Sei sulla pagina 1di 8

Giovanni

Zaccaria La liturgia:
presenza
Lo splendore del della gloria di Dio
Mistero pasquale

Con freschezza discorsiva, Giovanni Zaccaria, professore incaricato di


Teologia liturgica presso la Pontificia Università della Santa Croce, Roma,
invita a scoprire e ad assaporare la bellezza della Liturgia, che è «azione
di Cristo tutto intero», come insegna il Catechismo della Chiesa cattolica.
«La bellezza, pertanto», afferma un documento magisteriale di Benedetto
XVI, «non è un fattore decorativo dell’azione liturgica; ne è piuttosto ele-
mento costitutivo, in quanto è attributo di Dio stesso e della sua rivelazio-
ne». E la partecipazione dei fedeli, conclude l’autore, «non ha tanto a che
fare con manifestazioni esterne, quanto piuttosto con la comunione di fe-
de tra Dio e il fedele che porta alla trasformazione esistenziale della vita
di ciascuno di noi». Nella foto: il prezioso evangeliario donato dalla Confe-
renza Episcopale Ungherese a san Giovanni Paolo II in occasione della sua
prima visita in Ungheria, nel 1991, opera dell’orafo Csaba Ozsvári (1963-
2009), è entrato a far parte delle suppellettili sacre della Sagrestia Pon-
tificia ed è stato usato dagli ultimi tre Papi soprattutto in occasione della
Veglia Pasquale e della Pentecoste.

P unto di partenza per queste nostre rifles-


sioni è una frase di Papa Francesco nel-
l’omelia della Messa crismale del 2013. Un inciso,
in realtà, ma, come spesso succede in Francesco, un
inciso che apre squarci di luce di grande interesse.
e di pregare con tutta la Chiesa; molti sacramenti
possono essere celebrati al di fuori della Messa, ma
anche le benedizioni, che costellano la vita della
Chiesa sono azioni liturgiche in cui celebriamo il
mistero pasquale di Cristo.
Dice così: «La bellezza di quanto è liturgico, non è Tuttavia, per semplicità, restiamo sulla Messa. Mol-
semplice ornamento e gusto per i drappi, bensì pre- te persone la percepiscono come un rito nel quale
senza della gloria del nostro Dio che risplende nel c’è un protagonista, il prete, e un pubblico che si
suo popolo vivo e confortato». cerca di coinvolgere per farlo sentire parte dell’a-
La liturgia è dunque, secondo Papa Francesco, pre- zione. Se è così, il massimo risultato raggiungibile
senza della gloria del nostro Dio. è che chi assiste si senta emotivamente coinvolto.
Quando parliamo di liturgia, siamo portati a pensa- Infatti dirà: «Vado a Messa da don Tizio» oppure
re alla Messa, l’azione liturgica alla quale più fre- «In quella chiesa non ci vado perché don Caio è
quentemente prendiamo parte. È chiaro che la cele- noiosissimo». Questo modo di fare denota che la
brazione eucaristica è fonte e culmine di tutta la li- Messa viene considerata come un’azione umana. E,
turgia e di tutta l’azione della Chiesa, ma la liturgia come tutte le faccende umane, prima o poi stanca.
non è solo Messa. La Chiesa celebra il mistero di Si capisce quindi perfettamente che ci siano tanti
Dio in molti modi: lo celebra nella Liturgia delle cattolici non praticanti. Nessuno ha spiegato loro
Ore, che è un modo peculiare di santificare il tempo che la liturgia è dono di Dio ai suoi figli.
404
In primo luogo, presenza. Perché qualcosa sia pre-
sente, deve esserci. Qui e ora. Noi non parliamo di
Il principio presenza di un’idea. Nessuno pensa che in un parla-
dell’Incarnazione mento «si renda presente» la democrazia. Non per-
ché la democrazia non esista o perché i parlamenta-
ri non siano democratici, ma perché la democrazia
San Leone Magno (ca. 390-461) scriveva: «Quel è un’idea, un ente astratto che non può darsi qui e
che era visibile nel nostro Salvatore è passato nei ora. Dire che in un parlamento «si rende presente»
suoi sacramenti». Questa frase è straordinariamente la democrazia è una figura retorica. Il concetto di
importante. Dio si è fatto uomo in Gesù Cristo. La presenza ha a che fare con il toccare, con il vedere,
seconda Persona della Santissima Trinità ha assunto con i sensi, in definitiva. Per questo la liturgia col-
la natura umana. A volte lo si afferma con una certa pisce i sensi, ha a che fare con il corpo, non solo
leggerezza, ma è qualcosa che ha cambiato per con l’anima. Non c’è effetto sull’anima se manca la
sempre non solo il corso della storia, ma anche la carne. Questo vale per i sacramenti, ma vale in ge-
natura umana. Noi uomini, da quando Cristo si è in- nerale per tutte le celebrazioni. Per esempio, pen-
carnato, non siamo più quello che eravamo prima. sando all’incenso, spontaneamente siamo portati a
Dio si è incarnato per far sapere a ogni uomo che pensare che quel fumo profumato sparso intorno al-
Egli è amore e che ciascuno è amato da Lui con un l’altare o indirizzato verso un’immagine della Ma-
amore incommensurabile. donna rappresenti il nostro desiderio di Dio, le no-
Se questo è vero, allora sorge spontanea la domanda: stre preghiere che salgono verso il cielo e giungono
se Gesù è Dio, come mai alcuni l’hanno riconosciuto a Dio come sacrificio di soave odore (cfr Ef 5, 2).
e altri no? Se la sua missione era far conoscere Dio La carne poi è necessaria anche per la missione.
all’umanità, perché non tutti lo hanno conosciuto? Si San Paolo scrive ai Romani: «Come invocheranno
potrebbe anche pensare: perché non si è incarnato colui nel quale non hanno creduto? Come crederan-
oggi, quando le possibilità di comunicazione sono le no in colui del quale non hanno sentito parlare? Co-
più sviluppate della storia dell’umanità? me ne sentiranno parlare senza qualcuno che lo an-
San Paolo ricorda ai Galati: «Quando venne la pie- nunci? E come lo annunceranno, se non sono stati
nezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da inviati?» (Rm 10, 14-15). Perché ci sia missione ci
donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che vuole uno che parli e un altro che ascolti. Bocca,
erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione orecchi, carne. Se non c’è carne non c’è Chiesa. E
a figli. E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio ciò non deriva da leggi esterne inventate dagli uo-
mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il mini, ma dal principio dell’Incarnazione: incarnan-
quale grida: “Abbà! Padre!”. Quindi non sei più dosi, Dio ha stabilito che la salvezza ci viene attra-
schiavo, ma figlio e, se figlio, sei anche erede per verso la carne. Il corpo è una cosa meravigliosa per-
grazia di Dio» (Gal 4, 4-7). ché Dio ci ha fatti così a sua immagine e somiglian-
La pienezza del tempo è quella, il momento giusto, za; e perché attraverso il corpo ci giunge la salvez-
il centro della storia, non c’è un tempo migliore per za. Non siamo esseri solo spirituali. Siamo corpo e
la venuta del Figlio di Dio. anima, spirito e carne, e la salvezza ci viene dalla
Dio ha mandato il suo Figlio e lo ha mandato facen- morte e risurrezione di Cristo. Non può esserci mor-
dolo nascere da una donna. Egli è cresciuto come te se non c’è carne. Il principio dell’Incarnazione è
crescono i bambini. Ha imparato a parlare, a cam- essenziale per comprendere la liturgia. La liturgia è
minare, a leggere e a scrivere come fanno tutti i perciò un dono di Dio alla sua Chiesa. Cristo ha det-
bambini del mondo. Ha avuto fame e sete. Stanco, to: «Fate questo in memoria di me». E da quelle pa-
si è riposato all’ombra vicino a un pozzo. Ha sudato role sono nati l’Eucaristia e il sacramento dell’Or-
e faticato: aveva mani callose. Dio, che è invisibile, dine. Ed è l’Eucaristia che fa la Chiesa.
diventa visibile. Dio, che è eterno, entra nel tempo
e si sottopone alle leggi della fisica che lui stesso ha
stabilito. Il cielo
Come tutti gli uomini, anche Dio si lascia limitare
dal tempo e dallo spazio. Questo comporta che non
squarciato
tutti gli uomini hanno potuto vederlo, ascoltarlo,
toccarlo. Allora, non è vero che è venuto perché tut- L’allora cardinal Ratzinger scriveva in un testo
ti conoscessero l’amore di Dio? È venuto solo per straordinario: «La liturgia presuppone [...] il cielo
alcuni? No, perché «quel che era visibile nel nostro squarciato; solo se questo si verifica può esserci li-
Salvatore è passato nei suoi sacramenti». I sacra- turgia. Se il cielo non è aperto, ciò che era liturgia
menti sono i mezzi attraverso i quali Dio si rende s’immiserisce in un gioco di ruoli, in una ricerca, in
visibile. Dio che è eterno entra nel tempo. Questo è ultima analisi insignificante, di auto-conferma co-
la liturgia: presenza della gloria del nostro Dio. munitaria, in cui in fondo non accade nulla. L’ele-
405
mento decisivo è dunque il primato della cristolo-
gia. La liturgia è opera di Dio, oppure non è niente;
con questa priorità di Dio e del suo agire, che viene La gloria di Dio3
a cercarci in segni terreni, è data anche l’universa-
lità e l’universale apertura di ogni liturgia»1.
Il fatto che la liturgia presupponga il cielo squarcia-
to significa che noi qui sulla terra non siamo i pro- Nell’Antico Testamento, troviamo che il tema del
tagonisti. Il centro di tutto è Dio. Noi operiamo una volto di Dio, della ricerca di Dio, del desiderio di
vera e propria distruzione della celebrazione quan- vedere il suo volto è molto presente. Il termine
do mettiamo noi stessi al centro di tutto: è la ricerca ebraico pānîm, che significa volto, vi ricorre ben
di autoconferma comunitaria di cui parla Ratzinger, 400 volte, e 100 di queste sono riferite a Dio. Eppu-
che fa perdere il senso di ciò che celebriamo e quin- re la religione ebraica proibisce del tutto le immagi-
di la partecipazione della gente. Se la Messa serve ni, perché Dio non si può rappresentare, come inve-
«per fare comunità», allora lasciamola perdere e ce facevano i popoli vicini con gli idoli. Sembrereb-
facciamo una bella festa. La Messa nella sua realtà be una contraddizione: da una parte il desiderio di
più vera ha senso solo se è Dio che viene a cercarci vedere, dall’altro la proibizione del vedere, l’esclu-
in segni terreni. Il resto è conseguenza. È giustissi- sione dell’immagine dal culto e dalla pietà.
mo che facciamo festa, ma non perché ci siamo ri- Che cosa significa allora cercare il volto di Dio,
trovati tutti insieme; facciamo festa perché Dio vie- nella consapevolezza che non può esserci alcuna
ne a cercarci, perché Dio non ci lascia soli nel no- immagine? Da una parte si vuole dire che Dio non
stro peccato, ma viene a scoperchiare i sepolcri del- può essere ridotto a un oggetto, come un’immagine
le nostre ipocrisie, a smascherare le scuse con cui ci che si prende in mano, che non si può mettere qual-
difendiamo, a distruggere le catene del peccato e cosa al posto di Dio. Dall’altra, però, si afferma che
della morte nelle quali da soli ci avviluppiamo2. Dio ha un volto, cioè si dice che è un «tu», che può
Se accettiamo queste premesse, allora si potrebbe entrare in relazione, che non è chiuso nel suo cielo
obiettare: se è vero che Dio è il protagonista, se è a guardare dall’alto l’umanità. Dio non è un’idea o
vero che non sono io il centro né lo è il prete, allora un insieme di norme o una dottrina. Dio è innanzi-
che io ci sia o non ci sia non fa alcuna differenza. tutto un essere personale, che si rivolge a noi, ci
Se la Messa non serve a fare comunità, allora posso ascolta, ci vede, parla, stringe alleanza, è capace di
anche non andarci perché tanto Dio può anche fare amare. La storia della salvezza è la storia di Dio con
a meno di me. L’obiezione è lecita. Ma se la liturgia l’umanità, è la storia di questo rapporto di Dio che
presuppone il cielo squarciato, cioè se è vero che la si rivela progressivamente all’uomo, che fa cono-
liturgia è opera di Dio, che viene a cercarmi in segni scere sé stesso, il suo volto.
terreni, allora in realtà tutto acquista senso. Noi sia- In questo senso una figura centrale dell’Antico Te-
mo figli convocati dal loro Padre. La parola Chiesa stamento è Mosè. Mosè ha tante caratteristiche che
deriva dal greco ekklesía che è un termine compo- lo rendono speciale (viene salvato dalle acque,
sito: ek-kaleo, chiamare fuori, convocare, chiamare adottato dalla figlia del faraone, guida il popolo nel-
in assemblea. La Chiesa è essenzialmente questo: l’Esodo verso la terra promessa, ecc.) ma l’elemen-
assemblea dei chiamati. Quando celebriamo la divi- to più significativo è che Mosè aveva un rapporto
na liturgia – questo è il nome che gli orientali danno stretto e confidenziale con Dio: «Il Signore parlava
alla Messa – noi siamo comunità perché essa è l’in- con Mosè faccia a faccia, come uno parla con il pro-
sieme di coloro che Dio è venuto a cercare. Quindi prio amico» (Es 33, 11). Proprio per questa ragione
che io risponda alla convocazione oppure no, fa un giorno Mosè chiede a Dio: «Mostrami la tua glo-
molta differenza. Io sono un convocato, io sono ria!», e la risposta di Dio è chiara: «Farò passare da-
parte del Corpo mistico di Cristo, che è il soggetto vanti a te tutta la mia bontà e proclamerò il mio no-
della celebrazione. me... Ma tu non potrai vedere il mio volto, perché
Il Catechismo della Chiesa Cattolica insegna che nessun uomo può vedermi e restare vivo... Ecco un
«la liturgia è “azione” di “Cristo tutto intero”» luogo vicino a me... Tu vedrai le mie spalle, ma il
(1136). «È tutta la comunità, il corpo di Cristo unito mio volto non si può vedere» (18-23). Mosè, uomo
al suo Capo, che celebra. “Le azioni liturgiche non prescelto da Dio, del quale si dice che non sorgerà
sono azioni private, ma celebrazioni della Chiesa, profeta come lui in Israele, non può vedere la gloria
che è ‘sacramento di unità’, cioè popolo santo radu- di Dio, parla con Dio faccia a faccia, ma la sua glo-
nato e ordinato sotto la guida dei vescovi. Perciò ria gli è preclusa, la sua visione è limitata.
[tali azioni] appartengono all’intero corpo della Noi invece siamo posti di fronte alla gloria di Dio
Chiesa, lo manifestano e lo implicano; i singoli ogni volta che partecipiamo a una celebrazione li-
membri poi vi sono interessati in diverso modo, se- turgica. Noi vediamo la gloria di Dio, che era pre-
condo la diversità degli stati, degli uffici e dell’at- clusa a Mosè. Quando questi usciva dalla tenda del
tuale partecipazione” (SC, 28)» (1140). convegno doveva coprirsi il volto con un velo per-
406
Un particolare del pannello centrale del Polittico dell'Agnello Mistico, di Jan van Eyck (e del misterioso Hubert van
Eyck), dipinto tra il 1426 e il 1432 per la cattedrale di San Bavone a Gand.

ché la sua pelle diventava luminosa e gli israeliti ne Ora, se a questa affermazione accostiamo la parole
avevano timore. Noi che cosa dovremmo fare quan- di san Leone Magno che abbiamo citato poc’anzi
do riceviamo la comunione, dopo che ci siamo ci- («Quel che era visibile nel nostro Salvatore è passa-
bati del Corpo e del Sangue di Cristo, quando siamo to nei suoi sacramenti»), ritroviamo il senso della
entrati in comunione con Cristo risorto? liturgia quale presenza della gloria di Dio. Nella li-
Benedetto XVI affermava: «In Gesù di Nazaret, turgia siamo convocati per contemplare la rivela-
Dio visita realmente il suo popolo, visita l’umanità zione del volto di Dio; quel volto che nessuno può
in un modo che va oltre ogni attesa: manda il suo vedere, noi siamo chiamati a vederlo.
Figlio Unigenito; si fa uomo Dio stesso. Gesù non Ancora Benedetto XVI, in Sacramentum caritatis,
ci dice qualcosa di Dio, non parla semplicemente afferma: «Nel Nuovo Testamento si compie defini-
del Padre, ma è rivelazione di Dio, perché è Dio, e tivamente questa epifania di bellezza nella rivela-
ci rivela così il volto di Dio. Nel prologo del suo zione di Dio in Gesù Cristo: Egli è la piena manife-
vangelo, san Giovanni scrive: “Dio, nessuno lo ha stazione della gloria divina. Nella glorificazione del
mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel se- Figlio risplende e si comunica la gloria del Padre
no del Padre, è lui che lo ha rivelato” (Gv 1, 18)»4. (cfr Gv 1, 14; 8, 54; 12, 28; 17, 1)» (SCa, 35). E in
407
nota a questa affermazione cita diversi passi del persona, un paesaggio, ma solo manifestare qualco-
vangelo di Giovanni, tra cui un versetto fondamen- sa che «sentiamo» e che nello stesso tempo non riu-
tale (Gv 17, 1) in cui l’evangelista riporta l’inizio sciamo a «dire». Mi pare che questo giudizio relati-
della preghiera di Gesù al Padre, la cosiddetta pre- vo alla bellezza sia molto fondato e possa aiutare a
ghiera sacerdotale di Gesù, che esprime i sentimenti comprendere che cosa si intenda quando si parla di
con cui Cristo affronta la sua passione: «Poi, alzati bellezza in relazione alla liturgia. Come davanti al-
gli occhi al cielo, disse: “Padre, è venuta l’ora: glo- lo spettacolo della natura ci stupiamo e restiamo af-
rifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te”». fascinati dalla bellezza di quella realtà creata, ana-
L’ora di Gesù è un tema teologico essenziale del logamente possiamo restare rapiti da una celebra-
vangelo di Giovanni, che si riferisce alla croce o, zione, a patto che essa rispetti alcuni elementi carat-
meglio, alla passione, morte e risurrezione di Cri- teristici. C’è un equilibrio necessario, proprio della
sto. Cioè al Mistero Pasquale. celebrazione.
Quindi possiamo dire: la gloria di Dio (quella pre- Comprendiamo in qualche modo come l’armonia e
clusa a Mosè) risplende e si comunica nella glorifi- la proporzione abbiano a che fare con la celebrazio-
cazione del Figlio. E la glorificazione del Figlio si ne. Se in una Messa l’omelia dura 40 minuti e la li-
dà, è presente, consiste essenzialmente nel Mistero turgia eucaristica 10 minuti, tutta l’armonia della
Pasquale: cioè la sua passione, morte e risurrezione. celebrazione ne resta turbata; se chi celebra e i mi-
La Croce dunque non è soltanto un simbolo, ma il nistranti sono rivestiti con paramenti sciatti, la bel-
luogo della manifestazione della gloria di Dio; me- lezza della celebrazione ne risulta inficiata. Non si
glio: il luogo ove risplende, si manifesta la gloria di tratta di ricchezza materiale (anche una celebrazio-
Dio e dove questa gloria viene comunicata. Cioè la ne fatta con oggetti poverissimi può risultare molto
gloria di Dio non è un attributo riservato solo a Lui, bella), ma di qualcos’altro.
non è qualcosa di cui Dio è geloso (come gli uomini Se prendiamo la foto di un volto, la tagliamo a metà
che si danno gloria gli uni gli altri) ma è qualcosa dall’alto verso il basso e riportiamo una delle due
che Dio comunica. metà allo specchio, a completare il volto, troveremo
La liturgia è dunque, per usare un’espressione del che, rispetto al volto di partenza, il risultato finale
Catechismo, lo strumento attraverso il quale «Cri- sarà di gran lunga meno bello. Si potrebbe dire, sen-
sto manifesta, rende presente e comunica la sua za timore di andare troppo lontani dalla verità, che
opera di salvezza» (CCC 1076) che si è data nel la bellezza sta proprio nell’assenza di simmetria.
tempo. Ciò che non poteva rendersi presente perché C’è una ricchezza del reale che supera di gran lunga
ormai passato, Dio lo rende presente nella liturgia. la semplice armonia delle parti e che ci invita a
Ciò che non poteva essere visto perché troppo gran- chiederci ancora una volta che cosa crei la bellezza.
de, Dio lo rende visibile nella liturgia. Ciò che non In questo senso è interessante quanto afferma
poteva essere dato a noi creature, Dio lo rende co- Nietzsche. Nella sua polemica contro J.J. Winckel-
municabile nella liturgia. mann e contro G.F.W. Hegel, che vedono nella bel-
lezza un ideale di assoluta perfezione, garantita dal-

La bellezza l’equilibrio armonico della forma e dal suo ordine


razionale, Nietzsche afferma che la bellezza non
della liturgia può darsi indipendentemente da un fondo oscuro e
indeterminato che essa rivela. È quello che viene te-
matizzato attraverso il rapporto originario che lega
L’enciclopedia Treccani alla voce Bellezza afferma Apollo, appunto il dio della bellezza, e Dioniso, che
che essa è la «qualità di ciò che appare o è ritenuto invece rappresenta il pathos, ossia la vita. Sembra
bello ai sensi e all’anima». Mi pare che questa defi- che il filosofo tedesco colga – pur nella confusione
nizione risulti abbastanza vaga. Subito dopo però e nella disparità di termini della sua produzione –
aggiunge: «La connessione tra l’idea di bello e un punto importante. Benedetto XVI lo dirà in un
quella di bene, suggerita dalla radice etimologica (il altro modo, molto efficace: «Questa bellezza non è
latino bellus “bello” è diminutivo di una forma an- una semplice armonia di forme; “il più bello tra i fi
tica di bonus “buono”), rinvia alla concezione della gli dell’uomo” (Sal 45[44], 3) è anche misteriosa-
bellezza come ordine, armonia e proporzione delle mente colui che “non ha apparenza né bellezza per
parti, che trovò piena espressione nella filosofia attirare i nostri sguardi” (Is 53, 2). Gesù Cristo ci
greca»5. mostra come la verità dell’amore sa trasfigurare an-
Ordine, armonia e proporzione delle parti non è che l’oscuro mistero della morte nella luce irradian-
propriamente una definizione, ma in qualche modo te della risurrezione. Qui il fulgore della gloria di
una descrizione di ciò che è bello. Kant dirà, nella Dio supera ogni bellezza intramondana. La vera
sua Critica del giudizio (1790), che non ci è possi- bellezza è l’amore di Dio che si è definitivamente a
bile definire in termini logico-concettuali il giudi- noi rivelato nel Mistero pasquale»6.
zio di bellezza su un oggetto, un’opera d’arte, una La bellezza di ciò che è liturgico, dunque, come
408
giustamente faceva notare Papa Francesco, non è dono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompa-
semplice ornamento e gusto per i paramenti, ma è gnano, che fruttificano e festeggiano».
l’amore rivelato in modo definitivo nel Mistero pa- Leggendo questo punto attentamente si nota una di-
squale. Ancora Benedetto XVI, in Sacramentum namica chiara, che il Papa sottolinea continuamen-
Caritatis: «Nella liturgia rifulge il Mistero pasquale te: c’è un mettersi in moto di Dio, che si piega sui
mediante il quale Cristo stesso ci attrae a sé e ci suoi figli e poi c’è il mettersi in moto dei figli, che
chiama alla comunione. In Gesù, come soleva dire riconoscono l’azione di Dio per loro e si sentono
san Bonaventura, contempliamo la bellezza e il ful- spinti a fare altrettanto. Così, la comunità evange-
gore delle origini. Tale attributo cui facciamo riferi- lizzatrice sperimenta che il Signore ha preso l’ini-
mento non è mero estetismo, ma modalità con cui la ziativa, l’ha preceduta nell’amore (cfr 1 Gv 4, 10),
verità dell’amore di Dio in Cristo ci raggiunge, ci e per questo essa sa fare il primo passo, sa prendere
affascina e ci rapisce, facendoci uscire da noi stessi l’iniziativa senza paura. Inoltre Gesù ha lavato i
e attraendoci così verso la nostra vera vocazione: piedi ai suoi discepoli; il Signore si coinvolge e
l’amore»7. coinvolge i suoi, mettendosi in ginocchio davanti
In ogni celebrazione siamo rapiti «all’amore delle agli altri per lavarli. Ma subito dopo dice ai disce-
realtà invisibili»8. Ora forse è più facile comprende- poli: «Sarete beati se farete questo» (Gv 13, 17). La
re perché la liturgia e la bellezza non possono esse- comunità evangelizzatrice, mediante opere e gesti
re separate. Se la liturgia non ha bellezza, non è in nella vita quotidiana, accorcia le distanze, si abbas-
grado di trasmettere ciò che essa è in realtà. La li- sa fino all’umiliazione se è necessario. Quindi, la
turgia è espressione della gloria di Dio e per questo comunità evangelizzatrice si dispone ad «accompa-
ogni celebrazione, in quanto realizzazione qui e ora gnare». Accompagna l’umanità in tutti i suoi pro-
della liturgia, deve cercare di avvicinarsi il più pos- cessi, per quanto duri e prolungati possano essere.
sibile a questa verità, affinché per mezzo di ciò che Conosce le lunghe attese e la sopportazione aposto-
si vede, di quel che si sente, di quanto si ascolta, lica. L’evangelizzazione usa molta pazienza, ed evi-
siamo rapiti all’amore delle realtà invisibili. Allora ta di non tenere conto dei limiti. Il seminatore,
la domanda non sarà: «Questo canto è bello? Que- quando vede spuntare la zizzania in mezzo al grano,
sto calice è bello?», ma: «Questo canto è espressio- non ha reazioni lamentose né allarmiste. Trova il
ne della gloria di Dio? Questo calice mi rapisce modo per far sì che la Parola si incarni in una situa-
all’amore delle realtà invisibili?». Questo forse sarà zione concreta e dia frutti di vita nuova, benché ap-
più facile dirlo dell’insieme più che dei singoli ele- parentemente siano imperfetti o incompiuti.
menti, ma il nostro compito di cristiani è quello di «Infine, la comunità evangelizzatrice gioiosa sa
far sì che ogni elemento apporti bellezza al tutto. sempre “festeggiare”. Celebra e festeggia ogni pic-
«Il memoriale del sacrificio redentore porta in sé cola vittoria, ogni passo avanti nell’evangelizzazio-
stesso i tratti di quella bellezza di Gesù di cui Pie- ne. L’evangelizzazione gioiosa si fa bellezza nella
tro, Giacomo e Giovanni ci hanno dato testimonian- liturgia in mezzo all’esigenza quotidiana di far pro-
za, quando il Maestro, in cammino verso Gerusa- gredire il bene. La Chiesa evangelizza e si evange-
lemme, volle trasfigurarsi davanti a loro (cfr Mc 9, lizza con la bellezza della liturgia, la quale è anche
2). La bellezza, pertanto, non è un fattore decorati- celebrazione dell’attività evangelizzatrice e fonte di
vo dell’azione liturgica; ne è piuttosto elemento co- un rinnovato impulso a donarsi» (EG, 24).
stitutivo, in quanto è attributo di Dio stesso e della L’annuncio cristiano, lo slancio missionario, non
sua rivelazione»9. derivano in primo luogo da un entusiasmo umano.
Ciò che la Chiesa è chiamata ad annunciare è la
realtà di Dio che si è fatto avanti, che ha preso l’i-
Il volto splendente niziativa ed è venuto a cercarci perché abbiamo la
del popolo di Dio vita e l’abbiamo in abbondanza (cfr Gv 10, 10).
Questa iniziativa divina non è relegata al passato;
non è un bel racconto o un mito, ma si manifesta, si
L’ultimo elemento della frase di Papa Francesco rende presente e si comunica attraverso la liturgia.
che stiamo analizzando, fa riferimento al popolo di Nella bellezza della liturgia, che è presenza della
Dio: «La bellezza di quanto è liturgico, non è sem- gloria, noi veniamo a contatto con il Mistero di Dio,
plice ornamento e gusto per i drappi, bensì presenza che è il contenuto della missione. Se non ho cono-
della gloria del nostro Dio che risplende nel suo po- sciuto Dio, non ho nulla da annunciare, non ho una
polo vivo e confortato». missione, quel che dico è vuoto, è mito. Se invece
Nel punto n. 24 della Evangelii gaudium, Francesco ho conosciuto Dio, se sono stato faccia a faccia con
sta parlando della necessità della missione, necessi- Lui, non posso fare altro che correre a raccontarlo,
tà intrinseca all’esistenza della Chiesa stessa: la a divulgarlo.
Chiesa o è missionaria o non è. «La Chiesa “in usci- L’imitazione di Cristo è qualcosa di molto più pro-
ta” è la comunità di discepoli missionari che pren- fondo che non la semplice riproduzione di modi di
409
fare. È comunione. È quel che fa un figlio perché perché facciano da ponte nel condurre a Lui: elezio-
conosce suo padre: imita i suoi modi di dire, non lo ne è sempre elezione per l’altro. Nella storia del po-
scimmiotta ma gli vengono spontanei perché li co- polo d’Israele possiamo ripercorrere le tappe di un
nosce e li ha fatti suoi. Nella liturgia noi celebriamo lungo cammino in cui Dio si fa conoscere, si rivela,
l’iniziativa divina: essa si manifesta ai nostri occhi, entra nella storia con parole e con azioni. Per questa
si rende presente e ci si comunica. Per questo pos- opera egli si serve di mediatori, come Mosè, i pro-
siamo uscire da una celebrazione e «glorificare il feti, i giudici, che comunicano al popolo la sua vo-
Signore con la nostra vita» (cfr Messale romano, lontà, ricordano l’esigenza di fedeltà all’alleanza e
Rito della Messa con il popolo, congedo). Abbiamo tengono desta l’attesa della realizzazione piena e
contemplato le meraviglie dell’amore di Dio per noi definitiva delle promesse divine»13. E quei media-
e, pieni di gratitudine, siamo portati a voler corri- tori, oggi, siamo noi.
spondere a tutto quello che abbiamo contemplato, a
desiderare di portare la luce e il calore che abbiamo
ricevuto anche nelle faccende di tutti i giorni: illu- Liturgia & vita
minare i cammini della terra con la fiamma dell’a-
more di Dio10.
Il rito in latino della Messa si conclude con «Ite,
missa est». Benedetto XVI in SCa afferma: «Nel- Una grande sfida per la teologia è fare in modo che
l’antichità missa significava semplicemente dimis- quanto essa approfondisce e scopre diventi vita. In
sione. Tuttavia essa ha trovato nell’uso cristiano un questo senso quello che abbiamo detto finora può
significato sempre più profondo. L’espressione di- restare lettera morta o avere ricadute pratiche, le
missione, in realtà, si trasforma in missione. Questo quali possono essere personali o comunitarie. Qui
saluto esprime sinteticamente la natura missionaria di seguito segnalo alcune linee sulle quali può cre-
della Chiesa»11. In questo modo si comprende che scere la consapevolezza della vocazione cristiana e
cosa significhi che la gloria di Dio risplende nel suo quindi la vita liturgica.
popolo vivo e confortato. Il popolo di Dio vive Il Concilio Vaticano II afferma che «la liturgia è il
dell’Eucaristia, vive della gloria di Dio resa presen- culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, al
te nella liturgia, vive grazie al Mistero pasquale re- tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua
so presente attraverso la liturgia. Ed è proprio la energia» (SC, 10). La Chiesa quindi vive grazie all’e-
contemplazione e la comunione con questo Mistero nergia che scaturisce dalla liturgia e protende la pro-
pasquale che conforta il santo popolo di Dio nel suo pria azione verso la liturgia. Tale vita nasce dalle ce-
cammino in questo mondo. Il popolo di Dio riceve lebrazioni sacramentali della Chiesa: è con il Batte-
forza dal Mistero pasquale. Per questa ragione ri- simo e la Cresima che si diventa cristiani, che si co-
splende della gloria di Dio, proprio come il volto di mincia a vivere la vita cristiana. Quindi la liturgia ha
Mosè risplendeva dopo aver parlato con Dio. a che fare con la comunicazione della vita divina: es-
Dio prende l’iniziativa, ci chiama, ci convoca, per sere trasportati alla presenza della gloria di Dio è lo
divinizzarci e quindi ridonarci quell’impulso evan- strumento scelto da Dio per comunicarci la sua stessa
gelizzatore che ci costituisce come cristiani. Come vita. Se la liturgia è innanzitutto comunicazione della
può esserci spazio per la sciatteria se quel che cele- vita, esiste però anche il rischio di viverla in maniera
briamo è la presenza della gloria? Come possiamo deformata: il ritualismo, quell’atteggiamento super-
stare a guardare l’orologio se siamo alla presenza ficiale che mette al centro dell’interesse l’esteriorità
del Dio vivente? Come può essere un’omelia più e l’apparenza, senza addentrarsi nel mistero che dà la
importante della parola di Dio? «Il predicatore può vita. Esso dimentica che «la liturgia rinvia alla vita
essere capace di tenere vivo l’interesse della gente quotidiana, a me nella mia esperienza personale»14.
per un’ora, ma così la sua parola diventa più impor- Quando il rito diventa una cosa esteriore, si prosciu-
tante della celebrazione della fede. Se l’omelia si ga, si chiude in sé stesso e si trasforma in routine.
prolunga troppo, danneggia due caratteristiche della L’esperienza routinaria rovina la vocazione eucaristi-
celebrazione liturgica: l’armonia tra le sue parti e il ca dell’essere cristiano verso la totale identificazione
suo ritmo»12. sacramentale con il Verbo incarnato e il suo Mistero
Il futuro della Chiesa passa attraverso l’evangeliz- pasquale: «La contemporaneità con la Pasqua di Cri-
zazione: se non evangelizza, muore. Non tanto per sto, che ha luogo nella liturgia della Chiesa, è anche
mancanza di figli, ma perché viene meno al senso, una realtà antropologica. La celebrazione non è solo
al fine per il quale Dio l’ha fondata. Il futuro dell’e- rito, non è solo un “gioco” liturgico, essa vuole esse-
vangelizzazione passa attraverso la bellezza della re [...] trasformazione della mia esistenza in direzio-
liturgia, perché essa manifesta la gloria di Dio, pre- ne del Logos, contemporaneità interiore tra me e l’of-
sente in mezzo al suo popolo. Noi siamo i chiamati. ferta di Cristo. La sua offerta vuole diventare la mia,
«È una scelta che rimane un mistero e rivela lo stile perché la contemporaneità si compia e avvenga l’as-
di Dio che chiama alcuni non per escludere altri, ma similazione con Dio»15.
410
Al contrario, quando la liturgia è compresa in tutta costituito sacerdote e pertanto deve esercitare il suo
la sua profondità teologica, e la sua celebrazione è sacerdozio. Infatti, se la liturgia è intesa come cele-
esperienza viva che coinvolge la vita personale, la brazione (manifestazione, presenza e comunicazio-
liturgia opera nei fedeli una trasformazione straor- ne) del Mistero di Cristo per la vita dei fedeli, allora
dinaria: il fedele si trasforma in «alter Christus, la partecipazione è un’esigenza costitutiva della li-
ipse Christus»16. Grazie alla liturgia noi viviamo turgia stessa: non si riduce a un elemento ornamen-
la vita divina, in modo tale che veniamo costituiti tale o accessorio della celebrazione né a un ideale o
sacerdoti della nostra stessa esistenza, per poter a una meta dell’azione pastorale, ma è condizione
trasformare tutti gli istanti della giornata in una necessaria dell’evento liturgico. Ecco perché «de-
«continua Eucaristia»17. vo» andare a Messa la domenica: perché in quanto
Se la liturgia fosse Dio che agisce per sé stesso, non figlio, ho bisogno di contemplare la gloria di mio
avrebbe alcun interesse per l’uomo. Se fosse l’uo- Padre Dio, di comunicare a questa gloria, di essere
mo che agisce per sé stesso, non avrebbe alcun va- conformato a Cristo per essere Cristo là dove vivo,
lore. Ma poiché è un’azione di Dio che coinvolge lavoro, mi diverto... E allo stesso tempo è lì che
l’uomo e lo divinizza, allora deve necessariamente esercito il mio sacerdozio battesimale.
avere delle ricadute sulla vita del singolo, altrimenti Nella celebrazione io contemplo la bellezza della
non avrebbe alcun senso. gloria divina, prendo parte a questa gloria, ricevo
Lo splendore del popolo di Dio di cui parla Papa la vita divina, accresco la mia relazione esistenzia-
Francesco può giungere a illuminare ogni istante le con Cristo. La partecipazione non ha tanto a che
della nostra vita perché noi veniamo costituiti sa- fare con manifestazioni esterne, quanto piuttosto
cerdoti della nostra stessa esistenza. Noi veniamo con la comunione di fede tra Dio e il fedele che
convocati alla presenza della gloria di Dio perché porta alla trasformazione esistenziale della vita di
da lì lo portiamo in tutti i luoghi della nostra vita ciascuno di noi.
quotidiana. La vita ordinaria, le relazioni famigliari, Giovanni Zaccaria
il lavoro non sono contro Dio, ma sono il luogo in 1
cui adorare Dio. Sant’Ireneo afferma: «La gloria di J. Ratzinger, A te voglio cantare davanti agli angeli. La tradi-
zione di Ratisbona e la riforma liturgica, in Teologia della litur-
Dio è l’uomo vivente, ma la vita dell’uomo è vede- gia (Opera Omnia, 11), Libreria Editrice Vaticana, Città del Va-
re Dio»18: la vera adorazione di Dio è la vita stessa ticano 2010, pp. 635-636. Così pure il Concilio Vaticano II:
dell’uomo che vive secondo giustizia, ma essa di- «Nella liturgia terrena noi partecipiamo per anticipazione alla
venta vita vera solo se riceve la sua forma dallo liturgia celeste che viene celebrata nella santa città di Gerusa-
lemme [...] dove il Cristo siede alla destra di Dio» (Sacrosanc-
sguardo rivolto a Dio. Il culto serve proprio a offrire tum Concilium, 8).
questo sguardo e a dare così la vita, che diventa glo- 2 Cfr Francesco, Omelia nella Veglia di Pasqua, 15 aprile 2017
ria per Dio. (https://w2.vatican.va/content/francesco/it/homilies/2017/docu-
Si comprende dunque che cosa significhi che i fe- ments/papa-francesco_20170415_omelia-veglia-pasquale.html,
deli partecipano alla liturgia. Il Concilio Vaticano II #7 giugno 2017).
3 Per quanto contenuto in questa sezione seguiamo da vicino
ha fatto della partecipazione attiva dei fedeli uno l’argomentazione di Benedetto XVI (cfr. Benedetto XVI,
dei princìpi fondanti della riforma liturgica (princi- Udienza generale, 16 gennaio 2013, in https://w2.vatican.va
pio enunciato in primis da san Pio X nel 1903). Pur- /content/benedict-xvi/it/audiences/2013/documents/hf_ben-
troppo, spesso questo principio è stato frainteso, xvi_aud_20130116.html, #7 giugno 2017).
4 Benedetto XVI, Udienza generale, 16 gennaio 2013.
perché è mancato l’approfondimento sulla vera na- 5 in http://www.treccani.it/enciclopedia/bellezza/ (#8/05/17).
tura della liturgia. Si è pensato che tradurre la litur- 6 Benedetto XVI, esort. ap. Sacramentum Caritatis (22 febbraio
gia nelle diverse lingue e far cantare i fedeli fosse 2007), n. 35 (in http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/
sufficiente ad assicurare una partecipazione attiva. apost_exhortations/documents/hf_ben-xvi_exh_20070222_sa-
Ma abbiamo già ricordato la concezione fallimenta- cramentum-caritatis.html, #8 giugno 2017).
7 Ibid.
re della Messa intesa come azione umana. Il Conci- 8 Messale romano, prefazio di Natale I.
lio intende il concetto di partecipazione non come 9 Benedetto XVI, Sacramentum Caritatis, n. 35.
una questione pastorale (capacità di leggere i segni 10 Cfr san Josemaría Escrivá, Cammino, Ares, Milano 2012, n. 1.

dei tempi o di andare incontro alle mutate condizio- 11 Benedetto XVI, Sacramentum Caritatis, n. 51.
12 Francesco, esort. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013),
ni socio-culturali: la società di oggi ha bisogno di
sentirsi parte attiva nella vita della Chiesa e questo n. 138 (in http://w2.vatican.va/content/francesco/it/apost_ex-
hortations/documents/papa-francesco_esortazione-.ap_
deve riflettersi anche nella celebrazione del culto). 20131124_evangelii-gaudium.html, #8 giugno 2017).
No. La partecipazione attiva è intesa dal Concilio 13 Benedetto XVI, Udienza generale, 16 gennaio 2013.
14 J. Ratzinger, Introduzione allo spirito della liturgia, San Pao-
come un presupposto della nozione di culto; che i
fedeli partecipino è un’esigenza «della natura stessa lo, Cinisello Balsamo (MI) 2001, pp. 55-56.
15 Ibid.
della liturgia», fondata sul carattere sacerdotale di 16 San Josemaría Escrivá, È Gesù che passa, Edizioni Ares, Mila-
ogni battezzato. Partecipare alla Messa non è una no 2015, n. 96.
gentile concessione di un prete «aperto», ma dirit- 17 Ibid.
18 S. Ireneo, Adversus Haereses, 4, 20, 7.
to-dovere che nasce dal battesimo, dove ciascuno è
411

Potrebbero piacerti anche