha come soggetto un Cristo in
trono affiancato da Angeli (o Arcangeli). Per affinità tecniche e tematiche con altri cicli musivi
di VI secolo, si è concluso che la suddetta raffigurazione può collocarsi nel periodo appena
citato.

Fig. 5: raffigurazione del


mosaico absidale realizzata dal
Ciampini; l’autore vide l’opera
prima del terremoto del 1688,
che costò la distruzione totale
del catino (da CIAMPINI 1690,
Tab. XLVI).
Ricostruzione moderna dell’apparato decorativo
dell’abside

Fig. 6: disegno ricostruttivo


dell’abside di Franco
Franchini (da https://
it.wikipedia.org/wiki/
Basilica_di_Sant%27Agata
_Maggiore#/media/
File:Ravenna,_Basilica_di_
Sant'Agata_Maggiore,_rico
struzione_3d_dell'abside_pr
ima_del_1688.jpg).
Confronto con il mosaico di San Michele in
Africisco di VI secolo

Fig. 7: mosaico di San Michele in Africisco


conservato nel Bode Museum di Berlino (da
https://livingravenna.blogspot.com/2015/06/
ex-chiesa-san-michele-in-africisco-oggi.html).
Residui musivi degli intradossi

Residui musivi con motivi vegetali ancora presenti negli intradossi delle finestre
dell’emiciclo, con tutta probabilità strettamente collegati alla stesura di VI secolo.

Fig. 8: intradosso della


seconda finestra angolare
di sinistra dell’abside,
particolare del residuo
musivo (foto dell’A.)
Tubi fittili dell’abside

Fig. 9: collezione di tubi fittili provenienti da S.


Agata (da BOVINI 1960, p. 85).
Nel Luglio del 1985, quando gli scavi pianificati del presbiterio
non sono ancora iniziati, gli Enti realizzano uno sterro che porta
allo smontaggio dell’altare maggiore, alla demolizione del
pavimento e alla messa in opera della canaletta attorno agli
affreschi parietali medievali (rinvenuti nel secolo precedente e
all’epoca in forte stato di degrado). Grazie all’attività di scasso,
si rinvengono dei tubi fittili a siringa, messi in opera in antico
mediante abbondante malta: la tecnica sembra rimandare a
saperi costruttivi tipici di VI secolo e parlare a favore della
costruzione del catino della volta proprio nel secolo in
questione, per mezzo di tali elementi “affogati”.
La cattedra vescovile
Negli anni ’80 furono condotti degli scavi nel presbiterio, che raggiunsero una
quota di – 210, 4 cm; il risultato delle indagini qui condotte ha evidenziato come vi
fosse un pavimento in opus sectile, un bancale del clero rialzato di due gradini
(con al centro la cattedra vescovile), una stesura sempre di opus sectile e stucchi
policromi sulle pareti absidali.

Fig. 10: risultato degli scavi


nel presbiterio (elaborazione
dell’A. da RUSSO 1989a, p.
2339).
I Pastophoria
All’esterno del muretto orientale della navatella nord era visibile una porta con arco a tutto sesto
espanso e spallette rientranti. Questa doveva avere la sua soglia a 2,80 m sotto il pavimento della chiesa
attuale, per cui, assieme a quei resti di attacchi ai muri dell’abside, poteva costituire parte integrante di
un ambiente individuabile come pastophorion.

Il modello architettonico, sulla base degli scavi effettuati, si avvicina molto agli ambienti presenti nella
chiesa di S. Giovanni Evangelista, con un rimando quindi a soluzioni cantieristiche tipiche del V secolo.

Fig. 11: resto dell’arcata del


pastophorion settentrionale
(foto dell’A.).
Programma decorativo della navata
10 Ottobre 1892: “Durante i lavori di sterro per ricostruire il pavimento della
indicata basilica si è fatto uno scavo per verificare a quale profondità si trovi il
piano originario della medesima. Esso si rinvenne a più di due metri sotto il piano
attuale formato di musaico a disegni di svariato colore”.

Il frammento qui rinvenuto si avvicina molto alle testimonianze dell’Africa


settentrionale di V secolo.
Già dalla seconda metà del II secolo (sino all’epoca bizantina) si assiste in questa
regione ad una progressiva evoluzione ed arricchimento dell’ornato con le
sinusoidi collegate a cerchi in trama vegetale; a partire dal V, poi, tale iconografia
si diffonde soprattutto nel comprensorio cartaginese, con una continuazione d’uso
768

nel secolo successivo. Il tappeto musivo di S. Agata sembra così apparentarsi


strettamente con il tipo evoluto e documentato nell’Africa settentrionale di V
secolo (un rigoglioso ornato a sinusoidi d’acanto con intelaiatura di cerchi, il tutto
in un tessuto policromo dall’alto effetto decorativo) e appare trovare nello
specifico dei legami ancor più forti con gli esemplari della Proconsolare.
Il mosaico rinvenuto negli scavi del 1892

Tav. III: posizione al momento del


ritrovamento (elaborazione dell’A.
Fig. 12: dettaglio dell’acquerello
da FARIOLI CAMPANATI 1975,
(da FARIOLI CAMPANATI 1975, p. 114).
p. 109).
Il mosaico ritrovato
Il suddetto pezzo, rintracciato dalla Farioli Campanati tra i resti musivi addossati alla parete orientale del campanile
incluso nella navata di destra della basilica di San Francesco, apparterrebbe alla chiesa di Sant’Agata per tutta una
serie di motivi, tra i quali si annoverano: i colori impiegati, gli elementi costituenti l’iconografia (vicini al lacerto del
1892), le misure e le dimensioni delle tessere.
Il lacerto di S. Francesco presenta nel centro del lato curvo un grande fiore trilobato, che sostiene a sua volta un altro
piccolo fiore a tre petali. Quest’ultimo, reso sommariamente e con due foglie disposte simmetricamente sull’asse del
proprio stelo, occupa uno spazio triangolare determinato dai cerchi contigui; si trova in un tratto del mosaico in cui, o
per il limite del bordo o per un qualsiasi altro impedimento (ad esempio una base di colonna), si interrompe il
regolare corso dei cerchi.

Fig. 13: mosaico di S. Agata proveniente dalla basilica di S. Francesco, ritrovato nel XX secolo
(da FARIOLI CAMPANATI 1987, p. 133).
Intervento di rialzo strutturale ad opera dei fratelli Spreti

Tra gli anni 1476 – 1494 si ebbe un rialzo pavimentale e, contestualmente ad esso, una poderosa opera di
sistemazione architettonica che comportò il sollevamento dei pilastri e il taglio di una porzione della muratura
della navata centrale, cosicché lo spazio interno non risultasse troppo schiacciato dopo l’innalzamento. Il motivo
di tale operazione, comune ad altri monumenti ravennati, è dovuto al problema della subsidenza e della risalita
dell’acqua di falda; per arginare tale fenomeno, in antico, si ricorreva al rialzo del piano di calpestio.

Fig. 15: residuo nella navata


del rialzo Quattrocentesco
(foto dell’A.).

Fig. 14: terminazione del muro dell’arcata


e imposta del pulvino con firma dei lavori
(foto dell’A.).

Tav. IV: prospetto con le


misure del rialzo pavimentale
(da DE ANGELIS D’OSSAT
1962, p. 20).
L’ambone
Per l’ambone di S. Agata il dibattito storico - artistico si è polarizzato su di una tipologia specifica: si fa rientrare il manufatto tra quelli
definiti “a balcone”, poiché sembra che in origine avesse una base alta 1,50 m e dei gradini di accesso e di discesa su due lati contrapposti.
Alcuni autori hanno voluto avvicinarlo agli amboni ravennati di Santo Spirito e S. Apollinare Nuovo, dal momento che consta di due parti
semicircolari (che fanno da “balcone”) come quelli appena citati; rispetto a quest’ultimi, però, manca degli attacchi decorati con croci per i
corrimano delle gradinate. Inoltre, pare che il tipo tutto particolare di decorazione presente sul bordo superiore, nonché la forma in sé del
pezzo, sia molto simile a quella riscontrata per l’ambone presente nella Basilica del Foro Severiano di Leptis Magna (si veda la nota sotto).
Sulla base di tali confronti, se il manufatto di S. Agata non è reimpiegato, potrebbe allora datarsi al VI secolo.

Fig. 18: ambone di Sant’Apollinare Nuovo


Fig. 16: ambone di Sant’Agata (foto dell’A.). (da https://commons.wikimedia.org/wiki/
File:Pulpit_-_Sant%27Apollinare_Nuovo_-
Fig. 17: ambone di Santo Spirito
_Ravenna_2016.jpg).
(da http://www.edificistoriciravenna.it/spirito-santo/).

CARANZANO, 2008, p. 6“...L’edificio [la basilica romana di Leptis] era così imponente che in età bizantina venne
trasformato in chiesa, aggiungendo su un lato un altare e, su un fianco, un rozzo battistero e ricavando, infine, un
ambone per le prediche da un gigantesco capitello corinzio raccolto in città, chissà dove…”).
Il monogramma di Pietro II
Fig.19: monogramma presente sul
pulvino della seconda colonna di
sinistra (foto dell’A.).
Interpretazione e confronto
Non appena entrati in chiesa, volgendosi verso il colonnato di sinistra (quello settentrionale), si trova, inglobato nell’arcone di
rinforzo strutturale, e adeguatamente lasciato a vista in una sorta di nicchia quadrangolare, un particolare pulvino che reca sulla
superficie un monogramma.
Sono state fatte svariate ipotesi sul suo scioglimento e sulla reale appartenenza del manufatto in toto allo spazio chiesastico.
Prendendo per vera l’asserzione che il pulvino sia collegabile al presule Pietro II (494 – 519), bisogna postulare che l’attività
edilizia del vescovo si collochi nel periodo pienamente teodoriciano, quando esiste già un’altra opera che porta la sua firma,
ovvero la cappella di S. Andrea (sita nella sede arcivescovile), e quando non sono noti altri cantieri “ortodossi” in città.
I due monogrammi, peraltro, sembrano sciogliersi in maniera differente: il pulvino come “petrus episcopus”, quello della
cappella come “petrus”. Si rimanda a studi di settore per la soluzione del quesito.

Il monogramma della cappella arcivescovile

Fig. 20: il monogramma della cappella arcivescovile (da https://


www.pinterest.it/pin/672091944364242117/).
Ulteriori elementi di studio
Altri elementi architettonici, decorativi e d’arredo non verranno presi in esame in quest’analisi archeologica sugli elementi
datanti, per tutta una serie di motivi.
In primis, la chiesa è stata fortemente rimaneggiata nel corso dei secoli, soprattutto nel XV secolo, quando si rialza
considerevolmente il piano di calpestio. In tale occasione, i direttori dei lavori dell’epoca operano una pesante
ristrutturazione che comporta il probabile riutilizzo di elementi tanto provenienti dalla chiesa stessa, ma possibilmente
anche da altri luoghi a noi non noti. In secondo luogo, per alcuni manufatti, sebbene di questi si posseggano delle citazioni
nelle fonti storiche, è difficile convalidarne il nesso archeologico e letterario in maniera sicura: si pensi alla lastra tombale
di Giovanni Angelopte, collegata a modelli transadriatici di V secolo, o a quella di Agnello, probabilmente afferente al VI
secolo; entrambe queste coperture tombali sono citate da autori precedenti e sembrano avere occupato uno spazio preciso
nel luogo sacro. Tuttavia, la loro presenza attuale nel museo arcivescovile non sembra essere accompagnata da un’adeguata
memoria dell’iter di ritrovamento dei pezzi in questione. Quello che si può concludere preliminarmente, è che l’edificio
abbia effettivamente avuto origine in un periodo tardoantico, e forse a cavallo tra V e VI secolo, ma quali peregrinazioni
costruttive e quali personaggi abbiano contribuito alle sue fattezze antiche è un qualcosa di molto difficile da ricostruire.

Fig. 22: Lastra di Agnello (da CAVALLO


1984, p. 123).

Fig. 21: lastra di Giovanni Angelopte (da NOVARA


2010, p. 89).

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