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LA BASILICA TRA TARDA ANTICHITÀ E MEDIOEVO

Maria Letizia Accorsi

La basilica di S. Croce in Gerusalemme1 viene fondata, nel iv secolo, per


volere di Costantino, entro una sala della villa imperiale degli horti Variant, un
vasto ambiente rettangolare (39,18 x 24,76 m) —percorso, su tutti i fronti, da
due file di arcate - che, all’interno del primitivo impianto (di epoca severiana),
collegava il circo e l’anfiteatro con il palazzo Sessoriano, nucleo residenziale del
complesso2. Il nuovo edificio di culto è destinato a custodire le reliquie della
Passione che, secondo una leggenda introdotta a Roma nel 4003, vengono rinve­
nute da Elena, madre dell’imperatore, durante il viaggio in Palestina, compiuto
nel 320. Dalla presenza delle memorie gerosolomitane deriva la denominazione
Hierusalem attribuita alla chiesa fino agli inizi del Mille.
Secondo la ricostruzione formulata da Richard Krautheimer, per rispondere
alle esigenze del culto l’aula del m secolo viene dotata di un’abside addossata al
fianco E-SE e tripartita mediante l’inserimento di due diaframmi trasversali aper­
ti da arcate impostate su colonne binate (identificabili con le attuali)4. Si delinea
così un impianto pianimetrico «che non trova paragoni tra le basiliche cristiane,
simile però a quello della contemporanea basilica di Massenzio e con qualche
reminiscenza forse di sperimentazioni già condotte a termine nel complesso
del Santo Sepolcro a Gerusalemme»5. Negli ambienti al di sopra delle navate
laterali sono ancora visibili i tagli eseguiti nei muri d’ambito per ammorsare i
nuovi setti trasversali, nonché alcuni lacerti di muratura, inclusi negli incassi, e
frammenti delle arcate inglobati nelle strutture medievali della navata centrale6.
Mettendo in relazione la quota di imposta degli archi (suggerita dagli elementi
in situ) con l’altezza delle colonne, Krautheimer ipotizza che il livello del pa­
vimento fosse stato rialzato di circa due metri rispetto al calpestio originario
(riconoscibile nella cappella di S. Elena). L’aula tripartita viene probabilmente 26
collegata a due ambienti laterali (navate o spazi porticati) mediante le cinque
grandi porte presenti su ciascuno dei lati lunghi del primitivo atrio, tamponate
solo in epoca più tarda7. Un corpo longitudinale affiancato al fianco S-SO della

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Fig. 1. S. Croce in Gerusalemme


(xilografia, da Franzini 1588).

chiesa compare nelle incisioni di E. du Pérac (1575), Fra Santi (1588) e Laurus
(1628)8.
Ancora Krautheimer sostiene che già dal rv secolo l’aula è collegata a una
cappella esterna (il sacello eleniano, forse primitivo Sancta Sanctorum sessoria-
no)9 mediante due corridoi affiancati alla tribuna; lo studioso ricostruisce quel­
lo di sinistra partendo da alcune tracce visibili sul muro dell’abside alla quota
di 10,80 m dal livello attuale della basilica (interpretabili come i segni lasciati da
una copertura probabilmente a botte) e identifica l’altro con il percorso curvi­
lineo visibile nella pianta 898a della collezione degli Uffizi10. Il disegno illustra
il progetto di sistemazione della tribuna elaborato nel 1519 da Antonio da San-
gallo il Giovane11. L’intervento si connota come un’operazione di adeguamento
della preesistenza alle nuove esigenze funzionali e di gusto, pertanto nel grafico
confluiscono dati di rilievo e di progetto, non sempre chiaramente distinguibili.
In particolare Krautheimer interpreta il percorso curvo che collega la cappella
al transetto destro come un elemento appartenente all’organismo tardoantico
piuttosto che come una soluzione di progetto non attuata. Viceversa Balduino
Bedini, sulla scorta di alcuni segni rinvenuti nel 1930 sul fianco esterno del
muro sud-occidentale della cappella, asserisce che, prima dell’intervento cin­
quecentesco, l’entrata al sacello avveniva unicamente dal monastero, per mezzo
di una scala ricavata nello spessore murario12. Oggi tali tracce non sono più
visibili. La ricostruzione elaborata da Krautheimer appare, comunque, la più

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La basilica tra tarda antichità e medioevo

Fig. 2. Interno della fase


costantiniana
secondo la ricostruzione
d i R. Krautheimer
(1937).

attendibile anche per la chiara analogia che essa presenta con i sistemi distri­
butivi adottati nelle catacombe e nelle cripte romane, così come nelle basiliche
costantiniane di Gerusalemme13.
La riduzione al culto di una parte della villa non compromette, tuttavia, la
sua primitiva destinazione, e l’area a est della basilica continua a ospitare gli
appartamenti imperiali abitati da Elena14; nasce così un organismo poliedrico
all’interno del quale la chiesa può aver assunto il ruolo di cappella di palazzo.
Tuttavia, l’ufficiatura palatina, più volte ribadita da Krautheimer, non si concilia,
come dice Margherita Cecchelli, con la presenza delle «più importanti memorie
della cristianità», che richiamano l’attenzione dei pellegrini determinando una
fruizione pubblica incompatibile con il servizio religioso della corte15. Probabil­
mente il nascente organismo religioso viene pure dotato di un battistero che gli
archeologi identificano con i resti di una sala absidata adiacente alla cappella, ba­
sandosi sulla presenza di una vasca circolare quasi completamente sepolta sotto
un braccio del chiostro quattrocentesco. Il presunto fonte battesimale è visibile
all’interno dell’intercapedine scavata nel 1907 per deumidificare i muri del sa­
cello situato due metri più in basso rispetto al livello pavimentale degli ambienti
e spazi limitrofi che hanno assunto, nel tempo, una quota di calpestio superiore
a quella originaria. «Un documento, in particolare, [... ] a firma dell’ispettore
dell’Ufficio Tecnico per la Conservazione dei Monumenti, fa presente che nel
corso dei lavori di sterro sono stati rinvenuti [...] alla profondità di m. 4,45 dal
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piano del portichetto cinquecentesco, alcune lapidi e sostruzioni a mattoni di


epoca romana ed un avanzo di opera circolare a mattoni a guisa di vasca rivestita
all’esterno con lastre di marmo fissate con spranghette di metallo. [...] Nella
intercapedine sottostante al portichetto in isquadra si rinvenne pure una tomba
in muratura, coperta con tegoloni alla cappuccina, di epoca Cristiana»16.
Nel 1996 «eseguendo una pulitura ai lati del bacino si è posto in luce un resto
di piano pavimentale in marmo colorato. Un approfondimento dello scavo nel
vano del battistero ha poi rivelato un suo precedente uso termale. È stata infatti
ritrovata ampia traccia di un piano di bipedali sul quale poggiavano le suspen-
surae. Così si sono anche potuti spiegare i sistematici scassi visibili sulle pareti
che furono eseguiti per inalveare lo scorrimento dell’aria calda e sono stati rin­
venuti anche resti di tubuli fittili per la conduzione dell’aria17. È risultato chiaro
che, una volta deciso il cambio di destinazione d’uso dell’ambiente, si eliminò
il pavimento precedente, le sottostanti suspensurae e i bipedali sui quali esse
poggiavano e si riempì con pezzame e malta fino alla quota stabilita per il piano
di calpestio del battistero. Questo piano è perfettamente riferibile alla soglia
della porta che mette in comunicazione la cappella delle reliquie con l’aula bat­
tesimale. La testimonianza di tale operazione si può osservare nella sostruzione
di pezzame e malta della vasca che poggia direttamente sulle tracce del piano
in bipedali. Le pareti dell’ambiente poi dovettero essere foderate di marmi, il
cui allettamento è evidente nella parete sinistra del battistero in comune con la
cappella di Sant’Elena. Ultimo elemento importante, emerso durante recentissi­
me ricognizioni, riguarda la traccia della porta principale del battistero, perfet­
tamente allineata con quella principale della cosiddetta cappella di Sant’Elena
[...] e che si apriva, come quest’ultima, sulla prosecuzione del muro laterale
sinistro della basilica. L’attenta osservazione dell’allestimento dei due ambienti,
quello delle reliquie e quello battesimale, e soprattutto i riferimenti delle quote,
rendono ormai plausibile la programmazione in contemporanea dell’edificio di
culto e del battistero, a simiglianza anche con quanto si fece in oriente e special-
mente in Palestina da parte di Costantino e della stessa Elena»18.
Ulteriori indizi circa la configurazione degli ambienti un tempo attigui alla
cappella sono forniti dalla risega di un pavimento e da un sepolcro con apertu­
ra frontale, entrambi visibili nel tratto sud-occidentale dell’intercapedine. Essi
rivelano l’esistenza di uno spazio destinato alla sepoltura, il cui uso risulta com­
promesso dalla costruzione del sovrastante portichetto, che Tornei attribuisce
al periodo rinascimentale19. Francesco Tornassi delinea due fasi di sviluppo di
questa area cimiteriale (verosimilmente all’aperto), basandosi sui risultati delle
indagini condotte nel 1996 dalla Cattedra di Archeologia Cristiana dell’Uni­
versità di Roma. La prima fase è rappresentata da un «raro esempio di tomba
in muratura a due piani» con il tetto conformato a uno spiovente, addossata
alla parete s della cappella, accanto al presunto ingresso principale. A questa
sepoltura privilegiata si relazionano alcuni lacerti di un pavimento (in pezzame

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di laterizio) distrutto per realizzare una serie di fosse terragne con copertura a
cappuccina. Il modesto corredo funerario rinvenuto in una delle quattro tombe
scavate è databile al vi-vn secolo. L’autore attribuisce alla seconda fase anche
la chiusura dell’originario accesso alla cappella20. Tuttavia, la presenza di que­
sta apertura, già segnalata da Cecchelli, non si concilia con alcuni dati emersi
durante i «lavori di consolidamento e restauro di affreschi, stucchi, tempere,
materiali lapidei» (1998), promossi dalla Soprintendenza per i Beni Ambientali
e Architettonici di Roma, all’intemo della cappella di S. Elena. In particolare
la rimozione dell’altare ha rivelato un’ulteriore porzione di pavimento cosma­
tesco, sottoposto ai gradini dello stilobate, che giunge a delimitare uno spazio
rettangolare di 2,34 x 1,12 m (pari a 10 palmi e mezzo x 5), posto a ridosso del
muro romano e simmetrico rispetto alla mezzeria dell’aula. Una volta eliminato
il materiale di riporto che riempiva il riquadro (profondo solo 11 cm) è apparso
un fondo pavimentale privo di rivestimento e caratterizzato dalla presenza di
due buchi circolari (con il diametro pari a 24 cm, profondi 12 cm e con inte­
rasse pari circa a 2 m) collocati a una distanza di 40 cm dal muro. La ridotta
dimensione delle cavità fa pensare alle buche per l’alloggiamento di elementi
pertinenti all’apparato decorativo di un precedente altare o edicola. Il muro ro­
mano che delimita l’invaso è a filo con la parete della cappella e risulta tagliato,
in senso orizzontale, a 39 cm da terra; pertanto, sul piano di sezione si distin­
guono chiaramente i laterizi di forma triangolare annegati nel conglomerato
cementizio. Questa ‘ferita’ sembra denunciare l’opera di demolizione effettuata
per ricavare il vano dell’altare entro lo spessore murario. Inoltre, sulla porzione
di cortina rinvenuta sopravvive ancora un lacerto di intonaco (spesso 2,8 cm)
dove è dipinta una fascia basamentale riferibile al livello del pavimento più bas­
so. Questi dati escludono la presenza di un’apertura coeva alla costruzione del
muro (di epoca severiana), ma forse anche successiva, poiché la quota di una
eventuale soglia non coincide con nessuno dei piani pavimentali.
Durante il medesimo intervento di restauro, il distacco (dalle pareti) dello
zoccolo marmoreo basamentale, alto 1,50 m, ha rivelato la presenza di brani mu­
rari differenti lungo il perimetro del vano. Queste informazioni, non segnalate
da Krautheimer, che pure ebbe modo di vedere le pareti quando, nel 1935, «fu­
rono scrostate per essere ridipinte»21, permettono di riconsiderare il confronto
tra la pianta dello stato attuale e i due prospetti della cappella delineati sul
foglio 1800a della collezione degli Uffizi22. Questi disegni registrano le aperture
in posizione diametralmente opposta rispetto a quella indicata da Krautheimer,
pur qualificandosi come elaborati di rilievo, viceversa trovano corrispondenza
con gli ultimi dati acquisiti21. Tuttavia per effettuare qualsiasi ipotesi sarebbe
necessario proseguire le ricerche nel tentativo di chiarire il mutevole rappor­
to instauratosi nei secoli tra la cappella e gli ambienti limitrofi: l’antecappella,
l’aula absidata e la cripta un tempo esistente al di sotto dell’abside, rinvenuta
nel 1750. Difatti, quando si scavò il sepolcro per il cardinale Firrao, dinanzi

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Fig. 3. Sezioni
longitudinali
della fase romanica
e settecentesca
(da Varagnoli 1993).

all’altare maggiore, «[...] si conobbe, che anche questa basilica aveva la sua
confessione fatta, o almeno ristorata dai PP. Benedettini; mentre scavando si
trovarono a giusta distanza due muri, in uno dei quali era dipinto S. Benedetto
involto nelle spine e nell’altro S. Lorenzo sulla graticola»24.
I benedettini entrarono a S. Croce nel 1049 e vi rimasero poco più di dieci
anni25. Fino alla fine del xix secolo gli studiosi erano concordi nel ritenere che
la divisione in tre navi della basilica costantiniana fosse opera di Gregorio n. In
tale senso si esprimono Lanciani, Hübsch, Platner-Ashby e Stegensek; viceversa
Biasiotti e Pesarini, nel 1913, attribuiscono la realizzazione del nuovo impianto
a Lucio il, analizzando i caratteri costruttivi e le fonti storiche26. I lavori intra­
presi dal cardinale Gherardo Caccianemici, prima di salire al soglio pontificio
col nome di Lucio n, obbediscono alla volontà di adeguare l’antica chiesa allo
schema basilicale canonico, in linea con l’atteggiamento che caratterizza l’atti­
vità edilizia a Roma tra xi e xn secolo27. Per mancanza di spazio non fu possibile
attribuire alla nave di mezzo una larghezza pari al diam etro dell’abside. Si ot­
tenne quindi una configurazione simile a quella dei SS. Q u a ttro Coronati.
Sopra gli intercolumni fu inserita una fila di finestre arcuate (visibili nel sot­
totetto delle navate laterali) che sembra alludere alla presenza di un loggiato:
un finto matroneo, sicuramente non praticabile per m ancanza di corpi scalari.
Altre due finestre, pure arcuate, si affacciavano sul transetto. Queste aperture
filtravano la luce diretta proveniente dalle monofore strette e lunghe e dagli

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oculi ricavati alternatamente nei muri di tamponamento dei vani dell’aula ro­
mana. La copertura, a capriate a vista, si è conservata intatta sopra la volta
lignea settecentesca che copre la nave maggiore. Sei doppie incavallature po­
ste in corrispondenza delle colonne ne costituiscono l’ossatura principale. Esse
poggiano tutte sopra mensole di svariato disegno. Al sommo della nave centrale
e lungo i muri longitudinali correva una decorazione ad affresco, parzialmente 28-J
distaccata negli anni Sessanta per essere conservata nel museo allestito all’inter- 34--
no del monastero28.
Le trasformazioni del xn secolo coinvolsero anche l’esterno della fabbrica.
Numerose incisioni mostrano la facies della basilica prima dei restauri promossi
da Benedetto xiv. Dinanzi alla facciata venne eretto un portico sul quale correva
una galleria, secondo una tipologia che si trova anche nella basilica celimontana
dei SS. Giovanni e Paolo e in S. Maria in Cosmedin. Il portico, distrutto du­
rante i restauri settecenteschi, «era largo palmi 28 e longo palmi 86, compreso
però il sito occupato dal bellissimo campanile da una parte, e dalla cappella del
Crocifisso dall’altra [...] era quest’atrio sostenuto da 4 colonne di granito nel
mezzo, e da due di cipollino alle estremità, con sue basi, e capitelli, sopra dei
quali s’appoggiavano sette architravi, che reggevano il muro di fronte ornato
con le Armi d’alcuni Pontefici, e Cardinali dal tempo in tal guisa consunte che
non si è potuto scoprire di chi fossero [...]. Il pavimento era di mattoni inter­
rotti con lastre di travertino, e tutt’intorno vi erano dei sedili di marmo per co­
modo de’ divoti, che visitavano questa basilica»29. Dietro l’atrio settecentesco è
ancora visibile una porzione della facciata medievale con i vani che davano luce
all’aula romana richiusi lasciando nel mezzo finestrelle strette e lunghe alternate
ad altre tonde (così come avvenne sulle pareti laterali).
Sulla destra svetta la torre campanaria, di pianta quasi quadrata, parzial- 23
mente incorporata nella fabbrica chiesastica. Il fianco di levante e quello di
mezzogiorno si elevano al di sopra di muri romani preesistenti, mentre gli altri
due lati sono del tutto medievali. Oggi l’opera appare alterata dai tampona­
menti di molte aperture. In origine aveva quattro piani di finestre (tre in alto a
doppie bifore colonnate e un quarto, verso il basso, a doppie monofore) e uno
inferiore scandito da due monofore cieche, tagliate da strette feritoie. Un primo
restauro si può far risalire alla fine dell’esilio avignonese (1370 ca.). L’intervento
consistette nell’occlusione delle monofore del primo piano e nella chiusura par­
ziale delle bifore dei piani superiori, che furono così ridotte a monofore. Sulle
murature di tamponamento si ebbe cura di far proseguire le comici minori dei
pilastri angolari, mentre nelle riempiture più tarde dei fianchi di mezzogiorno e
di settentrione non si ebbero tali preoccupazioni. «Il campanile appare sovrac­
carico di cornici: i grandi cornicioni divisionali sono condotti secondo il model­
lo romano a sette aggetti progressivi, lo stesso motivo, sebbene in proporzioni
ridotte, si ripete nelle cornici minori mediane a ciascuna zona, infine, un’altra
filettatura a listello ritorna più in basso»30.

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All’interno della torre vi erano due volte a crociera: una in basso, posta a
copertura della cappella dedicata a san Giacomo di Compostella, ricavata al
piano terreno31, e una in alto al disotto del tetto. Quest’ultima appariva già
distrutta nel 1927; la prima, invece, fu demolita per far posto alla struttura in
cemento armato realizzata negli anni Cinquanta per ingabbiare e consolidare le
murature52.
L’opera di Lucio il viene portata a compimento dal nipote: il cardinale ti­
tolare Ubaldo Caccianemici. Nel 1145 il prelato promosse la realizzazione del
?5 ciborio e del pavimento, entrambe opere dei maestri cosmati; l’uno è andato
distrutto durante gli interventi settecenteschi, l’altro è stato ampiamente rima­
neggiato33. Il «ciborio di marmo bianco [era] sostenuto da quattro colonne, non
già di porfido», come scrive Ciampini, «bensì due di Breccia, e due di Porta
santa [...]. Detto ciborio si divideva in tre piani, il primo de’ quali era quadra­
to, e veniva formato dalli quattro architravi di marmo bianco [...]. Il secondo
piano era ottangolare, e più stretto sostenuto da piccole colonnette di marmo,
ed il terzo ancora più stretto, ed anche questi formato con colonnette di marmo.
Finalmente sopra questo piano s’innalzavano otto lastre pure di marmo, le quali
restringendosi alla cima sostenevano ima palla ottangolare, in cui era fissata una
croce di ferro»34. «Tutto il pavimento della chiesa, eccettuatane quella parte
della nave maggiore, in cui anticamente eravi il coro, come pure il pavimento
della tribuna, era formato, come sogliono dir li Latini, opere tassellato, cioè
composto di vari piccoli pezzetti di pietra di diverso colore con singolare artifi­
cio tra loro uniti, e da sito a sito per maggior consistenza, e fondatezza con lastre
di marmo interrotti»35.
I primi rimaneggiamenti risalgono al 1544, quando Bartolomeo della Cueva
rifece la pavimentazione del presbiterio e gli scalini per sabre al coro36. Succes­
sivamente, durante i restauri condotti da Benedetto xiv, «il pavimento è stato
[...] risarcito, e molto migliorato, massime in quella parte della nave di mezzo,
dove anticamente eravi il Coro, la quale essendo prima coperta di rozze lastre
di marmo, presentemente è resa simile al rimanente»37. Durante le reintegra­
zioni settecentesche vennero impiegati anche i resti del demolito ciborio, suc­
cessivamente riconosciuti da Rodolfo Lanciani (1894), «cavati dal pavimento»
e collocati nel corridoio a sinistra dell’abside38. Un lacerto di opera cosmatesca
si conserva anche di fronte all’altare della cappella di S. Elena: la restante parte
del pavimento, un tempo realizzata in mattoni interrotti da lastre di travertino,
oggi è rivestita con mattonelle di cemento colorato donate dal capitano Hertz,
dell’esercito ungherese, nel 185439.
Al rinnovamento della chiesa, promosso da Lucio II, segue l’ampliamento del
monastero avvenuto alla fine del xrv secolo con lo stanziamento dei Certosini.
I monaci avviano una vasta campagna di adeguamento delle antiche fabbriche
7 alle esigenze della vita claustrale. L’impianto della Certosa è visibile nelle piante
di Vincenzo da Casale databili intorno al 1575 circa40.

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