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6.

L’evento di Damasco e la vocazione di Paolo

6.1 Prima di Damasco. Il persecutore

Sappiamo che Paolo, prima di diventare apostolo di Gesù, si op-


pose duramente ai suoi discepoli. Si tratta, come abbiamo visto in
parte, di un aspetto certo e documentato, testimoniato esplicitamen-
te nelle sue lettere, oltre a essere il dato che più vistosamente emerge
della sua vita precedente. Paolo, in questo periodo della sua vita, si
qualifica in questi testi come « persecutore ». Questo è il termine, a
cui ricorrepiù frequentemente ricorre nel descrivere questa particola-
re fase della sua vita. La sua testimonianza diretta trova in questo ca-
so un ulteriore riscontro nel racconto degli Atti, in cui questo parti-
colare aspetto della sua biografia, è sfruttattato nel modo più com-
pleto, accentuandone la drammaticità, in una sorta di vero e proprio
crescendo, allo scopo di mettere il più possibile in risalto la radicale
trasformazione che ne conseguì :

« e gli chiese lettere per le sinagoghe di Damasco, al fine di essere


autorizzato a condurre in catene (dedemé nous) a Gerusalemme tutti
quelli che avesse trovato, uomini e donne, appartenenti a questa
Via (Hodou) ».
« Io perseguitai (ediōxa) a morte questa Via (Hodon), incatenando
(desmeuōn) e mettendo in carcere (paradidous) uomini e donne ».
« Così ho fatto a Gerusalemme: molti dei fedeli li rinchiusi in prigio-
ne (en phylakais katékleisa) con il potere avuto dai capi dei sacerdoti
e, quando venivano messi a morte, anche io ho dato il mio voto. In
tutte le sinagoghe cercavo spesso di costringerli con le torture a be-
stemmiare e, nel colmo del mio furore contro di loro, davo loro la
caccia (edíōxon) perfino nelle città straniere » 1.

Paolo riconosce in quattro occasioni distinte di aver partecipato


alle persecuzioni, ma i suoi scritti non descrivono le modalità con cui
queste siano avvenute 2. L’autore degli Atti, parlando di questa parti-
colare fase della sua vita, ricorre a termini piuttosto suggestivi. Uno
traquesti è il verbo diōkō, perseguitare, e il relativo sostantivo diōg-
mós.
L’uso cristiano primitivo di questi termini non si riferisce neces-
sariamente a sevizie corporali a carico dei perseguitati, ma all’odio,
all’essere messi al bando, agli insulti e alle calunnie, come ci confer-
ma del resto il lessico dei racconti delle « beatitudini » 3.
Tuttavia, altrove, mi riferisco alle lettere paoline autentiche e ai
cosiddetti scritti deutero-paolini, troviamo elementi che sembrano
suffragare l’ipotesi di vere e proprie violenze fisiche e, in certi casi,
siamo, addirittura, portati ad andare in quella direzione :

« [...] perseguitati (diōkomenoi)a non abbandonati; colpiti, ma non


uccisi, portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di
Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo.
Sempre infatti, noi che siamo vivi, veniamo consegnati alla morte a
causa di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nella nostra
carne mortale »
« Cinque volte dai Giudei ho ricevuto i quaranta colpi meno uno;
tre volte sono stato battuto con le verghe, una volta sono stato lapi-
dato, tre volte ho fatto naufragio, ho trascorso un giorno e una notte
in balìa delle onde ».

Paolo, altrove, utilizza il verbo porthéōche può essere tradotto


con « distruggere », « infierire », « annientare » , « saccheggiare » e
« devastare », come ad esempio una città, ma che qui viene impiega-
to in riferimento alla Chiesa e, generalmente, alla fede cristiana :

« Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tem-


po nel giudaismo, come io perseguitassi (ediō kon) fieramente la
Chiesa di Dio e la devastassi (eporthoun), superando nel giudaismo
la maggior parte dei miei coetanei e connazionali, accanito (zē lē
ltēls)
com'ero nel sostenere le tradizioni dei padri. [...] soltanto avevano
sentito dire: “Colui che una volta ci perseguitava (diō
kō n), va ora an-
nunziando la fede che un tempo voleva distruggere” » 4.

Un altro importante aspetto che emerge dai testi riguardanti la


vita di Paolo precedente alla Cristofania di Damasco è che in questo
passo è contenuto al v. 14 e riguarda lo zelo. Paolo, come abbiamo
già visto nei precedenti capitoli, si presenta zelante rispetto alle tradi-
zioni farisaiche. Questo termine ha un significato più articolato e
complesso, rispetto al semplice fervore religioso, e conosce nel termi-
ne « zelota » la sua estrema derivazione 5. Sebbene un simile fervore
potesse, in determinate circostanze, trasformarsi in violenza, il parti-
colare zelo che anima Paolo trova il proprio retroterra in alcuni passi
biblici e si incarna nelle figure di Finees e Elia 6. Il giudaismo del se-
condo tempio vide in queste figure dei veri e propri modelli di riferi-
mento 7. Filone di Alessandria spende parole di elogio per questo ar-
dore carismatico e spontaneo, quasi una sorta di « furore divino »,
che spinge il pio Israelita all’odio che sente per il male e a intrapren-
dere , « per amore di Dio » e sulle tracce dei Padri, azioni violente
contro i trasgressori della Legge 8. Questa appassionata dedizione al-
la volontà divina, senza giungere necessariamente a quelli estremi che
hanno connotato alcuni fenomeni giudaici di rivolta, era diventata
per quanto atteneva alla Legge e al Tempio, rappresentativa dell’at-
teggiamento religioso fondamentale del giudaismo palestinese del I
sec. d.C. Questo spiega le ragioni per cui essa è ampiamente docu-
mentata nel Nuovo Testamento 9. L’espressione « zē los T heou » utiliz-
zata da Paolo, deve esser intesa secondo una connotazione positiva
ed è indicativa di una dedizione ardente e fedele verso le cose che ri-
guardano il Dio di Israele, nella fattispecie parliamo del tema dell’os-
servanza della Legge, che in definitiva era l’aspetto che più da vicino
rappresentava questo atteggiamento. Più concretamente è possibile
congetturare che, animata da un simile zelo, la volontà di persecuzio-
ne di Paolo, si sia spinta al punto da pronunciare nelle sinagoghe pa-
role che mettessero in dubbio la messianicità di Gesù, nell’intento di
convincere i convertiti, sulla base delle Scritture, ad abiurare la nuo-
va fede 10. Tuttavia sembra inesatto arrivare a imputare a Paolo la
morte di certi cristiani. Egli non si accusa mai di un simile crimine.
Quando, in Rm 12,14, comanda: « Benedite coloro che vi perseguita-
no (diōkontas) », lo fa supponendo che le vittime siano ancora parte
di questo mondo. Paolo sa distinguere evidentemente tra « persecu-
zione » e « omicidio » e pertanto il loro significato non può essere as-
similato.
La situazione che ci viene presentata negli Atti è già diversa.
L’oggetto dei verbi cui il suo autore ricorre nei passi cui accennava-
mo non è la Chiesa o la fede, bensì gli stessi credenti. Coloro contro
cui Paolo« infierisce » o « devasta » – Paolo ricorre in questo caso al
verbo porthéō – sono proprio coloro « che invocano il nome
di Gesù » :
« E tutti quelli che lo ascoltavano si meravigliavano e dicevano:
“Non è lui che a Gerusalemme infieriva (porthē
sas) contro quelli che
invocavano questo nome ed era venuto qui precisamente per con-
durli in catene ai capi dei sacerdoti?” ».

La lettura degli Atti, ci fornisce ulteriori precisazioni. Nello


specifico, in At 8,3, per descrivere in che cosa consistessero le opera-
zioni promosse da Paolo contro la Chiesa, si ricorre al verbo lymaínō ,
nel senso di « attaccare » , « cercare di distruggere » e « accanirsi
contro ». Si trattava nei fatti di vere e proprie incursioni poliziesche,
in arresti di massa di uomini e donne e alla loro incarcerazione :

« Saulo intanto cercava di distruggere (elymaineto) la Chiesa: entra-


va nelle case, prendeva (syrōn) uomini e donne e li faceva mettere in
carcere. ».

Ciò che desumiamo da questo passo rappresenta l’ultimo, una-


sorta di climax , di una serie di tre gradi ascendenti, i cui precedenti
sono contenuti in At 7,58b e 8,1a :

« lo trascinarono (ekbalontes) fuori della città e si misero a lapidar-


lo.
E i testimoni deposero i loro mantelli ai piedi di un giovane, chiama-
to Saulo ».
« Saulo approvava la sua uccisione (anairesei) . In quel giorno scop-
piò una violenta persecuzione contro la Chiesa di Gerusalemme; tut-
ti, ad eccezione degli apostoli, si dispersero nelle regioni della Giu-
dea e della Samaria. ».

Il primo passo si inserisce nel racconto del martirio del diacono


Stefano. I « testimoni » cui si fa qui riferimento si collocano in una
fase di revisione dell’intero episodio nell’ottica di un processo ufficia-
le. Nel discorso che Paolo in At 22,20 farà dinanzi alla folla di Geru-
salemme rievocherà, come del resto anche in 8,1, il martirio di Stefa-
no e in particolare la passività del suo atteggiamento, che lo portò su-
pinamente ad approvare l’operato di chi lo stava assassinando, non li-
mitandosi semplicemente a custodire i loro abiti :

« [...] e quando si versava il sangue di Stefano, tuo testimone, anche


ero presente e approvavo, e custodivo i vestiti di quelli che lo uccide-
vano ».
Questi testi, come vediamo, sono costruiti con l’intento di crea-
re una sorta di escalation, che condurrà gradualmente il giovane Sau-
lo, si tratta evidentemente di un momento di transizione, dall’essere
semplice costude di abiti, a far parte di una temibile polizia. La parti-
colare modalità con cui l’autore degli Atti, associa Paolo al martirio
di Stefano e la persecuzione che ne segurà, sottende il ricorso a un
procedimento letterario, in cui si individua un crescendo drammati-
co, la cui funzione sarà quella di far emergere in seguito la straordi-
naria trasformazione che avviene in Paolo. La ripetizione sommaria
in At 9,1 di ciò che si letto più indietro in 8,3, è finalizzata a intro-
durre il racconto della Cristofania. Essa mostra chiaramente l’obietti-
vo che l’autore degli Atti si è prefisso e a quale artificio narrativo in-
tenda ricorrere. Simili violenze possono chiaramente arrivare a pro-
curare anche la morte in chi le subisce. È proprio a ciò che Paolo in-
tende alludere quando lo vediamo fremere e minacciare « strage con-
tro i discepoli del Signore » 11. Il racconto si spinge fino al punto di
attribuirgli un ruolo propriamente giudiziale sulle esecuzioni di certi
cristiani, sebbene, in realtà, non vi sia niente che lasci supporre che
Paolo possa aver ricoperto il ruolo di membro del Sinedrio 12. Fedele
a questo espediente letterario, sembra voler attribuire a Paolo in que-
sta impresa omicida poteri palesemente esorbitanti, che verosimil-
mente non ha mai avuto, per poi mostrarcelo completamente trasfor-
mato dall’incontro col Cristo gloriso.
Le lettere, d’altro canto, suggeriscono la necessità di ridimen-
sionare questo quadro di insieme. Sembra più credibile, infatti che il
suo ruolo sia stato quello di un semplice informatore, la cui attività
consisteva nel condurre i membri delle comunità cristiane presso i
tribunali rabbinici, di modo che fossero giudicati e sanzionati con le
pene previste. Più avanti vedremo che l’aver subito le medesime pene
sarà per Paolo motivo di orgoglio 13.
Quest’azione persecutori pertanto non può che avere come uni-
co movente quello « zelo », di cui parlavamo, e che per un convinto
fariseo, come Paolo non manca di ribadire, è zelo per la Legge di
Dio, come vediamo in Fil 3,5-6:

«[...] fariseo quanto alla legge; quanto a zelo, persecutore della


Chiesa; irreprensibile quanto alla giustizia che deriva dall'osservanza
della legge. ».
Questo zelo si concretizzava in un’adesione ardente e indiscus-
sa verso le tradizoni e le prescrizioni della T orah ed è in ragione di
ciò che il giovane Paolo sente il dovere, perseguitando la Chiesa e i
suoi fedeli, di combattere questa « nuova Via ». Egli vede i cristiani
come degli apostati, dei bestiammatori che, in forza della santità di
Dio e della sua Legge, è necessario debellare in tutti i modi. Si badi
bene che, come abbiamo già visto, il gruppo dominante dell’epoca,
esprimerà su di lui il medesimo giudizio. In At 26,9-11, l’autore degli
Atti mette in bocca a Paolo a questo proposito questa interessante
descrizione :

«[...] Anch'io credevo un tempo mio dovere di lavorare attivamente


contro il nome di Gesù il Nazareno, come in realtà feci a Gerusalem-
me; molti dei fedeli li rinchiusi in prigione con l'autorizzazione avuta
dai sommi sacerdoti e, quando venivano condannati a morte, anch'io
ho votato contro di loro. In tutte le sinagoghe cercavo di costringerli
con le torture a bestemmiare e, infuriando all'eccesso contro di loro,
davo loro la caccia fin nelle città straniere. ».

Come accennavamo nel precedente capitolo, mettere la persona


di Gesù Cristo al centro della nuova fede, veniva avvertito dal grup-
po dominante come una vera e propria minaccia per l’ordine sociale
dai contenuti fortemente destabilizzanti. Mettere la persona di Gesù
Cristo al centro della nuova fede, significaca di fatto sottrarre alla
Legge mosaica quel ruolo di primo piano che essa occupa nel giudai-
smo. La critica dei neoconvertiti verso il tempio e le prescrizioni ri-
tuali della Legge mosaica si sostanziava proprio a partire da questo
atteggiamento. È necessario precisare, come si desume da At 6,1-6,
che la prima persecuzione di cui abbiamo notizia non avvenne con-
tro la chiesa aramaica di Gerusalemme, bensì contro la comunità ge-
rosolimitana di lingua greca che faceva capo proprio al gruppo di
Stefano. Per ragioni di lingua, infatti, si erano formate, nella citta san-
ta del giudaismo, due chiese distinte. Solo sulla base di queste preci-
sazioni sembra possibile capire perche la chiesa-madre di Gerusalem-
me, fedele ancora alle tradizioni giudaiche e al culto del tempio, non
fu perseguitata al pari di altre comunita cristiane palestinesi con cui
condivideva simili osservanze 14. La comunità gerosolimitana, infatti,
rimase fedele a certi precetti del giudaismo anche quando, in seguito,
la missione ai gentili avra già prodotto i primi importanti frutti. La
difficile relazione con la chiesamadre e testimoniata, come abbiamo
avuto già avuto modo di vedere, dalla lettera ai Galati 15. Proprio
questo particolare zelo per la Legge spiega anche l’attenzione che
Paolo riverserà in segutio sul rapporto tra quest’ultima e la novita cri-
stiana. In questo contesto non può non saltare all’occhio il particola-
re giudizio che emerge da 1 Tim 1,13:

« io per l’innanzi ero stato un bestemmiatore, un persecutore e un


violento. Ma mi e stata usata misericordia, perche agivo senza saper-
lo, lontano dalla fede ».

Se come abbiamo visto lo zelo era inizialmente un tratto distrin-


tivo della sua giudaicità, qualcosa di cui andare assolutamente fiero,
diventa ora un un atteggiamento incredulo, blasfemo e violento, sep-
pur in qualche modo temperato dall’ignoranza di chi è « lontano dal-
la fede » 16. Il giudizio che Paolo esprime sulla propria vita e su se
stesso è indiscutibilmente severo. Esso non riguarda soltanto la sfera
religiosa, ma anche quella morale. Parlando dei suoi correligionari
israeliti, Paolo ritornerà ancora in Rm 11,23 (cf. anche Rm 11,20 e
15,31), sui temi dell’incredulità e dell’ignoranza :

« Quanto a loro, se non persevereranno nell’incredulita, saranno


anch’essi innestati; Dio infatti ha la potenza di innestarli di nuovo! »

Ricapitolando, sulla base dei dati documentari contenuti sia


nelle lettere che negli Atti, possiamo affermare che la persecuzione
che Paolo ha portato avanti nei confronti della neonata comunità cri-
stiana, si colloca cronologicamente nella prima metà degli anni Tren-
ta, considerato che la Cristofania di Damasco si debba collocare in
uno spazio temporale che va dal 34 e il 35. Non possiamo essere certi
sulla sua età, ma verosimilmente non doveva essere giovanissimo se
già, a distanza di un ventennio, scrivendo a Filemone, Fm 9, si di-
chiara vecchio :

« preferisco pregarti in nome della carità, così qual io sono, Paolo,


vecchio (presbytēs), e ora anche prigioniero per Cristo Gesù ».

Non disponiamo di elementi utili che ci aiutino a determinare


la possibile durata della sua azione persecutoria o che ci consentano
di sapere dove questa possa aver avuto luogo. Negli Atti si parla
spesso di Gerusalemme 17, ma non possiamo escludere che la perse-
cuzione sia andata oltre i confini della Palestina e più precisamente
spingendosi fino alla provincia romana di Siria e nelle sinagoghe elle-
nistiche di Damasco 18. Questa seconda ipotesi sembra maggiormen-
te accettabile. Non è un caso che sia lo stesso Paolo a dichiarare in
Gal 1,22 di essere sconosciuto alle chiese di Giudea. Un ulteriore ele-
mento che avvalora quest’ipotesi è dato dall’atteggiamento critico dei
giudeo-ellenisti rispetto al valore perenne e intangibile della Legge
mosaica e, generalmente, verso le tradizioni orali rabbiniche e farisai-
che. Vi è infatti chi ritiene che Paolo si sia opposto alla confessione
di messianicità di Gesù. In effetti era comprensibile che, agli occhi di
un giudeo devoto, un messia crocifisso non poteva essere che un
messia maledetto 19. Non dobbiamo trascurare, infatti, che, all’inter-
no delle sinagoghe ellenistiche, venivano spesso assunte posizioni li-
bertarie se non addirittura provocatorie, verso aspetti quali il culto
templare, gli obblighi rituali sulla circoncisione, il riposo sabbatico e
i contatti con persone e cose impure. Il fariseo Paolo, zelante nel
culto della Legge mosaica e dell’osservanza legalistica delle sue pre-
scrizioni, non poteva evidentemente ammettere atteggiamenti che og-
gi consideremmo palesamente eretici 20. Non è facile giungere a con-
clusione certe sulla natura di queste persecuzioni. Gli Atti ci conse-
gnano, come accenanvamo nei capitoli precedenti, un racconto dai
tratti leggendari in cui il protagonista Paolo assume le vesti di un in-
quisitore spietato intento scovare i seguaci di Cristo, a gettarli in pri-
gione, se non addirittura a condannarli a morte. Questo quadro, vo-
lutamente drammatico e dalle tinte forti, cui l’autore degli Atti ci
mette dinanzi, deve necessariamente essere ridimensionato e assume-
re tonalità decisamente meno fosche. Il che non significa certamen-
te, com’è stato messo in rilievo, che tutto si debba essere risolto in
una semplice polemica verbale 21. Non dobbiamo dimenticare che i
regolamenti interni alle sinagoghe prevedevano precise misure disci-
plinari a carico di coloro che si rendevano colpevoli di deviazionismo
dottrinale. Verosimilmente possiamo immaginare che Paolo si sia tro-
vato a metterle in atto contro i membri del movimento, non esitando,
come leggiamo negli Atti, a farli flagellare e verberare 22. Del resto è
lo stesso Paolo che in 2 Cor 11,24-25 ci testimonia di aver ricevuto a
sua volta un simile trattamento.dai suoi oppressori.
L’informazione che desumiamo da At 9,1-2, secondo cui Paolo
si sarebbe presentato dinanzi al sommo sacerdote per richiedere let-
tere per le sinagoghe di Damasco che lo autorizzassero a condurre in
ceppi i neoconvertiti a Gerusalemme, non sembra similmente avere
fondamento storico. Infatti sotto i procuratori romani, agli inizi degli
anni Trenta il procuratore era ancora Ponzio Pilato, il sinedrio non
aveva alcun potere giurisdizionale al di fuori della terra di Israele. Al-
lo stesso modo non è credibile che Paolo possa aver ricevuto un man-
dato ufficiale, dato che non abbiamo alcuna prova che egli fosse
membro del sinedrio. Molto probabilemnte Paolo era stato inviato a
Damasco, con una lettera di raccomandazione del sommo sacerdote,
per mettere in guardia le sinagoghe locali contro il dilagare di una
nuova eresia e esortarle a prendere misure adeguate e, all’occorrenza,
anche severe 23. L’immagine che si ricava dalle testimonianze delle
lettere e del racconto degli Atti, è quella di un uomo animato da uno
zelo talmente ardente da portarlo ad assumere atteggiamenti che, se-
condo una visione moderna, potremmo considerare fanatici. Va detto
però che per la sua religione opporsi al dilagare di false fedi, signifi-
cava, prima di ogni altra cosa, adempiere ad un dovere verso Dio 24.
La forza stessa dei suoi sentimenti e la sua esuberante passionalità so-
no elementi che non vanno trascurati nella valutazione della sua per-
sonalità. La sua anima appare ai nostri occhi totalmente occupata
dalle cause che abbracciato nella sua vita: il giudaismo prima e il cri-
stianesimo dopo. L’immagine dell’uomo distaccato, vicina all’ideale
della skepsis greca, gli fu sostanzialmente sempre estranea. Possiamo,
infine, accennare a cio che i testi ci riferiscono su Paolo dopo il suo
incontro col Cristo risorto, a testimonianza del radicale cambiamento
avvenuto in lui. Il persecutore non tarda, come leggiamo in At 9,23-
25, a divenire perseguitato :

« Trascorsero cosi parecchi giorni e i Giudei fecero un complotto


per ucciderlo ; mai loro piani vennero a conoscenza di Saulo. Essi fa-
cevano la guardia anche alle porte della citta di giorno e di notte per
sopprimerlo; mai suoi discepoli di notte lo presero e lo fecero dalle
mura,calandolo in una cesta. ».

E infine riportiamo il testo di 2 Cor 11,24-28. uno tra i piu noti


testi che comprova le ostilità subite da Paolo durante la missione :
« Cinque volte dai Giudei ho ricevuto i trentanove colpi; tre volte
sono stato battuto con le verghe, una volta sono stato lapidato, tre
volte ho fatto naufragio, ho trascorso un giorno e una notte in balia
delle onde. Viaggi innumerevoli, pericoli di fiumi, pericoli di brigan-
ti, pericoli dai miei connazionali, pericoli dai pagani, pericoli nella
citta, pericoli nel deserto, pericoli sul mare, pericoli da parte di falsi
fratelli; fatica e travaglio, veglie senza numero, fame e sete, frequenti
digiuni, freddo e nudita. E oltre a tutto questo, il mio assillo quoti-
diano, la preoccupazione per tutte le Chiese ».

Paolo, passa cosi dallo zelo appassionato per la Legge e da una


condizione di incredulità alla fede nel figlio di Dio all’appassionata
affermazione di una giustificazione che non dipende dalle opere della
Legge, come possiamo leggere in Gal 2,15-16. Ciò suscitò in lui un
cambiamento che che non poteva essere più radicale e definitivo.

6.2 Il racconto della vocazione

Sugli eventi di Damasco siamo informati dal racconto degli Atti,


la fonte più popolare, che articola l’accaduto su ben tre momenti di-
stinti 25 e da un’ulteriore fonte, che diremmo autentica, ma che con-
siste essezialmente in alcuni brevi e fugaci accenni contenuti in alcu-
ne lettere autentiche e che sono comunque importantiin quanto ri-
condocibili alla testimonianza diretta di Paolo 26. Accanto a queste
che rimangono le fonti principali, dobbiamo ricordare alcuni testi
contenuti in alcune lettere note come deutero-paoline, non diretta-
mente ascrivibili alla sua paternità, ma comunque attribuibili alla sua
cerchia 27.
L’autore degli Atti ricorre, seppur liberamente, ad un’antica tra-
dizione cristiana che conserva il ricordo del grande convertito. Tale
tradizione non contiene solo l’indicazione della località dell’evento,
ma anche il nome di un cristiano damasceno, Anania, che ha accolto,
battezzato e introdotto nella comunità del luogo il neoconvertito. È
possibile che il suo autore sia ricorso, come suggeriscono alcuni par-
ticolari, quali la presenza di Anania, il nome della via e del proprieta-
rio della casa in cui Paolo soggiorna ad un racconto nato probabil-
mente nella comunità damascena 28. Accanto a ciò, notiamo che la
sostanza del racconto si incentra sulla visione estatica del Risorto e
sulla guarigione di Paolo accecato dalla luce celeste. La tradizione su-
gli eventi di Damasco, quasi a voler insistere sulla straordinarietà
dell’evento, ci viene trasmessa per ben tre volte e viene resa funziona-
le ad illustrare la svolta epocale rappresentata da Paolo nella storia
del cristianesimo primitivo : l’annuncio del Vangelo esce dai ristretti
confini del mondo giudaico e prende le strade del mondo pagano.
Cercheremo, quindi, di comprendere il significato e il valore di que-
sta triplice attestazione e di discutere le ragioni che stanno dietro alla
sua diversificazione.
Le tre versioni sono concordi nel presentarci una scena di teo-
fania ovverosia di apparizione divina. Paolo, fino a quel momento
persecutore della Chiesa nascente, giunge, « verso mezzogiorno » 29,
in prossimità di Damasco, quando viene abbagliato da una luce cele-
ste :
« verso mezzogiorno vidi sulla strada, o re, una luce dal cielo, più
splendente del sole, che avvolse me e i miei compagni di viaggio » 30.

e, mentre cadeva riverso a terra, ode una voce che lo interpella :

« e, cadendo a terra, udì una voce che gli diceva: «Saulo, Saulo, per-
ché mi persé guiti? » (diō
keis) Rispose: «Chi sei, o Signore?». Ed egli:
«Io sono Gesù, che tu persé guiti! (diō
keis) » 31.

Paolo viene reso partecipe del mondo divino che gli si disvela
attraverso le parole di una persona che appartiene a quel mondo.
Questo faccia a faccia ci restituisce le rispettive identità: di fronte
l’uno all’altro si trovano il crocifisso risuscitato e glorificato da Dio e
il suo persecutore. Elementi simbolici, quali la luce accecante, l’atter-
ramento e la voce, sono parte integrante di un racconto di stile epifa-
nico, proteso ad affermare l’irruzione del divino nella vita e nella sto-
ria umana. La Bibbia ebraica aveva già raccontato in termini simili
un’altra teofania, quella sul monte Sinai 32 e, ancor prima, quella nel
roveto ardente in cui Mosè aveva parlato «faccia a faccia» con Dio 33.
Paolo sembra, a quel punto, aver fatto luce dentro se stesso : luce su
Gesù e luce su se stesso, ma questo non ci autorizza a parlare di un
processo di autocoscienza o di un prodigio di grazia. Siamo in realtà
dinanzi ad un cambiamento esistenziale nella vita del persecutore,
letto alla luce della fede del cristianesimo primitivo. In questo senso
siamo certamente autorizzati a parlare di una sua « conversione ».
At 9 prosegue con un racconto di guarigione. Paolo, accecato
dalla luce celeste, visibilmente sconvolto, recupera la vista dopo aver
ricevuto il battesimo e viene accolto, per intervento del cristiano
Anania, a sua volta illuminato dal Signore Gesù, nella comunità cri-
stiana damascena 34. Ad Anania il Signore rivela in At 9,15 anche la
missione di Paolo :

« egli è per me uno strumento eletto per portare il mio nome dinan-
zi ai popoli » 35

La vocazione di Paolo, per la Chiesa delle origini, rappresenta-


va uno degli eventi fondamentali, nel quale era impossibile non rico-
noscervi il segno tangibile della presenza operante del Cristo risorto.
Il motivo della guarigione e dell’intervento di Anania compare anche
nella versione di At 22, ma in maniera più succinta. Qui, in modo
particolare, si precisa il valore della missione universalistica affidata
da Cristo stesso al neoconvertito. In questo racconto e Paolo stesso a
narrare. Il racconto si caratterizza essenzialmente come una sorta di
arringa in cui Paolo cerca di difendersi dal linciaggio che stanno per
infliggergli sotto l’accusa di aver profanato il Tempio. Eccezion fatta
qualche lieve divergenza, il racconto dell’incontro col Signore conte-
nuto qui, non e dissimile nella sostanza da quello di At 9
36. Il ruolo svolto da Anania è piu sobrio : lo accoglie, gli conferisce

gli conferiesce la missione e lo battezza :

« Un certo Anania, un devoto osservante della legge e in buona re-


putazione presso tutti i Giudei colà residenti, venne da me, mi si ac-
costò e disse: Saulo, fratello, torna a vedere! E in quell'istante io
guardai verso di lui e riebbi la vista. Egli soggiunse: Il Dio dei nostri
padri ti ha predestinato a conoscere la sua volontà, a vedere il Giu-
sto e ad ascoltare una parola dalla sua stessa bocca, perché gli sarai
testimone davanti a tutti gli uomini delle cose che hai visto e udi-
to. E ora perché aspetti? Alzati, ricevi il battesimo e lavati dai tuoi
peccati, invocando il suo nome. » 37.

In questo passo manca ogni accenno alla visione. Tornato a Ge-


rusalemme, mentre prega nel tempio, cade in estasi e vede il Signore
Gesu, che gli affida un preciso mandato: l’evangelizzazione dei paga-
ni. Il convertito, per espressa volonta del Signore, diventa cosi mis-
sionario tra coloro che si trovano lontano :
« Dopo il mio ritorno a Gerusalemme, mentre pregavo nel tempio,
fui rapito in estasi e vidi Lui che mi diceva: Affrettati ed esci presto
da Gerusalemme, perché non accetteranno la tua testimonianza su
di me. E io dissi: Signore, essi sanno che facevo imprigionare e per-
cuotere nella sinagoga quelli che credevano in te; quando si versava
il sangue di Stefano, tuo testimone, anch'io ero presente e approvavo
e custodivo i vestiti di quelli che lo uccidevano. Allora mi disse: Va',
perché io ti manderò lontano, tra i pagani » 38.

Non sfuggono alcuni elementi di similitudine con il racconto di


vocazione del profeta Isaia : il tempio, in quel caso, era il luogo
dell’apparizione divina al profeta 39, mentre ora lo stesso santuario
vede Cristo consacrare l’Apostolo degli incirconcisi. Tali corrispon-
denze sono messe in luce nel racconto degli Atti.
In At 26 è ncora Paolo a parlare in prima persona della cristofa-
nia di Damasco. Lo fa dinanzi al Re Agrippa, anche in questo caso
per difendersi dalle accuse dei giudei. Se paragoniamo questo rac-
conto ai due precedenti, notiamo che, nella parte in cui si rievoca
l’evento sulla strada di Damasco 40, esso è ancora più sobrio. Non è
cosi invece per l’introduzione che racconta la sua opera persecutoria
41, che, al contrario, viene ulteriormente sviluppata. Notiamo subito

che Anania è completamente scomparso e, questa volta, Saulo-Paolo


riceve conferma della sua missione verso i pagani direttamente
nell’incontro col Signore :

« Su, alzati e rimetiti in piedi; ti sono apparso infatti per costituirti


ministro e testimone di quelle cose che hai visto e di quelle per cui ti
appariro ancora. Per questo ti liberero dal popolo e dai pagani, ai
quali ti mando ad aprir loro gli occhi, perche passino dalle tenebre
alla luce » 42.

Nel suo epistolario, Paolo ritorna in diverse occasioni su que-


sta straordinaria esperienza, ma si tratta sempre di accenni fugaci,
privi di ogni valore descrittivo. Questi sembrano concentrarsi solo
sul senso di cio che avvenne allora. Invano potremmo cercarvi dati
autobiografici o, addirittura, determinazioni cronologiche o topogra-
fiche. L’evento di Damasco, pertanto, non è fatto oggetto di narrazio-
ne, ma di reinterpretazione in chiave teologica, attraverso il chiari-
mento del suo significato nella sua vita di credente e missionario. Se
proprio vogliamo ricorrere al termine di autobiografia, possiamo far-
lo, trattandosi di testi in prima persona, ma, a scanso di equivoci, do-
vremo più precisamente parlare di una biografia teologica. Nell’epi-
stolario non vi è traccia di ricordi precisi. Paolo, del resto, non sem-
bra aver alcun interesse a soffermarsi più di tanto sulle sue vicende
private. Tutte quelle volte che parla di sè, lo fa sempre per precisare
il ruolo pubblico e storico che egli ha svolto nel movimento di Gesù,
soprattutto, in relazione all’attuazione del progetto divino sul mondo
e l’umanita.
Un altro elemento da tener presente è che la sua testimonianza
autografa si colloca a distanza di circa un ventennio dall’accaduto. Su
quel passato, oramai lontano, Paolo proietta chiaramente una consa-
pevolezza maturata nel vivo di una ventennale azione missionaria. I
riferimenti che troviamo devono essere si inquadrati nel contesto di
una precisa presa di posizione dinanzi a problemi contingenti, quali,
ad esempio, la legittimita della sua missione apostolica e la discussa
verita del suo annuncio ai pagani, libero da ogni condizionamento di
ascendenza giudaica. Il cambiamento di vita viene testimoniato testi-
moniato in questo caso in un’ottica polemica e apologetica. Al di là
dell’assenza di dettagli esterni o confessioni di carattere psicologico,
la testimonianza offertaci risulta comunque preziosa, proprio perche
rivelativa del senso profondo della straordinaria vicenda dell’Aposto-
lo. Essa ci restituisce, infatti, l’identità dell’uomo nuovo, Tale identita
viene percepita coscientemente ed è quella che lo ha spinto ad
un’azione determinante nello sviluppo delle origini cristiane.
Scrivendo alla Chiesa di Corinto 43, Paolo dice di essere pronto
ad astenersi dal mangiare carne in eterno, per riguardo a qual-
siasi fratello cristiano. Ma tale rinuncia alla libertà poteva essere facil-
mente criticata dagli avversari Corinzi che avrebbero potuto obietta-
re: « Se non ha autorita e liberta, Paolo non e Apostolo! ».Questa
possibile obiezione viene prevenuta con quattro domande
retoriche 44, tutte introdotte dalle particelle interrogative ou–ouk–ou-
chi, che lasciano in attesa di una risposta affermativa. La prima
« Non (ouk) sono forse libero io ? » Il senso della domanda è che
Paolo, al pari di ogni cristiano, può dirsi libero. In quanto apostolo è,
allo stesso modo, libero di farsi mantenere economicamente. La se-
conda : « Non sono (ouk) io forse un Apostolo? » vuole dare fonda-
mento alla propria legittimità apostolica, e a questo scopo, nella ter-
za domanda retorica, Paolo rimanda all’evento di Damasco:
« Non (ouchi) ho io forse visto Gesù, Signore nostro? ». Nella quarta
e ultima domanda, Paolo aggiunge una seconda prova della sua apo-
stolicità, che è, in ultima analisi, la sua stessa opera: « E non (ou) sie-
te voi la mia opera nel Signore? ». Più avanti, Paolo rivendica con
molti argomenti di godere dediritti dell’apostolo : a) ogni lavoratore
– soldato, vignaiolo, pastore, aratore, trebbiatore – vive del proprio
lavoro ; b) anche la Legge mosaica chiede che il bue mangi del suo la-
voro, per cui, a fortiori, anche l’apostolo ha quel diritto; c) il Signore
stesso ha detto che chi annuncia il Vangelo, ha diritto di trarre il so-
stentamento da quell’annuncio. Paolo, a questo punto, ci dà i moti-
vi per cui non si avvale di quel diritto : egli non vuole porre ostacoli
al Vangelo. Inoltre annuncia il Vangelo non di sua volonta, ma, simil-
mente agli antichi profeti, per necessità e perciò sente di non poter
resistere o sottrarsi all’azione di Dio in lui 45. Pertanto vediamo che a
fondazione delle comunità e la sua esperienza a Damasco di incon-
tro diretto col Signore risorto, sono i fondamenti su cui poggia la le-
gittimità della sua pretesa apostolica. Il prossimo testo che prendere-
mo in esame è 1 Cor 15,1-11. Il problema che Paolo affronta sino alla
fine del cap. 15 della lettera viene sinteticamente esposto in 15,12:

« Se si predica che Cristo e risuscitato dai morti, come possono dire


alcuni tra voi che non esiste resurrezione dei morti? »

Come gli altri apostoli anche Paolo – « Sia io che loro, cosi pre-
dichiamo » 46 – annuncia un Vangelo incentrato su : morte - sepoltu-
ra di Gesu e resurrezione-apparizioni 47. Nell’elenco dei destinatari
delle apparizioni del Risorto, Paolo mette anche se stesso :

« apparve (1) a K efa, e (2) ai Dodici; in seguito apparve (3) a più di


500 fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora,
mentre alcuni sono morti; inoltre apparve (4) a Giacomo, e quindi
(5) a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me (6) come
a un aborto » 48.

L’evento di Damasco, anche in questo caso, è all’origine di


un’investitura apostolica e ciò nonostante Paoli occupi cronologica-
mente l’ultimo posto nell’elenco dei destinatari delle apparizioni, an-
zi nonostante sia indegno di quel titolo in quanto un tempo persecu-
tore della Chiesa.
In conclusione, in 1Cor 15: (a) l’evento di Damasco più che vi-
sione, è apparizione : Paolo, infatti, in questo passo, è passivo. Di-
versamente in 1 Cor 9 sembra avere un atteggiamento attivo :« Io ho
visto il Signore » ; (b) la teofania come fondamento dell’apostolicità
e, qui sta la sta la novita, (c) la cristofania è charis, grazia, ovvero ini-
ziativa gratuita e misericordiosa di Dio che da un persecutore trae un
apostolo travolgente. In virtù della grazia, colui che tra gli apostoli e
il feto abortivo, che ha ricevuto e assecondato, e colui che per il Van-
gelo si è affaticato più di tutti 49. Vediamo, anche in questo caso,
come Paolo giustifichi il suo annuncio apostolico fondandolo,
similmente agli altri apostoli, sul fatto che il Signore risorto e appar-
so anche a lui. Va notato, come accennavamo, che Paolo fa riferimen-
to alla sua precedente attivita persecutoria per far emergere ulterior-
mente il cambiamento avvenuto in lui.
Veniamo, ora a 2 Cor 4,6. In questo testo l’Apostolo risponde
all’accusa di annunciare un Vangelo oscuro :

« E se il nostro vangelo rimane velato, lo e per coloro


che si perdono » 50.

Paolo afferma che il rifiuto del Vangelo non è dovuto a lui, ma


al fatto che il dio di questo mondo, Satana, seppur limitatamente a
questo mondo, ha il potere di accecare, cosicchè nel Cristo,
« icona », ovvero immagine di Dio, non tutti vedono risplendere lo
splendore della gloria divina. La manifestazione di tale gloria è de-
scritta con le parole con cui in Gen 1 si parla della creazione della lu-
ce: « E Dio che disse: “rifulga la luce dalle tenebre” lui rifulse nei no-
stri cuori per far risplendere la conoscenza della gloria divina che
brilla sul volto di Cristo » 51. Se « i cuori » in cui Dio ha portato la
luce, e un’espressione che si riferisce al cuore di Paolo – e non anche
a tutti quelli che credono al Vangelo – allora anche, in questo caso,
abbiamo un ulteriore accenno a Damasco, che viene paragonato ad
una seconda creazione della luce. Rapportato a Paolo, si tratta del
passaggio dalle tenebre alla luce, che Dio ha fatto brillare in Cristo
per ogni uomo.
Questa esperienza trova un’ulteriore spiegazione se la si ricondi-
ce a certe categorie della mistica giudaica della MeRKaBhàH, ovvero
« del carro », che affonda le sue radici nella visione di Ez 1 52. In que-
sto passo, il profeta Ezechiele afferma di aver visto un carro trainato
da quattro esseri viventi :

« e su questa specie di trono, in alto, una figura dalle sembianze


umane [...], Tale mi apparve l’aspetto della gloria del Signore ».

Qui la gloria celeste di Dio viene associata ad un essere umano,


anche se indeterminato e ciò spieg le riserve del del rabbinismo su
questa pagina 53.
Un altro testo, particolarmente importante ai nostri fini, è conte-
nuto in Gal 1,10-16, dove Paolo racconta di essere stato accusato dai
propri avversari di predicare ai pagani la libertà dalla Legge solo «
per piacere agli uomini » :

« E forse il favore degli uomini che intendo guadagnarmi, o non


piuttosto quello di Dio? [Come e possibile pensare che] io cerchi di
piacere agli uomini? Se ancora io piacessi agli uomini, non sarei piu
servitore di Cristo! » 54.

A queste accuse Paolo replica negando di aver semplificato o


addomesticato il Vangelo, poiche il Vangelo che egli annunzia
non « è modellato sull’uomo » 55 e, per di più, egli non l’ha ricevuto
da uomini attraverso la catechesi in qualche comunità 56. Questa af-
fermazione pone indubbiamente un problema di coerenza con quan-
to affermato in altri testi dall’Apostolo, in cui, come abbiamo visto,
sostiene di trasmettere un annunzio a sua volta ricevuto dalla tradi-
zione 57. La soluzione questo problema non va in ogni caso cercata
sul piano dei contenuti dottrinali, quanto sul piano dell’esperienza
che Paolo fa del risorto, che lui stesso descrive come un « vedere
Gesù » 58 e che lo pone di fatto sullo stesso piano degli altri apostoli,
ovvero all’origine del kérygma o annuncio ecclesiale che egli trasmet-
te. Prima di Damasco, infatti, egli era un accanito persecutore della
Chiesa e quindi non poteva essere era certo un catecumeno 59. Dopo
Damasco si e recato in Arabia, senza salire a Gerusalemme per incon-
trare gli Apostoli 59. Egli ha ricevuto il Vangelo per rivelazione (di’
apokalypseōs). A Dio infatti è piaciuto rivelargli il suo Figlio, avendo-
lo « selezionato » per questo scopo fin dal seno della madre e chia-
mato per grazia. Tutto questo nella prospettiva dell’annuncio evange-
lico ai pagani. La particolarita della propria missione sarà esplicitata
successivamente a partire da Gal 2,7-8, quando il suo mandato ai
gentili sara messo a confronto con quello petrino rivolto ai circoncisi.
Dalla lettura di Gal 1, comprendiamo che l’evento di Damasco
si configura come: a) « apocalisse » o « rivelazione » del Figlio, inte-
so come centro assoluto della storia salvifica, a Paolo ; b) « apocalisse
dell’Evangelo » come buona notizia che riguarda Gesù e che l’Apo-
stolo non ha ricevuto da uomini, ma direttamente da Dio 60 ; c) piu
avanti si parla della totale gratuità, « per grazia » 61 (dia charitos),
della chiamata all’apostolato assolutamente non meritata; d) la chia-
mata all’apostolato, a differenza di quella di Pietro che è rivolta ai
circoncisi, è rivolta invece ai pagani 62 ; e) come vedremo la chiamata
ha valore profetico. Infatti ci viene descritta con le medesime parole
che avevano caratterizzato la vocazione del profeta Geremia :

« Prima di formarti nel seno materno ti conoscevo [...]; ti ho stabili-


to profeta delle nazioni » 63.

oppure :

« Il Signore dal seno materno mi ha chiamato, fin dal grembo di mia


madre ha pronunciato [...] » 64

Paolo, in conclusione, per avvalorare il proprio Vangelo, mette


in risalto l’origine della sua predicazione che dipende direttamente
dalla rivelazione in lui del Figlio di Dio. A questo scopo ritorna nuo-
vamemte sulla sua precedente attivita persecutoria, sul cambiamento
verificatosi a seguito di una chiamata particolare in vista di una mis-
sione ai pagani. Questo mutamento e quindi contestualizzato con la
città di Damasco.
Introduciamo ora il testo di Fil 3,2-14. Paolo, nel passo in que-
stione, polemizza aspramente con alcuni propagandisti giudei-cristia-
ni, che ostentavano la loro origine e fedelta giudaica sostenendo
la necessita della circoncisione. Paolo replicando in due momenti di-
stinti alle loro pretese, allude per due volte a Damasco :

« Ma [...] questo l’ho ritenuto per Cristo una perdita. e .[...] perche
anche io sono stato raggiunto da Cristo Gesù » 65.

Paolo si confronta inizialmente con il loro vanto vanto:« Se


qualcun’altro sembra confidare nella carne, io di più » 66. Elenca
quindi tre motivi di vanto ereditati sin dalla nascita: a) egli è « cir-
conciso l’ottavo giorno » ; b) appartiene alla « stirpe di Israele » e al-
la « tribu di Beniamino » ; c) è « ebreo da Ebrei », ovvero fedele alla
cultura, alla lingua, a usanze e stili di vita. A questi si aggiungano ul-
teriori tre motivi di vanto questa volta non legati alla sua nascita e
pertanto conquistati personalmente : a) « per legge, Fariseo », ritor-
na il tema della radicalità nell’osservanza della legge; b)« per zelo »,
persecutore della Chiesa di Cristo ; c) « per giustizia consistente nella
legge, divenuto senza difetto » . All’inizio del v. 7 troviamo un «ma»
che è indicativo di una svolta nel ragionamento e che è una precisa
allusione all’evento di Damasco :

«[Ma] quanto era per me guadagno, questo l’ho ritenuto per


Cristo una perdita ».

Questo rovescimento di valori deve comunque essere inserito


nel contesto dell’evento di Damasco. La contrapposizione di perdita
e di guadagno deve essere letta nell’ottica di un mutamento radicale
di giudizio circa i privilegi storici e morali del giudaismo. Paolo pas-
sa, a questo punto, a parlare del presente, confermando il capovolgi-
mento di tale prospettiva, semmai rafforzandola considerando «per-
dita» (zēmía) e «spazzatura» (skybala) non solo i privilegi del giudai-
smo, ma «tutto» (panta), dinanzi all’«eccellenza della conoscenza di
Cristo Gesù» 66. Mettendo definitivamente da parte ogni altro valore,
cerca di conquistare il Cristo, di sperimentare « la potenza della sua
risurrezione e la partecipazione alle sue sofferenze » per « giungere
alla risurrezione dei morti ».
Con queste parole, Paolo si è oramai spostato sul futuro ed è
passato quindi al secondo confronto con gli avversari. Dalla lettura
del testo sembra di capire che questi erano giunti a considerarsi per-
fetti, pienamente salvati e partecipi della risurrezione di Cristo. Paolo
ricorre qui ad un’immagine mutuata dal mondo dello sport, quella
della corsa nello stadio e parla di sé come di chi è ancora impegnato
nella corsa :

«Non che già abbia raggiunto (la meta), o già sia giunto a perfezione,
mi sforzo, se eventualmente (la) raggiunga [...] ».
E aggiunge, a questo punto, il secondo riferimento a Damasco:

« [...] perché anche io sono stato raggiunto da Cristo Gesù » 67.

Dalla lettura del testo della lettera ai Filippesi, capiamo che per
Paolo l’evento di Damasco è prima di tutto conversione, da inten-
dersi come capovolgimento di valori e scelte morali. Per questa ra-
gione i Filippesi che possono essere disorientati da un insegnamento
nuovo o da modelli di vita sbagliati, come quelli introdotti dagli av-
versari di Paolo, possono trovare nell’Apostolo un modello da segui-
re. Più avanti infatti sentirà il bisogno di invitarli ad imitarlo, sottoli-
neando che tale imitazione deve essere in conclusione un atto comu-
nitario. I membri della comunità di Filippi sono chiamati ad ispirarsi
(« guardate ») alle persone che già assumono questa regola di vita. Il
« noi » finale del versetto può essero letto come il desiderio dell’Apo-
stolo di associare a sé i suoi collaboratori più stretti, proposti a loro
volta come esempio :

«Siate tutti insieme miei imitatori, fratelli, e guardate quelli che


camminano secondo l’esempio che avete di noi » 68.

Inoltre tale cambiamento di vita in Paolo è avvenuto a motivo


del Cristo 69 e dell’«eccellenza» della sua conoscenza. Questa espres-
sione, comeabbiamo già visto nel caso di Gal 1, è indicativa della ri-
velazione del Cristo a Paolo « per apocalisse ». Damasco assume il
valore di conoscenza di Cristo, come valore assoluto che, a partire
dai privilegi propri di Israele, relativizza ogni privilegio e che viene
data gratuitamente e assimilata progressivamente. Paolo accenna infi-
ne all’evento « scatenante » ricorrendo a termini quali essere « affer-
rato e conquistato » da Cristo, per cui ora, a sua volta, egli cerca di
conquistare Lui e la resurrezione. La lettura proposta da Paolo ri-
spetto a questo evento è certamente interessante, ma in definitiva ciò-
che realmente conta sono gli effetti in lui della grazia incontrata.
Veniamo, a questo punto, a vedere più da vicino ciò che possia-
mo desumere dalle cosidette lettere pseudoepigrafiche. La lettera agli
Efesini contiene in 3,1ss. ulteriore affermazioni in merito a Damasco.
A Paolo viene conferito il mistero della grazia, il che significa che egli
è strumento di Dio. Questo ministero gli è stato conferito per rivela-
zione 69. Nel contesto di tale rivelazione gli è stato reso noto il miste-
ro di Cristo 70. Nel passato tale mistero è rimasto nascosto nella men-
te di Dio e pertanto non era stato manifestato alle precedenti genera-
zioni, ma nel presente 71, ne viene reso partecipe non solo Paolo, ma
anche i santi e i profeti. Il contenuto di questo mistero è che coloro
che non sono Israeliti, i cosidetti pagani in Cristo, vengono, alla stre-
gua degli Israeliti, considerati « coeredi » (synklērónoma), « concor-
porati » (syssōma) e « conpartecipati » (symmetocha). Pertanto ogni
disparità nella storia della salvezza non ha più ragione di sussistere. Il
testo, in sé , non si riferisce necessariamente all’evento di Damasco,
ma indica l’origine della comprensione del «mistero» da parte di
Paolo nella sua particolare esperienza di «rivelazione».
Veniamo ora ad un altro testo tratto dalle cosiddette « lettere
pastorali », contenuto in 1 Tm 1,11b-17. Notiamo che in questo testo
il pensiero si strutturi per associazione di idee, secondo questo parti-
colare schema, in cui contraddistinguiamo con la lettera A, il tema
dell’apostolato, A + B, tema dell’apostolato e della misericordia, B, te-
ma della misericordia.

A : a Paolo sono stati affdati il Vangelo e l’« apostolato » 72.


A+ B : Paolo è stato ritenuto degno dell’« apostolato »(A), non
perché lo meritasse, ma per « misericordia e grazia » (B) 73.
B : nel suo essere oggetto di «misericordia», Paolo è esempio
per ogni peccatore chiamato alla fede 74.

In questo inno di rendimento di grazie, Paolo riconosce di ave-


re avuto solo demeriti, in quanto « bestemmiatore, persecutore e vio-
lento » 75 , oltre a essere il primo dei peccatori 76. L’esperienza
straordinaria di una misericordia smisurata, nell’originale il verbo hy-
perpleonazō dà infatti l’idea di qualcosa di sovrabbondante, e della
grazia che Dio ha usato nei confronti di Paolo, sta all’origine della
sua conversione e della fiducia che il Signore ha riposto in lui rite-
nendolo degno del ministero, della forza necessaria per poterlo
attuare 77 della fede verso Dio e dell’amore verso le chiese 77.
In questo passo, il caso personale di Paolo viene inserito nel
più ampio contesto della storia della redenzione, attraverso il ricorso
alla formula solenne del v. 15: « Sicura è questa parola », che si riferi-
sce all’affermazione catechetica o liturgica :
«[...] Cristo Gesù venne nel mondo per salvare i peccatori» 78.

Paolo, in questo contesto, si defnisce «primo» dei peccatori, il


primo cui Cristo ha mostrato la propria bontà, perché fosse « esem-
pio » vivente per ogni peccatore chiamato alla vita eterna.
Potremmo concludere dicendo che, nel testo di 1 Tm, l’evento
di Damasco ci viene presentato in primo luogo come una chiamata
alla diakonia, ovvero al servizio del Vangelo e ciò nonostante i pec-
cati dell’Apostolo. Damasco rappresenta inoltre una chiamata che è
frutto della pura grazia 79 e della misericordia 80. Vediamo che
quest’evento ha reso Paolo un modello esemplare per ogni peccato-
re. Questo testo non rende note le circostanze in cui si rivelò a Paolo
la misericordia. Paolo è costituito a partire dal testo di 1 Tm model-
lo esemplare di ogni peccatore chiamato alla vita eterna. La figura
dell’Apostolo e l’evento di Damasco acquisiscono pertanto una va-
lenza morale e vengono messi al servizio della parenesi. La vocazione
di Paolo acquista in questo modo un valore rilevante per la stessa
storia della salvezza, al punto da divenire modello di vocazione alla
santità.
Va detto, in conclusione, che pur non avendo certezza dell’au-
tenticità paolina delle lettere pastorali, un simile testo, in cui si vede
affiorare la coscienza di Paolo o, quanto meno, della cerchia dei suoi
amici e discepoli, sembra estremamente significativo perché ci mo-
stra fin dove giungesse il mutamento radicale che si era prodotto nel-
la sua vita.
Veniamo, a questo punto, a verificare le divergenze e i punti di
contatto esistenti tra le due fonti, gli Atti e le lettere.
In primo luogo spicca agli occhi che, a differenza delle lettere,
in cui non è contenuto alcun racconto della cristofania di Damasco,
negli Atti troviamo ben tre narrazioni distinte dell’evento di cui, più
precisamente, due di questi racconti sono narrati in prima persona
dal protagonista 81.
Nelle lettere, Paolo afferma semplicemente di « aver visto il Si-
gnore ». Gli Atti non fanno mai riferimento propriamente al fatto vi-
sivo di vedere la persona di Gesù. Seppur, nella sostanza, le due cose
coincidano, di fatto negli Atti si evita di dire che Paolo ha visto il Si-
gnore Risorto, come invece Paolo esprime chiaramente. Un contra-
sto, se vogliamo, ancora maggiore se pensiamo che Paolo si preoccu-
pa di ribadire di « aver visto il Signore », essendo questo il fonda-
mento sui cui poggia la legittimità della sua pretesa apostolica : come
gli altri Apostoli, anche Paolo ha visto il Signore. L’autore degli Atti
sembra evitare il più possibile l’appellativo « apostolo » per
Paolo 82. Negli Atti sono considerati « apostoli » solo i « dodici »,
proprio in forza della testimonianza della risurrezione di Gesù Cri-
sto. Diversamente, nelle lettere, la notifica della missione appare di-
rettamente e immediatamente legata alla vocazione e, diversamente
dagli Atti non avviene, come vediamo nel caso di Anania cui è de-
mandata proprio questa funzione, attraverso una particolare media-
zione 83. Più che soffermarsi sulle differenze esistenti tra i racconti
stessi degli Atti, che vale la pena far notare è che i tre racconti pre-
sentano di volta in volta scopi distinti e che, com’è stato notato, esi-
ste in ciò una progressione 84. Attraverso il personaggio di Anania in
At 9, si vuole sottolinere la mediazione ecclesiale della chiamata. Tut-
to ciò, come viene specificato più avanti in At 22, deve essere inteso
nella linea della tradizione di Israele. Si vuole chiarire che Paolo non
ha cambiato Dio. Infine in At 26 si vuole rispondere all’esigenza di
dimostrare che la chiamata di Paolo vuole confermare in definitiva la
speranza di Israele e le profezie messianiche.
Al di là di queste differenze, notiamo una grande corrisponden-
za tra le due fonti su diversi punti 85. Entrambe le fonti concordano
sul fatto che Paolo sia stato un persecutore. Questo è evidentemente
un dato macroscopico che ha un ruolo funzionale e che vuole farci
pervenire la sensazione di un cambiamento radicale e inoppugnabile.
Allo stesso modo, vi è concordanza tra le due fonti sul fatto che l’in-
contro col Signore risorto, sia avvenuto in modo diretto e ciò perchè
è in questo incontro misterioso, ma comunque reale, col Cristo glori-
ficato che deve essere cercata l’origine di questa sua « conversione ».
Sia gli Atti che l’epistolario concordano sul fatto che si è trattato di
un incontro « luminoso » 86. L’apostolato paolino trova la propria
radice, ma anche la propria legittimazione in questa esperienza origi-
nante. Le due fonti evidenziano similarmente che l’incontro con il Si-
gnore Gesù ha come scopo la definizione della missione di Paolo
presso i Gentili. Le due fonti concordano, infine, anche sul contesto
in cui ebbe luogo questo avvenimento decisivo, la città di Damasco
appunto 87. Tutto ciò, al di là di alcune differenze che permangono,
consente in line adi massima di assicurare una solida base storica a
ciò che ci viene trasmesso da entrambe le fonti 88. Le differenze de-
vono essere lette nell’ottica delle diverse finalità perseguite dalle fonti
e nelle modalità in cui lo stesso evento ci viene presentato. Come ab-
biamo già detto, a Paolo non interessa descrivere i particolari dell’ac-
caduto. Se, eventualmente, troviamo un riferimento a questo partico-
lare evento, lo scopo di Paolo è quello di voler suffragare con la pro-
pria esperienza personale un determinato argomento. Al contrario
l’autore degli Atti sembra vedere nella narrazione, che vede il mezzo
espressivo con cui presentare gli elementi essenziali della prima espe-
rienza ecclesiale.
La teologia degli Atti degli Apostoli è verosimilmente una teolo-
gia narrativa, che si esprime nella forma di un lungo racconto, Paolo,
al contrario, sembra privilegiare una teologia discorsiva, che rende
eventuali elementi narrativi funzionali al discorso in una riflessione
argomentativa. Infine non può passare inosservato che uno scrittore
della seconda generazione cristiana abbia voluto insistere in modo
così ridondante su un evento personale della vita di uno dei vari pro-
tagonisti dell’avventura cristiana primitiva. Questa particolare insi-
stenza su Paolo lascia pensare che la figura di questo araldo del Van-
gelo e la sua conversione, abbiano avuto un impatto straordinario
sulla vita della Chiesa all’inizio della sua storia, divenendo la chiave
interpretativa dell’origine della sua esperienza e del suo
« apostolato » 89.
Gunti a questo punto, cerchiamo ora di indagare oltre al ruolo
fondante dell’evento di Damasco anche le sue implicazioni. La con-
versione di Paolo, intesa come trasformazione radicale della propria
esistenza, rappresento nella propria vita un capovolgimento sostan-
ziale. Da persecuore, abbiamo visto che Paolo, diventa immediata-
mente perseguitato, da zelante per la Legge, si ritrova apostolo della
grazia per tutti e, in particolare, per i gentili, da « incredulo » diventa
campione della fede in Cristo. È evidente che siamo dinanzi ad una
reale e profonda trasformazione antropologica in tutta la sua interez-
za : intelligenza, volontà, cuore, spirito, abitudini, interessi, rapporti,
concezione della vita e di ogni suo aspetto per giungere fino a Dio.
Pur non essendo mai giunto a tematizzare una simile trasformazione
in lui, vi sono alcuni testi in cui vi fa accenno :
« tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della co-
noscenza di Cristo Gesù, mio Signore per il qual ho lasciato perdere
tutte queste cose e le considero come spazzatura, al fine di guada-
gnare Cristo e di essere trovato in lui, non avendo come mia giustizia
quella derivante dalla legge, ma quella che deriva dalla fede in Cri-
sto, cioè la giustizia che deriva da Dio, basata sulla fede » 90.

O ltre che in questi accenni autobiografici, la trasformazione su-


bita da Paolo traspare in diversi punti delle lettere, soprattutto in
quei brani in cui sviluppa una propria riflessione antropologica.
L’apertura ai gentili, come abbiamo visto nei capitoli precedenti,
ha aperto un campo missionario enorme, fino a quel momento so-
stanzialmente chiuso 91. Dalla lettura dei testi del Nuovo Testamento,
nella fattispecie gli Atti e il suo corpus epistolare, emerge abbastanza
chiaramente che è grazie alla vocazione di Paolo che il Vangelo ha
iniziato a diffondersi oltre la cerchia ristretta delle comunità giudai-
che. Questa situazione viene chiarita bene in un passo della lettera ai
Galati :

« visto che a me era stato affidato il vangelo per i non circoncisi, co-
me a Pietro quello per i circoncisi - poiché colui che aveva agito in
Pietro per farne un apostolo dei circoncisi aveva agito anche in me
per i pagani - e riconoscendo la grazia a me conferita, Giacomo, Ce-
fa e Giovanni, ritenuti le colonne, diedero a me e a Barnaba la loro
destra in segno di comunione, perché noi andassimo verso i pagani
ed essi verso i circoncisi » 92.

L’iniziativa divina, come desumiamo dal trittico di At 9, 22 e 26,


ha proprio questo obiettivo finale, come ci viene confermato anche
dalle parole di Paolo :

«colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la
sua grazia si compiacque di rivelare a me suo Figlio perché lo annun-
ziassi in mezzo ai pagani » 93.

L’esperienza paolina ha consentito nel tempo di giungere a


un’ulteriore precisazione di ciò può dirsi propriamente cristiano. Ri-
spetto al proprio ancoraggio giudaico, la novità cristiana doveva ne-
cessariamente essere oggetto di un’ulteriore chiarimento e sviluppo
in tutte le sue implicazioni, se non addirittura di una purificazione,
ma comunque senza sganciarsi dalla propria origine. L’evento di
grazia e rivelazione che sta al centro dell’esperienza paolina è quello
della « rivelazione » del suo Dio, del « Dio dei nostri padri » come
del Dio di Gesù Cristo e di conseguenza della rivelazione di Gesù
Cristo come figlio di Dio e come Messia da lui inviato. Tutto questo,
tuttavia, seppur in linea con la rivelazione testimoniata dalla Scritture
di Israele, non poteva prescindere da un cambiamento radicale nella
concezione giudaica della religiosità.
Un’ulteriore questione, che ci troviamo necessariamente a af-
frontare è data certamente dalla caratterizzazione dell’evento 94 : ci
chiediamo se siamo autorizzati a parlare di « conversione » o di
« vocazione » 95. Siamo autorizzati eventualmente a parlare di « con-
versione » 96 ? In linea generale, gli studiosi concordano nel ritenere
il termine « conversione » non del tutto adeguato. Le ragioni, nella
loro molteplicità, sono essenzialmente riconducibili al fatto che il
cambiamento di cui abbiamo parlato in Paolo non presenta i caratte-
ri tipici della « conversione ». In primo luogo la « conversione » im-
plica il cambio di una divinità o di una religone. Altrettanto non pos-
siamo dire che Paolo si sia avvicinato alla nuova fede nei modi di un
pagano. Il Dio di Paolo è e rimane il Dio di Israele. La cristofania
sulla via di Damasco riguarda la scoperta appunto di Gesù Cristo, il
figlio diretto di quel Dio che già adorava. Appare chiaro che sotto il
profilo della religione non possiamo essere dinanzi a una « conversio-
ne ». Lo stesso, in linea di massima, può essere detto sotto il profilo
morale, poiché , anche da questo punto di vista, non è lecito parlare
di veri e propri capovolgimenti. Difficilmente, infatti, potremmo im-
maginare lo zelante Paolo come un accanito e renitente peccatore
che, finalmente, ha messo ordine in una vita sregolata o che, comun-
que, abbia iniziato un percorso di purificazione etica. Manca, a di-
mostrazione di ciò, una qualunque testimonianza o accenno a un par-
ticolare stato di peccato precedente l’evento di Damasco. Al contra-
rio, Paolo, in forza della Legge e in quanto fariseo, si trovava in uno
stato di fondamentale rettitudine morale, come, egli stesso terrà a far
notare :

«Se alcuno ritiene di poter confidare nella carne, io più di lui: cir-
conciso l’ottavo giorno, della stirpe d’Israele, della tribù di Beniami-
no, ebreo da Ebrei, fariseo quanto alla legge; quanto a zelo, persecu-
tore della Chiesa; irreprensibile quanto alla giustizia che deriva
dall’osservanza della legge »
Visto anche sul piano morale, l’evento sulla strada di Damasco
non può essere propriamente assimilato a « conversione ». Allo stes-
so non potremmo parlare di un reale cambiamento anche se consi-
deriamo la cosa dal punto di vista sociologico o etnico: Paolo, infatti,
ha continuato a considerarsi ebreo e, come tale, parte integrante del
popolo di Israele 97, anche se, va detto, a onor del vero, che il suo
mondo di relazioni e abitudini ha comunque subito importanti tra-
sformazioni.
Ci chiediamo quindi come sia possibile caratterizzare l’esperien-
za fondante la fede cristiana di Paolo ? Un’importante indicazione, a
questo proposito, ci proviene da Paolo stesso, che nella lettera ai Ga-
lati. L’ambito lessicale di riferimento nel passo che andiamo a pren-
dere in considerazione non è quello della « conversione », ma più
propriamente quello della « vocazione » o « chiamata » :

«colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la
sua grazia si compiacque di rivelare a me suo Figlio» 98.

Questo testo, cui accennavamo nei precedenti paragrafi, denota


una particolare scelta lessicale che ci consente di accostarlo ai cosid-
detti «racconti di vocazione», nella fattispecie il riferimento è ad un
famoso «racconto di vocazione» in cui si parla della chiamata di Ge-
remia :

« Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu


uscissi alla luce, ti avevo consacrato; ti ho stabilito profeta delle na-
zioni » 99.

La particolare situazione vissuta da Paolo, come del resto si at-


taglia più decisamente all’idea di « vocazione ». Questa particolare
caratterizzazione dell’evento ha dei vantaggi, in quanto consente di
rispettare due dati essenziali utili alla comprensione dell’evento stes-
so. In primo luogo notiamo che la « vocazione » sottende un’inziati-
va divina gratuita, ovvero sia non basata su meriti particolari. Si trat-
ta di un aspetto su cui i racconti di vocazione contenuti nelle Scrittu-
re ritornano frequentemente. Inoltre essa è sempre in ordine a una
missione. Si viene chiamati in vista di un determinato compito che
Dio chiama a svolgere nella storia.
Parlare di vocazione, e ciò asseume in questo contesto un valo-
re estremamente significativo, indica un atto di designazione estrin-
seco con cui si affida a qualcuno una missione o un compito. L’even-
to della vocazione, come abbiamo visto per Paolo, ha un’ulteriore im-
plicazione, in quanto si configura come un atto tale da trasformare la
persona 100. Nel momento in cui riceve la vocazione, il chiamato si
può dire abilitato, nel senso che l’intimo mutamento che avviene
dentro di lui lo pone in condizione di compiere la missione che gli è
stata affidata 101. Il chiamato per di più vive ed opera in forza di un
rapporto privilegiato che Dio stabilisce con lui. Come traspare in nu-
merosi testi profetici, la sicurezza e la forza del profeta stanno nella
presenza e nella vicinanza del Signore. Ritornando a Paolo questa di-
namica e le sue relative implicazioni sono espresse bene in un passo
della lettera ai Filippesi che abbiamo già citato :

« tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della co-
noscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perde-
re tutte queste cose e le considero come spazzatura, al fine di guada-
gnare Cristo e di essere trovato in lui, non con una mia giustizia deri-
vante dalla legge, ma con quella che deriva dalla fede in Cristo, cioè
con la giustizia che deriva da Dio, basatasulla fede. E questo perché
io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la partecipa-
zione alle sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte, con la
speranza di giungere alla risurrezione dai morti. Non però che io ab-
bia gia conquistato il premio o sia ormai arrivato alla perfezione; so-
lo mi sforzo di correre per conquistarlo, perché anch’io sono stato
conquistato da Gesù Cristo » 102.

In conclusione vediamo che mutamento avvenuto in Paolo ri-


guara il cosiddetto «uomo interiore». La misura di questo cambia-
mento è desumibile solo attraverso le riflessioni che egli ci offre nel
proprio epistolario. Come dicevamo, sebbene il tema non sia stato
oggetto di uno sviluppo diffuso, sono comunque presenti alcuni ac-
cenni particoalrmente indicativi. La modalità con cui queste rifles-
sioni si articolano ci permette di giungere ad una valida comprensio-
ne della natura effettiva di tale cambiamento. Si tratta, rispetto alla
fede giudaica, di un chiaro mutamento nelle concezioni e nelle idee.
Cercheremo, in quesa sede di verificare gli aspetti, a nostro giudizio,
più salienti. Sotto il profilo antropologico, vediamo come l’incontro
con la persona di Gesù Cristo, abbia reso possibile un mutamento di
prospettiva rispetto alla condizione dell’uomo rispetto al suo Dio, ma
anche rispetto al cambiamento operato con l’evento della sua grazia.
Le riflessioni a riguardo proposte da Paolo sono molteplici, seppur
non siano sistematizzate. In ogni caso, si badi bene, senza una tale
esperienza fondante ogni elaborazione dottrinale su giustificazione,
peccato e la «nuova creazione», non sarebbe stata nemmeno lontana-
mento pensibile.
Sul piano più propriamente teologico, attraverso l’incontro con
il Signore risorto, Paolo scopre un nuovo volto del suo Dio, che ora
è il Padre di Gesù Cristo, che si rivela in Lui come amore e miseri-
cordia e che si comunica ai credenti in forza del dono del suo Spirito.
La percezione stessa della storia della salvezza in Paolo non poteva a
questo punto che acquisire un significato completamente nuovo e di-
verso. A partire da Gesù Cristo, si comprende meglio l’intera pro-
gressione e il significato delle diverse tappe di questa storia fino al
suo culmine, pienezza e consumazione.
Sotto il profilo soteriologico, ovvero sia di ciò che « salva », l’in-
contro con Gesù Cristo rivela a Paolo il volto del Messia atteso da
Israele, la sua mediazione unica e necessaria, le modalità in cui avvie-
ne per l’uomo tale salvezza in Cristo, nella sua morte e risurrezione.
Sul piano della riflessione ecclesiologica è importante ricordare
che Paolo, sulla via di Damasco, intende la voce di Gesù interprellar-
lo con queste parole: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti ? » 103. Pro-
prio a partire da questa esperienza di identificazione con Gesù con i
suoi, Paolo svilupperà successivamente la propria concezione della
Chiesa come « Corpo di Cristo » 104. Un’ultima considerazione è di
oridine teologico storico e in particore riguarda la sua concezione del
tempo nella storia. Sotto il profilo della propria vicenda personale e
umana e, più in generale, per ciò che riguarda generalmente la storia
umana, Paolo vede la scansione del tempo segnata da due grandi tap-
pe, la prima che precede Gesù Cristo, che ha vinto il dominio del
peccato e della morte e la seconda che si colloca dopo Gesù Cristo.
Si tratta appunto del tempo presente che è un il tempo della grazia,
l’« adesso » in cui regna lo spirito che libera dalla morte.
Si tratta, evidentemente, solo di alcuni esempi. La trasformazio-
ne avvenuta in Paolo ha avuto come conseguenza la riformulazione i
ogni categoria teologica e religiosa. Degli esiti di questa riflessione,
usufriamo ancora oggi ampiamente. Questo ripensamento trova le
proprie ragioni nel fatto che Paolo, entrando in contatto con la per-
sona di Gesù Cristo, è stato a Lui « assimilato » :

«Vivo, non più io però, ma Cristo vive in me. O ra infatti ciò che vi-
vo nella carne lo vivo nella fede del Figliodi Dio che mi ha amato e
ha consegnato se stesso per me » 105.

Concludendo vediamo un testo in cui si esprime chiaramente la


conseguenza di tutto questo :

« noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di


Dio per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato. Di queste cose noi
parliamo, non con un linguaggio suggerito dalla sapienza umana,ma
insegnato dallo Spirito, esprimendo cose spirituali in termini spiri-
tuali. L’uomo naturale però non comprende le cose dello Spirito di
Dio; esse sono follia per lui, e non è capace di intenderle, perché se
ne può giudicare solo per mezzo dello Spirito. L’uomo spirituale in-
vece giudica ogni cosa, senza poter essere giudicato da nessuno. Chi
infatti ha conosciuto il pensiero del Signore in modo da poterlo diri-
gere? O ra, noi abbiamo il pensiero di Cristo » 106.
Note al Capitolo 6

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