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RUSSELL, 5_COTTA
INTRODUZIONI
A
LA CITTA’ DI DIO
DI S. AGOSTINO
ROMA 1978
LA CITTA’ DI DIO
NUOVA BIBLIOTECA AGOSTINIANA
a cura della Cattedra Agostiniana
presso l'“Augustinianum” di Roma
Direttore P. Agostino Trapè,O.S. A.
mi.i{ed dauna
enon di conduor cauto dus de
inferi popali fu femore dine[ns peu.
dietam eft. £ pertis o... autem
gr Im. Hoc nero uuod deci faperbae cai Bu i
Want : mi ini bus dia Dircent fabiecns a ic
belluire faperi sadle ciLon deter nicunt
dommin ppetat d fi popali terni
Libulo.i ir. Mon cli eur dan {ento quer
SANTTAGOSTINO
LA CITTA’ DI DIO
I
(Libri I-X)
INTRODUZIONE
A. TRAPÈ, R. RUSSELL, S. COTTA
TRADUZIONE
DOMENICO GENTILI
© 1978, Città Nuova Editrice, via degli Scipioni, 265 - 00192 Roma
Nihil obstat: P. F. Galea, ofm - Roma, 30 novembre 1978
Imprimatur: + Aloisius Liverzani, Episcopus Tusculanus - Frascati, 7 dicembre 1978
ALLA VENERATA MEMORIA
DI SUA SANTITA’
GIOVANNI PAOLO I
CHE NEI BREVI GIORNI DEL SUO PONTIFICATO
CON L’AMABILITA’ DEL SORRISO
E LA SEMPLICITA’ DELLA PAROLA
HA TRASMESSO ALLA CHIESA E AL MONDO
IL MESSAGGIO EVANGELICO DELLA SPERANZA
LA “CITTA’ DI DIO” DI SANT'AGOSTINO
IL GRANDE LIBRO DELLA SPERANZA CRISTIANA
LA NUOVA BIBLIOTECA AGOSTINIANA
E LA CITTA’ NUOVA EDITRICE
CON MEMORE E COMMOSSO PENSIERO
DEDICANO
Il S. Padre aveva accolto il desiderio della dedica al Suo nome
della « Città di Dio », espressogli dalla Direzione, con lettera
della Segreteria di Stato del 22 settembre (n. 461).
INTRODUZIONE GENERALE
TEOLOGIA
x
te tridimensionale, e perciò
La visione agostiniana della storia è essenzialmen
esclusi vamente ) teologi ca. Essa comprende tre
essenzialmente (anche se non
prima, un adesso e un dopo. Il prima è la condizione originale del-
momenti: un
della creazio ne e i doni della grazia,
l'umanità, nella quale s’incontravano i beni
dell'im mortali tà che import avano per l'uomo il pos-
cioè i doni della giustizia e
o abbraccia tutto il pre-
sesso della pace, della libertà, della beatitudine; l’adess
o, e spesso doloroso, esercizio
sente storico, dominato da una parte dal faticos
iquità e dalla morte, dalla divisio ne dell'uomo in
della virtù e, dall'altra, dall’in
adesso quindi ‘che è insieme
se stesso e dalla lotta dell'uomo contro l'uomo, un
e invocaz ione; il dopo indica la fase
scacco e tensione, conquista e attesa, fatica
chaton, la triplice esigenz a di ogni person a — essere,
metastorica, quando, nell’es
— troverà il pieno e definit ivo appaga mento e ci sarà pertanto
conoscere, amare
« il nostro essere non cono-
«la vittoria ultima e la pace perfetta »3, in quanto
conosc ere non cadrà più nell'errore, il nostro amore
scerà più la morte, il nostro
non incontrerà più inciampo»4.
dimensioni e ne riceve
Il dramma della storia, che s'inserisce in queste tre
come la tragedi a antica, in cinque atti, che prospet-
significato e luce, si svolge,
22, 30, 6.
1 Cosi la chiama lo stesso Ag.: De civ. Dei 1, praef.;
2 PapinI G., S. Agostino, Milano 19702, p. 241.
3 De civ. Dei 1, praef.
4 De civ. Dei 11, 28.
x - INTRODUZIONE - TEOLOGIA
tano cinque problemi e propongono cinque soluzioni. Gli atti sono: la creazione,
la caduta, la legge, la redenzione, la sorte finale. A ciascuno di essi risponde un
grande problema, uno di quelli che hanno sempre tormentato e tormentano il
pensiero umano: il problema delle origini, fondamentale e pur cosi difficile e
complesso; il problema del male, angoscioso e sommamente oscuro; il problema
della lotta tra il bene e il male, drammatico e aperto a tutti gli sbocchi dell’eroi-
smo e dell’iniquità; il problema della vittoria del bene sul male, quello dalla cui
soluzione dipende il superamento del pessimismo nichilista e la base solida della
nostra speranza; il problema dei termini eterni, che è insieme il più bello e il più
terrificante. A ciascuno di questi problemi l’opera agostiniana offre una soluzione,
suggerita dalla fede, chiarita e difesa dalla ragione. Cinque soluzioni, dunque,
che in sintesi sono queste: Dio creatore della natura e largitore della grazia5;
l'abuso della libertà da parte degli angeli ribelli e dell’uomo; i due amori, di sé
e di Dio, che costituiscono le due città in cui angeli ed uomini sono divisi; la
provvidenza divina che guida la storia e la illumina con la mediazione di Cristo,
la fondazione della Chiesa e il dono della grazia; la separazione finale, esteriore
e definitiva, delle due città, dei giusti, che raggiungeranno la beatitudine piena
e inamissibile, e degli iniqui.
Di questo immenso panorama diremo qualcosa nelle pagine seguenti — quanto
sembrerà necessario e quanto sarà possibile dentro i limiti d'una introduzione
generale — dal punto di vista teologico, che è il principale, per aiutare il lettore
ad orientarsi nel momento di passare da queste pagine al capolavoro agosti.
niano, che non è oscuro, ma neppure, a causa della molteplicità e profondità
degli argomenti e del taglio visuale che l'autore ha scelto, di facile comprensione.
E prima di tutto alcune questioni preliminari che servano, se si può dire,
da introduzione all'introduzione.
Parte prima
QUESTIONI PRELIMINARI
CAPITOLO PRIMO
COMPOSIZIONE
Per dare un'idea del nascere e dello svilupparsi di questa celebre opera
occorre indicarne, sia pure rapidamente, l'occasione, giacché un'occasione ci fu,
lo scopo, il piano e la data.
1. Occasione
1 Retract. 2, 43, 1.
2 Serm. 81, 9.
3 Serm. 105, 12: « E’ stato detto di me: non parli di Roma (0 si taceat de Roma!) ».
4 Serm. 105, 12: « Che cosa dunque dico quando non taccio di Roma, se non che è falso
ciò che dicono loro del nostro Cristo, che cioè sia stato egli a portare-Roma alla ro-
vina, mentre erano stati gli dèi di pietra e di legno a difenderla? ».
5 Serm. 296, 12, ed. Misc. Ag. I, p. 409.
6 Serm. De Urbis excidio 6: PL 40, 715-724, nuova ed. M. V. O’ ReILLY in Patristic Studies
89, Washington 1955: CC 46 (1969), pp. 249-262.
71 Epp. 135 e 136 (tra le agostiniane).
8 Epp. 137 e 138.
9 Ep. 136, 3.
XII INTRODUZIONE- ‘TEOLOGIA
10 De Gen. ad litt. 11, 15, 20: «Di queste due città parleremo più ampiamente forse in
un altro luogo, se il Signore vorrà ».
1 Recensito (Retract. 2, 22) prima,
=
addidi...
Vedi sotto p. LXIV s.
-_
w
secondo libro gli argomenti predisposti per il seguito »!. Ricorda il programma
prestabilito all’inizio del sesto !, alla fine del decimo, aggiungendo: « come abbiamo
promesso nel primo » 18, e di nuovo all’inizio dell’undecimo!? e del decimottavo 2.
Anzi nel bel mezzo del secondo, toccando l'importante argomento della definizione
ciceroniana di popolo, che implica la nozione di giustizia, dice: « ma di questo, se
Dio vorrà, parleremo altrove. Mi sforzerò al suo posto di dimostrare...» 2. E il
suo posto sarà il libro decimonono®. Non si può dubitare dunque che l’autore
della Città di Dio avesse tracciato a se stesso fin dall'inizio e lungamente medi
tato® il programma di tutta l'opera e che lo tenesse presente di continuo e lo
ricordasse spesso ai lettori. Forse perché questi si orientassero più facilmente
nel labirinto delle questioni trattate.
E° vero però — e questo può dirsi l'aspetto positivo di quell’opinione — che
i 22 libri della Città di Dio non furono dettati in continuazione, né pubblicati
tutti insieme. Composti i primi tre furono subito pubblicati, forse per l'ur-
genza di dare una risposta alle più divulgate accuse dei pagani, poi furono pub-
blicati i primi cinque®, in seguito i primi dieci%, poi ancora altri quattro o
tutti insieme i primi quattordic®. Dei restanti otto, che tennero occupato Ago-
stino ancora per diversi anni, non sappiamo se furono pubblicati ad opera
compiuta 0, anch'essi, sezione per sezione, cioè quattro a quattro.
Ma ciò non toglie che il programma fosse già fissato, nelle linee essenziali,
fin dall'inizio. Ciò apparirà più chiaro quando avremo detto qualcosa dello
scopo di tutta l’opera.
2. Scopo
L’opera è diretta ai pagani e ai cristiani: agli uni e agli altri con un duplice
scopo. Ai pagani vuol dimostrare che le loro accuse contro il cristianesimo sono
senza fondamento e sono ingiuste, e vuole spiegare altresi — e questo è più
importante — che proprio il cristianesimo, tanto da loro avversato, può dare e
dà una soluzione ai molti problemi che essi, i pagani, non sanno risolvere o
risolvono male; due soprattutto, quello sociale e quello religioso, che riguardano
3. Piano
A uno scopo tanto arduo e tanto complesso qual era quello che Agostino si
prefiggeva, non poteva non corrispondere un piano grandioso e articolato come
solo una grande mente può concepire. Ce lo fa conoscere l’autore stesso, che lo
ripete sovente, come si è detto, durante la composizione dell’opera® e in altri
suoi scritti, almeno in altri tre: in due lettere* e nelle Ritrattazioni 4.
La Città di Dio dunque è un’opera divisa in due parti, in cinque sezioni e in
ventidue libri. Le due parti sono: una polemica, destinata a confutare il paga-
nesimo svelandone le molteplici insufficienze (1-10), e una espositiva, destinata
a proporre e a difendere la dottrina cristiana che rivela e illumina la storia della
salvezza (11-22). La prima parte è divisa a sua volta in due sezioni di cinque libri
ciascuna: la prima di esse (1-5) mostra l'insufficienza sociale del paganesimo, la
seconda (6-10) l'insufficienza spirituale, cioè il paganesimo con il suo culto poli-
teistico non è in grado di risolvere né i problemi dell'ordine temporale quando si
voglia fondato non sull’iniquità impunita ma sulla giustizia, né quelli dell’oltre
tomba che richiedono una mediazione unica e divina. La seconda parte, divisa in tre
sezioni di quattro libri ciascuna, descrive l’origine (11-14), il corso (16-18) i destini
(19-22) delle due città, di Dio e del mondo. L'architettura è perfetta, anche se le
digressioni, per ragioni contingenti di composizione e di necessità immediate,
sono molte *. Ecco un rapido riassunto dei ventidue libri.
I cinque della prima sezione sono dedicati a dimostrare rispettivamente:
1) l'ingiustizia e l’ingratitudine del livore pagano contro i cristiani a causa del
sacco di Roma e la filosofia della sofferenza terrena comune tanto ai buoni
quanto ai cattivi, ma diversa per gli effetti negli uni e negli altri; 2) la corru-
zione e la decadenza morale di cui è fautore il culto degli dèi; 3) i malanni
che hanno sempre accompagnato la vita dell'impero e che pertanto non si pos-
sono attribuire al cristianesimo; 4) la giustizia e la pace fondamento del benes-
sere dei popoli; 5) la grandezza e la prosperità dell'impero romano non sono
dono degli dèi od opera del fato, ma dipendono dalla disposizione della sapiente
provvidenza dell'unico vero Dio.
I cinque della seconda sezione, che affrontano la questione « teologica », inten-
dono chiarire: 1) che la mitologia pagana non ha alcun fondamento razionale;
2) che gli dèi « scelti» della « teologia » civile non sono che personificazione delle
opere dell'unico vero Dio; 3) che i dèmoni non possono essere mediatori; 4) che
l’unico mediatore è Cristo, Dio-uomo; 5) che il sacrificio dell'unico Mediatore, il
quale ha voluto che fosse pure il sacrificio quotidiano della sua Chiesa, e non
la teurgia è il vero culto del vero Dio.
Nella seconda parte. I quattro della prima sezione espongono la dottrina:
1) della creazione dell'universo, angeli compresi, 2) del peccato degli angeli, della
creazione dell’uomo e dell'unità del genere umano; 3) della morte, pena del pec-
cato e occasione di merito; 4) della presenza nell'uomo, dopo il peccato, delle pas-
sioni disordinate, particolarmente di quella sessuale.
4. Cronologia
4 E° il libro 190, il più profondo e il più importante della seconda parte e di tutta l’opera.
4 Retract. 2, 43; vedi sopra p. XI
4 De civ. Dei 1, praef.; 2, 1.
4 Cf. Ep. 151 (scritta verso la fine del 413); ivi 6.
48 Ep. 138, 4, 20.
4 La data si ricava dal confronto tra Retract. 2, 4, 51 e De doctr. chr. 4, 26, 53.
50 Retract. 2, 43: Hoc autem De civitate Dei grande opus tandem vigintiduobus libris
est terminatum.
S1 Retract. 2, 41. Perciò l'indicazione del De civ. Dei 18, 54 dev'essere presa con qualche
elasticità, indicata anche dall’autore che usa un ferme. Infatti se presa alla lettera
sposterebbe la composizione di quel libro al 429: 399 (consolato di Manlio Teodoro)
+ 30 = 429. In realtà alcuni studiosi (Baronio, Coceau) avevano indicato questa data.
INTRODUZIONE - TEOLOGIA XVII
i primi tre, nel 415 il quarto e il quinto®, nel 417 aveva composto i primi dieci
e lavorava intorno -all’undecismo 3, verso il 418 ne aveva compiuti altri tre e
aveva tra le mani: — in manibus habeo — il decimoquarto *, negli anni seguenti
i restanti. I Maurini da un'indicazione (De civ. Dei 22, 8, 20) sulla Memoria di
S. Stefano ad Ippona deducono che questo ultimo libro sia stato composto verso
la fine del 426 0 poco dopo.
Resta da aggiungere che, compiuta la lunga fatica, Agostino rilesse tutta
l’opera e l'inviò all'amico Firmo a Cartagine in 22 quaderni perché la pubblicasse
in uno o în due o in cinque volumi*.
CAPITOLO SECONDO
METODO
Credo che sia molto importante conoscere il metodo che l’autore segue nel
comporre la sua opera: da esso dipendono la chiave interpretativa dell’opera
stessa, la comprensione che se ne può avere, il giudizio valutativo che se ne
deve dare. Quale il metodo di Agostino nella Città di Dio? Semplicissimo e diffi-
cilissimo insieme. A mio avviso si articola in tre momenti essenziali: 1) afferma-
zione aperta e fiera della dottrina cristiana; 2) ricupero diligente e attento della
dottrina antica nella parte che essa possiede di vero e di valido; 3) dimostrazione
serrata, quasi puntigliosa, che la dottrina cristiana non nega, ma perfeziona que-
sta stessa parte sublimandola in una visione divina della storia che offre una
soluzione a molti problemi che la ragione umana pone — e i filosofi pagani ave-
vano posto — ma non sa risolvere o risolve male. La ragione ultima pertanto di
questo metodo è quella di dimostrare cre con il cristianesimo nasce una nuova
interpretazione della vita e della storia, una nuova sapienza, una nuova cultura,
che si oppone a quella antica e insieme la recupera e la perfeziona.
Il primo punto di questo metodo include quella che possiamo chiamare l’ori-
ginalità della dottrina cristiana, di cui l’autore della Città di Dio è un intrepido
assertore. Il suo atteggiamento è questo: noi e loro, la nostra dottrina e la loro,
i nostri autori e i loro. Noi significa i cristiani, loro i pagani. Il testo che meglio
x
esprime questo atteggiamento è il seguente: « Per quanto riguarda dunque il som-
mo e vero Dio vi sono filosofi i quali hanno ritenuto che egli è l'autore del creato,
la luce della conoscenza, il bene dell’azione e che da lui abbiamo ricevuto il prin-
cipio dell'essere, la verità del sapere e la felicità del vivere. Più propriamnte
sono detti: platonici o anche altri, qualunque denominazione diano alla propria
setta. Possono ‘essere soltanto i più eminenti fra quelli della scuola ionica che
abbiano sostenuto la medesima dottrina di Platone e di quelli che lo hanno ben
capito o anche i filosofi della scuola italica che la sostennero sull’autorità di
Pitagora e dei pitagorici ed altri oriundi di là che furono della medesima opi-
nione. Possono trovarsene alcuni di altre nazioni che furono considerati saggi o
filosofi e che ebbero questa concezione e dottrina, siano essi Mauritani o Libici,
Egiziani, Indiani, Persiani, Caldei, Sciti, Galli, Spagnoli. Noi li consideriamo
migliori degli altri e confessiamo che sono pui vicini a noi cristiani »!. Questo
testo esprime molto bene, mi pare, e l’acuta coscienza dell’originalità cristiana che
Agostino aveva e il chiaro criterio di scelta che usava per giudicare dell'’ammis-
sibilità o meno di determinate posizioni della filosofia pagana. E’ il criterio che
espresse già dopo la conversione nella prima delle sue opere: « Riguardo a ciò
che si deve raggiungere con la sottile indagine della ragione confido di trovare
frattanto nei platonici ciò che non ripugni alle nostre sane dottrine »2.
Ora questa coscienza dell’originalità cristiana ha tre presupposti: l’indiscussa
autorità della Scrittura, la fermezza della fede, la fiducia nella ragione.
1. Autorità delle Scritture. Agostino le aveva studiate a lungo e con vera pas-
sione. Non occorre ricordarlo. Né occorre riassumerne l’ampia dottrina proposta
in tante sue opere circa la loro origine divina, l’inerranza*‘, la profondità5, la
ricchezza6. Qui essa è in parte supposta, in parte esposta. La città di Dio trae la
sua fede dalle Scritture chiamate canoniche?: Dio le ha fondate e le ha munite
di «eminentissima» autorità perché fossero le Scritture del «suo popolo »8
il quale conoscesse in esse, per fede « quelle cose che non’ giova ignorare e che
non siamo idonei di conoscere da noi stessi »?. Anche la loro oscurità è utile, pur-
ché nel penetrarne il senso si spieghino i luoghi oscuri con quelli chiari e ci si
studi di raggiungere il pensiero dello scrittore !0. C'è pertanto un progresso nel-
l'intelligenza delle Scritture. Agostino ne fissa il principio con queste celebri
parole: « Molte questioni riguardanti la fede cattolica, quando vengano solle-
vate dalla calda inquietudine degli eretici, per poterle difendere contro di loro,
si esaminano con pit diligenza, s'intendono con piu chiarezza, si predicano con
più insistenza; di modo che la questione mossa dall’avversario diventa occa-
sione d’imparare» 11.
Inutile dire che Agostino legge la Scrittura nella Chiesa e secondo la tradi-
zione, cioè secondo la regula fidei. Lo dice apertamente e insistentemente al-
trove!. Qui lo ricorda quando parla della «correzione» degli eretici, che eser-
_ citano la sapienza e la benevolenza della Chiesa*, o di scrittori ecclesiastici,
anche grandi, come Origine, dei ‘quali riprova: opinioni erronee.
12 E’ infatti la Chiesa che determinail canone delle Scritture (De doctr. chr. 2, 7, 12)
e le garantisce (Contra ep. Man. 5, 6; Contra Faustum 28, 2), che trasmette la tradi-
zione e interpreta tradizione e Scrittura (De Gen. ad litt. o.i. 1, 1), che dirime le
controversie (De bapt. 2, 4, 5) e prescrive la regual fidei (De doctr. chr. 3, 1, 2).
13 De civ. Dei 18, 51.
14 De civ. Dei 21, 17.
15 De civ. Dei 12, 17, 1.
16 De civ. Dei 12, 17, 2.
17 Serm. 2A1, 6 dove, all’idea dell’irrisione si aggiunge, a proposito della beatitudine ciclica,
un giudizio poco lusinghiero come questo: magna magnorum deliramenta doctorum. E i
grandi dottori sono Pitagora, Platone e Porfirio esplicitamente nominati.
18 De civ. Dei 8, 1.
19 De Trin. 1, 8, 17.
20 Per una breve sintesi di questa dottrina e rispettiva bibliografia cf. il mio ‘articolo in
Patrologia, III, ed. Marietti, Roma 1978, p. 382 ss.
21 Serm. 21, 4.
XX INTRODUZIONE- TEOLOGIA
zione rapida, sicura e globale ai problemi della vità e della storia, non è affatto
fideista; al contrario ha una grande fiducia nella forza speculativa della ragione.
Da questa fiducia sono nate tutte le sue opere filosofiche, teologiche e apolo-
getiche, che non sono poche; da questa fiducia sono nate soprattutto due delle
sue opere maggiori: la Trinità e la Città di Dio. La prima è diretta contro «i
garruli ragionatori» che vengono richiamati all'umiltà della fede e guidati,
poi, alle pit alte speculazioni che risolvono le difficoltà della ragione, quelle
proposte dagli ariani, e introducono, senza dissolverlo, nelle profondità del
mistero di Dio e dell'uomo. Sappiamo già contro chi è diretta la seconda.
Essa vuol essere una risposta a tutte le difficoltà che la sapienza pagana propo-
neva, allora piv acerbamente del solito, contro il cristianesimo. Un'opera simile
non s'inizia, meno ancora si porta a termine senza una grande fiducia nella
ragione. E° la ragione infatti che deve rispondere alla ragione, sia pure illu-
strando e difendendo la fede.
Al giovane Dioscoro aveva scritto: «Il Signore, clementissimo sovrano della
nostra fede, ha munito la Chiesa della roccaforte dell’autorità... e l'ha pure
dotata di numerosissimi mezzi di difesa nelle argomentazioni irrefutabili di
alcuni personaggi piamente istruiti e veramente spirituali. La norma migliore
è comunque di mettere anzitutto i deboli e î vacillanti a riparo dagli attacchi
entro la roccaforte della fede, e dopo averli messi al sicuro, combattere per
essi con tutte le forze della ragione». Egli stesso fu, e in grado eminente,
uno di questi personaggi piamente dotti e veramente spirituali che sfoderò a
favore della fede le armi invitte della ragione. La Città di Dio ne è la prova
migliore. Del resto per convincersi della fiducia che Agostino aveva nella ragione
quando si mette a servizio della fede, basta tornare all'esempio della creazione
nel tempo contro il quale si appuntavano tante difficoltà dei filosofi. Alle parole
citate sopra fanno seguito queste altre: « Ma dobbiamo aggiungere che questi
circoli volubili che l'immaginazione ha inventato, saranno infranti, con l'aiuto
del Signore Dio nostro, dall’evidenza della ragione». E cosi fu. Rispondendo
ai filosofi che ritenevano impossibile conciliare la creazione nel tempo con l’im-
mutabilità divina, alza le vele fino ai vertici della metafisica spiegando che Dio,
il quale «sa operare riposando e riposare operando » crea le cose nel tempo
senza mutazione, perché «può usare per un’opera nuova un disegno non
nuovo ma sempiterno » A.
Originalità cristiana dunque, perché la dottrina della città di Dio viene dal-
l'alto e dev'essere accolta con l'umiltà della fede, ma anche forza e penetra-
zione della ragione. Fede e ragione coalizzati insieme permettono di respingere
i «grandi errori» di sapienti pagani%, ma anche di ricuperarne le molte verità,
le quali, appunto perché verità, appartengono alla Verità, che è Cristo%.
propria. In premio di queste virti Dio diede loro l'impero: esse sono di
esempio e di stimolo anche per i cristiani, i quali, se faranno per «la gloriosis-
sima città di Dio» quanto essi hanno fatto per la città terrena, non dovranno
inorgogliorsi, se non lo faranno dovranno vergognarsi.
In breve, Agostino, romano non solo di lingua e di cultura, ma anche di senti-
menti e di cuore, non è un avversario, ma un ammiratore della romanità, delle
leggi dell'impero 8 e dei benefici resi da esse ai popoli*. Ai suoi occhi Roma
diventa il simbolo della città celeste. « Dio infatti — scrive a Marcellino —
mostrò nel ricchissimo e famoso impero romano quanta forza avessero le virtù
civili anche senza la vera religione, affinché si comprendesse che, qualora ci sia.
anche la vera religione, gli uomini diventano cittadini della Città celeste, ove
regna come regina la Verità, come legge la Carità e che ha per durata l’Eternità» ®.
Basta del resto per convincersene rileggere la celebre apostrofe con la
quale esorta la «nobile stirpe. romana », « la progenie dei Regoli, degli Scevola,
degli Scipioni, dei Fabrizi» ad accogliere il cristianesimo *. Inutile, poi, ricor-
dare l'ammirazione che: ebbe per Virgilio, per Cicerone*, per Varrone® e
l’uso che fece dei loro scritti. Tutta la cultura antica è presente dunque nel-
l’opera agostiniana, e non esclusivamente per essere criticata, ma anche per
essere valutata, apprezzata, lodata. Anzi, è questo un principio fondamentale
della Città di Dio: accettare e conservare le leggi, le istituzioni, la cultura di
tutti i popoli ai quali si rivolge, con una sola eccezione, questa: che non impe-
discano il culto del vero Dio. Eccolo, questo principio, enunciato con le parole
stesse di Agostino: nessuno vorrà dubitare della sua grande modernità o, come
oggi si ama dire, del suo valore profetico. «La città celeste... convoca citta-
dini da tutte le nazioni, da tutte le lingue raccoglie una società pellegrina, non
badando alla differenza dei costumi, delle leggi, delle istituzioni con le quali
si stabilisce o si mantiene la pace terrena; non sopprime né distrugge nessuna
di queste cose, anzi accetta e conserva tutto ciò che, sebbene diverso nelle
diverse nazioni, tende ad un solo e medesimo. fine: la pace terrena, a condi-
zione che non impediscano la ‘religione che insegna ad adorare l’unico Dio,
sommo e vero » 90.
Non c’è bisogno di dire che questa valorizzazione delle diverse culture
— in concreto, per S. Agostino, quella greco-romana — è un presupposto essen-
ziale del suo metodo che tende a creare una sintesi nuova, cioè l’incontro tra
la ragione e la fede, la natura e la grazia, la libertà e i disegni della Provvi-
denza, e perciò, in breve, tra la cultura pagana e il cristianesimo.
3. Sintesi nuova
altro scopo (uno scopo negativo e cattivo), anche allora sono: gonfie e. superbe.
Ne segue che debbono essere considerate non virtù, ma vizi» *%.
Nella controversia pelagiana insisterà (quando dettava le parole citate or
“ora aveva insistito) su tre punti: 1) le virtù si distinguono dai vizi non solo
per l'oggetto, ma anche per il fine; 2) non è buona la volontà che si gloria in
se stessa e non in Dio; 3) non sono virtù vere quelle che non conducono alla
vita eterna5. Caso specifico di questa nozione nuova di virtù, che non perde
la sua forza naturale ma aggiunge la perfezione del rapporto al fine ultimo del-
l’uomo, è la lunga discussione, a cui diede lo spunto la definizione ciceroniana
di popolo, sulla giustizia, la quale, per Agostino, non è vera se non si perfe-
ziona nell'amore di Dio. Per il vescovo d'Ippona l'ordine della natura e quello
della grazia non si: sovrappongono per giustapposizione, ma s’inseriscono pro-
fondamente, pur senza confondersi, l’uno nell'altro. La sua visione è sempre
quella storica, che gli viene dalla lettura assidua della Bibbia.:Senza questo prin-
cipio, che è uno dei più profondi dell’agostinismo, non è possibile percepire la
ragione e il modo della sintesi agostiniana*.
Altro aspetto di questa sintesi è la nozione ‘e la realtà della pace. Si sa
quale posto occupi nella Città di Dio il tema della pace, specialmente nel
libro 19°. Anche la città terrena persegue la pace, e di essa, quando l'abbia
conseguita, usufruiscono: i cittadini della città celeste. Ma Agostino guarda
di continuo la «pace perfetta», propria di questa città, la condiziona aperta-
mente. all'ordine interiore che la grazia cristiana restaura e trasfigura, e alla
« vittoria ultima»! che è garanzia d’'immortalità; l’identifica infine con la beati-
tudine®. Cosi essa, la pace di cui Agostino discorre, non perde nulla del suo
valore umano contrario alla violenza, all’ingiustizia, alla guerra, e acquista un
valore nuovo e una forza nuova, quelli che gli vengono appunto dalla città di Dio.
Concludendo, si può dire che «il pensiero pagano è insieme soppresso e ©
conservato nella sintesi agostiniana » 8; soppresso come pensiero autonomo e
autosufficiente, conservato come espressione legittima delle aspirazioni umane
che trovano sul piano superiore della fede e «della grazia cristiana il loro
compimento.
CAPITOLO TERZO
CHIAVE INTERPRETATIVA
1. Non il manicheismo
Alcuni pensano che l’idea delle due città, che nel pensiero e nell'opera ago-
S$tiniana ‘è fondamentale e centrale, sia di origine manichea, uno di quei resti,
dicono, che il manicheismo giovanile ‘ha lasciato, sia pure inconsapevolmente,
nel pensiero del vescovo d'Ippòna. ì
Non ‘si sa ‘davvero ‘perché si debba ‘ricorrere a questa spiegazione, quando
ce n'è um'alira più semplice, più facile, più a portata di mano e pur valida e
sufficiente: la Scrittura. Si ‘potrebbe dire brevemente cosi: nella Scrittura c'è
il dualismo della Città di Dio, nella Città di Dio, non c'è il dualismo dei mani-
chei. Si può anzi aggiungere: non. solo non. c'è, ma viene vigorosamente
combattuto.
Che la Scrittura insegni un triplice. dualismo — etico, psicologico, escato-
logico — che cioè insegni la distinzione tra il bene e il male, l'opposizione tra i
desideri ‘della carne e i desideri dello spirito, la separazione finale dei giusti
e degli ingiusti, è cosa troppo evidente perché ci sia bisogno di dimostrarlo.
Ora è proprio questo triplice dualismo che. Agostino riassume con l’idea gran-
diosa delle due città. Sta qui la sua originalità e il suo merito. Le due città
infatti sono composte ‘rispettivamente di coloro che amano la giustizia o l’ini-
quità, che vivono secondo la‘ carne o secondo lo spirito, che avranno sorti ultime
diverse ma ugualmente definitive. Il dualismo ‘che qualifica la dottrina mani
chea è un altro, è il dualismo metafisico. Agostino durò fatica a riconoscerne
l'assurdità, ma da quando con l'aiuto dei platonici se ne convinse e lo trovò
poi condannato dalle Scritture, lo combatté senza posa, e in tante opere. Anche
nella Città di Dio. La quale, sotto questo riguardo, non è un'opera meno anti
manichea di quelle che sono direttamente tali; e non solo per i severi giudizi
di condanna che pronuncia contro di loro?, ma anche e soprattutto per alcune
tesi di fondo che sono nettamente antimanichee, come la dottrina della crea-
zione3, la nozione del male, l'insistenza sulla bontà delle cose5, la difesa
della libertà*.
La questione che si pone è un'altra, non se l’autore della Città di Dio dipenda
dai manichei nell’idea portante della sua opera, ma se i manichei abbiano deri-
vato dalla Scrittura, interpretandola male, il loro assurdo dualismo metafisico
o in quale misura l'abbiano confermato con testi scritturistici. Che questa con-
ferma ci sia stata, almeno per il manicheismo africano, è fuori dubbio.?.
1 A. Apam, Der manichiische Ursprung der Lehre von den Zwei Reichen bei Aug., in Theol.
Literaturzeitung 77 (1952); pp. 385-390; :IpeM, Das Fortwirken des. Manichiismus bei
Aug., in Zeits. fur Kirchengesch., 69 (1958), pp. 1-25; L. CILLERUELO, La oculta presencia
del manicheismo ‘en la « C.de-D.», in La Ciudad de Dios, 167 (1954), I, pp. 475-509.
2 De civ. Dei 11, 22: Manichaei non idesiperent vel potius insanirent...
3 De civ. Dei 11, 22-24.
4 De civ. Dei 11, 9; 12; 7; ecc.
5 De civ. Dei 12, 8; 22, 24, 1-5.
6 De civ. Dei 5; 9, 1-4. i È
7 Cf. p. e. il De duabus animabus contra Manichaeos di Agostino.
XXVI INTRODUZIONE - TEOLOGIA
Cercare dunque nel manicheismo l'origine occulta delel due città è lo stesso,
come osserva il Marrou, che rinnovare le calunnie di Giuliano: «di questo
passo, S. Paolo stesso sarebbe già manicheo!»8.
2. Nonil platonismo
3. Chiave biblica
Restiamo pertanto alla Scrittura. Ancora una volta occorre ripetere che la
teologia agostiniana vuol essere ed è, come del resto quella dei Padri!, una teo-
logia biblica!5. Ciò è vero anche per la Città di Dio. Anche per essa dunque,
anzi soprattutto per essa, vale la domanda iniziale che l'interprete si deve por-
re: come il vescovo d'Ippona ha interpretato la Scrittura?
8 H.-I. Marrou, L'ambivalence du temps de l’histoire chez St. Aug., Paris 1950, pp. 39-40.
? H. ScHorz, Glaube und Unglaube in der Weltgeschichte, Leipzig 1941, p. 71s.
10 Cf. il mio articolo Escatologia e antiplatonismo di S. Ag., in Augustinianum 18 (1978),
pp. 237-244; F. Casapo, El ripudio de la filosofia antigua en la «Ciudad de Dios»,
in La Ciudad de Dios, 167 (1955), II, pp. 67-93.
11 H. LerseGanG, Der Ursprung der Lehre Aug. von der Civitas Dei, in Archiv f. Kirchen-
gesch., 16 (1925), pp. 127-158.
12 Cf. F.E. CRanz, L’idée augustinienne de la société chretienne, in REA, 3 (1957); pp. 16,
n. 5. In questo art. il Cranz risponde al Leisegang.
13 Vedi p. LXX.
14 Cf. il mio articolo I Padri e lo studio della teologia, in Seminarium, n. s., 17 (1977),
pp. 36-55.
15 Per un breve riassunto cf. Patrologia, III, Marietti ed., Roma 1978, c. 6 (voce Ago-
stino), p. 401 s.
INTRODUZIONE - TEOLOGIA XXVII
Per rendere la risposta piu esatta e più facile credo che sia necessario
tener presente la visione globale della dottrina agostiniana e il taglio proprio
della Città di Dio.
1) Quando Agostino cominciava quest'opera aveva terminato da tempo la
controversia manichea, stava portando a termine quella donatista e aveva dato
appena inizio a quella pelagiana, che si svolgerà, poi, pari passo con la compo-
sizione di essa. Ora sarebbe un ‘errore voler trovare nella Città di Dio tutta la
dottrina svolta in quelle controversie, ma sarebbe un errore più grave leggere
la Città di Dio senza tener presente quella dottrina. Un errore il primo, perché
quest'opera, anche nella sua parte dommatica, ha uno scopo e un taglio che
non richiedevano l’esposizione o il riassunto di quelle controversie, delle quali
pertanto non si può giudicare partendo da essa; un errore più grave il secondo,
perché ‘impedisce di percepire gli accenni che vi si fanno sui temi propri di
quelle controversie e rende impossibile di completarne la dottrina con. quella
esposta altrove. Perciò, prescindendo dal manicheismo contro il quale vengono
ribadite per necessità interne dell’opera le dottrine cristiane fondamentali, non
si può giudicare del grande tema ecclesiologico-sacramentario svolto nella
controverisa donatista o di quelli non meno gravi e piu complicati del peccato
originale, della grazia, della predestinazione sviluppati nella controversia pela-
giana fermandosi alla sola Città di Dio: si corre il rischio di non capire quei
temi e di svisare il contenuto delle opere che li espongono. D'altra parte nep-
pure si può leggere la Città di Dio senza riferirsi ad essi: si finirebbe, questa
volta, per non capire la stessa Città di Dio, la quale, se illumina le altre opere
agostiniane per la sintesi generale di tanti problemi, è illuminata da esse per
l'ampia discussione e l’'approfondimento dei problemi affrontati. La dimenti-
canza di questa complementarietà ha portato a proporre false interpretazioni,
per fare qualche esempio, sulla dottrina della Chiesa e su quella della grazia.
2) Ma non basta questo criterio, bisogna aggiungerne un altro; un altro che
riguarda il taglio proprio della Città di Dio nel considerare la storia della sal-
vezza. Solo partendo da esso ci si può rendere conto di ciò che l'esposizione
agostiniana contiene o non contiene e perché. Ci si rende conto, infatti, faccio
di nuovo solo alcuni esempi, perché si parli molto della mediazione di Cristo e
poco di cristologia, percré l'accento cada pii sull'aspetto interiore della città
di Dio che su quello istituzionale, perché un'intera sezione sia dedicata alla pre-
parazione dell'avvento di Cristo e un'altra all’escatologia, perché manchi quasi
affatto la dottrina sacramentaria e sia ampiamente presente quella sacrificale.
Ora, chi volesse riassumerlo nelle sue proprietà qualificanti potrebbe dire
cosi: è il taglio di una visione cosmica, onnitemporale, peregrinante, escatolo-
gica, spirituale della storia. Non è difficile scoprire queste proprietà nelle pagine
agostiniane. Tenerle presenti è molto importante: da esse dipende l’inter-
pretazione esatta dell’opera agostiniana secondo il metodo storico, che è
quello giusto!
Prima di tutto la Città di Dio è una visione cosmica della salvezza, in quanto
ad essa appartengono non solo gli uomini ma anche gli angeli buoni. Cum ipsis
enim sumus una Civitas Dei!8, E’ una tesi di fondo più supposta che dimostrata.
Egli parte dalla fede della Chiesa sulla creazione degli angeli e della diversa sorte
toccata ai buoni, fedeli a Dio, e ai ribelli; e da questa fede, fonadat sulla Scrit-
tura, prende l’avvio per la sua sintesi, mettendo in relazione, anche se non neces-
sariamente numerica, la caduta degli angeli e la salvezza degli uomini! e soprat-
tutto l'unione esistente tra gli angeli buoni in cielo e la condizione degli uomini
qui in terra. Questa grandiosa nozione cosmica, angelico-antropologica, della
città di Dio dà ad essa un profilo nettamente teologico e getta una sua luce nella
dottrina della grazia, della predestinazione, dell'escatologia; in particolare spiega
perché ‘Agostino si attardi a parlare lungamente degli angeli. Nessuno che
voglia ricostruirne il pensiero può ignorarla?.
Quando invece il discorso si volge alla seconda componente della città di Dio,
quella degli uomini, essa appare dominata da altre note caratteristiche, prima di
tutto dall'onnitemporalità. In questo caso, infatti, la città di Dio copre tutto
l'arco del tempo, dall'inizio alla fine. Le due città, presenti nel primo uomo secon-
do la prescienza di Dio, si distinsero in Caino e Abele, che ne sono i prototipi,
e da allora hanno percorso, percorrono e percorreranno il tempo fino alla sua
consumazione 2. Questo carattere di onnitemporalità costringe ad allargare la
nozione della città di Dio oltre i limiti della predicazione degli Apostoli e pone
il problema della identità della Chiesa prima e dopo Cristo, di cui parleremo
a suo luogo.
Da questa prima caratteristica ne nasce un'altra, riguardante sempre e solo
l'uomo: la città di Dio è quaggiti pellegrina. Nota essenziale, dalla quale nasce
la sua tensione verso il futuro, la sua incompiutezza, la condizione di viatrice,
l'attesa e il posto che in essa occupa la speranza. Perciò l’autore della Città di
Dio è anche il cantore della speranza cristiana. Non è raro trovare in lui espres-
sioni come questa: a parlar propriamente siamo cristiani per la sola speranza
della vita eterna. Ma questa speranza non toglie che la città di Dio si occupi
della vita presente dell'umanità e porti al suo benessere un contributo efficace
e insostituibile. Agostino, come si vedrà, affronta anche questo grosso problema,
oggi più che mai vivo, e, rispondendo agli avversari di ieri, lo risolve positi-
vamente anche per oggi?1.
Dalla condizione di pellegrina deriva per la città di Dio un'altra proprietà
essenziale, quella escatologica. Il che vuol dire la sua pienezza, il suo termine
ultimo, il:fine che la costituisce nella natura di società perfetta e beata non sta
qui ma nell'aldilà, non nel temporale ma nell’eterno. Il vescovo d'Ippona lo illu-
stra ampiamente e lo difende contro il millenarismo, l’apocatastasi, gli eterni
18 De civ. Dei 10, 7; cf. ivi 11, 9; 12, 1. 9, 2; De Gen. adlitt. 12, 28; Ench. 15, 56; ecc.
19 De civ. Dei 22, 1, 2; Ench. 9, 28-29; B. LOHSE, Zu Aug. Engellehre, in Zeitschr. f. Kirchen-
gesch. 70 (1959), pp. 278-291 [cf. A. DE VEER, in REA 8 (1962), pp. 422-423].
20 De civ. Dei T, 30; 9, 23; 19, 23, 4; Ench. 15, 56; De Gen. ad litt. 12, 28, 56; ecc.
21 Cf. De civ. Dei 11 e 12.
2 Vedi p. LV...
23 De civ. Dei 12, 27, 2.
2 De civ. Dei 18, 51, 2: ...ab ipso Abel... E' il celebre testo citato anche dal C. Vat. II,
Const. Lumen gentium n. 8. Cf. I. Congar, Ecclesia ab Abel, in Abhandlungen iiber
Theol. u. Kirche, Diisseldorf 1952, pp. 79-108.
2 Vedi p. LXXVIII.
26 De civ. Dei 6,9, 5: ...vita aeterna... propter quam tinam proprie nos christiani sumus.
21 Vedi p. XXXVIs.
INTRODUZIONE - TEOLOGIA XXIX
ritorni. La città di Dio, dunque, è una: sola, ma possiede due momenti assiologi-
‘camente diversi e inseparabili, anzi in parte (per una parte dei suoi membri) coesi-
stenti: il momento presente, provvisorio, e il momento. futuro, definitivo. Quanto
questo valga per comprendere il significato e la portata della concezione: agosti-
niana ognun lo vede. Io mi limito a notare che da questa. proprietà essenziale
dipende anche l’interpretazione esatta della dottrina che Agostino propone. sulla
predestinazione e la grazia®.
Finalmente un'ultima proprietà: la nozione delle due città non è istituzio-
nale o politica, ma spirituale. L'autore della Città di Dio la chiama mistica:
Quas. etiam mystice appellamus Civitates duas, hoc est, duas societates. homi-
num...2. E altrove: duo quaedam genera humanae societatis..., quas Civitates
duas secundum Scripturas nostras merito appellare possimus. I due testi ravvi-
cinati ci avvertono che il primo non dev'essere inteso nel: senso che la parola
«mistico » ha assunto nel linguaggio corrente (alta esperienza del. divino) e nep-
pure in quello di una realtà interiore o invisibile in opposizione alla realtà este-
riore e visibile, ma nel senso più generale di spirituale, allegorico, in quanto la
spiegazione allegorica scopre il significato spirituale delle Scritture3.
Le due città spiritualmente intese rappresentano le forze del bene e del male
che operano nella storia e sono esse stesse pertanto calate nella storia. Essendo
questa la prospettiva in cui vengono viste, non ci si può aspettare di trovare
nella Città di Dio una trattazione sulla Chiesa come istituzione o sul modo di
governare uno stato. Non già che in essa non ci siano preziose indicazioni sul-
l'uno o sull’altro argomento, ma occorre raccoglierle e organizzarle secondo una
prospettiva che non è quella dell’autore della Città di Dio, ma nostra; soprattutto,
per. il primo argomento in. particolare, occorre ricorrere. ad. altre opere
agostiniane: mi. riferisco alle opere antidonatiste 3.
4. Chiave cristologica
Per concludere vorrei dire che la chiave biblica, che è l'unica giusta per
aprire i segreti del capolavoro agostiniano, si risolve nella chiave cristologica.
La Città di Dio si aggiunge alle Confessioni e alla Trinità per costituire la monu-
mentale trilogia che il vescovo d'Ippona ha innalzato alla gloria di Cristo. Di
questa trilogia la prima opera — le Confessioni — esaltano Cristo centro e
ragione dela vita di Agostino3; la seconda — la Trinità — lo mostra rivelatore
dell'amore del Padre e restauratore nell'uomo dell'immagine di Dio uno e trino *%;
la terza — la Città di Dio — lo proclama fine e spiegazione di tutta la storia.
Anche della Città di Dio, dunque, Cristo è il principio illuminante e unificatore.
Si sa che fu intrapresa per difendere Cristo, il suo fondatore, dalle accuse
28 Vedi p. LXXIX s.
29 De civ. Dei 15, 1, 1; 19, 11: mysticum nomen; Enarr. in ps. 61, 6: mysticis nominibus.
30 De civ. Dei 14, 1.
31 De util. cred. 3, 5-9. Cf. J. RATZINGER, Herkumft und Sinn der Civitas?Lehre Aug., in
Aug. Mag., Paris 1954, II, p. 971, n. 3:‘«...das' mystice hier besagt: Mit einem der
Schrift entnommenen Wort von heilig-allegorischen Sinn»; É. LAMIRANDE, L’église
céleste selon St. Aug., Paris 1963, p. 97, n. 4. Per i testi scritturistici cf. De civ. Dei 11, 1.
32 Per l'aspetto politico vedi p. CXXXIss.
33 Cf. Introd. gen. alle Confessioni: NBA 1, 38 ed.
3 Cf. Introd. gen. a La Trinità: NBA 4.
XXX INTRODUZIONE - TEOLOGIA
dei pagani: lo dice esplicitamente nei Discorsi 35 e lo ricorda spesso nella stesura
dell’opera. Ma forse non si avverte abbastanza che Cristo è il punto unificatore
di tutte le parti dell’opera: Cristo promotore, con la dottrina e la grazia, anche
del benessere temporale — contro i pagani che affermavano il contrario — (1-5),
Cristo mediatore e via universale di salvezza — contro la «teologia» pagana e
il ricorso alla teurgia — (6-10), Cristo fondatore della città di Dio (11-14), Cristo
termine delle profezie del Vecchio Testamento (15-18), Cristo risurrezione e giu-
dice, fonte di felicità per i beati (19-22).
La realtà sublime edIla città di Dio è l’espressione più alta e la sintesi più
completa di tutte le perfezioni, e quindi di tutti i benefici, che Dio elargisce alle
creature; ma di queste perfezioni e di questi benefici il centro è Cristo. Eviden-
temente si tratta di Cristo che nella sua unica persona è insieme Dio e uomo,
quo itur Deus, qua itur homo 8; di Cristo totale capo e corpo, perché «tutto il
corpo con il suo capo è un solo Cristo » 8. Ma il corpo di Cristo è la città di Dio,
cioè la Chiesa.
Parte seconda
CONTENUTO
E' uno dei caratteri qualificativi della Città di Dio quello di essere insieme
un'opera di apologetica e un’opera di dommatica. E’ un errore, che non tutti
hanno evitato, fermarsi al primo aspetto e considerare la Città di Dio un’opera
esclusivamente apologetica; un errore che va contro l’esplicita intenzione del-
l’autore, il quale, recensendo l’opera sua, scrive: « Ma affinché qualcuno non ci
rimproverasse di aver confutato le posizioni altrui senza aver dimostrato le
nostre, la seconda parte dell’opera, che si compone di dodici libri, contiene questa
dimostrazione »!. Anzi, l’esposizione e la difesa della dottrina cristiana costitui
scono l’intenzione principale, espressa già, come si è detto?, all’inizio della prima
parte, ma è differita, per necessità metodologiche, alla seconda3. Pertanto anch'io,
per ragioni metodologiche, parlerò dei due aspetti — apologetico e dommatico —
separatamente, anche se essi, nell'opera agostiniana, non sono del tutto separati.
«Quando è necessario nei primi dieci libri proponiamo la nostra dottrina, e
negli altri dodici confutiamo quella avversaria » 4.
1 Retract. 2, 43, 2.
2 Vedi pp. XII-XIII.
3 De civ. Dei 1, 35-36.
4 Retract. 2, 43, 2.
INTRODUZIONE - TEOLOGIA XXXI
APOLOGETICA
La Città di Dio non è l’ultima né tanto meno la prima delle apologie del cri-
stianesimo, ma è certamente la più poderosa che la patristica ci abbia lasciato; e
non solo, penso, la patristica. Essa contiene la puntuale risposta alle molte diffi-
coltà dei pagani, il rovesciamento contro di loro delle loro stesse accuse, la dot-
trina generale della credibilità della fede — una dottrina che sarà ripresa dagli
scolastici e troverà conferma in quella proposta dal magistero ecclesiastico — e
l'ampia esposizione, che è poi la migliore difesa, della dottrina cristiana.
CAPITOLO PRIMO
1. Prima di Agostino
1 La sua opera, ricordata da Girolamo (De vir. ill. 83) è andata perduta.
2 La Preparazione evangelica e la Dimostrazione evangelica, un’opera in due parti che
difende la 1e!igione cristiana contro i pagani e contro gli ebrei, ma che ha di mira
soprattutto i 25 libri del Contro i cristiani di Porfirio. ù
3 Le due opere di Apollinare, molto stimate, specialmente i 30 libri contro Porfirio, sono
andaie perdute.
4 Scrisse Per la santa religione dei cristiani contro i libri dell'’empio Giuliano in 20 libri
o forse più.
5 Mi riferisco al Discorso contro i pagani, che ha come seconda parte il tratatto sul-
l’Incarnazione del Verbo.
6 L’opera di Teodoreto, in forma di dodici discorsi, ha il titolo significativo di Tera-
peutica delle malattie elleniche.
XXXII INTRODUZIONE - TEOLOGIA
Prima del 413 Agostino si era occupato di apologetica più nei riguardi dei
Manichei, che si proclamavano cristiani e non lo erano, che dei pagani. Un’apolo-
getica quindi avente per oggetto non tanto il teismo quanto l’autenticità del
cristianesimo. =
? Scrisse verso il 197 una deliziosa apologia del cristianesimo in forma di dialogo dal
titolo Otravio.
8 Ricordo l’Ad nationes, l’Apologeticum, che è il suo capolavoro; e VAd Scapulam.
9 L'Ad Demetriadem, che riprende il tema tertullianeo delle calunnie pagane contro i
cristiani ritenuti responsabili dei flagelli che colpirono l’impero, tema ripreso a sua
volta da Lattanzio e da Agostino.
10 Cf. l’opera in sette libri dal titolo Adversus nationes.
Il Le ceiebri Divinae institutiones in sette libri.
12 De civ. Dei 7, 1.
13 De civ. Dei 18, 23
14 De civ. Dei 16, 16; 18, 18; ecc.
15 Cf. p. e. De civ. Dei 22;:28: Nonnulli nostri... amantes Platonem.
16 De civ. Dei 19, 22. 3
INTRODUZIONE - TEOLOGIA XXXIII
poli, i quali gli avrebbero attribuito falsamente la divinità per farlo credere Dio »!!.
Lodavano cioè Cristo e biasimavano i cristiani. Era l’atteggiamento di Porfirio 18.
Agostino ne dimostra l'irragionevolezza!9. Se la prende poi contro i politeisti che
ritenevano intollerabile la pretesa del Dio degli Ebrei di essere l'unico vero Dio
(e perciò non lo accoglievano nel loro pantheon)® e accusavano i tempi cristiani
come la causa del diminuito benessere temporale. Si sentono già i temi della
Città di Dio e se ne scorge già il metodo, che è quello di appellarsi contro i
pagani contemporanei ai loro sapienti antichi: «o rimproverino i loro filosofi...
o spezzino i loro dèi»; in ogni modo cessino di accusare i cristiani,
17 Retract. 2, 16.
18 Ag. si riferisce alla Filosofia degli oracoli, l’opera porfiriana che terrà presente in
tutta la Città di Dio: De cons. ev. 1, 15, 23.
19 De cons. ev 1, 7, 10-11, 17.
20 De cons. ev. 1, 17, 25-32, 50.
21 De cons. ev. 1, 33, 51.
2 Ibidem.
23 Retract. 2, 31.
24 Ep. 102, 23.
25 Epp. 135 (di Volusiano); 136 (di Marcellino); 137 (a Volusiano); 138 (a Marcellino).
XXXIV INTRODUZIONE- TEOLOGIA
cambiamento nei piani divini della salvezza; 4) le virtu cristiane, come l'umiltà
il perdono delle offese l’amore dei nemici, che apparivano incompatibili con la
grandezza e.la stabilità dello Stato; 5) finalmente il fatto innegabile che molti
guai erano capitati allo Stato per causa degli imperatori cristiani.
La risposta agostiniana contiene: 1) una lunga esposizione della dottrina cat-
tolica dell’Incarnazione e della nascita verginale di Cristo intesa a dissipare
i
malintesi e ad illustrare la natura e l’onnipotenza di Dio %; 2) un riassunto
dei
motivi apologetici che militano a favore del cristianesimo 21; 3) una confutazion
e
dell'accusa ‘che affermava essere il cristianesimo causa dei mali dell'impero
%;
4) la dimostrazione, assumente il carattere di una sfida, che i precetti
cristiani,
particolarmente il duplice precetto delal carità, sono fonte di autentico
benes-
sere per lo Stato?; 5) la difesa della continuità tra i due Testamenti,
che non
importano un cambiamento, ma una sapiente economia; 6) la condanna
della
dottrina e delle pratiche della magia, con particolare riferimento ad
Apollonio di
Tiana e ad Apuleio, che invano si tentava di paragonare ai miracoli
di Cristo3!,
V'è în questa risposta, in nuce, buona parte della Città di Dio: sarà sempre
utile
rivolgersi ad essa come a preannunzio e commento dell’opera maggiore.
sul perdono dei peccati, di lassismo e di corruzione 38: si insisteva sulle virtà dei
pagani® e sui vizi dei cristiani per concludere all’inutilità del cristianesimo *,
anzi al danno che esso aveva apportato e opoprtava alla società; di fatti, dice-
vano, con il cristianesimo era cominciato il declino dell'impero romano;
3) contro la dottrina della Trinità, dell’Incarnazione, della divinità di Cristo:
si riteneva assurda la prima*, contraria ad ogni sana filosofia la seconda *,
invenzione dei discepoli la terza.
4) in genere contro la credibilità del cristianesimo: si qaulificavano iî cristiani
di folli, stupidi, deboli di spirito, si criticavano le narrazioni del Vecchio Testa-
mento, come qeulla su Giona, le profezie che sarebbero state inventate dai
cristiani 8, il Nuovo Testamento che non sarebbe credibile perché opera dei discepoli
che hanno voluto esaltare il Maestro; si spiegavano i miracoli di Cristo con
l’arte magica ®; 0, se si dichiarava Cristo innocente, si attribuiva all'arte magica
la diffusione del cristianesimo; talvolta si disprezzava Cristo anche come uomo,
un giudeo morto ammazzato, si diceva, un crocifisso, un uomo di nessuna impor-
tanza; finalmente si auspicava la scomparsa della religione cristiana 538 e si affer-
mava che sarebbe avvenuta dopo 365 anni (un anno di anni)%.
38 Oltre Ep. 136, 2 cf. Enarr. in ps. 101, 10, 6: Vos corrumpitis disciplinam moresque
generis lumani pervertitis.
39 Enarr. in ps. 31, d. 2, 2, 10; ecc. ,
4 Enarr. in ps. 30, enarr. 2, d. 2, 6, 44; Serm. 15, 6, 6; ecc.
4 Enarr. in ps. 39, 26, 30: Laudant falso: Magnus vir, bonus vir, litteratus, doctus, sed
quare christianus?
4 Fra l’accusa più frequente, passata ormai in proverbio: Enarr. in ps. 80, 1, 25:
..a temporibus christianis coepit proverbium: Non pluit Deus, duc ad Christianos;
cf. De civ. Dei 2, 3, 1; ortum est vulgare proverbium: Pluvia defit, causa Christiani sunt.
#3 In Io ev. tr. 39,3.
w
4 Serm, 225, 3; Serm. Guelferb. 3, 3 (Misc. Ag., I, p. 454); cf. Epp. 135, 2; 136, 1.
4 De cons. ev. 1, 34, 52.
4 Enarr in ps. 34, d. 2, 8: Ubicumque invenerint Christianum, solent insultare, exagitare,
CN
irridere, vocare hebetem, insulsum, nullius cordis, nullius peritiae; In Io ev. tr. 100,
3, 16; ecc.
41 Quaestiones contra paganos 6 (= Ep. 102, 30-38).
4 In Io ev. tr. 35, 7: Vos vobis ista finxistis. Contro questa calunnia Ag. si appella abi-
tualmenic alla testimonianza dei giudei, che ammettono il Vecchio Testamento e sono
nemici del nome cristiano: cf. Enarr. in ps. 40, 14; 56, 9; 58, d. 1, 22; De cons. ev.
26, 40.
4 De cons. ev. 1, 34, 52.
50 De cons. ev. 1, 11, 17. 32, 50.
51 De civ. Dei 18, 53, 2.
52 Enarr. în ps. 40, 4; 68, d. 1, 12; 118, d. 26, 4.
53 Enarr. in ps. 187, 14: Ubi sunt qui dicebant: Pereat nomen christianorum de terra?;
Enarr. in ps. 43, 14: ...illi ipsi Iudaei, contra quos quando defendimus Christum, dicunt
vobis: sic moriaris quomodo ille; Enarr. in ps. 40, 1, 57; 70, d. 2, 4, 30.
54 De civ. Dei 18, 53, 2.
XXXVI INTRODUZIONE - TEOLOGIA
La prima risposta che offre la Città di Dio alle accuse dei pagani, quella che
era più urgente perché le accuse più conclamate e di più facile presa psicologica,
riguarda l'aspetto sociale del cristianesimo. Contiene tre affermazioni di fondo:
1) i mali che hanno colpito l'impero non dipendono dal cristianesimo; 2) il culto
degli dèi non è în grado di assicurare il benessere sociale quando lo si voglia fon-
dato, come dev'essere, sulla moralità e la giustizia; 3) la morale cristiana, se accet-
tata e seguita, può assicurare questo benessere. A queste tre affermazioni se ne
aggiunge una quarta, la più generale: la prosperità e la grandezza di Roma non è
dipesa dal culto degli dèi, ma dalla provvidenza dell'unico vero Dio che ha voluto
premiare le virtù civiche del popolo romano.
Per la prima affermazione Agostino si rifà alla storia, la quale, attestando
che nel mondo i mali non sono mai mancati, discolpa i cristiani dalle accuse che
rivolgevano loro i pagani. Egli non vuole scrivere una storia, ma desidera che
sia scritta, e con questo scopo specifico: mostrare quali e quanti mali ha sof-
ferto l'umanità prima della venuta di Cristo. In effetti lo farà, dietro suo sugge-
rimento, il discepolo Paolo Orosio nei sette libri delle Historiae contra paganos,
libri molto letti nel medioevo e considerati un complemento storico della Città
di Dio 5%. Per suo conto Agostino si limita ad alcuni esempi 5, con i quali riprende
un tema frequente nei discorsi sul sacco di Roma, e conclude: « Accusino i loro
dèi di tanti mali coloro che sono ingrati al nostro Cristo di tanti beni». In
quanto a sé il cristiano sa che Cristo non gli ha assicurato la felicità temporale,
ma la felicità eterna. Per questa sola speranza, non per altro motivo, siamo crì-
stiani: propter quam unam proprie nos Christiani sumus®, I beni e i mali tem-
porali sono comuni ai buoni e ai cattivi, ma «resta la differenza di chi soffre
anche nella eguaglianza della sofferenza e, sebbene sia comune la pena, non è la
medesima cosa la virti e il vizio » 41,
Per la seconda affermazione si rifà alla morale. A parte l’inconsistenza teorica
del politeismo che Agostino, come altri apologisti, mette a nudo con l'arma del
ridicolo, l'autorità degli scrittori pagani®, l'argomentazione dei grandi filosofi ®,
è chiaro che in pratica il culto degli dèi non può essere fautore del bene dello
Stato. Non può esserlo a causa dei riti immorali ed osceni che esso comporta &4.
Purché, evidentemente, non si voglia uno Stato fondato sul godimento ad ogni
costo, la licenziosità, l’iniquità impunita&. Ma perché gli avversari non repli-
cassero che il parametro di questo severo giudizio era il Vangelo, che essi non
accettavano, l'autore della Città di Dio si appella all'esempio di virtù dei grandi
romani %, al giudizio dei loro sapienti antichi! e alle loro leggi. Soprattutto alle
leggi, perché gli permettevano di lodarne la sapienza giuridica e di biasimarne
l’incoerenza pratica 8.
Per la terza si richiama alla forza propria delle virtù cristiane. Agostino è
tanto convinto che da esse può venire un grande bene allo Stato per la prospe-
rità e la pace, che getta loro questa sfida: «...coloro che affermano che la dottrina
del Cristo è nemica dello Stato, ci diano un tale esercito, quale la dottrina di
Cristo volle che fossero i soldati: ci diano tali provinciali, tali mariti, tali sposi,
tali genitori, tali figli, tali padroni, tali servi, tali re, tali giudici, infine tali con-
tribuenti e tali esattori del fisco, qual prescrive che siano la dottrina cristiana, e
poi osino chiamarla nemica dello Stato e non esitino piuttosto a confessare che,
se essa fosse osservata, sarebbe la potente salvezza dello Stato » 9. Questo vale
soprattutto per il duplice precetto dell'amore di Dio e del prossimo, nel quale vede
il contenuto di tutta la filosofia e il segreto della salvezza d'uno Stato degno di
lode. In realtà se tutti, secondo la loro condizione, osservassero i precetti cri-
% Cf. Serm. 29, 7. cito responde: incendium Romanae uriis hoc testium est...
Quae
modo semel arsit inter sacrificia christianorum, iam bis arserat inter
sacrificia
paganorum.
59 De civ. Dei 3, 31.
60 De civ. Dei 6,9, 5.
61 De civ. Dei 1, 8, 2.
6 Si richiama sopratiutto a Varrone (De civ. Dei 4, 31; 6, 9, 2), e a Seneca (De civ.
Dei
6, 10).
6 De civ. Dei 8, 6 (l'argomento dei platonici per l’esistenza di Dio).
6 E’ l'argomento di tutto il libro 20.
6 Vedi un’amara descrizione di un tale Stato ivi 2, 20.
6 Vedi sopra p. XXII.
67 Si riferisce particolarmente a Sallustio: De civ. Dei 2, 18; e a Cicerone: ivi 2, 21.
6 Soprattutto alla legge che privava della cittadinanza romana gli attori scenici: De civ.
Dei 2, 13 (ove si nota la differenza tra i greci e i romani, questi più sapienti e
prudenti
di quelli nelle loro leggi) e 2, 31 (Haec tibi numquam, nec pro terrena patria placue-
runt).
69 Ep. 138, 2, 15.
70 Ep. 137, 4, 37.
XXXVIII INTRODUZIONE - TEOLOGIA
stiani, l'umana società « abbellirebbe col proprio benessere la piaitezza della vita
presente e scalerebbe la vetta della vita eterna per regnare in una perfetta felicità » 1.
Queste parole esprimono come miglio non si potrbbe la sintesi che Agostino ra
raggiunto: la città di Dio ha, st, uno scopo eminentemente escatologico, ma pos-
siede tale dottrina e tali precetti che, se osservati, arrecano un contributo insosti-
tuibile e determinante al benessere temporale; il cristianesimo è senza dubbio una
religione per l’aldità, ma il suo grande valore sociale per l'aldiquà è innegabile.
Da questa sintesi nasce il quadro ideale dell’imperatore cristiano che Agostino
ci offre.
Restava ancora una difficoltà da risolvere, forse la più immediata e la più
conturbante, questa: l'impero romano è stato grande ed opulento quand’era
pagano; diventato cristiano ha mostrato debolezza e decadenza. Ed ecco la rispo-
sta agostiniana: la grandezza dell'impero non è dipesa dal culto degli dèi, né dal
fato, ma dalla provvidenza del vero Dio, il quale quando voluit et quantum voluit
Romanis regnum dedit”; la sua decadenza invece dipende dalla corruzione dei
costumi che ha preso il posto delle antiche virti 5. E qui si appella di nuovo agli
scrittori pagani. Sulla seconda parte della risposta torneremo a proposito del-
l'argomento centrale della Città di Dio %, sulla prima bastino qui poche riferenzeT,
7 Insieme al De regressu animae Ag. cità anche La filosofia degli oracoli (De civ. Dei 19,
23). . O'Meara in un bello studio su la presenza di Porfirio in Ag. (Porphyry°s Philo-
sophy from Oracles in Aug., in Etud. Aug., Paris 1959) ha sostenuto, suscitando un’ani-
mata discussione, che si tratta della stessa opera: cf. P. Hanot, Citations de Porphyre
chez Aug., in REA, 6 (1960), pp. 205-244; J. O'MeARA, Comment of Prof. O’Meara, in REA,
6 (1960), pp. 245-247; G. Mapec, Bull. Aug., in REA, 8 (1962), pp. 385-386.
INTRODUZIONE- TEOLOGIA XXXIX
più avanti®. Qui occorre insistere ancora nell’insostenibilità della soluzione pla-
tonica, che si rivela in maniera piu evidente nella magia a cui essa necessaria-
mente sfociava o, forse, da cui essa prendeva origine; era in ogni caso il mezzo
in cui la mediazione si esprimeva.
2. Magia. Questa triste manifestazione della religiosità deformata e corrotta non
poteva non trovare nella Città di Dio una critica serrata. L'autore mette a con-
fronto «la schietta e confidente fede religiosa» e « gl'incantesimi e le formule
composte con l’arte di un’infame curiosità che chiamano magia, o con termine
piu detestabile stregoneria o con uno più accettabile, teurgia»9. La teurgia è
la cosiddetta magia bianca, che consiste, stando all’etimologia, in un'azione di
chi opera cose divine 0, secondo altri, in un'azione che «spinge e obbliga gli
dèi », la stregoneria o con nome greco goezia (da goeteia, nome derivato dal
sinistro suono della recitazione di formule magiche) è la magia nera!%.
Agostino, che prende il termine magia sempre in senso peggiorativo, con-
donna severamente l’una e l’altra. Esse, afferma, sono esercitate sotot il patro-
cinio degli spiriti maligni. Lo dimostra appellandosi a Vergilio, a Cicerone e,
soprattutto, alle leggi civili che le proibivano severamente, leggi, non istituite
certamente dai cristiani, che colpirono lo stesso Apuleio !!. Lo dimostra inoltre
dall’atteggiamento contraddittorio di Apuleio stesso e di Porfirio, i quali talvolta
lodano, talvolta vituperano le arti magiche!®,
Porfirio, per esempio, « si destreggia tra la colpa ‘di una sacrilega curiosità
e la professione della filosofia». Se da una parte « promette una determinata
catarsi dell'anima mediante la teurgia», dall'altra afferma che «questa pratica
non offre ad alcuno il ritorno a Dio » 198. Dopo aver dimostrato a lungo la contrad-
dittorietà di questa posizione esclama con amara ironia: O theurgia preclara, o
animae praedicanda purgatio! 1%. Ma Agostino non manca di notare che Porfirio
si mostra più saggio quando nella Lettera al sacerdote Anebo condanna le arti
magiche !%. La precisazione è un segno di particolare stima verso il celebre
filosofo 1%, ma anche un abile argomento apologetico. La requisitoria termina
con l'invito ad «evitare e detestare l'inganno degli spiriti maligni ed ascoltare
la dottrina della salvezza » 10. Questa consiste nel sacrificio di Cristo, diventato
il sacrificio quotidiano della città redenta, l'unico che possa purificare gli uomini
e ricongiungerli a Dio; l’unico perciò che risponda al problema posto, ma non
risolto dai filosofi « nobili ». Ma anche di questo si dirà più avanti!®.
98 Vedi p. LXXIV.
9 De civ. Dei 10, 9, 1.
100 Cf. A. A. BarB, La sopravvivenza delle arti magiche, in A. MOMIGLIANO, op. cit., pp. 113-17.
101 De civ. Dei 8, 19.
102 In quanto ad Apuleio si riferisce all’Apologia o Della magia in cui il filosofo neopla-
tonico si difende appunto dall’accusa di magia.
103 De civ. Dei 10, 9, 2.
104 De civ. Dei 10, 10.
105 De civ. Dei 10, 11, 1-2.
106 Vedi sopra p. XXXII.
107 De civ. Dei 10, 10.
108 Vedi p. LXXV s.
XLII INTRODUZIONE- TEOLOGIA
CAPITOLO SECONDO
La Città di Dio non contiene soltanto la risposta alle accuse dei pagani, ma
anche l'impostazione generale della credibilità della fede cristiana. Anzi la mag-
giore importanza apologetica le viene appunto da questa impostazione, che è un
riflesso del lungo e faticoso cammino di ritorno dell'autore alla Chiesa cattolica.
Agostino fu un convertito: non bisogna dimenticarlo. Un convertito sa per espe-
rienza, e non solo per convinzione teorica, quale sia l'importanza della credibilità
della fede e dei suoi motivi. Il suo interesse per questo argomento, il molto che
ne scrisse, il metodo che segui si riallacciano alla sua conversione.
! CÎ. Iniroduzione alle Confessioni (NBA 1, pp. 43-46); S. Ag. L’uomo, il pastore,
il mi-
stico, Fossano 1976, pp. 61-66.
2 Confess. 6, 5, 7-8.
3 Confess. 6, 4, 6.
4 Contra Acad. 3, 20, 43; De ordine 2, 9, 26; De moribus Eccl. cath. I
INTRODUZIONE - TEOLOGIA XLIII
ente
Nel De vera religione, l’ultima opera scritta da laico, si dice esplicitam
conduce gli uomini alla salvezza con la forza della ragione e con l’auto-
che Dio
Nel
rità della fede5, salvezza che si attua attraverso la storia e la profezias.
scritta dopo l'ordinazi one sacerdotal e, sottomett e
De utilitate credendi, la prima
analisi le relazioni tra la ragione e la fede e difende della fede il pri-
a profanda
di
mato e l’irrefragabile fondamento. Lo stesso procedimento nel breve scritto,
data incerta ma posteriore al 399, che ha, come quello precedente, un. titolo
emblematico: De fide rerum quae non videntur. Il De civitate Dei si muove sulla
stessa direzione con il vantaggio di trovare presso qualcuno degli avversari,
presso Porfirio per esempio, utili elementi per confermare il metodo seguito.
2. Metodo dell’autorità
apologetico
Ritengo che cost debba qualificarsi, prima di tutto, il metodo
punti essenziali : 1) il
agostiniano. Questo primo elemento si articola in quattro
umane; 2) la necessità di un'autori tà divina
posto che occupa la fede nelle cose
fede sia sicura; 3) la Provvide nza che non può lasciare l'umanità sine
perché la
la Chiesa che sono la
universali via liberandae animae?; 4) Cristo, la Scrittura,
somma ed unica autorità che assicura la fede.
altre
Sui primi due punti la Città di Dio non dice molto; molto invece dicono
ci svelano il travaglio che
opere. Le Confessioni, per esempio, nel libro sesto,
dallo scetticis mo e la convinzio ne che faticosam ente
Agostino soffri per uscire
Notò
raggiunse circa il primato della fede, un primato temporale e normativo.
infatti che anche nelle cose umane, tolta la fede, tutto è sconvolto: la famiglia,
l'amicizia, la società, la storia. Questo punto lo aveva approfondito e ampiamente
esposto nell'opera ricordata De utilitate credendi, concludendone che la Chiesa
cattolica agisce rettamente quando a coloro che vogliono abbracciare la religione
chiede prima di tutto la fede®. Altrove riassume il pensiero con queste parole:
« Si tolga la fede dalle cose umane: chi non vede quale perturbamento di esse
e quale orrenda confusione ne seguirebbe? »9.
Ma la fede richiede un'autorità a cui affidarsi. Questa non può essere che
umana o divina, « ma l’autorità vera, certa, somma è quella divina»! Da qui
la necessità di rivolgersi ad essa per avere una. guida sicura sulla via della sal-
vezza. Infatti, quando si tratta della questione essenziale e fondamentale della
beatitudine quo vel qua... humana se porrigit infelicitas si divina non ducit aucto-
ritas? verso quel fine e per quale via si muovela infelicità umana se non è guidata
dall'autorità divina?!!.
Tutto questo è vero ed era necessario contro il razionalismo, quello mani-
cheo per esempio. Nella Città di Dio invece la situazione era un po’ diversa.
Porfirio, che di tutti i filosofi platonici Agostino ha piu direttamente in vista, am-
mette apertamente la necessità di una guida universale da cui lasciarsi condurre.
«Sentiva che gli mancava ancora una dottrina sommamente autorevole da cui
era necessario lasciarsi guidare in un problema tanto importante» qual è la libe-
razione dell'anima; una dottrina non ancora trovata né dalla filosofia, né dal-
l’ascetismo degli Indiani, né dalla iniziazione dei Caldei. Eppure Porfirio «non
poteva ammettere che la provvidenza divina abbia potuto abbandonare il genere
umano senza una via aperta a tutti per la liberazione dell'anima » 2.
A simili avversari non occorreva tanto dimostrare la necessità della fede o
quella di un'autorità divina che l’assicuri; ma piuttosto mostrare quale fosse
questa autorità. Essa è Cristo, la Scrittura, la Chiesa; in una parola la religio
christiana, quae universum orbem tanto apice auctoritatis obtinuit 13. A propo-
sito di questa autorità tanto sublime scrive altrove queste forti e solenni parole:
«Tutto il culmine dell’autorità e la luce della ragione sono riposte nell'unico nome
di salvezza (Gest Cristo) e nell'unica sua Chiesa allo scopo di ricreare e riformare
il genere umano » !4. Si può dire che la dimostrazione della verità di queste parole
costituisca tutto il programma della Città di Dio. In essa infatti non solo si parla
dell'autorità di Cristo 5, fondatore e re della città celeste 16, «via munitissima »
verso Dio!, né solo dell’« autorità eccelsa» delle Scritture!8 o della Chiesa «re-
gina » a fianco di Cristo !9 e con Cristo « via regale » per la salvezza degli uomini %®;
ma si compie anche alla luce della fede una sintesi dottrinale che riconosce e as-
sume quanto di vero la luce della ragione, attraverso la sapienza pagana, aveva
scoperto 2.
Ma non bastava indicare nel Cristo, nelle Scritture, nella Chiesa la via uni-
versale che Porfirio auspicava senza conoscere; occorreva dimostrare che questa
via era sicura, che seguirla era sapiente; in altre parole che la fede cristiana
era fondata, e perciò degna dell’uomo, cioè ragionevole. Agostino lo fa con il
metodo che ho chiamato della globalità.
Esso consiste nel ricorso a tutta la storia della salvezza per dimostrare la
credibilità della fede cristiana. Questo metodo appare per la prima volta nella
prima opera apologetica, scritta qui a Roma nel 388. Vi si legge: « Che cosa
si poteva fare di più per la nostra salvezza?.. Quanto ciò sia bello, grande,
degno di Dio, infine, ciò che più interessa, quanto ciò sia vero non lo potremo
in nessun modo capire... se non restiamo nella via munitissima che Dio ci ha
21 IGNAZIO ANTIOc., Ep. ad Philad. 9, 2; GiustINno, Apologia 1, 63; IRENE0O, Adv. haereses
3,149, -1s=ece.
28 De civ. Dei 16, 26.
29 De civ. Dei 10, 32, 2.
30 Ep. 137, 4, 16.
31 De civ. Dei 10, 32, 2.
32 De civ. Dei 22, 5.
3 De vera relig. 6, 10.
INTRODUZIONE - TEOLOGIA XLVII
4. Costanza dei martiri. Nelle sue opere, specialmente nei Discorsi, Agostino
espone una ricca teologia del martirio. Essa si ritrova in parte qui nella Città
di Dio; în parte. Non c'è la tesi, tante volte difesa contro i donatisti, che non è
la pena ma la causa che fa il martire*, né quella sostenuta contro i pelagiani
sulla necessità della grazia e di una maggiore libertà per subire il martirio, né
quella esposta sovente al popolo sull’imitazione della passione di Cristo 8; c'è
invece, fortemente sottolineato, l'aspetto apologetico del martirio e la particolare
posizione che i martiri occupano nella Chiesa. Sono essi i testimoni della vera
fede, essi che hanno generato la Chiesa ®, la quale col suo sangue si è molti
plicata: «venivano incatenati, imprigionati, bastonati, torturati, bruciati, dila-
niati, trucidati; e si moltiplicavano »*. Il Vangelo infatti è stato predicato in
tutto il mondo inter horrendas persecutiones et... funera martyrum ®. La Chiesa
li considera suoi eroi, li venera come martiri*, ma non offre loro sacrifici *.
E questo è un segno della sua sapienza.
6. I miracoli della Chiesa. A questo punto si. potrebbe dire completa la vi-
sione unitaria che Agostino possiede dell’apologetica. In realtà cosi fu per molto
tempo. All’inizio infatti e per diversi anni non mostrò interesse per i miracoli
% De vera relig. 24, 47; De util. credendi 16, 34; Serm. 88, 2-3.
50 De civ. Dei 22, 8, 1.
51 Serm. 314-324.
5 De civ. Dei 22, 8, 1.
53 De civ. Dei 22, 8, 2-22.
5 De civ. Dei 22,9.
55 Ep. 138, 4, 18: «Chi non stimerebbe ridicolo il fatto che si cerchi di paragonare o
anche di preferire a Cristo un Apollonio o un Apuleio e altri versatissimi nelle arti
magiche? ».
56 De civ. Dei 21, 6.
57 Vedi sotto p. XLIX s.
58 De civ. Dei 10, 16, 2; 22, 10.
5 E’ un argomento che torna insistentemente nella controversia donatista: cf. pi le.
De unitate Eccl. [= Ep. ad cath. contra Donatistas], 19, 50.
® Pensieri 803, trad. ital. A. Cantoni Cantilli, Bari 1941, p. 195.
CAPITOLO TERZO
IL MIRACOLO
Il tema è per la sua natura e le sue implicanze, tra i piu discussi. Anche in-
torno al pensiero del vescovo d'Ippona si è discusso e si discute. Lasciamo per
ora le discussioni, che vertono, poi, sulla spiegazione ultima del miracolo, per
raccogliere i dati certi che la Città di Dio ci offre. Sostanzialmente sono tre: la
nozione del miracolo, la sua possibilità in ordine a Dio, le sue relazioni con la
natura.
1. Nozione
L’autore ci dà i diversi nomi con cui veniva indicato il miracolo, nomi che
ne descrivono, se non ne definiscono, la natura: monstra, ostenta, portenta,
prodigia. Ognuno di essi si riferisce a un particolare aspetto del fatto prodigioso
che ha il compito di mostrare significando, di indicare, di pre-indicare, di predire
una realtà religiosa!. La definizione invece la troviamo altrove, quando, spie-
gando le parole della Scrittura: E il Signore discese per vedere la città (Gen. 1I,
5) scrive: discendere per Iddio, che non si muove localmente perché è sempre
dovunque e dovunque tutto, significa « compiere qualcosa sulla terra che, essen-
do fatto mirabilmente all’infuori del corso ordinario della natura, mostra in
qualche modo la sua presenza»? È la definizione del miracolo. Essa esplicita
e perfeziona quella data molti anni prima nel De utilitate credenti3. Tutti gli
elementi indicati sono essenziali: il miracolo è opera di Dio, è un’opera mirabi-
le, è compiuta fuori dal corso ordinario della natura, ha per fine mostrare la
presenza di Dio e annunziare il suo disegno d'amore.
Tutti questi elementi trovano conferma e spiegazione nelle opere agostiniane,
anche se non sempre nella Città di Dio. Il miracolo proviene da Dio o diretta-
mente o permissivamente. Direttamente quando lo compie per se stesso o per
mezzo degli angeli e di santi che operano secondo il volere divino: nec boni angeli
haec nisi quantum Deus iubet4 Permissivamente quando per giusto giudizio
lascia che maghi o dèmoni compiano opere insolite capaci d'ingannare gli
uomini 5.
Il miracolo è sempre un fatto che per la sua rarità richiama l’attenzione e
desta la meraviglia dello spettatore. A questo punto il vescovo d’Ippona fa spes-
so un'importante distinzione, del tutto congeniale alla sua mentalità di filosofo
e di contemplativo. Distingue tra le meraviglie della creazione e del governo
dell'universo e le meraviglie che suscitano i fatti prodigiosi, per concluderne
che le prime sono molto più grandi delle seconde; ma osserva con rassegnata
mestizia, assiduitate viluerunt$. Ciò vuol dire che il corso ordinario della natura
presenta a chi lo consideri attentamente motivi maggiori di stupore che quello
insolito, raro e momentaneo che imprimono ad esso i fatti prodigiosi. Dio li
compie dunque per richiamare quell’attenzione che gli altri, i fatti ordinari,
anche se piu meravigliosi, non riescono a richiamare, poiché « gli uomini hanno
il costume di non ammirare come meravigliose se non le cose rare: si solerent
homines mirari mira nisi rara »?.
Il fine di essi, dei fatti miracolosi, dico, è essenzialmente religioso. Agostino
v'insiste, e a buon diritto. Vengono compiuti da Dio ad aliquid divinitus annun-
tiandum 8. Dove manchi o non sia riconoscibile questo fine, non può trattarsi
di vero miracolo. È questo fine, il fine religioso, che distingue i veri dai falsi
miracoli?. E per fine religioso s'intende il culto dell'unico vero Dio, la gloria di
Dio, il piano della salvezza‘.
2. Possibilità
Insieme alla nozione la Città di Dio espone anche la tesi di fondo sulla pos-
sibilità del miracolo. « Come dunque non fu impossibile a Dio creare le nature
s
che volle, cosi non gli è impossibile mutare quelle che ha creato in tutto ciò che
voglia » !!. « Perciò, avverte il nostro autore, gli increduli non si facciano una
cortina di fumo con la notizia -delle nature quasi che in un essere qualsiasi non
si possa produrre per virti divina nulla di diverso da ciò che essi hanno cono-
sciuto della sua natura attraverso la loro umana esperienza » . Come si vede
l'argomento fa leva sulla potenza creatrice di Dio. Il che non vuol dire che l’in-
tervento miracoloso sia una creazione.
4 De Trin. 3, 8, 13; Ep. 187, 12, 36. C'è chi sostiene che Dio si serva sempre delle cause
seconde: cf. F. BrazzaLe, La dottrina del miracolo in S. Ag., Roma 1964, p. 46.
5 De civ. Dei 21, 6, 1; cf. De Trin. 3, 7, 12-8, 13; De div. qq. 83. 79.
6 In Io ev. tr. 9, 1; cf. 8, 1; 2, 1; Ep. 102, 5; 137, 3, 10; Serm. 124, 4; 247, 2; Enarr. in
ps. 110, 4.
7 De civ. Dei 21, 8, 3.
8 De Trin. 3, 10, 19: Alia sunt illa quae quamvis ex eadem materia corporali, ad aliquid
tamen divinitus annuntiandum nostris sensibus admoventur quae proprie miracula et
signa dicuntur.
9 De civ. Dei 10, 16, 2; cf. De div. qq. 83 79, 4: Cum ergo talia faciunt magi, qualia non-
numquam sancti faciunt, talia quidem visibiliter esse apparent, sed et diverso fine
et diverso iure fiunt.
10 De civ. Dei 10, 18; De div. qq. 83 79, 4.
ll De civ. Dei 21, 8, 5.
12 De civ. Dei 21, 8, 3.
INTRODUZIONE- TEOLOGIA LI
tere in rilievo un'altra tesi di fondo enunziata dalla Città di Dio: riguarda le
relazioni tra la natura e il miracolo, se cioè il miracolo è contrario o non è con-
trario alla natura.
3. Natura e miracolo
perché svolgessero il loro movimento naturale, bensi in questo altro modo: l’ha
create tali che la loro natura resta soggetta totalmente alla volontà potentissima
(del Creatore)».
A questo punto si propongono altri problemi che qui non è possibile non
dico trattare, ma neppure accennare: il confronto tra le ragioni seminali di
Agostino e î logoi di Plotino e degli stoici®, e il rapporto tra le stesse ragioni
semiali e la potenza obedienziale degli scolastici3.
Qui è sufficiente aver indicato che la teoria agostiniana, chiarendo la no-
zione del miracolo, dimostra che esso non sconvolge, ma conferma l'ordine della
natura, rivelandocene uno piu profondo di quello che l’esperienza quotidiana
ci offre. Bastino pertanto questi accenni introduttivi all’opologetica agostiniana,
la quale trova nella dottrina del miracolo il suo punto focale.
Parte. terza
VALUTAZIONE
Chi volesse dare una valutazione della Città di Dio per ciò che riguarda questa
prima parte dell’introduzione, dovrebbe rifare la storia dell’agostinismo e la
storia della teologia occidentale: dell’agostinismo, perché la Città di Dio ne è
l’espressione più alta e più vasta; della teologia occidentale, perché su di essa
lungo i secoli il vescovo d'Ippona ha esercitato un influsso continuo e profondo.
Distinguiamo, per chiarezza, tra ieri e oggi.
1. Ieri. Nel passato, specialmente nel medioevo, la Città di Dio è stata molto
letta. L'entusiasmo iniziale a cui si è accennato! non si affievoli con il passare
degli anni e con il mutare delle circostanze; il fatto risulta dai manoscritti, dalle
miniature, dai commenti, dalle traduzioni.
Scrive il Wilmart: « E' un compito fastidioso, pressoché scoraggiante, recen-
sire gli esemplari che ci sono stati conservati del testo latino della Città di Dio.
Sono troppi»? Poco prima aveva detto: « dopo le Scritture nessun libro è stato
piu letto e copiato di questo, con una sola eccezione, forse: i Morali di S. Gre-
gorio »3. Ne recensisce infatti, tra esemplari completi e parziali, 3754. Un altro
diligente ricercatore, alcuni anni prima, aveva redatto un primo elenco di 250
manoscritti completi e 60 parziali5. Questo straordinario moltiplicarsi di copie
è segno evidente dell’interesse per l'opera. E non c’è bisogno di ricordare che
non si tratta di un libretto come può essere il De agone Christiano o il De vera
religione, pur essi molto trascritti, ma d'un’opera di grande mole per compren-
dere la quale non bastava un grosso volume‘.
Un altro segno d'interesse sono le belle miniature, qualche volta vere
opere d’arte, delle quali molte copie della Città di Dio erano arricchite.
Il de Laborde ne enumera 61, il Wilmart ne aggiunge altre 161.
Un altro segno ancora i commenti e le traduzioni. Di commenti se ne pos-
sono segnalare tre che ebbero grande fortuna: due ad Oxford (Nicola Trevet +
1328 e Tommaso Waleys + 1350 c.) e uno a Parigi (Francesco de Mayronis
+ 1327). Dopo l’invenzione della stampa sono giustamente celebri quelli di Gio-
vanni Ludovico Vives (1522) e di Leonardo Coceau (1613)8. Fra le traduzioni
antiche dev'essere segnalata quella in francese con l'aggiunta del commento che
Raoul de Praelles (+ 1383) preparò per il re di Francia Carlo V; traduzione e
commento che tennero il campo fino a verso la metà del sec. XVI (fu stam-
pata — edizione princeps — nel 1486 e poi ancora nel 1531), quando sopravvenne
il ricordato commento del Vives.
Delle edizioni dell'Opera omnia, in cui naturalmente è inclusa la Città di Dio,
da quella dell’Amerbach (1506), di Erasmo (1528-29), dei teologi di Lovanio (1577),
dei Maurini (1679-1700), che supera le altre e resta insuperata, a quelle, ancora
in corso del CSEL e del CC, non è il caso qui di parlare, anche se testimoniano,
non meno dei manoscritti, l'interesse che hanno continuato e continuano a suscitare
le opere agostiniane in generale e la Città di Dio in particolare.
Da questi brevi accenni appare chiaro il posto che il capolavoro agostiniano
ha occupato nella stima e nel pensiero dei posteri, un posto che, se vuol essere
esaminato, dev'essere preso in considerazione sotto tre aspetti che sono domi-
nanti nell'opera stessa: della concezione della storia, del contenuto apologetico e
del contenuto dommatico. Brevemente si può dire cosi: la Città di Dio ha fis-
sato un grande modello al quale i teologi posteriori, Tommaso compreso, hanno
costantemente guardato, riproducendone le linee essenziali.
a) Concezione della storia. Con la scolastica ci sarà un passaggio dall’espo-
sizione della teologia sull'arco della storia alla esposizione sistematica. Pietro
Lombardo, per il quale la principale autorità è Agostino, nei celebri Libri senten-
tiarum, composti in gran parte con testi agostiniani, prenderà per paradigma
espositivo o principio architettonico non la storia della salvezza come nella Città
di Dio, ma l’uti e il frui come nella Dottrina cristiana. I molti, commentatori
— i Libri delle sentenze restarono testo base della scuola per quasi quattro
secoli (fino a quando nel sec. XVI non furono sostituiti dalla Somma teologica
di Tommaso) — lo seguirono su questa esposizione. L'architettura delle Summae
non sarà molto diversa. Ciononostante la concezione della storia resterà quella
agostiniana. « La concezione agostiniana della storia, scrive il Padovani, rimase
fondamentale nella cultura e nella vita di tutto il medioevo cristiano — pur cosi
disinteressato del problema della storia — e più oltre e sempre nell'ambito del
cattolicesimo ». « Lo stesso Tommaso d'Aquino... si può dire che ha accettato
integralmente la concezione agostiniana della storia, come del male, la quale è
la concezione classica del cristianesimo, pur sentendo scarsamente questi umani
problemi».
Insigne rappresentante e continuatore di questa concezione fu il Bossuet con
il famoso Discorso sulla storia universale. Si sa che l'aquila di Meaux ebbe il
culto di Agostino e lo segui da vicino! A questo punto è d'obbligo ricordare la
Scienza Nuova di G.B. Vico, anche se non è facile considerarla, nonostante
i punti d'incontro, una continuazione della Città di Dio, in quanto questa si
rivolge prevalentemente (benché non esclusivamente) alla Rivelazione, mentre
quella lascia fuori della propria considerazione la storia del popolo ebraico e la
storia del cristianesimo perché legate, l'una e l’altra, alla Rivelazione, cioè al
soprannaturale.
b) Apologetica. Resterà parimenti agostiniana l'impostazione dell’apologetica,
particolarmente nei due punti essenziali: la necessità di un'autorità divina che
guidi gli uomini alla conoscenza della verità e il ricorso all'intervento prodigioso
di Dio nella storia della salvezza attraverso le profezie e i miracoli. Le due Somme
di Tommaso d’Aquino, per fare un esempio significativo, la Summa contra gen-
tiles e la Summa theologica, cominciano tutte e due con la considerazione sulla
necessità della Rivelazione!! e tutte e due insistono sulla dottrina dei miracoli e
delle profezie !2. Questa stessa impostazione in tempi a noi piu vicini è stata
espressa dal Concilio Vaticano I, il quale ha solennemente proposto, su ambe-
due i punti, il pensiero cattolico 83.
Particolare importanza per giudicare della continuità dell’agostinismo riveste
la dottrina del Concilio sull’appartenenza alla Chiesa cattolica di « tutte le cose,
molte e mirabili, che sono state disposte da Dio per l'evidente credibilità della
fede cristiana ». « Anzi, continua il Concilio, la Chiesa per se stessa, cioè la sua
ammirabile propagazione, l’esimia santità e l'inesausta fecondità in tutto il bene,
per l’unità cattolica e l’invitta stabilità è un grande e perpetuo motivo di credi
bilità e una testimonianza irrefragabile della sua divina legazione »!4.
Non c'è chi non veda che questa è la tesi apologetica di fondo della Città
di Dio e il cardine di quel metodo che ho chiamato globale.
9 U. PapovaNI, Filosofia e teologia della storia, Marcelliana 1953, pp. 69 e 72. Il Pado-
vani peraltro. interpreta in modo troppo esclusivo. la concezione agostiniana come
teologia della storia, quasi che non ci sia in quella concezione un fondo metafisico
sufficiente per una spiegazione razionale, anche se necessariamente parziale, della
storia stessa.
10 G. Harpy, Le De civ. Dei source principale du Discours sur l’histoire universelle,
Paris 1913.
li Summa c. gent. 1, prooem. cc. 3-5; Summa theol., I, q. 1, a. 1: utrum sit necessarium
praeter philosophicas disciplinas aliam doctrinam haberi.
12 Summa c. gen. 3, cc. 64-97 (De providentia Dei) e cc. 98-110 (De miraculis et de mira-
bilibus); Summa theol., I, q. 105, aa. 7-8; I, q. 114, a. 4.
13 Costit. Dei Filius, cc. 2-3; D-S, nn. 3005 e 3009.
14 Ivi, n. 3013.
XCVI INTRODUZIONE- TEOLOGIA
15 La presenza dei Padri al Concilio, in Seminarium, 9 (1969), pp. 145-150 (la relazione
completa: Contributo dei Padri, particolarmente di S. Ag., al rinnovamento teologico,
in AA. VV., Fedeltà e risveglio nel domma,in « Atti dell’ATI », I, Ancora 1967, pp. 65-77).
INTRODUZIONE - TEOLOGIA XCVII
razione nel Vecchio Testamento e del suo mistero che: si compie attraverso
i
secoli, comincia riferendosi con un passim al vescovo d'Ippona! e termina
citando
il celebre testo della Città di Dio 18, 51 che esprime come meglio non
si potrebbe
la condizione della Chiesa peregrinante attraverso i secoli da Abele
al termine
dei tempi!?. Anzi, la definizione della Chiesa «come un sacrament
o, cioè segno e
strumento dell’intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano»,
definizione tanto bella e tanto cara alla ecclesiologia postconciliare,
esprime il
programma stesso della Città di Dio. Il vescovo d’Ippona fu e
resta il teologo
della comunione ecclesiale —. sul triplice uso di questa espressio
ne abbiamo
parlato. sopra. — la quale trova in questa opera un'ampia
e ben orchestrata
esposizione.
Nella Gaudium et spes invece, se alcuni temi, come l’interiorità,
la libertà,
la dignità umana, ‘il mistero della morte, rimandano piuttosto alle
Confessioni,
altri, come l'enigma della condizione umana, Cristo e la storia,
la Chiesa e il
mondo, la famiglia, la cultura, la. pace, rimandano alla Città di Dio;
di modo
che questa Costituzione si può giustamente considerare l’esposizi
one moderna
delle due grandi opere agostiniane sull'uomo e la storia, che sono
appunto la
Città di Dio e le Confessioni !8.
Infine la Dei Verbum espone la dottrina, trattata con tanto amore
e profon-
dità dal vescovo d’Ippona, sulla rivelazione divina, sulla Scrittura
e sulla Tradi:
zione. Sono argomenti che emergono qua e là anche nella Città
di Dio, anzi uno,
quello dell'autorità della Scrittura, costituisce la fonte continua d'informa
zione e
di argomentazione. Era naturale che il documento conciliare si richiamas
se diret-
tamente anche ad Agostino. Qui interessa notare che la Dei Verbum
riprende e
riafferma la dottrina del Concilio Vaticano I sulla necessità (relativa)
della Rive
lazione in ordine alle verità naturali 1, dottrina questa che è parte
essenziale del
metodo apologetico agostiniano come si è visto sopra 90,
Se poi dopo questo duplice confronto con gli studi moderni e
i testi del
Concilio il lettore volesse ancora sapere quali sono in sintesi i temi
che pit rac-
comandano la Città di Dio all'attenzione dei contemporanei e ne
mostrano mag-
giormente l'attualità, risponderei che sono almeno cinque: la scelta
della storia
come parametro per l'esposizione del pensiero, la riduzione dell’antit
esi delle due
città all'elemento soggettivo dei due amori, l’accentuazione dell'aspet
to sociale
della salvezza sostituendo con le due città le due vie, la centralità
cristologica
(nella fede, nella pietà, nella storia) e la visione universalistica,
anzi cosmica,
della storia umana. Tutti temi, questi, cari alla teologia e in genere
alla cultura
contemporanea, che mi sono studiato di illustrare rapidamente
nelle pagine
che precedono.
A questo punto qualcuno potrebbe dire che nella Città di Dio ci
sono anche
dottrine tutt'altro che vicine alla mentalità contemporanea e quindi
per niente
affatto attuali, come quelle del peccato originale e della predestin
azione. L’af-
fermazione imposta un problema che ha bisogno d’una risposta
articolata.
16 Cf. n. 2, nota 1.
17 Cf. n. 8.
18 J. Morin, Presenza di S. Ag. nel Concilio Vaticano II, in
Augustinianum, 6 (1966),
pp. 460-488.
19 Cf. n. 6.
20 Vedi p. XLIII.
XCVIII INTRODUZIONE - TEOLOGIA
Risponderei pertanto cosi: a) quelle dottrine sono spesso criticate perché mal
conosciute, perciò sopra, nell'ambito di questa introduzione, ho cercato di dare
loro la configurazione e di metterle nel contesto che hanno, a mio avviso, nel pen-
siero agostiniano; b) l'attualità non è criterio assoluto di verità, perciò non vuol
dire che una dottrina non sia vera per il solo fatto che non è considerata attuale;
c) chi critica la soluzione che il vescovo d'Ippona dà a determinati pro-
blemi teologici, deve chiedersi, se è cristiano cattolico, fino a qual punto essa
non appartenga al domma, perché non gli accada di respingere la dottrina della
Chiesa invece dell'opinione d’un teologo; d) in ogni caso, se quelle dottrine non
hanno l'attualità della sintonia, hanno sempre, a mio avviso, l'attualità del con-
fronto o meglio, data la loro importanza, l'attualità di complemento. Un comple-
mento necessario.
Vorrei terminare queste pagine introduttive con un pensiero, non destinato
alla pubblicazione, d'un insigne filosofo del diritto, nel quale all’ammirazione per
il vescovo d'Ippona si unisce il lirismo della forma che esalta, senza deformarla,
la verità.
« Il grande santo viene — cosi scrive alla fidanzata — quando l'Impero
moriva in mezzo alla violenza e al peccato, e nella grande rovina di tutto, dice alta
l'alta parola del Vangelo: non mai lo spettacolo della Storia fu più alto, e più vasto.
Un uomo solo salvò un intero mondo: ma era lo strumento di Dio. E l'Eterno Spi-
rito parlava per mezzo suo » 21,
Agostino Trapè