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Sant’Agata Maggiore
Indagine preliminare alla luce degli scavi e degli studi
condotti nel secolo scorso
Tesina per il Corso di Archeologia e Storia dell’Arte Medievale
in Italia Settentrionale
- Ciampini (1698†): lo studioso del Seicento fornisce una data approssimativa sulla presunta realizzazione del mosaico absidale presente nella chiesa, il 400, e allude al vescovo durante la
cui reggenza si collocherebbe l’opera medesima, Esuperanzio. La datazione e l’attribuzione, tuttavia, vanno spostati al secolo successivo, quando sul seggio vescovile ravennate siede
Massimiano. Di fondamentale importanza, comunque, risulta il suo contributo per la storia degli studi sulla chiesa, dal momento che, nell’opera Vetera Monimenta, ci lascia una
testimonianza sulle fattezze del mosaico che avrebbe occupato il catino absidale: un Cristo assiso in trono, fiancheggiato dagli Arcangeli. Il resoconto del Ciampini è ancor più degno di
considerazione, poiché fu uno dei pochi a visionare l’opera in maniera autoptica, prima della sua definitiva scomparsa nel 1688, quando Ravenna fu colpita da un violento terremoto.
- Facciolli: Nella relazione sui “Lavori compiuti dall’Ufficio Regionale” del 1898, redatta da tale ingegnere Facciolli, sono riportati in maniera piuttosto dettagliata e a mo’ di resoconto
cronistorico sia le motivazioni di fondo che hanno condotto all’escavazione all’interno della navata della chiesa, sia i risultati ottenuti dopo gli interventi effettuati. L’autore esordisce con
una constatazione di fatto: il pavimento della chiesa sul finire del XIX secolo è in condizioni davvero deplorevoli, per cui urge una tempestiva manutenzione che possa conferire nuova
dignità allo stabile tutto. I sondaggi toccano una quota di – 2,80 m e riportano alla luce una porzione di mosaici che, su base stilistica e iconografica, sono stati ricondotti al V secolo d.C.
- Testi Rasponi (1915, Note agnelliane: i vescovi ravennati del 5. secolo): interessantissima la sua dissertazione sull’appartenenza cronologica della parte inferiore dell’abside fino alle
finestre: qui, materiale e metodo di costruzione sono a suo giudizio di V secolo (in accordo quindi con quel modus construendi che, protraendosi fino ad epoca teodoriciana, prevede l’uso di
mattoni frammentari uniti con calce bianca e breccia). I laterizi di Sant’Agata sono in effetti frammentari (presentano le seguenti misure, cm 41 x 31 x 7,5) e sono immersi in una malta di
calce bianca con abbondante breccia. Come riporta l’autore, se la breccia è abbondante soprattutto nelle opere barbariche, mentre è finissima in quelle imperiali, si può allora agevolmente
concludere che l’abside doveva collocarsi orientativamente tra il 476 e il 526 (da Odoacre sino alla morte di Teodorico, quando i laterizi raggiungono invece le misure di 44 x 32 x 7 cm).
- Gerola: importantissimo il ruolo rivestito dal veneto Giuseppe Gerola; la sua grande sensibilità per l’arte e la cultura in generale, senza alcuna forma di campanilismo individuale, lo hanno
portato a ricoprire cariche e ad intraprendere opere di grande impatto e risonanza per le comunità che beneficiarono del suo contributo. Tra queste, sicuramente di vitale importanza per la
storia degli studi ravennati è stato lo scavo archeologico del giardino antistante alla chiesa di Sant’Agata. La lungimiranza del Gerola ha portato il Soprintendente alla scoperta di un atrio
d’ingresso alla basilica, del tutto dimenticato dalle fonti storiche locali, nonché al rinvenimento di numerose arche sepolcrali, attualmente ancora esposte in situ (Il quadriportico di S. Agata,
1934).
- Martinelli Angiolini: l’autrice si sofferma sull’ambone presente nella chiesa, odiernamente conservato tra la nona e la decima colonna del colonnato settentrionale. È in marmo bianco,
con venature orizzontali di colore grigio – verde cupo; consta di due parti quasi semicircolari e deve avere avuto in passato una base alta 1,50 m. La tipologia “a balcone” sembra avvicinarlo
a quelli ravennati di Santo Spirito e S. Apollinare Nuovo; tuttavia, il tipo tutto particolare di decorazione ci orienta verso l’ambone presente nella Basilica del Foro Severiano di Leptis
Magna. Se questo di S. Agata non è reimpiegato, potrebbe allora datarsi al VI secolo (Amboni ravennati, 1966).
- Pasi: ulteriore conferma sulla probabile costruzione (o ricostruzione) dell’area absidale/presbiteriale nel VI sec. L’autrice evidenzia come i resti degli intradossi delle finestre dell’abside,
dei lacerti musivi conservati nelle tre finestre centrali dell’emiciclo, siano vicini a dei pattern iconografici molto diffusi nel VI secolo d.C., inserendosi questi così molto bene nel contesto di
ipotetico rifacimento della zona terminale dell’edificio nel secolo summenzionato (La decorazione musiva degli intradossi delle finestre absidali della basilica di S.Agata Maggiore di
Ravenna, 1984).
- Russo: diversi i suoi contributi sulla basilica di Sant’Agata, alcuni dei quali toccano aspetti differenti sull’immobile. In particolare, degno di nota è lo scavo condotto nell’area presbiteriale
della chiesa, alla metà degli anni 80; l’indagine ha permesso di arrivare sino al piano di calpestio antico, ad una quota di 2,10 m circa, e di rinvenire le tracce della cattedra vescovile e
dell’emiciclo dei subsellia. L’approfondimento nella zona sacra, inoltre, ha restituito tutta una serie di materiali utili all’individuazione cronologica della terminazione absidale in questione,
tra i quali numerosi tubi fittile che, sulla base della tecnica per la loro messa in opera, sono stati ricondotti al VI secolo (Scavi e scoperte nella chiesa di S. Agata di Ravenna. Notizie
preliminari, 1989; Nuovi dati per la conoscenza delle volte in tubi fittili dallo scavo della chiesa di S. Agata di Ravenna, 2003).
- Cirelli: nel suo libro del 2008, Ravenna: archeologia di una città, l’autore in questione ha gettato le fondamenta per uno studio archeologico integrale della città adriatica, nel quale
affrontare in maniera analitica e di dettaglio i resti monumentali (e non) presenti nel centro romagnolo. Tra queste vestigia del passato, uno sguardo è stato gettato anche sul complesso di S.
Agata, per il quale si sono messi in evidenza (anche tramite elaborazioni GIS), i diversi elementi cronologici che compongono l’edificio: l’abside e il quadriportico, entrambi con mattoni di
tipo giulianeo, sono quelli che maggiormente contribuiscono all’individuazione della chiesa.
Compendio storico sulla basilica
Dedicata alla martire catanese, al pari di altre due chiese attestate a Ravenna in età medioevale, la basilica di Sant’Agata
maggiore era situata a Ravenna nell’antica regio Circli, prospiciente il corso dello scomparso fiume Padenna. Mancano
sicure notizie sulla sua fondazione, ancora comunque in età tardoantica. Più che la presenza del monogramma del vescovo
Petrus (identificato dal Zirardini con Pietro II, 494-519) in un pulvino del colonnato – che può essere un reimpiego
postantico – offre più solido appiglio il richiamo del protostorico ravennate Agnello alla sepoltura del vescovo Giovanni I
(477-494), già effigiato sopra la cattedra, e forse identificabile come il fondatore della chiesa. In ogni caso la muratura
dell’abside, che utilizza nella parte superiore i mattoni allungati comuni negli edifici promossi in età giustinianea da
Giuliano Argentario, unitamente a tubi fittili nel catino, fa pensare ad un completamento della zona presbiteriale nel VI
secolo avanzato, forse durante l’episcopato di Agnello (556-569), che qui servì come diacono e fu sepolto. A quest’epoca
doveva risalire anche la decorazione musiva del catino absidale, di cui permangono miseri resti leggibili nell'intradosso
delle finestre, e che cadde durante il terremoto dell’11 aprile 1688; un fortunoso disegno del padre Cesare Pronti,
pubblicato dal Ciampini (1699), ne testimonia l’iconografia, con Cristo assiso su un trono gemmato “a lira” e
fiancheggiato da due angeli con baculum in mano, collocati su di un prato fiorito. Ancora durante il VI secolo, sulla fronte
della chiesa fu innalzato un quadriportico con loggiato interno, a racchiudere un’area con destinazione ancora non chiara
(cimiteriale o liturgica). L’aspetto attuale della chiesa di S. Agata Maggiore si deve in buona parte agli interventi attuati
alla fine del Quattrocento, quando si procedette all’innalzamento del pavimento per fare fronte alla subsidenza del terreno,
reimpostando così l’intero colonnato. Attorno a quello stesso periodo fu probabilmente eliminato anche l’antistante
quadriportico, per innalzare l’attuale campanile cilindrico (1560). Altri interventi si ebbero dopo il terremoto del 1688,
come il rialzamento dell’arcone absidale, o quello all’inizio dell’Ottocento, quando venne costruito il robusto arcone di
sostegno all’altezza della terza colonna, con aggiunta di contrafforti esterni; e ancora quello del 1892, quando nello scavo
fu esplorato il primitivo livello tardoantico (a m. 2,80): in quell’occasione fu estratto un lacerto dell’originario mosaico
pavimentale, recante motivi fitomorfi molto vicini a modelli nordafricani di V secolo. Nei restauri effettuati da Giuseppe
Gerola, fu sia liberato il presbiterio dalle suppellettili barocche, che la facciata da una serie di edifici che ne
compromettevano la leggibilità. Si intraprese uno scavo del quadriportico, del sepolcreto antistante e, alla fine di questi
lavori, si innalzò davanti all’ingresso l’attuale protiro rinascimentale, proveniente dalla vicina S. Nicolò. S. Agata, tuttavia,
ha visto anche altri interventi: quelli del 1963-64, quando furono aperte le originali finestre dell’abside, e quelli su più
vasta scala effettuati tra il 1979 e il 1989, quando ci fu il rifacimento del tetto ligneo e della pavimentazione in cotto.
L’interno della chiesa di Ravenna, come oggi si presenta pur attraverso successive alterazioni e restauri, conserva in buona
parte quella che doveva essere l’originaria spazialità dell’edificio tardoantico; la pianta è di tipo basilicale orientata, a tre
navate (spartite da arcate poggianti su colonne) e con abside di tipo ravennate (poligonale all’esterno e semicircolare
all’interno).
Topografia della chiesa in antico
La basilica di Sant’Agata Maggiore
(definita maggiore poiché nel
Medioevo, a Ravenna, vi erano altre
due chiese dedicate alla santa) sorse
nel periodo tardoantico in posizione
prospiciente il fiume Padenna (ora
scomparso, ma il cui corso è
ravvisabile nell’attuale Via Mazzini)
e in prossimità del circo cittadino (di
cui si conserva la memoria nella “via
del cerchio”, proprio sul lato
meridionale dell’edificio).
Fig. 1: in rosso la chiesa e l’area dell’ippodromo; in bianco via
Mazzini [N/S] e via del Cerchio [E/O] (elaborazione dell’A. da https://
www.google.it/maps).
Ubicazione della chiesa nella Regio dell’Ippodromo
Uno di questi cicli musivi sembra essere collegato al vescovo Giovanni Angelopte (477-494),
ritratto come protagonista di un evento miracoloso nel registro al di sopra dei subsellia
presbiteriali; l’altro invece, una volta presente nel catino absidale, ha come soggetto un Cristo in
trono affiancato da Angeli (o Arcangeli). Per affinità tecniche e tematiche con altri cicli musivi
di VI secolo, si è concluso che la suddetta raffigurazione può collocarsi nel periodo appena
citato.
Residui musivi con motivi vegetali ancora presenti negli intradossi delle finestre
dell’emiciclo, con tutta probabilità strettamente collegati alla stesura di VI secolo.
Il modello architettonico, sulla base degli scavi effettuati, si avvicina molto agli ambienti presenti nella
chiesa di S. Giovanni Evangelista, con un rimando quindi a soluzioni cantieristiche tipiche del V secolo.
Fig. 13: mosaico di S. Agata proveniente dalla basilica di S. Francesco, ritrovato nel XX secolo
(da FARIOLI CAMPANATI 1987, p. 133).
Intervento di rialzo strutturale ad opera dei fratelli Spreti
Tra gli anni 1476 – 1494 si ebbe un rialzo pavimentale e, contestualmente ad esso, una poderosa opera di
sistemazione architettonica che comportò il sollevamento dei pilastri e il taglio di una porzione della muratura
della navata centrale, cosicché lo spazio interno non risultasse troppo schiacciato dopo l’innalzamento. Il motivo
di tale operazione, comune ad altri monumenti ravennati, è dovuto al problema della subsidenza e della risalita
dell’acqua di falda; per arginare tale fenomeno, in antico, si ricorreva al rialzo del piano di calpestio.
CARANZANO, 2008, p. 6“...L’edificio [la basilica romana di Leptis] era così imponente che in età bizantina venne
trasformato in chiesa, aggiungendo su un lato un altare e, su un fianco, un rozzo battistero e ricavando, infine, un
ambone per le prediche da un gigantesco capitello corinzio raccolto in città, chissà dove…”).
Il monogramma di Pietro II
Fig.19: monogramma presente sul
pulvino della seconda colonna di
sinistra (foto dell’A.).
Interpretazione e confronto
Non appena entrati in chiesa, volgendosi verso il colonnato di sinistra (quello settentrionale), si trova, inglobato nell’arcone di
rinforzo strutturale, e adeguatamente lasciato a vista in una sorta di nicchia quadrangolare, un particolare pulvino che reca sulla
superficie un monogramma.
Sono state fatte svariate ipotesi sul suo scioglimento e sulla reale appartenenza del manufatto in toto allo spazio chiesastico.
Prendendo per vera l’asserzione che il pulvino sia collegabile al presule Pietro II (494 – 519), bisogna postulare che l’attività
edilizia del vescovo si collochi nel periodo pienamente teodoriciano, quando esiste già un’altra opera che porta la sua firma,
ovvero la cappella di S. Andrea (sita nella sede arcivescovile), e quando non sono noti altri cantieri “ortodossi” in città.
I due monogrammi, peraltro, sembrano sciogliersi in maniera differente: il pulvino come “petrus episcopus”, quello della
cappella come “petrus”. Si rimanda a studi di settore per la soluzione del quesito.