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Corso sulla Lettera a Tito Autore Giovanni Fantoni Lez.

L’ORDINAZIONE DEI VESCOVI

II – TITO INCARICATO DI ORGANIZZARE LA CHIESA DI CRETA

A. L’ORDINAZIONE DEI VESCOVI

1:5 Per questa ragione ti ho lasciato a Creta: perché tu metta ordine alle cose che rimangono
da fare, e costituisca degli anziani in ogni città, secondo le mie istruzioni, 6 quando si trovi chi
sia irreprensibile, marito di una sola moglie, che abbia figli fedeli, che non siano accusati di
dissolutezza né insubordinati.7 Infatti bisogna che il vescovo sia irreprensibile, come
amministratore di Dio; non arrogante, non iracondo, non dedito al vino, non violento, non
avido di guadagno disonesto,8 ma ospitale, amante del bene, assennato, giusto, santo,
temperante,9 attaccato alla parola sicura, così come è stata insegnata, per essere in grado di
esortare secondo la sana dottrina e di convincere quelli che contraddicono.

1:5 Per questa ragione ti ho lasciato a Creta: perché tu metta ordine alle cose che rimangono
da fare, e costituisca degli anziani in ogni città, secondo le mie istruzioni,
Per questa ragione. Significa: per il legame che ha con Paolo, come è stato detto nel versetto
precedente. Ciò lo qualifica a continuare l’opera dell’Apostolo.
Ti ho lasciato a Creta. Evidenzia che Paolo c’è stato, forse per poco tempo (Jeremias), che Tito era
con lui ed è stato lasciato lì una volta che Paolo era partito.

Non sappiamo con precisione quando S. Paolo abbia evangelizzato l’isola di Creta, a sud-est
del Peloponneso, naturale ponte di comunicazione fra le coste della Grecia e l’Asia Minore.
Gli Atti (27:8,9) ci parlano di una sosta dell’Apostolo a Creta “per un notevole tempo”,
nell’occasione del suo viaggio a Roma dopo l’appello a Cesare: potrebbe darsi che già allora
abbia approfittato per predicarvi il Vangelo. Certamente però S. Paolo è stato a Creta anche
un’altra volta, e precisamente quando vi lasciò Tito per “completare” il suo lavoro: questo
potrebbe essere avvenuto dopo la liberazione dalla prima prigionia romana (64 circa d.C.).1

GERARCHIA MONARCHICA O DEMOCRATICA?

Perché tu metta ordine alle cose che rimangono da fare. Mettere ordine significa che qualcosa è
stato fatto o iniziato, ma rischia di prendere una via traversa se non si vigila e non lo si indirizza. Ci
son cose che rimangono da fare: occorre dunque continuare l’opera aggiungendo altri elementi
organizzativi o anche teorici con l’approfondire, ribadire o precisare le spiegazioni dottrinali
ricevute che possono essere state fraintese o necessitare di ampliamento. Non escluso il fatto che la
presenza di eretici rende incessante un’attività di insegnamento e di cura d’anime.
Questa frase può anche servire come chiarimento nel caso a Creta alcuni pensassero che dopo la
prima, approssimativa, forma di organizzazione, non fosse necessario perfezionarla.
È possibile che per poter procedere Tito desiderasse o necessitasse un’autorizzazione speciale e
pubblica da parte di Paolo.

1
CIPRIANI, p. 127. Stessa ipotesi formulata dal SDABC VII, p. 360.

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E costituisca degli anziani. Una struttura gerarchica è indispensabile. Ma come avveniva la sua
elezione? Dall’alto o democraticamente, per mezzo di una scelta fatta dall’assemblea ecclesiale
riunita? Mi pare che da qualche parte Paolo parli di “fatti eleggere degli anziani...” Il che
indicherebbe che lasciava il compito ad altri. A chi? A dei suoi delegati o alla comunità? Per
analogia con quanto avveniva per la scomunica (Matteo 18) si dovrebbe pensare che tale compito
spettasse alla comunità: “dillo alla chiesa”. Non penso che per chiesa si intenda la gerarchia, dato
che chiesa significa assemblea. Come avveniva l’elezione degli anziani nelle comunità israelitiche
del tempo apostolico? È molto probabile che si sia seguita la stessa procedura anche nella chiesa. Il
fatto che dica a Tito di costituire degli anziani non significa necessariamente che lo debba fare
direttamente, in quanto può voler dire che lui dovesse semplicemente prendere l’iniziativa di
organizzare l’elezione.
Interessante è anche come fu scelto il sostituto di Giuda fra gli apostoli.2 Su suggerimento di Pietro
si trasse a sorte, invocando il Signore, fra due nomi proposti, sembra, dagli undici apostoli rimasti.
Come vennero, invece, eletti i primi diaconi? Dietro invito dei dodici, la comunità scelse sette
uomini a cui gli apostoli imposero le mani. Quindi, nel primo caso abbiamo una decisione collegiale
ad alto livello, integrata dal sorteggio. Ciò è determinato dall’elevatissimo e particolarissimo ruolo
da ricoprire, quello di apostolo che, in questo senso, è irripetibile nella storia. Nel secondo caso,
invece, trattandosi di un servizio importante ma reiterabile anche nelle generazioni future, attinente
ai doni e alla spiritualità che uno possiede e non ad un’esperienza come quella dell’apostolo (essere
stato in compagnia degli apostoli per “tutto il tempo che il Signore Gesù visse con noi”), viene
adottato il metodo democratico: elezione dal basso. Anche in analogia con questo secondo esempio,
dovremmo pensare che l’elezione degli anziani dovesse avvenire democraticamente.
Jeremias ritiene che in questo caso speciale gli anziani non siano stati eletti dalle comunità. Però
asserisce che la nomina dall’alto fosse praticata soltanto nelle giovani “comunità di missione” e non
in quelle più numerose e ormai saldamente costituite:

Che la scelta dei capi delle singole comunità tra ‘gli anziani’ non sia stata affidata alle stesse
comunità, è dovuto al fatto che le comunità di missione erano state costituite da poco tempo.3

Comunque sia avvenuta questa nomina di anziani, “il modello di organizzazione ecclesiastica a cui
si ispira Tito 1:5 è quello degli Atti degli Apostoli, dove si racconta che Paolo e Barnaba, dopo la
prima missione nell’altopiano anatolico, costituirono in ogni comunità alcuni anziani, gr.
presbyteros, 14:23”.4

Probabilmente a Creta non vi erano ancora dei diaconi. Ci sembra normale che prima dei diaconi si
proceda alla nomina di anziani i quali, poi nelle rispettive chiese, potranno presiedere alla elezione
di diaconi.
Il Jeremias si chiede se qui si segue il modello di parroco.5
Quello che si nota subito in questo nuovo manuale per i capi di comunità è il passaggio
brusco dal plurale, ‘presbiteri’, del v. 5, al singolare episkopos (vescovo – N.d.R.) del v. 7. In
realtà anche nell’elenco dei requisiti per i presbiteri le formule sono al singolare. Comunque
rimane aperto questo problema: si tratta delle stesse persone o di un collegio presbiterale che
ha come presidente uno chiamato episkopos? Certamente la figura dell’episkopos non
coincide con quella del vescovo ‘monarchico’ delle lettere di Ignazio di Antiochia. Esso è
molto più vicino agli episkopoi del linguaggio degli Atti 20:28 e di Filippesi 1:1.6

2
Atti 1:15-26.
3
JEREMIAS, p. 117.
4
FABRIS, pp. 436,437.
5
Cfr. comm. JEREMIAS a 1 Timoteo 3:1 – cfr. con 3:1-7.
6
FABRIS, p. 437. E ancora, in una nota della stessa pagina: “Neppure l’appellativo di oikonomos del v. 3, dato
all’episkopos, può essere considerato come un segno distintivo rispetto ai presbiteri. Esso è titolo generico per indicare
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In ogni città. Il cristianesimo aveva già preso piede in più città. Forse non tutte le congregazioni,
ma sicuramente molte, in quel tempo, godevano dei servizi di un collegio di anziani, piuttosto che
uno singolo. Tale fu il caso, ad esempio, di Gerusalemme e di Efeso. Forse uno di essi fungeva
anche da presidente del collegio, oppure la presidenza veniva esercitata a turno. Non c’è dubbio,
comunque, che un presidente, una sorta di primo anziano, fosse necessario: un collegio, un
consiglio, non può funzionare senza uno che, come minimo, faccia da moderatore e lui stesso, o un
altro, da segretario. Forse l’incarico di tesoriere era affidato ad un diacono che, in collaborazione
con l’intera diaconia, si occupava degli aspetti più materiali della gestione della chiesa.
Il fatto che Paolo dica “in ogni città” anziché “in ogni chiesa” può forse significare soltanto che in
una città, in quel tempo, non vi fosse più di una chiesa. È sottinteso che in molte città e villaggi non
ve ne fosse neppure una. Comunque quella di anziano è una funzione che si riferisce ad una chiesa e
non ad una città. Una chiesa può aver più anziani. Se in una città ci fossero state più chiese,
sicuramente per la trattazione di certi problemi e l’organizzazione di determinati programmi si sarà
creato un consiglio di anziani interchiese, per far sì che vi fosse una collaborazione fra le varie
congregazioni. A Gerusalemme sarà andata certamente così.

Secondo le mie istruzioni. Tito dipende da Paolo, ha ricevuto una delega da lui. Perciò, gli vengono
pure date delle direttive generali. Vi vanno incluse quelle che vengono enunciate nei versetti che
seguono riguardanti le qualità richieste ad un anziano.

REQUISITI DELL’ANZIANO-VESCOVO

a) Attinenti alla famiglia

1:6 quando si trovi chi sia irreprensibile, marito di una sola moglie, che abbia figli fedeli, che
non siano accusati di dissolutezza né insubordinati.
Quando si trovi chi sia irreprensibile.7 Significa “che non può essere ripreso”, non può essere
rimproverato. Dunque, chi abbia buoni motivi per essere stimato dalle persone della chiesa,
innanzitutto, e, magari, anche da quelle di fuori. Si può ritenere che l’irreprensibilità richiesta sia
rappresentata dalle caratteristiche menzionate nel versetto 7 (cfr. Jeremias). E perché non anche dai
versetti 8 e 9? Infatti, quella dell’irreprensibilità è una virtù dal significato relativamente generico e
onnicomprensivo, che proprio per questo si prestava a comparire in testa agli elenchi di virtù per i
presbiteri.8
Con questo requisito incomincia un elenco che di per sé non è esaustivo: ha un puro valore
indicativo e viene dato a titolo di esempio.
Marito di una sola moglie. Vediamo varie ipotesi:
1) L’ingiunzione non significa che un anziano o vescovo dovesse essere per forza sposato,
altrimenti non si capisce come mai Paolo non lo fosse e, in certe circostanze, arrivasse a
incoraggiare altri a fare come lui.9
2) È altrettanto evidente l’assenza del celibato ecclesiastico nella chiesa apostolica.
3) Ci può semmai essere un incoraggiamento al matrimonio, specialmente per chi dirige la chiesa,
purché in regime monogamico. Chi la pensa così si appoggia sul fatto che chi ha un’esperienza

un ‘responsabile’ o sovrintendente nella comunità conforme a una tradizione cristiana già consolidata, cfr. Luca 12:42;
1 Corinzi 4:1,2; 1 Pietro 4:10.
7
“La lista di qualità richieste per i presbiteri, 1:6, e poi per il ‘vescovo’ 1:7-9, corrisponde sostanzialmente a quella di
1Tm 3:2-7. Si tratta di quelle virtù o attitudini umane spirituali apprezzate nell’ambiente ellenistico e richieste anche per
ogni aspirante alle cariche pubbliche di responsabilità”. (FABRIS, p. 437).
8
Cfr. OBERLINNER, Op. cit., p. 40.
9
1 Corinzi 7:7,8,26,28. Paolo onora il matrimonio: Efesini 5:22,33; 1 Timoteo 4:3; Ebrei 13:4.

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matrimoniale e genitoriale è avvantaggiato nella comprensione dei problemi inerenti la vita di
famiglia. Quindi, il vescovo, in tal caso sarebbe più qualificato ad occuparsi della chiesa, nella
quale si trovano tante persone con famiglia. Inoltre, il matrimonio è visto anche come una
protezione verso la tentazione: “meglio maritarsi che ardere”.10
4) L’esplicita accettazione del matrimonio, da parte di Paolo, a beneficio dei presbiteri-vescovi
avrebbe anche, nel contesto pericoloso dell’eresia gnostica, l’evidente scopo di controbatterne le
idee e pratiche ascetiche che si esplicavano, fra l’altro, col rifiuto della sessualità. Tanto più
importante sarebbe questa direttiva dal momento che si riferisce ad un dirigente della chiesa
che, come tale, più di altri deve attenersi ai principi della fede. Si sottolinea che in tale
situazione, questo aspetto è da ritenersi valido e importante, a prescindere dall’attendibilità delle
altre considerazioni fatte nei punti precedenti e seguenti.
5) Qualcuno potrebbe ritenere che ci fosse ancora qualche residuo di poligamia tollerata nella
chiesa. Non pare ne esista la prova. Nel caso, sarebbe una poligamia residua della precedente
esperienza nel mondo, ma non iniziata dopo l’ingresso nella chiesa; cosa che sarebbe stata
certamente proibita. Può, dunque, darsi che, nel caso di qualcuno che si portasse dietro più di
una moglie dalla condizione di vita anteriore, non ci fosse l’obbligo di tenerne una sola e di
abbandonare le altre alla loro sorte.11 Una limitazione ci sarebbe però stata: costui, per motivi di
opportunità, non sarebbe stato idoneo a ricoprire la carica di anziano.
6) Altra ipotesi è che Paolo voglia ribadire la condanna di certi costumi della società per dire che
non devono essere praticati dai cristiani e che, in questo contesto, sottolinei come nel caso di un
vescovo-anziano un solo episodio che, nel caso di un normale membro di chiesa, potrebbe
essere censurato poi perdonato, se si trattasse di un anziano non sarebbe assolutamente tollerato
e comporterebbe la sua esclusione dall’incarico.
7) Oppure si vuol dire che l’anziano, pur essendo rimasto vedovo, non poteva contrarre un nuovo
matrimonio o non doveva averlo già contratto? Questa ipotesi ha conosciuto molti aderenti fra
gli studiosi nel corso dei secoli. Però chi la sostiene è portato, ovviamente, a preferire la
traduzione “maritato una volta sola”; versione che non è supportata dall’originale greco il quale
dice letteralmente: “uomo di una sola donna”. Il testo greco è indubbiamente contro la
poligamia. Per di più non esiste insegnamento da nessuna parte della Bibbia che si opponga al
matrimonio di un vedovo o che lo consideri un ostacolo per la funzione di guida spirituale.
Coloro che hanno maggiormente sostenuto l’ipotesi del divieto del matrimonio per i presbiteri-
vescovi vedovi coincidono con i difensori del celibato e di altre pratiche ascetiche. 12 Si capisce
il ragionamento dei sostenitori del celibato ecclesiastico: a quell’epoca era difficile trovare gente
qualificata non sposata, altrimenti si sarebbe potuto istituire subito il celibato; ma se si trovava
qualcuno atto all’incarico che fosse vedovo, allora gli si doveva vietare il matrimonio. Però con
questa tesi si trascura il fatto storico che il celibato ecclesiastico è stato ufficialmente istituito
dal Papa Gregorio VII soltanto nell’ XI secolo, e ciò suscitando gravi proteste fra tutti quei
membri del clero che erano sposati; il che mostra che ancora mille anni dopo il celibato non era
affatto una pratica affermata (se non fra i monaci) e che fu introdotta forzatamente da un papa di
origine monastica e considerevolmente autoritario.
8) E ciò anche nel caso che avesse divorziato?13 Esiste anche la possibilità che non tutti fossero
concordi, almeno nella pratica, sulle ragioni che potessero giustificare un divorzio (cfr. Matteo

10
1 Corinzi 7:9.
11
Ci risulta che nelle missioni si sia seguita questa regola che deve aver arrecato non poco pregiudizio alle donne che
venivano escluse dal vincolo matrimoniale a vantaggio di una sola che lo avrebbe conservato. Dati i sistemi sociali, con
le difficoltà di vario genere e, credo, piuttosto gravi, che si ingenerano in simili casi, c’è da chiedersi se sia stato un
bene procedere così bruscamente. Un conto è incominciare con una sola moglie e restare con quella. Altra cosa e averne
di più e ripudiarle tutte eccetto una. Il ripudio è fonte di dolore e di emarginazione con gravi conseguenze. Però, dalla
mia posizione non sono in grado di valutare bene e di giudicare con sicurezza.
12
Cfr. SDABC VII, p. 298.
13
JEREMIAS, p. 117.
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5:32; 19:8,9). In simile contesto sarebbe stato inidoneo all’incarico un membro di chiesa che
avesse divorziato per motivi ritenuti insufficienti.

Che abbia figli fedeli. “Nell’ambiente antico il disordine morale o disciplinare dei figli gettava il
discredito sulla famiglia, primo test per l’abilitazione di un uomo alle cariche pubbliche” 14 e, per
quanto riguardava la chiesa, la famiglia sana era considerata una garanzia di stabilità e sicurezza
nella fede. Ci si aspettava, perciò, una famiglia esemplare.
Se si parla di “minorenni”, come diremmo oggi, si capisce che soprattutto in nome della pedagogia
del tempo, il pastore doveva essere in grado di tenere i figli sotto controllo. Ma ciò non si sposa
tanto con l’aggettivo “fedeli”, in quanto chi è corretto perché controllato non dovrebbe venir
definito propriamente fedele (fedele a Dio), ma piuttosto “ubbidiente ai genitori”. Forse ci si
riferisce ai figli maggiorenni ma che abitano ancora col padre, sposati o no. È abbastanza probabile
in una concezione ancora piuttosto patriarcale della famiglia. D’altra parte i figli fedeli dovevano
essere considerati un titolo di merito per i genitori, specialmente per il padre, capo della famiglia.
Anche oggi lo sono, ma il contrario non è considerato un tal demerito da rendere inidonei alla carica
di anziano; è un dettaglio che può, al massimo, rappresentare un titolo preferenziale. Ancora più
forte sarebbe quanto Paolo esige se si trattasse di figli sposati che non vivono più con i genitori. Ma
forse non era una pretesa del solo Paolo e nemmeno faceva una gran differenza rispetto a figli che
coabitassero ancora coi genitori. I tempi erano chiaramente diversi dai nostri e, per certi aspetti,
anche i rapporti fra genitori e figli.
Naturalmente con ciò non voglio affatto sminuire la gioia e l’importanza di avere dei figli che
seguono la via che i genitori ritengono giusta. Indubbiamente ciò fa piacere alla chiesa anche oggi e
le è utile; quando però non si tratta di un’appartenenza o fedeltà formale. Perché ciò sia vero essi
devono vivere un’autentica esperienza col Signore che si riverbera nella loro condotta e nei loro
rapporti con gli altri. Infatti nel greco sta scritto: técna èkon pistà = avente figli credenti.

Che non siano accusati di dissolutezza. Vien da pensare alla parabola del Figliuol Prodigo. Quel
buon padre della parabola sarebbe o no stato degno di essere eletto anziano di chiesa? Dio, se
pensiamo all’uomo (e anche a Lucifero) come suo figlio (e non solo a Gesù), sarebbe idoneo alla
carica di anziano di chiesa? La parabola è consolante per coloro che hanno i figli lontani dalla
chiesa (chi può dire se momentaneamente o definitivamente? Chi può dire in quali casi i primi
saranno gli ultimi e gli ultimi primi?): si può nutrire sempre speranza. Forse occorre però avere
anche l’atteggiamento di quel padre.
L’atteggiamento di Dio e speriamo, sia pur modestamente, anche il nostro, non è e non dev’essere
quello che ebbe Eli coi suoi figli,15 i quali erano certamente dissoluti e, a quanto pare, nemmeno
frenati dal padre. Quel padre non era all’altezza della situazione né in casa né, per le gravi
conseguenze, nell’ambito della sua importante carica nel popolo di Dio. Mi spiace dirlo perché mi
parve molto apprezzabile verso Samuele.
La dissolutezza è comunque proprio quel comportamento assunto dal figliuol prodigo:
spendaccione e godereccio. Ma possiamo dire che era così lungi dalla casa e dalla responsabilità del
padre. Non dentro le sue mura.

La famiglia, i figli pii - pistos non va certo interpretato solo come allusione al fatto che i
figli sono battezzati - che godono di buona reputazione e rispettano l’autorità del padre,
rivestono d’altronde grande importanza anche per il rapporto del presbitero verso
l’esterno, con l’ambiente circostante. (…) È per lui fonte di stima e non può dare adito a
giudizi negativi sul conto della comunità cristiana. Il presbitero viene dunque giudicato
in base alla sua famiglia. Quest’attenzione all’ambiente non cristiano viene perseguita in

14
FABRIS, p. 438.
15
1 Samuele 2:27; 3:11.

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modo ancora più evidente con la richiesta che i figli non possano incorrere nell’ “accusa
di dissolutezza”.16

Né insubordinati. E qui veniamo a quanto dicevamo più sopra: si parla anche di ubbidienza ai
genitori e probabilmente anche al rispetto delle norme in generale, interne o esterne alla famiglia,
della chiesa e della società. Se guardiamo il termine greco possiamo spingerci anche oltre.
Anupotaktos può essere tradotto anche così: indisciplinato, insubordinato, ribelle, refrattario,
disordinato, contumace, fuorilegge. Si può andare da un minimo ad un massimo. Cosa aveva in
mente Paolo? Il fuorilegge oppure il ragazzo che ha disertato il culto?
Fedeli, non dissoluti, non ribelli. Forse si possono ravvisare in questi aggettivi gli aspetti ecclesiale
(fedeli o credenti), quello individuale, più attinente all’uso del corpo (non dissoluti) e quello sociale
(non ribelli, non fuorilegge. Più positivamente e precisamente, potremmo dire: rispettosi della legge
dello stato).

b) Attinenti alla sua persona

1:7 Infatti bisogna che il vescovo sia irreprensibile, come amministratore di Dio; non
arrogante, non iracondo, non dedito al vino, non violento, non avido di guadagno disonesto,
Ci sono 5 difetti da evitare (v. 7) e 7 virtù da praticare (vv. 8,9).
Infatti. Questa causale, infatti, è una prova che quanto è detto dopo spiega e va congiunto con
quanto si trova prima. Quindi, se dopo questa parola, infatti, si parla del vescovo, mentre prima si
parlava dell’anziano, è evidente che qui abbiamo una ulteriore prova che trattasi della stessa
funzione. Tutto quanto viene richiesto sopra all’anziano, per quanto riguarda la propria famiglia, è
ulteriormente coerentemente sviluppato dopo quando si parla delle sue qualità personali. Altrimenti
che senso avrebbe l’uso di gar?
Bisogna che il vescovo... vescovo (episkopos, in greco) sinonimo di anziano (presbiuteros, in greco
– divenuto prete nel linguaggio cattolico romano). Vescovo significa sorvegliante e riguarda più il
compito come anche il termine “pastore”, che però accentua un altro aspetto dei suoi doveri. Mentre
anziano indica la condizione, la posizione e l’attitudine, che non attiene tanto all’età, non sempre
attempata, ma all’esperienza, alla conoscenza, alla saggezza. L’episcopato monarchico apparirà solo
nel II secolo con S. Ignazio di Antiochia.17 Il vescovo di allora non equivaleva all’attuale vescovo
della chiesa cattolica romana18 che non viene eletto dalla base, ed è eccessivamente pieno di pompa
e di autorità, della quale deve rispondere soltanto al Papa.
Sia irreprensibile, Anenkletos, come amministratore di Dio; si ribadisce quanto detto sopra
sull’irreprensibilità aggiungendone la ragione: come amministratore di Dio, nel linguaggio
neotestamentario, “amministratore” non significa sempre e soltanto gestore di beni materiali, ma
spesso e di più di beni spirituali. Comunque, l’onestà e l’imparzialità verso se stessi e con gli altri
sono indispensabili in ogni caso. L’irreprensibilità, ovvero il non esporsi alla censura, ha a che fare
con l’elenco che segue, dove sono indicati i prerequisiti richiesti. Essi rivelano la sua attitudine.
Non arrogante. Me authade. L’arroganza è sorella della presunzione e dell’orgoglio della posizione
ricoperta. Consiste essenzialmente nell’arrogarsi il diritto di trattare gli altri come inferiori. Alcuni
traducono: “non vanitoso” (Oberlinner).
Non iracondo. Me orgilon. Equivale in mancanza di controllo nei sentimenti, nell’uso delle parole,
nel tono della voce. Per chi deve trovare nella comunicazione il mezzo per eccellenza allo
svolgimento del proprio dovere si tratta di una grave lacuna. È un difetto di carattere importante per
chiunque. In questo caso menomerebbe sensibilmente l’efficacia del proprio ministero.

16
OBERLINNER, Op. cit., p. 41. Ho traslitterato una parola scritta con caratteri greci.
17
CIPRIANI, p. 128.
18
Cfr. CIPRIANI, p. 128.
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Non dedito al vino. Me paroinon. C’è chi traduce non ubriacone o non alcolizzato. Può lasciar
pensare che un certo uso del vino fosse ammesso, purché non si eccedesse. In una società in cui
l’inquinamento era inesistente, non si fumava e la tossicità di una vita frenetica assente, come anche
la necessità di utilizzare macchinari sofisticati e mezzi di trasporto moderni, certamente un uso
limitato del vino poteva essere molto più tollerabile di adesso. Il fatto che si insista costantemente
nella Bibbia nell’uso contenuto di questa bevanda, come d’altronde si fa oggi fuori della chiesa
avventista, indica indubbiamente la pericolosità di questa bevanda.

Non violento. Me plekten. È un po’ difficile ammettere che un rappresentante del Cristo non
violento potesse equivalere al suo contrario. Ci si deve aspettare da lui un’attitudine conciliatrice e
pacificatrice, da non confondersi col buonismo.

Non avido di guadagno disonesto. Me aiskrokerde. Curiosamente la fonetica di questo aggettivo


assomiglia a quella di “scroccone”. Ciò può forse servire a memorizzarla oltre che a rendere un po’
il senso. Ma la cosa è più seria.
Un’altra traduzione possibile è cupidigia (Oberlinner).
Il vescovo svolgeva una sua professione secolare. In tale ambito, doveva ben guardarsi dall’imitare i
comportamenti non sempre cristallini della maggior parte dei suoi colleghi artigiani, agricoltori o
commercianti che fossero. Ma anche all’interno della chiesa doveva vegliare per non approfittare
del suo ruolo; magari appropriandosi con scuse, apparentemente fondate, di una parte dei fondi
della medesima. Comunque, il cristiano dovrebbe sempre evitare di approfittare di chicchessia,
anche se lo facesse senza trasgredire alcuna legge del codice. Non deve nemmeno utilizzare la
propria posizione per concedere favori che gli procurino indirettamente un guadagno personale. Un
responsabile di comunità19 deve anche fare attenzione ai doni che gli si possono offrire in omaggio
alla funzione che ricopre. Si può configurare così un conflitto d’interessi. Considerando, però, i
tempi di Tito e il genere di organizzazione della chiesa e di finanziamento dei predicatori di allora,
pensiamo che il “disonesto guadagno” riguardasse qualcosa di più facilmente riconoscibile: Non vi
era un’amministrazione centrale che stipendiasse i predicatori e, tantomeno, gli anziani. Non
sappiamo esattamente come gestissero le offerte per il mantenimento del ministero. Di
conseguenza, il problema del conflitto di interessi non doveva essere così sottile come oggi.
Sappiamo che la gerarchia della chiesa cattolica ha invitato i parroci a non confondere la propria
cassa con quella della parrocchia. Non ricordo quando questo invito sia stato fatto. Lo abbiamo letto
di recente. È pur vero che fra i parroci vi sono e vi sono stati comportamenti improntati a grande
generosità e, per converso, altri macchiati dall’avidità. È un pericolo forte, quest’ultimo,
specialmente quando, come nel caso delle parrocchie, i controlli lasciano a desiderare. Ma non
siamo qui per giudicare in casa altrui.

Comunque le virtù richieste non rispondono a richieste specificamente cristiane o che


riguardano esclusivamente il capo di comunità. In esse si può scorgere qualcosa di
simile a “condizioni etiche di base”: ciò che si esige dai cristiani o anche solo da una
persona per bene dev’essere in ogni caso valido per chi, all’interno della comunità,
riveste ruoli di responsabilità e di guida.20

1:8 ma ospitale, amante del bene, assennato, giusto, santo, temperante,


Ospitale. Filoxenos. Ospitalità21 in greco si dice filoxenia, letteralmente: “amore per lo straniero”,
quindi, “intrattenimento dello straniero”. Non si tratta certo di invitare a pranzo qualcuno per
amicizia o per socievolezza. Crediamo consista, invece, in un’ospitalità di carattere sociale,

20
OBERLINNER, Op. cit., p. 43.
21
Cfr. Romani 12:13; 1 Timoteo 3:2; Ebrei 13:2; 1 Pietro 4:9; Atti 8:1; 26:11.

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solidaristico. Quella stessa che era in uso nei tempi antichi, specialmente nell’Antico Testamento.
Una necessità per quei tempi, pieni di insidie per i senza tetto e privi o carenti di alberghi anche per
chi se li poteva permettere. Quando il tipo di mezzi di trasporto non consentiva rapidi e sicuri
spostamenti. In cui il viandante rimaneva in viaggio per una o più notti. Per i cristiani la sicurezza
non era assicurata, spesso, a causa delle persecuzioni, in atto o temute, che in casa di confratelli. Per
di più, fra di loro, era naturale si cercasse un’opportunità di comunione fraterna anche in occasione
di viaggi. Inoltre, vi erano credenti che viaggiavano per conto della chiesa, nel nome del Signore,
per diffondere l’evangelo. E vi erano fuggitivi da accogliere. Se la situazione non era sempre così
precaria, bisognava essere tuttavia pronti perché lo poteva diventare da un momento all’altro. Chi
più di un anziano doveva essere esemplare in questa prontezza e disponibilità?
Che sia oggi più o meno necessario un tale grado di ospitalità (in certi paesi lo è di più che in altri e
in tutti dipende anche dalle circostanze), questa caratteristica mostra comunque che, sempre ad un
credente e specialmente ad una guida spirituale, si richiede, da parte della chiesa e dal Signore, la
dedizione al bene del prossimo che ognuno eserciterà in base alle circostanze e alle possibilità.
Certo è che, in un mondo e in un tempo in cui trionfa l’individualismo, il cristianesimo chiama alla
solidarietà e alla compassione. Ognuno si deve chiedere in che modo può esprimere praticamente
queste virtù.
Amante del bene. Filagatos. Si presuppone intanto che si conosca la differenza fra il bene e il male,
ma ancora di più che lo si ricerchi, visto che non si conosce mai perfettamente. Nella Scrittura
ispirata da Dio il credente trova una guida per questa ricerca e questo discernimento. Ma non trova
soltanto una guida quanto una fonte di ispirazione: Gesù Cristo. L’amore di Cristo, sparso nei nostri
cuori, ci deve far ricercare il bene non per paura di una punizione, nel caso facessimo del male, ma
per amore del bene stesso e di Gesù Cristo che è il bene supremo. Il bene stesso e l’amore verso il
Signore si manifestano nell’amore per il prossimo. E con ciò ritorniamo all’attitudine altruistica che
si contrappone a quella egoistica ed egocentrica. Quando il cristianesimo biblico chiede al credente
di rinunciare al proprio io, non intende negare la sua individualità, come avviene nel Buddismo; ma
sviluppare, attraverso una giusta relazione con Dio, quei sentimenti di amore che uccidono
l’egoismo.

Assennato. Sofron. Come quelle sopra, anche questa22 è una virtù tipica del mondo ellenistico. È
un termine ricorrente nella letteratura ellenistica, soprattutto in cataloghi di virtù destinati ai
monarchi.

Messaggio:

Assennato nel senso di ragionevole. Il contrario di esaltato. Purtroppo ci sono sempre state
persone che hanno creduto fosse bene diventare esaltati per essere veramente spirituali: hanno
messo da parte il cervello per farsi trascinare soltanto dalle emozioni che, spesso, sono state
esasperate ad arte. Non ci si può aspettare saggezza da queste persone. Mentre la saggezza, intesa
come uso dell’intelligenza accompagnata dalla fede, non può diventare presunzione ed eccitazione,
ma equilibrio e ragionevolezza pur credendo nel soprannaturale, in un Dio che interviene ma che
ci dice anche di usare i mezzi che già ci ha forniti.

Giusto. Dikaios. Giusto per se stesso al fine di esserlo anche per gli altri. Le due cose sono
inscindibili. Chi dirige una comunità è costretto anche a giudicare, sia pure entro certi limiti. Per
farlo dev’essere giusto, per farlo occorre che sia intelligente e preparato, prudente, coraggioso,
imparziale, e disinteressato. L’essere giusto comporta molte cose che sono legate le une alle altre.
Santo. Osios. Santo non vuol dire soltanto “che si comporta bene”, ma soprattutto “dedicato al
Signore” e alla sua causa. Anche tutte queste cose sono collegate.

22
La si trova ancora in Tito 2:2,5; 1 Timoteo 3:2.
Corso sulla Lettera a Tito Autore Giovanni Fantoni Lez. 2

Temperante. In greco: egkraté (pron. encraté) = “padrone di sé” “dotato di autocontrollo”23.


Autocontrollo a breve termine a lungo termine. nel parlare, nel mangiare e bere e in qualunque altra
cosa. È come dire: “disciplinato”. Il credente e l’anziano in particolare sono capaci di
“autodisciplina”. Le loro azioni sono guidate dalla legge del Signore scritta nei loro cuori. In un
certo senso, non improvvisano anche se devono saper reagire bene davanti agli imprevisti. Hanno,
in sostanza, uno stile di vita che li rende idonei al servizio e favorisce un servizio di maggior durata
ed efficienza. Non è un’opzione: è un dovere. Non è una rinuncia: è un privilegio. È un piacere nel
senso più profondo della parola. Il che equivale a rinunciare ai piaceri nel senso più superficiale e
ingannevole del termine. Ad un test orale, un professore mi disse: “lei ha il difetto delle sue
qualità”. Infatti, anche un pregio può essere ostacolato da un eccesso, quando non addirittura
oscurato o soppresso.

23
Le caratteristiche che sottolineano l’autocontrollo o la moderazione rappresentavano un ideale molto apprezzato
secondo la scala di valori della filosofia popolare e stoica.

© Voce della Speranza, corsi biblici

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