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Raffaello Sanzio

Considerato uno dei più grandi artisti di ogni tempo (1) (Paolucci, A.
Raffaello in Vaticano, in Art e dossier, vol. 298, Milano) soprattutto per la
radicale novità legata alla propria esperienza artistica, per il gran numero di
opere iconiche e per le particolari modalità con cui queste sono state
realizzate, avvalendosi di una bottega altamente strutturata e formata da
professionisti di altissimo livello, cui il Maestro affidava gran parte del suo
lavoro. La maniera di Raffaello viene considerata di assoluta importanza
per lo sviluppo del linguaggio artistico dei secoli a venire, sia per
emulazione da parte dei suoi collaboratori che ne portarono avanti il
linguaggio per decenni in tutta Europa (2) ( Bousquet, J. (1963), Il
manierismo in Europa, Milano) e che afferirono al cosiddetto manierismo,
ma anche per opposizione, basti pensare al rifiuto della sua opera iniziato
con Caravaggio (3) (Valdinoci, F. (a cura di) (2016), Vite di Caravaggio).
Raffaello nasce, secondo la testimonianza vasariana, ad Urbino il 28
marzo 1483 (4) (Vasari, G. (1550, 1558, 1976), Vite, pp. 156 e 210). Il
padre, Giovanni Santi, era anch’egli pittore, in rapporto con la corte dei
Monteffeltro, mentre la madre Magia di Battista di Niccolò, morì, dando
alla luce una bambina, scomparsa alla fine dello stesso mese, agli inizi del
mese di ottobre del 1491. Il padre, nel testamento da lui redatto in tre
versioni distinte, tra il 26 e il 29 luglio del 1494, nomina eredi universali,
l’artista all’epoca undicenne e il fratello Bartolomeo di Sante. Tra i
testimoni figurano, oltre allo scultore e architetto milanese Angelo
Barocci, il pittore Evangelista da Pian di Meleto, il principale
collaboratore del padre di Raffaello. Giovanni Santi morì il 1° agosto
1494. Negli anni che vennero alcune controversie ereditarie contrapposero
in una causa legale Raffaello, lo zio Bartolomeo di Sante e Bernardina
di Piero di Parte, seconda moglie di Giovanni.
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Il padre offrì al giovanissimo Raffaello un importante quanto decisivo
stimolo intellettuale, incarnando il modello, non inconsueto nella società
quattrocentesca, del pittore consapevolmente colto, capace di ambizioni
letterarie, sia in ambito poetico volgare che teatrale. La sua opera più
impegnativa è certamente il poema il terza rima dedicato a Federico da
Montefeltro, La vita e le gesta di Federico da Montefeltro duca di Urbino,
poema in terza rima, composto attorno gli anni ottanta del Quattrocento e
rivela l’ampiezza della sua cultura non solo figurativa, come possiamo
desumere dalla lettura dei versi della Disputa de la pictura, che ci
restituiscono piuttosto ampiamente il panorama artistico del Quattrocento.
La prima testimonianza sicura in cui il giovane Raffaello viene già
denominato « magister » risale a quando aveva appena diciassette anni. La
fonte a cui ci riferiamo è il contratto di allocazione della pala d’altare per la
cappella di famiglia di Andrea Baronci, all’interno della chiesa di
Sant’Agostino a Città di Castello, stipulato il 10 dicembre 1500 (5)
(Magherini Graziani, G. (1908), Documenti inediti relativi al “San Nicola
da Tolentino” e allo “Sposalizio” di Raffaello, in Bollettino della R.
Deputazione di storia patria per l’Umbria. Memorie e documenti, vol. 14).
Il diciassettenne Raffaello viene citato nel contratto con Andrea Baronci
assieme a Evangelista da Pian di Meleto, oramai quarantenne, come colui
che andrà ad eseguire l’Incoronazione del beato Nicola da Tolenino
vincitore di Satana. Il 13 settembre 1501 i due pittori ricevettero da
Baronci il saldo di 16 ducati per il completamento dell’opera. Rimangono
del dipinto, danneggiato da un terremoto del 1789, solo quattro frammenti,
che consentono, comunque, di aver un’idea precisa dell’alto livello del
giovane artista, come possiamo già notare alcune caratteristiche che
rimarranno immutate durante la sua intera carriera artistica, come. ad
esempio, la la precisione perentoria del disegno, volto a costruire immagine
intimamente sensibili e delicate. Due di questi frammenti sono conservato a
Napoli al Museo di Capodimonte, mentre gli altri due sono rispettivamente
visibili al Louvre di Parigi e uno a Brescia alla pinacoteca Tosio. I
frammenti di Capodimonte giunsero a Napoli nel 1799, grazie
all’intervento di Domenico Venuti. Durante le complesse fasi del trasporto
da Roma, i due pezzi furono separati e, per di più di un secolo, le due
tavole hanno avuto destini diversi, fino a quando Fischel non li identificò
sulla base di alcuni disegni preparatori scoperti a Lille e a Oxford. In un
primo momento l’opera fu attribuita al Perugino, mentre oggi viene
unanimamente assegnata alla prima attività di Raffaello, a ridosso proprio
della collaborazione con il pittore umbro, com’è possibile osservare nella
tipologia della testa ossuta del Padre Eterno ed ancor di più
nell’articolazione accentuata delle mani, che stringono la corona. Appare
evidente la distanza sia da un punto di vista stilistico che qualitativo tra la
questa figura e i cherubini che, nella parte bassa della composizione,
alzano gli occhi verso il Padre. Sembra verosomigle che questi bambinelli
con lo sguardo perso nel vuoto, siano da attribuire a Evangelista Pian di
Meleto o comunque a un collaboratore della bottega, cui un tempo si
pensava di attribuire solo alcuni obsoleti elementi decorativi che, in questa
tavola, ricoprono la fascia dell’arco.
Vasari nelle Vite è il primo a ricordare il discepolato di Raffaello nella
bottega del Perugino, dove sarebbe stato condotto dal padre. La questione
è tuttora oggetto di discussione in quanto non risulterebbe documentato. Al
contrario è noto che, attorno al 1502, Raffaello fu in rapporto con
Bernardino Pinturicchio con cui collaborò, a Siena, alla progettazione di
un ciclo di affreschi, per la Libreria Piccolomini nel duomo, raffiguranti
una serie di episodi della vita della vita di Enea Silvio Piccolomini. Il ciclo
fu commissionato al Pinturicchio nel giugno del 1502 dal cardinale
Francesco Todeschini Piccolomini.
Già dal foglio conservato a Lille con gli studi per la realizzazione
dell’Incoronazione di San Nicola da Tolentino, in particolare uno schizzo di
un porticato visibile in basso a destra (inv. PL 475), vediamo come l’artista
nutra un precoce interesse per l’architettura (6) (Raphael: from Urbino to
Rome, 2004, trad. it. 2004, scheda 17 e nota 1, p. 103). Questo interesse
emerge chiaramente nello Sposalizio della Vergine. L’opera, restaurata tra il
2008 e il 2009, come possiamo osservare a partire dalle proporzioni della
tavola e nel tempio sullo sfondo con la cupola esadodecagonale, rinforzato,
agli spigoli del tamburo, da contrafforti a voluta, circondato da un portico
ad archi su colonne ioniche rivela non solo sensibilità per l’architettura, ma
competenze teorico, pratiche e prospettiche che vanno messe in relazione
con la propria formazione cuturale urbinate. Basti pensare che nella
biblioteca di Federico da Montefeltro era conservata una copia del De
prospectiva pingendi di Piero della Francesca. Sembra credibile che
Raffaello fosse al corrente del progetto del tempietto di San Pietro in
Montorio di Bramante, commissionato nel 1502 e concluso attorno al
1508-1509, ma anche delle premesse legate a Francesco di Giorgio
Martini (7) (Rosenthal (1964), The antecedents of Bramante’s tempietto,
in Journal of the Society of architectural historians, XXIII ; De Vecchi, P.-
L. (1996), Lo sposalizio della Vergine di Raffaello Sanzio, Milano). Il
tempio dello Sposalizio testimonia, pertanto, l’interesse dell’artista per
l’indagine sul tema della pianta centrale, come possiamo notare soprattutto
in Perugino e Luca Signorelli. L’opera, basata su una tavola del Perugino,
vien riproposta da Raffaello in modo tale da farci capire che lo stile del
Perugino è da considerarsi superato. La distribuzione delle figure e
dell’architettura, lungi da ogni casualità, obbedisce, infatti, a precisi
rapporti armonici e ritmici che mettono in collegamento tra loro le varie
parti. La naturalezza delle espressioni e delle pose non risultano
assolutamente artefatti, ma, al contrario, siamo dinanzi ad una
composizone, nel complesso, aggraziata e estremamente piacevole.
L’umanista Paolo Giovio, nella sua Raphael Urbinatis Vita, che
rappresenta per altro il più antico tentativo biografico sull’artista urbinate,
sottolinea la duttilità del talento raffaelliano e, in generale, la sua
disponibilità culturale (8) (Giovio (1999), Raphaelis Urbinatis vita (Vita di
Raffaello da Urbino, 1525-1526 circa), in Id., Scritti d’arte. Lessico ed
ecfrasi, a cura di S. Maffei, Pisa, pp. 260 ss.). Questa partivolare duttilità
spicca chiaramente, tra il 1500 e il 1504, nel cosiddetto periodo umbro, in
cui vediamo l’artista confrontarsi con le più aggiornate esperienze
figurative contemporanee nell’Italia centrale, come del resto si attesta in
diversi fogli del cosiddetto Libretto veneziano di Raffaello, conservato allle
Gallerie dell’Accademia di Venezia. Nel libretto si mostrano o dettagli di
opere di Perugino, Pinturicchio e Signorelli, ma anche le antichità di
Roma, le stampe di Mantegna, i ritratti fiamminghi dello Studiolo di
Urbino e le rivoluzionarie idee di Leonardo e a Firenze, cui Raffaello
fece riferimento mentre il suo linguaggio si trovava in via di definizione.
Attorno alla prima metà del primo decennio del secolo, Raffaello
sembra avvertire i limiti legati all’ambiente provinciale nel quale fino ad
ora ha operato. Ultimato lo Sposalizio della Vergine, grazie ad una presunta
lettera di raccomandazione, ritenuta per altro da alcuni studiosi un falso
settecentesco, da parte della duchessa Giovanna Feltria della Rovere,
indirizzata al gonfaloniere Pier Soderini nell’autunno del 1504, l’artista si
trasferì a Firenze. Durante il soggiorno fiorentino, l’artista continua a
mantenere i rapporti con la sua terra natale. Il raffinato clima dei cenacoli
urbinati è ravvisabile e dei due ritratti di Guidobaldo da Montefeltro e di
Elisabetta Gonzaga, composizioni in nero e oro, particolarmente calibrati,
oggi conservati agli Uffizi di Firenze, ma anche nel dittico con San Michele
che abbatte Satana e San Giorgio che uccide il drago, entrambi esposti al
Louvre di Parigi. L’uso di dimesioni ridotte e gli animali mostruosi che
appaiono sullo sfondo attestano il contatto con la pittura fiamminga. Il
primo artista cui Raffaello si accostaè Fra’ Bartolomeo, proveniente dalla
bottega del Perugino, le cui figure, ricche di luminose vibrazioni, ispirano
la Madonna Conestabile, conservata attualmente all’Ermitage di San
Pietroburgo. Si tratta della prima di una serie di variazioni su tema richieste
dalle famiglie più note in città come i Taddei, i Nasi, i Doni, i Canigiani e
i Dei. Il contratto con il religioso sarà importante per l’artista, soprattutto
alcuni schemi compositivi mutuati dal religioso. Le sue esperienze
figurative a Firenze culmineranno nell’incontro con i massimi esponenti
della cultura locale, Leonardo e Michelangelo.
Similmente a Leonardo, Raffaello non trascura il disegno, ma a
differenza di Leonardo, per cui il disegno è essenzialmente uno strumento
di indagine sulla struttura delle cose, Raffaello cerca di conoscere
attraverso di esso le leggi armoniche che regolano la natura nella sua
bellezza. L’equilibrio delle parti è pertanto alla base del proprio pensiero
estetico. Commissionata nel 1506 o nel 1508 da Bernardo Dei, per la
cappella di famiglia in Santo Spirito è la Madonna del baldacchimo, reca
un potente sfondo architettonico, caratterizzato da un’abside con catino

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