Sei sulla pagina 1di 7

Primo giorno

Dal Libro di Rut (Rut 1, 1-22)


Al tempo in cui governavano i giudici, ci fu nel paese una carestia e un uomo di Betlemme di Giuda emigrò nella
campagna di Moab, con la moglie e i suoi due figli. Quest'uomo si chiamava Elimèlech, sua moglie Noemi e i suoi due
figli Maclon e Chilion; erano Efratei di Betlemme di Giuda. Giunti nella campagna di Moab, vi si stabilirono. Poi
Elimèlech, marito di Noemi, morì ed essa rimase con i due figli. Questi sposarono donne di Moab, delle quali una si
chiamava Orpa e l'altra Rut. Abitavano in quel luogo da circa dieci anni, quando anche Maclon e Chilion morirono tutti
e due e la donna rimase priva dei suoi due figli e del marito.
Allora si alzò con le sue nuore per andarsene dalla campagna di Moab, perché aveva sentito dire che il Signore aveva
visitato il suo popolo, dandogli pane. Partì dunque con le due nuore da quel luogo e mentre era in cammino per
tornare nel paese di Giuda Noemi disse alle due nuore: "Andate, tornate ciascuna a casa di vostra madre; il Signore usi
bontà con voi, come voi avete fatto con quelli che sono morti e con me! Il Signore conceda a ciascuna di voi di trovare
riposo in casa di un marito". Essa le baciò, ma quelle piansero ad alta voce e le dissero: "No, noi verremo con te al tuo
popolo". Noemi rispose: "Tornate indietro, figlie mie! Perché verreste con me? Ho io ancora figli in seno, che possano
diventare vostri mariti? Tornate indietro, figlie mie, andate! Io sono troppo vecchia per avere un marito. Se dicessi: Ne
ho speranza, e se anche avessi un marito questa notte e anche partorissi figli, vorreste voi aspettare che diventino
grandi e vi asterreste per questo dal maritarvi? No, figlie mie; io sono troppo infelice per potervi giovare, perché la
mano del Signore è stesa contro di me". Allora esse alzarono la voce e piansero di nuovo; Orpa baciò la suocera e
partì, ma Rut non si staccò da lei. Allora Noemi le disse: "Ecco, tua cognata è tornata al suo popolo e ai suoi dei; torna
indietro anche tu, come tua cognata". Ma Rut rispose: "Non insistere con me perché ti abbandoni e torni indietro
senza di te; perché dove andrai tu andrò anch'io; dove ti fermerai mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo
Dio sarà il mio Dio; dove morirai tu, morirò anch'io e vi sarò sepolta. Il Signore mi punisca come vuole, se altra cosa
che la morte mi separerà da te". Quando Noemi la vide così decisa ad accompagnarla, cessò di insistere. Così fecero il
viaggio insieme fino a Betlemme. Quando giunsero a Betlemme, tutta la città s'interessò di loro. Le donne dicevano:
"E' proprio Noemi!". Essa rispondeva: "Non mi chiamate Noemi, chiamatemi Mara, perché l'Onnipotente mi ha tanto
amareggiata! Io ero partita piena e il Signore mi fa tornare vuota. Perché chiamarmi Noemi, quando il Signore si è
dichiarato contro di me e l'Onnipotente mi ha resa infelice?". Così Noemi tornò con Rut, la Moabita, sua nuora, venuta
dalle campagne di Moab. Esse arrivarono a Betlemme quando si cominciava a mietere l'orzo.

Noemi, una donna ebrea, emigra con il marito e i due figli da Betlemme verso la regione di Moab, fuori dalla terra di
Israele. Il marito muore, i ragazzi crescono e sposano due donne moabite: Orpa e Rut. In seguito muoiono anch’essi, e
Noemi rimane sola con le due nuore. Noemi invita Orpa e Rut a ritornare alle proprie case, perché possano risposarsi e
trovare una sorte più felice di quella che lei, ormai vecchia, può garantire loro. Orpa accoglie l’invito a ritornare dai
suoi, mentre Rut replica: “Non insistere con me che ti abbandoni e torni indietro senza di te, perché dove andrai tu,
andrò anch’io, e dove ti fermerai, mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio. Dove morirai
tu, morirò anch’io e lì sarò sepolta” (Rut 1,16-17). Di fronte alla determinazione di Rut, Noemi non insiste e
s’incammina con lei verso Gerusalemme, dove c’era ancora un parente del marito defunto, un uomo di nome Booz,
che Rut finirà per sposare.

La scelta di Rut, che decide di legare la sua esistenza a quella della suocera in maniera radicale e totalmente
disinteressata, è il nodo cruciale di questa storia. Una scelta che porterà conseguenze positive nella vita dei
protagonisti della storia e dell’intero popolo di Israele.
La prima a beneficare della generosità di Rut è la suocera Noemi, che comincia ad assumere un atteggiamento più
positivo sia nei confronti di Dio (cf. la benedizione in Rut 2,19-20), sia nei riguardi di Rut stessa (cf. la premura che ha
in Rut 2,22). Tale cambiamento è legato all’esperienza della vicinanza di Rut, che sostiene la suocera in senso fisico,
procurandole l’orzo con il proprio lavoro, e anche a livello affettivo. Grazie alla compagnia della giovane, infatti, Noemi
riscopre il volto promettente di Dio. Succede spesso, anche nelle nostre vite, che lo scarto tra la teoria e la pratica, tra
quello che si conosce a proposito di Dio e l’esperienza che se ne fa, sia colmato da persone in carne e ossa. Si può
forse dire che, nel caso di Rut e Noemi, l’azione di Dio passi attraverso i sentimenti e gli affetti disinteressati che
arrivano fino al dono totale di sé. Dio non agisce solo attraverso i grandi eventi della storia della salvezza, ma si rende
presente pure nelle nostre scelte di condivisione e di comunione.

Un altro a beneficare della generosità di Rut è Booz, il suo nuovo sposo. Booz, che prende a cuore la situazione delle
due donne, esercita sui loro beni il diritto di riscatto e sposa Rut, ha dei vantaggi di ritorno: lui, non più giovane, avrà
un figlio da Rut, segno che l’accoglienza di chi è più debole è feconda e vitale, soprattutto quando è vissuta non
secondo la misura ristretta di ciò che è dovuto, ma secondo un principio di generosità che trasforma le relazioni tra le
persone, al di là delle etichette e delle appartenenze etniche (Rut infatti non era ebrea, ma straniera).
Infine, le sorti dell’intero popolo di Israele cambiano grazie all’impegno delle persone: di Rut, che genera Obed; di
Booz che dichiara che egli sarà considerato figlio di Maclon, il primo marito di Rut; di Noemi che si prende cura del
bambino, il quale a sua volta si occuperà di nutrire l’anziana donna. È così che la storia di Noemi, Rut e Booz diventa la
storia di Israele, si inserisce esplicitamente nella storia della salvezza: Obed, infatti, figlio Rut e Booz, genererà Iesse, il
padre di David, il re d’Israele, dalla cui stirpe nascerà Gesù.

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 1,39-56)


In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. Entrata nella casa di
Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo.
Elisabetta fu piena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo
grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei
orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole
del Signore».
Allora Maria disse:
«L'anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l'umiltà della sua serva.
D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente
e Santo è il suo nome:
di generazione in generazione la sua misericordia
si stende su quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato a mani vuote i ricchi.
Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
come aveva promesso ai nostri padri,
ad Abramo e alla sua discendenza,
per sempre».
Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.

Maria è per Chiara il modello ispiratrice della propria vita evangelica. Non per nulla Chiara è anche
chiamata “l’Altra Maria”: guardando alla Vergine di Nazareth e ponendosi alla scuola di san Francesco, ella
scopre la sua vocazione di “figlia e ancella dell’altissimo Re, il Padre celeste, madre del santissimo Signore
nostro Gesù Cristo e sposa dello Spirito Santo”, attributi che san Francesco riserbava alla Madre di Dio. 

Chiara ha lo sguardo sempre rivolto a Maria.

Dagli albori al compimento, Maria ha sempre accompagnato la vocazione evangelica di Chiara: è proprio
nella chiesetta di santa Maria degli angeli alla Porziuncola che Francesco consacra a Dio la giovane assisana,
ed è ancora Lei che la accompagna nel suo ultimo transito dalla terra al cielo. Racconta la “Legenda” che in
prossimità della morte di Chiara, una sorella, accanto al suo capezzale, ebbe una beatificante visione: 

«Entra una schiera di vergini in bianche vesti e tutte hanno ghirlande d’oro sul capo. Si avanza tra loro una
più splendente delle altre, dalla cui corona, che appare alla sommità come un turibolo traforato, s’irradia
un tale splendore da mutare in luce del giorno l’oscurità della notte tra le pareti della casa. Si avvicina al
lettuccio, dove giace la Sposa del Figlio e, chinandosi su di lei con tenerissimo amore, le dona un dolcissimo
abbraccio. Le vergini distendono un pallio di meravigliosa bellezza e, tutte a gara servendo, rivestono il
corpo di Chiara e ne adornano il talamo».

L’intera spiritualità di santa Chiara è intessuta di atteggiamenti mariani. Nella terza lettera a santa Agnese di
Praga, ad es., la nostra santa invita Agnese a portare Cristo nel suo grembo, come la Vergine delle vergini lo
portò materialmente:

«A qual modo, dunque, che la gloriosa Vergine delle vergini portò Cristo materialmente nel suo grembo, tu
pure, seguendo le sue vestigia, specialmente dell’umiltà e povertà di Lui, puoi sempre, senza alcun dubbio,
portarlo spiritualmente nel corpo casto e verginale. E conterrai in te Colui dal quale tu e tutte le creature
sono contenute, e possederai ciò che è bene più duraturo e definitivo anche a paragone di tutti gli altri
possessi transeunti di questo mondo».

Chiara, inoltre, indica ad Agnese il “Figlio dell’Altissimo, che la Vergine ha partorito, senza cessare di essere
vergine” e la invita a stringersi “alla sua dolcissima Madre, la quale generò un Figlio tale che i cieli non lo
potevano contenere, eppure ella lo raccolse nel piccolo chiostro del suo santo seno e lo portò nel suo
grembo verginale”. 

Una spiccata sensibilità femminile.

Le immagini sono particolarmente forti ed evocano una spiccata sensibilità femminile e una vocazione alla
maternità. Come Maria, anche Chiara e le sue sorelle generano Cristo nel prendersi amorevole cura le une
le altre, in povertà e umiltà. Anche ai piedi della croce, la nostra santa sta con l’atteggiamento amoroso e
forte della Madre Addolorata: lasciandosi conquistare “dall’ineffabile carità per la quale il Figlio di Dio volle
patire sul legno della croce e su di essa morire della morte più infamante”, (4° Lett.), considera “i dolori
della Madre ritta ai piedi della croce” (Lett. ad Ermentrude). 

La “pianticella” di Francesco (così è chiamata santa Chiara) è donna protesa al cielo, a quella “vita beata ed
eterna dove il Re stesso la unirà a sé nell’etereo talamo” (cfr. Lettere). Ella contempla, nel Crocifisso
povero, il Signore della gloria che siede glorioso su un trono di stelle, al cui profumo i morti risorgono e la
gloriosa visione di lui formerà la felicità dei cittadini della Gerusalemme celeste. 

È Lui che la introdurrà, come Maria, nella sua gloria e la coronerà con la corona della vita.

L’itinerario percorso da Chiara non è riservato a poche “anime elette”, ma ad ogni cristiano che, per il
battesimo, è divenuto dimora della Trinità santissima; lo evidenzia in una sua lettera:

“Sì, è ormai chiaro che l’anima dell’uomo fedele, che è la più degna di tutte le creature, è resa dalla grazia di
Dio più grande del cielo. Mentre, infatti, i cieli con tutte le altre cose create non possono contenere il
Creatore, l’anima fedele invece, ed essa sola, è sua dimora e soggiorno, e ciò soltanto a motivo della carità,
di cui gli empi sono privi. È la stessa Verità che lo afferma: «Colui che mi ama, sarà amato dal Padre mio, e
io pure lo amerò; e noi verremo a lui e porremo in lui la nostra dimora»” (3° Lett.).

O dolce Vergine Chiara, maestra di contemplazione, immagine fedele della Vergine Maria!
Donaci il tuo coraggio e la tua umiltà nel seguire le orme di Gesù e il suo Vangelo, in un cammino di
continua conversione, come ti insegnò San Francesco!
Donaci il tuo amore per la Chiesa e per tutti i fratelli! Il tuo cuore di donna, innamorata di Colui che, per
amore nostro, tutto si è donato, ci aiuti ad amare Dio con tutto il cuore, e a riconoscerlo in ogni fratello e
sorella, come pure nella nostra storia.
Donaci la tua stessa passione per la santa unità, per costruire intorno a noi relazioni sincere e profonde.

O dolce vergine Chiara, la tua vita povera e abbandonata alla Provvidenza sia per noi esempio che ci
incoraggia a vivere con semplicità e sobrietà, in solidarietà con chi è nel bisogno, affrontando fiduciosi
anche le difficoltà del vivere quotidiano.
Tu che hai conosciuto nella tua carne il peso dell'infermità, e fosti tutta tenerezza e carità verso i sofferenti,
insegnaci ad unire le nostre sofferenze alla passione di Cristo, e ad avere compassione per ogni fratello che è
nel dolore.

“In quei giorni, la regina Ester cercò rifugio presso il Signore, presa da un’angoscia mortale. Si
prostrò a terra con le sue ancelle da mattina a sera e disse: «Tu sei benedetto, Dio di
Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe. Vieni in aiuto a me che sono sola e non ho altro
soccorso all’infuori di te, o Signore, perché un grande pericolo mi sovrasta.
Io ho sentito dai libri dei miei antenati, Signore, che tu liberi fino all’ultimo tutti coloro che
compiono la tua volontà. Ora, Signore, mio Dio, aiuta me che sono sola e non ho nessuno
all’infuori di te.
Vieni in soccorso a me, che sono orfana, e poni sulle mie labbra una parola opportuna davanti al
leone, e rendimi gradita a lui. Volgi il suo cuore all’odio contro chi ci combatte, a rovina sua e
di quanti sono d’accordo con lui. Quanto a noi, liberaci dalla mano dei nostri nemici, volgi il
nostro lutto in gioia e le nostre sofferenze in salvezza» ” (Est 4,17k-u).

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 2,1-11)


In quel tempo, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze
anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E
Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori:
«Qualsiasi cosa vi dica, fatela». Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei,
contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le
riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto».
Ed essi gliene portarono. 
Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove
venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono
in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto
da parte il vino buono finora». Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli
manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.

"Questo, a Cana di Galilea, fu l'inizio…"

L'inizio di cosa? Della manifestazione dell'alleanza tra Dio e l'uomo in Gesù, attraverso questo "segno".
Siamo ad una festa di nozze, festa in cui tutti gioiscono perché due persone, lo sposo e la sposa, si
promettono in un vincolo di reciproca fedeltà, alla presenza e nella gioia condivisa con le loro famiglie e gli
amici. Tutta la liturgia è impregnata di sponsalità che rende i due uno, la gioia è il frutto del loro amore: è
festa! Che venga a mancare il vino ad una festa come quella, c’è da non augurarselo mai. Maria, la Madre di
Gesù, senza indugi, si muove a favore della situazione con la stessa prontezza con cui ha risposto
all'arcangelo Gabriele: "Tutto il mondo è in attesa, da' presto il tuo assenso. Rispondi sollecitamente…" (S.
Bernardo) Lei che ha custodito nel suo grembo il Figlio di Dio, impastato di terra e di cielo, del suo sangue e
dello Spirito del Padre, Lei è l'esperta di "unità".

L' ‘ora’ si compie: bisogna fidarsi e viverla. I servi si sono fidati della ‘Serva del Signore’, docili e disponibili
alle sue ‘istruzioni’, loro che sono stati protagonisti e strumenti del primo miracolo del Figlio dell’Altissimo
che rivela la mano potente di Dio. Da dove comincia Gesù? Da sei anfore vuote di pietra.

Come a dire di una capacità ‘piena della mancanza’ di ciò di cui ha bisogno, come le nostre esistenze, tanto
somiglianti a quelle anfore vuote che attendono solo di essere riempite della grazia e dell’amore che solo
trasforma le nostre finitudini in vita.

Le anfore per purificare divengono contenitori di nuova gioia. Cita un canto penitenziale: "La mia debolezza
trasforma in povertà, col dono del tuo amore, lo spirito di gioia."

Dall'acqua al vino, prefigurazione di quello che nell'Ultima Cena sarà il Suo Sangue versato per noi e per
tutti. Qui la novità dell'alleanza sponsale tra Dio e l'Uomo Gesù. A noi consegnare le nostre anfore,
consegnarci come anfore mancanti di ciò per cui sono fatti.

Qualunque cosa vi dica, fatela.

E il vino della nuova alleanza le riempirà.

È preludio dell'unità per l'eternità.

O dolce vergine Chiara, tu che nelle tue ultime parole hai benedetto il Signore per averti creata, ottienici di
comprendere il grande dono della vita... Fa' che un giorno possiamo raggiungerti e cantare eternamente
con te le Misericordie del Signore! Amen.

Genesi 2

1 Così furono portati a compimento il cielo e la terra e tutte le loro schiere. 2 Allora Dio, nel settimo giorno
portò a termine il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro. 3 Dio benedisse il
settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli creando aveva fatto. 4
Queste le origini del cielo e della terra, quando vennero creati.

Quando il Signore Dio fece la terra e il cielo, 5 nessun cespuglio campestre era sulla terra, nessuna erba
campestre era spuntata - perché il Signore Dio non aveva fatto piovere sulla terra e nessuno lavorava il
suolo 6 e faceva salire dalla terra l'acqua dei canali per irrigare tutto il suolo -; 7 allora il Signore Dio plasmò
l'uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente.

8 Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l'uomo che aveva plasmato. 9 Il Signore
Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, tra cui l'albero
della vita in mezzo al giardino e l'albero della conoscenza del bene e del male. 10 Un fiume usciva da Eden
per irrigare il giardino, poi di lì si divideva e formava quattro corsi. 11 Il primo fiume si chiama Pison: esso
scorre intorno a tutto il paese di Avìla, dove c'è l'oro 12 e l'oro di quella terra è fine; qui c'è anche la resina
odorosa e la pietra d'ònice. 13 Il secondo fiume si chiama Ghicon: esso scorre intorno a tutto il paese
d'Etiopia. 14 Il terzo fiume si chiama Tigri: esso scorre ad oriente di Assur. Il quarto fiume è l'Eufrate.

15 Il Signore Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse.

16 Il Signore Dio diede questo comando all'uomo: «Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, 17 ma
dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi,
certamente moriresti».

18 Poi il Signore Dio disse: «Non è bene che l'uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile». 19
Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo e li condusse
all'uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l'uomo avesse chiamato ognuno degli
esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. 20 Così l'uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli
uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche, ma l'uomo non trovò un aiuto che gli fosse simile. 21 Allora il
Signore Dio fece scendere un torpore sull'uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la
carne al suo posto. 22 Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all'uomo, una donna e la
condusse all'uomo. 23 Allora l'uomo disse:

«Questa volta essa

è carne dalla mia carne

e osso dalle mie ossa.

La si chiamerà donna

perché dall'uomo è stata tolta».

24 Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola
carne. 25 Ora tutti e due erano nudi, l'uomo e sua moglie, ma non ne provavano vergogna.

Apocalisse 21, 10-27

10 L'angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme,
che scendeva dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. 11 Il suo splendore è simile a quello di una
gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino. 12 La città è cinta da un grande e alto muro con
dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli
d'Israele. 13 A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e ad occidente tre
porte. 14 Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici
apostoli dell'Agnello.
15 Colui che mi parlava aveva come misura una canna d'oro, per misurare la città, le sue porte e le sue
mura. 16 La città è a forma di quadrato, la sua lunghezza è uguale alla larghezza. L'angelo misurò la città
con la canna: misura dodici mila stadi; la lunghezza, la larghezza e l'altezza sono eguali. 17 Ne misurò anche
le mura: sono alte centoquarantaquattro braccia, secondo la misura in uso tra gli uomini adoperata
dall'angelo. 18 Le mura sono costruite con diaspro e la città è di oro puro, simile a terso cristallo. 19 Le
fondamenta delle mura della città sono adorne di ogni specie di pietre preziose. Il primo fondamento è di
diaspro, il secondo di zaffìro, il terzo di calcedònio, il quarto di smeraldo, 20 il quinto di sardònice, il sesto di
cornalina, il settimo di crisòlito, l'ottavo di berillo, il nono di topazio, il decimo di crisopazio, l'undecimo di
giacinto, il dodicesimo di ametista. 21 E le dodici porte sono dodici perle; ciascuna porta è formata da una
sola perla. E la piazza della città è di oro puro, come cristallo trasparente.
22 Non vidi alcun tempio in essa perché il Signore Dio, l'Onnipotente, e l'Agnello sono il suo tempio. 23 La
città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna perché la gloria di Dio la illumina e la sua
lampada è l'Agnello.
24 Le nazioni cammineranno alla sua luce
e i re della terra a lei porteranno la loro magnificenza.
25 Le sue porte non si chiuderanno mai durante il giorno,
poiché non vi sarà più notte.
26 E porteranno a lei la gloria e l'onore delle nazioni.
27 Non entrerà in essa nulla d'impuro,
né chi commette abominio o falsità,
ma solo quelli che sono scritti
nel libro della vita dell'Agnello.

Potrebbero piacerti anche