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04.

Individuare uno dei cosiddetti "generi minori" e ripercorrerne le fasi di evoluzione fra
Cinque e
Seicento.
Uno dei generi minori è la pittura di paesaggio. Giustiniani indica due livelli di pittori di paesaggi:
quelli italiani che dipingono dettagli senza diligenza, e quelli fiamminghi che cercano di rendere nel
dipinto la naturalezza del paesaggio. Quella produzione artistica che da Vasari era considerata di
poco pregio, adatta alle case dei ciabattini o alle camere delle donne. Tra i pittori italiani di paesaggi
Giustiniani annovera pittori come Tiziano, Raffaello, Caracci e Caravaggio. Questi ultimi due
pittori ritornano poi nel dodicesimo grado, grazie alla loro capacità di combinare la pittura del reale
con la pittura di fantasia. Già la posizione di Giustiniani è portavoce di un cambiamento di
concezione, poiché i grandi maestri, per essere tali, devono saper rappresentare anche i soggetti
meno sublimi. Alla fine del Cinquecento i paesaggi sono sempre più presenti nelle grandi collezioni.
Ricordiamo che tanta e tale è la fortuna di questo genere che a Roma si stanziarono i fratelli Brill
che aprirono una loro bottega, diventano sempre più richieste le opere di Dosso e Garofalo che
combinano il paesaggio nordico a quello veneziano. E’ opportuno considerare che la rivalutazione
di questo genere non è stata immediata: infatti se da un lato Brill dona vitalità a queste realizzazioni
di paesaggi, dall'altro lato si tratta comunque di tele di piccolo formato.

05. Portare un esempio di dispersione di una collezione


Con la devoluzione nel 1598 e il reintegro di Ferrara tra i possedimenti papali, le opere della
collezione estense vennero convogliate in toto nella collezione Aldobrandini e rimasero fino al 1633
nella capitale a disposizione di tutti quegli studiosi che vollero ammirarle. La permanenza a Roma
di queste tele fece sì che si delineasse quella corrente neoveneta alla base del Barocco. E’ stato
inoltre dimostrato che “Il Baccanale degli Andrii”, insieme a “L’offerta a Venere”, vennero nel 1621
passati al cardinale Ludovico Ludovisi da Olimpia Aldobrandini, e a loro volta ceduti nel 1633 a
Filippo IV di Spagna in occasione del conferimento del Principato di Piombino. Le opere di Luca
Giordano risentono dell’influenza dei baccanali che lui ebbe modo di visionare probabilmente negli
anni in cui le tele rimasero a Napoli.

06. Scegliere un'importante collezione del Seicento e delinearne le principali caratteristiche

10. Sintetizzare le fasi evolutive i personaggi attivi nella composizione di una collezione a tua
scelta.
La capostipite della collezione dei Gonzaga è Isabella D’Este, marchesa di Mantova e moglie di
Francesco II D’Este. Dopo di lei, Federico II ampliò la quadreria aggiungendo alla collezione
quadri di Tiziano e di Giulio Romano e altre tele fiamminghe. Il successore Francesco III non
apportò nessuna aggiunta alla collezione. Guglielmo I riteneva che l’arte portasse maggiore
prestigio alla sua casata, motivo per cui diede nuovo slancio all’attività collezionistica. Il figlio
Vincenzo I, grande viaggiatore, aveva ammirato le più grandi collezioni europee e continuò l’opera
del padre. Egli riuscì a portare alla sua corte ritrattisti come Pourbous e Rubens. Sempre alla ricerca
del bello, Vincenzo è famoso anche per la ricerca e per la collezione di pietre preziose, che poi i
suoi artigiani lavoravano e montavano in preziosi gioielli. Vincenzo si impegna a collezionare
grandi opere il cui obiettivo era proporre un compendio della storia pittorica a qualsiasi costo, anche
confiscandoli dalle Chiese. Quando salì Ferdinando, si trovò a dover sistemare in maniera organica,
seguendo un criterio “museale”, un patrimonio vasto e pregiato. I vari nuclei tipologici vennero
separati in diversi ambienti. Il centro nevralgico della disposizione era il “logion serrato”, l’attuale
Sala degli Specchi, dove erano custodite le opere dei maestri antichi con dipinti di Raffaello e
Giulio Romano. Per l’acquisizione di nuovi pezzi Ferdinando si rivolse a Roma e Parigi, i nuovi
centri artistici emergenti. La fama della collezione estense raggiunse tutte le corti d’Europa, che
inviavano emissari per valutarne l’entità. Nel 1627 una cospicua parte della collezione fu venduta a
Daniel Nys per conto di Carlo I Stuart. Qualche mese dopo l’irruzione dei Lanzichenecchi
determinò la dispersione di tutte le opere dei Gonzaga.

07. Sintetizzare l'evoluzione degli "spazi" dedicati al collezionismo privato

08. Delineare sinteticamente l'evoluzione degli spazi in cui, nel corso dei secoli, si allestirono le
raccolte
private

11. Ripercorrere l'evoluzione degli spazi del collezionismo dall'epoca Medievale al Seicento.
Lo Studiolo nasce come uno spazio, un rifugio in cui l’intellettuale si può dedicare alla lettura e alla
riflessione. In esso si ripongono gli strumenti necessari allo studio e piccoli oggetti d’arte che lo
rendono un piccolo museo privato. Qui il sapiente gode della “solitudo”, condizione che eleva a Dio
e pertanto presupposto fondamentale per ogni attività creativa. Fondamentale nello studiolo è la
presenza di una finestra che permette il contatto con la natura, altro elemento imprescindibile per
l’intellettuale. Se per tutto il Trecento lo studiolo aveva una valenza religiosa e mistica, poiché gli
studiosi a quel tempo erano quasi esclusivamente ecclesiastici, durante il periodo dell’Umanesimo e
del Rinascimento si afferma anche nei palazzi nobiliari come stanza dove conservare le raccolte
degli umanisti. Mantiene ancora una forte connotazione privata, perché di solito è situato nei settori
più segreti degli edifici. Frequente era la presenza di interi cicli decorativi con significati nascosti.
Lo Studiolo si trasforma in camerino, esprimendo il piacere dell’esposizione delle opere preziose lì
racchiuse. Esso assume un carattere museale, rispondendo non più ad una esigenza religiosa, bensì
ad una tendenza più libera e pagana, si afferma la volontà di esposizione e condivisione delle
proprie raccolte. Uno degli esempi più noti è rappresentato dallo Studiolo di Isabella D’Este,
raccolta in cui ogni elemento costituiva un tassello fondamentale del messaggio della filosofia
platonica. Un altro Camerino degno di nota è quello di Francesco De’ Medici, a cui si accedeva
dalla stanza del Duca. Questa stanza fu ideata come un guardaroba privato di cose rare e preziose.
La galleria, come lo studiolo, riflette la mentalità umanistica di volontà di esposizione e di
godimento delle opere d’arte e degli oggetti preziosi. Le sue origini sono incerte: alcuni studiosi
ritengono che sia nata in Francia, o dall’eliminazione della suddivisione in stanze dei castelli
francesi, dando così vita ad uno spazio vasto e allungato, o dalla copertura degli ambulacri ad arcate
a causa del clima rigido; lo studioso Julius von Schlosser ritiene invece che si tratta di uno spazio
architettonico tutto italiano. Generalmente riconosciuta è la sua origine quale corridoio di
passaggio, di collegamento rispetto a porzioni di edifici e richiedevano cicli decorativi. Le gallerie
nascono per rispondere al desiderio di esposizione del proprio patrimonio artistico e pertanto le
gallerie erano aperte agli ospiti e selezionati visitatori. Le Gallerie divennero sempre più vaste, fino
a giungere alle vaste dimensioni di Fontainbleu. Si tratta di un corridoio di collegamento tra due ali
del palazzo, libero su entrambi i lati, che riceve luce dalle finestre poste su entrambi i lati.
Sull’esempio di Fontainbleu anche in Italia si realizzano le prime gallerie, dove esporre le proprie
collezioni.

09. Sintetizzare gli argomenti principali trattati nel testo a scelta studiato in preparazione
dell'esame
mettendoli in relazione ai temi affrontati in questo corso

25. Sintetizzare in maniera critica e quanto più possibile esaustiva i temi cardine affrontati nel
libro a
scelta in programma
Francis Haskell, nella suo studio “Mecenati e Pittori, Studio sui rapporti fra arte e società italiana
nell’arte barocca”, impronta un metodo di studio della storia dell’arte del tutto nuovo:
emancipandosi da uno studio vasariano fatto solo di pittori e opere, Haskell sottolinea l’importanza
che ha il contesto sociale nello sviluppo e nella fortuna di una certa corrente artistica e di un singolo
autore. La storia dell’arte si evolve, si intreccia indissolubilmente con i legami sociali, le aspirazioni
individuali e collettive, con le logiche di mercato. Queste importantissime novità sono state accolte
dagli altri studiosi che con questo metodo hanno analizzato altri periodi storici. L’analisi delle
singole collezioni proposta da Haskell aiuta ad analizzare così anche le personalità dei collezionisti,
che nell’ottica vasariana avevano un rapporto marginale, ma che secondo Haskell sono i fulcri
attorno cui ruota l’arte barocca.
LA prima parte del Libro di Haskell parla del mecenatismo artistico nella Roma del Seicento.
Haskell dedica un intero capitolo al pontificato di Papa Urbano VIII che pose l’arte al servizio del
suo potere, contribuendo all’affermazione del Barocco come stile della teatralità, dello stupore e
della meraviglia. Haskell non mancò di rimarcare anche l’apporto dato dai nuovi ordini religiosi, I
Gesuiti, gli Oratoriani, i Teatini. Essi ottennero col passare del tempo sempre più l’appoggio papale.
Anche loro contribuirono alla ristrutturazione diRoma di quegli anni, ma le loro imprese, a causa
della scarsità di fondi, impiegarono decenni e, in alcuni casi, dovettero ricorrere ad espedienti per
ultimare la chiesa.
L’analisi critica proposta di Haskell non manca di analizzare anche l’evoluzione del mecenatismo
privato, ma soprattutto l’ampliamento del pubblico interessato alle produzioni artistiche: infatti
anche esponenti di ceti medio bassi acquistavano tele da esporre nelle loro botteghe o raffigurazioni
di Santi da appendere in casa con lo scopo di proteggere i membri della famiglia.
In ultimo Haskell analizza la fine di questo periodo d’oro e lo fa coincidere con il pontificato di
Innocenzo X e la sua predilezione accordata alla Spagna. Già questa scelta implicava il ripiego ad
un gusto artistico diverso da quello fino ad allora imperante.

12. Mettere a confronto due importanti collezioni di cui ben conosci il profilo e la storia
La capostipite della collezione dei Gonzaga è Isabella D’Este, marchesa di Mantova e moglie di
Francesco II D’Este. Dopo di lei, Federico II ampliò la quadreria aggiungendo alla collezione
quadri di Tiziano e di Giulio Romano e altre tele fiamminghe. Il successore Francesco III non
apportò nessuna aggiunta alla collezione.
Guglielmo I riteneva che l’arte portasse maggiore prestigio alla sua casata, motivo per cui diede
nuovo slancio all’attività collezionistica. Il figlio Vincenzo I, grande viaggiatore, aveva ammirato le
più grandi collezioni europee e continuò l’opera del padre. Egli riuscì a portare alla sua corte
ritrattisti come Pourbous e Rubens. Sempre alla ricerca del bello, Vincenzo è famoso anche per la
ricerca e per la collezione di pietre preziose, che poi i suoi artigiani lavoravano e montavano in
preziosi gioielli. Vincenzo si impegna a collezionare grandi opere il cui obiettivo era proporre un
compendio della storia pittorica a qualsiasi costo, anche confiscandoli dalle Chiese. Quando salì
Ferdinando, egli si trovò a dover sistemare in maniera organica, seguendo un criterio “museale”, un
patrimonio vasto e pregiato. I vari nuclei tipoligici vennero separati in diversi ambienti. Il centro
nevralgico della disposizione era il “logion serrato”, l’attuale Sala degli Specchi, dove erano
custodite le opere dei maestri antichi con i dipinti di Raffaello e Giulio Romano. Per l’acquisizione
di nuovi pezzi Ferdinando si rivolse a Roma e Parigi, i nuovi centri artistici emergenti. La fama
della collezione estense raggiunse tutte le corti d’Europa, che inviavano emissari per valutarne
l’entità. Nel 1627 una cospicua parte della collezione fu venduta a Daniel Nys per conto di Carlo I
Stuart. Qualche mese dopo l’irruzione dei Lanzichenecchi determinò la dispersione di tutte le opere
dei Gonzaga.
Un’altra collezione importante è quella dei Medici. Già a partire da Cosimo Il Vecchio si approda
ad una concezione prettamente rinascimentale del collezionismo basata sul riconoscimento del
valore dell’antico.
Nello specifico, l’apprezzamento della civiltà ellenica portò al recupero di oggetti preziosi e reperti
di diversa natura, collezionati per interesse culturale: raccolse diversi codici che costituirono il
nucleo principale della futura Biblioteca Laurenziana, e fece adibire la camera grande a pian terreno
del palazzo Medici-Ricciardi per ospitare le collezioni di famiglia. Se Cosimo diede inizio alla
raccolta medicea, fu Piero che diede un grande sviluppo alla raccolta non solo con dipinti e sculture,
ma anche grazie a codici miniati ì, gioie e cammei. Piero fece realizzare uno studiolo di inestimabile
pregio nelle stanze più appartate dell’edificio, all’interno del quale erano esposti oggetti pregiati.
L’apice della raccolta fu raggiunta da Lorenzo il Magnifico. La sua profonda sensibilità artistica,
l’amore per gli stilemi classici e la sua conoscenza archeologica lo portarono a reperire pezzi di
pregio, a cui per la prima volta nella storia vennero apposti sigilli che testimoniavano
l’appartenenza alla sua collezione. Egli si impegnò ad incrementare la collezione con preziosi
cammei. Lorenzo fondò la Scuola “Giardino di San Marco”, un’istituzione volta ai giovani allievi,
dove le antiche sculture del principe venivano esposte con fini didattici accanto a disegni e cartoni
di artisti contemporanei. Gli storici ravvisano in questa istituzione la nascita del primo museo. Il
Granduca Cosimo I pose fine a quei barlumi repubblicani quattrocenteschi per dare vita ad una
Signoria: l’arte pertanto doveva esprimere i fasti della casata e legittimare il potere appena assunto.
Le raccolte sopravvissute alle confische vennero trasferite al Palazzo Vecchio e situate all’ultimo
piano dell’edificio, ampliandola con reperti della tradizione etrusca che affascinavano il granduca.

14. Considerare la situazione della letteratura artistica del Seicento e, citando alcuni autori e
opere, sintetizzare le principali tendenze artistiche del periodo.
Con “Letteratura artistica” intendiamo l’insieme delle fonti scritte della storia dell’arte. Tra questi
possiamo isolare casi di critica d’arte, propriamente detta. Il più importante di tutti critici romani
nella seconda metà del seicento fu Gian Pietro Bellori. Egli infatti aveva un’idea di base precisa e
coerente che espresse con chiarezza e autorità, rompendo con la tradizione della storia dell’arte
stabilita da Vasari: egli non mirava alla completezza né alla scelta degli artisti ne al resoconto della
loro vita o delle loro opere, il suo criterio di giudizio si basava sul concetto di ideale, rappresentato
da Raffaello. Le vite ostentavano ostilità per un artista, Caravaggio, un’ostilità tenta di rispetto. Nel
suo libro c’erano anche degli eroi: Domenichino, Poussin. Tra gli artisti del suo tempo il suo
preferito era Maratta, che tendeva ad una maggior semplicità e rispetto delle regole rispetto ai
grandi artisti del Barocco. Egli ripropone il pensiero di Agucchi, secondo cui il compito del pittore
era raffigurare il Bello Ideale, ma facendo tesoro anche di esperienze successive di Poussin e di
Testa. Giulio Mancini, medico, appassionato di arte, propone il modo di posizionare in maniera
appropriata le tele nella propria abitazione o nella galleria. Inoltre egli individua quattro scuole che
illustrò non attraverso le biografie, ma con sintetiche annotazioni: quella dei Caracci, quella di
Caravaggio, quella del Cavalier D’Arpino e una quarta scuola nella quale confluivano tutti quelli
che non potevano essere catalogate nelle prime tre.

16. Portare un esempio di passaggio da una collezione privata ad un museo pubblico


Carlo di Borbone fa costruire una nuova residenza di corte dove far confluire la collezione ereditata
dalla madre Elisabetta Farnese, ultima erede della grande famiglia patrizia, esposta al primo piano
dell’edificio. Al secondo piano invece è collocata la galleria napoletana che costituisce il cuore delle
raccolte borboniche: abbiamo testimonianze dello sviluppo dell’arte napoletana dal Duecento al
Settecento. Inoltre i re Borbone si circondarono di artisti non napoletani ai quali affidarono il
compito di celebrare la loro dinastia, per cui troviamo anche tele di Pannini, Liani, Mengs, Hackert
e Lebrun. Il terzo piano dell’edificio è dedicato all’esposizione di dipinti e sculture dell’Ottocento,
espressamente realizzate per il Museo napoletano. Del nucleo Farnese dobbiamo citare la collezione
di antichità di Alessandro Farnese, formata grazie all’acquisto di intere collezioni, a donazioni, ma
anche ad una fortunata campagna di scavi condotti nel Foro e sull’Aventino. Il nipote, il cardinale
Alessandro Farnese incrementò la raccolta attraverso l’acquisto di altre collezioni e attraverso la
ricezione in eredità del lascito di Margherita D’Austria, vedova di Alessandro De Medici. Di qusta
collezione spicca la raccolta di gemme e pietre preziose. Anche le sculture antiche della collezione
Farnese vennero portati al Museo napoletano, disposte nel rispetto della suddivisione originaria
che avevano nel palazzo Farnese. La quadreria Farnese era composta dal nucleo romano, opera di
Paolo III Farnese, per cui dipinsero Raffaello, Sebastiano del Piombo, Michelangelo, Tiziano. Il
Nipote Alessandro apporta un contributo importante con l’acquisizione di opere di artisti noti del
Secondo Cinquecento e qualche opera fiamminga, ma l’arricchimento della raccolta avverrà quando
Odoardo Farnese, erede di Alessandro, erediterà la collezione di Fulvio Orsini.
Durante i pontificati di Urbano VIII e Innocenzo X si acuisce il clima anti-farnese, motivo per cui la
famiglia si trasferisce a Parma, dove Ranuccio confiscò le opere dei feudatari ribelli e le collezioni
si arricchiscono di quadri di gran pregio. L’Intera raccolta venne poi esposta in una Galleria ideata
nel palazzo Pilotta, rispettando i canoni della simmetria e dell’equilibrio. Francesco e Antonio,
successori di Ranuccio, incrementarono la raccolta con oltre 170 opere. Tutto questo verrà ereditato
da Elisabetta Farnese e giungerà a Carlo Borbone, suo figlio, che lo porterà nel Museo di
Capodimonte.

21. Perché possiamo considerare particolarmente importante la storia del collezionismo nel
più vasto panorama della storia dell'arte?
Il collezionismo d'arte, cioè l'abitudine (di origine antica) di famiglie e soggetti privati di
raccogliere opere d'arte, è strettamente connesso a motivazioni culturali ed estetiche, al fenomeno
del mecenatismo ed al mercato dell'arte. Si può parlare di collezionismo già dal Medioevo, nel
momento in cui si tende a concentrare nelle Cattedrali medioevali le grandi raccolte d’arte, ma è
solo nel Seicento che il fenomeno si intensifica al punto tale da diventare una vera e propria “febbre
del collezionismo”. Se da un lato il motivo che spingeva non solo regnanti e pontefici, ma anche
nobili, borghesi a collezionare opere d’arte era il prestigio che quest’ultima portava con sé,
dall’altro lato questo fenomeno era incentivato dall’aumento di queste opere immesse sul mercato a
causa della decadenza della propria corte. Un esempi è il ducato di Ferrara. La storia del
collezionismo studia le migrazioni che le opere hanno avuto da una collezione ad un’altra. Studiare
tali movimenti permette di risalire all’assetto originario di una collezione, dal quale si può desumere
le influenze che esercitarono sugli artisti che ebbero la fortuna di vederle e di studiarle. E’ così
possibile comprendere l’evoluzione stilistica di determinate personalità.

04. Cosa si intende per Rinascimento maturo? Cercare di delinearne le caratteristiche


citandone i protagonisti.
Con “Rinascimento maturo” si indica la fase che va dal 1490 a 1520 circa in cui si raggiunge la
perfezione rispetto agli obiettivi fissati nella prima fase di ricerca. Si assiste al raggiungimento del
pieno controllo del nuovo linguaggio artistico creato nel corso del Quattrocento. Di questa fase i
protagonisti assoluti sono tre artisti, da sempre considerati tra i più grandi di tutti i tempi: Leonardo,
Michelangelo e Raffaello. Leonardo da Vinci è il modello dell’artista eclettico per antonomasia,
colui che riesce ad eccellere in qualsiasi campo, soprattutto perché è dotato di una razionalità
eccezionale. Nel campo artistico la sua inesauribile curiosità lo portava ad affrontare i problemi con
appiglio più da scienziato che da artista, al punto tale da elaborare la prospettiva aerea che si
afferma con il perfezionamento della “tecnica dello sfumato”. L’arte viene intesa da lui come uno
strumento di conoscenza, una pratica che non si limita a riprodurre la realtà, ma si preoccupa di
carpirne le leggi interne.
Michelangelo invece è artista completamente diverso: in lui non si avverte quella fredda razionalità
di Leonardo. Egli concepì l’arte e i modelli classici non solo come paradigmi estetici, ma
soprattutto etici. L’attività scultorea è intesa in chiave neoplatonica come il mezzo attraverso il
quale il blocco di marmo libera la sua anima e raggiunge la sua massima espressione nella “tecnica
del non finito”. Fin dalle sue prime opere è evidente lo sforzo di organizzare i corpi all’interno di
schemi geometrici e di realizzare la tensione del movimento grazie alla tecnica “del contrapposto”.
Raffaello è diverso da entrambi e rappresenta la ricerca suprema della bellezza e dell’armonia: pur
rimanendo all’interno degli schemi classici, si impegnò ad esprimere la varietà e la ricchezza dei
movimenti.
Le figure, fortemente inquadrate in composizioni geometriche e prospettiche, maturano negli anni
una maggiore naturalezza. Anche nella produzione ritrattistica è possibile riscontrare l’evoluzione di
linee e pose più morbide associate a concordanze cromatiche più armoniche.
04. Chi furono gli artisti che si opposero al Manierismo? Enunciarli definendo inoltre il
periodo storico di cui furono protagonisti.
L’opposizione controriformistica si era presentata attraverso un linguaggio figurativo austero e
lineare.
Tuttavia in questi anni si susseguono dei Papi che mirano ad affermare il loro potere temporale,
oltre quello spirituale, motivo per cui la Chiesa Romana adotta uno stile sempre più fastoso e
teatrale, volto ad accattivare il fedele. Nella Roma del primo Seicento, provata dallo scisma
luterano, si manifesta una reazione al protrarsi del manierismo grazie all’opera di Caracci e di
Caravaggio, da sempre considerati contrapposti, ma che oggi i critici tendono ad accomunare come
due interpreti della nuova sensibilità artistica. Annibale Caracci segue la via del naturalismo,
mediata però dallo studio del classicismo di Raffaello grazie al quale riesce a conferire una più altra
drammaticità alle sue opere. Caravaggio diventa portavoce di un realismo debitore della tradizione
fiamminga, che si afferma nello scenario romano grazie alle composizioni serrate e alla resa
pittorica del forte contrasto luce-ombra.

01. Il mecenatismo papale. Analizzare il rapporto della corte papale con Gian Lorenzo
Bernini.
L’opposizione controriformistica si era presentata attraverso un linguaggio figurativo austero e
lineare.
Tuttavia in questi anni si susseguono dei Papi che mirano ad affermare il loro potere temporale,
oltre quello spirituale, motivo per cui la Chiesa Romana adotta uno stile sempre più fastoso e
teatrale, volto ad accattivare il fedele. Nella Roma del primo Seicento, provata dallo scisma
luterano, dilagò “la peste del gusto” (cit. Francesco Milizia), ovvero una nuova sensibilità artistica
asservita al mecenatismo papale.
Bernini ne fu il massimo interprete, impegnandosi con la sua produzione sia a magnificare il ruolo
della città cristiana, ma anche di esaltare il casato di appartenenza dei Papi. La figura di Bernini non
ha mai goduto della mistica adorazione di cui aveva goduto Michelangelo, questo perchè nel ‘600 si
vide un declino della posizione dell’artista. L’arte non era più autosufficiente, l’artista occupava un
posto sicuro in una società più utilitaristica, ma privo dell’alone mistico di un tempo. Guadagni
degli artisti li favoriscono nella loro ascesa sociale, inoltre i prezzi avevano un importante funzione
simbolica perchè elevavano davanti a tutti la condizione dell’arte. Impiegato in imprese
monumentali, Bernini elabora il principio dell’unità delle arti: architettura scultura e pittura si
intrecciano e si esaltano a vicenda. Nella realizzazione delle opere scultoree la lavorazione dei
marmi raggiunge nella fase di maturità una perfezione tale da rendere una straordinaria libertà ed
energia.

01. Cosa si intende per collezionismo? Portare adeguati esempi.


Il collezionismo d'arte, cioè l'abitudine (di origine antica) di famiglie e soggetti privati di
raccogliere opere d'arte, è strettamente connesso a motivazioni culturali ed estetiche, al fenomeno
del mecenatismo ed al mercato dell'arte. Si può parlare di collezionismo già dal Medioevo, nel
momento in cui si tende a concentrare nelle Cattedrali medioevali le grandi raccolte d’arte, ma è
solo nel Seicento che il fenomeno si intensifica al punto tale da diventare una vera e propria “febbre
del collezionismo”. Se da un lato il motivo che spingeva non solo regnanti e pontefici, ma anche
nobili, borghesi a collezionare opere d’arte era il prestigio che quest’ultima portava con sé,
dall’altro lato questo fenomeno era incentivato dall’aumento di queste opere immesse sul mercato a
causa della decadenza della propria corte. Un esempi è il ducato di Ferrara.

02. Cosa studia la Storia del collezionismo?


La storia del collezionismo studia le migrazioni che le opere hanno avuto da una collezione ad
un’altra. Studiare tali movimenti permette di risalire all’assetto originario di una collezione, dal
quale si può desumere le influenze che esercitarono sugli artisti che ebbero la fortuna di vederle e di
studiarle. E’ così possibile comprendere l’evoluzione stilistica di determinate personalità.
04. Delineare le differenze tra committenza e collezionismo.
Con “committenza” si intende il fenomeno secondo cui i grandi Signori delle varie corti
commissionavano agli artisti delle opere, le quali dovevano rispondere a precise indicazioni e a
precise esigenze. Tale fenomeno è molto diffuso nel Cinquecento. Il collezionismo, invece, indica
l’accumulo di opere già esistenti di artisti coevi o contemporanei. Si può parlare di collezionismo
già dal Medioevo, nel momento in cui si tende a concentrare nelle Cattedrali medioevali le grandi
raccolte d’arte, ma è solo nel Seicento che il fenomeno si intensifica al punto tale da diventare una
vera e propria “febbre del collezionismo”.

01. Quali sono le fonti privilegiate per la studiare la storia del collezionismo?

02. Quali sono le principali fonti per studiare la storia del collezionismo?
Le fonti di cui ci si avvale per studiare la storia del collezionismo sono prevalentemente gli
inventari ovvero documenti ufficiali con rogito di notaio che avevano lo scopo di quantificare
l’entità di un patrimonio per poterlo suddividere tra gli eredi. Per fare ciò si ricorreva all’aiuto di
pittori, chiamati in qualità di periti che dovevano suggerire stime attendibili. Un’altra fonte
utilizzata sono i carteggi composte da missive di accompagnamento al dipinto, inviato come dono
da un sovrano ad un altro. Esse costituiscono una fonte preziosissima per documentare questi
trasferimenti e comprendere come una collezione si sia ingrandita.
Risultano interessanti anche i registri di mostre, ovvero i registri redatti in occasione di allestimenti
durante festività religiose o particolari ricorrenze. Sono importanti anche le testimonianze fornite
dalla letteratura artistica: con questo termine si intendono trattati tecnici, testi che raccolgono le vite
degli artisti e la letteratura pariegetica. Esistono poi le fonti visive, che a causa dell’esiguità, non
costituiscono purtroppo uno strumento determinante. Tra esse possiamo annoverare le stampe,
“inventari figurati” con tanto di annotazioni.

04. Quali sono i principali database attivi per la raccolta e lo studio dei documenti utili alla
storia del collezionismo?
La storia del collezionismo è una disciplina nata di recente, ma che può contare su alcuni database
on line:
-SIGNUM, dell’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento, dove si possono trovare testi e
immagini
dell’Umanesimo e del Rinascimento;
-MEMOFONTE, Studio per l’Elaborazione Informatica delle Fonti Storico-Artistiche. Questa fonte
offre la
consultazione di fonti testuali e figurative di non facile reperibilità nell’ambito della storia del
collezionismo.
Le ricerche possono essere condotte o su base monografica o su base tematica.
-THE MEDICI ARCHIVE PROJECT, comprende molti documenti, soprattutto lettere, tratte
dall’Archivio di Stato di Firenze e relative alla corte dei Medici;
-GETTY PROVENANCE INDEX DATABASES, ovvero un archivio finanziato dal Getty Research
Institute di Los Angeles, che contiene documenti relativi alle collezioni di tutto il mondo che il
database rende immediatamente fruibili agli utenti di tutto il mondo. All’interno del database si
ricerca con grande facilità dipinti di ogni epoca, potenzialmente registrati in carte inventariali,
cataloghi di vendite, documenti relativi a pagamenti e descrizioni di collezioni pubbliche.

10. Lo studiolo. Sintetizzare gli elementi che contraddistinguono questo spazio.


Lo Studiolo nasce come uno spazio, un rifugio in cui l’intellettuale si può dedicare alla lettura e alla
riflessione. In esso si ripongono gli strumenti necessari allo studio e piccoli oggetti d’arte che lo
rendono un piccolo museo privato. Qui il sapiente gode della “solitudo”, condizione che eleva a Dio
e pertanto presupposto fondamentale per ogni attività creativa. Fondamentale nello studiolo è la
presenza di una finestra che permette il contatto con la natura, altro elemento imprescindibile per
l’intellettuale. Se per tutto il Trecento lo studiolo aveva una valenza religiosa e mistica, poiché gli
studiosi a quel tempo erano quasi esclusivamente ecclesiastici, durante il periodo dell’Umanesimo e
del Rinascimento si afferma anche nei palazzi nobiliari come stanza dove conservare le raccolte
degli umanisti. Mantiene ancora una forte connotazione privata, perché di solito è situato nei settori
più segreti degli edifici. Frequente era la presenza di interi cicli decorativi con significati nascosti.

11. Lo studiolo di Federico da Montefeltro. Quali sono le caratteristiche e dove si trova.


Lo studiolo si trova al piano nobile del palazzo ed era lo studio privato del Duca. Il soffitto è a
cassettoni dorati con le imprese ducali. I colori smaglianti e i continui rimandi tra architettura reale
e fantastica dovevano creare nello spettatore un effetto di grande meraviglia.
Le pareti sono coperte da tarsie lignee che attenuano l’irregolarità della stanza. Lo schema della
decorazione lignea prevede nella parte superiore un alternarsi di sportelli semiaperti, che rivelano
armadi con oggetti, e di nicchie con statue; segue una fascia sottostante con fregi di vario genere
sotto ciascun pannello, mentre la parte inferiore imita degli stalli, con assi appoggiate sopra, sulle
quali sono disposti strumenti musicali ed altri oggetti, mentre lo sfondo degli stalli è composto da
grate magistralmente eseguite, pure imitanti degli sportelli aperti o chiusi. Gli oggetti ritratti negli
armadi alludono ai simboli dell'Arti, ma anche alle Virtù (la mazza della Fortezza, la spada della
Giustizia, ecc.), come se l'esercizio delle prime aprisse la strada alle seconde. Queste preziose tarsie
avevano lo scopo di sottolineare sia le velleità intellettuali , ma anche le proprietà guerresche del
committente.

16. Cosa rappresenta oggi il museo Kircheriano di Roma?


Il museo Kircheriano di Roma è l’esempio di un “gabinetto scientifico”, ovvero una stanza dove
medici o speziali collezionavano tutti gli strumenti utili alle loro indagini. Gli studiosi
raccoglievano elementi di tipo animale, vegetale o minerale per poterli osservare con attenzione.
Questi spazi erano definiti Musei e ospitavano inizialmente una cerchia selezionata di persone, solo
in un secondo momento aprirono le loro porte ad un numero sempre maggiore di visitatori.
A differenza delle wunderkammer, i gabinetti scientifici sono un fenomeno tipicamente italiano.

17. Cosa si intende per Wunderkammer?


Le Wunderkammer sono letteralmente “camere delle meraviglie”, ovvero delle camere comparse
nei palazzi alla metà del XVI sec e che costudivano oggetti rari, particolari e bizzarri. A prima vista
sembra una commistione caotica di differenti oggetti. Ad una più attenta analisi possiamo
riscontrare una suddivisione degli oggetti raccolti in “naturalia”, oggetti provenienti dalla natura,
“artificilaia”, le opere d’arte, “scientifica”, tutto ciò che era prodotto dalla scienza umana, ed infine
“exothica”, elementi provenienti da terre lontane. L’obiettivo era ricreare all’interno della “stanza
delle meraviglie” un mondo in miniatura.

18. Cosa si intende per "gabinetto scientifico"?


Con “gabinetto scientifico si intende una stanza dove medici o speziali collezionavano tutti gli
strumenti utili alle loro indagini. Gli studiosi raccoglievano elementi di tipo animale, vegetale o
minerale per poterli osservare con attenzione. Questi spazi erano definiti Musei e ospitavano
inizialmente una cerchia selezionata di persone, solo in un secondo momento aprirono le loro porte
ad un numero sempre maggiore di visitatori. A differenza delle nordiche Wunderkammer, i gabinetti
scientifici costituiscono un fenomeno totalmente italiano.

19. Il camerino. Sintetizzare gli elementi che contraddistinguono questo spazio


Lo Studiolo, nato dapprima come spazio privato e introspettivo, si trasforma tra la fine del
Quattrocento e l’inizio del Cinquecento. in camerino, esprimendo il piacere dell’esposizione delle
opere preziose lì racchiuse. Esso assume un carattere museale, rispondendo non più ad una esigenza
religiosa, bensì ad una tendenza più libera e pagana, si afferma la volontà di esposizione e
condivisione delle proprie raccolte. Uno degli esempi più noti è rappresentato dallo Studiolo di
Isabella D’Este, raccolta in cui ogni elemento costituiva un tassello fondamentale del messaggio
della filosofia platonica. Fu la prima che volle nella propria raccolta non solo oggetti preziose, ma
anche oggetti appartenuti a personaggi importanti. Un altro Camerino degno di nota è quello di
Francesco De’ Medici, a cui si accedeva dalla stanza del Duca. Questa stanza fu ideata come un
guardaroba privato di cose rare e preziose. Sontuose armadiature raffiguravano esternamente il
prezioso contenuto; scrigni, cristalli, ceramiche,pietre dure e i risultati delle ricerche alchemiche,
cui il duca si dedicava.

08. Come si formarono le Gallerie?


La galleria, come lo studiolo, riflette la mentalità umanistica di volontà di esposizione e di
godimento delle opere d’arte e degli oggetti preziosi. Le sue origini sono incerte: alcuni studiosi
ritengono che sia nata in Francia, o dall’eliminazione della suddivisione in stanze dei castelli
francesi, dando così vita ad uno spazio vasto e allungato, o dalla copertura degli ambulacri ad arcate
a causa del clima rigido; lo studioso Julius von Schlosser ritiene invece che si tratta di uno spazio
architettonico tutto italiano. Generalmente riconosciuta è la sua origine quale corridoio di
passaggio, di collegamento rispetto a porzioni di edifici e richiedevano cicli decorativi. Le gallerie
nascono per rispondere al desiderio di esposizione del proprio patrimonio artistico e pertanto le
gallerie erano aperte agli ospiti e selezionati visitatori. Le Gallerie divennero sempre più vaste, fino
a giungere alle vaste dimensioni di Fontainbleu. Si tratta di un corridoio di collegamento tra due ali
del palazzo, libero su entrambi i lati, che riceve luce dalle finestre poste su entrambi i lati.
Sull’esempio di Fontainbleu anche in Italia si realizzano le prime gallerie, dove esporre le proprie
collezioni.

07. Il collezionismo dei Medici, chi furono i principali protagonisti?


Già a partire da Cosimo Il Vecchio si approda ad una concezione prettamente rinascimentale del
collezionismo basata sul riconoscimento del valore dell’antico. Nello specifico, l’apprezzamento
della civiltà ellenica portò al recupero di oggetti preziosi e reperti di diversa natura, collezionati per
interesse culturale: raccolse diversi codici che costituirono il nucleo principale della futura
Biblioteca Laurenziana, e fece adibire la camera grande a pian terreno del palazzo Medici-Ricciardi
per ospitare le collezioni di famiglia. Se Cosimo diede inizio alla raccolta medicea, fu Piero che
diede un grande sviluppo alla raccolta non solo con dipinti e sculture, ma anche grazie a codici
miniati, gioie e cammei. Piero fece realizzare uno studiolo di inestimabile pregio nelle stanze più
appartate dell’edificio, all’interno del quale erano esposti oggetti pregiati. L’apice della raccolta fu
raggiunta da Lorenzo il Magnifico. La sua profonda sensibilità artistica, l’amore per gli stilemi
classici e la sua conoscenza archeologica lo portarono a reperire pezzi di pregio, a cui per la prima
volta nella storia vennero apposti sigilli che testimoniavano l’appartenenza alla sua collezione. Egli
si impegnò ad incrementare la collezione con preziosi cammei. Lorenzo fondò la Scuola “Giardino
di San Marco”, un’istituzione volta ai giovani allievi, dove le antiche sculture del principe venivano
esposte con fini didattici accanto a disegni e cartoni di artisti contemporanei. Gli storici ravvisano in
questa istituzione la nascita del primo museo. Il Granduca Cosimo I pose fine a quei barlumi
repubblicani quattrocenteschi per dare vita ad una Signoria: l’arte pertanto doveva esprimere i fasti
della casata e legittimare il potere appena assunto. Le raccolte sopravvissute alle confische vennero
trasferite al Palazzo Vecchio e situate all’ultimo piano dell’edificio, ampliandola con reperti della
tradizione etrusca che affascinavano il granduca.

08. I Medici e la pittura veneta. Argomentare questo rapporto.


A partire dagli anni 20 del Seicento di riscontra nella corte Medicea una particolare attenzione per le
opere di provenienza veneta. La scuola veneta aveva sviluppato un diverso rapporto tra linea e
colore rispetto ai canoni dell’Accademia fiorentina. In Veneto infatti, è il colore l’elemento da cui
partire per giungere al disegno, e la differenza dei toni che spesso crea la forma, il contrasto fra
ombra e luce, fra chiaro e scuro.
Da un lato, sicuramente una minore accuratezza formale, ma dall’altro, questo rifiuto
dell’accademia consegna all’osservatore un’immagine più vivace, più dinamica, quasi ci trovassimo
davanti a una scena teatrale. L’annessione della collezione di Vittoria della Rovere al patrimonio
mediceo portò all’acquisizione di alcune opere di Tiziano. Inoltre i figli di Cosimo I, i cardinali
Leopoldo e Giovan Carlo riuscirono ad acquisire la preziosa collezione di Paolo Serra.

13. Come si costituì e come si disperse la collezione dei Gonzaga?


La capostipite della collezione è Isabella D’Este, marchesa di Mantova e moglie di Francesco II
D’Este. Dopo di lei, Federico II ampliò la quadreria aggiungendo alla collezione quadri di Tiziano e
di Giulio Romano e altre tele fiamminghe. Il successore Francesco III non apportò nessuna aggiunta
alla collezione. Guglielmo I riteneva che l’arte portasse maggiore prestigio alla sua casata, motivo
per cui diede nuovo slancio all’attività collezionistica. Il figlio Vincenzo I, grande viaggiatore,
aveva ammirato le più grandi collezioni europee e continuò l’opera del padre. Egli riuscì a portare
alla sua corte ritrattisti come Pourbous e Rubens.
Sempre alla ricerca del bello, Vincenzo è famoso anche per la ricerca e per la collezione di pietre
preziose, che poi i suoi artigiani lavoravano e montavano in preziosi gioielli. Vincenzo si impegna a
collezionare grandi opere il cui obiettivo era proporre un compendio della storia pittorica a qualsiasi
costo, anche confiscandoli dalle Chiese. Quando salì Ferdinando, egli si trovò a dover sistemare in
maniera organica, seguendo un criterio “museale”, un patrimonio vasto e pregiato. I vari nuclei
itpoligici vennero separati in diversi ambienti. Il centro nevralgico della disposizione era il “logion
serrato”, l’attuale Sala degli Specchi, dove erano custodite le opere dei maestri antichi con i dipinti
di Raffaello e Giulio Romano. Per l’acquisizione di nuovi pezzi Ferdinando si rivolse a Roma e
Parigi, i nuovi centri artistici emergenti. La fama della collezione estense raggiunse tutte le corti
d’Europa, che inviavano emissari per valutarne l’entità. Nel 1627 una cospicua parte della
collezione fu venduta a Daniel Nys per conto di Carlo I Stuart. Qualche mese dopo l’irruzione dei
Lanzichenecchi determinò la dispersione di tutte le opere dei Gonzaga.

22. Cosa si intende per "vendita di Dresda"?


Con “vendita di Dresda” si intende la vendita di una parte cospicua della quadreria (oltre 100
dipinti) ad Augusto III, futuro re di Polonia. La casata degli Estensi vessava in una situazione
economica difficile a causa dei disastri della guerra di successione austriaca e a causa degli sperperi
di corte, pertanto venne ritenuto necessario accettare la proposta di Augusto III, fine intenditore
accompagnato da fidati esperti. I dipinti di Dosso, Garofalo e Girolamo da Carpi che prima
arricchivano la collezione estense si trovano adesso al Gemaldegalerie di Dresda.

23. Cosa si intende per Devoluzione nell'ambito della Storia di Ferrara?


Con il termine “devoluzione” si intende il passaggio del potere di Ferrara dagli Este al Papa. La
corte di Ferrara era stata un feudo papale, divenuto poi giurisdizione della corte estense. Nel 1598,
sfruttando la mancanza di legittimi eredi al trono di Alfonso II D’Este, Papa Clemente VIII si
riappropriò del territorio. La nuova capitale del Regno divenne Modena e agli Este non restò altra
cosa da fare che trasferire le proprie collezioni nelle nuove residenze modenesi.

16. Cosa accadde alle collezioni estensi fra Sei e Settecento?


A portare una ventata di rinnovamento artistico alla casata d’Este dopo la “Devoluzione” fu senza
dubbio Francesco I, secondo cui lo splendore e il lustro erano necessari a saldare il potere del
sovrano. Egli non riusci a riconquistare Ferrara, ma la sua politica e il suo mecenatismo riportarono
la casata agli antichi splendori. Nel suo Palazzo modenese egli custodiva una raccolta modesta di
numero, ma pregiata. Egli dispose in materia strategica le opere della sua collezione nella struttura
del Palazzo Ducale di Modena: lo scopo era suscitare stupore e pertanto ricorreva da un lato alle
pregiate opere della sua collezione, dall’altro lato alle mirabilia, ovvero oggetti esotici, stravaganti e
bizzarri, molto in voga all’epoca.
L’attenzione e la scrupolosità con cui Francesco curava la quadreria e la galleria sono testimoniate
da diverse fonti documentarie. Il criterio con cui Francesco si occupava di acquisire nuove opere è
differente in base alle fasi. Inizialmente raccogliendo l’eredità dei predecessori, poi spaziando tra i
pittori contemporanei, in particolar modo confermando la passione per i pittori bolognesi, tra cui
Guido Reni, l’Albani, Guercino. Tuttavia il desiderio di creare una galleria completa fece sì che
Francesco accolse le suggestioni provenienti da diverse scuole, infatti, dopo il viaggio in Spagna, si
appassionò anche di autori stranieri come Velazquez. E’ evidente il desiderio di
“sprovincializzazione” rispetto alla precedente tradizione, che giustifica l’invito a corte di pittori e
scultori quali Suttermans, Regnier, Boulanger: un via vai di autorità artistiche e pittori che si
addiceva alle più grandi corti europee. Nel 1650 Francesco prese contatti con il Bernini dal quale
riuscì ad ottenere un busto in marmo. Francesco riuscì ad acquisire anche opere dei più importanti
autori lagunari come Tintoretto, Bassano e forse Giorgione, grazie all’intermediazione di Luigi
D’Este. Venezia offriva anche altri tipi di tesori, quali pietre, marmi, cristalli, libri e stampe. Anche
il contesto romano offrì un mercato artistico interessante, legato soprattutto alle vicende dinastiche
che Mantovani seguì e riportò con fedeltà al duca.
La corte modenese risultava assai aggiornata sulle tendenze artistiche contemporanee, tanto che
dagli inventari di fine 1600 si evince la presenza di diverse nature morte, rappresentazioni di
battaglie, opere con animali di ogni specie tipiche del gusto seicentesco. I successori di Francesco I,
il figlio Alfonso IV e la nuora Laura Martinozzi, reggente per il figlio Francesco II, mantennero
fedele l’impronta da lui data alla galleria.

04. Cosa si intende per "scuola di Praga"?


Rodolfo II fonda un centro di cultura che richiama artisti, letterati e studiosi delle più varie
discipline. Il suo mecenatismo, che intende perfezionare la tradizione della casa d’Asburgo, dà
luogo alla caratterizzazione praghese del manierismo europeo di fine secolo. Oltre agli artisti della
Scuola Veneta, Rodolfo amò particolarmente le opere del Parmigianino e di Correggio, dei quali
giunsero a corte rispettivamente “Cupido che fabbrica l’arco” e “Gli Amori di Giove”. I soggetti di
tipo mitologico erano i predileti di Rodolfo ed erano quelli che chiedeva venissero rappresentati
dagli artisti di corte, quali Spranger, Heintz e Hans van Aachen. Inizialmente questi autori erano
accomunati solo dalla committenza, solo nell’ultima fase essi sviluppano tratti stilistici comuni, per
esempio nella scelta dei soggetti profani e sensuali, nella resa dei volti femminili e nell’utilizzo di
un chiaroscuro sempre più accentuato.

10. Cosa si intende per Camerini d'Alabastro?


I “camerini d'alabastro” erano lo studiolo di Alfonso I d'Este. Di queste Camere ci restano solo
testimonianze indirette, grazie alle quali si cerca di soddisfare varie curiosità. E’ ormai certo che
queste stanze si trovassero nella “Via Coperta”, un corridoio di collegamento fatto erigere tra il
Castello Vecchio e il Palazzo di Corte da Ercole I. Esso fu ampliato da Alfonso I con l’aggiunta del
primo piano e qui furono ubicate le stanze private del Duca raggiungibili tramite difficili e segreti
accessi. Dalle stime redatte nel 1598 e dalla valutazione di soffitti e pavimenti, Hope risalì a sei
stanze nella via Coperta: da ciò è possibile desumere che i ricchi Camerini erano due: uno di
estensione più ridotta contenente i rilievi di Antonio Lombardo; l’altro leggermente più grande,
presumibilmente dotato di due finestre, che conteneva le cinque tele dei Baccanali e i fregi del
Dosso. Entrambe le stanze erano disposte sul versante est della Via Coperta.

11. Quali opere decoravano il camerino delle pitture di Alfonso I d'Este?


Bisogna innanzitutto supporre che la porta di ingresso del Camerino fosse quasi attigua al muro
esterno, così da lasciare l’ intera parete della testata sud per l’esposizione di “Bacco e Arianna” di
Tiziano. Nella lunga facciata interna del camerino, intervallata in tre sezioni da due finestre,
comparivano “Il Baccanale degli Andrii” di Tiziano, “Il Festino degli Dei” di Bellini centrale,
posizionato sul camino, e “L’offerta a Venere” di Tiziano nell’ultima sezione della parete. Ultimo,
sulla testata verso il Castello, compare il “Bacco e Arianna” di Dosso , esattamente frontale
all’omonima opera del Vecellio. Il ciclo pittorico vede come personaggio principale Bacco che, nei
progetti originali, doveva rappresentare il trionfo, la volontà e la capacità di conquista. La fonte
ispiratrice è probabilmente il testo di Diodoro il Siculo che racconta l’impresa di conquista delle
Indie da parte di Bacco, il cui scopo è portare pace ed armonia per mezzo della guerra. Diodoro
esaltava la figura di Bacco come benefattore indotto alla guerra per scalzare i sovrani ingiusti e
Alfonso mitizzava così la sua figura di sovrano e le sue imprese. E’ importante notare che la figura
di Bacco è affiancata da Venere, simbolo della sensualità, che si riallaccia ai piaceri della vita di cui
Bacco è anche emblema. Allegoricamente potrebbe indicare il raggiungimento della pace e della
serenità attraverso delle imprese giuste per poter godere del benessere e dei piaceri, anche nelle loro
forme più sregolate.

15. Alfonso I a Ferrara: committenza e progetto artistico.


Alfonso si fece aiutare da Mario Equicola, un famoso umanista dell’epoca, per elaborare il progetto
dello Studiolo dove raccogliere opere dei maggiori artisti da mettere a confronto. Il progetto risale
al 1511, ma i lavori non furono avviati subito. Nel 1512, durante un viaggio a Roma, Alfonso si fece
promettere un quadro da Michelangelo di cui ignoriamo il soggetto, forse da inserire nel Camerino.
L’anno successivo commissionò il “trionfo di Bacco” in India a Raffaello, di cui però sopravvive
solamente uno schizzo preparatorio che fu inviato ad Alfonso. Raffaello tardava la consegna,
motivo per cui Alfonso decise di far realizzare il dipinto da un’artista minore, Pellegrino da San
Daniele, con lo scopo di sostituirlo non appena, fosse stato consegnato l’originale. Raffaello,
indispettito, decise allora di cambiare soggetto e dedicarsi alla “Caccia di Meleagro”, ma anche
stavolta Raffaello tardò così tanto la consegna fintanto che morì. Anche la morte improvvisa di Fra
Bartolomeo fu la causa del mancato compimento dell’”Offerta di Venere”, di cui venne però
realizzato il disegno preparatorio. Il progetto elaborato inizialmente con Equicola era già cambiato e
a sopperire queste grandi vuoti pittorici subentrarono Tiziano, non ancora all’apice del proprio
successo, e Dosso. A Tiziano venne commissionato un progetto che sì contenesse Bacco, ma il cui
soggetto fosse l’incontro di Arianna. Probabilmente l’idea iniziale era quella di affiancare
quest’ultima opera con quella di Pellegrino da San Daniele, ma una volta consegnata l’opera il
Trionfo di Pellegrino venne rimosso.
Nella realizzazione finale, il Camerino vedeva nella parete della testata sud il “Bacco e Arianna” di
Tiziano. Nella lunga facciata interna del camerino, intervallata in tre sezioni da due finestre,
comparivano “Il Baccanale degli Andrii” di Tiziano, “Il Festino degli Dei” di Bellini centrale,
posizionato sul camino, e “L’offerta a Venere” di Tiziano nell’ultima sezione della parete. Ultimo,
sulla testata verso il Castello, compare il “Bacco e Arianna” di Dosso , esattamente frontale
all’omonima opera del Vecellio.

04. Citare un esempio di corrispondenza fra un dipinto e fonti letterarie


Le fonti classiche che stanno alla base dell’elaborazione del ciclo presente nel Camerino di Alfonso
sembrano provenire dalle “ekphraseis”, ovvero descrizioni scritte di dipinti che Filostrato immagina
appesi in una villa napoletana. E’ probabile che il progetto originale dello studiolo avesse l’intento a
ricostruire il progetto immaginato da Filostrato, anche se il progetto fu poi modificato in corso
d’opera. Nella realizzazione de “Il Festino degli Dei”, unica opera del progetto originale che si
ritrovò nel Camerino compiuto, possiamo notare la corrispondenza letteraria in due passi delle
“Metamorfosi” di Ovidio, o secondo altri, nella volgarizzazione delle Metamorfosi a cura di
Giovanni de’ Bonsignori. I passi sviluppati nel quadro sono quelli in cui Priapo, in occasione della
celebrazione tenuta ogni due anni in onore di Bacco,in cui partecipano tutte le divinità. Quando
ormai tutti i partecipanti si sono arresi all’ebbrezza del vino, Priapo allunga la mano tra le gambe
della ninfa Loti addormentata. Il ragliare dell’asino Sileno desta tutti gli astanti e la stessa fanciulla
che denuncia il sopruso. Bellini sceglie di rappresentare l’attimo prima che l’asino ragli, infatti alla
sinistra del quadro l’asino è muto e le divinità non sembrano turbate da nessun evento, mentre
nell’estrema sinistra del quadro Priapo è già colto nell’atto licenzioso di accarezzare le gambe della
ninfa. Bacco viene rappresentato in età infantile mentre elargisce vino. Diverse motivazioni sono
state attribuite a questa scelta iconografica, una delle quali corrisponde al codice iconografico
dell’antichità classica che associa questa età di Bacco al periodo invernale, stesso periodo in cui si
svolgeva questa celebrazione e corrispondente all’anniversario di matrimonio dei duchi Alfonso e
Lucrezia, i quali sembrano essere raffigurati nel quadro tra le coppie divine.

19. Ripercorre l'evoluzione della fortuna dei Baccanali una volta giunti a Roma, dalle copie
alle derivazioni.
Con la devoluzione nel 1598 e il reintegro di Ferrara tra i possedimenti papali, le opere della
collezione estense vennero convogliate in toto nella collezione Aldobrandini e rimasero fino al 1633
nella capitale a disposizione di tutti quegli studiosi che vollero ammirarle. Uno degli autori che
sicuramente ebbe la possibilità di visionare a Roma i Baccanali e l’Offerta a Venere fu Rubens nella
sua visita a Roma avvenuta tra il 1600 e il 1608. A testimoniare ciò la fedele riproduzione di
entrambe le opere per mano di Rubens oggi conservate a Stoccolma. Tuttavia sembrerebbe da
un’attenta analisi che queste riproduzioni risalgano ad una fase matura di Rubens corrispondente
agli anni ‘30, e pertanto stupisce come a distanza di tanti anni Rubens sia stato capace di riproporli
in maniera così accurata. Si suppone allora che siano arrivate ad Anversa degli schizzi che Anton
Van Dyck ebbe modo di inserire nel suo “Quaderno italiano” dopo il 1621, quando le tele facevano
già parte della collezione Ludovisi. Un altro grande autore che risente dell’influenza dei Baccanali
estensi è Nicolas Poussin. Tra le tele in cui è maggiormente evidente troviamo “Il Baccanale con
suonatrice di chitarra”, in cui la postura di Dioniso, che sì richiama le illustrazioni di Vigenère,
sembra ricalcare l’atteggiamento di Mercurio nel “Festino degli Dei” di Bellini, anch’esso
pervenuto a Roma dopo la devoluzione.

20. La vicenda dei Baccanali estensi fra collezionismo e dispersione. Ripercorrerne


criticamente le dinamiche da Ferrara a Roma.
Con la devoluzione nel 1598 e il reintegro di Ferrara tra i possedimenti papali, le opere della
collezione estense vennero convogliate in toto nella collezione Aldobrandini e rimasero fino al 1633
nella capitale a disposizione di tutti quegli studiosi che vollero ammirarle. La permanenza a Roma
di queste tele fece sì che si delineasse quella corrente neoveneta alla base del Barocco. E’ stato
inoltre dimostrato che “Il Baccanale degli Andrii”, insieme a “L’offerta a Venere”, vennero nel 1621
passati al cardinale Ludovico Ludovisi da Olimpia Aldobrandini, e a loro volta ceduti nel 1633 a
Filippo IV di Spagna in occasione del conferimento del Principato di Piombino. Le opere di Luca
Giordano risentono dell’influenza dei baccanali che lui ebbe modo di visionare probabilmente negli
anni in cui le tele rimasero a Napoli.

28. Quali sono le caratteristiche della collezione Aldobrandini? Cosa si evince dall'inventario
del 1603?
Dall’inventario del 1603 si evince come già delle opere della collezione estense fossero passati al
cardinale Ludovisi sia attraverso la spoliazione della Via Coperta, sia attraverso un accordo
diplomatico poco chiaro. Quando infatti nel 1597 giunse a Cesare D’Este la scomunica papale, egli
decise di inviare come intermediaria la sorella Lucrezia, la quale, anziché difendere gli interessi del
fratello, decise di nominare come suo erede il cardinale Ludovisi che acquisì così una prima parte
dei dipinti estensi. In qualunque caso nell’inventario del 1603 troviamo tutte numerate in sequenza
le opere appartenute alla collezione estense.
L’inventario del 1603 diventa importante perché rappresenta la base di partenza della collezione, la
cui evoluzione appare tortuosa ma rintracciabile attraverso il confronto con gli inventari successivi:
del 1611, del 1626 e del 1682.

19. Chi fu Vincenzo Giustiniani? Quali sono le caratteristiche della sua collezione?
Vincenzo Giustiniani era un uomo di cultura, fine conoscitore artistico che lavorò prima insieme al
fratello Benedetto e poi solo, dopo la morte di quest’ultimo, all’incremento della collezione del
padre. Gli scritti in materia artistica lo resero noto nel settore e, dietro la spinta del fratello,
partecipò a importanti commissioni che furono chiamate a valutare il decoro di Caravaggio.
Vincenzo ordinava riproduzioni di grandi autori con lo scopo didattico di istruire e formare i pittori
emergenti. Egli assemblò gran parte della quadreria seguendo la predilezione per un arte vicina al
reale, ben rappresentata dal Merisi, mentre in una fase successiva si concentrò su una produzione
pittorica contemporanea legati alla svolta classicista secentesca, come le opere dei Caracci, di
Poussin e del fiammingo Duquesnoy.

21. Quali furono i caratteri della collezione Giustiniani nel Seicento?


I fratelli Giustiniani lavorarono di comune accordo nella formazione della quadreria, ma dopo gli
studi di Silvia Danesi Squarzina è stato possibile comprendere quali opere siano state acquistate da
Benedetto e quali da Vincenzo. Benedetto, da cardinale qual era, prediligeva le opere religiose ma
caratterizzate da un forte realismo, grazie agli aspetti bassi del reale che rendevano le composizioni
sacre più vicine ai fedeli. In genere, Benedetto apprezzava il realismo delle tele di Cambiaso o dei
Bassano, di Jan Brueghel dei Velluti, del Francia, del Peruzzi, del Domenichino e di Caravaggio.
Nella collezione era presente anche “La Madonna col Bambino e i Santi Giuseppe e Francesco” di
Dosso Dossi, oggi a Berlino. Vincenzo invece fu colui che promosse i quadri di storia, non solo
sacra ma anche profana. Ricordiamo “Morte di Socrate” di Giusto Fiammingo, “Morte di Seneca”
di Sandrart e “Morte di Cicerone” di Perrier.
Fondamentale per la collezione fu anche l’apporto di Poussin e la sua propensione per l’antico.
Della collezione Giustiniani facevano parte anche tele del Caravaggio, ben 15, tra cui ricordiamo
“Incredulità di San Tommaso”, “San Girolamo”,”Amore Vincitore”, “Il suonatore di liuto”,
“L’incoronazione di Spine” e la prima versione di “San Matteo e L’Angelo”.

25. Sintetizzare la concezione della "copia" nella visione collezionistica di Vincenzo e in quella
di Benedetto Giustiniani
La concezione che i fratelli Giustiniani avevano della “copia” era ben diversa: mentre Benedetto si
serviva delle copie per arricchire la sua personale collezione di opere che altrimenti non avrebbe
potuto permettersi, Vincenzo, da fine critico d’arte qual era, ordinava copie di opere dei grandi
Autori perseguendo uno scopo didattico. Il fine ultimo era di agevolare la formazione e l’istruzione
dei pittori emergenti.

22. Sintetizzare le vicende e i protagonisti principali della storia della raccolta Borghese.
Il protagonista indiscusso della collezione Borghese fu il Cardinale Scipione Borghese, nipote di
Papa Paolo V. Egli diede vita ad una straordinaria ed eclettica collezione conservata nella sua
residenza, Villa Borghese il gusto, una villa sul Pincio eretta tra 1613 e il 1615 che riflette il gusto
del committente. In essa Vasanzio applica il principio di “horror vacui” prettamente manierista e
riempie la facciata con nicchie, aperture, statue e rilievi.
Il collezionismo di Scipione venne definito onnivoro, poiché lui apprezzava l’arte in tutte le sue
forme, e la sua collezione è lo specchio di tale eccletticità: essa spazia da alcuni capolavori di
Caravaggio, alla serie classicista dei tondi di Albani, a opere del Domenichino, ad alcuni gruppi
scultorei del Bernini, alla “Deposizione” di Raffaello, trafugata dalla chiesa di Perugia per cui era
stata destinata. La collezione nasce e si sviluppa di pari passo con la struttura di Villa Borghese che
vedeva i dipinti nel piano nobile, valorizzati da pareti ricoperte di cuoi azzurri e oro, mentre al
primo piano erano esposte le innumerevoli sculture a cui vennero affiancate le sculture del Bernini
tra il 1616 e il 1625. Questa disposizione venne poi modificata intorno alla metà del Settecento per
volere di Marcantonio Borghese, il quale spostò le statue di Bernini al piano terreno. Il vincolo del
fidecommesso mantenne quasi integra l’intera collezione che è stata solo privata di un cospicuo
gruppo di marmi nel 1807 a causa di una vendita coercitiva voluta da Napoleone Bonaparte. Nel
1902 lo Stato Italiano acquisì la villa e il museo.
23. Cosa significa questa frase? "I gruppi scultorei di Bernini per il cardinale Borghese
sembrano dialogare con pittura e poesia". Argomentare.
I gruppi scultorei hanno la capacità di trasmettere la drammaticità del momento catturato da
Bernini. Il marmo perde la sua durezza e diventa duttile nelle mani dell’autore, il quale riesce a
rendere concreti quei passi tratti dalla poesia o i moti dell’anima espressi da un’opera pittorica. In
“Enea e Anchise”, per quanto ancora acerbo e legato agli esempi manieristi, Bernini presenta alcuni
elementi che raccontano la fuga da Troia, come l’edicola dei Penati. In “Apollo E Dafne”, Dafne
sembra ripresa da una delle madri in fuga di Guido Reni in “La strage degli Innocenti”. La mano di
Apollo sul ventre della ninfa sembra materializzare il verso ovidiano in cui il Dio avverte la
trasformazione di Dafne. La resa della drammaticità è palpabile in “Plutone e Poserpina”, dove il
Dio afferra la donna che si ribella e gli tira la pelle.

07. Con brevi cenni delineare le fasi di formazione della collezione Spada.
La collezione Spada prende le mosse dal cardinale Bernardino che nel 1632 ereditò Palazzo Spada
dal cardinale Girolamo e cominciò ad ampliarne e modificarne la struttura in funzione
dell’esposizione delle opere. La sua collezione manifesta una certa predilezione per l’arte
antiquaria, con una particolare preferenza per la pittura emiliana e bolognese. Numerosissimi anche
i ritratti, sia dipinti che scolpiti.
Bernardino commissionò molte opere ai pittori Negri e Perrier per adornare le nuove stanze del
palazzo sottoposte a ristrutturazione. L’acquisto di due tele del Cerquozzi e di altri dipinti di natura
caravaggesca dimostra l’apertura verso la pittura di genere e verso le mode collezionistiche del
tempo. Fabrizio Spada, pronipote di Bernardino, fu colui che continuò l’opera collezionistica e
l’adattamento del Palazzo. In occasione di questa vasta ristrutturazione vennero commissionate
opere dai temi mitologici e allegorici inserite in architetture dipinte, ricordiamo l’ “Allegoria delle
quattro stagioni” di Ricciolini. Anche Fabrizio, pur preferendo lo stile accademico, testimoniato
dall’acquisizione de “Il Festino di Marcantonio e Cleopatra”, e arricchì la collezione con quadri
fiamminghi, caravaggeschi e bamboccianti. Nel 1700 il matrimonio tra il marchese Clemente Spada
con Maria Pulcheria Rocci comportò l’incremento della collezione con dei quadri portati da lei in
dote: di particolare interesse alcuni ritratti della famiglia Rocci eseguiti da Voet e il ritratto postumo
di Fabrizio Spada realizzato da Sebastiano Ceccarini.

08. Descrivere in poche righe la natura della collezione Spada e la sua attuale musealizzazione
La collezione Spada, che vede i suoi massimi fautori nei cardinali Bernardino e Fabrizio Spada
manifesta una certa predilezione per l’arte antiquaria, con una particolare preferenza per la pittura
emiliana e bolognese.
Numerosissimi anche i ritratti, sia dipinti che scolpiti. Bernardino commissionò molte opere ai
pittori Negri e Perrier per adornare le nuove stanze del palazzo sottoposte a ristrutturazione.
L’acquisto di due tele del Cerquozzi e di altri dipinti di natura caravaggesca dimostra l’apertura
verso la pittura di genere e verso le mode collezionistiche del tempo. Fabrizio Spada, pronipote di
Bernardino, fu colui che continuò l’opera collezionistica e l’adattamento del Palazzo. Egli
commissionò opere dai temi mitologici e allegorici inserite in architetture dipinte, ricordiamo l’
“Allegoria delle quattro stagioni” di Ricciolini. Anche Fabrizio, pur preferendo lo stile accademico,
testimoniato dall’acquisizione de “Il Festino di Marcantonio e Cleopatra”, e arricchì la collezione
con quadri fiamminghi, caravaggeschi e bamboccianti. Nel 1700 il matrimonio tra il marchese
Clemente Spada con Maria Pulcheria Rocci comportò l’incremento della collezione con dei quadri
portati da lei in dote: di particolare interesse alcuni ritratti della famiglia Rocci eseguiti da Voet e il
ritratto postumo di Fabrizio Spada realizzato da Sebastiano Ceccarini. Nel 700, nonostante fosse
stata sottoposta al vincolo del fidecommesso, la collezione cominciò a sfaldarsi: l’edificio e la
galleria vennero acquistati dallo stato nel1926, ma dal 1931 al 1951 molte opere vennero inviati in
altri musei o in ambascerie. Federico Zeri, nel secondo dopoguerra, si occupò di ricostruire il nucleo
originario della collezione e ne curò l’allestimento nel rispetto dei dettami sei-settecenteschi.
04. Come ci aiutano "i pettegolezzi" dei diplomatici per lo studio della storia del
collezionismo?
I “pettegolezzi” dei diplomatici, funzionari dei duchi dislocati nelle diverse città d’arte, aiutano a
valutare l’entità di una raccolta e a risalire a diversi episodi collezionistici che altrimenti
risulterebbero poco chiari.
Un esempio è dato dalle vicissitudini della collezione Aldobrandini, legata per volere del cardinale
Pietro a Olimpia Junior, sua pronipote, sposa di Paolo Borghese. Ella restò vedova molto presto e
fece tutto ciò che fosse in suo potere per avere la piena e totale amministrazione dei suoi beni: da
donna ambiziosa qual era intendeva rendere ancor più ricca la sua dote e poter sposare Camillo
Pamphilj, il quale nel frattempo si era spogliato dell’abito. Francesco Mantovani, funzionario per gli
Estensi a Roma, racconta questi episodi al suo duca, avvisandolo così che “li famosi Baccanali”
erano ambiti da Ferdinando II di Toscana. Non è stato possibile trovare carteggi che provino queste
contrattazioni.

06. Dove giunsero i Baccanali ferraresi una volta giunti a Roma?


Le opere della collezione vennero indicati nel carteggio tra Mantovani e il Duca genericamente
come “guardarobba” che la principessa di Rossano portò con sé. Nei documenti inventariali del
1603 non è presente nessuna descrizione topografica dei dipinti, probabilmente perché i proprietari
si riservavano la possibilità di sportarli tra la villa di Belvedere a Frascati, la villa suburbana di
Montemagnanapoli e il palazzo cittadino di Via del Corso. “I Baccanali” sono documentati da
Gaspare Celio a Montemagnanapoli nel 1626 e poi tra gli anni ’50 e ’70, dove furono ammirati da
Scannelli e Scaramuccia, ma per un breve periodo (intorno al ’37 circa) furono al palazzo del Corso.
Non è stato possibile risalire alla data esatta in cui dal palazzo cittadino furono riportati alla villa di
Montemagnanapoli, ma è testimoniato dai carteggi del, Mantovani che nel 1946 la principessa
Olimpia aveva portato con sé la sua roba, e probabilmente anche le tele di Bellini e Tiziano, in
questa residenza a causa dell’insofferenza ormai palese nei confronti dei Borghese.

09. Inquadrare e descrivere la figura di Cassiano del Pozzo


Cassiano del Pozzo fu un naturalista e alchimista, oltre che collezionista che guadagnò un certo
rilievo negli ambienti degli studi scientifici. L’amicizia con Francesco, cardinale nipote di Papa
Barberini, fece sì che egli riusciusse a creare attorno a sé un circolo di studiosi e di artisti
contemporanei. Egli creò nel suo palazzo nei pressi di S. Andrea , dove viveva con fratello e
cognata, una sorta di Wunderkammer, una sorta di laboratorio universitario dove collezionava tutto
ciò che poteva essere oggetto di studio e di ricerca: scheletri, disegni anatomici, piante, stampe
preziose e strumenti scientifici. Si occupò di collezionare anche reperti antichi, richiami ad un
passato ormai scomparso. Si impegnò a registrare tutte le tracce della civiltà romana radunando
stampe e disegni già esistenti e incaricando artisti di realizzare quelli mancanti. Diede così vita al
Museum Chartaceum, suddiviso in volumi sulla base dei soggetti. Collezionò dipinti di pittura
contemporanea, tra cui opere di Vouet, Peter Van Laer e Viviano Codazzi, ma il suo interesse era
rivolto maggiormente ad una pittutìra di stampo razionalistico, archeologico e scientifico, come
Ludovico Cigoli, Pietro Da Cortona e Andrea Sacchi.

06. Il cardinal del Monte e le opere fiamminghe. Sintetizzare e argomentare questo rapporto
Il Cardinal del Monte si pone come un esempio di collezionista che sì ricercava l’armonia e il lusso,
ma con un fine didattico e erudito. Nella sua raccolta di libri e stampe, infatti, sono stati rinvenuti i
sei tomi delle Civitates Orbis Terrarum, che hanno influenzato lo studio e l’esatta realizzazione
della prospettiva. Da qui si spiega la passione del cardinale per i paesaggi fiamminghi, genere di
tendenza tra il Seicento e il Settecento. Il Del Monte possedeva alcune nature morte e circa 60
paesaggi di Jan Brueghel Dei Velluti, Paul Bril e stampe di Durer.

07. Qual è il rapporto del Cardinal del Monte con Caravaggio?


Il Cardinale del Monte fu uno dei primi estimatori delle opere del Merisi. Il cardinale conobbe
Caravaggio attraverso due tele “I Bari” e “La buona Ventura”, il cui caratteristico tema popolare
delle tele lanciava una tendenza che si sarebbe affermata negli anni successivi. Il cardinale allora
chiamò a Palazzo Madama il pittore, al quale offrì la possibilità di studiare osservando le statue
antiche disposte tra Logge e cortili e analizzando una discreta collezione di opere cinquecentesche,
copie di Raffaello, Giulio Romano, Michelangelo, Durer, oltre che opere di artisti contemporanei,
uno tra i quali Antiveduto Gramatica. La permanenza a Palazzo Madama di Caravaggio gli permise
di conoscere molti estimatori d’arte che saranno suoi futuri committenti, come il cardinal Montalto
e i Giustiniani.

08. Come possiamo riassumere le tendenze collezionistiche dei Mattei?


Il nucleo originario della raccolta Mattei è costituito da un gruppo di 18 quadri, dai quali si evince il
gusto per i quadri. I veri artefici della collezione furono i fratelli Ciriaco e Asdrubale che furono
committenti di pittori stranieri, di Caravaggio, furono amanti delle novità fiamminghe e dei quadri
di genere. Il patrimonio artistico venne esposto nella villa Celimontana sul Celio: dai marmi antichi,
orgoglio di Ciriaco, a dipinti di arte contemporanea. Nella residenza fuori città sono presenti tele di
paesaggi, vedute marittime e nature morte più adatte ad un contesto suburbano, mentre per il
palazzo di via Caetani commissionarono tele al Caravaggio, quali “La Cattura di Cristo”, “La cena
in Emmaus”, e il “San Giovannino”. Inoltre nella collezione Mattei confluirono tele di matrice
bassanesca, di Antiveduto Gramatica, Girolamo Muziano, Carlo Saraceni e Caracci, attualmente
solo in parte identificabili.

28. Descrivere lo stretto rapporto tra pontificati e arte analizzato da Haskell.


Evidenti i contrasti nella figura del Pontefice, come guida spirituale e temporale e allo stesso tempo
l’uomo amatore delle belle arti e capo di famiglia ambiziosa. I papi e i loro nipoti non erano gli
unici committenti, ma il loro crescente monopolio sulla ricchezza ne fece senza dubbio i leader e
dittatori del gusto. Una volta sul trono i papi si circondavano di parenti, amici, clienti delle arti;
questi uomini cominciavano subito a far costruire palazzi, cappelle. Erano committenti pieni di
spirito competitivo, che volevano eccellere e mostrare la loro potenza, scoraggiando i rivali.
Inevitabilmente quasi tutti poi cadevano in disgrazia alla morte del Papa. Per un cardinale era un
punto d’onore riuscire a circondarsi di pittori di fama provenienti dalla propria città natale. A Papa
Sisto V si devono gli sforzi per rinnovare il volto dell’Urbe. Papa Borghese affermò la supremazia
delle linee barocche e un gusto verso i nuovi generi di pittura e verso i soggetti laici e mondani. Il
successore, Papa Ludovisi, bolognese, mostrava favore verso i suoi compatrioti e verso la pittura
classica e composta di Reni, Guercino e Domenichino. Ma è soprattutto con Papa Urbano VIII che
l’arte acquisì veramente un ruolo insostituibile di comunicazione e propaganda e si legò al
conseguimento di un elevato livello sociale. Grazie ai nipoti Francesco, Taddeo e Antonio, Papa
Berberini riesce ad acquisire un ruolo di mecenate tale che un suo incarico determina la fortuna o
meno di un artista.

26. Quali sono le peculiarità dell'approccio metodologico di Francis Haskell?

27. Quale fu l'apporto di Francis Haskel allo studio della storia dell'arte?
Francis Haskell, nella suo studio “Mecenati e Pittori, Studio sui rapporti fra arte e società italiana
nell’arte barocca”, impronta un metodo di studio della storia dell’arte del tutto nuovo:
emancipandosi da uno studio vasariano fatto solo di pittori e opere, Haskell sottolinea l’importanza
che ha il contesto sociale nello sviluppo e nella fortuna di una certa corrente artistica e di un singolo
autore. La storia dell’arte si evolve, si intreccia indissolubilmente con i legami sociali, le aspirazioni
individuali e collettive, con le logiche di mercato. Queste importantissime novità sono state accolte
dagli altri studiosi che con questo metodo hanno analizzato altri periodi storici. L’analisi delle
singole collezioni proposta da Haskell aiuta ad analizzare così anche le personalità dei collezionisti,
che nell’ottica vasariana avevano un rapporto marginale, ma che secondo Haskell sono i fulcri
attorno cui ruota l’arte barocca.
32. Commentare questa frase di Francis Haskell: la storia del collezionismo a Roma nel
Seicento deve essere studiata pertanto come storia di questo processo: ossia dell'emergere,
faticoso e spesso contradditorio, di una concezione e di una pratica moderna dell'arte fondata
sul riconoscimento del valore autonomo dell'opera.
Per rendere chiaro il concetto che c’è dietro questa frase è necessario ricordare l’esempio della tela
“Morte della Vergine”, che fu rifiutata dai Padri scalzi perché considerata troppo lasciva, ma che
Vincenzo Gonzaga volle nella sua collezione. Egli ebbe il senso critico di apprezzarne le qualità
artistiche che scardinano la fusione di bello e buono, di andare oltre alle leggi austere vigenti presso
i Padri Scalzi e di comprendere fino in fondo la preziosità e l’unicità dell’opera. Da ciò nasce e si
afferma il processo di cui tratta Haskell in questa frase, ovvero il riconoscimento dell’autonomia
dell’opera d’arte, a prescindere dall’appartenenza ad uno stile o ad un pittore piuttosto che ad un
altro. L’arte ora è valida in sé.

33. Come si comporta un "collezionista eclettico"?


Un collezionista “ecclettico”, a differenza di ciò che si può immaginare non è colui che racimola
diversi artisti o opere senza senso critico, ma è colui che apprezza l’opera d’arte in quanto tale.
L’unicità di un opera, nel connubio inscindibile tra significato e realizzazione, viene apprezzata dal
collezionista a prescindere dall’appartenenza ad un determinato genere o ad un determinato pittore,
ma per il valore autonomo che l’opera ha. A tale proposito viene infatti portato l’esempio della tela
“Morte della Vergine”, che fu rifiutata dai Padri scalzi perché considerata troppo lasciva, ma che
Vincenzo Gonzaga volle nella sua collezione, perché egli ebbe il senso critico di apprezzarne le
qualità artistiche che scardinano la fusione di bello e buono.

19. Il fenomeno delle "copie" nell'ambito delle dinamiche collezioniste del Seicento. Come
erano considerate? Argomentare
A dispetto della concezione attuale che abbiamo del fenomeno delle copie, nel Seicento è un
fenomeno diffuso e assolutamente stimabile. A tal proposito è Giulio Mancini che ci fornisce, nelle
sue “Considerazioni”, la spiegazione della totale dignità della copia: essa infatti da un lato
riproponeva fedelmente l’idea, l’invenzione dell’autore, ma dall’altro mostrava le capacità
pittoriche dell’artista che la ricopiava. Pertanto i collezionisti esponevano accanto alle grandi tele
d’autore, copie di quei quadri che o non potevano permettersi a causa dei lauti costi, o che erano
opere di artisti ormai deceduti che pertanto non potevano più essere rintracciabile. In quest’ultimo
caso era evidente il fine didattico e formativo, che Vincenzo Giustiniani non manca di sottolineare
nei suoi scritti.

20. Cosa si intende per "testimonianze dell'invisibile" nell'ambito dei più recenti studi sul
collezionismo?
Pomian definisce l’opera una “testimonianza dell’invisibile”: egli lega il concetto di utilità di un
qualsiasi oggetto alla visibilità. L’opera d’arte di per sé non ha una precisa utilità, pertanto è da
considerarsi un bene “semioforo”, cioè portatore di significato, che è invisibile. Nel Seicento si
sviluppa un mercato d’arte ricolto ad un grande pubblico di rappresentanti di tutte le classi che si
muovono per accaparrarsi un bene artistico a cui possono essere attribuiti significati differenti.

13. Gli ordini monastici descritti da Haskell. Citare ed analizzare in poche righe uno dei casi
citati
Nel corso di gran parte del seicento le numerose organizzazioni religiose che si erano costituite
nell’ambito della Chiesa per promuovere gli scopi della controriforma diventarono sempre più
ricche e influenti. Le principali erano quelle dei Gesuiti, Oratoriani e Teatini. Le loro chiese vennero
ingrandite, ricostruite e decorate e nel 1700 erano tra le costruzioni più sontuose di Roma.
Inizialmente gli ordini si erano trovati in un certo senso isolati, consistevano perlopiù di gruppi
relativamente piccoli di devoti che si raccoglievano intorno alla figura di un Santo o di una guida
spirituale, diffondevano idee che spesso erano accolte con sospetto dalla gerarchia ecclesiastica ma
che riuscivano a infondere nell’animo dei seguaci un gran fervore di devozione. Col passare degli
anni le cose incominciano a cambiare, gli ordini religiosi iniziarono ad avere sempre più l’appoggio
della corte papale. Per decorare le loro chiese però dovettero aspettare per decenni: ai loro successi
in tutti campi si accompagnò per molto tempo un’estrema penuria di denaro che li fece dipendere
completamente dall’aiuto delle potenti famiglie che governavano Roma per edificare le loro chiese.
Un esempio è quello del cardinale Alessandro Farnese che fece costruire per i gesuiti la chiesa del
Gesù; questo sembra inizialmente un immenso dono poi ci si rese conto che portava numerosi
inconvenienti, infatti il cardinale considerava la nuova chiesa come una sua proprietà privata e non
si curava dei desideri dei gesuiti. Alla sua morte continuarono i problemi poiché i lavori vennero
interrotti, ma avendo lui riservato l’addobbo della tribuna e dell’altare maggiore esclusivamente alla
sua famiglia non la si poteva fare senza il permesso degli eredi che mostravano totale disinteresse. I
gesuiti quindi dovettero privilegiare la decorazione delle cappelle laterali. I gesuiti non si
preoccupavano dell’uniformità stilistica della Chiesa ma piuttosto esercitarono la loro autorità nella
fase iconografica e tematica e nella scelta dei soggetti. Oltre alla chiesa del Gesù gesuiti avevano
anche il tempio paleocristiano di Santo Stefano rotondo, la chiesa fu affidata al collegio germanico
il cui rettore commissionò a Nicolò Circignani delle Pomarance una serie di affreschi con
rappresentate scene di martirio. Adottarono lo stesso tipo di decorazione anche nella terza chiesa
che possedevano, San Vitale.

14. Come agirono nella Roma di primo Seicento gli Ordini Mendicanti?
La Chiesa Romana si trovò a dover fronteggiare alla fine del 1500 la scissione della Chiesa
Luterana. La Chiesa si trovava attaccata quindi sul piano della dottrina, motivo per cui era
necessaria una profonda riforma e una generale purificazione. Questo clima fu alla base della
nascita dei nuovi ordini religiosi riformati, i più importanti furono i Teatini, gli Oratoriani, i
Cappuccini e i Gesuiti, che miravano a far rivivere la Chiesa secondo gli ancestrali e ben radicati
precetti cristiani. Le loro chiese vennero ingrandite, ricostruite e decorate e nel 1700 erano tra le
costruzioni più sontuose di Roma. Inizialmente gli ordini si erano trovati in un certo senso isolati,
consistevano perlopiù di gruppi relativamente piccoli di devoti che si raccoglievano intorno alla
figura di un Santo o di una guida spirituale, diffondevano idee che spesso erano accolte con sospetto
dalla gerarchia ecclesiastica ma che riuscivano a infondere nell’animo dei seguaci un gran fervore
di devozione. Col passare degli anni le cose incominciano a cambiare, gli ordini religiosi iniziarono
ad avere sempre più l’appoggio della corte papale. Per decorare le loro chiese però dovettero
aspettare per decenni: ai loro successi in tutti campi si accompagnò per molto tempo un’estrema
penuria di denaro che li fece dipendere completamente dall’aiuto delle potenti famiglie che
governavano Roma per edificare le loro chiese.

16. Pittori e precetti cristiani. Argomentare questo binomio


A seguito della Riforma Luterana, la Chiesa Romana della controriforma doveva affermare la sua
superiorità rispetto alle altre dottrine e mise al suo servizio anche l’arte. Roma era al centro di una
ricostruzione che già da Sisto V aveva visto la costruzione di nuovi edifici e palazzi, ma adesso
concentrava tutte le sue energia nel cantiere di San Pietro, sempre in continua espansione. Roma
doveva diventare la capitale del Cristianesimo e pertanto doveva essere predisposta per accogliere i
pellegrini da tutte le parti del mondo. La chiesa impose un forte controllo anche sulla produzione
artistica individuale, obbligando i pittori a presentare i cartoni preparatori al vaglio delle autorità
preposte e a procedere solo dopo averne avuto l’autorizzazione. Vennero imposti nuovi precetti per
l’arte figurativa, che imponevano il rispetto della veridicità storica, eliminando qualsiasi allusione
allegorica. L’arte doveva raccontare la realtà di ciò che era avvenuto, ripulendola con l’adesione ai
rigori e all’equilibrio classicisti. In nessun modo l’arte doveva turbare o scandalizzare. Il più
importante dei numerosi trattati precettistici del nuovo cattolicesimo fu “Il Discorso intorno alle
immagini sacre e profane” del vescovo Paleotti.
17. Cosa esemplificano le vicende avvenute intorno alla Chiesa del Gesù a Roma nei primi
anni del seicento?
Per decorare le loro chiese però dovettero aspettare per decenni: ai loro successi in tutti campi si
accompagnò per molto tempo un’estrema penuria di denaro che li fece dipendere completamente
dall’aiuto delle potenti famiglie che governavano Roma per edificare le loro chiese. Un esempio è
quello del cardinale Alessandro Farnese che fece costruire per i gesuiti la chiesa del Gesù; questo
sembra inizialmente un immenso dono poi ci si rese conto che portava numerosi inconvenienti,
infatti il cardinale considerava la nuova chiesa come una sua proprietà privata e non si curava dei
desideri dei gesuiti. Alla sua morte continuarono i problemi poiché i lavori vennero interrotti, ma
avendo lui riservato l’addobbo della tribuna e dell’altare maggiore esclusivamente alla sua famiglia
non la si poteva fare senza il permesso degli eredi che mostravano totale disinteresse. Pertanto i
lavori rallentarono e per concludere le pitture furono usati espedienti poco illustri che portarono a
risultati mediocri. Da questo esempio è facile desumere quante variabili ci fossero dietro una
committenza, dettata da ambizioni personali e ricerca di prestigio.

20. Qual è la situazione sociale a Roma alla vigilia dell'anno giubilare? Che conseguenze ebbe
questa situazione sull'arte contemporanea?
Roma negli ultimissimi anni del XVI sec si preparò ad onorare l’anno giubilare, il 1600, e quindi ad
accogliere un’immensa folla di pellegrini. Clemente VIII esortò i cardinali a restaurare le chiese più
importanti, e diede delle indicazioni ben precise che si allineavano con l’idea che la Chiesa della
Controriforma voleva dare di sé. Innanzi tutto vennero prediletti i cicli pittorici e le raffigurazioni
dei Santi della fase protocristiana, coloro i quali attraverso l’imitatio Christi erano giunti all’estremo
sacrificio, diventando esempio di vita per i fedeli. La crudezza e la cruenza delle composizioni
mirava ad impressionare lo spettatore e ad ammonirlo. Le Vergini Martiri erano i soggetti più
fortunati, tra tutti Santa Cecilia e Santa Lucia il cui sangue aveva santificato Roma. I gesuiti
promossero la pittura di 30 scene di martirio nella Chiesa di Santo Stefano Rotondo, il cardinal
Rusticucci scene di uccisioni di Santi sulle pareti di Santa Susanna e Clemente VIII ordinò al
Cavalier D’Arpino di decorare la Chiesa di San Giovanni In Laterano, dando visibilità ai nuovi
precetti controriformistici e proporre una continuità manieristica con la tradizione rafaellesc. Il tutto
in un’atmosfera di dramma e tenebra che ben si legava all’incontrollabile delinquenza che si trovava
per le vie di Roma.

16. Cosa si intende per "nascita dei generi?"


Con “nascita dei generi” si intende l’affermazione di diversi generi pittorici, già esistenti, ma fino al
Seicento considerati privi di una dignità propria, come le “scene di genere” o le nature morte.
Questi erano rappresentazione di aspetti concreti della realtà che non confacevano al livello del
pittore, il quale aveva il compito di rappresentare temi sublimi desunti dalla storia. Tuttavia nel
Seicento l’arte amplia il suo pubblico e non si rivolge solo ad una ristretta cerchia di committenti,
ma anche a membri di una più bassa estrazione sociale. A loro infatti si rivolgevano questi dipinti
dai temi più semplici, che nel XVII sec si svilupparono come forme autonome e che ben presto si
inserirono anche nelle collezioni più prestigiose. A tale proposito diventa chiarificatrice la “lettera
sulla pittura” di Vincenzo Giustiniani, dove vengono indicati dodici gradi dell’abilità artistica: tra il
quinto e il settimo grado troviamo la rappresentazione di “ritratti, fiori e frutta” considerati nel
Rinascimento rappresentazioni basse, di second’ordine.

17. Individuare uno dei cosiddetti "generi minori" ed argomentarne nascita e sviluppo
Uno dei generi minori è la pittura di paesaggio che Giustiniani indica tra il quinto e il settimo grado
di elevazione artistica. Egli indica due livelli di pittori di paesaggi: quelli italiani che dipingono
dettagli senza diligenza, e quelli fiamminghi che cercano di rendere nel dipinto la naturalezza del
paesaggio. Quella produzione artistica che da Vasari era considerata di poco pregio, adatta alle case
dei ciabattini o alle camere delle donne. Tra i pittori italiani di paesaggi Giustiniani annovera pittori
come Tiziano, Raffaello, Caracci e Caravaggio. Questi ultimi due pittori ritornano poi nel
dodicesimo grado, grazie alla loro capacità di combinare la pittura del reale con la pittura di
fantasia. Già la posizione di Giustiniani è portavoce di un cambiamento di concezione, poiché i
grandi maestri, per essere tali, devono saper rappresentare anche i soggetti meno sublimi. Alla fine
del Cinquecento i paesaggi sono sempre più presenti nelle grandi collezioni.
Ricordiamo che tanta e tale è la fortuna di questo genere che a Roma si stanziarono i fratelli Brill
che aprirono una loro bottega, diventano sempre più richieste le opere di Dosso e Garofalo che
combinano il paesaggio nordico a quello veneziano. E’ opportuno considerare che la rivalutazione
di questo genere non è stata immediata: infatti se da un lato Brill dona vitalità a queste realizzazioni
di paesaggi, dall'altro lato si tratta comunque di tele di piccolo formato.

18. Cosa si è potuto ricavare dai recenti studi condotti da Renata Ago sul "Gusto delle cose"
in merito alla fruizione dstei dipinti nel primo Seicento?
Renata Ago ha condotto uno studio su un vasto campionario di inventari patrimoniali. Il risultato è
stato un’analisi singolare che è confluito in un volume “Il Gusto delle Cose”, dalla quale si evince
una mappatura statistica della diffusione dei dipinti in base al soggetto, al suo mestiere e alla sua
identità sessuale.
I quadretti di mano ordinaria e di piccolo formato erano diventati una vera moda: i dipinti dei
popolani si trovavano nelle botteghe dei venditori di svariato genere e venivano acquistate da sarti,
barbieri per essere esposte nelle loro botteghe. Le composizioni di tipo religioso erano di solito
adibite alle abitazioni private, erano rivolte alla devozione privata e avevano lo scopo di proteggere
la famiglia.
Inoltre dalla ricerca è emerso che a parità di ceto sociale, le donne avevano meno disponibilità
economica ed erano meno colte per cui acquistavano tele meno pregiate, di dimensioni ridotte e di
tecniche più scadenti. Preferivano temi religiosi, mentre per i temi profani si concentravano su
nature morte, paesaggi e ritratti a fronte di vario genere, oltre che a copie di originali famosi. Le tele
con i soggetti religiosi erano destinate alle stanze private, mentre i temi profani erano destinati alle
sale di rappresentanza. Inoltre si diffondono anche i ritratti di uomini illustri, che avevano lo scopo
di rappresentare una dichiarazione di fedeltà o di debito intellettuale del proprietario verso il
soggetto del ritratto. Nelle case dei meno abbienti si ritrovano invece stampe su carta di filosofi.

19. Come nacque il genere delle "marine"?


Il definitivo sdoganamento del paesaggio si ebbe comunque solo nel corso del Seicento: qui il venir
meno della committenza religiosa, per ragioni storico-politiche, portò al clamoroso fiorire di una
nuova pittura borghese, col trionfo di tutti i generi fino ad allora ritenuti minori, compresa la veduta
paesaggistica. Si deve alla bottega di Matthjis e di Paul Bril la codificazione delle sottocategorie del
paesaggio, come per esempio la raffigurazione di porti e di scene marine, serene e in tempesta, già
comparse in pittura ma non ancora affermatisi come genere.

20. Chi introdusse la pittura di paesaggio a Roma? Come questa influenzò gli artisti presenti
nella capitale?
Il genere della pittura di paesaggio compare già dal Cinquecento, sebbene considerato di grado
inferiore, ma è solo nel Seicento che si afferma come genere immancabile nelle grandi collezioni.
Molti artisti nordici si stanziarono infatti a Roma e aprirono la loro bottega, come i fratelli Bril. Essi
producevano tele paesistiche di piccolo formato destinate alle raccolte di ogni livello. Con la
devoluzione arrivarono ad arricchire le sale dei palazzi anche opere di Garofalo e di Dosso che
combinavano una pittura paesistica nordica a quella veneziana. Fu poi negli anni ’70 con Gregorio
XIII che si affermano le raffigurazioni paesistiche di Bril, Matthijis e Tempesta nei Palazzi Vaticani.
Girolamo Muziano sarà uno dei grandi protagonisti del Papato di Gregorio chi apporti dalle unirà il
gusto per l’ambientazione naturalistica con la tradizione pittorica veneta. Ovviamente
l’affermazione del genere non fu immediata, ma ci volle un lungo tempo di incubazione.
21. Sintetizzare il contesto romano di primo seicento in rapporto alla nascita dei nuovi generi
artistici

24. Gli artisti stranieri nella Roma del '600: novità e influenze.
La Roma del ‘600 costituisce un cantiere artistico all’interno del quale si sviluppano nuove mode,
come l’affermazione dei generi minori. Già dalla “Lettera sulla Pittura di Giustiniani” possiamo
scorgere il principio di questo processo di rivalutazione di alcuni generi, ma il processo non fu per
niente immediato.
Indubbiamente influirono le correnti straniere: per le vedute, i paesaggi e le “scene di genere” fu
importante l’influenza fiamminga e soprattutto l’operato della bottega dei fratelli Bril, per quanto
riguarda il genere della “natura morta” fu fondamentale l’influsso arrivato dalla Francia e
dall’Olanda. Queste rappresentazioni, che prima sembravano adatte solo a botteghe, acquisiscono
sempre più prestigio al punto tale da ricevere la vera consacrazione italiana con la produzione di
Caravaggio, che aveva fatto proprie queste tendenze realistiche e le aveva resi ancor più d’impatto
grazie al contrasto cromatico dettato dal gioco luci-ombre.

22. Cosa si intende per "natura morta"?


Con “natura morta” si intendono le raffigurazioni di oggetti ed elementi naturali e si configurano
nel Cinquecento come un genere minore necessario però per la formazione dei vari pittori. Già alla
fine del Cinquecento nei Paesi bassi e in Italia settentrionale si diffondono i scene di cucina e di
mercati, ma con il tempo diventano espressione di una nuova sensibilità laica nei confronti del
quotidiano ed esprimono la necessità di rendere nei quadri la realtà. In Italia l’iniziatore di questo
genere, ormai rivalutato, viene considerato Caravaggio (Ragazzo con Canestra di Frutta). La sua
attenzione al dato naturale e gli straordinari inserti nei quadri di storia portano i suoi seguaci a
rappresentare nature morte, caratterizzate dal forte contrasto di luci e ombre, in interni spogli, a
volte accompagnati da figure di suonatori o cantori.
Molti sono gli autori che perpetuano la fortuna della natura morta di ascendenza caravaggesca, tra
cui ricordiamo Angelo Carosello e Mario Nuzzi.

23. Cosa si intende per "scena di genere"?


Con la definizione “scena di genere” si intendono quei tipi di dipinti che raffigurano scene di vita
quotidiana, senza nessun tipo di abbellimento o rimando allegorico. Si tratta di una “fotografia”
della realtà, in cui il pittore registra ciò che accade. Per questa scelta distile, tale genere fu
aspramente criticato, poiché il pittore rinuncia così all’idealizzazione del reale e pertanto alla
funzione morale ed educatrice. Ad introdurre nello scenario italiano queste opere sono gli artisti
stranieri, ricordiamo Beukelaer e Paul Brill. Il genere si afferma nelle regioni Nord dei Paesi Bassi
già dal Cinquecento e in Olanda si assiste ala più alta manifestazione dell’arte del descrivere. Per lo
sviluppo del filone italiano di questo genere appare importante anche qui l’apporto di Caravaggio,
soprattutto il suo soggetto della zingara in atto di predire il futuro, poi ripreso da Vouet e Valentin.

25. In che senso si può affermare che nel Seicento la "pittura si avviò a diventare una
questione pubblica"?
A Roma ora era presente una cerchia di conoscitori d’arte raffinati e colti, interessate tutte le ultime
scoperte della scienza e dell’estetica, pronti a incoraggiare i con opera pia complesse e forme di
espressione artistica più aristocratiche misurate di quelle che riempivano le chiese e grandi palazzi.
Il fascino esercitato dalla città su viaggiatori stranieri inoltre ampliò l’area dei committenti: Si
moltiplicò il numero dei mercanti d’arte di professione che trattavano direttamente con gli artisti.
Dapprima i mercanti svolsero un ruolo decisivo solo sulla carriera di artisti giovani e sconosciuti,
l’artista infatti per iniziare vendeva alcune delle sue prime opere e attraverso queste riuscì a farsi
presentare a committenti più ricchi ed importanti un esempio a Caravaggio con il cardinale del
Monte. Appena l’artista riusciva a crearsi una certa reputazione cercava di non lavorare
esclusivamente per un solo mercante o committente.
33. Chi furono i bamboccianti? Delinearne le caratteristiche e la fortuna sul mercato romano.
I bamboccianti furono i seguaci di Bamboccio, soprannome affidato per il suo poco gradevole
aspetto a Peter Van Lear. Loro si dedicavano alla pittura di scene di vita popolare, sordidi interni di
taverne, accadimenti all’aperto che nel corso del Seicento diventarono sempre più di tendenza e
finirono per essere presenti anche nelle collezioni più prestigiose. I soggetti dei Bamboccianti erano
i “buoni poveri, i membri di quella società ai margini ripulita dalla drammatica indigenza e
promiscuità. Nonostante le condanne dei classicisti, Bamboccio e i suoi seguaci si affermarono
nelle collezioni artistiche, soprattutto quelle di Vincenzo Giustiniani e Cassiano del Pozzo .

24. Chi furono Cerquozzi e Codazzi?


Michelangelo Cerquozzi fu un erede di Peter Van de Lear, detto Bamboccio. Dopo una prima fase
iniziale in cui dovette cercare degli acquirenti, Cerquozzi si inserì in una cerchia che appoggiava la
casata spagnola e pertanto abbracciavano tendenze artistiche ben diverse dalle famiglie filofrancesi.
Tra i committenti di Cerquozzi le famiglie Colonna, Carpegna e i Raggi. Anche se la particolare
resa coloristica e la fantasia del suo ingegno fecero sì che le produzioni di Cerquozzi fossero
ammirati da i più grandi e fini conoscitori di arte. La sua fame è legata anche alla rappresentazione
di battaglie senza eroi, come possiamo vedere in “La rivolta di Masaniello”, per una società lontana
dai drammi della vita reale.
Viviano Codazzi fu un pittore italiano di paesaggi, attivo principalmente a Roma e Napoli.
La sua pittura fu influenzata dalla scuola olandese, ben rappresentata a Roma in quel periodo e nota
come Scuola dei Bamboccianti, che ebbe come ispiratore e protagonista Pieter van Laer. Egli lavorò
a quattro mani con Michelangelo. La tendenza a trovare due firme nella stessa opera era molto
comune.

23. Argomentare questa frase scritta da Giovan Pietro Bellori a proposito dei Bamboccianti:
"S'impegnano a dipingere li più vili, e bassi accidenti della natura con espressioni abiette e
stomacose, cagioni che partoriscono più risate che meraviglie: cosa del tutto contraria a così
maestosa professione"
I bamboccianti furono i seguaci di Bamboccio, soprannome affidato per il suo poco gradevole
aspetto a Peter Van Lear. Loro si dedicavano alla pittura di scene di vita popolare, sordidi interni di
taverne, accadimenti all’aperto che nel corso del Seicento diventarono sempre più di tendenza e
finirono per essere presenti anche nelle collezioni più prestigiose. I soggetti dei Bamboccianti erano
i “buoni poveri, i membri di quella società ai margini ripulita dalla drammatica indigenza e
promiscuità. Nonostante le condanne dei classicisti, tra cui le parole su citate di Bellori, Bamboccio
e i suoi seguaci si affermarono nel panorama artistico del Seicento.

19. Chi scrisse la "Lettera sulla pittura"?


“Lettera sulla Pittura” costituisce una riflessione sull’arte che Vincenzo Giustiniani invia al grande
amico olandese Dirk Van Amayden. Egli elabora un percorso artistico fatto di dodici gradi, che non
vuole essere una gerarchia dei generi, ma vuole indicare i gradi che ogni pittore deve scalare per
raggiungere una pittura di livello. Nei primi gradi abbiamo le tecniche base di realizzazione di
affreschi e la capacità di realizzare delle buone “copie”(ricordiamo la valenza didattiche che
Giustiniani dava alle copie). Dal quarto al settimo troviamo i generi minori che acquisiranno sempre
più prestigio nel Seicento, quali la ritrattistica, la natura morta, la rappresentazione di prospettive
architettoniche e la pittura di paesaggio. Nell’ottavo e nel non grado Giustiniani fa riferimento alla
realizzazione pittorica dell’impeto e dei sentimenti. Nel decimo livello abbiamo la pittura
cinquecentesca, nell’undicesimo la pittura caravaggesca, nel dodicesimo la summa di entrambe.

10. Cosa si intende per letteratura artistica? Citare i casi Mancini e Bellori
Con “Letteratura artistica” intendiamo l’insieme delle fonti scritte della storia dell’arte. Tra questi
possiamo isolare casi di critica d’arte, propriamente detta. Il più importante di tutti critici romani
cominciarono far sentire il peso delle loro idee nella seconda metà del seicento fu Gian Pietro
Bellori. Egli infatti aveva un’idea di base precisa e coerente che espresse con chiarezza e autorità,
rompendo con la tradizione della storia dell’arte stabilita da Vasari: egli non mirava alla
completezza né alla scelta degli artisti ne al resoconto della loro vita o delle loro opere, il suo
criterio di giudizio si basava sul concetto di ideale, rappresentato da Raffaello. Le vite ostentavano
ostilità per un artista, Caravaggio, un’ostilità tenta di rispetto. Nel suo libro c’erano anche degli
eroi: Domenichino, Poussin. Tra gli artisti del suo tempo il suo preferito era Maratta, che tendeva ad
una maggior semplicità e rispetto delle regole rispetto ai grandi artisti del Barocco. Egli ripropone il
pensiero di Agucchi, secondo cui il compito del pittore era raffigurare il Bello Ideale, ma facendo
tesoro anche di esperienze successive di Poussin e di Testa. Giulio Mancini, medico, appassionato
di arte, propone il modo di posizionare in maniera appropriata le tele nella propria abitazione o nella
galleria. Inoltre egli individua quattro scuole che illustrò non attraverso le biografie, ma con
sintetiche annotazioni: quella dei Caracci, quella di Caravaggio, quella del Cavalier D’Arpino e una
quarta scuola nella quale confluivano tutti quelli che non potevano essere catalogate nelle prime tre.

11. Chi furono i rappresentanti delle teorie classiciste del primo Seicento?
Tra le tendenze classiciste del Seicento possiamo indicare il pensiero di Bellori che, nelle sue “Vite
dei pittori, scultori e architetti moderni”, condanna il Barocco e il manierismo per esaltare la pittura
dei Caracci, ai quali si riconosce il merito di aver fatto rivivere la pittura dei grandi maestri del
passato. Egli, come Agucchi, esalta la rappresentazione del Bello Ideale estrapolato dalla cruda
realtà. Un altro esponente della teoria classicista è Baglione, importante pittore che si occupò di
riordinare la biografie secondo le successioni dei papi per glorificare la città e i suoi pontefici. Egli
si fece difensore delle diffuse idee classiciste, lodando l’arte del Caracci. Giovanni Baglione
riteneva che Caravaggio, antagonista dei Caracci per eccellenza, avesse buona maniera ma cattivo
era il suo "giudizio di scegliere" perché non apprezzava la crudezza delle sue opere, l’eccesso di
realismo che toglie all’arte il collegamento con il Bello Ideale.

12. Giovanni Baglione riteneva che Caravaggio avesse buona maniera ma cattivo era il suo
"giudizio di scegliere". Argomentare questa frase.
Un altro esponente della teoria classicista è Baglione, importante pittore che si occupò di riordinare
la biografie secondo le successioni dei papi per glorificare la città e i suoi pontefici. Egli si fece
difensore delle diffuse idee classiciste, lodando l’arte del Caracci. Giovanni Baglione riteneva che
Caravaggio, antagonista dei Caracci per eccellenza, avesse buona maniera ma cattivo era il suo
"giudizio di scegliere" perché non apprezzava la crudezza delle sue opere, l’eccesso di realismo che
toglie all’arte il collegamento con il Bello Ideale.

13. Sintetizzare il concetto di "Scuola Artistica".


Il termine di “scuola artistica” è un concetto flessibile che Grassi indica come un complesso di
tendenze e preferenze, di cognizioni tecniche e di cultura in genere, comuni ad una cerchia
regionale di artisti e trasmesse da maestro a scolaro. Diversi studiosi di arte cercarono di
identificarle: il primo Agucchi, prelato bolognese che individua la Scuola dei Caracci, che si occupa
di estrapolare dalla realtà il Bello ideale; Domenichino distingue invece la Scuola Romana, che
imita l’antico, la scuola veneziana, che imita la natura, la Scuola Lombarda, di facile imitazione e
quella Toscana, caratterizzata da uno stile minuto ed elegante. Un altro parere importante è quello di
Giulio Mancini che indicò le scuole a lui contemporanee: quella dei Caracci, quella di Caravaggio,
quella del Cavalier D’Arpino e una quarta scuola nella quale confluivano tutti quelli che non
potevano essere catalogate nelle prime tre.

14. Quali sono, durante il Seicento, le linee principali della speculazione teorica sull'arte?
Il più importante di tutti critici romani cominciarono far sentire il peso delle loro idee nella seconda
metà del seicento fu Gian Pietro Bellori. Egli infatti aveva un’idea di base precisa e coerente che
espresse con chiarezza e autorità, rompendo con la tradizione della storia dell’arte stabilita da
Vasari: egli non mirava alla completezza né alla scelta degli artisti ne al resoconto della loro vita o
delle loro opere, il suo criterio di giudizio si basava sul concetto di ideale, rappresentato da
Raffaello. Le vite ostentavano ostilità per un artista, Caravaggio, un’ostilità tenta di rispetto. Nel
suo libro c’erano anche degli eroi: Domenichino, Poussin. Tra gli artisti del suo tempo il suo
preferito era Maratta, che tendeva ad una maggior semplicità e rispetto delle regole rispetto ai
grandi artisti del Barocco. Egli ripropone il pensiero di Agucchi, secondo cui il compito del pittore
era raffigurare il Bello Ideale, ma facendo tesoro anche di esperienze successive di Poussin e di
Testa. Giulio Mancini, medico, appassionato di arte, propone il modo di posizionare in maniera
appropriata le tele nella propria abitazione o nella galleria. Inoltre egli individua quattro scuole che
illustrò non attraverso le biografie, ma con sintetiche annotazioni: quella dei Caracci, quella di
Caravaggio, quella del Cavalier D’Arpino e una quarta scuola nella quale confluivano tutti quelli
che non potevano essere catalogate nelle prime tre.
Lettera sulla Pittura” costituisce una riflessione sull’arte che Vincenzo Giustiniani invia al grande
amico olandese Dirk Van Amayden. Egli elabora un percorso artistico fatto di dodici gradi, che non
vuole essere una gerarchia dei generi, ma vuole indicare i gradi che ogni pittore deve scalare per
raggiungere una pittura di livello. Nei primi gradi abbiamo le tecniche base di realizzazione di
affreschi e la capacità di realizzare delle buone “copie”(ricordiamo la valenza didattica che
Giustiniani dava alle copie). Dal quarto al settimo troviamo i generi minori che acquisiranno sempre
più prestigio nel Seicento, quali la ritrattistica, la natura morta, la rappresentazione di prospettive
architettoniche e la pittura di paesaggio. Nell’ottavo e nel non grado Giustiniani fa riferimento alla
realizzazione pittorica dell’impeto e dei sentimenti. Nel decimo livello abbiamo la pittura
cinquecentesca, nell’undicesimo la pittura caravaggesca, nel dodicesimo la summa di entrambe.

15. Chi fu Giovan Pietro Bellori? Dove si inserisce la sua opera?

16. Chi fu il principale esponente delle teorie classiciste nel primo Seicento?
Il più importante di tutti critici romani cominciarono far sentire il peso delle loro idee nella seconda
metà del seicento fu Gian Pietro Bellori. Egli infatti aveva un’idea di base precisa e coerente che
espresse con chiarezza e autorità, rompendo con la tradizione della storia dell’arte stabilita da
Vasari: egli non mirava alla completezza né alla scelta degli artisti ne al resoconto della loro vita o
delle loro opere, il suo criterio di giudizio si basava sul concetto di ideale, rappresentato da
Raffaello. Le vite ostentavano ostilità per un artista, Caravaggio, un’ostilità tenta di rispetto. Nel
suo libro c’erano anche degli eroi: Domenichino, Poussin. Tra gli artisti del suo tempo il suo
preferito era Maratta, che tendeva ad una maggior semplicità e rispetto delle regole rispetto ai
grandi artisti del Barocco. Egli ripropone il pensiero di Agucchi, secondo cui il compito del pittore
era raffigurare il Bello Ideale, ma facendo tesoro anche di esperienze successive di Poussin e di
Testa.

18. Come si sviluppò la letteratura artistica del Seicento nei centri minori?
Per capire l’evoluzione dell’arte nei centri minori dobbiamo individuare anche altri importanti
scrittori secenteschi, quali Francesco Scannelli, Luigi Scaramuccia e Raffaello.
Scannelli pubblicò “Il Microcosmo della pittura”, dedicandolo a Francesco I D’Este, celebrando i
pezzi di arte emiliana della sua collezione. Egli riconosce gli esiti più alti nel classicismo
raffaellesco, riproposto da Correggio che tempera il colorismo veneto e il chiaroscuro lombardo.
Scannelli propone con forza l’autonomia del colorismo veneto, in contrapposizione a Paolo Pino
che non lo riteneva adeguato a causa della mancanza del disegno.
Luigi Scaramuccia scrisse “Finezze de’ pennelli italiani, in cui accorda il primato ai pittori
bolognesi di aver riformato la pittura moderna. Egli apprezzo le sculture di Duquesnoy più di quelle
del Bernini.
Infine Soprani non si addentra in valutazioni critiche, ma l’opera “La vita de pittori, scultori e
architetti genovesi” offre una interessante mappatura della pittura ligure, non escludendo l’apporto
di pittori di altra provenienza.
11. Delineare la storia delle collezioni oggi al Museo Ermitage di San Pietroburgo.
L’Ermitage di San Pietroburgo racchiude una collezione inestimabile di opere d’arte che è divenuta
una galleria pubblica. Il primo nucleo è composto da una serie di opere acquisite da Pietro il
Grande, costituita per lo più da opere di provenienza olandese, soprattutto marine e scene di genere,
e la “Deposizione” di Garofalo. La figlia Elisabetta IV continuò l’opera collezionistica del padre
facendo arrivare opere dall’Italia, in particolare di pittori quali Rotari, Rotelli e Fontebasso.
Caterina II, sovrana illuminata, acquisì un gruppo di dipinti provenienti da Gotzkowski che fece sì
che entrarono all’Ermitage opere tedesche e olandesi di Frans Hals e Goltzius. Con lei il Museo
Ermitage divenne uno strumeto di potere e si impegnò per renderlo sempre più prestigioso. In un
secondo momento acquisì le collezioni intere dei conti di Bruhl e assicurò a Caterina anche grandi
capolavori italiani, come “La fuga in Egitto” di Tiziano, “Il paesaggio con arcobaleno di Rubens” e
la deposizione della croce di Poussin. Infine acquisì anche l’intera collezione di Crozat, il cui
mediatore fu Diderot in persona. Entrarono così a far parte della collezione “la Giuditta” di
Giorgione, “ritratto di Giovane Donna” di Tiziano, e altre opere prestigiose. Nel 1779 venne
acquisita la collezione di sir Robert Walpole, poi acquisisce dopo la rivoluzione francese altre opere
come “il suonatore di liuto” di Caravaggio. Sotto lo zar Alessandro I la collezione si arricchì delle
“pie donne” del Caracci, e la “Maddalena penitente” e il “San Sebastiano” di Tiziano. Ogni
occasione era buona per arricchire questo museo: con la rivoluzione russa si riuscirono ad acquisire
le “Vedute veneziane” di Canaletto che andavano a colmare un vuoto nella storia dell’arte
raccontata da questo museo. Nel 1930 furono acquistate delle tele di Tiepolo, che portarono la
collezione del Museo ad essere la più grande al mondo.

10. Delineare la storia delle collezioni oggi al Museo di capodimonte di Napoli.


Carlo di Borbone fa costruire una nuova residenza di corte dove far confluire la collezione ereditata
dalla madre Elisabetta Farnese, ultima erede della grande famiglia patrizia, esposta al primo piano
dell’edificio.
Al secondo piano invece è collocata la galleria napoletana che costituisce il cuore delle raccolte
borboniche: abbiamo testimonianze dello sviluppo dell’arte napoletana dal Duecento al Settecento.
Inoltre i re Borbone si circondarono di artisti non napoletani ai quali affidarono il compito di
celebrare la loro dinastia, per cui troviamo anche tele di Pannini, Liani, Mengs, Hackert e Lebrun. Il
terzo piano dell’edificio è dedicato all’esposizione di dipinti e sculture dell’Ottocento,
espressamente realizzate per il Museo napoletano. Del nucleo Farnese dobbiamo citare la collezione
di antichità di Alessandro Farnese, formata grazie all’acquisto di intere collezioni, a donazioni, ma
anche ad una fortunata campagna di scavi condotti nel Foro e sull’Aventino. Il nipote, il cardinale
Alessandro Farnese incrementò la raccolta attraverso l’acquisto di altre collezioni e attraverso la
ricezione in eredità del lascito di Margherita D’Austria, vedova di Alessandro De Medici. Di questa
collezione spicca la raccolta di gemme e pietre preziose. Anche le sculture antiche della collezione
Farnese vennero portati al Museo napoletano, disposte nel rispetto della suddivisione originaria
che avevano nel palazzo Farnese. La quadreria Farnese era composta dal nucleo romano, opera di
Paolo III Farnese, per cui dipinsero Raffaello, Sebastiano del Piombo, Michelangelo, Tiziano. Il
Nipote Alessandro apporta un contributo importante con l’acquisizione di opere di artisti noti del
Secondo Cinquecento e qualche opera fiamminga, ma l’arricchimento della raccolta avverrà quando
Odoardo Farnese, erede di Alessandro, erediterà la collezione di Fulvio Orsini.
Durante i pontificati di Urbano VIII e Innocenzo X si acuisce il clima anti-farnese, motivo per cui la
famiglia si trasferisce a Parma, dove Ranuccio confiscò le opere dei feudatari ribelli e le collezioni
si arricchiscono di quadri di gran pregio. L’Intera raccolta venne poi esposta in una Galleria ideata
nel palazzo Pilotta, rispettando i canoni della simmetria e dell’equilibrio. Francesco e Antonio,
successori di Ranuccio, incrementarono la raccolta con oltre 170 opere. Tutto questo verrà ereditato
da Elisabetta Farnese e giungerà a Carlo Borbone, suo figlio, che lo porterà nel Museo di
Capodimonte.

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