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NICOLA SEVERINO

Il Pavimento Musivo
della Chiesa di San
Cataldo a Palermo
Una fusione tra influenza romano-
cassinese e islamica
nicolaseverino@libero.it

N° 6 Dicembre
2014

COLLANA STUDIES ON COSMATESQUE PAVEMENTS


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Il Pavimento Musivo della Chiesa di San Cataldo a Palermo.

«Lungi un trar di sasso dalla chiesa dell’Ammiraglio è l’altra di san Cataldo, che oggidì
corrisponde dentro l’edificio delle poste. Al pari della prima risente questa un’influenza
quasi esclusiva del greco elemento in quanto almeno alla forma (…). Pregevole oltremodo
è però il pavimento, sì nel piano della nave che nel santuario, il quale si solleva già per
due gradini. La decorativa islamica vi fa bella pompa dei suoi variatissimi ornamenti
con quella vaghezza di intreccio e con quella simmetria di disegno che al totale effetto
mirabilmente si accorda»1. La quale descrizione, fatta da Gioacchino di Marzo nel 1858,
lascia intendere che il piccolo, ma intensamente ricco pavimento di San Cataldo, trova
quella rara e perfetta sintonia, stilisticamente e spazialmente, con l’architettura della
chiesa, tanto da poter essere sostanzialmente dichiarato originale nella sua facies, così
come fu concepita e realizzata dagli antichi marmorari che la completarono per volere di
Maione di Bari, ammiraglio di Guglielmo I, e cioè tra il 1154 e il 1160.

Fig. 1. La chiesa di San Cataldo in una foto d’epoca

1Gioacchino Di Marzo, Delle belle arti in Sicilia, dai Normanni sino alla fine del secolo XIV, Palermo, 1858,
Vol. 1, pag. 169.
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Il riquadro della navata centrale

A differenza dei tre riquadri nella navata centrale della Cappella Palatina nel palazzo dei
Normanni a Palermo e da quelli originali che compongo parte del pavimento del duomo di
Monreale, i cui disegni mostrano lineamenti stilistici di esclusiva matrice islamico-
moresca, il pannello principale che compone il pavimento della navata centrale della chiesa
di San Cataldo, che è vicinissima alle suddette chiese, mostra l’unico connubio perfetto tra
un elementi tipicamente bizantino-cassinese, come il quinconce centrale, e i lineamenti
delle fasce musive che lo circondano, con girali e losanghe di porfidi, di vago stile islamico.

Fig. 2. Il riquadro principale nella navata della chiesa

La prima osservazione che è da farsi, quindi, è proprio questa: mentre nella Cappella
Palatina, il quinconce tipicamente bizantino-cosmatesco che sta nel presbiterio si distingue
e si isola stilisticamente dal resto del pavimento delle navate, con speciale riferimento a
quello della navata centrale, in questo di San Cataldo troviamo forse l’unica vera
testimonianza originale di una fusione diligentemente voluta, cercata ed ottenuta, con il
delineare un pannello pavimentale che contenesse innanzitutto l’elemento caratterizzante
greco-bizantino, il quinconce centrale e, attorno ad esso, elementi dai lineamenti si islamici
con le figure geometriche a linee spezzate, ma fortemente contenuti e limitati dalle fasce a
girali intorno a dischi lapidei e lunghe losanghe di porfidi. Possiamo definire questo
riquadro, quindi, un pregevole ricamo di pietre intarsiate di stile prevalentemente
bizantino in cui l’elemento islamico è sottilmente reso ben percepibile, senza mai
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prevaricare, dai soli lineamenti a linee spezzate e intrecciate. Qui, infatti, il quinconce
centrale e le girali bizantine, mirabilmente sostituiscono le caratterizzanti stelle a otto
punte che invece abbondano nel pavimento delle navate nella Cappella Palatina, come nel
duomo di Monreale. E’ questa una scelta voluta, è evidente, perché il contrasto tra lo stile
islamico a linee spezzate e la dolcezza stilistica del quinconce bizantino, non fosse troppo
forte e tangibile, ma armoniosamente pacato e maggiormente vicino alla koiné musiva
bizantina. Tali, infatti, sono anche le decorazioni geometriche, eseguite con patterns di
losanghe che formano esagoni intersecantesi, che compongono le fasce interne e le
campiture invece dai lineamenti islamici, come quelli di contorno delle stelle ottagonali nei
riquadri della Palatina. Non sappiamo se tali motivi geometrici siano davvero originali o
frutto dei restauri eseguiti in epoca barocca e poi da Giuseppe Patricolo nel XIX secolo, ma
se si accetta che il disegno generale del riquadro sia rimasto fedele all’impostazione
originaria, nonostante tutti i restauri che si sono succeduti, le osservazioni stilistiche sopra
riportate rimangono comunque valide.

Il quinconce bizantino

L’elemento centrale del riquadro riveste particolare importanza per la comprensione di


questo pavimento. Esso, infatti, si discosta fortemente dai due quinconce del pavimento
della Palatina e soprattutto da quello che sta nel presbiterio in quanto molto più
importante di quello più piccolo che sta nel riquadro della navata destra, verso l’ingresso
meridionale della chiesa. Se quelli della Palatina possono facilmente riferirsi allo stile
maturo dei pavimenti cosmateschi romani della fine del XII e i primi decenni del XIII
secolo, questo di San Cataldo mostra, invece, le maggiori analogie con i quinconce più
primitivi di stile bizantino-cassinese. Esso, infatti, viene replicato, come elemento singolo,
ben nove volte nel pavimento di San Cataldo, come se l’autore della facies del pavimento
avesse voluto intenzionalmente caratterizzarne lo stile prevalentemente bizantino. E’ noto
che questa tipologia di quincunx è molto utilizzata nelle decorazioni musive parietali e
pavimentali, trovando la sua maggiore diffusione proprio nelle opere bizantine realizzate
nel Mediterraneo orientale e nell’Italia centro meridionale tra il VI e il X secolo. E’ gioco
forza, quindi, osservare che il pavimento di San Cataldo, così come si presenta oggi e per
quanto detto sopra, sembrerebbe il più antico di tutti, anteriore forse anche a quello della
Cappella Palatina e della Martorana, soprattutto in considerazione del fatto che, tra gli
altri, esso è l’unico arrivato fino a noi più o meno invariato nella sua forma originaria.
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Fig. 3. Mosaico pavimentale nei Bagni di Apolausis, V sec. d.C., Antiochia, Siria (foto J. Paul Getty Museum)

Fig. 4a.
Carinola (CE), Chiesa di
Santa Maria in Foro
Claudio, loc. Ventaroli.
Quinconce di scuola
cassinese.

Fig. 4b.
Arcone absidale nella chiesa di Santa Maria
della Croce a Casarano (Lecce), quinconce
bizantini
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Per ricordare, sebbene in tono minore, l’influsso caratterizzante islamico nel pavimento di
San Cataldo, sono state impiegate quattro stelle a otto punte nello stile tipicamente
dell’arte musiva fatimide, due delle quali intercalate fra tre quinconce disposti in fascia
orizzontale nel presbiterio e le altre due nei rispettivi primi riquadri delle navate laterali.
Questi ultimi sono gli unici che richiamano in qualche modo quelli della Palatina e di
Monreale. Nelle navate laterali, due piccole guilloche, molto più vicine stilisticamente alle
annodature bizantine che alle guilloche cosmatesche romane, separano i due riquadri
longitudinali. Le cinque fasce rettangolari tra le quattro colonne a sostegno della cupola
centrale, invece, mostrano un disegno ancora una volta espressione di una ricercata
fusione tra stile islamico e bizantino: esse si sviluppano in lunghezza tra una colonna e
l’altra, alternando e collegando tra loro ruote con tondi porfirei e rombi formati a linee
spezzate con tessere uniformi interne a forma di losanga.

Fig. 5. Lo schema del pavimento di San Cataldo (da Rosa Di Liberto, Norman Palermo:
architecture between the 11th. and 12th. century, in A companion in medieval Palermo,
Brill, Leiden, Boston, 2013, pag. 181, fig. 6.12.
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Le decorazioni musive del pavimento

Per la chiesa di San Cataldo non ho trovato una descrizione antica o un disegno che, come
per la Cappella Palatina e della chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio, mostrasse lo stato
del pavimento, i suoi lineamenti generali o alcuni dettagli dei pannelli, diverso da quello
attuale. Va da sé, quindi, che le considerazioni che si possono fare sulla sua integrità
stilistico-compositiva in relazione all’architettura della chiesa, insieme alle caratteristiche
dei materiali lapidei, oggi visibili e riconoscibili da quelli inseriti nei vari restauri,
consentono di stabilire che il pavimento di San Cataldo è arrivato fino a noi, forse caso
unico per i pavimenti musivi medievali in Italia, in uno stato che rispecchia quasi
completamente quello originario voluto dai costruttori, almeno per quanto riguarda i
lineamenti e le composizioni dei pannelli che lo formano2.
In mancanza di una adeguata e dettagliata descrizione nelle fonti storiche, i disegni
effettuati da John Singer Sargent nel 1897 e le foto di fine Ottocento e dei primi decenni
del Novecento, mostrano lo stato invariato del pavimento che rimane nella sua
conformazione originaria.

Nella pagina successiva, figg. 6 e 7, si vedono i due disegni effettuati da John Singer
Sargent nel 1897. Lo stile acquerellato non consente di apprezzare dettagli delle
composizioni musive nelle fasce che delineano i motivi geometrici dei pannelli, come anche
nelle varie campiture, ma si può facilmente constatare che il disegno del pavimento, la
posizione dei pannelli e le lastre di porfidi e serpentini che lo compongono rimangono
invariati rispetto ad oggi.

2 Nel tabellone messo davanti all’edificio e che ripercorre la storia della chiesa si legge a tale proposito: «La
pavimentazione a tarsie marmoree e lastre di porfido e serpentino, per quanto integrata da restauri, conserva
ancora sostanzialmente la sua preziosa conformazione originaria».
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Lo stato presumibilmente originale del pavimento di San Cataldo lo si evince, a differenza


degli altri litostrati musivi della Palatina, della Martorana e di Monreale, da alcune
peculiarità delle quali la più importante è quella legata alla tipologia di alcuni tratti delle
fasce marmoree che compongono i lineamenti del disegno geometrico dei singoli riquadri,
rispetto a quelle bianche normali e dalla totale assenza di fasce marmoree bianche
sovradimensionate che generalmente sono presenti negli altri pavimenti simili in qualità di
spazi divisori tra i vari pannelli impiegati.
In questa determinante caratteristica del pavimento di San Cataldo, trovano le maggiori
giustificazioni le ipotesi che ho formulato nel mio saggio Le fasce marmoree che formano
le partizioni reticolari, le rotae, le guilloche, i quinconce e i dischi dei pavimenti
cosmateschi, pubblicato in Studi sui pavimenti cosmateschi, Academia.edu, 2013. In
sostanza, la mia idea è che nelle regole compositive dei pavimenti cosmateschi originali, le
fasce marmoree che ne formano i disegni nell’insieme dei pannelli dovevano essere tutte
uniformi, nelle dimensioni, nella qualità dei marmi e, a grandi linee, anche nel colore il
quale era probabilmente quasi sempre il giallo antico nelle varie sfumature, o a volte il
rosa. Tali fasce, furono sostituite durante i vari rifacimenti e i restauri occorsi nei secoli,
con quelle meno preziose di marmo bianco integrate solo con pochi resti di quelle antiche,
e ciò è quanto si vede nella maggior parte dei pavimenti cosmateschi che ci sono pervenuti.
Molte tracce di tali fasce di giallo antico originale si possono osservare in alcuni tratti del
pavimento nel presbiterio della basilica di San Lorenzo fuori le Mura a Roma, o nei
quinconce del pavimento nella chiesa di San Benedetto in Piscinula a Trastevere, così come
molti altri resti superstiti si scorgono, in numero più o meno significativo, in quasi tutti i
pavimenti simili delle chiese di Roma, del Lazio e dell’Italia meridionale.
I significativi tratti contigui di fasce marmoree presumibilmente originali che delineano il
motivo geometrico di alcuni riquadri, permettono quindi di capire la tipologia e la qualità
di marmi e come erano impiegati nel pavimento.
Le due figure 8 e 9, della pagina successiva, mostrano molto chiaramente il concetto che ho
appena espresso sopra. Nella prima, fig. 8, si vede il dettaglio di un disco di uno dei
pannelli rettangolari stretti presenti tra le colonne centrali in San Cataldo, nella seconda,
fig. 9, si vede il dettaglio di un motivo identico nel pavimento cosmatesco ricostruito
durante il Rinascimento nella Cappella Sistina del Vaticano.
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Fig. 8-9. Sopra, San Cataldo; sotto; Cappella Sistina, Vaticano.


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La prima foto (fig. 8) mostra il dettaglio di una ruota del pavimento della chiesa di San
Cataldo a Palermo, in una immagine di Ettore Aglialoro; la seconda (fig. 9) mostra
lo stesso disegno musivo nel pavimento della Cappella Sistina. Si può osservare che le
proporzioni geometriche delle due rotae sono identiche, come lo sono anche le
caratteristiche del disco lapideo interno, la decorazione di triangolini che gira intorno e la
fascia musiva circolare che ripropone il classico motivo cosmatesco della stella a 4 punte
formata da 4 losanghe oblunghe, quadratino interno e scomposizione in elementi minori
triangolari. Evidentemente una soluzione decorativa di chiaro retaggio dell’arte musiva
antica. Ciò che diversifica le due opere è l’originalità delle fasce marmoree: di giallo antico
in San Cataldo, e di marmo bianco, risalenti al XV-XVI secolo, nella cappella Sistina. Tra
l’altro, nella prima foto si può vedere l’importante differenza tra le fasce antiche a sinistra e
quella più moderna sulla destra. Questa differenza, così chiara ed evidente in questo
confronto fotografico, costituisce un elemento di confronto imprescindibile nell’analisi
autoptica dei pavimenti cosmateschi in generale che permette, da sola, di avanzare
facilmente ipotesi sulla datazione dei pavimenti, sulla eventuale ricostruzione e sulle
caratteristiche stilistiche di ognuno di essi rispetto ad altre opere.

Fig. 10. Tratto del pavimento che conserva la maggior parte delle fasce marmoree originali.
Si notano vistosamente le integrazioni bianche dovute ai restauri.
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Per quanto riguarda la koiné delle composizioni musive nelle fasce e nelle campiture, si
può tranquillamente dire che, ad eccezione dei pochi tratti che esibiscono un motivo
continuo di stelle esagonali formate da piccole losanghe bianche, tutti gli altri patterns
sono riferibili maggiormente al repertorio maturo dei pavimenti cosmateschi, specie quelli
prodotti negli ultimi decenni del XII secolo.
Probabilmente la scelta di fasce marmoree relativamente strette rispetto a quelle
normalmente impiegate negli altri monumenti simili, è legata anche alle dimensioni della
chiesa per la quale fu concepito questo pavimento dai lineamenti delicati e dalle
composizioni musive a moduli geometrici medio piccoli, rispetto a quelli normalmente
utilizzati nei pannelli musivi dei pavimenti cosmateschi delle grandi basiliche, specie in
riferimento alle navate laterali.
Anche nella scelta del linguaggio musivo, quindi, la bottega di marmorari che realizzò
questo di San Cataldo, operò una scelta ben determinata, aperta maggiormente allo stile
bizantino rispetto a quello islamico. Forse con un maggiore riferimento all’influsso della
grande arte cosmatesca romana che nella seconda metà del XII secolo, ad opera delle
mirabili scuole di marmorari romani giunte ormai all’apice della loro notorietà e maturità
artistica, ebbe un influsso fondamentale e decisivo su tutta l’arte musiva dell’Italia centro
meridionale. La stessa romanità che si osserva nei pavimenti della Cappella Palatina, come
in quello della Martorana, d’altra parte, non fanno che confermare tali osservazioni.
A riprova di quanto appena detto, si può considerare che nei pavimenti musivi bizantini,
spesso citati dalla maggior parte degli autori come esempi fondamentali, con il tramite di
Montecassino (1071), per il passaggio a quelli specificamente cosmateschi romani,
campano-cassinesi e dell’Italia meridionale, non si osservano campiture musive in opus
tessellatum che sviluppano un così compatto repertorio di tipo cosmatesco. I pavimenti
delle chiese di San Giovanni ad Efeso, i frammenti provenienti dal mausoleo annesso alla
chiesa di Sant’Eufemia e di Yakacik a Istanbul (oggi nel Museo del Mosaico), i pavimenti
delle chiese della Koimesis a Nicea, della Nea Monì a Chios, di San Giovanni in Studio a
Istanbul, e tante altre simili, non mostrano di certo campiture e fasce musive geometriche
sviluppate nel modo che si vede nel pavimento di San Cataldo. Da ciò si deduce che con
ogni probabilità, tale linguaggio musivo sia stato derivato per influenza stilistica dalle
grandi opere pavimentali già realizzate a Roma, come in Campania (Montecassino,
Sant’Agata dei Goti, Caserta Vecchia, Capua, Teano, Carinola, ecc.) dove però manca del
tutto l’elemento caratterizzante islamico, le linee spezzate, presente invece nel presbiterio
del Duomo di Salerno, insieme ad altri caratteri musivi prettamente islamici.
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Fig. 11. La parte centrale del riquadro sotto la cupola in cui si vede una predominanza di
motivi geometrici del repertorio cosmatesco e un solo motivo, quello a stella esagonale di
losanghe bianche, più vicino all’influsso islamico.
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Fig. 12. Il riquadro sul presbiterio mostra caratteristiche abbastanza diverse da quello
centrale nella navata: i motivi geometrici sono realizzati a modulo più grande, quello delle
campiture laterali esula dal repertorio cosmatesco, gli altri sono identici; le fasce
marmoree bianche, sebbene antiche, sono diverse da quelle originali viste sopra, e hanno
dimensione leggermente maggiore. Questo riquadro, con ogni probabilità, è stato
ricostruito nei restauri del 1679 (alla cui epoca sembra potersi riferire le fasce marmoree
bianche), dovuto all’Arcivescovo di Monreale, Giovanni Roano.

Fig. 13. Tratto di uno dei rettangoli tra gli intercolumni. Si vede chiaramente quali fossero
le fasce marmoree originali (a destra e il frammento di angolo) e quelle sostituite.
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Fig. 14. Rari tratti con motivi stellari esagonali e ottagonali di influenza fatimide, ma il riquadro
centrale è un netto richiamo alla romanità cosmatesca.

Fig. 15. Il primo riquadro non ha linee spezzate ed è di influenza esclusivamente romano-cassinese.
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Figg. 16-17. Due tratti diversi a confronto del pavimento di San Cataldo. Nella fig. 16, le
tessere “galleggiano” nel letto di malta, mostrando in modo inappropriato la larga fuga. Si
tratta di una porzione di pavimento totalmente ricostruita. Nella fig. 17, nonostante
qualche ritocco, si nota molto meglio il “commesso marmoreo” con le tessere incastrate.
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Conclusioni

In definitiva, del pavimento musivo di San Cataldo si può dire che sia giunto a noi
probabilmente nella sua conformazione originaria nella quale, se le campiture musive sono
da riferirsi al lavoro dei marmorari del XII secolo, si può presumibilmente argomentare
che essi operarono sotto il forte influsso dell’arte musiva pavimentale romano-cassinese,
intendendo per “cassinese” la componente tipicamente bizantina dei lineamenti dei disegni
dei pannelli e per “romano” quella legata all’ormai maturo repertorio cosmatesco della
bottega di Lorenzo, per quanto riguarda le decorazioni geometriche delle fasce e delle
campiture. Presente, sebbene in tono minore, anche l’influenza islamica, riconoscibile nei
soli richiami a linee spezzate nel disegno dei pannelli musivi, ad eccezione di quello della
fig. 15. Tali lineamenti sono l’unico legame che accosta stilisticamente quest’opera a quelle
vicinissime della Cappella Palatina, della Martorana e del duomo di Monreale, pur
discostandosi sensibilmente da esse per quelle casualità di eventi storici che ne
preservarono in modi diversi l’originaria conformazione.
Un pavimento che esprime appieno, nelle ampie decorazioni geometriche delle fasce e
delle campiture, la maturità artistica già riconoscibile nelle opere laurenziane romane della
seconda metà del XII secolo, con le quali condivide in parte lo spirito del linguaggio
musivo consolidato sulla base della tradizione antica, e il forte carattere simbolico nell’uso
generoso dei porfidi e del serpentino, con fervore adottato a pieni voti dai re normanni
dell’epoca. Un pavimento, quindi, riferibile come datazione probabile al periodo compreso
tra il 1160 e il 1180 che è rimasto sostanzialmente inalterato nel disegno generale e che ci
insegna, insieme ad alcuni lacerti originali di pavimenti cosmateschi romani, che queste
opere venivano realizzate in origine delineando i disegni dei pannelli con fasce marmoree
colorate e non bianche che in questo caso risultano anche più strette in larghezza per
meglio adattarsi alle dimensioni contenute della chiesa. Un pavimento musivo dalla
conformazione ancora probabilmente originale, ma piuttosto rimaneggiato e restaurato in
varie epoche, maggiormente nel 1679 ad opera dell’Arcivescovo di Monreale e nel 1867,
sotto la direzione di Giuseppe Patricolo, che sembra mostrare come la componente
generale del linguaggio tradizionale musivo romano fosse così forte e consolidata anche
nella cultura siculo-araba e come si adattasse allo spirito fatimide delle opere siciliane,
nell’ambito di quella commistione di elementi stilistici sempre onnipresente e in primo
piano nei cantieri musivi palermitani normanni.
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Fig. 18. Il pavimento prima dei restauri moderni, in una foto antica Brogi.

Fig. 19. La chiesa di San Cataldo, oggi.

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