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Il commento alla Lettera ai Galati di

Giovanni Crisostomo
Rodrigo Vera Aguilar
28 maggio 2020

1 Introduzione
1.1 La Scuola Esegetica di Antiochia

E
merse, ad Antiochia, nel III-IV secolo, una tendenza alla esege-
si letteraria, anche in reazione all’origenismo alessandrino, che oggi
chiameremmo storico-critica. Questa cosiddetta «scuola esegetica
di Antiochia» più che essere scuola in senso proprio, indica un gruppo di
teologi che condividevano gli stessi orientamenti di pensiero in ambito
antropologico, cristologico ed esegetico.
La scuola di Antiochia era attenta all’interpretazione letterale e allo
studio storico e grammaticale della Bibbia. La scuola di Alessandria invece,
attraverso l’allegoria, cercava di vedere figure di Cristo in ogni parola
ispirata. Questi due metodi erano conseguenza della filosofia a cui si
ispiravano: l’idealismo e l’indole speculativa d’Alessandria s’ispirava a
Platone, mentre il realismo e lo storicismo di Antiochia si ricollegavano
ad Aristotele. Infatti il primo di questi due grandi filosofi era incline al
misticismo e il secondo al razionalismo.
Fondatore di questo orientamento fu, pare, il martire Luciano. Tra i
grandi personaggi di questa scuola si trova Eustazio, vescovo di Antiochia
(323-330), il quale, fortemente polemico nei confronti di Origene, che
accusò di aver allegorizzato tutta la Scrittura, ebbe un ruolo di primo
piano nella condanna di Ario a Nicea (325). Dopo di lui emerge Diodoro
di Tarso, nativo di Antiochia e presbitero di questa città, eletto vescovo
di Tarso (378). Discepoli di Diodoro, che può essere considerato il vero
fondatore della scuola esegetica antiochena, furono i presbiteri antiocheni
Teodoro di Mopsuestia, vescovo di Mopsuestia in Cilicia (392) e Giovanni
Crisostomo, grande oratore poi divenuto patriarca a Costantinopoli (398).

1.2 Crisostomo e San Paolo


Il «Bocca d’oro» sentiva una profonda sintonia spirituale con San Paolo.
Le sue opere sono presenti con una particolare predilezione nelle opere el

1
vescovo di Costantinopoli. Il Crisostomo commentò tutte le epistole paoli-
ne. Si vede una forte attrazione ed un grande entusiasmo nei confronti
della personalità e del messaggio spirituale e teologico dell’Apostolo.
Dal commento alla Lettera ai Galati emerge un ritratto vivo ed eloquente
dell’Apostolo. Il Crisostomo afferma che parare di Paolo equivale a parlare
di Cristo, ispiratore della sua anima (Comm. in Gal. I, 7, PG 61, 624).

1.3 La struttura del commento


Il modo in cui il commento ai Galati si ha scritto presenta lo stesso stile di
un’opera moderna, cioè, è un’esegesi in corso del testo, versetto per verset-
to. Possiamo dire che originariamente consisteva in una serie di omelie
già che il Crisostomo si rivolge talvolta ai suoi ascoltatori. Non possiamo
nemmeno assegnare una data esatta a quest’opera, ma probabilmente è
stata composta dopo le omelie sulle Epistole ai Corinzi. In ogni caso, il
Crisostomo continuava ad Antiochia (386-397), perché si riferisce alla sua
omelia Sul cambiamento di nome che è stata pronunciata agli stessi ascolta-
tori: «abbiamo pronunciato un discorso su questo argomento, quando via
abbiamo parlato del cambiamento del suo nome, e per quale motivo egli,
che si chiamava Saulo, è stato chiamato Paolo; se ve ne siete dimenticati,
leggendo quel libro saprete tutte queste cose» (Comm. in Gal. I, 9, PG 61,
627).
È il primo commento nell’ambito delle opere esegetiche dei Padre greci
a questa epistola.

1.4 Legge e fede


El tema del rapporto fra legge e fede é il punto centrale della Lettera ai Galati,
per questo i nostro autore sviluppa ampiamente il argomento. Lui osserva,
da un lato che la legge rese il peccato più evidente, mentre dall’altro non
ebbe la forza di liberare da esso e di porre fine all’ira di Dio; di fronte
alla fede, farmaco efficace e via per ottenere la giustificazione, la legge si
manifesta in tutta la sua povertà e debolezza.

1.5 Aspetti polemici


Il nostro autore stigmatizza energicamente il metodo degli eretici – spe-
cialmente gli ariani– di esaminare singoli passi della Scrittura fuori dal
loro contesto in modo da trovare punti per le loro posizioni dottrinali.
Crisostomo affronta anche il manicheismo, molto diffuso in Siria nel
IV secolo; su questa dottrina il nostro autore lotta contro la concezione
negativa della vita in questo mondo e della materia, soprattutto per quanto
concerne il corpo umano. Quando Crisostomo tratta del passo di Gal. 5,
14 ss. –in cui l’Apostolo contrappone i desideri della carne a quelli dello
spirito, le opere della carne al frutto dello spirito– si sofferma sul tema
antropologico del rapporto fra anima e corpo, per mostrarne l’intima
armonia e il servizio reciproco.

2
Contro i marcioniti che ammettevano solo il Vangelo di Luca, Crisosto-
mo, a proposito di Gal. 1, 6-7, individua il criterio di valutazione dell’unità
dell’evangelo non del numero degli scriventi, ma nell’armonia delle loro
affermazioni e nella precisione della dottrina.
Possiamo trovare anche un’allusione ai novaziani quando Paolo lascia
aperta la possibilità che i suoi interlocutori ritornino in sé e si riprendano
dallo sbandamento in cui erano caduti.
Denuncia la persistenza di alcune pratiche giudaizzanti nella comu-
nità cristiana del suo tempo. Allo stesso tempo polemizza contro la so-
pravvivenza, in alcuni cristiani, di taluni costumi pagani e anche di una
concezione fatalista della vita.

1.6 Il linguaggio
É un linguaggio vivo, concreto, immediato. Con frequenza instaura un
dialogo con lo stesso apostolo Paolo: lo interroga, li chiede spiegazione di
singole espressioni che più fortemente lo colpiscono o sembrano suscitare,
ad una prima lettura, dubbi e perplessità.
Usa una grande varietà di immagini, metafore e similitudini che il
Crisostomo ha ereditato della sua formazione classica e dalla continua
familiarità con la Scrittura. Tali immagini si ispirano di volta in volta alla
medicina, al corpo umano, alla terminologia militare, al fuoco, alla luce,
alla semina e al raccolto, al mare, agli animali... Tutto questo è funzionale
al tipo di discorso che intende sviluppare in modo che esso venga più
efficacemente e pienamente compreso, e così possa fruttificare nell’animo
degli ascoltatori.

2 Brani scelti
2.1 Valore della preghiera per capire Dio
«Forse vi aspettate di ascoltare di me un’esposizione preliminare sul perché
mai (Dio) non lo chiamò insieme ai dodici: ma, per non dilungarmi troppo
e allontanarmi da quanto è più urgente, prego la vostra carità di non voler
apprendere tutto da me, ma di cercare anche da voi stessi e pregare Dio
affinché ve lo manifesti.»1

2.2 Amore di Paolo a Pietro


Quando parla della scena del viaggio di Paolo per visitare a Pietro, lo fa
sottolineando il grande amore con che Paolo lo ha fatto. «Dice infatti: Per
far visita a Pietro. Non ha detto: per vedere Pietro, ma per far visita a
Pietro, come si esprimono coloro che visitano grandi e splendide città;
tanta premura riteneva che meritasse anche soltanto vedere quell’uomo»
1
I, 9

3
E puoi, dice che «il fatto di essersi messo in viaggio per causa sua, era
segno di grande onore, mentre l’essere rimasto tanti giorni [quindici]
denotava amicizia e intenso amore». Questo lo dice perche vuole mettere
in guardia ai suoi ascoltatori «affinché quando ascolterete ciò che sem-
bra egli abbia detto contro Pietro, nessuno sia sospettoso nei riguardi
dell’Apostolo».2
Crisostomo pensa che Paolo si ferma per parlare della sua relazione
con Pietro in modo che quando dopo dice Mi sono opposto a Pietro (Gal 2,11)
«nessuno pensi che queste parole indichino inimicizia e rivalità; difatti
onora quell’uomo e lo ama piú di tutti».3

2.3 L’umiltà dell’Apostolo


Il nostro autore pone l’accento sull’umiltà dell’Apostolo in diversi passaggi,
per esempio: quando le Chiese della Giudea conoscono Paolo e si sorpren-
dono di che il persecutore ora annuncia la fede (Gal 1, 23), il Crisostomo si
meraviglia della reazione di Paolo quando dice Glorificavano Dio in me (Gal
1, 24) e non dice «mi ammiravano, mi lodavano, erano sbalorditi, ma ha
fato vedere che tutto era effetto della grazia».4

2.4 «Vive in me Cristo»


Non sono più io che vivo, ma vive in me Cristo (Gal 2,20). Il Crisostomo si
chiede che vuol dire questo, e risponde «vuol dire che non faccio nulla
che Cristo non voglia». Paolo si esprime così «poiché aveva reso se stesso
docile a Cristo, ripudiato ogni cosa mondana e faceva tutto secondo la sua
volontà».
«Se, una volta morto il peccato, si fa quanto piace a Cristo una vita di
questo genere non è più (semplicemente) umana, perché è Cristo che vive
in noi, che cioè, opera e domina».5 L’Apostolo aggiunge questa vita che vivo
ora nella carne, la vivo nella fede nel Figlio di Dio (Gal 2, 20).

2.5 «Mi ha amato e ha dato se stesso per me»


Giovanni Crisostomo chiede a Paolo: perché «ti appropri di ciò che è
comune e consideri tuo quanto è stato fatto per il mondo intero?» (questo
perché dici mi ha amato... ha dato se stesso per me). Dopo avere esposto che
anche i profeti si appropriano spesso di Dio, ci invita a essere ognuno tanto
grato a Cristo «come se fosse venuto anche soltanto per lui. Non avrebbe
infatti rifiutato di mostrare un così sublime piano provvidenziale anche
per una sola persona; tanto ama ciascun uomo con la stessa intensità
d’amore con cui ama tutto il mondo».6
2
I, 11
3
I, 11
4
I, 11
5
II, 8
6
II, 8

4
Questa riflessione del Crisostomo è molto bella, perché ci chiama a
tutti noi a pensare nel grande amore di Dio per noi.

2.6 Contro gli ariani


Il Crisostomo approfitta che Paolo parla sulla mediazione di Cristo per
parlare sulla eresia arriana. Il mediatore non è di una sola persona, e Dio è uno
solo (Gal 3,20). Gli ariani erano disposti a considerare il Figlio come Dio,
ma non come vero Dio, e si basavano appunto sul passo di Gv 17, 3 (Questa
è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù
Cristo.) per dimostrare l’inferiorità del Figlio.
«Se infatti l’espressione secondo cui (il Padre è detto) l’unico vero
(Dio), non consente che il Figlio sia vero Dio, allora non sarà nemmeno
Dio, in quanto sta scritto: Dio è uno solo. Ma se, pur essendo detto il Padre
l’unico Dio, è Dio anche il Figlio, è evidente che anche se il Padre è chia-
mato (unico) vero (Dio), sarà vero (Dio) anche il Figlio. Il mediatore, vuol
dire (Paolo), è mediatore fra due. Di chi dunque Cristo era mediatore?
Evidentemente fra Dio e gli uomini».7

2.7 Pedagogia della legge


Perciò la legge divenne nostro pedagogo fino a Cristo perché fossimo giustificati
mediante la fede (Gal 3,24). «Il pedagogo non si oppone al maestro, ma anzi
coopera con lui, preservando il giovane da ogni vizio e predisponendolo,
con ogni cura, a ricevere gli insegnamenti dal maestro; quando però (il
giovane) diventa maturo, il pedagogo allora si separa da lui». Così, con
questa semplicità, spiega il nostro autore ciò che Paolo vuol dire: Cristo è
il maestro, la legge il pedagogo; essendo venuto Cristo, «non siamo più
sotto il pedagogo».8

2.8 L’assimilazione a Cristo


Commentando il versetto 3, 28 dell’epistola, il Crisostomo non solo ripete
con enfasi e chiarisce la nostra partecipazione alla natura di Cristo, ma
aggiunge un ulteriore effetto, cioè che siamo tutti uno in Cristo: i cristiani,
attraverso il battesimo, diventano posseduti da Cristo in modo così com-
pleto da essere uno in Cristo. Non c’è più giudeo né greco, non c’è più schiavo né
libero, non c’é più maschio né femmina. Tutti voi infatti siete uno in Cristo Gesù.
Il Crisostomo esclama ammirando il mistero: «Vedi che anima insaziabi-
le!». Paolo non si accontenta di pronunciare questa grande verità, «non
si ferma qui, ma cerca di trovare qualcosa di più, che possa dimostrate
più chiaramente la stretta unione con Cristo». Siete tutti uno in Cristo Gesù
«vale a dire: avete tutti un solo aspetto, una sola forma, quella di Cristo».
In questa frase Crisostomo usa la parola greca «morfé» per dire forma,
e non si può significare –dicono gli studiosi– altra cosa che la divina natura
7
III, 5
8
III, 5

5
di Cristo. Dopo aver dichiarato che ciò che abbiamo ricevuto è la natura e
l’immagine di Cristo, il Figlio di Dio, Crisostomo, pieno di meraviglia e di
paura di fronte alla grandezza del mistero, esclama «che cosa può essere
più terribile di queste parole?». Questo si conosce come «horrendum
mysterium».
E lui spiega: «Chi era prima greco, giudeo, schiavo si presenta nella
forma non di un angelo né di un arcangelo, ma dello stesso Signore di
tutte le cose, mostrando Cristo in sé».9
Il che prima era un greco, un ebreo e uno schiavo, ora viene ad acquisire
la natura di Cristo stesso. Non è un mero linguaggio figurativo, ma un
«horrendum mysterium» che rimanda una realtà tremenda.10

2.9 Timore e speranza


Temo per voi di essermi affaticato invano a vostro riguardo (Gal 4, 11). «Vedi
il suo cuore apostólico? Essi vacillavano ed egli trepida e teme. Perciò,
incutendo in essi un senso di vergogna, ha usato questa espressione di-
cendo: Mi sono affaticato per voi, come se dicesse: non vanificate questi miei
sudori». Il Crisostomo vede qui timore, ma anche speranza da parte de
l’Apostolo: «Non ha detto infatti: mi sono affaticato invano, ma: temo di
(essermi affaticato invano). Intende dire: non si è ancora verificato questo
naufragio, ma vedo ancora la tempesta che sta per provocarlo. Per questo
temo, ma non dispero; é in vostro potere mettere ordine in tutta questa
situazione e tornare alla tranquillità di prima. Poi quasi porgendo la mano
ad essi che erano agitati dalla tempesta, presenta se stesso dicendo: siate
come me, perché anche io sono stato come voi (Gal 4,14)».11
Più avanti, l’Apostolo usa un linguaggio consolatore fratelli, vi prego,
non mi avete offeso in nulla. Infonde «questa consolazione come si fosse un
olio, e mostrando che quanto aveva detto non proveniva da odio né da
inimicizia».12 Il Crisostomo usa qui una metafora medica con l’olio.

2.10 La scomoda verità


Prima, i galati avevano accolto a Paolo come si fosse un angelo di Dio, ma
allora è diventato il nemico dei galati perché dice loro la verità. Crisostomo
espone come si sentiva Paolo: «è perplesso e stupito, e cerca di sapere da
essi il motivo del loro cambiamento. Chi vi ha ingannato, dice, e vi ha
persuaso ad assumere un atteggiamento diverso nei miei confronti? non
siete voi che mi trattavate con riguardo, vi prendevate cura di me e mi
consideravate più prezioso dei vostri occhi? che cosa e accaduta dunque?
9
III, 5
10
Cf. L.J. Ohleyer, The Pauline formula "Induere Christum": with special reference to the works
of St. John Chrysostom, Washington 1921, pp. 48-49
11
IV, 1
12
IV, 1

6
da dove derivano l’ostilità, il sospetto? forse dal fatto che vi ho detto la
verità?».13
Dopo, il nostro autore, sviluppa che il aver detto la verità doveva essere
motivo di estima e di onore nel rapporto con l’Apostolo.
Nel seguente capitolo Paolo parlerà con parole dure a coloro che hanno
ingannato i Galati e li hanno allontanati dalla retta via facendo loro vivere i
costumi della legge mosaica. Essi chiedevano che tutti venissero circoncisi,
Paolo dice: Che si facciano dunque evirare quelli che vi sobillano! «Le sue parole
vogliono dire: non mi importa nulla di quelli (...) Se vogliono, non solo si
circoncidano, ma si mutilino anche».14

2.11 Contro i manichei


Giovanni Crisostomo coglie l’occasione per parlare dei manichei che con-
sideravano la materia cattiva, malvagia, e come questi «mutilavano il
membro come si fosse nemico e insidioso».15 Lui approfitta per insegnare
una buona dottrina morale: «La colpa non sta nell’occhio né alcun’altra
parte del corpo, ma soltanto nella volontà malvagia», e poi consiglia: «È
necessario soltanto correggere l’impulso disordinato dell’anima; come
se l’artefice fosse in errore, il malvagio demonio, che gioisce sempre del-
le stragi (versamento di sangue), induce a spezzare lo strumento». 16 Il
nostro autore vede il corpo come strumento dell’anima.
Più avanti parla del desiderio sessuale che è stato dato per la pro-
creazione dei figli e la conservazione della vita, per essere padre e avere
legittimi rapporti con la donna, non per violarla. Tutto questo lo dice per
combattere conto chi calunniano la bontà della creazione divina.

2.12 L’amore misura della libertà cristiana


Per mezzo dell’amore servite gli uni a gli altri (CGal 5, 13). Il Crisostomo riflette
sul valore del servizio come un grande segno di amore perché chi ama
il prossimo non rifiuta di servirlo «più umilmente di qualsiasi servo».17
Invece, la cupidigia del potere è la madre delle eresie. Per Crisostomo,
la causa del errore dei Galati è la ambizione, l’arroganza e il desiderio di
potere.

2.13 Armonia fra l’anima e il corpo


«Se vuoi considerare le attività positive che avvengono per mezzo della
carne, immagina che le sensazioni vengano meno e vedrai che l’anima
sarà priva di ogni conoscenza e non saprà nulla di ciò che sa. Se, infatti, la
potenza di Dio, fin dalla creazione del mondo, può essere contemplata con
13
IV, 2
14
V, 3
15
V, 3
16
V, 3
17
V, 4

7
l’intelletto attraverso le sue opere, come potremmo vedere senza occhi? E
se la fede viene dall’ascolto (della predicazione), come potremo ascoltare
senza orecchi? E poi l’annunciare e l’andare in giro (a predicare) sono resi
possibili per mezzo della lingua e dei piedi. (...) Vedi che il servizio della
carne ci procura innumerevoli beni?»18

2.14 Le opere della carne e il frutto dello Spirito


Manifeste sono le opere della carne, e sono: fornicazione, adulterio, impurità,
dissolutezza, malefici, idolatria, inimicizie, contese, gelosie, ira, intrighi, dissensi,
fazioni, invidie, omicidi, ubriachezze, orge e simili. Vi dico, fin d’ora, come già ho
detto, che coloro che fanno tali cose non erediteranno il Regno di Dio. Il frutto dello
Spirito è invece amore, gioia, pace (Gal 5, 19-22).
Crisostomo si ferma nella distinzione che Paolo fa tra opere della carne
e frutto dello Spirito. Perché non parla di opere dello Spirito cosi come lo fa
con quelle della carne? Lui risponde: «Perché le opere cattive provengo-
no soltanto da noi, e perciò le chiama opere, mentre quelle buone hanno
bisogno non solo del nostro impegno, ma ance della benevolenza di Dio».19

2.15 L’amore: maestro della filosofia


Amore, gioia, pace, longanimità, dolcezza, bontà, fedeltà, mitezza, temperanza.
Contro tali cose non c’è legge (Gal 5, 22-23).
Il nostro autore dice che l’amore è il maestro perfetto della filosofia.
L’anima che pratica la virtù per impulso dello Spirito è come un cavallo
docile che fa tutto da sé e non ha bisogno degli ammonimenti della legge.20
La legge e, dice Crisostomo, inferiore alla filosofia data dallo Spirito.

2.16 Paolo scrisse della sua mano


Vedete con che grandi lettere vi scrivo di mia mano, Tutti coloro che vogliono
acquistare importanza con la carne, vi costringono a farvi circoncidere(Gal 6, 11-12).
Il Crisostomo interpreta questo brano come la proba di che Paolo stesso ha
scritto la lettera. Sapiamo che nel caso di altre lettere, egli dettava e altro
scriveva; in questo caso, invece, l’ha scritta tutta personalmente. «Lo ha
fatto anche per necessità, non solo per affetto, ma anche per confutare la
loro perversa opinione». Lui era accusato di predicare la circoncisione, ma
che poi fingeva di non predicarla, per questo lui si ha sforzato di scrivere la
epistola di propria mano. Il nostro autore è dell’opinione che Paolo abbia
scritto l’espressione con grandi lettere non per l’ampiezza ma per l’aspetto
informe della calligrafia. «Pur non essendo in grado di scrivere nel modo
migliore, tuttavia sono stato costretto a scrivere personalmente, in modo
da chiudere la bocca ai calunniatori».21
18
V, 5
19
V, 6
20
Cf. V, 6
21
VI, 3

8
2.17 La nuova vita del cristiano
Paolo dice: Non infatti la circoncisione né l’incirconcisione, ma una nuova crea-
zione. E a quanti seguiranno questa regola, sia pace su di essi e misericordia, e
sull’Israele di Dio (Gal, 6. 15-16). In questo brano, Crisostomo spiega che
la nuova creazione é il modo di noi cristiani di vivere: «la nostra anima,
invecchiata dal peccato, è stata rinnovata subito per mezzo del battesimo,
come se fosse stata rigenerata di nuovo; perciò è richiesta da noi una vita
nuova e celeste». Anche para di una rinnovazione di tutta la creazione che
passerà ad uno stato di incorruttibilità insieme con i nostri corpi. Il nostro
autore dice di cercare la realtà che riguarda alla grazia, così, prendendo
le parole dell’Apostolo, possiamo essere chiamati con il nome di Israele,
possiamo essere israeliti in senso proprio, quando noi ci allontaniamo da
lo vecchio e seguiamo la grazia.

2.18 Le ferite di Paolo e parole conclusive


Io, infatti, porto nel mio corpo le piaghe del nostro Signore Gesù Cristo (Gal 6, 16).
Qui il Crisostomo sottolinea che Paolo non usa la espressione ho le piaghe,
ma dice porto, «come chi è orgoglioso per i trofei o le insegne regali». Come
quelli soldati che portano la bandiera davanti a una colonna dell’esercito,
cosi lui gioisce di portare intorno le ferite. Con queste parole l’Apostolo
intende si difende meglio che con qualsiasi discorso: «Se uno vedesse
un soldato uscire dal campo di battaglia insanguinato, con innumerevoli
ferite, rifiuterebbe di accusarlo di viltà e di tradimento, in quanto reca sul
proprio corpo la prova del suo coraggio».22 È come si dicesse: se qualcu-
no vuole ascoltare la mia difesa, che veda le mie ferite, sono la migliore
dimostrazione di tutto questo che ho scritto.
La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con il vostro spirito, fratelli. Amen
(Gal 6, 18). Dopo riflettere un po su questo Amen, anche il Crisostomo chiu-
de il suo discorso con parole simile: «(...) in Cristo Gesù nostro Signore, al
quale siano gloria e potenza, insieme al Padre e allo Spirito Santo, ora e
sempre nei secoli dei secoli. Amen».23

22
VI, 4
23
VI, 4

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