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VALENTINA FIORE

“Perché la povertà fu diletta sposa di Christo”.


Altari cappuccini in Liguria

Gli altari delle chiese francescane genovesi e liguri tra Sei e Settecento presentano
caratteristiche affini a quelli presenti nelle fondazioni di altri ordini religiosi. Si trat-
ta di strutture complesse caratterizzate da un paliotto bombato a vasca, da un uso
ricco dei materiali e da uno stretto rapporto con l’immagine scultorea.
Esempio stringente è l’altare maggiore del Santuario Minore Osservante della Ma-
donna del Monte (fig. 1), che segue il modello genovese seicentesco contrassegnato
da un paliotto rettangolare decorato da tarsie geometriche, sormontato da due gra-
dini orizzontali interrotti al centro da un tabernacolo a tempietto. L’evoluzione tipi-
ca dell’altare genovese si riscontra, senza differenze consistenti, nelle opere france-
scane: come le coeve strutture cittadine, l’altare maggiore della fondazione conven-
tuale di San Francesco d’Albaro 1 (fig. 2) presenta un paliotto a urna, sormontato da
tre gradini di grandezza crescente fra loro e limitati ai lati da angeli e teste di cheru-
bini. Si tratta del classico modello d’altare settecentesco genovese, dove l’unico ele-
mento che lo distingue come manufatto di committenza francescana è il simbolo del-
le braccia intrecciate, scolpito ad altorilievo al centro del paliotto.
Se gli altari delle chiese francescane dei Conventuali e degli Osservanti non presen-
tano una propria specificità, lo stesso non può dirsi per le strutture conservate nelle
fondazioni dei Cappuccini, la cui vocazione primaria consisteva nel vivere la Regola
di San Francesco alla lettera, secondo i più puri dettami della povertà e della spiri-
tualità francescana.
Nel rispetto di tali idee, i frati esprimono fin da subito il desiderio di lavorare su ma-
teriali diversi dal marmo e dalle pietre preziose, materiali che possano essi stessi ri-
specchiare e sottolineare i valori della povertà francescana. Diventa così il legno il
materiale privilegiato negli interni delle chiese dell’ordine, dove una serie di frati in-
tagliatori ed ebanisti dedicano il proprio tempo alla lavorazione degli arredi d’altare.
Sono le Constitutiones Ordinis Fratrum Minorum Capuccinorum, vero e proprio trat-
tato di vita spirituale, scandito dai capitoli della regola francescana, ad esprimere pre-
cise disposizioni riguardanti la struttura architettonica della chiesa e del convento,
degli arredi e delle suppellettili liturgiche, in osservanza e come manifestazione tan-
gibile dell’altissima povertà.
Le prime a fornire tali direttive sono quelle pubblicate a Venezia nel 1577, in segui-
to al Capitolo generale celebrato a Roma due anni prima, in cui i Cappuccini deci-
sero di rivedere la propria legislazione alla luce dei recenti decreti promossi dal Con-
cilio di Trento.
Nel capitolo dodici, interamente dedicato a tali prescrizioni, si legge infatti:
“Nei paramenti e panni dell’altare non si usi oro, argento né altre curiosità o pre-
ziosità e ogni cosa sia netta e monda e specialmente li paramenti sacerdotali, i cor-
porali e i Purificatori siano mondissimi e candissimi; li candelieri siano fatti al tor-
nio di semplice legno. Et guardinsi i Frati che nelle nostre cose pertinenti al culto
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Fig. 1. Giovanni e Tomaso Orsolino (?), Altare maggiore e clausura, 1628-32, marmo bianco
scolpito e marmi policromi. Genova, Santuario di Nostra Signora del Monte.

Fig. 2. Maestranze liguri, Altare maggiore, XVIII secolo, marmo bianco e marmi policromi.
Genova, Chiesa di San Francesco d’Albaro.
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divino, nelli edifici nostri, et nelle masserizie quali usiamo, non appaia alcuna pre-
ziosità o superfluità. […] Per il che dovremo attendere in tutte le cose che sono ad
uso nostro risplenda l’altissima povertà la quale ci accenda alla preziosità delle ric-
chezze celesti dove è ogni tesoro, restoro e delitiae e gloria” 2.

Le chiese cappuccine sono, così, caratterizzate da semplici arredi in legno, in netto


contrasto con le coeve chiese cittadine di età barocca.
Gli altari genovesi e liguri più antichi, databili tra il XVII e XVIII secolo, sono ese-
guiti in legno di noce, verniciato e impiallacciato, variamente incisi e intagliati, con
paliotti a forma di sarcofago trapezoidale.
Il registro superiore è occupato dall’ancona, anch’essa in legno, al cui centro si apre
la nicchia destinata ad ospitare la statua della Vergine Immacolata, inquadrata da pi-
lastri o colonne posti a quinta e terminanti in capitelli corinzi.
Il coronamento dell’altare segue i modelli correnti delle strutture genovesi settecen-
tesche; nella maggior parte dei casi, il fastigio è mistilineo con due alte volute a ric-
ciolo ai lati e una elaborata trabeazione. In alcuni contesti, come a Sestri Levante o
a Sarzana, due colonne scanalate, terminanti in capitelli corinzi, sostengono un tim-
pano spezzato, al cui centro è una piccola tela, tipologia più tradizionale e architet-
tonica.
Uno dei più antichi altari lignei che si conservano nel territorio ligure è quello della
fondazione cappuccina di Sestri Ponente, dedicata a San Martino di Tour (fig. 3).
L’altare vero e proprio fu sostituito in epoca recente, mentre la struttura dell’ancona
è ancora quella originale di pieno Seicento. Opera eseguita dallo scultore Marc’An-
tonio Poggio dopo il 1634 3, anno della consacrazione, avvenuta per mano del ve-
scovo di Brugnato, presenta al centro la nicchia destinata ad accogliere la statua del-
l’Immacolata, delimitata da due colonne scanalate, decorate nel registro inferiore da
tralci di vite, che poggiano su due alte mensole.
Sicura opera artigianale cappuccina è quella dell’altare maggiore di Pontedecimo (fig.
4), eseguito da Fra Agostino da Voirè nel 1740, con l’aiuto e l’apporto di un profu-
go francese e dietro una minima remunerazione 4. Di impostazione tradizionale, pre-
senta l’ancona con al centro la nicchia, inquadrata da due pilastri, un ricco fastigio
con angioletti reggicartiglio e un fine intaglio caratterizzato da elementi decorativi
con foglia di acanto e rose, che corre lungo tutta la struttura, il cui spazio presbite-
riale è ancora delimitato dall’originale cancellata in legno.
Più complesso ed elaborato è l’altare maggiore della Santissima Concezione a Geno-
va (fig. 5), eseguito dai frati ebanisti nella seconda metà del Settecento e consacrato
solennemente da Monsignor Lercari nel 1770, caratterizzato da una mensa a forma
di sarcofago trapezoidale, fortemente bombato su cui si alzano tre gradini di gran-
dezza crescente. Il registro superiore è occupato da un’ancona delimitata da due pi-
lastri posti a quinta e coronata da una trabeazione finemente intagliata. Ai lati della
struttura sono le due porte in legno che immettono nella zona del coro, sormontate
dalle sculture raffiguranti San Francesco e Sant’Antonio da Padova, frutto della si-
stemazione avvenuta nel corso dell’Ottocento, se Padre Oliviero nel manoscritto Ge-
nova Sacra del 1784 descrive ancora gli ovati e i dipinti presenti nello spazio presbi-
teriale 5. Nel 1769, come già era successo per il passato 6, i superiori di Roma, in se-
guito alla visita apostolica giudicarono troppo ricca la sistemazione del nuovo spazio
presbiteriale e pertanto l’ancona e l’altare avrebbero dovuto essere spostate o demo-
lite. L’intervento del Senato 7, che rivendicò la proprietà dell’altare, scongiurò tale ri-
schio, ma l’episodio conferma come il valore della povertà e semplicità degli arredi
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Fig. 3. M.A. Poggio, Altare maggiore, prima metà XVII Fig. 4. Fra Agostino da Voirè, Altare maggiore,
secolo, legno intagliato e impiallacciato. Genova Sestri, 1740, legno intagliato e impiallacciato. Genova
Chiesa di San Martino di Tour. Pontedecimo, Chiesa di Sant’Antonio da
Padova.

Fig. 5. Ebanisteria cappuccina, Altare maggiore, 1770, legno tornito, impiallacciato e intarsiato. Genova,
Chiesa della Santissima Concezione o Padre Santo.
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fosse ancora sentito alla fine del Settecento con la stessa intensità degli inizi della ri-
forma cappuccina.
Il radicamento di tali valori è altresì verificabile dalla presenza senza soluzione di con-
tinuità di tali modelli e forme per tutto l’Ottocento e oltre, come conferma la strut-
tura di impostazione tradizionale dell’altare maggiore del romitorio di San Barnaba,
realizzato nel 1866 da David Bisio 8.
Ruolo importante rivestiva il tabernacolo, centro focale di tutto l’apparato. Infatti,
come le stesse Constitutiones prescrivevano, era concessa una deroga alla Santissima
Povertà al tabernacolo, concepito come piccola casa di Dio, che, come il calice o la
pisside, era a diretto contatto con il SS. Sacramento:
“Proibiamo la recettione di qualsivoglia cosa, ancorchè minima d’oro, d’argento,
velluto e seta, eccetto il calice, la bossola del SS Sacramento, e Tabernacolo e il ve-
lo da tenere sopra il Tabernacolo” 9.

È così frequente che nelle chiese cappuccine, contrassegnate dall’austerità che deri-
va dalla semplicità degli arredi, il tabernacolo si presenti, al contrario, come struttu-
ra monumentale, sempre realizzata in legno, ma impreziosita da tarsie in pietre pre-
ziose, avorio o tartaruga 10. Nel 1646, infatti, l’ordine ottenne dalla Congregazione
dei Vescovi il privilegio di poter conservare l’eucarestia in tabernacoli di legno lavo-
rato, dando di fatto il riconoscimento a una tradizione da tempo consolidata 11.
In conformità a quanto prescriveva Federigo Borromeo nelle Instructionum fabricae

Fig. 6. Ebanisteria cappuccina, Tabernacolo, XVII secolo, legno Fig. 7. Fra Tiburzio, Tabernacolo, 1701,
intagliato e tornito. Loano (Savona), Chiesa di San Francesco. legno intagliato e tornito. Taggia (Im-
peria), Chiesa dell’Immacolata e di San
Francesco.
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et supellectilis ecclesiasticae, il tabernacolo cappuccino, seppur realizzato in legno, ha


monumentale forma architettonica a pianta centrale su base esagonale od ottagona-
le, il cui alzato è articolato su due o tre ordini con elementi sovrapposti di dimen-
sioni digradanti, con una cupoletta a bulbo che funge da coronamento, chiusa da una
croce apicale o da un Cristo 12.
Conferma l’importanza e centralità del tabernacolo nell’altare cappuccino il fatto che
fu proprio questo ordine a patrocinare la cerimonia sacra delle Quarantore, tutta in-
centrata nell’adorazione del Santissimo, durante la quale il tabernacolo, illuminato a
giorno da un notevole numero di candele, assumeva importanza capitale, diventan-
do elemento tangibile e visibile del sacrificio eucaristico.
A Genova, come lo stesso Padre Oliviero ricorda:
“nella domenica delle Palme si dà principio all’adorazione delle 40 ore, ergendosi
teatrale macchina illuminata ad olio, rappresentante in cartelloni distinti un qual-
che mistero della divina Redenzione. Sino al 1775 erano straordinarie ai Padri le
dette 40 ore, quando nello stesso anno fu dall’Ordinario collocata la Chiesa per il
tempo avvenire e per lo stesso giorno delle Palme, nel numero delle chiese per le
40 ore ordinarie della città” 13.

Uno degli esemplari più antichi e più complessi in Liguria è quello conservato nella
fondazione di Loano (fig. 6), datato a metà del Seicento ed eseguito dagli stessi fra-
ti del convento, caratterizzato da uno sviluppo orizzontale che ne evidenzia l’aspet-
to monumentale. Contrassegnato da un maggiore verticalismo è invece il tabernaco-
lo di Taggia (fig. 7), realizzato nel 1701 da Frate Tiburzio di origini corse 14. Com-
posto da legni diversi, noce, palissandro nelle colonne tortili e nelle modanature, bos-
so nelle balaustre, ebano nelle decorazioni applicate, costituisce da un lato una va-
lente testimonianza delle elevate capacità dei frati artigiani in età barocca, dall’altro
conferma gli intensi rapporti e scambi tra la Liguria e la Corsica 15.
In alcuni casi sono artisti di fama a realizzare i tabernacoli da porre sull’altare mag-
giore 16 come quello realizzato per la chiesa della Santissima Concezione a Genova
da Gerolamo Pittaluga (fig. 8). L’artista, specializzato a detta del Ratti in lavori di
piccolo intaglio e che si distinse nella produzione di questo tipo di manufatti 17, rea-
lizzò una struttura a due ordini sovrapposti con colonnine tortili e nicchie per acco-
gliere piccole statue di santi. Raffinati e rifiniti nei dettagli sono i bassorilievi rap-
presentanti scene che alludono al sacramento dell’Eucarestia: a sinistra la formella
con la Raccolta della Manna, a destra quella con l’Ultima cena, mentre al centro, in
corrispondenza dello sportello, è la formella con la Resurrezione di Cristo, sormon-
tata dal simbolo francescano delle due braccia intrecciate.
Nella quasi totalità dei casi considerati, gli altari maggiori delle chiese cappuccine so-
no dedicati alla Vergine Immacolata, che, infatti, è eletta loro patrona. La profonda
devozione mariana, che contraddistingue l’ordine dei Cappuccini, si innesta così sul
già fecondo culto per la Vergine, proprio di Genova e del territorio ligure. Sono, in-
fatti, i Cappuccini in primis a farsi portavoce della volontà di incoronare la Madon-
na Regina di Genova attraverso le parole e gli scritti di Padre Boverio Zaccaria da
Saluzzo, che nel 1636 inviava al Senato un caldo appello, accolto l’anno successivo
con la solenne proclamazione della Vergine regina della città, avvenuta in Cattedra-
le al cospetto delle più alte autorità laiche e religiose 18.
Una statua in legno dipinto raffigurante l’Immacolata è sempre posta sull’altare mag-
giore, inserita entro l’ampia nicchia, delimitata da colonne o lesene. In passato tale
immagine scultorea era visibile solamente in occasione di particolari festività liturgi-
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che; durante il tempo ordinario la scultura era nascosta da un telero o da un dipin-


to. Infatti specifica caratteristica degli altari cappuccini è la presenza di una retro-
stante contro-ancona in cui era collocato un meccanismo che permetteva, mediante
un verricello, di azionare una sorta di sipario teatrale che scendeva o si alzava davanti
alla nicchia. Questo meccanismo è ancora parzialmente conservato nelle fondazioni
di San Barnaba, di Pontedecimo e di Genova Campi, dove sono visibili i binari su
cui scorreva il dipinto 19.
Spesso il quadro che fungeva da grandioso sipario ha come soggetto la Vergine Im-
macolata 20: stessa immagine, quindi, dipinta e scolpita, a suscitare profonda devo-
zione nei fedeli.
La precisa descrizione della chiesa della Santissima Concezione fornitaci da Federi-
go Alizeri nella guida del 1846-1847 contribuisce a chiarire questo particolare aspet-
to dell’altare cappuccino. La tela che in origine svolgeva la funzione di sipario è l’Im-
macolata di Giovanni Battista Paggi, oggi conservata nel coro della stessa chiesa, men-
tre la statua lignea policroma è opera ottocentesca di Bartolomeo Carrea, che andò
a sostituire quella precedente 21:
“Il Paggi colorì per l’altare maggiore l’Immacolata […]. Non basta l’altezza a cui
è posto il quadro per occultarne i danni e i ri-
tocchi; ma poco che vi resti del dipinto è origi-
nale, parà sempre miracolo; dacchè la tela, desti-
nata a sipario della nicchia, or s’innalza, or si ca-
la a talento dei PP. nelle feste solenni. Scuopre
allora un’immagine in legno del medesimo argo-
mento, scolpita modernamente da Bartolomeo
Carrea, statua pregevole, ma non tanto che l’ope-
ra d’un Paggi debba servirle di copertolo” 22.

Allo storico preme descrivere lo spazio presbiteriale,


limitandosi ad accertare i danni subiti dalla prege-
vole tela del Paggi, che peraltro va a scoprire un’im-
magine di qualità decisamente inferiore: il giudizio
è prettamente artistico e Alizeri non sottolinea l’im-
portante valore devozionale della statua policroma
a grandezza naturale, immagine mimetica e concreta
rappresentazione del divino.
I Cappuccini allestiscono così un palcoscenico tea-
trale permanente in cui la figura della Vergine è l’as-
soluta protagonista: nelle feste attraverso un misti-
co svelamento ecco apparire l’immagine tridimen-
sionale della scultura policroma, una sorta di epi-
fania del sacro, immagine più vera del reale. Non
è infatti un caso che a moltissime di queste Imma-
colate collocate in tale posizione privilegiata si at-
tribuiscano fatti miracolosi, lacrime versate, cam-
biamenti di posture e simili, perché è l’immagine
stessa ad essere venerata sopra ogni altra cosa, es-
Fig. 8. Gerolamo Pittaluga, Tabernacolo,
sendo diretta manifestazione del divino 23. XVIII secolo, legno intagliato e tornito.
Ecco allora che tutta la struttura dell’altare è con- Genova, Chiesa della Santissima Con-
cepita come un teatro in cui le colonne o i pilastri cezione o Padre Santo.
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che vanno a delimitare la nicchia diventano fondamentali quinte teatrali e i gradini e


la mensa stessa dell’altare grandioso palcoscenico su cui si mette in scena la manife-
stazione visibile del divino.
Se tutti gli altari maggiori delle fondazioni cappuccine liguri possedevano tale mec-
canismo, oggi, per motivi di tutela e di conservazione, il dipinto è stato rimosso dal-
la ubicazione originaria.
In alcuni casi le tele hanno trovato una diversa collocazione all’interno della chiesa,
come quella del Paggi ora nel coro della Santissima Concezione, o il San Francesco
che riceve le stimmate, posto su un altare laterale della fondazione di Campi, ma la
maggior parte di queste opere è conservata oggi negli scaloni e nelle sale del Museo
dei Beni Culturali Cappuccini a Genova 24.
Ciò che accomuna tali dipinti è la sensibile usura e perdita di pellicola pittorica, spe-
cie nel registro inferiore, dovuto con tutta probabilità alla specifica funzione a cui
erano destinate tali opere; significativo è, infatti, che in talune tele è possibile osser-
vare abrasioni orizzontali a distanza regolare, causa di un possibile arrotolamento del
dipinto.
Questa tipologia di altare è tipica dell’ordine dei Cappuccini; tuttavia anche altri or-
dini, legati alla Controriforma, come i Gesuiti o gli Oratoriani, utilizzano, seppur con
minore frequenza questo meccanismo di altare a tenda 25. I Cappuccini si pongono
così accanto agli altri ordini nuovi della riforma tridentina, essendo tutti accomuna-
ti dalla capacità di utilizzare al massimo le potenzialità di persuasione e di coinvol-
gimento religioso intrinseche all’immagine.

Note
1
ROSSINI, TOZZA 2008, p. 114.
2
Constitutiones 1980, pp. 47-52.
3
FRONDONI 1984, pp. 23-27.
4
FRANCESCO ZAVERIO 1914b, p. 551. Il costo dell’intero lavoro fu di 3133 lire, come testimonia il mano-
scritto Elenco delle spese per l’ancona conservato nell’Archivio conventuale e citato da FRONDONI 1984,
pp. 23-27.
5
OLIVIERI, Genova sacra, ms. sec. XVIII, p. 165.
6
Nel 1593 il Cardinale Protettore dell’ordine dei Cappuccini avrebbe ordinato di distruggere altare e an-
cona giudicate eccedenti i limiti della povertà francescana, ma l’azione fu bloccata dall’intervento del Se-
nato. Si legge, infatti, nella cronaca del convento: “Il cardinale protettore mandò in provincia per visita-
rore il p. Mattia da Salò, il quale secondo la voce che correva veniva mandato per distruggere l’ancona e
il tabernacolo nella chiesa della SS. Concezione in Genova senza saputa del p. Generale, perché eccedenti
i limiti della povertà. Il senato ne ebbe sentore e mandò a proibirgli simile distruzione, allegandogli per
ragione che il monastero era suo”. FRANCESCO ZAVERIO 1914b, p. 252.
7
Genova, Archivio di Stato, Archivio segreto, Jurisdictionalium, Busta 3-1353. Il documento citato da Pa-
dre Zaverio nei suoi scritti di inizio Novecento non è stato reperito in questa presente ricerca. FRANCE-
SCO ZAVERIO 1914b, p. 253.
8
CASSIANO DA LANGASCO 1980, p. 10.
9
Constitutiones 1980, pp. 47-52.
10
GIEBEN 1982, pp. 233-236.
11
CAROSELLI 2000, p. 15.
12
Ibidem.
13
OLIVIERI, Genova sacra, ms. sec. XVIII, pp. 162-165.
14
TRAVERSONE 2004, pp. 28-29.
15
CERVINI 1999, pp. 52-53.
16
FRANCHINI GUELFI 2003, p. 159.
17
Di Gerolamo Pittaluga si hanno solo le informazioni tramandate dal Ratti che attesta peraltro la pater-
nità al Pittaluga di un altro tabernacolo inviato dall’artista alla fondazione cappuccina di Lisbona, dove
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tutt’ora si trova, che per molti aspetti è direttamente accostabile al manufatto genovese. RATTI 1769, pp.
290-291.
18
FRANCESCO ZAVERIO 1937, p. 25.
19
FRONDONI 1984, pp. 23-27. Tale meccanismo è visibile a San Barnaba, mentre a Pontedecimo e a Cam-
pi sono presenti i binari su cui scorreva il dipinto.
20
Esempio più importante è l’altare maggiore della chiesa della Santissima Concezione a Genova, ma an-
che nelle fondazioni di Varazze e di Pontedecimo con le tele, rispettivamente, di Simone Balli e di Orazio
De Ferrari, oggi conservate al Museo dei Beni Culturali Cappuccini di Genova, il soggetto iconografico
del dipinto era l’Immacolata.
21
FRANCESCO ZAVERIO MOLFINO 1907, p. 15.
22
ALIZERI 1846-1847, II, parte II, pp. 1064-1065.
23
Conferma il radicamento di tale prassi il fatto che ancora oggi nella chiesa della Santissima Concezio-
ne, in occasione della festa del Padre Santo, si pone davanti all’Immacolata uno dei teleri esposti in Vati-
cano nel 1964 in occasione della canonizzazione del santo capuccino: l’idea di utilizzare la struttura d’al-
tare come grandioso teatro sacro permane quindi nella pratica liturgica cappuccina fino ai nostri giorni.
24
Per fare solo alcuni esempi il Museo dei Beni Culturali Cappuccini conserva il dipinto di Domenico e
Paolo Gerolamo Piola raffigurante la Natività di San Giovanni Battista proveniente dalla chiesa di Sestri
Levante, l’Immacolata di Simone Balli e quella di Orazio De Ferrari, provenienti rispettivamente da Va-
razze e da Pontedecimo, la tela di Domenico Fiasella raffigurante una Madonna con Bambino, eseguita per
l’altare maggiore di San Francesco a Voltri, o il dipinto di Panfilo Nuvoloni, di medesimo soggetto ico-
nografico, destinato una volta alla chiesa di Finale Marina.
25
È il caso dell’altare dedicato a Sant’Ignazio di Loyola alla chiesa del Gesù a Roma, dove però l’impo-
stazione di fondo appare rovesciata: durante il tempo ordinario compare sull’altare la statua del Santo ma
in occasioni particolari scende, con un sistema di bilancieri, la tela di Padre Pozzo che rappresenta la glo-
ria e l’ascesa a Dio del Santo. DAL MAS 1996, pp. 152-153.
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