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MISSIONE OGGI

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Cristiani e buddhisti
Quale dialogo?

Il buddhismo un fenomeno religioso molto complesso e diversificato al suo interno, al punto che,
molto pi correttamente, bisognerebbe parlare di buddhismi. La vastit del campo dindagine ci
impone inevitabilmente dei limiti, per questo focalizzeremo la nostra attenzione sugli elementi essenziali. Il buddhismo si presenta, infatti, con un ricco e vasto corpus di scritti, composto da stra, insegnamenti e precetti, commentari,
aforismi, epistolari che sono giunti a noi in pli, sanscrito, cinese, tibetano, giapponese e che coprono larco di un millennio. Si presenta
anche differenziato in Veicoli e in numerose Scuole, con notevoli differenze dottrinali. Non dunque facile avere una visione sintetica.
Per questo, dopo una breve presentazione storica delle origini, concentreremo la nostra riflessione su quello che potremmo definire il
cuore del buddhismo, ossia quel nucleo intangibile dellinsegnamento del Buddha che ci interpella in modo particolare come cristiani e
come missionari. Prenderemo in considerazione due questioni fondamentali nel dialogo cristiano-buddhista: quella teologica, una religione
senza Dio; e quella cosmologica, il rifiuto dellidea di creazione, rimandando ad altra occasione laltrettanto rilevante questione antropologica, luomo-essere karmico. Si tratta di uno studio che mira ad un dialogo esigente con il buddhismo, nelle sue molte asimmetrie
con il cristianesimo, per non cadere in preconcetti o precomprensioni da una parte o in ingenui irenismi dallaltra.

di Maria De Giorgi

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Buddha
lasceta silenzioso

dei Sakya

VITA DEL BUDDHA

S
Maria De Giorgi,
missionaria di Maria
(saveriana), dal 1985
in Giappone,
impegnata nel dialogo
interreligioso presso il
Centro Shinmeizan. Ha
conseguito il dottorato
in teologia
allUniversit
Gregoriana di Roma
con una tesi sul
rapporto tra
buddhismo della Terra
pura e cristianesimo.
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Missione Oggi | marzo 2014

econdo le tradizioni buddhiste pi antiche,


Siddharta, noto come il Buddha, lIlluminato, sarebbe nato nel 566 a.C. nella zona nordorientale dellIndia, al confine con lattuale Nepal, non lontano da Kapilavatthu, capitale della
piccola repubblica dei Sakya, di cui suo padre
Suddhodana era capo. Alla sua nascita, un asceta
profetizz a suo padre che Siddharta sarebbe diventato un grande re o un grande santo. Nellintento di farne un grande re, il padre gli diede
unaccurata educazione e lo allev in ogni sorta
di benessere e di piaceri. A 16 anni Siddharta si
spos ed ebbe un figlio, Rahula.
A ventinove anni, rotte le barriere della prigione dorata che suo padre gli aveva costruito
attorno, si avventur fuori del palazzo e scopr
lamara realt della vita di tutti i giorni: incontr

malati e anziani, vide defunti portati alla cremazione e infine incontr un monaco. Questa esperienza cambi radicalmente la sua vita. Lasci
la famiglia, abbandon la vita reale, e cominci
a cercare, come molti altri in quel tempo, la via
della liberazione dalle esistenze e dalle morti, il
cui susseguirsi senza fine imprigiona lindividuo. In quel tempo, infatti, era particolarmente
diffusa la credenza della trasmigrazione delle
anime e gli abitanti di questa zona vivevano nel
timore di rinascere tra i dannati, gli animali, gli
spiriti affamati, con la speranza vaga di giungere
ad una liberazione finale oltre la morte.
Dopo un periodo trascorso nel pi severo
ascetismo rischiando di morire di stenti, Siddharta si rese conto che quella non era la via per giungere alla liberazione. Abbandonate le forme estreme di ascesi, si concentr sulla meditazione (anapanasati) attraverso la quale scopr la via me-

Nei testi
che ci sono giunti,
la narrazione della sua vita
un misto di storia,
leggenda e mito

diana, un sentiero di moderazione tra i due estremi del piacere e della mortificazione estrema.
A trentacinque anni, mentre sedeva in meditazione nei pressi di Bodh Gaya, finalmente raggiunse la retta visione delle cose, emancipandosi dal ciclo delle nascite e rinascite. Siddharta
era ormai diventato un Buddha, un Illuminato.
Trascorse il resto della sua vita insegnando a tutti la via del risveglio che aveva scoperto. Attorno a lui, i discepoli che si riunirono formarono il sangha, lordine monastico. Secondo la tradizione, mor a 80 anni, nel 483, nei pressi di
Kushinagari.
Nei testi che ci sono giunti, la narrazione della sua vita un misto di storia, leggenda e mito.
La maggior parte degli studiosi attuali accetta
che egli sia vissuto, abbia insegnato e fondato
lordine monastico, ma sono critici sui dettagli
delle biografie antiche.

Il momento cruciale della vita


di Siddharta Gautama, che
divide la sua esistenza in un
prima e un poi, la famosa
notte del Vesak durante la
quale Siddharta, seduto in
profonda meditazione sotto
lalbero di pippala (ficus
religiosa), raggiunse
lilluminazione, ossia la retta
visione del reale.
Ma cosa ha visto,
sperimentato il Buddha in
quella notte? Asvaghosa lo
racconta nel cap. XIV della
sua Buddhacarita: Avendo
egli compreso la causa della
nascita e della morte, giunse
gradualmente alla verit.
La verit che vide il Buddha
in questa notte la verit di
prattya samutpda o della
genesi condizionata (W.
Rahula, Linsegnamento del
Buddha, Paramita, Roma

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Linsegnamento
del buddha

1994, p. 65), ossia la verit


che niente di ci che esiste ha
in s la ragione o la radice
della propria esistenza, che
tutto con-causato. Qui sta il
nucleo dellinsegnamento del
Buddha dal quale sono
derivate, come corollari, la
dottrina delle Quattro nobili
verit, del karma e
dellanatt (non s). Vediamo
brevemente i singoli
elementi.

GENERAZIONE INTERDIPENDENTE
Il termine sanscrito prattya samutpda (pli,
patittya samuppada), comunemente tradotto con
generazione, produzione interdipendente, divenire causato o genesi condizionata, assai difficile da rendere nelle lingue occidentali perch
non trova in esse un corrispettivo adeguato.
Espressa dapprima con termini quali nidna,
paccaya (condizione), hetu (causa, condizione
precedente), samudaya (origine), lidea di
unorigine reciprocamente condizionata in virt di un funzionalismo cosmico (R. Panikkar,
Il silenzio del Buddha, Mondadori, Milano
2006, p. 108) trov progressivamente espressio-

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In alto, a sinistra:
Kunagari (India), tempio
buddhista edificato nella
localit dove, secondo la
tradizione, mor il Buddha.
Sopra:
Bodh Gaya (India), grande
statua del Buddha.
A pag. 18 (da sinistra):
Kathmandu (Nepal),
monastero buddhista
Shakya;
Isola di Giava
(Indonesia), tempio
buddhista Borobudur,
bassorilievo raffigurante
(al centro) il principe
Siddharta Gautama
mentre si rade i capelli.

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Le quattro
nobili verit
Le Quattro nobili verit sono: Dukkha (tutto sofferenza, impermanenza);
Samudaya (il sorgere o lorigine di dukkha); Nirodha (la cessazione di
dukkha); Marga (il sentiero che conduce alla cessazione di dukkha). Il
Buddha, ormai convinto, si rivolse allora ai cinque asceti che erano stati
suoi compagni e, nel Parco dei Daini a Benares, per loro diede avvio alla
ruota del Dharma predicando le Quattro nobili verit e insegnando la
pratica dellOttuplice sentiero. Cos facendo, il Buddha cerc di rendere accessibile e comprensibile a tutti la difficile dottrina di pratitya samutpada. Le Quattro nobili verit, infatti, non sono altro che la verit fondamentale del buddhismo, ossia la dottrina della generazione interdipendente, riformulata e predicata alla gente comune. Sappiamo che i cinque asceti ascoltarono il sermone del Buddha, lo misero in pratica, ne verificarono la veridicit, raggiunsero l occhio del Dharma (cio il livello
di conoscenza che permette di percepire il principio della generazione dipendente) e, quindi, lilluminazione.

Dukkha
Dukkha viene normalmente tradotto con sofferenza, ma il termine
riduttivo. Scrive W. Rahula in proposito: La parola pali dukkha (in sanscrito duhkkha) nel senso ordinario significa sofferenza, tormento, dolore o miseria, come opposto alla parola sukha, che significa felicit,

Bodh Gaya (India),


tempio Mahabodhi,
nel luogo
dell'Illuminazione
del Buddha.

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ne compiuta solo nel composto prattya


samutpda che, apparve per la prima volta nel
Suttanipata (v. 653).
Con tale espressione il buddhismo afferma
che: a) tutti i fenomeni che vengono allesistenza sono causati; b) tutti gli esseri sono legati
tra loro da una relazione di interdipendenza per
cui quando questo esiste, quello esiste; quando viene meno questo, quello viene meno; c)
ogni relazione di causa-effetto si attua solo attraverso la mediazione di una condizione
(pratyaya), per cui prattya samutpda non indica solo una semplice relazione sequenziale e
unidirezionale di causa-effetto, ma una relazione di causalit reciproca e simultanea. questa la verit che Siddhrta intu in quella not-

te di plenilunio del mese di Vesakh e che sta al


cuore del suo messaggio. Rettamente intesa,
prattya samutpda indica: a) la natura e la
struttura del reale; b) il modo di esistere di tutto
ci che viene allesistenza, scompare e ritorna
ad essere; c) il dharma in quanto divenire del
reale, che non lascia spazio ad eccedenze metafisiche. Chi vede prattya samutpda vede
il dharma e chi vede il dharma vede prattya
samutpda (Grande stra dellimpronta dellelefante).
Dopo aver raggiunto il supremo risveglio,
per sette giorni il Buddha rimase in profonda
contemplazione gustando la pace e la libert del
cuore. Quindi, sopraffatto dalla compassione per
tutti gli esseri immersi nelleterno mare della na-

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piacere o tranquillit. Ma il termine dukkha come prima nobile verit, che rappresenta il punto di vista del Buddha sulla vita e sul
mondo, ha un significato filosofico pi profondo e un senso enormemente pi ampio. Esso include anche idee pi profonde come quelle di imperfezione, vacuit, insostanzialit. Quindi difficile trovare un vocabolo che
comprenda tutti i concetti racchiusi nel termine dukkha in quanto prima nobile verit
e pertanto meglio non tradurlo, piuttosto
che fornire unidea sbagliata traducendolo
con sofferenza o dolore (Linsegnamento
del Buddha, p. 18). Secondo la filosofia buddhista, lio non che una combinazione di
forze o energie mentali e fisiche che cambiano continuamente e che possono essere divise
in cinque aggregati: a) ruphakanda o aggregato della materia; b) vedanakkhanda o aggregato delle sensazioni (fisiche e mentali); c)
sannakkhandha o aggregato delle percezioni;
d) samkharakkhanda o aggregato delle formazioni mentali; vinnanakkhanda o aggregato della coscienza. Ci che, dunque, chiamiamo essere o io non che un nome convenzionale dato alla combinazione di questi
aggregati. Essi sono tutti impermanenti e in
continuo cambiamento. La nobile verit di
dukkha, dunque, insegna che non c una sostanza immutabile, non c nulla dietro le cose che possa definirsi come un s permanente
(atman), unindividualit, niente che possa
realmente chiamarsi io. I cinque aggregati

uniti insieme sono lo stesso dukkha, impermanenza e cambiamento.

Samudaya
La seconda nobile verit riguarda lorigine di
dukkha, ossia tanha, la sete, il desiderio che
produce la rinascita e il ri-divenire e che si alimenta: a) della sete del piacere dei sensi; b)
della sete di esistenza e di divenire; c) della sete della non-esistenza.
questa sete, questo desiderio che, manifestandosi in vari modi, d origine a tutte le
forme di sofferenza e alla continuit degli esseri. Non tuttavia una causa prima perch
tutto relativo e interdipendente. Anche tanha, infatti, obbedisce alla legge della generazione interdipendente e a, sua volta, dipende
dallapparizione di qualcosaltro, dalla sensazione, dal contatto ecc.

Nirodha
La terza nobile verit lestinzione della sete,
la cessazione del dukkha, il nirvana. Il nirvana, indicibile perch al di l di ogni possibile
espressione, non n causa n effetto. la verit ultima al di l della logica e del ragionamento; vedere le cose come sono realmente,
senza illusione o ignoranza, sapendo che non
c nulla di assoluto nel mondo, che tutto relativo, condizionato e impermanente e che

scita-morte, sent sorgere in s il desiderio di


predicare a tutti ci che aveva visto e compreso.
Ben presto, per, si rese conto che la gente comune non avrebbe potuto n vedere n capire
una verit cos profonda e difficile e pens di
rimanere in silenzio. Fu allora che Brahma,
avendo intuito lintenzione del Beato, gli si avvicin per indurlo a sostenere il primitivo proposito di proclamare a tutti gli esseri il sentiero
che porta alla pace e alla liberazione dalla sofferenza e dalle passioni.

LA DOTTRINA DEL NON-S


Per dottrina del non s, sintende propriamente la dottrina dellantman secondo cui die-

non c una sostanza immutabile e assoluta


come un s, unanima o atman dentro o fuori
di noi. , in altre parole, la cessazione della
continuit e del divenire.

Marga
Marga il sentiero di mezzo che d la visione e la conoscenza, che conduce alla calma, alla visione profonda, al risveglio, al nirvana; lOttuplice sentiero composto da: a)
retta comprensione; b) retto pensiero; d) retta
parola; e) retta azione; f) retta condotta di vita; g) retto sforzo; h) retta consapevolezza; i)
retta concentrazione. LOttuplice sentiero condensa in s tutto linsegnamento che il Buddha, per oltre quarantanni anni, propose a
tutti secondo le capacit di comprensione di
ognuno. La successione degli otto livelli non
cronologica perch tra essi vi simultaneit, luno aiuta lo sviluppo dellaltro e tutti insieme realizzano la disciplina buddhista di sila (moralit), samadhi (disciplina mentale),
praja (saggezza). Sila presuppone: retta parola, retta azione, retta condotta di vita. Samadhi presuppone: retto sforzo, retta consapevolezza, retta concentrazione. Praja presuppone: retto pensiero, retta comprensione.
Il sentiero dunque un modo di vivere che
pu essere seguito, praticato e sviluppato da
chiunque. una disciplina del corpo e della
mente, un autosviluppo che porta allautoliberazione.

tro i fenomeni non esiste nulla che possa essere


considerato un io, un tman, un s o una
qualche sostanza immutabile. Essa la naturale
conseguenza di prattya samutpda, per la quale ogni cosa condizionata, relativa e interdipendente.
Nonostante alcuni autori sostengano che il
Buddha non avrebbe insegnato questa dottrina,
frutto piuttosto di elaborazioni posteriori e di interpolazioni di testi a lui attribuiti, non si pu
negare che la concezione dellantman un
punto centrale del buddhismo come religione viva e che la tradizione viva del Buddhismo
quella di una concezione antmica (R. Panikkar, Il silenzio del Buddha, p. 76), ovvero della
dottrina del non- s.
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NELLAFFRONTARE IL BUDDHISMO DA UN PUNTO DI VISTA


TEOLOGICO, IL PRIMO PROBLEMA CHE SI PONE QUELLO
DEL SILENZIO SU DIO. IL BUDDHISMO , INFATTI, UN
SISTEMA A-TEISTA CHE PRESCINDE DALLA QUESTIONE
DELLESISTENZA DI DIO. DA QUI LA RICORRENTE DOMANDA SE SIA UNA RELIGIONE O UNA FILOSOFIA. PER UN AUTENTICO DIALOGO CON IL CRISTIANESIMO PER IL QUALE

DIO IMPRESCINDIBILE, IL TEMA DI


FONDAMENTALE IMPORTANZA.

IL RIFERIMENTO A

Una religione
senza Dio? La

questione

teologica

IL SILENZIO DEL BUDDHA

li scritti buddhisti sono concordi nel tramandarci la reticenza del Buddha a parlare di
Dio e delle questioni metafisiche. Lungo i secoli, questo silenzio stato, per, oggetto di diverse interpretazioni: vi chi ha sottolineato la
dimensione terapeutica o pragmatica di tale silenzio, chi la dimensione contemplativa. R. Panikkar, da parte sua, ritiene che il Buddha non
soltanto tace, ma che la sua risposta il silenzio
e, ancora, che il Buddha non d alcuna risposta
perch elimina la domanda (Il silenzio del Buddha, p. 251).

Isola di Miyajima
(Giappone),
tempio Daishoin,
Buddha silenzioso.

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Missione Oggi | marzo 2014

SILENZIO TERAPEUTICO
Nei stra primitivi, il Buddha spesso rappresentato come un medico che, diagnosticato il

male e la sua causa, ne indica la guarigione e ne


prescrive i rimedi. Ce ne d conferma il noto
episodio riportato nel stra Culamalunkya, in
cui Malunkyaputta pone al Buddha le famose
domande: Il mondo eterno o temporale? Il
mondo finito o infinito? Il principio vitale il
corpo? Lanima esiste dopo la morte?. Il Buddha, rispondendo a Malunkyaputta, paragona la
bramosia metafisica del discepolo alla stupidit
di un uomo colpito da una freccia avvelenata
che agli amici e parenti che volevano aiutarlo
obiett che non voleva farsi estrarre la freccia
fino a quando non avesse saputo chi laveva colpito (in R. Gnoli, La rivelazione del Buddha,
vol. 1, Mondadori, Milano 2001, pp. 225ss.).
Con questa risposta il Buddha intende dimostrare che la situazione religiosa appartiene ad
una dimensione completamente differente da

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quella metafisica. Questa risposta terapeutica,


tuttavia, non esaurisce il problema e come riconosce il filosofo buddhista Y. Takeuchi nel
silenzio metafisico del Buddha rimane pur
sempre qualcosa di misterioso (Il cuore del buddhismo, EMI, Bologna 1989, p. 36).

SILENZIO PRAGMATICO
La pi antica interpretazione del silenzio del
Buddha si trova probabilmente nella sezione
Maha-vagga del Samyutta-Nikaya del canone
Pli: Una volta il Benedetto soggiornava presso Kosambi nella foresta di simsapa. Quindi,
raccogliendo alcune foglie di simsapa nella ma-

no, chiese ai monaci: Che cosa pensate, monaci? Sono pi numerose le poche foglie di simsapa nella mia mano o quelle nella foresta dei
simsapa?. Le foglie nella mano del Benedetto
sono poche in numero, signore. Quelle nella foresta sono pi numerose. Allo stesso modo,
monaci, quelle cose che ho conosciuto direttamente ma non ho insegnato sono molte di pi
[di quelle che ho insegnato]. E perch non le ho
insegnate? Perch non sono connesse con la
meta, non si riferiscono ai principi della vita
santa, e non conducono al disincanto, al distacco, alla cessazione, alla conoscenza, al risveglio, allIlluminazione. Ecco perch non le ho
insegnate [...] (56.31). Secondo Takeuchi,
questa interpretazione del silenzio del Buddha pu essere intesa come: a) espressione della
fede dei discepoli nella sua onniscienza. Tale
fede li port a concludere che, mentre il Buddha
conosceva la soluzione di tutti i problemi metafisici, tenne loro nascosta tale soluzione perch non necessaria alla nobile ricerca; b) atteggiamento pragmatico del Buddha nei confronti del problema religioso e, per questo, indifferente ad ogni tipo di problema metafisico;
c) rifiuto della trascendenza: Da un punto di
vista puramente filosofico, lintenzionale silenzio del Buddha nei confronti di Dio, dellanima
individuale e del principio supremo corrisponde
ad una risposta negativa e ad un rifiuto di tale
trascendenza. Il netto contrasto tra il suo insegnamento dellantman e la dottrina delltman
propria delle Upanishad ne una conferma (Il
cuore del buddhismo, p. 39).

PER APPROFONDIRE

MARIA A. DE GIORGI
SALVATI PER GRAZIA
ATTRAVERSO LA FEDE
Emi, Bologna 1999
pp. 485; 21,00
presso:
libreria@saveriani.bs.it

In alto, a sinistra:
Dengfeng (Cina), tempio
di Shaolin, uno dei re
celesti che rappresenta
la protezione del mondo
e la liberazione
dalla sofferenza.
Sopra:
Hangzhou (Cina),
Amitabha Buddha
con i suoi assistenti
Bodhisattva
Avalokitesvara,
e Mahasthamaprapta
Bodhisattva.

Missione Oggi | marzo 2014

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SILENZIO CONTEMPLATIVO

Il sorriso del
Buddha e il
suo silenzio
sono la stessa
e identica
cosa. Entrambi
sono una
comunicazione
immediata che
colma la
distanza che
separa
unesistenza
dallaltra

PER APPROFONDIRE

GIANGIORGIO
PASQUALOTTO
BUDDHISMO
Fattore R
Emi, Bologna 2012
pp. 158; 12,00
presso:
libreria@saveriani.bs.it

Una terza interpretazione quella contemplativa (dhyna, samdhi), sebbene non manchi di
punti deboli. A tal proposito vi una leggenda,
nota come Sermone del fiore, tramandata soprattutto dalla tradizione Zen che narra: Un giorno
mentre il Buddha era seduto con i suoi discepoli
si chin a cogliere un fiore di loto. Lo guard e
le sue labbra si aprirono al sorriso. Nessuno dei
discepoli fu in grado di cogliere il significato di
ci. Solo Kasyapa sorrise con lui. Il Buddha lo
not e disse: Sii, dora innanzi un messaggero
del cuore del buddhismo (questo sermone
narrato in un stra spurio la cui autenticit molto discussa, noto come Ta-fa-tien-wangfo-iching, la cui edizione pi antica risale allXI secolo). Il sorriso del Buddha e il suo silenzio sono
la stessa e identica cosa. Entrambi sono una comunicazione immediata che colma la distanza
che separa unesistenza dallaltra.

SILENZIO COME PLACARSI DELLA DOMANDA


A sostenere questa interpretazione soprattutto R. Panikkar per il quale lapofatismo buddhista ontico e ontologico: Il Buddha non solo
tace, ma assume il silenzio come risposta. Ancor
pi, il Buddha non d alcuna risposta perch elimina la domanda. Dissolve, cio, la radice stessa
del problema non cercando di negare direttamente e violentemente Dio n di armonizzare le diverse risposte, ma mostrando la superfluit della
domanda su Dio e sul mondo ultraterreno, la vacuit di ogni possibile risposta e la nichilit di tutta la questione, senza per questo compromettere
lesito di una possibile salvezza e liberazione (Il
silenzio del Buddha, pp. 253-254). Un simile approccio e una tale visione del mondo pongono
certamente delle grosse sfide alla visione cristiana del reale che riconosce un inizio, un fine e un
senso di tutto ci che esiste nellamore creativo,
oblativo e kenotico di un Dio che Padre, Figlio,
Spirito, relazione sussistente damore da cui tutto
ha origine e a cui tutto ritorna. Offre, per, anche
importanti stimoli di riflessione e di indagine per
una pi profonda intelligenza dei dati che la rivelazione cristiana ci dona.

IL SILENZIO: PAROLA ULTIMA O PENULTIMA?


Raimon Panikkar.

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Missione Oggi | marzo 2014

cammino religioso la presa di coscienza della


precariet di tutti gli esseri: Tutto dukkha,
sofferenza, imperfezione, vacuit, insostanzialit. Da questo dato esperienziale e incontrovertibile, il Buddha giunto a intuire la suprema
verit del divenire causato di tutte le cose
(prattya samutpda) e della non sostanzialit di
tutti gli esseri (anicca), verit profonda e difficile da capire per rendere accessibile la quale
elabor la dottrina delle Quattro nobili verit.
A questo proposito, significativo che Il
grande discorso delle cause, contenuto nel
MANUEL AGULLA

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Analizzando linsegnamento del Buddha,


abbiamo visto che il punto di partenza del suo

Il Buddha non solo tace,


ma assume il silenzio
come risposta. Ancor
pi, il Buddha non d
alcuna risposta perch
elimina la domanda

Dgha Nikya, inizi con un dialogo tra nanda


e il Buddha a proposito della difficolt di rettamente comprendere la legge del divenire causato o generazione interdipendente (in R. Gnoli,
La rivelazione del Buddha, vol. 1, p. 47).
Il fatto che il Buddha stesso affermi che nei
confronti di prattya samutpda ci sia mancanza di comprensione e di penetrazione perch
essa pi profonda e difficile di quanto appaia a prima vista, significa che questa verit,
nella sua evidenza rimane pur sempre inafferrabile, indicibile e misteriosa (cfr. S. Agostino,
Confessioni XII,14,17: Meravigliosa profondit della tua Parola! Eppure, ecco, la superficie
ci si stende davanti e ci accarezza come fanciul-

l
irra

nalizzando linsegnamento del Buddha, abbiamo visto che il


cuore lintuizione di pratitya samutpada, ossia che tutto
ci che esiste interdipendente e che nulla di ci che esiste ha in s
la ragione del proprio esistere. Laver visto le cose cos come sono,
nella loro vacuit, ha dischiuso al Buddha anche linfinito orizzonte
del nirvana, di quella regione irraggiungibile della non-rinascita,
che tutto il buddhismo considera ineffabile, indicibile, inesprimibile. E poich il silenzio appartiene al mistero (Gregorio Nazianzeno, Oratio 8,22: PG 35,813) di fronte allineffabile il Buddha non
solo tace, ma elimina alla radice qualunque domanda, in particolare quella su Dio o sul suo Essere (cfr. R. Panikkar, Il silenzio di Dio,
pp. 251. 256). Di fatto, per, Buddha, eliminando alla radice la domanda su Dio come non opportuna al fine terapeutico che si propone, non elimina la questione in s. Oserei dire che la sua una
epoch metodologica. Tacendo su Dio, ma additando come meta la
regione irraggiungibile del nirvana, apre pur sempre alloltre. Il
suo silenzio non parola ultima ma penultima e, come tale, va intesa a partire dal contesto del suo tempo e dalla finalit che si propone. In questo senso, mi sembra importante la precisazione di R.
Panikkar: La domanda non era questa [...]. Siddharta si sempre
rifiutato drasticamente di lasciarsi raggirare nella dialettica del
proprio tempo su Dio (Il silenzio del Buddha, p. 256).
Qual era la dialettica del tempo di Buddha su Dio? Quale idea di
Dio il Buddha rifiuta o rimuove? Qualunque possa essere la risposta, il suo silenzio rimane un alto monito allhomo religiosus di
ogni tempo a non confondere la domanda e soprattutto a non
imprigionare lAssoluto in qualsivoglia categoria mentale, n a ridurlo alle dimensioni della propria mente. E qui possiamo riconoscere al buddhismo un importante ruolo propedeutico e demitizzante, contro la ricorrente tentazione umana di creare un dio a propria immagine e somiglianza. La demitizzazione di false immagini

di Dio e la ricerca del suo vero volto a partire dallesperienza del


dolore , in fondo, anche un grande tema biblico, in particolare del
libro di Giobbe. Ed un tema di estrema attualit, soprattutto di
fronte ai fondamentalismi religiosi perseguiti in nome di Dio.
Del Buddha possiamo dire che, prescindendo dal mistero di Dio, con
tenacia unica nella storia del pensiero religioso, ha sondato la vacuit (Rm 8,20) dellessere e sul suo abisso si fermato immobile
senza nulla chiedere. Non riceve risposte perch non pone domande.
La sua grandezza sta nel non aver forzato le soglie del Mistero oltre
i limiti della ragione umana. Ma il Mistero resta. Un Mistero che
auto-rivelandosi chiede alluomo non solo una comprensione di ragione ma anche di fede. Questa precisazione importante per non
confondere i livelli e per porre le corrette premesse del dialogo cristiano/buddhista. Se, infatti, da un punto di vista antropologico, il
buddhismo certamente una grande scuola di sapienza in cui viene insegnata la radicale insufficienza di questo mondo mutevole
(Nostra aetate 2), da un punto di vista teologico, il suo silenzio
metafisico lascia senza risposte la domanda insopprimibile sul senso e il fine della vita umana e di questo mondo mutevole.
Se vero come attesta Nostra aetate che gli uomini attendono
dalle varie religioni la risposta ai reconditi enigmi della condizione
umana, che ieri come oggi turbano profondamente il cuore delluomo: la natura delluomo, il senso e il fine della nostra vita, il bene
e il peccato, lorigine e lo scopo del dolore, la via per raggiungere la
vera felicit, la morte, il giudizio e la sanzione dopo la sorte, infine
lultimo e ineffabile mistero che circonda la nostra esistenza, donde
noi traiamo la nostra origine e verso cui tendiamo (n. 1), il cristianesimo proprio per la differenza teologica che lo distingue dal
buddhismo portatore di una Parola creatrice capace di fecondare il silenzio del nulla (Gn 1,1ss), di tenere insieme tutte le cose
(Col 1,17), di svelarne lorigine, il senso e il fine (Gv 1,3).

Laver visto le cose cos come sono,


nella loro vacuit, ha dischiuso al Buddha anche
linfinito orizzonte del nirvana, di quella regione
irraggiungibile della non-rinascita, che tutto
il buddhismo considera ineffabile,
indicibile, inesprimibile

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Il silenzio metafisico
del buddhismo
ci interpella

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AWANGTEH.BLOGSPOT.IT

li: invece, meravigliosa profondit, o mio Dio,


meravigliosa profondit). Questa consapevolezza del Buddha ci aiuta a capire anche la sua
reticenza e il suo silenzio davanti alle questioni
metafisiche, che la tradizione ci ha tramandato
come avyakrta-vastu (questioni non disputate
dal Buddha) in sanscrito, e muki in sino-giapponese. I testi buddhisti elencano quattordici
avyakrta-vastu o muki, riducibili a quattro problemi fondamentali: leternit del mondo, la sua
finitezza, lesistenza dopo la morte, lidentit
tra anima e corpo.

I testi buddhisti
elencano quattordici
avyakrta-vastu o muki,
riducibili a quattro
problemi fondamentali:
leternit del mondo, la
sua finitezza, lesistenza
dopo la morte, lidentit
tra anima e corpo

DIRE O NON DIRE DIO?

Longmen (Cina),
statua di Vairocana
Buddha in uno
dei numerosi
santuari rupestri.

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ca attribuiti allo stesso Buddha: Esiste, o monaci, un non-nato, un non-divenuto, un noncreato, un non-formato. Se, o monaci, non esistesse questo non-nato, non divenuto, noncreato, non-formato non si potrebbe conoscere
alcuna via di salvezza [sottrarsi] da ci che
nato, divenuto, creato, formato. Ma, o monaci,
poich esiste un non-nato, un non-divenuto, un
non-creato, un non-formato si pu conoscere
una via di salvezza da ci che nato, divenuto,
creato, formato (in R. Gnoli, La Rivelazione
del Buddha, vol. 1, p. 698.). Commentando

Missione Oggi | marzo 2014

Sebbene il problema dellesistenza di Dio


non sia esplicitamente menzionato, vi per
soggiacente e attraversa tutto il buddhismo. Per
coglierlo nella sua autentica portata, importante partire dal contesto culturale e religioso
in cui il Buddha ha vissuto e lidea della divinit che permeava tale ambiente e chiedersi: il
Buddha ha taciuto-rimosso idee inadeguate di
Dio o ha negato la Realt Ultima, personale e
trascendente che la tradizione monoteista chiama Dio?
La domanda non di facile risposta. Se alcuni testi buddhisti ci autorizzano a dire che il
Buddha ha ammesso lesistenza dei deva, gli
autori buddhisti sono unanimi nel dire che il
Buddha ha categoricamente rifiutato lidea di
un Dio personale e creatore.Ci detto, per,
non va taciuto che la tradizione buddhista conosce anche unaltra interpretazione trasmessaci dagli Udna, antichi versi in forma metri-

questo famoso detto, lo studioso buddhista


giapponese, H. Nakamura, scrive: Il Buddha
credeva in qualcosa che durava dietro i fenomeni mutevoli del mondo dellesperienza (cit.
in H. Dumoulin, Buddhismo, Queriniana, Brescia 1981, p. 77). Queste posizioni contrastanti
sono indicative dellinsopprimibilit della questione. Tacendo, il Buddha elimina forse la domanda, ma non la questione in s. La questione, per altro, di cruciale importanza non solo
per una retta comprensione del buddhismo, ma
anche per il dialogo con il cristianesimo per il
quale il riferimento a Dio costitutivo. Da un
punto di vista cristiano, infatti, non possiamo
fare a meno di domandarci se il silenzio del
Buddha sia aperto a una sorta di trascendenza,
come sembrerebbero insinuare gli Udna, o se,
invece, sia la parola ultima e definitiva che
consacra il nihilismo, levanescenza di tutte le
cose e la loro pura contingenza come affermano alcuni studiosi buddhisti (cfr. R. Panikkar, Il silenzio Buddha, p. 77).

LASTAMPA.IT

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La differenza teologica tra la visione del


buddhismo e quella del cristianesimo si
riflette anche sul piano cosmologico e sulla
visione del mondo. Prescindendo da Dio e
da ogni riferimento metafisico, lo sguardo
del Buddha sul mondo non pu che cogliere
la contingenza in se stessa avulsa da ogni
fondamento (R. Panikkar, Il silenzio del
Buddha, p. 109); il mondo non pu che
apparirgli come impermanente.
Da qui anche lappropriato nome di samsara
(mare del mutamento).

La mancanza
dellidea
di creazione La

questione

cosmologica

UNO DEI PUNTI PI DELICATI DEL DIALOGO

l filosofo M. Abe (1915-2006), della Scuola


di Kyoto, noto per il suo impegno nel dialogo
buddhista-cristiano, soprattutto per aver approfondito il tema della nyat (vuoto), in rapporto
a quello della kenosi, afferma, daccordo con
tutta la tradizione buddhista, che il buddhismo
che insegna la legge della generazione interdipendente e considera linterdipendenza tra gli
esseri come la verit, non accetta la dottrina della creazione (Substance, Process, and Emptiness, in Japanese Religions 11/1980/23).
Questaffermazione ci pone certamente di
fronte ad uno dei punti pi delicati del confronto

buddhista-cristiano. Per il cristianesimo, infatti,


il riferimento a Dio creatore del cielo e della
terra imprescindibile. Per addentrarci in questo non facile terreno, prendiamo in considerazione le interpretazioni che, lungo i secoli, le varie Scuole buddhiste hanno dato di prattya
samutpda. Incroceremo quindi queste interpretazioni con la nozione di creazione nel pensiero
biblico e cristiano, per giungere ad alcune riflessioni conclusive.

LA VERIT DEL BUDDHA INTERPRETATA


Presentando linsegnamento primitivo del
Buddha, abbiamo visto che prattya samutpda
Missione Oggi | marzo 2014

27

la suprema eterna verit intuita dal Buddha


la notte dellilluminazione; il Dharma stesso,
la Realt cos com, la forma/non forma dinamicamente sorgiva di tutti i fenomeni che ne
rende possibile la manifestazione e lesistenza,
il venir meno e il riapparire di nuovo. Per questo, solo a partire da prattya samutpda possibile comprendere la cosmologia buddhista e la
sua visione del reale. Nel corso dei secoli, questa
verit fu diversamente interpretata al punto
che come afferma Y. Takeuchi la storia
dellIndia, della Cina e del Giappone pu esse-

e Hua-yen, nate in Cina rispettivamente nel VI e


nel VII-VIII secolo d.C., rappresentano i due tentativi pi significativi di superare speculativamente la contraddizione, ereditata dallIndia. La
prima scuola considera la natura ultima delle cose come vijna o coscienza: la onnisciente
mente del Buddha che comprende tutta la realt
fenomenica, per cui ogni cosa nel mondo parte
della coscienza del Buddha e ogni cosa possiede
la natura Buddha. La seconda scuola sostiene
che tutti i fenomeni particolari sussistono nellunit dellUnica mente assoluta e che questa

re considerata come una variet dinterpretazioni dello spirito fondamentale della dottrina
della generazione dipendente del buddhismo
primitivo. Possiamo addirittura dire che ogni
paese ha sviluppato un proprio approccio in relazione ai propri retroterra etnici, dando cos origine alle principali scuole e sette conosciute (Il
cuore del buddhismo, p. 117).

Mente unica non indipendente o trascendente i


singoli fenomeni. Insegna la perfetta inter-penetrazione dellassoluto, chiamato principio, e
dei fenomeni. Queste speculazioni, per, non rispondevano sufficientemente al bisogno di concentrazione e di concisione proprio del cammino
religioso. Per questo, in Cina sorsero anche la
Scuola Zen e quella della Terra pura, per raggiungere lilluminazione non gi attraverso la
speculazione mentale, ma attraverso la meditazione e la pratica religiosa. Per quanto riguarda
lidea di prattya samutpda c da tener conto
anche di altri elementi linguistici culturali che
hanno caratterizzato lassimilazione del pensiero
buddhista in Cina. Troviamo infatti una insolita
affinit tra lidea di prattya samutpda, tradotta
in cinese con engi e il termine cinese, di derivazione taoista, jinen che significa natura. Jinen
formato da due ideogrammi ji e nen che significano rispettivamente: da s, spontaneamente e proprio cos, cos com. Da un punto
di vista grammaticale, jinen non un sostantivo,
ma una forma avverbiale che non indica persone
e cose nella loro sostanzialit, ma il loro modo
di essere e la loro relazionalit. facile dunque

VOANEWS.COM

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PER APPROFONDIRE

MARIA DE GIORGI
LA VIA DEL T
NELLA SPIRITUALIT
GIAPPONESE
Uomini e profeti
Morcelliana, Brescia 2007
pp. 69; 7,00
presso:
libreria@saveriani.bs.it

Monaci buddhisti
pregano durante
la cerimonia inaugurale
della Conferenza
internazionale su pace
mondiale e buddhismo
a Mumbai, India.

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Missione Oggi | marzo 2014

IN INDIA. La contrapposizione tra linterpretazione di prattya samutpda come vuoto


(snyat) di Ngrjuna (circa 150-250 d.C.: una
delle prominenti figure del buddhismo
Mahyna, considerato il fondatore della Scuola
Madhyamaka) e quella degli Yogcra che, con
la sua tesi della coscienza intersoggettiva come processo conoscitivo, cre allinterno del
buddhismo indiano una contraddizione che non
ha potuto essere risolta (Y. Takeuchi, Il cuore
del buddhismo, p. 118).
IN CINA. Il buddhismo cinese cerc una soluzione sviluppando un proprio sistema del tutto originale che diede a prattya samutpda uninterpretazione pi esistenziale. Le scuole Tien-tai

capire perch quando il buddhismo entr in Cina


fece suo questo termine che anche per la sua funzione grammaticale ben esprimeva la visione
buddhista del reale basata su engi.

LA NOZIONE CRISTIANA DI CREAZIONE

ARCHIVIO SAVERIANI

IN GIAPPONE. Il Giappone eredit dalla Cina questo ricco patrimonio religioso e culturale che seppe assimilare e adattare dando vita a nuove sintesi. Lidea di jinen radicata nella visione buddhista
di engi ha plasmato profondamente la mentalit
giapponese ed uno degli elementi che rende difficile comprendere e accettare lidea di creazione,

La nozione di creazione ha una posizione


centrale nel cristianesimo, costituendo addirittura il contenuto del primo articolo del Credo.
Un dato che merita di essere rilevato perch
soprattutto a causa della deriva apologetica provocata dallIlluminismo lidea cristiana di
creazione stata, per un certo periodo, equiparata alla nozione metafisica del rapporto causale
tra Dio, Essere supremo, e gli esseri contingenti.
La riduzione razionalista che deriv pose la dottrina della creazione al di fuori per cos dire
del quadro tradizionale del Credo collocandola
in quello dei preambula fidei, preliminari alla rivelazione e, accessibili, di diritto, alla ragione.
Per contro, la teologia del XX secolo ha avviato
un rinnovamento della dottrina che lha situata
nella prospettiva della salvezza e, in continuit
con la migliore tradizione della Chiesa, lha riletta a partire dal mistero trinitario di Dio.

SECONDO LA BIBBIA

come sintetizza con chiarezza Abe. Secondo questultimo, la retta visione del reale basata su engi (prattya samutpda) avvia un processo di
conversione della mente che presuppone un
fondamento logico. Abe individua questo fondamento nella cosiddetta co-dependent originatology. Con questespressione da lui stesso coniata,
Abe intende riferirsi alla struttura fondamentale
di prattya samutpda attraverso la quale sono rese possibili le varie forme di generazione dipendente. Una tale visione del reale sembrerebbe
porsi in diretta e irreversibile contrapposizione
con quella biblico-cristiana che concepisce il reale come espressione dellopera di Dio. Per dovere
di completezza, per, doveroso accennare qui
ad unaltra prospettiva che ci viene dagli antichi
testi buddhisti. Negli Udna, infatti, troviamo
lesplicito riferimento ad una realt non nata,
non diveniente, non composta che sembra andare oltre la relazione di generazione dipendente
(VIII,3). Questa tensione interna al buddhismo,
come le altre contraddizioni non risolte, lungi dallo svuotare di significato e di attualit il confronto
con lidea cristiana di creazione, rende tale confronto ancora pi stimolante e necessario.

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Un primo dato di cui tener conto che narrando della creazione del mondo e delluomo
/donna, la Bibbia non intende descrivere la struttura o le origini delluniverso, n porre laccento
sulla sua genesi e relativa modalit. Intende,
bens, affermare che tutta la creazione dotata
di senso, ha una sua ragione ultima e un suo fine.
Per la Bibbia, il mondo e luomo/donna in esso,
non sono n natura n cosmo, n formano una
totalit chiusa che si genera e rigenera, ma una
radicale novit dellamore. A questo proposito,
mi sembrano stimolanti alcune riflessioni di E.
Levinas, per il quale il senso profondo della
creazione biblica va individuato nellintroduzione della paradossale alterit fra tutto ci che
esiste e Dio (cfr. Totalit e infinito, Jaca Book,
Milano 1990, p. 106). Un secondo dato di cui
temer conto riguarda la peculiare posizione
delluomo/donna in rapporto alle altre creature.
La creazione delluomo/donna si caratterizza, infatti, per una duplice eccedenza rispetto agli altri
esseri: a) luomo/donna non una parte del mondo, un prodotto della natura, ma il suo destinatario, per cui la creazione biblica e resta esplicitamente antropocentrica; b) luomo/donna
creato a immagine e somiglianza di Dio e come
suo corresponsabile nella gestione del creato (Gn
1,26-27). Per la Bibbia solo attraverso la creazione delluomo/donna si svela il senso ultimo e

Un primo dato
di cui tener
conto che
narrando della
creazione del
mondo e
delluomo
/donna, la
Bibbia non
intende
descrivere la
struttura o le
origini
delluniverso,
n porre
laccento sulla
sua genesi
e relativa
modalit

Centro di spiritualit
e dialogo Shinmeizan
(Giappone),
monaco durante
la cerimonia del t.

Missione Oggi | marzo 2014

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Il buddhismo
ci provoca
a ripensare
la dimensione
relazionale
dellessere creato

on lintuizione di pratatya samutpada, il


Buddha vede tutto il cosmo nel suo divenire e nella sua mutua connessione e comprende che la relazione dinterdipendenza il
modo di essere delle cose. Vede, cio, la relativit radicale e costitutiva di tutto, la concatenazione universale di tutte le cose. Nulla,
infatti, ha in s la ragione del proprio esistere;
nulla ha una natura propria. Tutte le cose si
sostengono solo in quanto si ritrovano nel
flusso del divenire, nel samsara. Nulla pu
sfuggire a questa condizionalit radicale e costitutiva: anche alluomo non riservata una
dignit particolare e lo stesso Buddha viene
incluso nella concatenazione universale.
legittimo perci chiederci: pratatya samutpada non attira, alla fine, in un circolo vizioso: tutto dipende da tutto, ogni essere dipende
dagli altri, e questi da quelli cos come questi
da quello. Ma il tutto da chi dipende? (cfr. R.
Panikkar, Il silenzio di Buddha, p. 113). Il Buddha, a questo interrogativo non risponde.
Giunto sulla soglia del Mistero tace: ha compreso lintima natura delle cose, ha colto la
precariet del tutto, ha intuito lineffabilit
del non-nato, non-divenuto, non-creato, nonformato, ma non ha visto per cos dire
il perno della ruota attorno a cui tutto gira
in modo non causale, ma armonico e coerente; il nodo da cui tutto si squaderna, per
usare la bella espressione di Dante (Paradiso
XXXIII), e, coerentemente con le sue premesse
tace. Resta tuttavia il punto fermo della relazionalit di tutte le cose e della loro reciproca
interdipendenza-solidariet come acquisizione inequivocabile. Ed su questo punto che il
confronto e il dialogo possono rivelarsi particolarmente fecondi.
Fin dalle sue prime pagine la Bibbia presenta
la creazione di tutte le cose come opera di
Dio. In questo modo afferma sia: a) la dipendenza ontologica di tutto ci che esiste da
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Missione Oggi | marzo 2014

lui, b) sia lintrinseca precariet dellessere


creato: ci che esiste, esiste in quanto ha una
relazione vitale con Dio (Sl 104, 29-30); c) pur
nella sua precariet, lessere creato ha una
sua bellezza/bont (tob, kalon, bonum) intrinseca che gli deriva dallessere creatura
Dio, e ha, soprattutto, una sua finalit (Gn
1,10; Sap 1,14; 11,24-26).
La Bibbia coglie lordine e larmonia del cosmo come espressione dellopera creatrice di
un Dio che conosce la voce di ogni sua creatura: Lo Spirito del Signore riempie la terra
e, tenendo insieme ogni cosa (synesteken) ne
conosce la voce (Sap 1,7). Vi un elemento
di unit che salda gli esseri tra loro in un ordine superiore che non caos e non caso:
il piano di Dio. Lintuizione biblica di questo piano, che tiene insieme tutte le cose
nella loro singolarit e mutua relazionalit,
si far via via pi chiara con la presa di coscienza del ruolo del Cristo/Logos nella creazione. Il Logos, il Figlio, per mezzo del quale
e in vista del quale tutto stato fatto, il
perno che tiene insieme tutte le cose, che
d loro senso; che le riscatta dalla precariet
perch le pone in rapporto con Dio.
Dagli elementi emersi, appare evidente che
la Bibbia ha una visione dinamica e relazio-

Dobbiamo essere grati al


buddhismo di provocarci
a ripensare la dimensione
relazionale cos essenziale
dellessere creato. su
questa base che il dialogo
con il buddhismo pu,
infatti, rivelarsi
particolarmente fecondo
sia a partire dai punti
convergenti sia da quelli
divergenti
Pierre Teilhard De Chardin.
CONTEMPLARLAIC.BLOGSPOT.IT

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nale dellessere creato per il quale la relazione a Dio e linterazione reciproca sono elementi costitutivi del suo stesso DNA. In particolare, lessere umano compreso sulla base della triplice relazione che lo costituisce
fin dallorigine: relazione a Dio, relazione uomo-donna, relazione al mondo. Come scrive
in Caritas in veritate Benedetto XVI: La rivelazione cristiana sullunit del genere
umano presuppone uninterpretazione metafisica dellhumanum in cui la relazionalit elemento essenziale (n. 55).
Dobbiamo essere grati al buddhismo di provocarci a ripensare la dimensione relazionale cos essenziale dellessere creato. su questa base
che il dialogo con il buddhismo pu, infatti, rivelarsi particolarmente fecondo sia a partire
dai punti convergenti sia da quelli divergenti.
Nella visione biblico-cristiana la relazione che
lega tra loro gli esseri orientandoli come individui e come tutto organico a Dio, non una
legge inesorabile che si autoperpetua, una
ruota che gira su se stessa senza fine, ma un
rapporto filiale che ha il suo radicamento
nella relazione intratrinitaria sussistente di
Dio, ossia nel mistero della Trinit.
Una visione che deriva non dallintuizione
mistica, ma dalla rivelazione divina e che
presuppone unadesione di fede. Non a caso,
S. Tommaso scrive che la conoscenza (di fede) delle persone divine necessaria per avere unadeguata comprensione della creazione (Summa Theologica, I,32,I ad 3). A prescindere da questa conoscenza non possibile cogliere rettamente lessere delle cose, la
loro relazionalit e mutua interazione; il
senso e il destino ultimo del mondo e delluomo. Questa diversa conoscenza certamente lelemento discriminante tra la visione buddhista, basata sullintuizione, e quella
cristiana del mondo e delluomo, basata sulla rivelazione. Cionondimeno, la nozione
buddhista di pratityta samutpada una potente provocazione a rivisitare e approfondire aspetti della teologia della creazione ancora non sufficientemente esplorati, quali:
la solidariet cosmica di tutti gli esseri, il loro comune destino, la ricapitolazione di tutte le cose in Cristo; le implicazioni di una cristologia cosmica che riscopra, come gi auspicava Teilhard de Chardin, il ruolo cardine
di Cristo qui replet omnia, in quo omnia
constant; nel quale e per il quale tutto
stato fatto, nel quale tutto trova coesione e
compimento.

radicale di tutta la creazione: essa dono che la


libera volont di Dio offre alluomo /donna, costituiti liberi, e cio capaci di accogliere il dono
o di rifiutarlo, di collaborare con Dio o di ergersi
contro di Lui. il misterioso dramma della libert umana cui Dio non ha temuto di sottoporre
la sua opera. Gn 3 narra miticamente il tragico
tradimento di questa libert, mentre Gn 4, in modo ancor pi drammatico, narra le sue conseguenze. Nel Nuovo Testamento, la riflessione si
arricchir ulteriormente attraverso la presa di coscienza della mediazione creatrice del Verbo
(Col 1,15-20; Ef 1,3-14; Gv 1,1-18).

il misterioso dramma
della libert umana cui Dio
non ha temuto di sottoporre
la sua opera

IL PENSIERO CRISTIANO
Sebbene la teologia abbia impiegato secoli
prima di elaborare una dottrina della creazione,
gli insegnamenti veterotestamentari, arricchiti
dalla novit del Nuovo Testamento, appaiono
chiaramente nella riflessione teologica gi dai
primi secoli. La creazione, per altro, sempre
stata oggetto di un possesso sereno nella Chiesa
e non ha mai dato adito a difficili controversie,
come per altri argomenti dogmatici. Con lo sviluppo progressivo del dogma, vennero via via
evidenziate tre dimensioni dellazione creatrice
di Dio: la creatio prima, la creatio continua e la
creatio escathologica. In questo contesto mi limiter ad alcune riflessioni a partire dalla creatio prima sia perch essa a torto o a ragione
considerata laspetto che distingue la concezione cristiana del mondo da quelle delle altre

tradizioni religiose o filosofie antiche, sia perch


presenta spunti di particolare interesse nel dialogo con il buddhismo.
La nozione classica che definisce la creatio
prima, ossia lazione creatrice in principio,
la creatio ex nihilo. Questa nozione, per i significati metafisici che ha assunto lungo i secoli,
stata spesso equivocata, soprattutto da una certa
critica scientista. In realt, essa ha avuto una
funzione critica e un ruolo importante nello sviluppo e nella formulazione del dogma. Nihil, infatti, il concetto a cui la teologia ricorsa per
distinguere nettamente il concetto di creazione
da quello di produzione e per sottrarre lazione
creatrice alla concatenazione cronologica tipica
del rapporto di produzione. Nel rapporto di produzione infatti di cui la dinamica produttiva
del karma un esempio tipico vi soggiacente
il principio filosofico che attribuisce al passato
una priorit sul futuro. A partire da tale principio, un evento o una situazione della natura vengono spiegati a partire da ci che li ha preceduti.
Nella prospettiva della creatio ex nihilo, invece,
lesistente compreso non a partire dal passato,
ma da qualcosa di radicalmente nuovo, inedito,
che viene solo da Dio e dalla sua infinit libert.
Non a caso lidea della creatio ex nihilo ha il suo
radicamento biblico nella speranza della risurrezione dai morti (2Mac 7,28; Rm 4,17; 2Cor
4,14), che ha trovato nella risurrezione di Cristo
il suo inveramento definitivo. solo nellevento
pasquale di Cristo, che la fede cristiana comprende in pienezza anche la verit della creazione: come Dio ha richiamato alla vita nuova il
suo Figlio dallabisso della morte, cos dallabisso del nulla chiama allesistenza tutte le cose:
Aperta la mano dalla chiave dellamore, le
creature vennero alla luce (S. Tommaso, In libros sententiarum 2, prol.).
In questa prospettiva, la creatio ex nihilo rivela in pienezza il suo significato come creatio
ex plenitudine amoris. Una pienezza damore
che sgorga dalla libert e dallintimit del Padre,
del Figlio e dello Spirito Santo; che si riversa
con sovrabbondanza su tutto il creato e risana in
radice il cuore delluomo peccatore. alla luce
di questa ontologia che il pensiero cristiano interpreta lantropologia e penetra il mistero della
salvezza umana fino a poter dire con S. Tommaso: unopera pi grande trasformare in giusto
un empio che creare il cielo e la terra (Summa
Theologica, I-II, q. 113, a. 9).

dossier

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La creazione
sempre stata
oggetto di un
possesso
sereno nella
Chiesa e non
ha mai dato
adito a difficili
controversie,
come per altri
argomenti
dogmatici

Citt del Vaticano,


cappella Sistina,
Michelangelo,
la creazione
(particolare).

Missione Oggi | marzo 2014

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CHRIS BRITISH

dossier

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Per non
concludere
n dossier non certamente sufficiente per approfondire
tematiche vaste come quelle da noi affrontate. Spero che
serva almeno per farci cogliere lestrema complessit del buddhismo. Le varie tradizioni buddhiste non sono riducibili a mere
tecniche di meditazione. Veicolano, infatti, una specifica visione
del mondo e delluomo di cui occorre essere consapevoli, proprio
in vista di un dialogo costruttivo e fecondo da ambe le parti.
Il grande teologo Romano Guardini (nella foto) scriveva gi negli anni Trenta: Non c che un personaggio che potrebbe dare
lidea di vicinanza a Ges: Buddha. Questuomo rimane un
grande mistero. Vive in una libert impressionante, quasi
sovrumana, anche se dotato di
una bont possente come una
forza cosmica. Buddha forse
lultimo genio religioso col
quale il cristianesimo dovr
confrontarsi. Nessuno ha ancora messo in luce il suo significato cristiano. Il Cristo forse
non ha avuto un precursore
solamente nellAntico Testamento, Giovanni, lultimo dei
profeti, ma un altro in mezzo
alla civilt antica, Socrate, e un terzo che ha detto lultima parola della filosofia e dellascetismo religioso dellOriente: Buddha. Egli libero, ma la sua libert non quella di Cristo. Forse
non che la conoscenza ultima e terribilmente liberatrice della
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Missione Oggi | marzo 2014

ARTHUR GRGER

vanit del mondo decaduto. La libert di Cristo invece promana


dal suo radicarsi completo nellamore di Dio; la sua disposizione
la volont, grave come quella di Dio, di salvare il mondo (Il
Signore, Morcelliana, Brescia 2005, pp. 404-406).
Il dialogo cristiano-buddhista certamente ancora allinizio. Le
asimmetrie sono molte ed esigono rigorosit di linguaggio e di
concetti per non cadere in preconcetti o precomprensioni da
una parte o in ingenui irenismi dallaltra. Dal punto di vista
teologico, ci sono certamente molti aspetti del pensiero buddhista che vanno meglio conosciuti ed esplorati e aspetti del pensiero cristiano che vanno meglio spiegati e fatti comprendere
agli interlocutori buddhisti.
Limpegno deve essere reciproco. Ricordo un piccolo fatto, per
me particolarmente significativo. Da anni partecipo, insieme
al padre saveriano Franco Sottocornola, ad un gruppo di studio
cristiano-buddhista che si incontra periodicamente a Fukuoka
(Giappone). Due anni fa abbiamo dedicato i nostri incontri allantropologia (chi luomo per il buddhismo e chi luomo per
il cristianesimo). A me fu chiesto di presentare il fondamento
della dignit umana dal punto di vista cristiano. Cercai di spiegare il significato dellessere persona, creata a immagine e somiglianza di Dio. Durante la discussione, un bonzo del Jado
Shinsha disse: Dopo aver ascoltato la sua esposizione mi sembra di capire meglio anche le conseguenze di queste premesse.
Mi rendo conto che come buddhisti non abbiamo un fondamento dottrinale per affrontare, ad esempio, il discorso dei diritti
umani. Ne segu un dibattito molto interessante che mi ha ulteriormente convinta che, nel dialogo, pi importante suscitare domande che dare risposte. Solo cos, infatti, la ricerca verso la verit pu avanzare nel rispetto reciproco.
La scorciatoia che cerca di far convergere tutte le religioni in
un minimo comune denominatore il vero grande ostacolo al
dialogo perch nega la specificit di ciascuna. Paradossalmente,
proprio le asimmetrie rendono il dialogo fecondo e creativo.
Ogni tradizione religiosa ha una sua verit non-negoziabile
ed proprio a partire da questo nucleo non negoziabile che il
dialogo pu diventare catarsi, ricerca e ascolto, via che avvicina
alla verit e apre a una pi profonda condivisione fondata
n
sullunit della verit (Benedetto XVI).

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