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1:5 Per questa ragione ti ho lasciato a Creta: perché tu metta ordine alle cose che rimangono
da fare, e costituisca degli anziani in ogni città, secondo le mie istruzioni, 6 quando si trovi chi
sia irreprensibile, marito di una sola moglie, che abbia figli fedeli, che non siano accusati di
dissolutezza né insubordinati.7 Infatti bisogna che il vescovo sia irreprensibile, come
amministratore di Dio; non arrogante, non iracondo, non dedito al vino, non violento, non
avido di guadagno disonesto,8 ma ospitale, amante del bene, assennato, giusto, santo,
temperante,9 attaccato alla parola sicura, così come è stata insegnata, per essere in grado di
esortare secondo la sana dottrina e di convincere quelli che contraddicono.
1:5 Per questa ragione ti ho lasciato a Creta: perché tu metta ordine alle cose che rimangono
da fare, e costituisca degli anziani in ogni città, secondo le mie istruzioni,
Per questa ragione. Significa: per il legame che ha con Paolo, come è stato detto nel versetto
precedente. Ciò lo qualifica a continuare l’opera dell’Apostolo.
Ti ho lasciato a Creta. Evidenzia che Paolo c’è stato, forse per poco tempo (Jeremias), che Tito era
con lui ed è stato lasciato lì una volta che Paolo era partito.
Non sappiamo con precisione quando S. Paolo abbia evangelizzato l’isola di Creta, a sud-est
del Peloponneso, naturale ponte di comunicazione fra le coste della Grecia e l’Asia Minore.
Gli Atti (27:8,9) ci parlano di una sosta dell’Apostolo a Creta “per un notevole tempo”,
nell’occasione del suo viaggio a Roma dopo l’appello a Cesare: potrebbe darsi che già allora
abbia approfittato per predicarvi il Vangelo. Certamente però S. Paolo è stato a Creta anche
un’altra volta, e precisamente quando vi lasciò Tito per “completare” il suo lavoro: questo
potrebbe essere avvenuto dopo la liberazione dalla prima prigionia romana (64 circa d.C.).1
Perché tu metta ordine alle cose che rimangono da fare. Mettere ordine significa che qualcosa è
stato fatto o iniziato, ma rischia di prendere una via traversa se non si vigila e non lo si indirizza. Ci
son cose che rimangono da fare: occorre dunque continuare l’opera aggiungendo altri elementi
organizzativi o anche teorici con l’approfondire, ribadire o precisare le spiegazioni dottrinali
ricevute che possono essere state fraintese o necessitare di ampliamento. Non escluso il fatto che la
presenza di eretici rende incessante un’attività di insegnamento e di cura d’anime.
Questa frase può anche servire come chiarimento nel caso a Creta alcuni pensassero che dopo la
prima, approssimativa, forma di organizzazione, non fosse necessario perfezionarla.
È possibile che per poter procedere Tito desiderasse o necessitasse un’autorizzazione speciale e
pubblica da parte di Paolo.
1
CIPRIANI, p. 127. Stessa ipotesi formulata dal SDABC VII, p. 360.
Che la scelta dei capi delle singole comunità tra ‘gli anziani’ non sia stata affidata alle stesse
comunità, è dovuto al fatto che le comunità di missione erano state costituite da poco tempo.3
Comunque sia avvenuta questa nomina di anziani, “il modello di organizzazione ecclesiastica a cui
si ispira Tito 1:5 è quello degli Atti degli Apostoli, dove si racconta che Paolo e Barnaba, dopo la
prima missione nell’altopiano anatolico, costituirono in ogni comunità alcuni anziani, gr.
presbyteros, 14:23”.4
Probabilmente a Creta non vi erano ancora dei diaconi. Ci sembra normale che prima dei diaconi si
proceda alla nomina di anziani i quali, poi nelle rispettive chiese, potranno presiedere alla elezione
di diaconi.
Il Jeremias si chiede se qui si segue il modello di parroco.5
Quello che si nota subito in questo nuovo manuale per i capi di comunità è il passaggio
brusco dal plurale, ‘presbiteri’, del v. 5, al singolare episkopos (vescovo – N.d.R.) del v. 7. In
realtà anche nell’elenco dei requisiti per i presbiteri le formule sono al singolare. Comunque
rimane aperto questo problema: si tratta delle stesse persone o di un collegio presbiterale che
ha come presidente uno chiamato episkopos? Certamente la figura dell’episkopos non
coincide con quella del vescovo ‘monarchico’ delle lettere di Ignazio di Antiochia. Esso è
molto più vicino agli episkopoi del linguaggio degli Atti 20:28 e di Filippesi 1:1.6
2
Atti 1:15-26.
3
JEREMIAS, p. 117.
4
FABRIS, pp. 436,437.
5
Cfr. comm. JEREMIAS a 1 Timoteo 3:1 – cfr. con 3:1-7.
6
FABRIS, p. 437. E ancora, in una nota della stessa pagina: “Neppure l’appellativo di oikonomos del v. 3, dato
all’episkopos, può essere considerato come un segno distintivo rispetto ai presbiteri. Esso è titolo generico per indicare
Corso sulla Lettera a Tito Autore Giovanni Fantoni Lez. 2
In ogni città. Il cristianesimo aveva già preso piede in più città. Forse non tutte le congregazioni,
ma sicuramente molte, in quel tempo, godevano dei servizi di un collegio di anziani, piuttosto che
uno singolo. Tale fu il caso, ad esempio, di Gerusalemme e di Efeso. Forse uno di essi fungeva
anche da presidente del collegio, oppure la presidenza veniva esercitata a turno. Non c’è dubbio,
comunque, che un presidente, una sorta di primo anziano, fosse necessario: un collegio, un
consiglio, non può funzionare senza uno che, come minimo, faccia da moderatore e lui stesso, o un
altro, da segretario. Forse l’incarico di tesoriere era affidato ad un diacono che, in collaborazione
con l’intera diaconia, si occupava degli aspetti più materiali della gestione della chiesa.
Il fatto che Paolo dica “in ogni città” anziché “in ogni chiesa” può forse significare soltanto che in
una città, in quel tempo, non vi fosse più di una chiesa. È sottinteso che in molte città e villaggi non
ve ne fosse neppure una. Comunque quella di anziano è una funzione che si riferisce ad una chiesa e
non ad una città. Una chiesa può aver più anziani. Se in una città ci fossero state più chiese,
sicuramente per la trattazione di certi problemi e l’organizzazione di determinati programmi si sarà
creato un consiglio di anziani interchiese, per far sì che vi fosse una collaborazione fra le varie
congregazioni. A Gerusalemme sarà andata certamente così.
Secondo le mie istruzioni. Tito dipende da Paolo, ha ricevuto una delega da lui. Perciò, gli vengono
pure date delle direttive generali. Vi vanno incluse quelle che vengono enunciate nei versetti che
seguono riguardanti le qualità richieste ad un anziano.
REQUISITI DELL’ANZIANO-VESCOVO
1:6 quando si trovi chi sia irreprensibile, marito di una sola moglie, che abbia figli fedeli, che
non siano accusati di dissolutezza né insubordinati.
Quando si trovi chi sia irreprensibile.7 Significa “che non può essere ripreso”, non può essere
rimproverato. Dunque, chi abbia buoni motivi per essere stimato dalle persone della chiesa,
innanzitutto, e, magari, anche da quelle di fuori. Si può ritenere che l’irreprensibilità richiesta sia
rappresentata dalle caratteristiche menzionate nel versetto 7 (cfr. Jeremias). E perché non anche dai
versetti 8 e 9? Infatti, quella dell’irreprensibilità è una virtù dal significato relativamente generico e
onnicomprensivo, che proprio per questo si prestava a comparire in testa agli elenchi di virtù per i
presbiteri.8
Con questo requisito incomincia un elenco che di per sé non è esaustivo: ha un puro valore
indicativo e viene dato a titolo di esempio.
Marito di una sola moglie. Vediamo varie ipotesi:
1) L’ingiunzione non significa che un anziano o vescovo dovesse essere per forza sposato,
altrimenti non si capisce come mai Paolo non lo fosse e, in certe circostanze, arrivasse a
incoraggiare altri a fare come lui.9
2) È altrettanto evidente l’assenza del celibato ecclesiastico nella chiesa apostolica.
3) Ci può semmai essere un incoraggiamento al matrimonio, specialmente per chi dirige la chiesa,
purché in regime monogamico. Chi la pensa così si appoggia sul fatto che chi ha un’esperienza
un ‘responsabile’ o sovrintendente nella comunità conforme a una tradizione cristiana già consolidata, cfr. Luca 12:42;
1 Corinzi 4:1,2; 1 Pietro 4:10.
7
“La lista di qualità richieste per i presbiteri, 1:6, e poi per il ‘vescovo’ 1:7-9, corrisponde sostanzialmente a quella di
1Tm 3:2-7. Si tratta di quelle virtù o attitudini umane spirituali apprezzate nell’ambiente ellenistico e richieste anche per
ogni aspirante alle cariche pubbliche di responsabilità”. (FABRIS, p. 437).
8
Cfr. OBERLINNER, Op. cit., p. 40.
9
1 Corinzi 7:7,8,26,28. Paolo onora il matrimonio: Efesini 5:22,33; 1 Timoteo 4:3; Ebrei 13:4.
10
1 Corinzi 7:9.
11
Ci risulta che nelle missioni si sia seguita questa regola che deve aver arrecato non poco pregiudizio alle donne che
venivano escluse dal vincolo matrimoniale a vantaggio di una sola che lo avrebbe conservato. Dati i sistemi sociali, con
le difficoltà di vario genere e, credo, piuttosto gravi, che si ingenerano in simili casi, c’è da chiedersi se sia stato un
bene procedere così bruscamente. Un conto è incominciare con una sola moglie e restare con quella. Altra cosa e averne
di più e ripudiarle tutte eccetto una. Il ripudio è fonte di dolore e di emarginazione con gravi conseguenze. Però, dalla
mia posizione non sono in grado di valutare bene e di giudicare con sicurezza.
12
Cfr. SDABC VII, p. 298.
13
JEREMIAS, p. 117.
Corso sulla Lettera a Tito Autore Giovanni Fantoni Lez. 2
5:32; 19:8,9). In simile contesto sarebbe stato inidoneo all’incarico un membro di chiesa che
avesse divorziato per motivi ritenuti insufficienti.
Che abbia figli fedeli. “Nell’ambiente antico il disordine morale o disciplinare dei figli gettava il
discredito sulla famiglia, primo test per l’abilitazione di un uomo alle cariche pubbliche” 14 e, per
quanto riguardava la chiesa, la famiglia sana era considerata una garanzia di stabilità e sicurezza
nella fede. Ci si aspettava, perciò, una famiglia esemplare.
Se si parla di “minorenni”, come diremmo oggi, si capisce che soprattutto in nome della pedagogia
del tempo, il pastore doveva essere in grado di tenere i figli sotto controllo. Ma ciò non si sposa
tanto con l’aggettivo “fedeli”, in quanto chi è corretto perché controllato non dovrebbe venir
definito propriamente fedele (fedele a Dio), ma piuttosto “ubbidiente ai genitori”. Forse ci si
riferisce ai figli maggiorenni ma che abitano ancora col padre, sposati o no. È abbastanza probabile
in una concezione ancora piuttosto patriarcale della famiglia. D’altra parte i figli fedeli dovevano
essere considerati un titolo di merito per i genitori, specialmente per il padre, capo della famiglia.
Anche oggi lo sono, ma il contrario non è considerato un tal demerito da rendere inidonei alla carica
di anziano; è un dettaglio che può, al massimo, rappresentare un titolo preferenziale. Ancora più
forte sarebbe quanto Paolo esige se si trattasse di figli sposati che non vivono più con i genitori. Ma
forse non era una pretesa del solo Paolo e nemmeno faceva una gran differenza rispetto a figli che
coabitassero ancora coi genitori. I tempi erano chiaramente diversi dai nostri e, per certi aspetti,
anche i rapporti fra genitori e figli.
Naturalmente con ciò non voglio affatto sminuire la gioia e l’importanza di avere dei figli che
seguono la via che i genitori ritengono giusta. Indubbiamente ciò fa piacere alla chiesa anche oggi e
le è utile; quando però non si tratta di un’appartenenza o fedeltà formale. Perché ciò sia vero essi
devono vivere un’autentica esperienza col Signore che si riverbera nella loro condotta e nei loro
rapporti con gli altri. Infatti nel greco sta scritto: técna èkon pistà = avente figli credenti.
Che non siano accusati di dissolutezza. Vien da pensare alla parabola del Figliuol Prodigo. Quel
buon padre della parabola sarebbe o no stato degno di essere eletto anziano di chiesa? Dio, se
pensiamo all’uomo (e anche a Lucifero) come suo figlio (e non solo a Gesù), sarebbe idoneo alla
carica di anziano di chiesa? La parabola è consolante per coloro che hanno i figli lontani dalla
chiesa (chi può dire se momentaneamente o definitivamente? Chi può dire in quali casi i primi
saranno gli ultimi e gli ultimi primi?): si può nutrire sempre speranza. Forse occorre però avere
anche l’atteggiamento di quel padre.
L’atteggiamento di Dio e speriamo, sia pur modestamente, anche il nostro, non è e non dev’essere
quello che ebbe Eli coi suoi figli,15 i quali erano certamente dissoluti e, a quanto pare, nemmeno
frenati dal padre. Quel padre non era all’altezza della situazione né in casa né, per le gravi
conseguenze, nell’ambito della sua importante carica nel popolo di Dio. Mi spiace dirlo perché mi
parve molto apprezzabile verso Samuele.
La dissolutezza è comunque proprio quel comportamento assunto dal figliuol prodigo:
spendaccione e godereccio. Ma possiamo dire che era così lungi dalla casa e dalla responsabilità del
padre. Non dentro le sue mura.
La famiglia, i figli pii - pistos non va certo interpretato solo come allusione al fatto che i
figli sono battezzati - che godono di buona reputazione e rispettano l’autorità del padre,
rivestono d’altronde grande importanza anche per il rapporto del presbitero verso
l’esterno, con l’ambiente circostante. (…) È per lui fonte di stima e non può dare adito a
giudizi negativi sul conto della comunità cristiana. Il presbitero viene dunque giudicato
in base alla sua famiglia. Quest’attenzione all’ambiente non cristiano viene perseguita in
14
FABRIS, p. 438.
15
1 Samuele 2:27; 3:11.
Né insubordinati. E qui veniamo a quanto dicevamo più sopra: si parla anche di ubbidienza ai
genitori e probabilmente anche al rispetto delle norme in generale, interne o esterne alla famiglia,
della chiesa e della società. Se guardiamo il termine greco possiamo spingerci anche oltre.
Anupotaktos può essere tradotto anche così: indisciplinato, insubordinato, ribelle, refrattario,
disordinato, contumace, fuorilegge. Si può andare da un minimo ad un massimo. Cosa aveva in
mente Paolo? Il fuorilegge oppure il ragazzo che ha disertato il culto?
Fedeli, non dissoluti, non ribelli. Forse si possono ravvisare in questi aggettivi gli aspetti ecclesiale
(fedeli o credenti), quello individuale, più attinente all’uso del corpo (non dissoluti) e quello sociale
(non ribelli, non fuorilegge. Più positivamente e precisamente, potremmo dire: rispettosi della legge
dello stato).
1:7 Infatti bisogna che il vescovo sia irreprensibile, come amministratore di Dio; non
arrogante, non iracondo, non dedito al vino, non violento, non avido di guadagno disonesto,
Ci sono 5 difetti da evitare (v. 7) e 7 virtù da praticare (vv. 8,9).
Infatti. Questa causale, infatti, è una prova che quanto è detto dopo spiega e va congiunto con
quanto si trova prima. Quindi, se dopo questa parola, infatti, si parla del vescovo, mentre prima si
parlava dell’anziano, è evidente che qui abbiamo una ulteriore prova che trattasi della stessa
funzione. Tutto quanto viene richiesto sopra all’anziano, per quanto riguarda la propria famiglia, è
ulteriormente coerentemente sviluppato dopo quando si parla delle sue qualità personali. Altrimenti
che senso avrebbe l’uso di gar?
Bisogna che il vescovo... vescovo (episkopos, in greco) sinonimo di anziano (presbiuteros, in greco
– divenuto prete nel linguaggio cattolico romano). Vescovo significa sorvegliante e riguarda più il
compito come anche il termine “pastore”, che però accentua un altro aspetto dei suoi doveri. Mentre
anziano indica la condizione, la posizione e l’attitudine, che non attiene tanto all’età, non sempre
attempata, ma all’esperienza, alla conoscenza, alla saggezza. L’episcopato monarchico apparirà solo
nel II secolo con S. Ignazio di Antiochia.17 Il vescovo di allora non equivaleva all’attuale vescovo
della chiesa cattolica romana18 che non viene eletto dalla base, ed è eccessivamente pieno di pompa
e di autorità, della quale deve rispondere soltanto al Papa.
Sia irreprensibile, Anenkletos, come amministratore di Dio; si ribadisce quanto detto sopra
sull’irreprensibilità aggiungendone la ragione: come amministratore di Dio, nel linguaggio
neotestamentario, “amministratore” non significa sempre e soltanto gestore di beni materiali, ma
spesso e di più di beni spirituali. Comunque, l’onestà e l’imparzialità verso se stessi e con gli altri
sono indispensabili in ogni caso. L’irreprensibilità, ovvero il non esporsi alla censura, ha a che fare
con l’elenco che segue, dove sono indicati i prerequisiti richiesti. Essi rivelano la sua attitudine.
Non arrogante. Me authade. L’arroganza è sorella della presunzione e dell’orgoglio della posizione
ricoperta. Consiste essenzialmente nell’arrogarsi il diritto di trattare gli altri come inferiori. Alcuni
traducono: “non vanitoso” (Oberlinner).
Non iracondo. Me orgilon. Equivale in mancanza di controllo nei sentimenti, nell’uso delle parole,
nel tono della voce. Per chi deve trovare nella comunicazione il mezzo per eccellenza allo
svolgimento del proprio dovere si tratta di una grave lacuna. È un difetto di carattere importante per
chiunque. In questo caso menomerebbe sensibilmente l’efficacia del proprio ministero.
16
OBERLINNER, Op. cit., p. 41. Ho traslitterato una parola scritta con caratteri greci.
17
CIPRIANI, p. 128.
18
Cfr. CIPRIANI, p. 128.
Corso sulla Lettera a Tito Autore Giovanni Fantoni Lez. 2
Non dedito al vino. Me paroinon. C’è chi traduce non ubriacone o non alcolizzato. Può lasciar
pensare che un certo uso del vino fosse ammesso, purché non si eccedesse. In una società in cui
l’inquinamento era inesistente, non si fumava e la tossicità di una vita frenetica assente, come anche
la necessità di utilizzare macchinari sofisticati e mezzi di trasporto moderni, certamente un uso
limitato del vino poteva essere molto più tollerabile di adesso. Il fatto che si insista costantemente
nella Bibbia nell’uso contenuto di questa bevanda, come d’altronde si fa oggi fuori della chiesa
avventista, indica indubbiamente la pericolosità di questa bevanda.
Non violento. Me plekten. È un po’ difficile ammettere che un rappresentante del Cristo non
violento potesse equivalere al suo contrario. Ci si deve aspettare da lui un’attitudine conciliatrice e
pacificatrice, da non confondersi col buonismo.
20
OBERLINNER, Op. cit., p. 43.
21
Cfr. Romani 12:13; 1 Timoteo 3:2; Ebrei 13:2; 1 Pietro 4:9; Atti 8:1; 26:11.
Assennato. Sofron. Come quelle sopra, anche questa22 è una virtù tipica del mondo ellenistico. È
un termine ricorrente nella letteratura ellenistica, soprattutto in cataloghi di virtù destinati ai
monarchi.
Messaggio:
Assennato nel senso di ragionevole. Il contrario di esaltato. Purtroppo ci sono sempre state
persone che hanno creduto fosse bene diventare esaltati per essere veramente spirituali: hanno
messo da parte il cervello per farsi trascinare soltanto dalle emozioni che, spesso, sono state
esasperate ad arte. Non ci si può aspettare saggezza da queste persone. Mentre la saggezza, intesa
come uso dell’intelligenza accompagnata dalla fede, non può diventare presunzione ed eccitazione,
ma equilibrio e ragionevolezza pur credendo nel soprannaturale, in un Dio che interviene ma che
ci dice anche di usare i mezzi che già ci ha forniti.
Giusto. Dikaios. Giusto per se stesso al fine di esserlo anche per gli altri. Le due cose sono
inscindibili. Chi dirige una comunità è costretto anche a giudicare, sia pure entro certi limiti. Per
farlo dev’essere giusto, per farlo occorre che sia intelligente e preparato, prudente, coraggioso,
imparziale, e disinteressato. L’essere giusto comporta molte cose che sono legate le une alle altre.
Santo. Osios. Santo non vuol dire soltanto “che si comporta bene”, ma soprattutto “dedicato al
Signore” e alla sua causa. Anche tutte queste cose sono collegate.
22
La si trova ancora in Tito 2:2,5; 1 Timoteo 3:2.
Corso sulla Lettera a Tito Autore Giovanni Fantoni Lez. 2
23
Le caratteristiche che sottolineano l’autocontrollo o la moderazione rappresentavano un ideale molto apprezzato
secondo la scala di valori della filosofia popolare e stoica.