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MONOGRAFIE

COLLANA DIRETTA
DAL PROF. ARTURO CATTANEO
FRANCESCO PANIZZOLO

La potestà di governo
nella vita consacrata
Linee di sviluppo storico-giuridico
ed ecclesiologico

Presentazione di Arturo Cattaneo


© 2009, Marcianum Press, Venezia.

Marcianum Press srl


Dorsoduro 1 - 30123 Venezia
Tel. 041 29 60 608 Fax 041 24 19 658
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www.marcianumpress.it

In copertina:
Giotto, San Francesco e l’approvazione della regola da parte di Papa
Innocenzo III, affresco sec. XIII.
Assisi, Basilica di S. Francesco, Chiesa Superiore dopo gli ultimi
restauri (2005).
Foto © Deganello Giorgio

Impaginazione e grafica: Linotipia Antoniana, Padova

ISBN 978-88-89736-79-1
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Presentazione

Nella recente istruzione Faciem tuam della Congrega-


zione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita
apostolica (11 maggio 2008), si dice che «la sequela del Si-
gnore non può essere impresa di navigatori solitari, ma è
attuata nella comune barca di Pietro» (13, f). In questa co-
mune barca di Pietro il Signore ha suscitato nella storia
uomini e donne che hanno consacrato la loro vita al ser-
vizio di Dio sotto l’ispirazione dello Spirito santo.
Di questa consacrazione e di questo servizio si è fatta
sempre più garante la Chiesa, fino a riconoscere esplicita-
mente le forme di vita consacrata come un suo elemento
imprescindibile, segno visibile dei doni dello Spirito, sen-
za cui non si potrebbe capire la Chiesa stessa. Per questo,
inizialmente apparsa in forme individuali, la vita consacra-
ta si è nel tempo aggregata, creando strutture di vita fra-
terna e comunitaria a somiglianza della prima comunità di
Gerusalemme.
I carismi crebbero sulla scorta di una carità ordinata
che vuole indicare un di più non solo evidente nella san-
tità individuale – tensione sempre presente e necessaria
per la vita nello Spirito – ma pure comunitaria, per cui i
doni spirituali vengono condivisi e arricchiscono tutti.
Posta in quest’ottica, la necessità della condivisione dei
doni e del vivere insieme nella sequela Christi, ha concen-
trato la propria attenzione attorno a figure carismatiche
che guidassero i fratelli sulle vie della santità. Ma, lungi
dall’essere sintomo di diversità, di prevaricazione, di privi-
legio, coloro che guidano i consacrati sulle vie della santi-
tà, svolgono un vero e proprio servizio, affascinante e allo
stesso tempo duro.
La potestà di governo nella vita consacrata
6

Quest’opera cerca perciò di addentrarsi in questo servi-


zio, prospettandone alcune caratteristiche particolari e,
tuttavia, necessarie, come sono quelle giuridiche.
Proprio con la sensibilità giuridica, si rivolge perciò a
coloro che siano interessati ad approfondire una tematica
non irrilevante della Chiesa e della cultura occidentale, a
vederne il nascere e lo svilupparsi secondo la comprensio-
ne che la Chiesa ha avuto di sé nel tempo e che ha in par-
ticolare oggi, a quarant’anni e più dal Concilio Vaticano
II.
Lasciando ad altri, quindi, l’approfondimento teologi-
co-spirituale del ruolo dell’autorità all’interno degli Istituti
di vita consacrata e delle Società di vita apostolica, ci li-
mitiamo qui a sondare le vie che hanno preso carne nella
storia con la capacità di lasciare il segno nei solchi del no-
stro presente, lì dove la buona semente del Vangelo veni-
va gettata per morire e così portare frutto. Impresa non fa-
cile sia per la vastità del tempo in cui questa semente è sta-
ta – e continua ad essere – gettata, sia per la complessità
e diversità degli Ordini, Religioni, Congregazioni, Società,
Istituti che ne sono nati, sia per la diversità di posizioni ed
opinioni che anche oggi si scontrano e – a volte – incon-
trano.
A questa difficoltà viene incontro il Codice di Diritto
Canonico, che nella sintetica esposizione tipica dei testi
giuridici, presenta – a volte in maniera inaspettata – solu-
zioni di ampio respiro e di profonda attualità. E a questa
fonte si farà alla fine riferimento, per poter essere il più
possibile coerenti con l’hodie della Chiesa.
Al lettore l’augurio di poter gustare l’amore che la
Chiesa ha per ogni consacrato e di poter appassionarsi per
essere a sua volta possibilità di questo amore.
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Introduzione

Osservando la vita della Chiesa, e particolarmente la


vita della Chiesa così come è strutturata oggi, ci si trova
di fronte ad una realtà complessa, che fa dell’amore per
Cristo e in esso della salvezza delle anime la propria origi-
ne e meta. Essa trova concretamente espressione nella sto-
ria in cui è inserita, che pure viene consacrata e riportata
a Cristo. Della vita stessa della Chiesa fanno parte uomi-
ni e donne che si consacrano al Signore nel nome di
Cristo per la lode a Dio, nel servizio alla Chiesa e all’uma-
nità intera.
Con lo studio delle forme organizzate di vita consacra-
ta, ci si imbatte anche nella loro struttura interna, così co-
me è articolata ai nostri giorni, complessa e variegata ric-
chezza di carismi, particolarità e diversità per il bene del
popolo di Dio. Alla identità e salvaguardia di questa ric-
chezza è posto il diritto degli Istituti di vita consacrata e
delle Società di vita apostolica che, assieme al diritto par-
ticolare di ogni specifico gruppo di consacrati riconosciu-
to dalla Chiesa – universale o particolare –, forma l’ossa-
tura ed il volto visibile di una realtà che travalica i confi-
ni dell’istituzione per entrare nel carisma e nell’invisibile.
Tale diritto è parte, forse non fondamentale ma certamen-
te importante e rilevante, del diritto canonico e della vita
della Chiesa.
Questo è il diritto posto al centro del presente elabora-
to, nella fattispecie il diritto che regolamenta quella com-
plessa serie di rapporti che si instaura tra chi è chiamato a
discernere per governare un Istituto o una Società e chi,
facendo parte di tale comunità, è chiamato ad obbedirvi.
È l’antica (per la storia della Chiesa) e sempre nuova (per-
La potestà di governo nella vita consacrata
8

ché ogni persona è un mistero) ricerca dell’obbedienza a


Dio Padre, che nel discernimento è chiamato a fare tanto
chi governa quanto chi è governato. È ciò che il modello
per eccellenza di ogni cristiano, Gesù Cristo, fece quando
“assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli
uomini, apparso in forma umana, umiliò se stesso facendo-
si obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Fil
2,7b-8).
Nel corso della storia, gran parte degli autori non han-
no mancato di sottolineare che tale rapporto si inserisce in
un ambito privato che soltanto occasionalmente sconfina
nella vita pubblica della Chiesa e da essa viene riconosciu-
to, ma non per volontà interna, bensì per una volontà
esterna e superiore, gerarchica. Questo ha generato la teo-
ria (e la prassi) della ‘potestà dominativa’, che ben presto
si è trasformata in un giuridicismo esasperato e minuzioso
che, se da un lato rendeva il Superiore potenzialmente ca-
pace di far tendere il suddito alla salus animarum, dall’al-
tro rischiava di far perdere di vista proprio il fondamento
non solo dell’obbedienza, ma pure della consacrazione:
l’amore per Cristo che si è fatto obbediente al Padre.
Non sono mancate e non mancano riflessioni riguar-
danti il ruolo e la posizione dei consacrati nella vita della
Chiesa e, certamente, non verranno a mancare, continua-
mente interpellati dalla storia in cui la Chiesa è chiamata
a portare la luce di Cristo. A partire da queste riflessioni
si è giunti – dal Concilio Ecumenico Vaticano II fino ad
oggi – ad una revisione di tutto quello che è stato il mo-
do di concepire la vita all’interno di Ordini, Religioni,
Istituti e Società e, nel Codice attuale, si è giunti a darne
una sintesi perfezionabile certamente, ma che sicuramen-
te e soprattutto rompe con il passato. Si inserisce ora l’esi-
stenza degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vi-
ta apostolica nella vita pubblica della Chiesa, rendendo
ragione del loro esistere all’interno di essa.
Introduzione
9

Con questa nuova posizione ecclesiologica, la Chiesa


pone le basi per una riflessione futura circa tutte le forme
di vita consacrata. Ma allo stesso tempo apre interrogativi
circa il rapporto esistente tra governante e governato che
viene ora ad inserirsi nel più ampio contesto della potestà
nella Chiesa, argomento fondamentale e delicato nonché
al centro, seppur da angolazioni sempre diverse, di un con-
tinuo dibattito tra gli studiosi.
Si tratta, infatti, della sacra potestas nella Chiesa, cioè
dell’insieme di doveri e diritti1 che Gesù Cristo ha affida-
to a Pietro e, tramite lui, ai suoi vicari e successori del pri-
mo degli apostoli. Non si entra direttamente e propria-
mente nel dibattito circa l’origine di questa potestà nella
Chiesa, ma se ne tratteggiano le linee fondamentali per-
ché ad essa si fa riferimento più volte parlando del can.
596. In questo senso, la ricerca si vuole inserire anche nel-
l’ambito del libro I del Codice, in quel titolo VIII riguar-
dante la potestà di governo nella Chiesa che gioca un ruo-
lo fondamentale nella guida alla salus animarum e che in-
fluisce direttamente nella sfera dei doveri e diritti delle
persone fisiche e giuridiche nel corpo ecclesiale.
Ed è proprio a questo tema che si cerca di dare alcune
risposte nella trattazione della ricerca riguardo alla vita
consacrata. La potestà di governo nella vita consacrata divie-
ne allora un’esplorazione di quella che è stata ed è la con-
cezione della potestas negli Istituti di vita consacrata, in
prospettiva storica – secondo lo sviluppo che ebbe ad ave-
re fin dai suoi primi passi nella Chiesa –, senza tralasciare
i vari significati che vi si accostarono a livello ecclesiolo-

1 Sebbene questi siano ora disciplinati organicamente nel Codice,

mentre dai Vangeli si ricava solamente che a Pietro viene affidata la


cura del popolo di Dio nel nome di Gesù (cfr. Mt 16,18; Lc 22,31ss.;
Gv 21,15-17).
La potestà di governo nella vita consacrata
10

gico e le concrete disposizioni che – allora come adesso –


furono prese a livello giuridico.
La presente ricerca fa esplicito riferimento al can. 596
del Codice di diritto canonico, situato nel libro II sul po-
polo di Dio, alla parte III, il titolo I della sezione I riguar-
dante gli Istituti di vita consacrata.2 Ed effettivamente lo
spunto per questa riflessione è proprio partito da questo
canone: qual è la potestà definita dal diritto universale e
dalle costituzioni per gli Istituti di vita consacrata e le
Società di vita apostolica? È sempre stata vista in questo
modo nella Chiesa? Si può parlare di una potestà comune
a queste forme di vita consacrata? Perché il Codice non vi
fa esplicito riferimento? È la stessa potestà che la Chiesa
ha ricevuto da Cristo? E come viene trasmessa agli Istituti
e alle Società? A queste e ad altre domande si è cercato di
dare una risposta soddisfacente nello sviluppo della ricer-
ca che si è trovata affascinante e al contempo complessa,
lungo il dipanarsi della questione.
Con questo lavoro non si ha la pretesa di chiudere un
capitolo dibattuto della vita religiosa, quanto piuttosto di
porre dei punti fermi su ciò che finora è stato raggiunto e
di indicare una via alla possibile soluzione di un argomen-
to ancora discusso. Ed effettivamente non mancano le po-
sizioni più diverse nella dottrina e sembra che tra gli auto-
ri debba ritenersi ancora distante il giorno per una possi-
bile conciliazione delle diverse posizioni: vi è infatti chi
sostiene una radicale diversità tra la sacra potestas esercita-
ta dalla/nella Chiesa con quella degli Istituti e Società, e
chi sostiene la sua sostanziale uguaglianza. Né d’altro can-
to mancano altre ricerche svolte in passato da studiosi o
da studenti. Ma si deve rilevare che si sono trovate rivol-

2 Il can. 732, in combinato disposto, pone tale normativa anche

per le Società di vita apostolica, mediante rinvio diretto.


Introduzione
11

te più all’aspetto storico-teologico che ad una sua attenta


analisi anche ecclesiologica e soprattutto giuridica. Questo
può stupire tanto più in quanto il Codice lascia alla dot-
trina la definizione e l’approfondimento di questa potestà
(indicando soluzioni interne a quel diritto comune che è
il Codice stesso), evitando di addentrarsi in dispute e po-
sizioni che trovano difficoltà ad armonizzarsi in un tutto
unico, a volte anche tra i suoi stessi canoni.
Partendo da questi presupposti, il metodo usato è al
contempo ‘diacronico’ (soprattutto nei primi due capitoli
che guardano più alla storia e all’ecclesiologia e, quindi,
allo sviluppo del concetto di potestà dominativa fino qua-
si ai nostri giorni) e ‘sincronico’ (soprattutto negli ultimi
tre capitoli che, avvicinandosi ai nostri giorni, si trovano
ad affrontare contemporaneamente – e in un tentativo di
riavvicinamento – le diverse posizioni giuridiche). L’argo-
mentare è prevalentemente ‘induttivo’, guardando di vol-
ta in volta alle concrete disposizioni e scelte che il legisla-
tore ha preso per affrontare le istanze della storia: si è ri-
scontrato infatti che, in lavori svolti da altri autori, la teo-
ria difficilmente riesce a sfociare poi in una pratica effetti-
va, sia perché non viene colta quella già esistente, sia per-
ché non rende ragione di possibili cambiamenti futuri. Il
Codice diviene allora una fonte sicura e pratica al contem-
po (la più pratica!) per riconoscere le teorie o forse, me-
glio, la teoria che vi sottostà, ed interpretarla alla luce del
suo principio ispiratore: il Concilio.
La necessità di un testo di base e comune diviene tan-
to più importante se si guarda alle posizioni degli autori dal
principio del concetto di potestà dominativa fino alla pro-
mulgazione del Codice del ’17. Il capitolo primo, che ne
cerca di tratteggiare le linee portanti, indica le radici del
pensiero degli autori medievali all’interno del concetto
giuridico romano di potestà, individuata nel suo ambito
privato familiare di patria potestas (rapporti parentali) e do-
La potestà di governo nella vita consacrata
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minica potestas (rapporti servili). Ne fa seguito la posizione


del Suàrez, coniatore del termine stesso di potestas domina-
tiva, e, da ultimo, le analisi della potestà in vari tipi di so-
cietà, in ambito privato e pubblico, con particolare riferi-
mento alle differenze esistenti tra potestà negli Istituti
esenti e non esenti.
Il secondo capitolo analizza la dottrina che si accompa-
gnò al Codice del ’17 e che favorì il riconoscimento di ca-
rattere pubblico alla potestà dominativa, sì che il Concilio
Ecumenico Vaticano II recepì tale posizione e – ancora in
fase conciliare – furono concesse speciali facoltà ai Supe-
riori di Istituti di diritto pontificio sia clericali che laicali.
È nel terzo capitolo che prende la luce il can. 596, co-
sì come si trova nel Codice vigente. Se ne seguono perciò
le tappe fondamentali, l’iter di formazione dal post-Con-
cilio al 1982, citando anche alcuni documenti della Curia
Romana, che hanno segnato per la loro portata la norma
particolare del nostro canone.
Una volta raggiunta l’attuale legislazione in materia, si
prendono ad esame quelle che sono le disposizioni concre-
te, l’insieme di doveri e diritti (e sono molti) che gli uffi-
ci di Ordinario e di Superiore maggiore comportano, se ne
pongono a confronto l’esercizio di potestà che in entram-
bi vengono concesse, con un riguardo particolare alla po-
testas exsecutiva.
All’ultimo capitolo è lasciata una panoramica sulle di-
verse opinioni degli autori riguardante la potestà dei Su-
periori maggiori. Si individuano principalmente due teo-
rie, coloro che riferiscono la potestà esercitata negli Istitu-
ti e nelle Società come potestas sacra e coloro che non vi
vedono alcun legame se non per gli Istituti religiosi e le
Società di vita apostolica clericali di diritto pontificio.
Nell’uno e nell’altro “schieramento” non mancano nomi
illustri, tanto che, di una sessantina di autori presi in esa-
me complessivamente, risulta difficile prendere posizione
Introduzione
13

contro gli uni o contro gli altri. Si è cercato perciò di con-


ciliare soprattutto le prospettive della seconda posizione,
pur riconoscendo che la loro diversità notevole – per ori-
gine, sviluppo ed illustrazione della potestà descritta al
can. 596 §1 – è il maggior ostacolo ad un’armonizzazione
unitaria del gruppo.
Infine, si cerca di cogliere delle conclusioni dal lavoro
svolto e da alcune riflessioni personali per una soluzione al
problema, rilevando alcuni spunti per un’analisi ancora
possibile e proponendo anche la formulazione di un nuo-
vo canone, consono all’esito del lavoro di ricerca svolto.
Il risultato conclusivo che ne consegue è molto vasto.
E, tuttavia, è opportuno notare che si è dovuta fare una se-
lezione del copioso materiale esistente per non rischiare la
dispersione ed anche la divagazione dal tema trattato.
Infatti, spingendosi dai primordi della vita consacrata as-
sociata ai giorni nostri, si abbracciano quasi duemila anni
di storia della Chiesa e perciò non solo un notevole arco
storico, ma pure un bagaglio culturale e teologico notevo-
le che, pur non avendo la pretesa di aver espresso esausti-
vamente, si auspica sia stato quanto meno ben impostato
per capirne la profondità, che è profondità e sapienza del-
la Chiesa e degli uomini che l’hanno formata, nel loro tut-
to unico di carne e spirito e, se si vuole, di pregi e difetti.
15

Cap. I
Potestà dominativa
dalle origini al CIC 17:
sviluppo ed essenza

Il capitolo si propone di evidenziare la nascita del con-


cetto di potestà dominativa nella vita consacrata, dai suoi
albori nella vita monastica alle sue ultime forme di Società
di vita comune ed Istituti secolari. Si espongono le linee
fondamentali della potestà esercitata in ambito privato nel
diritto romano, da cui spesso gli autori hanno tratto spun-
to per la loro trattazione del tema e le si raffronta con le
principali posizioni degli autori medioevali e rinascimen-
tali.
Si circoscrive quindi la trattazione nell’osservare l’ori-
gine della potestà secondo i vari autori e la sua differente
applicazione nei casi in cui venga considerata pubblica o
privata. Infine, si espone il legame intercorrente tra l’isti-
tuto dell’esenzione e la potestà di giurisdizione nel campo
della vita consacrata.

1.1. La potestà nel diritto romano

Parlando della potestà dominativa, non si può omette-


re la trattazione della potestà in ambito romano e di quel-
la potestas nelle relazioni familiari a cui questa stessa ri-
manda, per poter capire il sostrato giuridico su cui poggia
tale potestà. Si dice infatti dominativa quella potestà che
La potestà di governo nella vita consacrata
16

prende nome dal dominor (dominus),1 dal momento che i


Superiori tengono quasi in dominio la volontà dei loro
sudditi, esercitando su di essi una vera dominazione. Ma
questa stessa non è assoluta né arbitraria, in quanto si eser-
cita secondo i limiti professati con l’emissione dei voti.2
Essa prende forma da quella potestà propria del padre sul
figlio, del marito sulla moglie, del padrone sullo schiavo in
epoca romana.3
La dinamica interna della vita dei religiosi nei mona-
steri (si tenga ben presente che a lungo nella Chiesa l’uni-
ca forma di vita consacrata fu quella monacale, claustrale)
fu regolata fin dai primi albori dalla diretta dipendenza ed
obbedienza dei monaci all’abbas, l’abate.4
Nell’ambito dei rapporti assoluti esistenti tra i romani,
si individuano due categorie: i ‘rapporti familiari’ (tra i qua-
li si inseriscono la patria potestas ed il matrimonium) ed i
‘rapporti dominicali’ (tra i quali spicca il domìnium ex iure

1 “«Habere» dubliciter accipitur: nam et eum habere dicimus, qui


rei dominus est et eum, qui dominus quidem non est, sed tenet: deni-
que habere rem apud nos depositam solemus dicere”. Così Ulpiano in
D. 45, 1, 38, 9. Più oltre lo stesso autore afferma: “Pater autem fami-
lias appellatur, qui in domo dominium habet, recteque hoc nomine
appellatur, quamvis filium non habeat...”, D. 50, 16, 195.
2 Cfr. RAUS J.B., De sacrae obedientiae virtute et voto, Parigi 1923, 65.
3 Cfr. CABREROS DE ANTA, La potestas dominativa y su ejercicio, in

AA.VV., La potestad de la Iglesia. Trabajos de la VII semana de Derecho


canonico, Barcelona 1960, 59.
4 Non è un caso che in alcuni luoghi, il monaco fosse chiamato an-

che ‘figlio’ dell’abate, il quale significa appunto ‘padre’. Abbas sarebbe


la forma familiare (propria dell’infante) di appellare la figura paterna,
che nelle lingue indoeuropee è riconosciuta come atta. Infatti, la for-
ma pa-ter avrebbe carattere giuridico e sociale che non sempre corri-
sponde alla paternità in senso fisico (in latino si usano i termini pa-
rens e genitor per indicare quest’ultima). Cfr. sull’argomento FRANCIOSI
G., Clan gentilizio e strutture monogamiche, Napoli 1976, vol. II, 98-99
in nota, con ampia bibliografia.
Cap. I - Potestà dominativa dalle origini al CIC 17: sviluppo ed essenza
17

Quiritiium e la dominica potestas sui servi). La patria potestas


è la potestà che ha il padre nei confronti dei figli, mentre
la potestas semplice (chiamata dalla dottrina potestas domi-
nica) è quella che ha il signore nei confronti dei servi.
In un certo senso, la struttura esistente all’interno del-
la famiglia romana era in larga parte paragonabile a quel-
la di uno Stato, anche in periodo giustinianeo.5 Tutte le
funzioni familiari facevano capo al paterfamilias, la cui po-
testas trova un buon parallelo nelle organizzazioni statuali
e che sopravviverà fino a Giustiniano.

1.1.1. La patria potestas


Trattare della patria potestas così come era concepita
nella familia romana, significa considerare l’evoluzione che
questo istituto ha avuto in questa società dall’epoca delle
XII tavole (VIII-VII sec. a.C. ca.) alla riforma del diritto
romano attuata dall’imperatore Giustiniano (VI sec. d.C.).
Ciò comporterebbe una vasta panoramica, che sarà qui
trattata solo per sommi capi, all’unico fine di inquadrare le
radici della potestà dominativa.
Nel diritto romano, pater era non solo il genitore (chia-
mato pater naturalis), ma pure l’ascendente (chiamato pa-
ter familias, che poteva coincidere con la persona del geni-
tore e che deteneva la patria potestas sul soggetto).

5 È questa la posizione del BONFANTE P., Corso di diritto romano,


Roma 1925, vol. I, 5 ss., che ha trovato in ARANGIO-RUIZ V., Le genti e
la città, Messina 1914, 11 ss. il primo oppositore, in quanto vede nella
famiglia romana una struttura più economica che politica, più legata al-
l’unione per scambi commerciali, pur essendo presenti anche legami so-
ciali. Anche LUZZATTO G.I., Le organizzazioni preciviche e lo Stato,
Modena 1948, ne vede piuttosto nelle origini rurali la struttura famiglia-
re così come si era formata nell’antica Roma. Il KASER M., La famiglia
romana arcaica, in Conferenze romanistiche, Trieste 1950, 48, afferma che
“la famiglia è, giuridicamente, l’unione di tutti gli aventi diritto al-
l’azienda domestica”.
La potestà di governo nella vita consacrata
18

Filii6 erano i discendenti di qualunque grado, che pote-


vano essere legitimi, spùrii (nati da una unione illegittima),
liberi naturales (nati dall’unione di un uomo libero con una
concubina). I filii legitimi, cioè quelli concepiti da persone
unite secondo giuste nozze, acquistavano la cittadinanza
romana ed erano uomini liberi per nascita; portavano il
nome della famiglia paterna e dovevano obsèquium e pìetas
ad entrambi i genitori, contro i quali non potevano inten-
tare azioni che avrebbero comportato infamia. Essi aveva-
no il diritto ed il dovere degli alimenti verso i genitori (e
questi ultimi verso i figli) e mantenevano i reciproci dirit-
ti successori. Appartenevano, almeno in origine, al padre
con tutti i loro averi.7 Tuttavia, i filii familias potevano na-
scere anche per adoptio,8 cioè venire adottati creando non

6 “Filius eum definimus, qui ex viro et uxore eius nascitur”, affer-

ma Ulpiano. In D. 1, 6, 6. I filii andavano distinti in maschi e femmi-


ne, in quanto sui primi ricadeva la patria potestas, sulle seconde rica-
deva la manus, che gravava pure sulla moglie; VOLTERRA, Corso di isti-
tuzioni di diritto romano, Roma [s.d.], 88.
7 “Questa signoria familiare è pura e semplice proprietà e concede

all’ascendente l’alienazione del figlio e del nipote”, MOMMSEN T.,


Disegno del diritto pubblico romano, Milano 1943, 27. Cfr. anche RONGA
G., Istituzioni di diritto romano, vol. I, Torino 18992, 87. Con il domi-
nio di Augusto, al figlio fu concesso di trattenere per sé la proprietà
dei beni acquistati con il servizio militare. Costantino, inoltre, attri-
buì al filius familias il potere sui beni lasciati dalla madre in eredità al-
lo stesso. Successivamente, pure Graziano e Valentiniano il Giovane
accostarono le successioni degli avi all’istituto dei beni materni e alla
sua successione. Questo ampliamento dei diritti appartenenti ai filii fu
poi confermato pure da Onorio e da Arcadio. Il principe Valentiniano
III tolse, infine, la proprietà del padre sui beni acquistati per il matri-
monio dei figli che ancora fossero stati sottoposti alla patria potestas.
Cfr. MERCANTI F., Compendio di diritto canonico, 511-513.
8 Secondo le due forme della adrogatio (cui si ricorreva per crearsi

artificialmente un discendente che fosse già in età da partecipare ai


comizi) e della adoptio semplice, utilizzata quasi esclusivamente per
spostare le forze lavorative da una famiglia ad altra. Cfr. ARANGIO-
Cap. I - Potestà dominativa dalle origini al CIC 17: sviluppo ed essenza
19

certo un rapporto di sangue, quanto piuttosto di tipo giu-


ridico e sociale, con eguali risultati di uno di sangue.9
La famiglia romana era regolata secondo una stretta
struttura etico-religiosa. Essa era un organismo compatto, il
cui capo, il pater familias, esercitava funzioni simili a quel-
le assunte dallo Stato. La patria potestà, se si pone a con-
fronto la civiltà romana con quella ellenica, era un istituto
tipicamente romano, proprio quindi dello ius civile, che non
trovava riscontro nell’altra civiltà. Tuttavia, essa aveva un
posto in molte altre civiltà antiche, come tra i Celti della
Gallia o i Galati dell’Asia minore.10 Era, insomma, un isti-
tuto primitivo che fu dai romani consolidato.
Il pater familias teneva ogni diritto di disposizione della
persona e della volontà sul filius familias, pure di vendere
(anche i figli adulti), di dare in pegno, di esporre o ucci-
dere i neonati. L’obbedienza che il filius doveva al padre
era assoluta, tanto che lo Stato nei suoi vari organi non vi
poteva interferire.11 Inoltre, la patria potestas era impre-

RUIZ V., Istituzioni di diritto romano, Napoli 1954, 466; RONGA, Istitu-
zioni, vol. I, 100-102; VOLTERRA, Corso di istituzioni, 92-94; BETTI, Isti-
tuzioni, 87-90; BIONDI, Istituzioni, 554-560.
9 “Filios familias non solum natura, verum et adoptiones faciunt.

Quod adoptionis nomen est quidem generale, in duas autem species


dividitur, quarum altera adoptio similiter dicitur, altera adrogatio.
Adoptantur filii familias, adrogantur qui sui iuris sunt”. Così Mode-
stino in D. 1, 7, 1.
10 Cfr. BONFANTE, Diritto romano, vol. I, 70.
11 Essa era un potere “formalmente identico al dominio sulle cose

corporali; e massime alla potestà sopra gli schiavi, che con quella sui fi-
gli ha in comune l’indefinita possibilità di esplicazione che le è data dal-
le attitudini fisiche e spirituali dell’oggetto”, ARANGIO-RUIZ, Istituzioni,
474. “La patria potestà, come l’autorità in generale, anziché un diritto
di colui che la esercita, è piuttosto un uffizio costituito a vantaggio di
colui che vi è soggetto”, RONGA, Istituzioni, vol. I, 74. I figli erano per
questo chiamati liberi in potestate. Tuttavia, tale rigore assoluto andò sce-
mando già in epoca classica e nel diritto giustinianeo fu praticamente
mantenuto come una forma di tradizione “orale”, più che pratica.
La potestà di governo nella vita consacrata
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scrittibile, senza alcun limite temporale (si potrebbe affer-


mare che questa illimitatezza si esprimeva talvolta nella
possibilità che aveva il padre, anche nel testamento – e
quindi dopo la morte – di nominare ai figli, non ancora
adulti, un tutore o un curatore).12
Una nota speciale si deve fare per quanto attiene il po-
tere di punire il filius, che si estendeva in maniera assolu-
ta: dalla pena a lavori infimi alla prigione, dalle percosse
alla morte, non senza passare per l’esilio dal nucleo fami-
liare (da questo punto di vista, è intuibile come vi sia sta-
ta spesso un’autocondanna da parte del figlio, fino ad arri-
vare al suicidio).13 Tale potestà si può riassumere con lo ius
vitae et necis di cui il pater familias godeva nei confronti dei
filii.14
Ciononostante, il filius non poteva venir equiparato al
servo, né ad una proprietà del capofamiglia: la potestas sot-
to cui ricadeva era certamente la stessa cui faceva capo il
servus, ma da quella pure si differenziava. Si può dire che
essa veniva a rassomigliare maggiormente con il concetto
di imperium (nel nostro caso imperium domesticum), concet-
to di diritto pubblico. Questo calcava la scia del magistra-
to romano, colui che esercitava il potere nelle due forme
di coërcitio e di poena, di costrizione ad obbedire e di puni-
zione del colpevole. Era, per così dire, il ruolo del pater fa-
milias domesticus magistratus.15 Dunque, la patria potestà

12 Cfr. BONFANTE, Diritto romano, vol. I, 71; MOMMSEN, Disegno del


diritto, 27; RONGA, Istituzioni, 114.
13 Cfr. VALERIO MASSIMO 5, 8, 3-4.
14 Cfr. ARANGIO-RUIZ, Istituzioni, 474-475.
15 Cfr. BONFANTE, Diritto romano, v. I, 73. In tal caso, come avreb-

be agito il magistrato, egli si avvaleva di un consilium, al quale poteva


far partecipare chi voleva, per dare luogo al vero e proprio iudicium do-
mesticum. Il pater familias, ascoltando le proposte dei consiglieri, pro-
clamava la sentenza che poteva essere di condanna o di assoluzione.
Cap. I - Potestà dominativa dalle origini al CIC 17: sviluppo ed essenza
21

veniva esercitata nella forma di una società politica: il fi-


glio doveva obbedienza assoluta al padre come un cittadi-
no l’avrebbe dovuta al potere pubblico esercitato in forma
assoluta.
Il pater familias esercitava il suo diritto di punire in
quanto investito di un potere giurisdizionale, che gli per-
metteva di agire contro il figlio anche in caso di delitti
contro la patria (congiura contro lo Stato, fuga davanti al
nemico, …), la famiglia (parricidio o fratricidio, …), le
persone, i beni.
Massima forma di espressione di questo diritto di sovra-
nità di cui erano investiti i patres familias era lo ius vitae et
necis, che poteva essere trasferito in capo ad un altro sog-
getto di diritto. Ciò potrebbe essere la negazione stessa
della possibilità di uno Stato, in quanto la famiglia risulte-
rebbe completamente investita di autorità.16 Ma ciò che
dominava la possibilità di regolare il diritto nella famiglia
era la possibilità di disporre dei soggetti per il bene della
società e di poter godere al massimo dei loro servigi (nel
corpo e nella forza lavoro).17
Ed in questo la famiglia romana ben si può assimilare
ad una monarchia assoluta. Tant’è che questa potestà era
perpetua, non si estingueva con la maggiore età18 e non
subiva limitazioni da parte dello ius civile e della civitas,
perché autonoma ed originaria (almeno in epoca antica),

16 Cfr. ARANGIO-RUIZ, Le genti e la città, Messina 1914, 41 ss.


17 “Non per nulla nelle fonti romane s’intende per famiglia, in un
senso ampio della parola, tutto ciò che soggiace al potere del pater fa-
milias: oltre ai membri liberi, dunque, anche i non liberi e gli averi”,
KASER M., La famiglia romana arcaica, 47.
18 Cfr. BONFANTE, Diritto romano, vol. I, 75. Cfr. pure ARANGIO-

RUIZ, Istituzioni, 475, il quale precisa che vendita e noxae deditio del fi-
glio fatte all’interno dello Stato romano non privavano dello status li-
bertatis.
La potestà di governo nella vita consacrata
22

autoreferenziale in quanto promanante dai mores maio-


rum.19
Solo nel periodo giustinianeo, l’istituto della patria po-
testà subì un cambiamento: il maltrattamento del filius fa-
milia da parte del padre poteva portare alla emancipazione
forzosa del figlio. E anche se già precedentemente si erano
avuti mutamenti in tal senso (con Adriano si vede la con-
danna alla deportazione di un pater per aver ucciso il filius
senza aver prima consultato i consiglieri e, anzi, facendolo
durante una partita di caccia), non possiamo affermare,
senza il rischio di affermazioni prive di fondamento, che lo
sviluppo di questo istituto abbia portato in età classica a
mitigazioni nelle pene.20
È vero, invece, che lo ius vendendi fu notevolmente ri-
dimensionato all’interno della cittadinanza romana e
della lega latina, tanto che in capo al filius fu aumentata
l’autonomia patrimoniale e si videro via via sfumare la
possibilità della vendita ultra Tiberim e all’estero. Infatti,
il figlio era un uomo libero che, per ciò stesso, non pote-
va essere valutato e quindi venduto, se non con la men-
zogna.21

19 Di pari passo si muoveva la situazione della donna in manus, che


d’altronde subiva lo stesso ius vitae et necis proprio del filius (in alcuni
casi, come l’adulterio o la consumazione di vino, la morte era commi-
nata, ma sempre con la consultazione dei consiglieri domestici).
Inoltre, in caso di danno a scapito di terzi, il pater familias aveva il di-
ritto di dare in compenso del sinistro, la persona stessa del filius o del-
la donna (cd. ius noxae dandi, o noxae deditio).
20 Cfr. BONFANTE, Diritto romano, vol. I, 79.
21 È forse questo l’aspetto che più ha caratterizzato questo istituto

così come vissuto nel popolo romano a differenza che tra gli altri po-
poli: il fatto che il filius, per il suo stato giuridico di libero (e soprattut-
to per questo essenzialmente diverso dagli schiavi), non poteva essere
venduto, dal momento che il cittadino romano non può vendersi. Cfr.
BONFANTI, Diritto romano, vol. I, 80.
Cap. I - Potestà dominativa dalle origini al CIC 17: sviluppo ed essenza
23

Con l’andare del tempo e con l’influenza della cultura


ellenica e dello spirito cristiano, la patria potestas andò via
via sempre più scemando nei suoi caratteri più incisivi, fi-
no a che non scomparì pure la noxae deditio.
Nel diritto giustinianeo, la patria potestà non fu più
esercitata come una giurisdizione piena sui figli, quanto
piuttosto come un potere domestico che poteva emendare
o castigare i giovani: si profilava, cioè, la cd. medicina cor-
rectionis, che peraltro si rivolgeva solamente ad un ambito
privato: per i delitti più turpi, ci si sarebbe rivolti al giudi-
ce in foro civile.22 Perciò ci si comincia a spostare dall’am-
bito familiare all’ambito civile pubblico. Esporre i figli era
vietato e punito. Venderli era considerato un crimen e per-
ciò vietato e punito. La libertà si dichiarava inalienabile e
imprescrittibile.
In Giustiniano, il figlio poteva rivendicare la propria li-
bertà da solo, o farsi riscattare da un terzo, se non lo face-
va già il padre.23 I neonati esposti non potevano essere
venduti come schiavi, né potevano in verità essere esposti
o uccisi, a pena di severe sanzioni. Per quanto riguarda poi
il matrimonio, il pater familias non teneva più alcuna au-
torità circa la possibilità di assentire o rifiutare ad essi, né
tanto meno poteva rompere il matrimonio della filia fami-
lias con la sua semplice volontà.24
Nel diritto giustinianeo rimanevano, comunque, diver-
se categorie storiche: così è, ad es., del figlio che non po-
teva querelare il pater per ingiuria, ma avrebbe potuto que-
relare il padre naturale; il figlio, inoltre, rimaneva esente

22 Cfr. BONFANTE, Diritto romano, vol. I, 83-84; ARANGIO-RUIZ,


Istituzioni, 478.
23 Cfr. A RANGIO -R UIZ , Istituzioni, 476. Cfr. anche R ONGA ,

Istituzioni, 117: “… mediante una dichiarazione fatta dal padre an-


nuente il figlio, dinanzi al magistrato che ne prende atto”.
24 Cfr. BONFANTE, Diritto romano, vol. I, 86.
La potestà di governo nella vita consacrata
24

per certi aspetti dalla responsabilità per aver obbedito ai


comandi del pater, qualora questi fossero anche stati infa-
manti; il pater poteva nominare un tutore ed anche un ere-
de al filius familias impubere. Infine, dall’iniziale incapaci-
tà del filius ad assumere obbligazioni e ad obbligare il pater
familias, si vengono a sostituire diverse eccezioni, tra cui la
titolarità completa del peculium, patrimonio ora distinto
da quello paterno.25

1.1.2. La dominica potestas


La potestà che si esercitava sugli schiavi era una forma
della stessa potestà26 di cui erano investiti i pater familias
nei riguardi dei filii e che, per alterne vicende, venne a
prendere una connotazione familiare-patrimoniale27 che,

25 VOLTERRA, Corso di istituzioni, 89. Vigeva infatti il principio “fi-

lius nihil suum habere potest”, D. 41, 1, 10, 1. Fino al periodo classi-
co compreso, fu il pater familias a detenere il patrimonio familiare in
via assoluta, per quanto potesse non amministrarlo direttamente;
ARANGIO-RUIZ-GUARINO-PUGLIESE, Il diritto romano, 200; BIONDI,
Istituzioni, 569-570; BETTI, Istituzioni, 57, sottolinea che una certa ca-
pacità patrimoniale fu riconosciuta dal diritto classico solo ai filii fami-
lias, ossia ai “liberi in potestate di sesso maschile”.
26 “In potestate itaque sunt servi dominorum. Quae quidem pote-

stas iuris gentium est: nam apud omnes pereaque gentes animadverte-
re possumus dominis in servos vitae necisque potestatem esse, et quod-
cumque per servum adquiritur, id domino adquiritur”, GAIO,
Institutiones, 1, 52. Questa potestà, però, non era definita patria bensì
dominica, pur essendo diversa dal dominium, in quanto di carattere per-
sonale. Allo schiavo inoltre era riconosciuto il possesso di fatto di un
peculium, una quantità di beni guadagnati con il lavoro proprio; cfr.
BETTI, Istituzioni, 61-62. Osserva comunque il BIONDI, Istituzioni, 115,
che “non è lo stato effettivo di servizio, il trovarsi cioè effettivamen-
te sotto la proprietà di alcuno che denota lo schiavo, ma la sua desti-
nazione permanente a servire”.
27 Cfr. BONFANTE, Diritto romano, vol. I, 140. Lo schiavo, in quan-

to oggetto di mera proprietà, era completamente soggetto al padrone


cui “erano concesse tutte le facoltà che il dominio conferisce, non
Cap. I - Potestà dominativa dalle origini al CIC 17: sviluppo ed essenza
25

se nel filius poteva avere un certo carattere di temporalità,


nel servus riveste invece un carattere di perpetuità, che
può solo eventualmente (per volontà del dominus tramite
manumissio) cessare.28
La costituzione di Costantino del 312, che riforma – in
seguito all’arrivo in massa del cristianesimo – il diritto su-
gli schiavi, informa sulla situazione degli stessi in epoca
imperiale:

Ciascun padrone usi con moderazione del suo diritto; sia


egli considerato omicida, se uccide volontariamente il
suo schiavo a colpi di bastone o di pietra; se gli arreca con
un dardo una ferita mortale; se lo sospende ad un laccio;
se per un ordine crudele lo mette a morte; se lo avvele-
na; se gli fa straziare il corpo dalle unghie di belve feroci;
se gli solca le membra con carboni accesi, ...29

Il servus era soggetto al pater familias, come il filius fami-


lias, e di questo condivideva la stessa potestas o manus cui
era sottoposto in qualità di proprietà della famiglia, ma da
questo si differenziava notevolmente, tant’è che il filius era
chiamato liberus. Lo schiavo era tutelato dalle norme del
fas e dai mores,30 ma non era membro né della società sta-
tale (diritto pubblico), né della società familiare (diritto
privato), cui tuttavia era tenuto a prestare i servigi.

esclusa quella di distruggere la cosa”, RONGA, Istituzioni, 46. Tra l’al-


tro, non era necessario avere un padrone per essere schiavi, almeno fi-
no in epoca giustinianea, cfr. BIONDI, Istituzioni, 115. Così pure
VOLTERRA, Corso di istituzioni, 59.
28 Cfr. ARANGIO-RUIZ, Istituzioni, 480.
29 MERCANTI, Compendio di diritto canonico, l. 3, 464.
30 Peraltro, fas e mores maiorum tutelavano e limitavano la libertà

del pater pure verso la moglie, i figli e, via via riducendosi sempre più,
verso i clienti ed infine gli schiavi. Cfr. KASER, La famiglia romana ar-
caica, 58.
La potestà di governo nella vita consacrata
26

Uno statuto giuridico dello schiavo si può ricavare in


via negativa: egli non aveva diritto né di commercium né
di connubium (il matrimonio, o meglio, l’unione cui gli
schiavi potevano usufruire, era chiamata contubernium);
era pertanto ‘oggetto’ di diritti, mai soggetto: tutto ciò che
fosse stato posto in capo a lui, sarebbe automaticamente
passato nella sfera dei diritti del padrone, anche l’eventua-
le danno, offesa, lesione.31 Egli non aveva né capo né per-
sona giuridica: «servus iuris civilis communionem non ha-
bet in totum».32 Era investito dello ius vitae et necis, della
noxae deditio, proprio come il filius.
Lo schiavo poteva migliorare la condizione economico-
patrimoniale del padrone, mai peggiorarla; avrebbe potuto
ricevere in donazione, in eredità, ma solo con lo iussus del
padrone.33 Egli non aveva perciò capacità patrimoniale e,
se fosse stato un libero che subiva la capitis deminutio ma-
xima, il suo patrimonio sarebbe andato in capo a chi lo
avesse acquistato come schiavo.34

31 Come il filius familias, egli non ha alcuna autonomia testamen-


taria né proprietaria; cfr. D. 28, 1, 6; D. 39, 5, 7; RONGA, Istituzioni,
46. BETTI, Istituzioni, 61, afferma che in quanto cosa egli non aveva
capacità patrimoniale né attiva né passiva, ma in quanto “centro di
volontà e a natura e dignità umana, egli è persona (caput) non certo
nel senso tecnico giuridico […] ma in senso naturale”. Inoltre, dello
schiavo in quanto persona naturale era tutelato l’onore, in quanto il
padrone poteva esercitare l’actio iniuriarum servi nomine; così BIONDI,
Istituzioni, 116. Tuttavia allo schiavo come al filius familias era ricono-
sciuta capacità di agire per quei negozi che non presupponeva capaci-
tà patrimoniale; cfr. BETTI, Istituzioni, 63.
32 BONFANTE, Diritto romano, vol. I, 141.
33 “Cum autem quaeritur, quantum in peculio sit, ante deducitur,

quod patri dominove quique in eius potestate sit a filio servove debe-
tur, et quod super est, hoc solum peculium esse intellegitur”, in GAIO
Institutiones, 4, 73. Ma, fa notare il VOLTERRA, Corso di istituzioni, 63,
sempre a vantaggio del dominus.
34 Cfr. ARANGIO-RUIZ, Istituzioni, 483.
Cap. I - Potestà dominativa dalle origini al CIC 17: sviluppo ed essenza
27

Questa particolare posizione dello schiavo rende il suo


stato giuridico ambiguo: in parte, infatti, è considerato
persona (anche se alieno iuri subiectae), in parte è conside-
rato res. Tuttavia, in questa posizione bivalente si è potu-
ta riscontrare l’evoluzione di questo istituto giuridico ver-
so una rivalutazione dello status e della dignità della figu-
ra dello schiavo stesso.35 Infatti, lo schiavo veniva vera-
mente trattato come un uomo intelligente, soprattutto
quando fosse stato una persona colta, che poteva far frut-
tare in capo al dominus (la vera persona capace di diritti e
di doveri) molti guadagni.
Alcune differenze con la condizione del filius familias
sono da notare. Innanzitutto, il servus è sottomesso alla po-
testas del dominus egualmente al filius, ma a questo non
possono venire in capo beni materiali; inoltre, quella po-
testà non è esercitata in quanto impero domestico, quan-
to piuttosto come possibilità materialistica di usufruire di
ciò che è proprio. Oltre a ciò, lo schiavo subisce i cosid-
detti iura in re: può non solo essere venduto – come il fi-
lius – ma pure dato in pegno, in usufrutto, in opera.36

35 Ma si tenga a questo riguardo presente che il termine persona, nel

periodo pre-ellenico, non era sinonimo di soggetto avente una propria


sfera di diritti, quanto piuttosto sinonimo di essere umano (persona era
la maschera che usavano gli attori in teatro), di essere intelligente. Per
questo possiamo affermare che esso veniva considerato res in senso giu-
ridico, non fisico. Cfr. BONFANTE, Diritto romano, vol. I, 143. Le mag-
giori limitazioni alla potestà del dominus sullo schiavo furono portate
dall’influsso dello stoicismo sostenuto dalla religione cristiana, quando
oramai il numero degli schiavi presenti nell’impero portava ad un de-
grado morale verso gli stessi; cfr. BIONDI, Istituzioni, 117.
36 In campo religioso, lo schiavo godeva di molti diritti, in quanto

prendeva parte al culto domestico e al culto pubblico e poteva com-


piere sacrifici. Il suo giuramento era valido, come pure il voto che fos-
se stato emesso con l’autorità del padrone. Poteva perfino prendere
parte a corporazioni religiose e diventarne capo. In campo ammini-
strativo egli poteva tessere rapporti di fatto, dare ed avere, che non ri-
cadevano però nell’ambito giuridico; BETTI, Istituzioni, 62.
La potestà di governo nella vita consacrata
28

Comunque, nell’età arcaica, la condizione del servo era


migliore e più dignitosa rispetto a quella in cui si venne a
trovare con la successiva espansione di Roma. Se prima la
schiavitù era come una servitù, ora lo schiavo veniva ra-
ramente visto in faccia dal padrone.37 La pena di morte per
lo schiavo venne comminata sempre più sovente e solo
con Giustiniano si tornò ad uno stato onorevole e digni-
toso per il servus.
Infine, possiamo notare che lo schiavo non era abile per
stare in giudizio, ma tutto veniva imputato in capo al pa-
drone. Solo in età post classica esso potrà apparire in giu-
dizio per la cosiddetta liberalis causa, anche se a questo ri-
guardo le fonti non sono unanimi.38

1.2. Il Decretum Gratiani

Il Decretum Gratiani viene alla luce nel 1140 ca., per


opera del monaco Graziano che operava presso l’allora na-
scente università di Bologna, e si sviluppa e modifica sino
alla morte del monaco, nel 1152 ca. Nei suoi canoni, che
raccolgono tutta la scienza canonistica di allora, possiamo
riscontrare la primitiva dottrina sulla potestà dominativa
(che tuttavia non viene mai chiamata in questo modo) dei
Superiori religiosi; nella fattispecie, sui monaci e l’abate,
in particolare di monasteri sui iuris. Questa, infatti, fu per
tutto l’Alto Medioevo l’unica forma di vita religiosa gerar-
chicamente organizzata.
Le abbazie usufruivano spesso dell’istituto della esenzio-
ne, cioè di una autonomia che permetteva loro di restare al
di fuori dell’ambito di giurisdizione del vescovo nel cui ter-

37 Cfr. BONFANTE, Diritto romano, vol. I, 147.


38 Cfr. BONFANTE, Diritto romano, vol. I, 155-156.
Cap. I - Potestà dominativa dalle origini al CIC 17: sviluppo ed essenza
29

ritorio si trovavano. Altre volte, i monasteri non erano


esenti ed in tal caso poteva succedere che il vescovo eserci-
tasse parte del suo potere sul monastero ed i suoi monaci.39
Il Decretum afferma che la potestà dell’abate «illam es-
se generalem et exerceri vice Dei», come pure Pelagio II
scriveva «potestas totam ad abbatem pertinere conve-
nit».40 L’abate tiene i monaci in qualità di vicario di Dio
ed il monaco deve perciò sempre rimanere sotto la diretta
autorità e potestà sua.41 E, più oltre, «il monaco milita sot-
to il comando dell’abate per Cristo re».42
Naturalmente, questa potestà presuppone l’esclusione
di ogni tipo di potestà ed autorità da parte dei sudditi sul-
l’abate. Le fonti precedenti al Decretum, alle quali Gra-
ziano attinge e di cui arricchisce la sua opera, parlano del-
la condizione del monaco come servus Dei, come colui che
sta «sub iugo regulae monasticae servitutis»,43 come uno

39 La potestà dell’abate non veniva chiamata dominativa, in nessun


caso, ma in altri modi. Gelasio I (492-496) ed il concilio di Tarragona
(516) al c. 11, la chiamano imperium. Il concilio Agathense (506) al c.
27, si limita ad affermare che il monaco dipende dalla volontà dell’aba-
te e dalla sua potestà; il concilio di Altheim (916), al c. 36, pone l’ar-
bitrio del monaco come sottomesso a quello del proprio abate.
40 Tuttavia in un contesto in cui “non licet monachis abbates pro

suo arbitrio expellere, aut alios ordinare”, C. 9, Nullam, C. XVIII, q. 2.


41 Cfr. DESDOUITS, Potestà dominativa, in DIP, vol. VII, col. 144.
42 “Si quis monachus fuerit, qui venerabilis vitae merito, sacerdo-

tio dignus videatur, et abbas, sub cuius imperio regi Christo militat, il-
lum fieri presbyterum petierit, ab episcopo debet eligi, et in loco, quo
iudicaverit, ordinari, omnia quae ad sacerdotis officium pertinent, vel
populi, vel episcopi electione, provide ac iuste acturus”, C. 28, Si quis
monachus, C. XVI, q. 1.
43 “Statutum est, et rationabiliter secundum sanctos patres a

Synodo confirmatum, ut monachus, quem canonica electio a iugo re-


gulae monasticae professionis absolvit, et sacra ordinatio de monacho
episcopum facit”, Concilio presso Altheim, al c. 36. Cfr. C. 1,
Statutum, C. XVIII, q. 1.
La potestà di governo nella vita consacrata
30

cui piaccia “subire” per amore di Dio.44 Ne consegue che


esso è detto morto al mondo e, seguendo il senso di que-
sta stessa affermazione, il diritto dello stesso all’eredità o
alla dote viene meno.
In ogni dove, nel Decretum Gratiani, emerge la speciale
dipendenza dei monaci dall’abate, dalla sua autorità, dalla
sua potestà.45 Questa dipendenza è tale da escludere anche
il potere del vescovo all’interno del monastero – nè con
cose, nè con persone – se non gli sia stato espressamente
richiesto dall’abate. Questa dipendenza del monaco dal-
l’abate è totale e si estende alla persona tutta. «Ex quo se-
mel se Abbati subiecit, absque eius permissione monachus
nihil agere potest»,46 scrive lo stesso Graziano. Tuttavia, il
monaco – diceva Gregorio I – non può essere obbligato ad
una vita troppo dura se non la accetta spontaneamente.47
Facendo uso di questi scarni princìpi, Graziano applica
il diritto potestativo degli abati sui monaci loro sudditi in
vari casi, risolvendoli o chiarificandoli. Inoltre afferma che
al monaco non è concesso di accedere agli uffici clericali,
se non per espressa volontà e autorizzazione del suo stesso
abate. Ciò è espresso a più riprese nel Decretum, che cita
più volte la lettera apocrifa di Gelasio I, il concilio
Agathense al c. 27, il concilio Ilerdense al c. 3.48

44 Dal Concilio romano (595). Cfr. C. 23, Multos, D. 54.


45 “Monachus nihil omnino facere potest independenter ab Abbate
cui obedientiam debet praestare” possiamo dire sia il principio gene-
rale che regge i rapporti nel monastero. Così il KINDT, De potestate do-
minativa, 8.
46 C. XVII, q. 3, Dictum Gratiani.
47 Cfr. DESDOUITS, Potestà dominativa, in DIP, vol. VII, col. 145.
48 C. 5, Quam sit, C. XVIII, q. 2. Gelasio I scrisse per questo mo-

tivo a tutti i vescovi, che “nullus monachum sine testimonio et con-


cessione Abbatis in ecclesia aliqua teneat, vel aliquem ad honorem
promoveat”.
Cap. I - Potestà dominativa dalle origini al CIC 17: sviluppo ed essenza
31

A riguardo poi della celebrazione ministeriale, il


Decretum afferma che ci deve essere il comando dell’abate
perchè i monaci possano amministrare e celebrare i sacra-
menti.49 Circa la possibilità di essere testimoni in proces-
so, essi sono pure considerati inabili; in foro giuridico non
possono operare.
Tuttavia, alla potestà dell’abate sono pure aggiunte al-
cune limitazioni da parte del Decretum. Egli, infatti, non
può imporre ai monaci una vita più severa, più rigida di
quella che già hanno abbracciato. Il monaco non è mai
chiamato servo, quanto piuttosto filius o più spesso frater,
ad indicare lo speciale legame spirituale che stringe i con-
venuti al banchetto eucaristico. Egli è pure liberato dalla
sottomissione all’abate nel caso in cui venga nominato ve-
scovo.50
Ma ciò che più segnerà il pensiero dei glossatori e com-
mentatori del tempo, sarà la C. 11, Non dicatis, C. XII, q.
1, che Graziano scriverà rifacendosi ad Agostino:

Non dicatis aliquid proprium, sed sint vobis omnia com-


munia. Quicumque autem in tam progressus fuerit ma-
lum, ut occulte ab aliquo litteras, vel quodlibet munus ac-
cipiat, si hoc ultro confitetur, parcatur illi et oretur pro il-
lo. Si aut depreheditur, atque; cunvincitur, secundum ar-
bitrium presbyteri, vel praepositi gravius emendetur.
Cum huius nostrae congregationis fratres non solum fa-
cultatibus sed voluntatibus propriis in ipsa ordinationis
susceptione renunciaverunt, et se per promissam obe-
dientiam penitus aliorum potestati, et imperiis in Christo
et pro Christo subdiderint; certum est eos nihil habere,
possidere, dare vel accipere debere sine superioris licentia
[...].

49 C. 35, Monachi, C. XVI, q. 1.


50 Cfr. KINDT G., De potestate dominativa, 9-10.
La potestà di governo nella vita consacrata
32

1.3. La dottrina della potestà dominativa negli


autori medievali

Per delineare la potestà dominativa dei Superiori, così


come veniva intesa nel Medioevo, sarà di notevole utilità
valutare la condizione giuridica dei monaci. Di questa si
evince indirettamente dai ragionamenti e dagli argomenti
degli stessi autori citati per risolvere vari casi riguardanti
la vita giuridica dei monaci.51
I principi enunciati da questi stessi autori possono esse-
re così sommariamente esposti:
– al monaco, dopo la propria professione, non è dato di vo-
lere né di non volere ed è sotto il potere dell’Abate. Egli
viene così comparato alle proprietà del monastero, le
quali non possono essere alienate. Infatti, egli figura co-
me civilmente morto;52
– la condizione del monaco viene assimilata alla stessa del
servo e, in alcune specie, del filius familias. Tale parifica-
zione viene espressa molte volte dagli autori medievali,
dal momento che il monaco, come un servo, non ha vo-
lontà propria, perché sottostà al comando dell’abate e si
è spogliato delle cose del mondo.
Va tenuto presente che già molte regole monastiche
prescrivevano la rinuncia ai propri beni (o a favore dei pa-
renti o a favore del monastero stesso) da parte del candi-
dato prima dell’entrata in monastero, al fine di favorirne
il distacco dalle cose terrene.53 Così troviamo che nel ri-

51 Cfr. KINDT G., De potestate dominativa, 28.


52 Così si esprime infatti Graziano nel Decretum, in C. 8, Placuit,
C. XVI, q. 1: “… Sedeat itaque solitarius et taceat: quia mundo mor-
tuus est, Deo autem vivit...”. Vd. ZAGANO E., Teoria della morte civile
del monaco, in VitRel 2(1966), 425.
53 ZAGANO, Teoria, 425. D’altro canto, dalla professione in poi il

monaco non avrebbe più potuto tenere qualcosa per sé, beni a nome
proprio, per poter essere liberi di impegnarsi a favore di Dio e del pros-
simo: tutto sarebbe stato dato al monastero di appartenenza.
Cap. I - Potestà dominativa dalle origini al CIC 17: sviluppo ed essenza
33

solvere vari casi dei monaci, si ricorreva all’applicazione


del diritto romano sul servo. Sarà con Pietro di Anchara54
(1330-1416 ca.) che si inizierà a citare la fonte civilista,
nel suo caso, Bartolo da Sassoferrato (†1357; è da notarsi
tuttavia che lo stesso Ancharano è sulla scia di Baldo de-
gli Ubaldi, suo maestro in campo canonico). Quest’ultimo
giurista, esponente della scuola brocardica, faceva ampio
uso di sentenze riguardo ai servi in diritto romano: è a que-
sta che l’Ancharano si rifà per descrivere i monaci. Tutta-
via è da notare come la soggezione monacale si avvicinas-
se più a quella dei figli che alla servile, giacché il servo po-
teva essere venduto, il monaco in nessun caso.55
Per questo possiamo equiparare il monaco al servo e al
filius familias, anche se si deve notare con Pietro di Ancha-
ra che equiparare il monaco al servo non è cosa buona in
tutto.56 Lo stesso autore insegna che quanto detto sopra ri-
sulta valido in quanto possa tornare di utilità al monaste-
ro. Accade sovente che l’applicazione della legislazione ro-
mana circa i servi possa trovare corrispondenza sulla legi-

54 PIETRO DI ANCHARA, c. 16, Cum deputati, X, II, 1, n. 5.


55 È lo stesso Pietro di Anchara, infatti, ad affermare che il princi-
pio del “nec velle nec nolle” ha dei limiti oggettivi inprorogabili: tali
sarebbero l’elevazione del monaco a Romano Pontefice, per cui la sog-
gezione all’abate cesserebbe (da notarsi che la necessità di una licenza
dell’abate permarrebbe anche per essere consacrati vescovi) ed in se-
condo luogo, gli interessi e l’utilità del monastero. PIETRO DI
ANCHARA, c. 6, Cum concessa, in Clem., I, 3, nn. 1-2, citato alla nota
20 nell’articolo di ZAGANO E., Un famoso assioma monastico, in VitRel
2(1966), 227-236. Cfr. anche KINDT G., De potestate dominativa, 29.
56 PIETRO DI ANCHARA, c. 2, Religiosus, De testamenti set ultimis vo-

luntatibus, III, 11, in VI°. Lo stesso autore scrive che si può andare
contro la volontà dell’abate «propter interesse loci, quia forte ex tali
revocatione enormiter lederetur locus et administratio. Quia pro se
non habet velle vel nolle, sed pro utilitate monasterii bene habet con-
tra abbatem etiam», in c. 32, Cum singola, in VI, III, 4, n. 4.
La potestà di governo nella vita consacrata
34

slazione circa i filii familias, anche se negli atti giuridici il


monaco viene generalmente nominato come servus.
Analizziamo ora alcuni principi particolari57 circa lo
stato giuridico del monaco, così come espressi nel com-
mentario al c. 5 di Giovanni di Andrea, Ad nostram, X, De
confirmatione utili vel inutili, II, 30, v° personaliter.

1.3.1. Monachus non habet velle vel nolle


È un principio che Huguccio così spiega:

Sed numquid monachus non habet voluntatem? Habet


quidem sed non liberam. Idem est et de servo qui dicitur
non habere voluntatem non quia non habet, sed quia
non habet liberam. Sed numquid servus non habet vo-
luntatem. Habet quidem sed non liberam, ut C. XXXII q.
III. Patrem (c. l.). Similiter et monachus habet volunta-
tem sed non liberam quia imposuit hominem vice Dei su-
per caput suum, ut XIX q. 3. statuimus (c. 3). Unde non
potest velle cum effectu contra praeceptum sui Abbatis ut
XX q. 4, monacho, monachum (cc. 2 et 3), sed in his quae
non sunt contra Deum. 58

Lo stesso principio viene ripreso da più autori, a comin-


ciare da Sinibaldo Fieschi e da Enrico da Susa, quando si
tratta di parlare circa quei monaci che abbiano rinunciato
al primo monastero, cominciando a condurre vita di giro-
vaghi, chiedendosi come possa rinunciare a qualcosa chi

57 Per massima parte desunti da KINDT, De potestate dominativa, 30 ss.


58 HUGUCCIO, Summa super Decreto, ad c. 11, Non dicatis, C. XII,
q. 1; lo stesso principio viene enunciato al c. 5, Quam sit, C. XVIII,
q. 2 et ad c. 3, Statuimus, C. XX, q. 3. Viene qui espressa l’analogia tra
servo e monaco, in quanto entrambi non hanno l’uso della propria vo-
lontà, ma hanno rimesso tutto se stessi nella volontà del loro abate.
Sulla stessa scia pure la Glossa Palatina, commentando c. 11, Non di-
catis, C. XII, q. 1, la quale a sua volta riprende D. 50, 17, 4: «velle non
creditur, qui obsequitur imperio patris vel domini».
Cap. I - Potestà dominativa dalle origini al CIC 17: sviluppo ed essenza
35

non ha volere in sé. Anzi, chi non ha né volere né non


volere.59 Nello stesso verso, egli afferma che i monaci de-
vono confessarsi dal proprio abate, in quanto hanno rimes-
so completamente la loro volontà ad esso, che è divenuto
per loro ‘vicarium Dei’. Tale completa soggezione è diret-
tamente conseguente al voto di obbedienza professato nel-
le mani dell’abate stesso, tanto da arrivare a dover chiede-
re licenza presso l’abate per poter essere consacrati vesco-
vi in caso di elezione.60
Da questi autori viene più volte affermato come il mo-
naco abbia rinunziato alla propria volontà, quasi da poter-
si dire che il monaco non ha più neppure il libero arbitrio.
Tuttavia, è proprio Baldo degli Ubaldi a smentire l’asso-
lutezza dell’assioma, affermando che, come l’abate non può
impedire al monaco di rifiutare l’eredità perché ciò è parte
integrale dei diritti della persona, così esso non può impedi-
re al monaco di rifiutare di alienare la propria stessa perso-
na, il proprio stesso corpo. I limiti del principio, perciò, so-
no individuabili nei diritti inerenti la stessa natura umana.61

1.3.2. Monachi sunt in potestate; monachum possidet


monasterium
Si tratta qui di capire il significato dell’espressione «tota
potestas pertinet ad Abbatem», così come è espressa nella
Glossa ordinaria, al c. 9, «Si qua mulier», C. XX, q. 3, v° non
exstantibus. Ora, ciò si spiega perchè i monaci non hanno il
potere sopra l’abate stesso. Così infatti Huguccio, così pure
Guillaume Durant che esprimono la necessità che il mona-
co sia sottomesso poiché non tiene in sé volontà alcuna.62

59 Cfr. HOSTIENSIS, Summa aurea, De poenitentiis et remissionibus, n. 22.


60 Cfr. ZAGANO, Un famoso assioma monastico, 230.
61 Cfr. ZAGANO, Un famoso assioma monastico, 233.
62 Cfr. GULIELMUS DURANTIS, Speculum iuris, lib. I, part. I, De iudi-

ce delegato, § 8, Excipi, n. 4.
La potestà di governo nella vita consacrata
36

Il monaco era pure ritenuto come un ‘possedimento’ del


monastero al quale apparteneva: persona quam possidet mo-
nasterium. Il Decretum Gratiani afferma che il monaco non
può allontanarsi dal monastero senza il consenso «patris et
totius congregationis», argomentando che, come per l’alie-
nazione delle proprietà e delle cose degli ecclesiastici oc-
corre il consenso dei chierici stessi, così pure per l’aliena-
zione delle persone.63

1.3.3. Monachus mortuus fingitur


Il monaco si considera come morto.64 E questa morte
viene assimilata alla morte naturale, così almeno da Sini-
baldo Fieschi, da Enrico da Susa e da Giovanni di Andrea,
a riguardo delle materie riguardanti l’eredità. Interessante
è notare l’argomento utilizzato da Tommaso d’Aquino, co-
sì come ci è riportato da Nicolao di Ausmo:

Postquam iam aliquis est in Religione professus: mortuus est


mundo. Unde per spiritualem mortem deobligatur a cura
impendenda parentibus: sicut deobligaretur per mortem
corporalem. Et ideo non peccat nec contra praeceptum Dei
agit: si in claustro remaneat sub praecepto Praelati paren-
tum ministratione praetermissa. Etenim factus est impotens
ad reddendum debitum ministerium absque propria culpa.65

63 Cfr. KINDT, De potestate dominativa, 33.


64 Glossa ordinaria, ad c. Si qua mulier, C. XIX, q. 3, v° non exstan-
tibus; ad c. 8, Placuit, C. XVI, q. 1, v° mortuus: “Placuit communi no-
stro consilio ut nullus monachorum pro lucro terreno de monastero
exire nefandissimo abusu praesumat, neque pecuniam dare, neque aliis
quibuscumque negotiis sese applicare [...]. Sedeat itaque solitarius et
taceat: quia mundo mortuus est, Deo autem vivit...”.
65 NICOLAUS DE AUSMO, Supplementum Summae Pisanae, v° religio-

sus. Afferma PIETRO DA ANCHARA, c. 8, Cum concessa, in Clem., I, 3,


nn. 1-2: “[…] naturalis consensus proveniens a natura non potest di-
ci sublatus. Sicut dicitur quod habetur pro morto, non tamen quoad
comendendum”.
Cap. I - Potestà dominativa dalle origini al CIC 17: sviluppo ed essenza
37

Per questo motivo il monaco non può neppure essere


qualificato come arbitro, come giudice, come testimone,
essendo appunto come un morto.
Da questa prospettiva di morte quasi assoluta si disco-
sta l’Arcidiacono (rifacendosi alla trattazione sul matrimo-
nio tenuta da Goffredo), che introduce la distinzione tra
morte civile e morte naturale, così come in uno che sia
stato sciolto dal vincolo matrimoniale non avviene una
morte naturale, bensì civile. Di qui la relatività dell’espres-
sione di morte civile o di morte spirituale, che poteva es-
sere applicata ai vari casi nell’uno o nell’altro significato:
infatti, così come riportata da Graziano, essa voleva indi-
care una morte spirituale che doveva rendere il monaco
sempre più distaccato da affari temporali.
È con Bartolomeo da Brescia († 1235) che questo prin-
cipio spirituale diviene civilistico: egli afferma che il mo-
naco è morto al secolo e non può uscire dal monastero, né
può provare di essere stato derubato, perché tanto meno
può provare di possedere qualcosa.66
Tuttavia, tale assioma trovò difficoltà notevoli tra i ca-
nonisti, i quali affermarono che il monaco non può certo
acquistare o possedere beni per sé, ma senza dubbio può
acquistarli per il monastero. A questo riguardo, lo stesso
Sinibaldo Fieschi ebbe a scrivere che nel subentrare in
successione ereditaria, al monaco non è neppure richiesto
di presentarsi, perché il diritto alla successione passa diret-
tamente al monastero.67
Questa teoria della morte civile del monaco fu poi por-
tata alle estreme conseguenze con il sorgere degli Ordini

66 Cfr. BARTOLOMEO DA BRESCIA, Quaestio domenicalis 123, f. 18v,

col. 2: “monachus vel canonicus regularis in saeculo mortuus est, nec


potest de monasterio exire: non enim sufficit provare spoliationem ni-
si probetur possessio”.
67 Cfr. ZAGANO, Teoria, 428-429.
La potestà di governo nella vita consacrata
38

mendicanti, che non possedevano beni né singolarmente


né in comune. Di qui il passo fu breve per equiparare la
professione religiosa ad una morte naturale: Cino da Pi-
stoia arrivò con un’elucubrazione mentale a dimostrare ta-
le assimilazione, soprattutto per quanto riguardava gli Or-
dini mendicanti.68 Ben presto, queste estremizzazioni arri-
varono a posizioni assurde (legalizzate da diversi statuti co-
munali) che furono riequilibrate a fatica e solo in minima
parte da alcuni civilisti.69

1.3.4. Monachus est servus; monachus est filiusfamilias;


monachus est filius Abbatis
Come asserito dal Kindt, il monaco, anche se per amo-
re di Dio, è un vero e proprio servo.70 Questo, d’altronde,
è il logico risultato dei principi sopra enunciati.

68 CINO DA PISTOIA, ad auth. Deo nobis, C. de episc. et cler., nn. 1-


2: “inter alia notanda collige unum, scilicet quod ingreditur monaste-
rium reputatur mortuus. Et sic colligitur quod mors civilis aequipollet
naturali, vel sufficit quod civiliter accidit. E contra, sufficit civiliter fie-
ri, ut par. In insulam. Ista est via brocardi quam Petrus de Bellapertica
expedit in duobus verbis sic dicendo, cum quaeritur an id quod civili-
ter contingit aequipolleat naturali casui: aut post civilem casum potest
naturaliter evenire aliquid, aut non. Primo casu, non sufficit civiliter
fieri, ut in par. In insulam (D. 45, 1, 121, 2): ibi enim potest evenire
mors naturalis, unde ipsa expectatur. Aut non potest post civilem ca-
sum aliquid naturaliter evenire, et tunc non expectatur naturalis casus,
ut est videre in matrimonio dissoluto per casum civilem, ubi postea non
potest naturalis casus evenire qui aliquid operetur: nam quod solutum
est amplius solvi non potest. Dynus de Mugello solvit sic: aut civilis ca-
sus operatur eumdem effectum quem operatur naturalis, et tunc aequi-
pollet [...]; aut non operatur eumdem effectum, et tunc non aequipol-
let [...]. Haec solutio est eadem in effectu cum prima”.
69 Lo stesso Giustiniano, in C. 1, 3, 35; C. 1, 3, 54; Nov. 5, c. 5;

Nov. 123, c. 38 disponeva la piena capacità del monaco a succedere


nei beni testamentari e ad acquistarne a nome del monastero.
70 Cfr. KINDT, De potestate, 35.
Cap. I - Potestà dominativa dalle origini al CIC 17: sviluppo ed essenza
39

Il servo non possiede volontà propria, non ha nulla di


suo, proprio come il monaco. Nel Decretum Gratiani, la vi-
ta religiosa è definita più spesso come servitù che come
servizio all’uomo (così in c. 23, Multos, D. 54). Ma questo
semplice enunciato non è solamente una affermazione di
tipo spirituale, teologico; essa comincia da una vera e pro-
pria concezione giuridica dello stato del monaco, che por-
ta necessariamente con sé molte conseguenze pratiche di
vita. Secondo il Kindt, sarebbe proprio da questo princi-
pio che nacque il concetto di potestas dominativa.71
Tuttavia tale enunciato non può essere disgiunto dal-
l’altrettanto importante prospettiva di origine romana del
monaco come filiusfamilias. Non sono rari infatti i casi in
cui la legislazione romana circa il figlio di familia viene ap-
plicata al monaco.72 Uno di questi è il caso del monaco
che accusi l’abate. In questa circostanza l’Arcidiacono am-
moniva il giudice a prestare attenzione e cautela, perchè
non si trovasse ad accusarlo per frivolezze, come accadeva
spesso all’epoca dei romani tra padri e figli.
In alcuni passi il monaco viene pure chiamato filius
Abbatis, che perciò stesso è chiamato pater. È naturale che
i monaci vengano dunque definiti fratres.
Nella Glossa ordinaria si porta l’esempio di un monaco
che viene fatto vescovo e che viene quindi sciolto dal vin-
colo di obbedienza all’abate, come se fosse diventato egli
stesso da figlio a padre.73 Il Decretum Gratiani74 definisce
l’abate come il patrem monasterii – che, solo, può dare il
consenso perchè i monaci possano spostarsi in un altro
monastero – e monaci come fratres. Enrico da Susa parla
di una monachali fraternitate e il Nicolao da Ausmo affer-

71 Cfr. KINDT, De potestate, 35 ss.


72 Cfr. KINDT, De potestate, 46-47.
73 Cfr. Glossa ordinaria, ad c. 1, Statutum, C. XVIII, q. 1, v° absolvit.
74 Cfr. Decretum Gratiani, ad c. 3, Statuimus, C. XIX, q. 3.
La potestà di governo nella vita consacrata
40

ma che «monachos communicare posse Abbati excommu-


nicato quia quasi de familia sunt».75

1.4. La prospettiva del Suàrez

Il Suàrez espone il suo pensiero parlando della potestà


dominativa come di un dono che il religioso fa di se stes-
so nelle mani del Superiore con l’ingresso stesso in Reli-
gione. Egli così si esprime:

Ex traditione quae fit ex parte religiosi, sequitur dicta po-


testas in Religione a qua in Superiore transfertur.76
Potestas dominativa manat ab ipsomet religioso volunta-
rie se tradente.77

Nella stessa opera, egli parla di potestà dominativa pro-


veniente non dal dono di sé fatto dallo stesso religioso,
bensì dalla stessa professione religiosa, pur mantenendo
fondamentalmente il suo pensiero rivolto all’offerta totale
e volontaria del religioso.78 Per Suàrez, tale potestà sareb-
be stretta tra religioso e superiore quasi come un contrat-
to; essa darebbe ai superiori stessi il diritto di comandare
ai sudditi e di promuovere la loro attività in modo confor-
me alla regola del proprio Istituto.79

75 NICOLAUS DE AUSMO, Supplementum Summae Pisanae, v° excom-


municatio, VI°.
76 SUÀREZ F., Opus de virtute et statu religionis, in Opera omnia. Editio

nova iuxta editionem venetianam recognita a D. M. André, Pariis 1856-


1878, vol. XVI, tr. VIII, l. II, c. I, n. 2, 78.
77 SUÀREZ, Opus de virtute, vol. XV, tr. VII, l. X, c. XI, n. 7, 926.
78 RAGAZZINI S., La potestà nella Chiesa, Bologna 1963, 255.
79 “[...] religiosum non teneri obedire Praelato contra regulam prae-

cipienti, nisi in eo casu, in quo ipse potest in regula dispensare. At ve-


ro potestas dominativa manat ab ipsomet religioso voluntarie se tra-
Cap. I - Potestà dominativa dalle origini al CIC 17: sviluppo ed essenza
41

Sembra, peraltro, che il Suàrez sia stato il primo ad ela-


borare il concetto, il termine potestas dominativa, in una
sua diatriba contro il Vasquez, il quale affermava che il po-
tere giurisdizionale è molto ampio, ed arriva la potestà do-
minativa – nel caso dei Superiori religiosi – ad essere eser-
citata in forza della professione da questi emessa.80
Il Vasquez identificava potestà di governo con potestà
di giurisdizione, ponendo tutti i gradi della potestà di go-
verno all’interno di quest’ultima.
Ciò comportò il rifiuto di Suàrez, il quale affermava che
esiste una potestà dominativa, in campo religioso, che si
deve per forza di cose distinguere nettamente da quella di
giurisdizione, soprattutto di giurisdizione in senso stretto.81
Fu a partire da questa distinzione apportata dal Suàrez
che nella manualistica e nella dottrina canonistica si co-
minciò ad usare il termine potestas dominativa e a distin-
guere tra potestà di giurisdizione e potestà di governo.82

dente, et promittente obedientiam, et ideo dependentia et subordina-


tio Praelatorum, quoad hanc potestatem, ex modo traditionis et pro-
missionis sumenda est...”, SUÀREZ, Opus de virtute, vol. XV, tr. VII, l.
X, c. XI, n. 7, 926. Vd. anche DESDOUITS M., Potestà dominativa, in
DIP, vol. VII, 145.
80 RAGAZZINI S., La potestà nella Chiesa, 245.
81 “In statu religioso necessaria est Praelato potestas gubernativa mo-

nasterii et suo modo dominativa singolorum religiosorum, distincta a


potestate iurisdictionis et ab ea separabilis. Haec assertio videtur clara
ex omnibus supradictis de traditione quam professio religiosa includit,
quamque omnes admittunt; quia per illam traditionem aliquod ius tran-
sfertur in religionem; ergo illud ius distinctum est a iurisdictione quam
Christus dedit vel eius vicarii conferre possunt. [...]. Ergo illud ius est
quaedam potestas gubernativa religiosi distincta a propria iurisdictio-
ne”, SUÀREZ, Opus de virtute, vol. XV, tr. VII, l. II, C. XVIII, n. 6, 218.
82 Tuttavia, la determinazione dell’ambito di applicazione di tale

potestà, unitamente all’uso del termine stesso, non furono condivisi


all’unanimità dai giuristi successivi. Per alcuni di essi, infatti, vi sareb-
be una terza ulteriore classificazione da fare circa la potestà: la distin-
La potestà di governo nella vita consacrata
42

Il Suàrez affermava che la potestà dominativa è quella


stessa che autorizza, per diritto acquisito, i Superiori degli
Istituti religiosi a comandare ai sudditi e a far loro fare ciò
che ritengano più opportuno; tuttavia, questa non discen-
derebbe da Cristo, nè dal potere dato alla Chiesa e da que-
sta trasmesso alle Religioni, ma sorgerebbe per la radicale
volontà del religioso di professare tale regola e per il dono
che di sé egli fa, promettendo di obbedire a tale regola se-
condo il voto di obbedienza che ha professato.83
Dunque, la potestà dominativa non nasce nel voto di
obbedienza, giacché questo è una promessa: il dominium
che il Superiore acquisisce non può essere in forza di un
giuramento.
Essa trae invece origine dal dono di sé che il religioso fa:
per Suàrez, fondamento della potestà dominativa è la con-
segna di sé del religioso, che include pure la professione re-
ligiosa, ma è comunque distinto dal voto di obbedienza.
Occorre qui fare un breve excursus su quella che è la
dottrina del Suàrez circa lo stato religioso. Egli trova a fon-
damento della vita religiosa una duplice donazione: una
fatta a Dio attraverso l’emissione dei voti, l’altra fatta al-
l’Istituto religioso. La potestà dominativa riguarda quella
fatta all’Istituto religioso.

zione tra potestà dominativa e potestà di voto o sociale. Questa ulte-


riore classificazione fu portata avanti e discussa fino al CIC 17 ed ar-
rivò a farsi sentire alle soglie del Concilio Vaticano II.
83 “Per potestatem autem dominativam intelligi oportet ius acqui-

situm religioni et Praelatis eius, ad imperandum religiosis, et utendum


operibus eorum prout conveniens iudicaverint. Quae potestas, si in re-
ligione reperitur, non pertinet ad claves, nec a Christo descendit per
specialem donationem Ecclesiae factam, sed orta est radicaliter a vo-
luntate profitentium talem regulam, et se donantium religioni cum
promissione et obligatione obediendi secundum illam”, SUÀREZ, Opus
de virtute, vol. XV, tr. VII, l. II, cap. XVIII, n. 5, 218.
Cap. I - Potestà dominativa dalle origini al CIC 17: sviluppo ed essenza
43

Questa offerta di sé non si realizza nella professione del


voto di obbedienza, in primo luogo perchè lo stesso voto
di obbedienza esclude una donazione oblativa; in secondo
luogo perché la solennità del voto di obbedienza non in-
clude questa offerta di sé.84 Perciò Suàrez distingueva de-
cisamente la potestà dominativa da un legame con il voto
di obbedienza.
Natura di questa offerta di sé, per il Suàrez, è un con-
tratto sinallagmatico che obbliga, come precetto, la co-
scienza del religioso. Vediamo ora la posizione dell’autore
più da vicino.

1.4.1. Lo stato giuridico del religioso


Lo stato religioso, proprio di chi vuole giungere alla
perfezione evangelica seguendo la via dei consigli evange-
lici, può essere costituito in due modi: venendo a far par-
te giuridicamente di una comunità religiosa oppure da so-
lo, abbracciando un particolare stile di vita.85 La trattazio-
ne del Suàrez segue, per natura delle cose, la prima forma
di vita religiosa, comunitaria (o anche cenobitica), dal
momento che la costituzione della Chiesa per lungo tem-
po non aveva previsto altre forme di vita di ‘perfezione’.
Di questa forma di consacrazione, possiamo distinguere
due modi di donarsi a Dio: uno che si offre a Dio diretta-
mente, l’altro che si offre alla comunità attraverso Dio.86

84 KINDT G., De potestate dominativa, 135.


85 “... unus modus est in communitate religiosa, alius est in vita so-
litaria, seu in particolari vivendi modo”, SUÀREZ, Opus de virtute, vol.
XV, lib. II, cap. IV, 1, 127.
86 “... per vota religiosa ita homo traditur Deo, ut speciali modo do-

minium sui in Deum transferat; id autem non fit nisi quando talia vo-
ta nomine Dei per Ecclesiam acceptantur”, SUÀREZ, Opus de virtute,
vol. XV, lib. II, cap. IV, 5, 128. “... ad proprium vinculum religiosi sta-
tus, quando in communitate religiosa assumitur, praeter tria vota su-
pradicta, immediate Deo facta, quibus religiosus ipsi obligatur, necces-
La potestà di governo nella vita consacrata
44

1. Nella tradizione della Chiesa, attraverso i voti reli-


giosi, l’uomo si dona a Dio riponendo in lui ogni sua sete
di potere: il religioso è colui che si consacra «totalmente
al totale» servizio di Dio. E questa consacrazione totale
dell’uomo non può avvenire in nessun altro modo se non
attraverso l’accettazione da parte di Dio del religioso attra-
verso la Chiesa.87
Questa donazione che il religioso fa, è una vera e pro-
pria donatio in cui il donante trasferisce al ricevente il do-
minium su di sé ed in cui è necessario il consenso di en-
trambe le parti perché il contratto si perfezioni. L’offeren-
te, inoltre, rimane obbligato ad osservare e a mantenere
quanto promesso.
2. Nella seconda accezione dell’offerta di sé nella con-
sacrazione, si analizza lo stato religioso così come viene as-
sunto nella comunità religiosa. La donazione del religioso
che entra in una comunità è una obbligazione peculiare
necessaria che si crea attraverso un patto reciproco, perché
egli stesso si dona anche all’Istituto religioso e in esso si
obbliga e, parimenti, l’Istituto, la comunità, accetta la sua
donazione e ne assume gli obblighi e i doveri.88

saria est peculiaris obligatio humana per modum pacti reciproci, quo
et ipse religioni se donat, et obligatur religioni; ...”, SUÀREZ, Opus de
virtute, vol. XV, lib. II, cap. IV, 9, 130. Cfr. Anche KINDT G., De po-
testate dominativa, 136.
87 “Traditio non habet valorem nec efficaciam ad trasferendum do-

minium in alterum, nisi ab eo acceptetur; ergo etiam in praesenti tra-


ditione necessaria est acceptatio Dei. [...]. Necessitas acceptationis ex
natura rei provenit, quia donatio est quidam contractus qui sine do-
nantis et donatarii consensu non perficitur”, SUÀREZ, Opus de virtute,
vol. XV, tr. VII, l. II, c. IV, n. 6, 129.
88 “... et religio eius traditionem acceptat, eique vicissim obligatur

ad illum tanquam membrum suum alendum, conservandum, et iuxta


suum institutum gubernandum”, SUÀREZ, Opus de virtute, vol. XV, tr.
VII, l. II, c. IV, n. 9, 130.
Cap. I - Potestà dominativa dalle origini al CIC 17: sviluppo ed essenza
45

Il Suàrez così spiega tale donazione: la Religione è in


certo senso il corpo mistico al quale il religioso viene in-
corporato e del quale, reciprocamente, si assumono gli ob-
blighi ed i diritti. Di conseguenza, l’obbligazione non può
essere totalmente umana e proporzionata agli uomini, a
meno che qualcuno non obblighi il religioso in nome di
Dio, come se quello stesso si obbligasse verso Dio nel ri-
spetto di tale uomo o del corpo mistico; è dunque necessa-
rio che, oltre al religioso che si offre, un altro faccia da in-
termediario nell’accettare, in nome di Dio e di tutto l’Isti-
tuto, tale offerta di sé e che, contemporaneamente, accet-
tando tale oblazione, obblighi il religioso nell’Istituto.89
Questi, poi, perché agiscano rettamente come vicarii di
Dio, devono accogliere in nome di Dio e della Chiesa la
donazione totale di sé a Dio fatta attraverso i voti e, al
contempo, per governare in nome di Dio il religioso e
averne cura, accogliere la donazione come se fatta a loro
stessi. Il religioso viene poi accolto nell’Istituto e come
membro di questo viene governato e curato.
Ora, risulta chiaro come per Suàrez fondamento della
potestas dominativa sia il dono di sé che fa il religioso nel-

89 Il Kindt riassume egregiamente la concezione del Suàrez: “Homo


qui tendere vult ad perfectionem se tradere debet Deo. Hoc facit per
emissionem votorum qua dominium sui Deo tradit. Fit res Dei. Cum
haec traditio sit vera donatio acceptari debet a Deo. Absolute loquen-
do, Deus posset personam religiosi per seipsum acceptare, et in se su-
scipere curam spiritualem et temporalem simul ac gubernationem re-
ligiosi se tradentis. Haec autem non sunt secundum Dei providentiam.
Deus enim directe non agit sed per causas secundas. Proinde haec ac-
ceptatio donationis religiosi simul ac sequelae exinde defluentes, fiet
per personam humanam. Haec autem secundum consuetudinem
Ecclesiae, est corpus quoddam morale, scilicet Religio. Proinde, ut ef-
ficax sit sua donatio, directe Deo facta, religiosus se tradere debet illi
personae morali quae Dei vices gerit”, KINDT, De potestate dominativa,
138-139.
La potestà di governo nella vita consacrata
46

l’atto stesso di entrare nell’Istituto e che promette di os-


servare secondo la regola di quella stessa Religione. Tutta-
via, è da notare che molti prima e dopo di lui sono con-
vinti che fondamento di tale potestà sia il voto di obbe-
dienza. Egli, invece, ribadisce che nel voto di obbedienza
non può essere contenuta la donazione di sé che, in vero,
è il fondamento della potestà del Superiore.
Il voto, invece, sarebbe il meccanismo posto dalla Chie-
sa per meglio tutelare, maturare e portare a compimento la
donazione radicale. Se è fondamento, lo è in senso giuridi-
co; il fondamento ontico e teologico, invece, non può che
essere la donatio.

1.4.2. L’essenza del voto non si fonda sull’offerta


del religioso
Circa questo tema, Suàrez modula la propria dottrina
sulle orme del Dottore scolastico. Come quest’ultimo, in-
fatti, afferma che l’essenza del voto non ha in sé inclusa la
donazione dell’individuo, anzi, la esclude. Egli afferma che
il voto solenne in sé include il voto semplice e che, per
questo, si sofferma a trattare solo di quello, tanto che l’es-
senza stessa del voto può essere vista solo nell’uno e non
nell’altro.
Il voto è perfezionato solo dalla valida promessa fatta a
Dio e non c’è voto semplice che nella sua specifica moti-
vazione essenziale possa includere l’offerta gratuita di sé.90
Questo si può spiegare, come afferma il Kindt, in due
modi. In primo luogo, perché vi sono alcune materie nei
voti che suppongono, necessitano questa stessa offerta (co-
me può essere, per esempio, il dono di sé che nell’obbe-

90Di contro, c’erano autori che ponevano l’accento sul perfeziona-


mento che – pure nel voto semplice – veniva apportato dalla stessa
promessa fatta a Dio e pure dall’offerta fatta di sé a Dio. Cfr. KINDT,
De potestate dominativa, 140.
Cap. I - Potestà dominativa dalle origini al CIC 17: sviluppo ed essenza
47

dienza fa un religioso che venga spostato di convento in


convento e che, per questo, suppone di avere qualcosa da
offrire); ciò significa che il voto di cui si parla è concesso
in previsione di atti futuri e include la promessa che si rea-
lizza comunemente attraverso la parola e include una cer-
ta offerta di sé e, veramente, della cosa che in futuro si do-
nerà.91 Ciò è tanto più naturale quanto più si capisca che
sulla cosa che si sta vivendo o che si possiede nel presen-
te non c’è promessa bensì offerta, donazione. L’uomo ha a
disposizione due sole azioni figliali: la promessa e il dono.
Con questi stessi modi intende servire Dio e con entram-
bi può dirsi di rendere a Lui culto nel voto.
Il Suàrez si oppone a queste posizioni con varie conclu-
sioni.
Innanzitutto afferma che «votum, ut votum est, sola
promissione valida ad Deum facta perficitur, neque ullum
est votum simplex quod in sua ratione essentiali traditio-
nem includat».92 Già in questa prima asserzione l’autore
parla di un’essenza del voto, rifacendosi alla Scolastica,
che richiede soltanto la promessa fatta a Dio e la materia
e contenuto di tale promessa. Qualsiasi cosa vi si aggiun-
ga, è fuori di questa natura e della specifica ragione del vo-
to. La promessa e la natura del voto non si distinguono tra
loro per le materie sulle quali versano, quanto piuttosto
per le proprie ragioni o per gli effetti formali in ordine al-
le quali si realizzano.93

91 Cfr. KINDT, De potestate dominativa, 141.


92 SUÀREZ, Opus de virtute, vol. XIV, tr. VI, l. I, c. XIV, n. 7, 806.
93 “Nam per promissionem puram nihil donatur promissario: per

traditionem autem donatur res tradita, in quam acquiritur ius per tra-
ditionem, quod non acquiritur per solam promissionem. Haec ergo se-
cundum se distincta sunt, et circa omnes et singulas materias versari
possunt”, SUÀREZ, Opus de virtute, vol. XIV, tr. VI, l. I, c. XIV, n. 9,
807. Offerta di sé e promessa si dividono tra di loro nonostante la ma-
La potestà di governo nella vita consacrata
48

In secondo luogo, potrebbe pure succedere che alla vo-


lontà e all’azione del religioso con voto semplice, venga
collegata un’altra traditio, quasi che si dica – circa l’essen-
za del voto – che avviene la consegna attraverso la volon-
tà e l’azione del religioso, o che la consegna stessa sia la
promessa o viceversa.94
Perché ben si capisca la sua dottrina, il nostro autore fa
notare che queste due istanze riguardano cose diverse e di-
versi argomenti: la promessa è ordinata all’offerta di sé, ma
non può essere basata su cose già fatte, come lo è invece
la donazione. Perciò, solo questo può riunire la promissio e
la traditio: la promessa di servire e di porsi al servizio di Dio
e degli altri e la consegna della persona.95

teria comune cui fanno riferimento sia il voto. La promessa viene pri-
ma dell’offerta ed anche per questo è da essa separabile. Tuttavia en-
trambe dipendono dalla stessa volontà dell’offerente: infatti, dal mo-
mento che la promessa di sé avviene prima ed è separabile dalla do-
nazione che è posteriore, dalla volontà del promettente dipende forse
che si faccia la sola promessa o la promessa che si trasformi in offerta.
94 Cfr. KINDT, De potestate dominativa, 142. Così argomenta il

SUÀREZ: “Qui donat alteri arborem, consequenter tradit illi fructus in


radice, seu ius ad illos, et nihilominus potest addere promissionem
numquam percipiendi fructus ex tali arbore. Item qui alteri donat rem
aliquam, tradit illam, et nihilominus potest addere promissionem
numquam iterum petendi illam. Sic ergo in rebus divinis potest quis
tradere Deo res suas, donando illas Ecclesiae, et votum Deo facere
numquam iterum petendi illas, vel aliquem fructum temporalem ex il-
lis, quod votum simplex est coniunctum cum traditione”, Opus de vir-
tute, vol. XIV, tr. VI, l. I, c. XIV, n. 12, 808.
95 SUÀREZ, Opus de virtute, vol. XIV, tr. VI, l. I, c. XIV, n. 15, 810.

Questa unione, questa “congiunzione”, tuttavia, non deve mai porta-


re a confondere le due azioni, che tra loro sono distinte e quasi oppo-
ste in quanto a motivi: l’offerta di sé riguarda il presente, la promessa
invece il futuro. Invero, ciò che ora prometto non diviene formalmen-
te ed immediatamente offerta. Quindi, non posso affermare che la pro-
messa divenga offerta, né che in questa si possa vedere in sé automa-
ticamente quella. Il voto semplice, in conclusione, non può che di-
Cap. I - Potestà dominativa dalle origini al CIC 17: sviluppo ed essenza
49

A questo punto, Suàrez si chiede come possano coesi-


stere al contempo voto semplice e offerta, se l’uno signifi-
ca promessa mentre l’altra formalmente esclude la promes-
sa. È a partire da questa distinzione che egli afferma come
l’obbligazione sorta dall’offerta comporti in sé un maggio-
re legame con la giustizia e che perciò sia più rigorosa; ciò
avviene con l’offerta sacra e reale di sé a Dio, piuttosto che
attraverso la semplice offerta promessa.
Nell’essenza del voto, concludendo, non è compresa la
traditio; tuttavia, per l’intenzione di colui che si dona, a
volte il voto può avvenire con l’offerta di sé, nonostante
promissio e traditio siano atti distinti per motivo e per og-
getto: le obbligazioni, che da esse promanano, sono di spe-
cie diverse.96

1.4.3. L’offerta del religioso non è parte del voto


solenne di obbedienza
Fondamento della potestas dominativa è la traditio che
però non può essere contemplata – come sopra dimostra-
to – nel voto semplice di obbedienza. Ciò vale pure per il
voto solenne di obbedienza.
Il voto, perché sia solenne, deve essere visibile, pubbli-
co. Il voto solenne di obbedienza, che si emette tramite at-
to pubblico manifesto, presuppone la traditio, ma non è la
fonte stessa di tale donazione.97

pendere solamente dalla volontà di colui che lo emette (e con ciò non
si vuole escludere la Chiesa-istituzione che può imporre limitazioni,
forme e momenti per emetterlo, quanto piuttosto affermare che de fac-
to l’esercizio di tale promessa sta nel consenso e nell’intenzione del
professo stesso).
96 KINDT, De potestate dominativa, 144.
97 “[...] Supponimus in professione religiosa, praeter traditionem,

verum ac formale votum obedientiae fieri... Votum autem, cum essen-


tialiter sit promisio, non potest esse traditio, nec illam essentialiter in-
cludere, licet cum illa fiat, [...]. Et rationes ibi allatae aeque in voto
La potestà di governo nella vita consacrata
50

Il Suàrez non identifica la traditio con il voto di obbe-


dienza, ma dice che si manifesta attraverso di esso nella
professione religiosa. Le due cose vanno quindi distinte,
tanto che si può parlare di un peccato che si commetta
contro l’obbligazione sorta dall’offerta fatta all’Istituto re-
ligioso ed uno contro l’offerta fatta a Dio tramite il voto.98
L’autore, infatti, distingue l’offerta fatta a Dio nel voto
dall’offerta fatta all’uomo, anche se le due sono in così
stretta relazione da poter sembrare coincidenti. L’una vie-
ne dalla negazione della propria volontà, l’altra dalla sot-
tomissione alla volontà del Superiore; per cui la seconda è
una forma di sottomissione, peraltro non necessaria.99
L’offerta che il religioso fa di sé al Superiore toglie in lui
ogni diritto su di sé, allo stesso modo che nel caso di un
servo nel diritto romano.
Il voto è donazione fatta direttamente a Dio, la traditio
è offerta che il religioso fa direttamente all’Istituto cui egli
voglia donare se stesso. È attraverso quest’ultima che l’Isti-

obedientiae procedunt. Nec superflue additur votum obedientiae tra-


ditioni religiose, etiamsi ex vi traditionis religiosus iam non sit sui iu-
ris, et illi, cui se tradit, parere teneatur. Nam imprimis traditio facta
religioni specialius consecratur Deo per obedientiae votum: nam cum
traditio immediate fiat homini propter Deum et ad obsequium Dei, per
votum quasi elevatur, ut sit quasi spirituale holocaustum ipsi Deo obla-
tum. Deinde traditio firmatur per votum: nam addit illi specialem
obligationem fidelitatis Deo debitae, quam traditio per se non indu-
cit”, SUÀREZ, Opus de virtute, vol. XV, tr. VII, l. II, c. XIII, n. 12, 177.
98 Ciò potrebbe essere visto come quanto mai riduttivo dei voti e

dell’offerta di sé. D’altro canto, se ben inquadrato nel proprio conte-


sto (che non sempre distingueva foro interno da foro esterno), risulta
per certi versi in linea con i principi vigenti allora.
99 “… duo sunt de ratione obedientiae religiose, scilicet abnegatio

propriae voluntatis, et subiecto ad voluntatem superioris. Utrumque


autem fit seu exhibetur ex vi traditionis religiosae...”, SUÀREZ, Opus de
virtute, vol. XV, tr. VII, l. X, c. V, n. 2, 888.
Cap. I - Potestà dominativa dalle origini al CIC 17: sviluppo ed essenza
51

tuto ‘acquista’ sul religioso il potere in ogni diritto e che,


parimenti, esso acquista diritti verso l’Istituto (mutuus con-
tractus).100 La relazione esistente tra voto di obbedienza e
traditio è quella che si instaura per la perfecta abnegatio
evangelica di cui si parla nei vangeli e che rende il religio-
so un culto vivente a Dio, un holocaustum spirituale. Egli af-
ferma che è l’offerta a rendere presente tale abnegazione di
sé, mentre il voto di obbedienza la perfeziona formalmen-
te nella pienezza dello stato religioso.101

1.4.4. La natura della professione religiosa


Secondo gli autori medievali, la professione religiosa sa-
rebbe un contratto di incorporazione all’Istituto. Così si
esprime in certo senso pure il Suàrez, il quale afferma che
«[…] per traditionem a religione acceptatam incorporatur
homo religioni, et unum corpus cum ea efficitur [...]»102 per
cui si forma una sorta di relazione di identità e una mutua
obbligazione.
La professione religiosa è «[…] actum illum, quo is, qui
vult religiosus fieri, statum illum publice, solemniter ac fir-
miter assumit [...]»,103 e consiste principalmente di due ele-
menti: la professione dei voti ed il dono di sé. Questa tra-
ditio è la sostanza stessa della professione religiosa, come
pure gli autori scolastici affermavano. Non sono sufficien-
ti le parole della formula di professione, ma si esige che a

100 “... per traditionem a religione acceptatam incorporatur homo


religioni, et unum corpus cum ea efficitur, et inde nascitur quaedam
relatio identitatis (ut sic dicam) et mutua obligatio religiosi ad religio-
nem, et e contrario, propter quod dicun communiter auctores, ut in
superioribus saepe citatum est, inter religionem et religiosum fieri mu-
tuum contractum; ...”, SUÀREZ, Opus de virtute, vol. XV, tr. VII, l. X,
c. V, n. 5, 890. Cfr. anche KINDT, De potestate dominativa, 149.
101 SUÀREZ, Opus de virtute, vol. XV, tr. VII, l. X, c. V, n. 6, 890.
102 SUÀREZ, Opus de virtute, vol. XV, tr. VII, l. X, c. V, n. 5, 890.
103 SUÀREZ, Opus de virtute, vol. XV, tr. VII, l. VI, c. I, n. 1, 381.
La potestà di governo nella vita consacrata
52

tale promessa corrisponda una donazione reale di sé e di


tutti i diritti che sono propri del professo, sia reali che
umani.
La traditio risulta perciò essere una offerta di sé fatta al-
l’uomo, un patto umano tra uomini attraverso il quale si
trasferiscono diritto e dominium a qualcuno: non può esser-
ci una donazione che si faccia direttamente a Dio stesso,
come gli autori medievali affermano.104 E questa professio-
ne religiosa consiste di una promessa unita e congiunta al-
la donazione di sé che necessariamente si fa nelle mani del
Superiore e senza la quale non ci sarebbe una rinuncia per-
fetta.105 Perciò, si può a buona ragione dire che ciò che ca-
ratterizza l’essenza della professione religiosa è maggior-
mente la traditio piuttosto che la promissio.106
Possiamo così riassumere quanto fin qui asserito:
– l’uomo che voglia diventare religioso, deve emettere i
voti a Dio in una comunità religiosa che accetta la sua

104 “... haec traditio, per quam, ut ostendi, vere transfertur aliquod
ius et dominium, necesse est ut immediate fiat alicui homini vel reli-
gioni”, SUÀREZ, Opus de virtute, vol. XV, tr. VII, l. VI, c. II, n. 14, 391.
105 Cfr. KINDT, De potestate dominativa, 152; SUÀREZ, Opus de virtu-

te, vol. XV, tr. VII, l. VI, c. II, n. 14, 391.


106 Tuttavia – nota il Suàrez – proprio la natura “religiosa” della

professione fa sì che questa non si fermi ad uno stadio meramente


umano, ma sia bensì caratterizzata da una aurea di religiosità e di sa-
cralità: ciò è tanto più evidente quanto più si tenga presente che la
traditio che si fa di sé al Superiore non è motivata da nessun’altra vir-
tù o voto che non sia la Religione stessa. Cosa questa che denota l’es-
senziale divinità della destinazione del dono fatto, nonostante poi Dio
non possa acquistare questa potestà se non attraverso l’uomo. In altre
parole, non è l’uomo che acquista tale dominium in veste di “curatore
di Dio”, quanto piuttosto Dio stesso il quale poi lo esercita tramite un
suo vicario attraverso il quale passa l’obbligazione e l’effetto del con-
tratto. Ecco anche perché, questa stessa traditio si può ben dire che sia
al contempo un patto umano e religioso. Cfr. KINDT, De potestate do-
minativa, 153.
Cap. I - Potestà dominativa dalle origini al CIC 17: sviluppo ed essenza
53

offerta in nome di Dio; il religioso, poi, si dona all’Isti-


tuto attraverso una donazione umana;
– il voto di obbedienza non è caratterizzato da questa do-
nazione che si realizza nel tempo presente, ma, in quan-
to voto, è connotato dalla promessa, che si riferisce es-
senzialmente al futuro;
– la traditio all’Istituto è quindi un elemento distinto dal
voto (attraverso il quale il religioso trasmette il dominium
in capo al Superiore). È un patto umano generato nella
professione religiosa e che crea un vincolo di giustizia. È
un patto religioso stretto tra il religioso e Dio e che crea
una obbligazione da osservare in base al voto emesso. 107

1.4.5. La potestà dominativa: fondamento e natura


«Per potestatem autem dominativa intelligi oportet ius
acquisitum Religioni et Praelatis suis, ad imperandum reli-
giosis, et utendum operibus eorum prout conveniens iudi-
caverint».108 Così definisce Suàrez la potestà dominativa.
Essa riguarda più la potestà precettiva, di ordine gene-
rico, che la potestà legislativa, di ordine particolare. Ed,
invero, la potestà dominativa fa parte di quel più ampio
campo della potestà precettiva che comprende al suo in-
terno pure la potestà economica, la potestà politica, la po-
testà di giurisdizione.109 La potestà dominativa è diretta al-
le singole persone o a parti di comunità non perfette: essa
ha perciò meno forza coercitiva rispetto alla potestà di giu-
risdizione, in quanto si esercita all’interno di una casa pri-
vata e tra persone private.110

107 Cfr. KINDT, De potestate dominativa, 153-154.


108 SUÀREZ, Opus de virtute, vol. XV, tr. VII, l. II, c. XVIII, n. 5,
218.
Cfr. anche MOLINA L., De iustitia et iure, tract. II, disp. 3.
109

È questo un punto in cui il SUÀREZ si avvicina molto a posizio-


110

ni posteriori al CIC 17 (come quella del card. Larraona): egli afferma


La potestà di governo nella vita consacrata
54

Perciò, essa trova origine proprio nella potestà del pa-


dre verso il figlio come era nel diritto romano. Oppure, per
quanto riguarda il patto umano, si può assimilare alla po-
testà che l’uomo esercita sulla donna nei riguardi della ca-
sa e della sua persona. È simile alla potestà che, per ius gen-
tium, il vincitore acquista sul vinto come schiavo di guer-
ra. O, ancora, al contratto umano del dominium del servo
che si sia venduto.111
Questo potere è di ordine privato e si estende soltanto
alle parti non perfette della comunità. Ne consegue che la
potestà dominativa incombe su cose o persone che si pos-
siedono ed ‘in quanto’ si possiedono: dalla proprietà acqui-
sita sulla persona del religioso da parte dei Superiori, che
si può dire potestas utendi.112
Il religioso è tenuto alla soggezione verso il Superiore,
quasi come fosse un figlio o un servo. Ma, se lo stato di
soggezione cui è investito il religioso viene posto in rela-

infatti che “haec potestas quasi dominativa et domestica, ut sic dicam,


seu oeconomica, sine alia propria spirituali iurisdictione, quae sit in
Abbate, Priori, vel alio simili praelato proprio et immediato religiosi
conventus, sufficiens est ad verum statum religiosum constituendum”,[il
corsivo è mio], Opus de virtute, vol. XV, tr. VII, l. II, c. XVIII, n. 8,
219. L’autore stesso afferma proseguendo nel suo ragionamento che le
stesse abbadesse, che certamente non hanno potestà giurisdizionale,
né civile, né temporale, tuttavia hanno potestà sufficiente a costitui-
re un vero Istituto.
111 Cfr. KINDT, De potestate dominativa, 157-158.
112 Il religioso che si offre alla comunità non lega la sua traditio al

voto di obbedienza verso i Superiori o alla promessa che in esso è con-


tenuta, quanto alla sua donatio che, pur distinta dal voto di obbedien-
za, da esso viene consacrata a Dio. Questa donatio può essere assimila-
ta ad un patto attraverso il quale il religioso diviene proprietà, cosa
dell’Istituto e, di conseguenza, il Superiore – che sta a capo dell’Isti-
tuto – acquista su di lui, che non è più un soggetto sui iuris, lo ius do-
minii e lo ius praecipiendi con i limiti impostigli dalla Regola e dalle
Costituzioni. Cfr. KINDT, De potestate dominativa, 159.
Cap. I - Potestà dominativa dalle origini al CIC 17: sviluppo ed essenza
55

zione con Dio, allora possiamo dire che questa è come


‘schiavitù’, perché tutto è per rendere culto e servizio a
Dio, attraverso la sottomissione a colui che di Dio fa le ve-
ci.113 E, al contempo, tutto deve essere svolto nella più pie-
na relazione di amore, quasi ci fosse una filiazione adotti-
va: la sottomissione si perfeziona tanto più questa è ben
accetta a Dio, quanto più essa prende la forma di filiazio-
ne e non di servitù.114
La sottomissione che viene dalla potestà dominativa e
quindi dalla traditio che di sé fa il religioso nella Religione,
non può essere servitù, giacché

[…] ex eo quod servitus mancipii respectu alterius homi-


nis est vilissima conditio, per se loquendo, involuntaria,
et in gravissimam poenam introducta, utpote multum re-
pugnans naturali dignitati hominis; subiectio autem reli-
giosa nobilissima est, non elevans, sed extollens potius ac
perficiens naturalem hominis dignitatem.115

Inoltre, se nella legislazione del servus, questo poteva


essere liberamente venduto o comprato dal suo padrone, il
religioso, invece, nella sua sottomissione al Superiore, non
incorre mai in questo pericolo; in questo modo anche la
potestà cui è sottoposto differisce da quella dello schiavo.
Ulteriore divergenza sta nell’impossibilità che trova il
servo per passare da un padrone ad un altro (anche se da
quest’ultimo sarebbe magari trattato meglio); cosa che in-

113 Cfr. SUÀREZ, Opus de virtute, vol. XV, tr. VII, l. VI, c. II, n. 19,
393.
114 Questa soggezione filiale non si può propriamente dire natura-
le (poiché è chiaro che tale non è), ma neppure adottiva. SUÀREZ, in-
fatti, propone di chiamarla in un modo nuovo: spirituale. Cfr. Opus de
virtute, vol. XV, tr. VII, l. VI, c. II, n. 20, 394.
115 SUÀREZ, Opus de virtute, vol. XV, tr. VII, l. VI, c. II, n. 20, 394.
La potestà di governo nella vita consacrata
56

vece il religioso potrà eseguire con (relativa) facilità, se il


diritto proprio glielo permetta, qualora veda per lui un
maggior beneficio spirituale in un altro Istituto o in sogge-
zione ad un altro Superiore.116
Soprattutto si deve notare come questa stessa sottomis-
sione non è volta – come era per la servitù ‘secolare’ – al-
la soddisfazione e utilità del signore che domina, ma al be-
ne stesso di coloro verso i quali è esercitata. Perciò, da
questo punto di vista, non può nemmeno essere propria-
mente chiamata schiavitù ma, piuttosto, una possibilità di
vivere in condizioni migliori la propria scelta di vita, il
proprio status (ciò nonostante il Superiore possa vedere
questa stessa potestà come un modo per giovare al bene
della Religione, non certo del singolo).117
Da tutto quanto è stato detto, risulta che la soggezione
del religioso è maggiormente assimilabile a quella del pa-
dre verso il figlio piuttosto che a quella del padrone verso
il servo.
Ora, dal momento che pure Aristotele (Politicorum, l. 3,
c. 4) afferma che esiste una duplice potestà privata: o do-
mestica (dominativa), come quella del padrone verso il
servo, o economica, come quella del padre verso il figlio;
Suàrez preferisce indubbiamente il sintagma potestà econo-
mica per descrivere il rapporto che intercorre tra Superiore
e religioso. E più avanti dice che, in forza di questa pote-
stà dominativa e della potestà economica, possiamo dire
che il Superiore gode di potestà governativa nei confronti
dei sudditi.118

116 Cfr. SUÀREZ, Opus de virtute, vol. XV, tr. VII, l. VI, c. II, n. 21,
394.
117 Cfr. KINDT, De potestate dominativa, 160-161.
118 Cfr. SUÀREZ, Opus de virtute, vol. XV, tr. VII, l. VI, c. II, n. 25,
395-396, e passim, dove usa indifferentemente potestas dominativa, po-
testas gubernativa, potestas oeconomica, potestas domestica.
Cap. I - Potestà dominativa dalle origini al CIC 17: sviluppo ed essenza
57

Il nostro autore intende la potestà dominativa, che vie-


ne chiamata così impropriamente (meglio economica o
governativa), come quella potestà che «acquirunt Supe-
riores ex traditione religiosi in professione religiosa perac-
ta ad modum contractus, et qua religiosis imperare possunt
et eorum operibus uti, prout conveniens iudicaverit».119
Perciò, questa stessa potestà è normalmente di ordine pri-
vato, viene amministrata in comunità non giuridicamente
perfette e si può farne risalire gli attributi alla potestà eser-
citata dal padre nei confronti del figlio piuttosto che a
quella esercitata dal padrone verso i servi.

1.4.6. Ambito di applicazione ed estensione


Si deve distinguere anzitutto la potestà che sorge dalla
consegna o dominativa dalla potestà o titolo che si inge-
nera in seguito al voto di obbedienza. Infatti, il voto di ob-
bedienza trova espressione nel precetto del Superiore, che
per essere valido deve avere un contenuto legittimo emes-
so da un soggetto abile; di questa possiamo distinguere tre
fattispecie: la potestà di giurisdizione partecipata dal Som-
mo Pontefice al Superiore religioso, la potestà dominativa
esercitata in forza della traditio e la potestà sorta dal voto
stesso.
Se il voto di obbedienza è la promessa fatta a Dio di ob-
bedire al Superiore prestata in maniera assoluta e senza di-
stinzione, comunque in essa cade l’obbligazione dello stes-
so voto.120 L’autore afferma che la traditio fatta all’uomo è
la materia della promessa rivolta a Dio, cioè il voto di ob-
bedienza. Ma riguardo al voto di obbedienza è difficile tro-
vare una natura nel trattato dell’autore.

119KINDT, De potestate dominativa, 162-163.


120È da notare che qui il Suàrez fa confusione tra le tre fattispecie
di potestà, soprattutto quando le analizza dal punto di vista della ma-
teria. Cfr. KINDT, De potestate dominativa, 163.
La potestà di governo nella vita consacrata
58

Ciò premesso, vediamo brevemente quale sia per Suàrez


l’oggetto della potestà dominativa.

Per potestatem… dominativam intelligi oportet ius ac-


quisitum Religioni et Praelatis, ad imperandum religiosi,
et utendum operibus eorum prout conveniens iudicave-
rit.[...]. Usus autem illius iuris est gubernatio personae re-
ligiosi, seu applicatio illius ad haec vel illa opera, cum ef-
ficacia moraliter requisita ad bonum Religionis et religio-
si.121

In forza della loro potestà, i Superiori potrebbero diret-


tamente toccare i voti dei religiosi. Tuttavia, questa loro
potestà è limitata alle ‘cose oneste’, cioè finalizzata al be-
ne della comunità e non al male del singolo cui viene co-
mandato. Che, però, se dovesse essere in dubbio circa
l’onestà dell’azione che gli fu imposta, deve obbedirvi co-
munque.
Limitazione ulteriore alla potestà dei Superiori risiede
nella Regola. Infatti, se la potestà dominativa «orta est ra-
dicaliter a voluntate profitentium talem Regulam, et se
donantium Religioni cum promissione et obligatione obe-
diendi secundum illam»,122 il religioso non può certamen-
te eseguire qualcosa che ecceda o che non sia contempla-
to nell’oggetto dello stesso voto di obbedienza, cioè nella
Regola che ha professato.
Il religioso è tenuto ad obbedire al Superiore tanto
quanto quello che gli viene prescritto sia in armonia con
la Regola che ha abbracciato: questo principio esclude tut-
to ciò che stia fuori di questa o che sia ad essa superiore.123

121 SUÀREZ, Opus de virtute, vol. XV, tr. VII, l. II, c. XVIII, n. 5, 218.
122 SUÀREZ, Opus de virtute, vol. XV, tr. VII, l. II, c. XVIII, n. 5, 218.
123 Cfr. KINDT, De potestate dominativa, 165.
Cap. I - Potestà dominativa dalle origini al CIC 17: sviluppo ed essenza
59

1.5. L’origine secondo le varie dottrine

La potestà in genere viene così definita da s. Tommaso:

Naturale est homini ut sit animal sociale et politicus in


multitudine vivens, magis etiam quam alia animalia, quod
quidem naturalis necessitas declarat. [...] Unde homini
opus est in societate vivere; et idem ostendit ex loquela, ex
necessitate sese communicandi. Si ergo naturale est homi-
ni quod in societate vivat, necesse in hominibus esse per
quod multitudo regatur.[...] In uno homine anima regit cor-
pus, atque inter animae partes irascibilis et concupiscibilis
ratione reguntur. Itemque inter membra corporis unum est
principale quod omnia movet, cor aut caput. Oportet igi-
tur esse in omni multitudine aliquod regitivum,124

dicendo in tal modo che ogni tipo di potestà è di dirit-


to naturale.
Lo stesso Tommaso afferma che nella Chiesa non vi è
solo una potestà sacramentale affidata a chi amministra i
cinque sacramenti legati esclusivamente agli ordinati in sa-
cris, ma vi è pure una potestà non sacramentale; essa ex
simplici iniunctione hominis confertur,125 la quale non immo-
biliter adhaeret, e che perciò non può essere sacramentale,
nel qual caso sarebbe indelebile. Per questa potestà non sa-
cramentale, che chiamiamo potestas iurisdictionis, «non è
logicamente pensabile una distinzione tra la sua essenza ed
il suo esercizio, proprio perché la sua essenza consiste nel
suo esercizio».126 Essa è il potere non sacramentale di go-

124TOMMASO D’AQUINO, De regimine Principum, l. I, c. I.


125TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, II II, q. 39, a. 3.
126 DE BERTOLIS O., Origine ed esercizio della potestà ecclesiastica di

governo in San Tommaso, Roma 2005, 147. Cfr. anche GHIRLANDA G.,
Hierarchica communio. Significato della formula nella Lumen gentium, Ro-
ma 1980, 312.
La potestà di governo nella vita consacrata
60

vernare la Chiesa dato anche ai laici con la missio canoni-


ca: vi può quindi essere soggetto che non abbia potestà di
ordine, ma solo di giurisdizione. Quindi ci può pure essere
(e storicamente ciò è avvenuto moltissime volte) un laico
o un religioso laico che eserciti potestà di giurisdizione per
il tempo in cui è investito di tale ufficio. D’altro canto so-
no noti i casi in cui anche il Romano Pontefice esercita-
va il proprio ministero petrino, non essendo stato ancora
ordinato vescovo (e in alcuni casi essendo ‘solo’ laico).
Ecco perché

Duplex est spiritualis potestas: una quidem sacramentalis;


alia iurisdictionalis. Sacramentalis quidem potestas est
quae per aliquam consecrationem confertur. Omnes au-
tem consecrationes Ecclesiae sunt immobiles, manente re
quae consecratur. [...]. Et ideo talis potestas secundum
suam essentiam remanet in homine qui per consacratio-
nem eam est adeptus quamdiu vivit, sive in schisma sive
in haeresim labatur [...]. Potestas autem iurisdictionalis
est quae ex simplici iniunctione hominis confertur. Et ta-
lis potestas non immobiliter adhaeret. Unde in schisma-
tis et haereticis non manet.127

Se due erano considerate dall’Aquinate le potestà nel-


la Chiesa, al fine di una chiara trattazione del tema della
potestas dominativa in specie, risulterà utile verificare qua-
le sia stata la concezione del fondamento di tale potestà,
dove cioè – secondo la posizione delle dottrine prevalenti
– questa traesse la propria origine.
Dopo la promulgazione del CIC 17, ci si accorse dei
problemi sorti per l’intendimento del c. 501 §1: con il
tempo, infatti, tale potestà divenne un concetto che servi-
va ad indicare quell’alia publica ecclesiastica potestas che

127 TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, II II, q. 39, a. 3.


Cap. I - Potestà dominativa dalle origini al CIC 17: sviluppo ed essenza
61

spettava ai Superiori e Moderatori delle Religioni o Ordini


di voti semplici e di Istituti secolari. Questa, pur essendo
una potestà, non poteva in alcun modo essere ricompresa
nella potestà di giurisdizione strettamente giuridica, anche
se di essa manteneva il carattere pubblico. Infatti, non è
la sola potestà di giurisdizione a venir esercitata mediante
provvedimenti (perciò definita come un potere pubblico),
ma si deve distinguere da altri poteri di comandare che
non sono esercitati da organi della Chiesa, né a nome del-
la Chiesa: tali sono quelli che i canonisti chiamano pote-
stà dominativa, domestica, etc. Di questi, è bene rilevare
che

la nota distinzione tra potestà di giurisdizione e potestà


dominativa è sostanziale, dato che questa non è una po-
testà pubblica; e che quindi la cosiddetta potestà domina-
tiva pubblica è, nonostante il can. 501 §1, una vera e pro-
pria potestà di giurisdizione, sia pure non estesa come
quella potestà di giurisdizione che viene chiamata vesco-
vile o quasi vescovile: la differenza non è di natura, ma
soltanto di quantità.128

Ed inoltre dobbiamo notare come

il motivo per cui quasi nessun canonista riesce a far rien-


trare questa potestà dominativa pubblica nel concetto di
potestà di giurisdizione è puramente storico: ciò avviene
infatti perchè, fino al Codice, le Religioni non esenti ve-
nivano considerate fuori dell’organizzazione gerarchica
della chiesa, non essendo riconosciuto ad esse carattere
pubblico.129

128 CIPROTTI P., Sulle potestà della chiesa, in Archivio di Diritto

Ecclesiastico 3(1941), 54.


129 Ivi, p. 54, nota a piè di pagina.
La potestà di governo nella vita consacrata
62

Possiamo fin d’ora arguire che in base al modo di ere-


zione, essa si distingue in pubblica, semipubblica e priva-
ta. Tuttavia, sia ben chiaro che riguardo al suo fine e con-
tenuto, essa rimane pur sempre pubblica, perché volta al
perseguimento del bene della collettività e al bonum com-
mune ecclesiae proprio degli istituti ecclesiastici.
Per questi stessi motivi, la potestà dominativa spetta
non solo a coloro che sono insigniti dell’ordine sacro, ma
a tutti coloro che sono chiamati a reggere l’Istituto, l’asso-
ciazione, la comunità, sia uomini che donne, sia chierici
che laici.130
Circa poi il fondamento di questa stessa potestà, le cor-
renti sono le più svariate.
Secondo alcuni, la potestas dominativa trarrebbe origine
dalla professione religiosa e, perciò, sarebbe analoga a
quella di un paterfamilias nella propria casa; di conseguen-
za, deriverebbe dalla sottomissione del soggetto ai diritti e
doveri abbracciati con la professione e presenti nella rego-
la.131
Per altri, tale potestà nascerebbe dal voto di obbedien-
za, che si esplica nella professione religiosa e tramite la
quale si viene a far parte della Religione. Fondamento ne
è lo stesso carattere sociale dell’Istituto.132
Kindt afferma che la potestà dominativa è

una potestà ecclesiastica d’ordine privato, che la chiesa,


in ragione della donazione personale dei religiosi, attuata
nel voto di obbedienza, conferisce ai superiori religiosi le-
gittimi verso la persona dei loro sudditi, in conformità al-
le norme delle costituzioni e del diritto comune e che ob-

130 Cfr. COLELLA P., Potestà dominativa, in Enciclopedia del diritto,


vol. XXXIV, 816.
131 Sarebbe questa la posizione di Bargillat, Crnica, Fanfani, …
132 Di questo avviso molti autori medievali e Vermeersch.
Cap. I - Potestà dominativa dalle origini al CIC 17: sviluppo ed essenza
63

bliga per virtù di religione e talvolta di obbedienza spe-


ciale; il voto di obbedienza ci sembra essere il fondamen-
to della potestà dominativa e della sua obbligazione. Si
può quindi chiamare a buon diritto questa potestà pote-
stas ex voto obedientiae.133

Infine, il card. Larraona affermava che la potestà domi-


nativa non è se non una autorità vera e propria, non di
origine privata, nata dalla volontà degli individui, ma og-
gettiva, autonoma: essa trarrebbe origine dalla volontà
dell’autorità della Chiesa che ha dato origine agli Istituti
(in quanto la Religione non è una società puramente ami-
cale, ma trova un carattere peculiare nella propria giuridi-
cità, cioè nell’agire in conformità e con l’approvazione
della Chiesa). Ne consegue che il voto di obbedienza non
è l’immediato responsabile di questo tipo di potestà, anche
se certamente la rende più cogente.
La potestà dominativa ha estensione maggiore del vo-
to, in quanto agisce pure nelle società senza voti e può ob-
bligare anche gruppi di persone.134 Infatti, il voto è emes-
so dal singolo e ad esso è rivolto; la potestà riguarda e il
singolo e la comunità, nonché i beni di cui essa dispone.
Vediamo ora queste posizioni più dettagliatamente.

1.5.1. La traditio
Secondo alcuni autori, come in parte anche il Suàrez di
cui già abbiamo esposto la dottrina ed i Salmanticensi, la
potestas dominativa affonderebbe le sue radici nella offerta
di sé che il religioso fa, nel momento di entrare nell’Isti-
tuto, nelle mani del Superiore.
Presupposto di questa posizione è che le società, gli Isti-
tuti, siano di origine volontaria; ne consegue che pure la

133 KINDT, De potestate dominativa, 322.


134 Cfr. DESDOUITS, Potestà dominativa, in DIP, vol. VII, col. 146.
La potestà di governo nella vita consacrata
64

potestà di cui sono investiti trae origine dalla volontà di


coloro che di essi vogliano far parte. È, in altre parole, la
volontà dell’offerente che determina la potestà di colui
che lo accoglie.
Tuttavia, se di questo si trattasse, dovremmo altresì af-
fermare che con il battesimo, tramite cui il cristiano entra
a far parte della Chiesa e ad essa si sottomette, si dà a que-
sta stessa la potestà cui il soggetto sarà sottomesso. Ciò ri-
sulta essere quanto mai erroneo: innanzitutto, perché la
Chiesa è investita di un potere che preesiste al cristiano
battezzato che in essa venga accolto; in secondo luogo,
perché se la sua potestà dipendesse dalla volontà dei sin-
goli, ciascuno potrebbe ‘dettare legge’ in essa.135 Parimenti
si dica poi per quanto riguarda gli Istituti e la loro potestà.

1.5.2. La professione religiosa


Vedono nella professione religiosa l’origine della potestà
dominativa autori quali Wernz,136 Cocchi,137 Creusen,138
nonché Fanfani,139 Sipos,140 Laurentius.141 Per questi auto-
ri, la potestà presa in esame sarebbe analoga a quella di un
padre di famiglia nella propria casa e deriverebbe dagli ob-
blighi cui si è sottomesso il religioso, avendone in cambio
diritti e favori.
Tuttavia, si può far notare che la donazione che il reli-
gioso fa di sé nelle mani del Superiore e la professione, so-

135 Cfr. RAGAZZINI, La potestà nella Chiesa, 263.


136 Cfr. WERNZ F.X., Ius decretalium, III, n. 683, 762 e passim.
137 Cfr. COCCHI G., Commentarium in Codicem Iuris Canonici,

Torino 1922, II, tit. X, c. I, 48.


138 Cfr. CREUSEN F., Religieux et Religieuses d’après le droit ecclésiasti-

que, Parigi 1950, I, c. III, a. I, §1, n. 39, 1.


139 Cfr. FANFANI L., De iure religiosorum ad normam Codicis Iuris

Canonici, Torino 1925, n. 51, 64.


140 Cfr. SIPOS S., Enchyridion Iuris Canonici, Roma 1954, 334.
141 Cfr. LAURENTIUS J., Institutiones Iuris Ecclesiastici, Friburgo 1903, 63.
Cap. I - Potestà dominativa dalle origini al CIC 17: sviluppo ed essenza
65

no praticamente la stessa cosa. Anche se ciò può non es-


sere da un punto di vista meramente teorico, dal punto di
vista pratico essi vengono a coincidere con il momento e
atto stesso in cui il religioso emette la professione dei vo-
ti nelle mani del legittimo Superiore. Ciò è rilevato pure
dal Gil, che afferma che tale distinzione risulta essere ina-
deguata, quasi una ripetizione.142

1.5.3. Il voto di obbedienza


Affermano che il voto di obbedienza è l’origine di tale
potestà, autori quali Balmès,143 Raus144 e altri. Con questi,
anche il Vermeesch vede in questo voto il fondamento
prossimo di questa potestà (fondamento remoto, invece, ne
sarebbe la professione religiosa).
Tuttavia, dobbiamo rilevare come con il voto di obbe-
dienza

si promette a Dio di obbedire ai legittimi Superiori che già


sono Superiori, che già godono, cioè, di legittima potestà.
Quindi, come i Superiori non vengono costituiti dal voto
di obbedienza dei sudditi, così neppure la potestà, della
quale sono insigniti, può trarre origine da tale voto.145

Però, può trarre aggancio con il voto del singolo in ma-


niera tale che, se questi non emettesse il voto, la potestà
del Superiore non lo toccherebbe. Ciò, d’altro canto, ap-
pare evidente se si tiene presente che vi sono società che
non emettono voti ma che sono investite comunque di
potestà verso i sudditi.

142Cfr. GIL N., De potestate dominativa, Roma 1932, 37.


143Cfr. BALMÈS H., Les Religieux à voeux simples d’après le Code,
Paray-le-Monial 1921, c. V, 57.
144 Cfr. RAUS J. B., De virtute obedientiae, Parigi 1923, vol. I, 70.
145 RAGAZZINI S., Le potestà nella Chiesa, 264.
La potestà di governo nella vita consacrata
66

È pur sempre vero che il voto di obbedienza contribui-


sce in qualche maniera a creare un certo tipo di potestà
negli Istituti, non tanto nel senso che ne generi di nuovi
tipi o ne faccia sorgere di maggiori (secondo alcuni, il vo-
to di obbedienza è diretto a Dio, perciò non genera alcun
tipo di potestà; secondo altri, da questo voto sorgerebbe la
potestas voti, una nuova potestà diversa dalle altre), quan-
to piuttosto, perché rende maggiormente vincolante ciò
cui si è già tenuti ad obbedire.146
Ci si potrebbe a questo punto chiedere donde tragga ef-
fettivamente origine la potestà dominativa da quanto
emerso nel CIC 17, se ciò che normalmente veniva con-
siderato come fondante risulta ora essere meramente mar-
ginale. Esclusi, dunque, questi tre tipi di fonte (che alcuni
avevano considerato in coppia, o con altre cause efficien-
ti), possiamo affermare che l’origine della potestas domina-
tiva è uguale sia per gli Istituti di diritto pontificio sia per
quelli di diritto diocesano e consiste nell’autorità ecclesia-
stica, sia essa il Romano Pontefice o il Vescovo.

Potestas dominativa quae in Religionibus existit origi-


nem suam ducit ab auctoritate ecclesiastica, a Romano
Pontifice nempe vel ab Episcopo; non vero a voluntate
sociorum se tradentium Religioni, nec a voto obedien-
tiae.147

In definitiva, dunque, la potestà dominativa nelle Re-


ligioni viene dal diritto, posto in essere dall’autorità com-
petente che è la stessa che ha eretto la comunità religiosa.

146 Cfr. RAGAZZINI S., Le potestà nella Chiesa, 265.


147 GIL N., De potestate dominativa, 59.
Cap. I - Potestà dominativa dalle origini al CIC 17: sviluppo ed essenza
67

1.6. Potestà pubblica e privata

«Ubi societas ibi ius; ubi societas ibi auctoritas, ibi po-
testas»:148 origine di ogni potestà sta nel vivere in società.
Ora, ci possono essere vari tipi di società (cfr. 2.2) e quin-
di di autorità e di potestà. Se da un lato, infatti, la mag-
gior parte degli autori prima – ed alcuni anche successiva-
mente – al CIC 17 ritenevano che la potestà dominativa
fosse di ordine meramente privato; dall’altro notiamo una
progressiva presa di coscienza che non vi può essere auto-
rità e potestà nelle Religioni che non debba essere di ca-
rattere pubblico, in tutto o in parte.
Così il Suàrez e la maggior parte degli autori dopo di
lui, facendo derivare la potestà esercitata dal Superiore re-
ligioso direttamente dalla traditio del religioso stesso, coe-
rentemente affermava il carattere privato di questa pote-
stà, assimilabile a quella del padre sul figlio, del padrone
sullo schiavo.149
Affermano il carattere privato della potestà dominativa
anche autori quali Vermeersch,150 Pejska151 e Raus.152
Si discosta da questa posizione privatistica il Larraona,
che inizialmente afferma che questa potestà «non potest
dici supremo gradu et formaliter publica». In seguito so-
stiene che ‘praticamente’ essa è da considerarsi come po-
testà pubblica formalmente, anche in senso proprio, ed è

148 FUERTES J.B., De potestate dominativa in Religionibus non exemptis,


in CpR 32(1953), 204.
149 Cfr. GIL, De potestate dominativa, 71.
150 Cfr. VERMEERSCH A.-CREUSEN F., E pitome Juris Canonici, Roma

1930, vol. I, 355.


151 Cfr. PEJSKA J., Ius Canonicum Religiosorum, Friburgo 1927, l. III,

tit. IV, c. III, 229.


152 Cfr. RAUS J.B., De Sacrae Obedientiae virtute et voto, Parigi 1923,

p. I, c. III, 65.
La potestà di governo nella vita consacrata
68

perciò da assimilarsi alla potestà di giurisdizione in quan-


to è la stessa con cui si regge una società giuridica che ven-
ga costituita allo stato pubblico nella Chiesa.153
La posizione del Larraona ed il suo apporto allo svilup-
po della distinzione tra stato pubblico e privato delle so-
cietà giuridiche nella Chiesa,154 fu di notevole aiuto al-
l’avanzamento degli studi e dell’approfondimento del con-
cetto di potestà negli Istituti religiosi e soprattutto secola-
ri, tanto da portare alla completa riforma, nel CIC 83, di
tale classificazione.
Usualmente si chiamava pubblica la sola potestà giuri-
sdizionale, contrapposta perciò alla potestà dominativa
che era universalmente riconosciuta come privata. Tutta-
via, in seguito alla promulgazione del CIC 17, ci si accor-
se che tale carattere pubblico può dipendere da fattori di-
versi, non solo di carattere sostanziale, ma pure funziona-
le ed effettivo (cioè per gli effetti pubblici che conseguo-
no all’esercizio di tale potestà). Fu da questa constatazio-
ne che prese il via la denominazione di potestà dominati-
va pubblica, da taluni chiamata ‘semipubblica’.155 Essa,
tuttavia, non sarebbe pubblica in contrapposizione a quel-
la giurisdizionale, quanto piuttosto una potestà privata con
effetti giurisdizionali.
Per poter procedere con chiarezza, sviluppiamo breve-
mente il concetto di potestà dominativa semipubblica che
si venne a creare tra il CIC 17 ed il CIC 83.
Con la dichiarazione della Commissione per l’Interpre-
tazione del Codice del 25 marzo 1952, si affermò il sostan-
ziale carattere pubblico della potestà dei Superiori religio-

153 Cfr. LARRAONA A., Commentum ad c. 501, CpR 7(1926), 31.


154 Cfr. LARRAONA A., De potestate dominativa publica in Jure Cano-
nico, in Acta Congressus Juridici Internationalis, IV, Roma 1937.
155 Così CABREROS DE ANTA, La potestad dominativa y su ejercicio, 68.
Cap. I - Potestà dominativa dalle origini al CIC 17: sviluppo ed essenza
69

si nelle religioni clericali non esenti ed anche in quelle


non clericali.156
In questo modo si applicarono a questo tipo di potestà,
gli stessi canoni riguardanti la potestà giurisdizionale nel
CIC 17, e

si riconosce che tra quelle e la potestà giurisdizionale esi-


ste una particolare analogia, in ragione della sua funzio-
ne sociale e del suo esercizio. È in effetti evidente che lo
stato delle Religioni come quello delle Società equipara-
te è uno stato e organismo pubblico, dentro la Chiesa, seb-
bene la sua pubblicità non sia uguale a quella che com-
pete per istituzione divina alla Chiesa stessa; è uno stato
riconosciuto e organizzato, nella sua struttura interna ed
esterna, dal Diritto canonico.157

In tal caso, proprio per il principio che tale è la potestà


del Superiore religioso quale è il tipo di società su cui eser-
cita la stessa, appare logico come la potestà dominativa
non possa che avere carattere pubblico.
Allo stesso tempo, per Cabreros de Anta,158 la stessa po-
testà di cui godono le Religioni nel CIC 17 deve venire
attribuita anche agli Istituti secolari, proprio per gli stessi
effetti pubblici che vengono a creare gli atti di potestà in-
terna ed esterna di questi Istituti. Tale potestà dominativa
pubblica non sarebbe invece da attribuire alle associazioni
di fedeli, in quanto non viene riconosciuta formalmente la
loro organizzazione interna ed esterna attraverso la potestà
giurisdizionale, né godono di una forma di organizzazione
gerarchica stabile.

156 La fase di sviluppo dal CIC 17 al CIC 83 sarà trattata più dif-

fusamente nel terzo capitolo.


157 CABREROS DE ANTA, La potestad dominativa y su ejercicio, 71 [no-

stra traduzione].
158 Cfr. CABREROS DE ANTA, La potestad dominativa y su ejercicio, 72.
La potestà di governo nella vita consacrata
70

1.6.1. Uno sguardo storico


Se si guarda al diritto antico, fin dal primo nascere di
forme di vita consacrata, mai si ebbe a confrontarsi con
Istituti di carattere universale, dal punto di vista territo-
riale.
Con il passare del tempo, tuttavia, si vennero a forma-
re Istituti pluridiocesani o universali, caratterizzati da una
struttura ben definita internamente ed esternamente, di
chiaro ordine pubblico, sia in relazione al ministero svol-
to sia in ragione delle relazioni che intessevano con la so-
cietà. Così troviamo che questi stessi rivendicarono l’esen-
zione dalla potestà dell’Ordinario (cfr. 1.7.), ma non la ot-
tennero se non per singoli casi, per eccezioni.159
Tale situazione mutò con l’apparire di Istituti di carat-
tere veramente universale, cui fu attribuita ben presto e
«non quidem sine litibus» la potestas regiminis autonoma,
ma solo per quelli clericali (e perciò maschili) o laicali ma-
schili.
La situazione delle congregazioni religiose non esenti
maschili formatesi sul finire del Medioevo fu destinata a
prolungarsi nel tempo, giacché non furono riconosciute
come Religioni, nonostante le notevoli somiglianze, ma
non si volle neppure porle in una posizione nuova, crean-
do un nuovo stato di vita. Per questo furono ritenute con-
gregazioni secolari, il che, se le rendeva scevre del peso
delle legislazioni decretali proprie delle Religioni, le lascia-
va tuttavia in balìa di un diritto non consono al loro sta-
to di perfezione evangelica.160
Sorse perciò una polemica notevole da parte degli
Istituti femminili che, per quanto universali e con un go-
verno centralizzato, non ottennero né esenzioni né un di-

159 Cfr. LARRAONA, De potestate dominativa publica, 154-155.


160 Cfr. RAGAZZINI, La potestà nella Chiesa, 273.
Cap. I - Potestà dominativa dalle origini al CIC 17: sviluppo ed essenza
71

ritto più adatto nel periodo che va dal pontificato di


Urbano VIII a quello di Benedetto XIV. A tale regime, al-
lora, si doveva riconoscere carattere pubblico.161
È solo nella seconda metà del XIX sec. che si comincia
a distinguere, tuttavia, la capacità di autoregolamentarsi
rispetto alla potestà dell’Ordinario del luogo. Questa evo-
luzione fu il frutto soprattutto della Rivoluzione francese,
che fece perdere vigore a diverse proibizioni, lasciando che
emergessero, invece, posizioni più benevole nei loro con-
fronti.
Si giunse così ad una approvazione parziale dapprima
delle costituzioni, ma non dell’Istituto; poi, ad una appro-
vazione in toto sia delle costituzioni che dell’Istituto, arri-
vando a elevarle a Congregazioni di diritto pontificio e ad
equipararle alle Religioni.162
Questi principi furono ripresi nella cost. Conditae a
Christo, dell’8 dicembre 1900, in cui si stabiliscono criteri
certi circa la potestà dei Superiori e quella dei Vescovi,
che furono in parte codificati nel CIC 17, in parte inno-
vati e si inquadra nel diritto pontificio tale genere di Con-
gregazioni:163
– riconosce come vere Religioni, le Congregazioni di dirit-
to diocesano e applica loro il diritto comune tranne in
qualche eccezione;
– riconosce come Religioni le Congregazioni di diritto
pontificio applicando loro il diritto comune dei religiosi,

161 “[…] Necessaria pariter apparebat publica potestas, iurisdictio-


nis potestati satis affinis; talis gradus ex necessitate rei haec potestas
publica esse debebat ut quasi episcopalis censeri fere valeret, eo quod
ad domos in diversis dioecesibus et regionibus constitutas independen-
ter ab Episcopis regendas ordinaretur”, LARRAONA, De potestate domi-
nativa publica, 155.
162 Cfr. RAGAZZINI, La potestà nella Chiesa, 273-274.
163 Cfr. LARRAONA, De potestate dominativa publica, 156-157.
La potestà di governo nella vita consacrata
72

sia che siano di voti solenni che di voti semplici ordina-


ti ai solenni o ancora che derivano dalla solennità giuri-
dica dei voti;
– riconosce potestà dominativa ad ogni Religione e la de-
finisce per diverse categorie di Religioni come piena-
mente sufficiente al governo universale proprio di cia-
scuna Congregazione, quando prima della promulgazio-
ne del Codice piano-benedettino solo i regolari poteva-
no essere definiti religiosi in senso canonico e, ancor più
limitatamente, solo gli Ordini e Congregazioni esenti
erano riconosciuti come società universali, che poteva-
no agire con una potestà quasi episcopale e, in virtù del-
l’esenzione stessa derivata dalla Santa Sede, indipenden-
temente dall’Ordinario del luogo.
Per quanto attiene le Religioni clericali, anche non esen-
ti, queste possono essere equiparate alle diocesi in quanto
alla incardinazione ed escardinazione dei chierici stessi, on-
de evitare l’esistenza di chierici acefali o girovaghi, come
espresso già nel can. 111 §1 CIC 17: «Quemlibet clericum
oportet esse vel alicui dioecesi vel alicui religioni adscrip-
tum, ita ut clerici vagi nullatenus admittantur».
Dunque, i religiosi, anche di voti semplici, vengono
ascritti alla Religione in luogo della diocesi, e ad essa devo-
no rimanere ascritti, in caso di escardinazione, fintantoché
non trovino un vescovo disposto ad accoglierli. Così pure il
chierico secolare che entri in Religione non è tenuto ad ob-
bedire al suo Ordinario fino alla professione perpetua
(quando il vincolo di obbedienza all’Ordinario sarà rotto
definitivamente dal voto di obbedienza emesso nelle mani
del Superiore religioso), bensì al proprio Superiore.164

164 Dal CIC 17 si evince, perciò, che “societatem iuridicam quae


ex pontificia erectione et approbatione, statui sensu stricto publico et
cardinali profitendo tota ordinatur; quae in suo regimine proprio, huic
statui publico quem profitetur respondenti, ex regula ab Ordinariis lo-
Cap. I - Potestà dominativa dalle origini al CIC 17: sviluppo ed essenza
73

1.6.2. Carattere pubblico della potestà dominativa


La svolta essenziale nel ritenere le Religioni, esenti e
non esenti erette dalla suprema autorità della Chiesa, in-
vestite di potestà dominativa pubblica, non trova, tutta-
via, tutta la dottrina concorde. Soprattutto per quanto ri-
guarda gli elementi che determinano lo stato di pubblici-
tà giuridica, non c’è unanimità.
Individuiamo brevemente, perciò, quali siano gli ele-
menti costitutivi dello stato canonico di diritto pubbli-
co:165
– secondo la teologia: è quello stato in cui la persona di-
viene sacra e gode del «privilegium canonis»;
– secondo la deputazione: quello in cui il soggetto rende a
Dio culto pubblico come persona pubblica a nome della
società pubblica;
– secondo l’ammissione e dimissione: quello in cui ammis-
sione e dimissione vadano fatte con atto pubblico (fa
cambiare lo stato canonico della persona), cioè stretta-
mente dipendente, nell’essere posto in atto e nell’essere
annullato, dalla gerarchia;
– secondo le obbligazioni ed i diritti: quello in cui questi
siano di carattere pubblico;
– secondo l’autorità che regge la società: quello in cui l’au-
torità sia pubblica;

corum independens est; quae ex sua natura est universalis, ita ut in-
terno vere iuridico et uno regimine corpus ipsius per universum orbem
extensum gubernetur a regimine territoriali ecclesiastico prorsus supe-
rato ac distincto; quae continet statum clericalem ipsumque regit ac
moderatur ita ut pro suis clericis dioecesis loco habeatur... nullo mo-
do comparari posse societatibus mere privatis, [...]: ex adverso hanc so-
cietatem vere et proprie publicam agnoscendam esse”. LARRAONA, De
potestate dominativa publica, 160.
165 Ci rifacciamo allo studio di RAGAZZINI, La potestà nella Chiesa,

271-272.
La potestà di governo nella vita consacrata
74

– secondo il bene pubblico: quello in cui direttamente e


principalmente si tenda al bene pubblico;
– secondo la partecipazione ad una società perfetta: quello
che è parte di una società perfetta;
– secondo la costituzione della società: quello in cui si vie-
ne ad instaurare per mezzo di un atto formale e pubblico.
Non è chiaro se debbano essere presenti contempora-
neamente tutti questi elementi o se ne bastino alcuni. Gli
autori in questo non sono concordi ed il CIC 17 non eli-
mina il dubbio. Infatti, se per Coronata ciò che definisce la
pubblicità di una società è che sia stata costituita da una au-
torità pubblica,166 per Rivet, invece, ciò che la rende tale è
che tenda direttamente, principalmente ed immediatamen-
te al bene pubblico e privato (giacché solo la società civile
tende esclusivamente al bene pubblico, mentre la società
ecclesiastica tende contemporaneamente all’uno e all’al-
tro);167 se da una parte Ottaviani afferma che la società pub-
blica è tale in forza della sua natura, della sua istituzione,
organizzazione, destinazione, che dirige e guida la vita pri-
vata dei fedeli con effetti pure nella vita pubblica, esterni e
generali al contempo,168 dall’altra Postius riunisce molti de-
gli elementi sopra elencati ed afferma che la società può ri-
tenersi pubblica se sia eretta dall’autorità, se sia ordinata al
bene pubblico, se sia parte di una società perfetta.169 D’altro
canto, è pur vero che esistono diversi tipi di pubblicità.
È importante notare, comunque, come tale pubblicità
promani essenzialmente dallo stato religioso che investe co-

166 Cfr. CORONATA M., Institutiones Juris Canonici, Torino 1928,


vol. I, 147.
167 Cfr. RIVET L., Quaestiones Juris Ecclesiastici Publici, Roma 1912,

13-14.
168 Cfr. OTTAVIANI A., Institutiones Juris Publici Ecclesiastici, Roma

1925, 176.
169 Cfr. POSTIUS J., El Codigo canonico aplicado a España, Madrid

1926, 23.
Cap. I - Potestà dominativa dalle origini al CIC 17: sviluppo ed essenza
75

loro che sono incardinati in una Congregazione. Se da una


parte, infatti, abbiamo lo stato di perfezione evangelica e lo
stato giuridico ad esso conseguente (caratterizzato dall’abi-
to, dalla vita comune, da una certa stabilità di vita, dalla
stessa approvazione di una regola da parte della Chiesa) che
ne connotano la pubblicità, dall’altra dobbiamo rilevare an-
che lo stato religioso che caratterizza tali Congregazioni.170
Infatti, i Superiori delle Congregazioni non esenti rien-
trano nell’ambito giuridico del can. 1308 §1: «Votum est
publicum, si nomine Ecclesiae a legitimo Superiore eccle-
siastico acceptetur; secus privatum». Nonché del can. 488,
1°: «Religionis, societas, a legitima ecclesiastica auctorita-
te approbata, in qua sodales, secundum proprias ipsius so-
cietatis leges, vota publica, perpetua vel temporaria, elap-
so tamen tempore renovanda, nuncupant, atque ita evan-
gelicam perfectionem tendunt».
Ne consegue che la loro potestà, dominativa che sia, è
pubblica in conseguenza dello stato religioso che regge,
pubblico in virtù dei voti emessi, che costituiscono una
persona sacra. Si viene incardinati e dimessi da tali Con-
gregazioni con atti pubblici che mutano lo stato canonico
della persona.
Se poi la Religione è clericale (esente e non), essa vie-
ne equiparata alla diocesi per la vita dei suoi ascritti. Com-
porta inoltre la vita comune e l’osservanza di regole e co-
stituzioni proprie di ciascun Istituto. Queste Religioni so-
no ex natura rei universali, anche se possono essere di di-
ritto diocesano o di diritto pontificio.171

170Cfr. RAGAZZINI, La potestà nella Chiesa, 274.


171Per quanto riguarda poi la pubblicità dello stato canonico, ciò
dipende sia dalla stessa costituzione pubblica della Chiesa, sia dal-
l’aspetto giuridico-dottrinale, che però non trova concordi gli autori.
La Chiesa è costituita tale per diritto divino. Ma l’autorità suprema di
essa può ampliare gli stessi elementi costitutivi delle persone giuridi-
La potestà di governo nella vita consacrata
76

Le Religioni sono sia di diritto divino che ecclesiastico;


rivestono quindi appieno il carattere di pubblicità in seno
alla Chiesa sia a livello costituzionale (mutano la natura
della persona giuridica nella Chiesa), sia giuridico-dottri-
nale (garantiscono l’osservanza dei consigli evangelici).
Tuttavia, non godono di piena pubblicità per quanto ri-
guarda sia la divisione del popolo cristiano (non rientrano
nell’ambito delle diocesi o delle parrocchie, né ad esse so-
no riconducibili), sia la costituzione gerarchica della Chie-
sa (infatti, la potestà da loro esercitata è vicaria del Papa,
ma interna all’Istituto).172
Ora, la divisione delle persone, come appare nel libro se-
condo del CIC 17, in chierici religiosi laici, è di ordine pra-
tico, poiché proviene dai differenti compiti, mansioni, dirit-
ti e doveri che a queste tre categorie sono legati (non a ca-
so, non si distinguono categorie di persone per sesso, età, di-
gnità, o altro). E tuttavia, questa stessa divisione legittima
il carattere pubblico delle Religioni, la cui potestà è della
stessa natura delle società stesse. Ne consegue che la pote-
stà dominativa di cui godono le Religioni in esame, non è
di carattere meramente privato, ma piuttosto pubblico.
Questa non andava comunque confusa con la potestà giuri-
sdizionale, che non era propria delle Religioni non esenti.173
Nel CIC 17 possiamo rilevare diversi canoni che sup-
pongono il carattere pubblico della potestà dominativa an-
che nelle Religioni non esenti. Così troviamo:174

che pubbliche canoniche. Se poi si tiene presente che i consigli evan-


gelici sono tali per volere di Cristo (anche se la Chiesa certamente li
custodisce ed interpreta in ogni tempo), possiamo affermare che pure
lo stato religioso è di diritto divino, giacché di questo essi sono carat-
teristica essenziale. Cfr. RAGAZZINI, La potestà nella Chiesa, 276.
172 Cfr. RAGAZZINI, La potestà nella Chiesa, 277.
173 Cfr. GIL, De potestate dominativa, Roma 1932, 82.
174 Cfr. RAGAZZINI, La potestà nella Chiesa, 278-279.
Cap. I - Potestà dominativa dalle origini al CIC 17: sviluppo ed essenza
77

– il c. 107: «Ex divina institutione sunt in Ecclesia clerici


a laicis distincti, licet non omnes clerici sint divinae in-
stitutionis; utrique autem possunt esse religiosi». Lo sta-
to canonico di vita religiosa è retto dai Superiori religio-
si che a loro volta fanno capo al Romano Pontefice me-
diante la Congregazione dei religiosi, cui devono invia-
re ogni lustro una relazione circa lo stato della Religione;
– il c. 543: «Ius admittendi ad novitiatum et subsequentem
professionem religiosam tam temporariam quam perpe-
tuam pertinet ad Superiores maiores cum suffragio
Consilii seu Capituli, secundum peculiares cuiusque reli-
gionis constitutiones». I Superiori religiosi ammettono al
noviziato, alla professione religiosa tanto temporanea
che perpetua e ne ricevono i voti pubblici in nomine ec-
clesiae, atto giuridico pubblico che comporta il cambia-
mento di stato canonico giuridico del vovente;
– il c. 585: «Professus a votis perpetuis sive solemnibus si-
ve simplicibus amittit ipso iure propriam quam in saecu-
lo habebat dioecesim» e per la stessa professione religio-
sa viene incardinato alla Religione;
– il c. 514 §1: «In omni religione clericali ius et officium
Superioribus est per se vel per alium aegrotis professis,
novitiis, aliisve in religiosa domo diu noctuque degenti-
bus causa famulatus aut educationis aut hospitii aut in-
firmae valetudinis, Eucharisticum Viaticum et extremam
unctionem ministrandi». Se la cura pastorale-sacramen-
tale dei religiosi spetta al Superiore, vigilare sul governo
e la disciplina degli stessi spetta invece alla Congrega-
zione per i religiosi. Spetta invece all’Ordinario del luo-
go la vigilanza sui costumi e la fede degli stessi delle
Religioni non esenti.
– il c. 531: «Non modo religio, sed etiam provincia et do-
mus sunt capaces acquirendi et possidendi bona tempo-
ralia cum reditibus stabilibus seu fundatis, nisi earum ca-
pacitas in regulis et constitutionibus excludatur aut co-
La potestà di governo nella vita consacrata
78

arctetur». Ciò significa che gli economi delle Religioni e


delle loro sottodivisioni sono amministratori dei bona ec-
clesiastica a pieno titolo, essendo i beni temporali delle
persone giuridiche pubbliche, beni ecclesiastici appunto.
Al massimo grado, tale potestà pubblica viene attribui-
ta nel CIC 17 alle Religioni clericali. Essa sussiste ante-
riormente alla volontà dei membri dell’Istituto e dei Supe-
riori stessi e procede direttamente dalla stessa volontà cui
trae origine la società: «inde venit auctoritas unde venit
societas».175 Essendo queste Religioni di tipo necessario-
volontarie, la potestà dominativa pubblica non può che
provenire «ex lege praevalente Superioris Religionem
constituentis»176 e non va perciò confusa in alcun modo
con il voto di obbedienza.
Se poi la Religione è di diritto pontificio, la potestà si
dice pontificia, poichè il Superiore religioso di tale Istitu-
to, in senso proprio, è il Romano Pontefice (a meno che
il diritto non dica espressamente la competenza dell’Or-
dinario del luogo in casi speciali). Ne deriva pure che la
potestà dominativa delle Religioni clericali di diritto pon-
tificio è universale, cioè pluridiocesana e unica per tutto
l’Istituto ovunque sia diffuso nel mondo.

1.6.3. Categorie della potestà dominativa pubblica


La potestà dominativa nelle Religioni clericali riguarda
la vita religiosa, la vita religiosa elevata alla dignità di sta-
to pubblico, la vita religiosa intrinsecamente unita allo
stato clericale.177
– Quanto alla vita religiosa, la potestà dominativa non va
confusa con i voti, anche se da essi viene corroborata, e

175 OTTAVIANI A., Institutiones Juris Publici Ecclesiastici, Roma 1956,


n. 28.
176 LARRAONA, De potestate dominativa publica, 162.
177 Cfr. LARRAONA, De potestate dominativa publica, 163-166.
Cap. I - Potestà dominativa dalle origini al CIC 17: sviluppo ed essenza
79

riguarda il diritto-dovere del Superiore di condurre i


membri dell’Istituto alla santità come uomo, come cri-
stiano, come religioso.
– Quanto alla vita religiosa elevata alla dignità di stato
pubblico canonico, rimandiamo alla trattazione di cui
sopra. Solo ricordiamo che il Superiore religioso è supe-
riore ecclesiastico (ex c. 1308 §1 CIC 17), che regge una
società ecclesiastica conformata alla dignità di stato pub-
blico nella Chiesa.
– Quanto alla vita religiosa unita intrinsecamente allo sta-
to clericale, indichiamo che essa viene retta dalla pote-
stà dominativa pubblica proprio perché concesso ex lege
dall’autorità suprema della Chiesa. Infatti si tratta di una
società veramente pubblica, per questo nel suo carattere
sociale si avvicina alla potestà di giurisdizione, anche se
imperfetta, e perciò gli sono riservate le funzioni legisla-
tiva, giudiziale, esecutiva.
Circa la funzione legislativa, spetta alle Religioni clerica-
li esenti, prese in toto o nella loro suddivisione in parti (pro-
vincie) sia a livello passivo che a livello attivo. Invece alle
Religioni clericali non esenti, spetta solo a livello passivo.178
Circa la funzione giudiziale, le Religioni clericali non
esenti non hanno tale potestà strettamente detta, anche se
usavano – prima del CIC – la forma contenziosa per con-
cessione nei casi di dimissione. Nelle Religioni maschili di
diritto pontificio esenti tale potestà si esplica: nei casi di
dimissione per diritto (grave scandalo esteriore o gravissi-
mo danno all’Istituto) ed in ogni caso in cui il religioso sia
esente per diritto dal tribunale dell’Ordinario del luogo e
sia sottomesso direttamente al Superiore religioso.179
Circa la funzione esecutiva, i Superiori religiosi

178 Cfr. LARRAONA, De potestate dominativa publica, 170-171.


179 Cfr. LARRAONA, De potestate dominativa publica, 172.
La potestà di governo nella vita consacrata
80

habent plenam et ab Ordinariis locorum independentem


administrationem bonorum Religionis (618 §2, 1°).
Ipsorum facultates, si agatur de Superioribus supremis, ae-
quiparantur saltem et qoad integra Religionis bona, illis
quibus pro dioecesi loci Ordinarius fruitur.180

Per la potestà dominativa pubblica possono inoltre im-


porre pene che rispettino il diritto comune e proprio e
hanno il diritto-dovere di imporre correzioni, penitenze e
rimedi penali in vista della dimissione. La loro potestà di
governo accentua il carattere di pubblicità della potestà
dominativa, come nella loro possibilità di erigere o modi-
ficare le case religiose (con licenza dell’Ordinario del luo-
go, c. 497 § 3) riconoscendone la personalità morale e di
sopprimerle (con il consenso dell’Ordinario del luogo, c.
498) o come la erezione modificazione soppressione di uf-
fici religioso-ecclesiastici e la loro attribuzione ai religiosi,
sempre secondo le norme delle costituzioni (cfr. cc. 506,
507, 147-160, 160-182,183-195), etc.
Sempre più va delineandosi il carattere giurisdizionale
della potestà dominativa pubblica, sia come forza che co-
me attribuzione di funzioni, anche se ancora non si può
confondere con essa. Nelle Religioni non esenti manca in-
fatti la funzione giudiziaria, mentre quella legislativa è pre-
sente solo in parte (cioè nella capacità di imporre precet-
ti, cfr. 2.2.2.).181
Tale confusione succede perché «in Codice ut docrina
generalis deficit»182. È potestà di giurisdizione almeno ne-

180 LARRAONA, De potestate dominativa publica, 173.


181 Cfr. RAGAZZINI, La potestà nella Chiesa, 282.
182 “Imo, prout in iure constituto res ordinata existit, haec potestas

dominativa, secus ac potestas stricte dicta iurisdictionis, ad societatem


iuris pontificii regendam, quae statum religiosum publicum ac statum
clericalem continet ac moderatur, necessaria prorsus repetatur”.
LARRAONA, De potestate dominativa, 179-180.
Cap. I - Potestà dominativa dalle origini al CIC 17: sviluppo ed essenza
81

gli Istituti retti dal diritto pontificio (Ordini e Congrega-


zioni) clericali. Infatti in essi si regge uno stato di vita pub-
blico in nome della Chiesa e direttamente sottomessi al-
l’autorità papale.
Cerchiamo perciò di stilare una graduatoria di giurisdi-
zionalità, per poter infine verificare almeno quanti e qua-
li tipi di grado vi siano in ordine alla potestà di giurisdi-
zione, non solo per quanto riguarda le Religioni, ma pure
per tutti i soggetti contemplati nel CIC 17:183
– la giurisdizione del Pontefice ne è certamente il grado
più elevato, poiché la riveste in forma suprema, pubbli-
ca, piena, universale, episcopale, ordinaria, propria, im-
mediata, indipendente, apostolica, indefettibile;
– la giurisdizione dei Concili in quanto, assieme al Pon-
tefice, esercitano potestà suprema, piena, pubblica, uni-
versale, ordinaria; tuttavia, diversamente da esso, è vica-
ria, canonica-ecclesiastica, collegiale;
– la giurisdizione del Vescovo come per il Romano Pon-
tefice è pubblica, piena, ordinaria, propria, immediata,
apostolica, indefettibile; tuttavia, in loro è particolare e
subordinata a quella del Pontefice;
– la giurisdizione ‘quasi vescovile’, cioè dell’Ordinario nel-
le Religioni esenti, è pure pubblica, ordinaria, immedia-
ta, piena (anche se la funzione legislativa è lasciata ai
Capitoli Generali); tuttavia è vicaria del Romano Pon-
tefice stesso, ecclesiastica, universale ma personale;
– la giurisdizione delle Religioni non esenti di diritto pon-
tificio o diocesano promanante dalla potestà dominativa
pubblica è quasi completamente diversa da quelle su
elencate: universale ma personale, pubblica, integrale,
ecclesiastica (pontificia, vescovile), giuridica, immedia-

183 Cfr. RAGAZZINI, La potestà nella Chiesa, 281-282, cui ci rifaccia-


mo.
La potestà di governo nella vita consacrata
82

ta, ordinaria ma vicaria; ha solo la funzione esecutiva ed


è subordinata alla potestà di giurisdizione vescovile tran-
ne quando espressamente previsto dal diritto;
– la giurisdizione delle Società di vita comune e degli
Istituti secolari promanante dalla potestà dominativa se-
mipubblica loro propria: è universale ma personale, im-
mediata, ordinaria ma vicaria, semipubblica, giuridica,
ecclesiastica (pontificia, vescovile), subordinata all’Or-
dinario del luogo e solo con funzione esecutiva.
La diversa gradualità di giurisdizione che investe queste
persone morali, pubbliche, giuridiche, non è tuttavia da ri-
levarsi in un ordine qualitativo quanto piuttosto quantita-
tivo, in quanto si tratta sempre di potestà pubblica.
Differenze qualitative emergono invece dopo l’ultimo gra-
do (quello delle Società di vita comune e degli Istituti se-
colari), in quanto vi si trova solo una potestà dominativa
di ordine meramente privato e non più pubblico o semi-
pubblico. In questo salto da pubblico a privato possiamo
affermare che muti la natura stessa della potestà.

1.7. Potestà negli Istituti esenti e non esenti

Resta ora da trattare la differenza tra Religioni esenti e


non esenti, tra la potestà che si esercita negli uni e negli
altri Istituti, per capire se vi siano differenze soltanto
quantitative o qualitative, o magari entrambe contempo-
raneamente. Già molto si è detto a questo riguardo nei pa-
ragrafi precedenti. Ora illustreremo perciò l’istituto del-
l’esenzione, anche se non abbiamo la pretesa di esaurirne
la trattazione,184 quanto piuttosto di verificarne i legami e

184 La bibliografia che tratta sistematicamente l’istituto dell’esen-

zione è svariata. Si citano alcuni autori ed articoli solo a titolo esem-


plificativo: BONDINI A., De privilegio exemptionis seu de regularium im-
Cap. I - Potestà dominativa dalle origini al CIC 17: sviluppo ed essenza
83

le implicanze con la potestà dominativa pubblica o con la


potestà di giurisdizione.
L’esenzione consiste nel

privilegio mediante il quale il superiore competente sot-


trae in maniera durevole, direttamente o indirettamente,
certe persone dalla loro preesistente dipendenza obbliga-
toria dal superiore immediato; […], tante sono le esenzio-
ni quante sono le autorità ecclesiastiche che hanno il po-
tere di liberare i loro sudditi dal superiore subalterno.185

munitate ab Ordinariorum locorum iurisdictione prout in novo iuris cano-


nici Codice sancitur, Roma 1919; D’ANGELO S., La esenzione dei religio-
si nella vigente disciplina ecclesiastica, Torino 1929; FOGLIASSO E., De ex-
tensione iuridici istituti exemptionis religiosorum logice, historice ac positive
considerati, Roma 1947; GOFFI T., L’esenzione dei religiosi e l’autorità dei
Vescovi, in Divinitas 6(1962) 197-218; GUTIÉRREZ A., De gradibus liber-
tatis et subiectionis religiosorum respectu Ordinarii loci, in CpR 22(1941)
28-37, 83-92, 133-143, 213-227, 305-313; 23(1942) 30-41, 113-124,
292-298; HUIZING P., Exemptio religiosorum et ius constitutionale
Ecclesiae, in Per 53(1964) 553-583; KAY D.J., E xemption. Origin of
exemption and Vatican Council II, Roma 1990; GARCÌA MARTÌN J., La
exenciòn de los religiosos en el Concilio Vaticano II, Roma 1979 (prende
in analisi quasi esclusivamente lo sviluppo avuto nel Concilio
Vaticano II); O’BRIEN J., The exemption of Religious in Church Law,
Milwaukee 1942.
185 RAVÀ A., Esenzione (diritto canonico), in Enciclopedia del Diritto,

vol. XV, 576-577. Lo HUIZING, E xemptio religiosorum, 553-554, defini-


sce l’esenzione dei religiosi “libertas a iurisdictione Ordinarii loci, un-
de ipsi subduntur tantum propriis Superioribus internis et Romano
Pontifici”; per GOFFI, L’esenzione, 197, essa è “privilegio di autonomia
e indipendenza di fronte agli Ordinari locali (c. 615); oppure può si-
gnificare una sudditanza al Sommo Pontefice attraverso una propria
gerarchia, distinta da quella ordinaria ecclesiastica”; MELO A., De
exemptione regularium, Washington 1921, 1, la definisce “privilegium
quo corpus aliquod morale, vel persona aliqua, vel etiam locus subtra-
hitur a potestate inferioris ordinarii et immediate subiicitur superiori
Praelato ecclesiastico”.
La potestà di governo nella vita consacrata
84

Naturalmente, parlando di persona si deve intendere sia


come persona fisica che giuridica (per es. Religioni, vica-
riato castrense) e può riguardare uffici ecclesiastici. Inoltre,
l’esenzione può interessare non soltanto persone, ma pure
luoghi, territori ed enti territoriali quali sono le diocesi
stesse e i territori di missione (stationes missionis, prefettura
apostolica, vicariato apostolico). Generalmente riguarda la
sottrazione alla potestà dell’Ordinario del luogo con conse-
guente immediata soggezione alla potestà del Romano
Pontefice. Nel CIC 17 viene presentata come un privile-
gio, in quanto si tratta di una sospensione nel caso concre-
to di una legge cogente (la soggezione all’Ordinario del luo-
go) ed, anzi, dello stesso ordinamento gerarchico della
Chiesa, che vede al vertice della Chiesa locale il vescovo.
Essa si comprende alla luce di ragioni primariamente di
convenienza, come può essere per le Religioni pluridioce-
sane, le quali sarebbero notevolmente rallentate ed a vol-
te impedite nella loro missione nel dover rendere conto a
più Ordinari del luogo. Tuttavia, non sarà irrilevante no-
tare che furono pure motivi disciplinari a rendere necessa-
rio questo istituto: ciò è tanto più evidente se si pensa ai
frequenti casi di simonia, di concubinato, di vescovi con-
ti e marchesi che nel Medioevo ed oltre formavano parte
della gerarchia nella Chiesa (senza dimenticare tutto ciò
che ha significato lo scisma occidentale e le continue in-
gerenze dell’ordine temporale negli affari meramente reli-
giosi e monasteriali). Ne consegue che poteva anche esse-
re dovuta a ragioni di interesse da parte dell’autorità supe-
riore ad avere maggiormente a disposizione un ente o per-
sona che potesse prestargli servigio. È comunque sempre
concessa dall’autorità superiore a quella cui spetterebbe di
diritto la soggezione.
Vediamo ora di dare un rapido sguardo storico all’isti-
tuto, mettendo in risalto i passaggi chiave della sua evolu-
zione, per poter pure cogliere la direzione verso cui si sta-
Cap. I - Potestà dominativa dalle origini al CIC 17: sviluppo ed essenza
85

va andando dopo la promulgazione del CIC 17, soprattut-


to con lo sviluppo che ha dato il Concilio Ecumenico
Vaticano II.

1.7.1. Uno sguardo storico


Guardando all’istituto dell’esenzione, dobbiamo notare
fin dagli inizi della vita consacrata una certa libertà delle
prime forme monacali dalla potestà del vescovo, dovuta al
fatto che i primi monaci (Antonio abate, Pacomio, Basi-
lio, Benedetto) erano essenzialmente laici e perciò non te-
nuti a rapporti ufficiali particolari con il vescovo stesso,
ma sottomessi a lui come tutti i fedeli.186
La situazione viene a mutare con l’epoca delle contro-
versie cristologiche e dei grandi concili (Nicea, Efeso,
Calcedonia), in cui alcuni gruppi di monaci (quelli bizan-
tini in particolare) diventano elementi di spinta nella
Chiesa, a volte sostenendo l’ortodossia, altre volte oppo-
nendosi ad essa.187 Fu così che si venne ad esigere sempre
più una sottomissione alla giurisdizione e controllo del ve-
scovo conseguente alle tensioni teologiche precedenti e
alla natura territoriale dei primi Istituti di vita consacrata.
Controllo che era finalizzato alla salvaguardia della fede e
alla conseguente unità della Chiesa.
Già il concilio di Calcedonia (451), al canone IV, po-
ne sotto la soggezione del vescovo i monaci che si trovino
entro i confini territoriali della sua diocesi.

186 Cfr. KAY, Exemption. Origin, 1. In effetti, “the organisation of re-


ligious life was structured, not yet by the principles of canon law, but by
the rights and duties which emerged as exigencies of the charism”, 2.
187 Si venne a creare un notevole diverbio teologico perché alcu-

ne fazioni monacali conservatrici propugnavano la dottrina nicena


dell’homoousion talmente rigidamente da non potersi affermare la dop-
pia natura del Cristo così come proposta dal concilio di Calcedonia.
Cfr. KAY D. J., Esenzione, in NDDC, Cinisello Balsamo, 1996.
La potestà di governo nella vita consacrata
86

Quoniam autem nonnulli monachico praetextu utentes, et


ecclesias, et negotia civilia perturbant, et temere, citra ul-
lam discriminis rationem, in urbibus circumcursantes, qui-
netiam monasteria sibi constituere studentes, visum est, nul-
lum usquam aedificare nec construere posse monasterium,
vel oratoriam domum, praeter sententiam ipsius civitatis
episcopi: monachos autem, qui sunt in unaquaque regione
et civitate, episcopo subiectos esse, et quietem amplecti, et
soli jejunio et orationi vacare, in quibus ordinati sunt locis
fortiter perseverantes nec ecclesiasticis nec saecularibus ne-
gotiis se ingerere, vel communicare, propria reliquentes mo-
nasteria, nisi quandoque a civitatis episcopo eis permissum
fuerit: nullum autem in monasteriis servum recipi, ad hoc ut
fit monachus, praeter voluntatem sui domini.188

Questa sottomissione, d’altro canto, non toglieva ogni


potestà all’Abate o al Superiore, quanto piuttosto aveva il
merito di porre «la disciplina monastica nella legislazione
canonica, senza però scendere a speciali determinazio-
ni».189 Ora spetterà alla struttura gerarchica della Chiesa
approvare canonicamente le forme della vita consacrata
ed il suo carisma, in quanto chiamata ad armonizzare nel
corpo di Cristo tutti i carismi per ministero proprio.
Fu solo quando il numero dei chierici cominciò ad au-
mentare notevolmente tra i monaci che si cominciò a sen-
tire l’esigenza di liberarsi della soggezione dell’Ordinario
del luogo. Infatti, spesso i vescovi, in via eccezionale, per-
mettevano che fossero gli abati regolarmente ordinati ad

188 MANSI J. D., Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectio,


vol. VII, col. 359, IV. È da notare che fu questa la prima legislazione
nella storia ecclesiastica sui monaci, che diede inizio ad una fruttuosa
collaborazione tra monaci e vescovi e al loro riconoscimento nella
Chiesa come personalità giuridica. In certo senso, questo fu l’inizio del
diritto della vita consacrata.
189 FOGLIASSO E., Esenzione, in DIP, vol. III, col. 1289.
Cap. I - Potestà dominativa dalle origini al CIC 17: sviluppo ed essenza
87

amministrare i sacramenti e tutto ciò che riguardava la cu-


ra delle anime all’interno del monastero. Di qui, il passo
fu breve per chiedere insistentemente la nativa indipen-
denza del monastero, che si sarebbe esplicata soprattutto
nel diritto di eleggere il proprio abate e di poter regola-
mentare autonomamente la compagine interna.
I vescovi difficilmente avrebbero potuto accettare un si-
mile diritto; ed infatti i monaci furono costretti a chiedere
la protezione del Romano Pontefice, quella che in seguito
sarebbe stata chiamata ‘privilegium exemptionis’. Il Papa con-
cesse a più monasteri tale ‘relaxactio legis’, che lentamente
prese ad essere usata sempre più nella prassi della Chiesa.190
Il progressivo allontanamento semantico-culturale tra
Chiesa orientale ed occidentale, inoltre, fecero sì che
l’istituto si sviluppasse più velocemente in Oriente (già nel
VI sec. troviamo diversi casi di esenzione), piuttosto che
in Occidente, dove ancora tra VII ed VIII sec. i casi sono
pochi: il primo monastero, cui fu accordato il privilegio, fu
quello di Bobbio, in cui Onorio I nel 628 concesse all’aba-
te Bertolfo l’esenzione dalla giurisdizione del vescovo Pro-
bo (seguito poi dai monasteri di Benevento, Cassino, Ful-
da, Farfa). Al privilegio di Bobbio, Teodoro I fece seguire
la costituzione apostolica Quamprimum (642), che garan-
tiva agli abati l’uso delle insegne pontificie e che avocava
a sé il diritto di stabilire chi poteva consacrare l’abate e chi
poteva esercitare le funzioni pontificali nel monastero.191
Tuttavia, una notevole svolta all’istituto doveva essere
data dagli ordini mendicanti, per la loro caratteristica di
essere centralizzati, cioè di possedere un Superiore genera-
le residente in Roma. Se, infatti, già nell’XI sec. pratica-

Cfr. RAVÀ, Esenzione, 578.


190

KAY, Exemption. Origins, 11-12. La svolta di Bobbio fu solo la


191

prima di tante forme di esenzione che portavano l’esentato (persona


o luogo) in ius sancti Petri.
La potestà di governo nella vita consacrata
88

mente tutti gli Istituti religiosi ottennero il privilegio del-


l’esenzione (essendo oramai divenuto inconsueto trovare
una Religione che non ne godesse), dobbiamo notare che
finora i religiosi in esame erano essenzialmente monaci e
quindi persone residenti stabilmente in un luogo, in un
monastero. La loro potestà sui soggetti facenti parte del
monastero era andata notevolmente aumentando dai tem-
pi di Calcedonia e delle prime esenzioni.192
Proprio per l’aumento della sfera di potere che si era ve-
nuta così a creare, nel XII sec. sorsero delle diatribe circa
l’istituto dell’esenzione. Nel 1123, il concilio Lateranense
I cercò di porre fine a queste dispute ponendo dei limiti
chiari all’estensione di tale privilegio: «gli abati non pote-
vano amministrare i sacramenti della penitenza e del-
l’estrema unzione, celebrare pubblicamente la messa, visi-
tare i malati e procedere alla consacrazione dell’olio santo
e degli altari».193 Inoltre, la più generale cura animarum era
loro affidata ma sotto la speciale osservanza degli Ordinari
del luogo, cui dovevano sempre rendere conto. Queste
normative furono poi codificate nelle Decretali di Gregorio
IX e nel Liber Sextus di Bonifacio VIII.194 Perciò, al vesco-

192 Di pari passo con l’aumento del potere giurisdizionale dello stes-

so Romano Pontefice. KAY, Exemption. Origins, 14, rileva 4 fasi di svi-


luppo dell’istituto: 1. da Bobbio a Cluny, 628-1027, per rendere paci-
fica la vita religiosa; 2. da Cluny ad Assisi, 1027-1200 ca., come per-
no della riforma gregoriana; 3. da Assisi al Concilio di Trento, 1200
ca.-1563, necessaria per gli ordini mendicanti centralizzati; dal
Concilio di Trento al Concilio Vaticano I, 1563-1860, segna il decli-
no dell’esenzione assieme a quello del papato. È Sisto IV con la const.
ap. Regimini Universalis Ecclesiae a concedere ai Mendicanti l’esenzio-
ne nell’esercizio del loro apostolato; cfr. GOFFI, Esenzione, 199.
193 RAVÀ, E senzione, 579.
194 Vi leggiamo infatti: “Episcopus, petens ecclesiam quoad tempo-

ralia et spiritualia, obtinet in spiritualibus eo ipso, quod probat esse in


sua dioecesi, si non appareat exempta; sed in temporalibus succumbit,
nisi aliter doceat iure suo”. X. 3. 36. 7.
Cap. I - Potestà dominativa dalle origini al CIC 17: sviluppo ed essenza
89

vo era comunque preclusa qualunque intromissione riguar-


dante l’amministrazione dei beni del monastero, salvo che
non fosse stato previsto altro dal diritto.195
D’altro canto, se da un lato si poneva sotto speciale tu-
tela quei privilegia exemptionis che erano stati concessi e
che il Sommo Pontefice non voleva fossero giudicati dal-
le autorità inferiori,196 dall’altro si voleva fossero puniti co-
loro che non avendo privilegi mentivano per avere mag-
giore libertà.197
Con i Mendicanti, invece, si giunge a riconoscere anche
la libertà necessaria dal ritrovarsi nel luogo esentato. Il pri-
vilegio dell’esenzione, cioè, non viene più dato al monaste-
ro, ad un luogo determinato, ma alle persone stesse costi-
tuenti l’Istituto.198 Questo perché i Mendicanti erano prin-

195 Similmente si affermava che “monasterium subjectum est epi-


scopo, in cuius dioecesi situm est, nisi probetur exceptum”: questo
chiaramente manifesta che lo stato normale del diritto non era quel-
lo dell’esenzione, ma della sottomissione all’Ordinario, che si presu-
meva. X. 3. 36. 8.
196 “De privilegiis non est iudicandum, nisi eorum tenore inspecto,

et secundum continentiam eorum ab omnibus subditis sunt servanda.


Porro, quamvis Templarii et Hospitalarii multa sint libertatis praeroga-
tiva donati, [...]. Sic enim eos volumus privilegiorum suorum servare te-
norem, quod eorum metas transgredi minime videantur”. X. 5. 33. 7.
197 “Quum personae ecclesiasticae tam religiosae quam saeculares

plura praesumant, quae ipsis infamiam pariunt, et aliis inferunt laesio-


nem, praetextu exemptionis vel libertatis, quam asserunt se habere,
ordinariorum correctiones et ordinationes subterfugientes, ac eorum
forum sive iudicium declinantes: nos, volentes super hoc de salubri re-
medio providere, statuimus, ut hi, qui se asserunt per privilegia seu in-
dulgentias apostolicae sedis exemptos, a locorum ordinariis requisiti
huiusmodi privilegia vel indulgentias, quibus se dicunt fore munitos,
ipsis ordinariis in loco congruo et securo, [...], iusto impedimento ces-
sante ostendere, ac ad legendum integraliter exhibere, nec non de ar-
ticulis, de quibus controversia fuerit, transcriptum tradere teneantur”.
VI. 5. 7. 7.
198 Cfr. FOGLIASSO, Esenzione, col. 1291.
La potestà di governo nella vita consacrata
90

cipalmente dediti proprio a quella cura delle anime che il


Lateranense I aveva vincolato ai regolari in relazione al lo-
ro vescovo. Si viene perciò a creare una espansione della
sfera giuridica dell’esenzione, che vedrà il manifesto favore
del Romano Pontefice: ottennero così la licenza di predica-
re e la facoltà di ricevere confessioni sacramentali.
L’esenzione viene ora estesa non solo ai monasteri o
conventi singolarmente presi, ma si allarga ad abbracciare
l’intero Istituto, in tutti i suoi singoli componenti ed in
tutti i suoi luoghi.
Nacque così l’esenzione personale che si viene ad ag-
giungere all’esenzione dei luoghi propri dell’Istituto e che
comprende, oltre l’autonomia per il regime interno, pure
una serie ulteriore di privilegi legati alla notevole presen-
za di chierici regolari all’interno degli Istituti. Ciò compor-
tò che il Superiore venisse ad avere pari diritti che spetta-
vano normalmente al Superiore ecclesiastico nei confron-
ti dei sudditi e dovuti al fatto che ogni chierico deve esse-
re incardinato in una persona giuridica: non vi possono es-
sere chierici acefali.199
Con il tempo, anche per i nuovi Ordini la sfera giuridi-
ca dell’esenzione prese ad espandersi sempre di più, non
solo verticalmente (come concessione di autonomia ri-
spetto al vescovo), ma pure orizzontalmente (come nume-
ro di Religioni che sempre più venivano esentate). Si ve-
rificava, cioè, la ‘communicatio privilegiorum’, che nuova-
mente fece sorgere diatribe e controversie ai concili di
Costanza (1512) e Lateranense V (1517).
Soltanto con il concilio di Trento (1545-1563) si riuscì
a giungere ad una regolamentazione e limitazione dell’isti-
tuto dell’esenzione, con l’istituzione pure di vescovi dele-
gati della Santa Sede alla vigilanza della sua applicazione.

199 Cfr. FOGLIASSO, Esenzione, col. 1292.


Cap. I - Potestà dominativa dalle origini al CIC 17: sviluppo ed essenza
91

Così, mentre da un lato si affermava una purificazione


dell’Istituto da tutto ciò che non era legato alla pluridio-
cesanità delle Religioni o al carattere clericale dello stes-
so, dall’altro si verificava l’esenzione sistematica dei rego-
lari dalla potestà del vescovo, salvo che il diritto non aves-
se espresso altro.200
Un altro passaggio chiave dell’istituto doveva essere in-
trapreso grazie alla nascita delle comunità religiose di vo-
ti semplici (di cui iniziatori furono i gesuiti). Queste dap-
principio furono investite solo di un’esenzione parziale, le-
gata strettamente al loro carattere di pluridiocesanità e di
clericalità; tuttavia, dopo un determinato periodo, poteva-
no ottenere il privilegio dell’esenzione ‘piena’, così come
riconosciuta agli Ordini ex iure, per speciale concessione
della Santa Sede. Ciò significava l’indipendenza dalla giu-
risdizione dell’Ordinario del luogo per il regime interno e
per gran parte degli atti esterni.201
Per quanto riguarda lo sviluppo negli Istituti femminili
di voti semplici, la Santa Sede andava lentamente ricono-
scendone la giuridicità, almeno in quelli costituzionalmen-
te centralizzati. Come per quelli maschili, il carattere del-
la pluridiocesanità ne richiedeva e determinava una note-
vole sfera di autonomia, che fu sancita da Benedetto XIV
con la costituzione Quamvis iusto (1749). Successivamen-
te, si trasformava la condizione giuridica degli Istituti
esenti centralizzati, maschili e femminili, ponendoli nel-
l’ordine del diritto pontificio, anche se con diversi gradi di
autonomia rispetto ai vescovi.202

200 Così, ad es., gli Istituti clericali godevano, naturalmente, di


maggiore autonomia rispetto a quelli femminili verso il parroco o
l’Ordinario del luogo, che manteneva potestà circa atti di regime in-
terno, come l’ammissione delle novizie alla professione. Cfr. FOGLIAS-
SO, Esenzione, col. 1292.
201 Cfr. RAVÀ, Esenzione, 579.
202 Cfr. FOGLIASSO, Esenzione, col. 1292.
La potestà di governo nella vita consacrata
92

Infine, con la costituzione Conditae a Christo (1900),


Leone XIII codificò i principi base che dovevano regolare
le relazioni tra Ordinario del luogo ed Istituti di voti sem-
plici maschili e femminili, con una maggiore distinzione
rispetto al concetto di esenzione ed un significato più li-
mitato; principi che sarebbero poi stati ripresi nel CIC 17
con aggiunte e che stabilivano i diritti degli Istituti di di-
ritto pontificio e di diritto diocesano.203

1.7.2. Posizioni giuridiche


Il CIC 17 cerca di stabilire i rapporti tra vescovo e re-
ligiosi in base alle norme del Codice stesso. Questo risulta
essere quanto mai incoerente, giacché l’esenzione va pre-
sa in considerazione con il diritto proprio di ciascun Isti-
tuto, che potrà concedere più o meno ampie facoltà ai pro-
pri Superiori.204 Infatti, l’esenzione può essere totale
(quando esime in toto dalla giurisdizione dell’Ordinario del
luogo) o parziale (quando esime solo in parte da tale giu-
risdizione), secondo quanto viene stabilito dall’autorità
competente. Quanto poi al soggetto passivo, essa può es-
sere personale (concessa alla persona e ad essa legata), lo-
cale (concessa ad un luogo e quindi alle persone che vi di-
morano), mista (quando sussistono entrambe contempora-
neamente).205 Va notato, infine, che alla condizione di
soggetto passivo, che trova riscontro nella semplice sottra-
zione dalla giurisdizione dell’Ordinario del luogo, corri-
sponde la condizione di soggetto attivo, perché general-
mente le facoltà che spetterebbero al vescovo vengono
trasferite in capo al Superiore religioso.206

203 Cfr. RAVÀ, Esenzione, 579.


204 Cfr. KAY, Exemption. Origins, 16, “… the substantive laws gran-
ting exemptions exist outside the codes in the laws proper to the in-
stitutes themselves…”.
205 Cfr. MELO, De exemptione, 2.
206 Cfr. RAVÀ, Esenzione, 576; MELO, De exemptione, 3.
Cap. I - Potestà dominativa dalle origini al CIC 17: sviluppo ed essenza
93

Dal punto di vista temporale, l’esenzione può essere sta-


bile oppure ad interim, secondo che sia stabilito dall’auto-
rità. Essa va tenuta distinta dall’immunità, cioè dall’indi-
pendenza di un soggetto rispetto ad un altro cui non deve
lo stato di soggezione, mentre nell’esenzione la soggezione
è dovuta per diritto; va distinta pure dalla riserva di bene-
fici, cioè dall’autonomia di un ufficio – facente capo ad un
soggetto attivo costituito tale tramite un atto amministra-
tivo – rispetto all’autorità del Superiore subalterno, men-
tre l’esenzione si riferisce ad un soggetto passivo costituito
tale per un atto legislativo; ancora, si deve distinguere dal-
la riserva di peccati, che non costituisce un privilegio,
quanto una vera e propria limitazione di potestà in capo
ad un soggetto attivo, cioè il confessore; va tenuta distin-
ta pure dalla definizione di competenza, la quale non po-
ne in situazione di favore il soggetto passivo rispetto a per-
sone che siano della stessa categoria.207
La nuova distinzione apportata dalla cost. Conditae a
Christo tra Istituti di diritto pontificio e di diritto diocesa-
no non costituisce, di per sé, automaticamente una esen-
zione dell’Istituto di diritto pontificio dalla potestà
dell’Ordinario del luogo. Esso risulta essere, piuttosto, un
riconoscimento di quelle facoltà ad esso intrinseche che
gli consentono di svolgere la propria missione ecclesiale e
di conseguenza di dover essere rispettato nell’autonomia
del proprio carisma conforme a ciò che è stato canonica-
mente e quindi pubblicamente approvato dalla Chiesa.208
Perciò il can. 500 §1 del CIC 17: «Subduntur quoque
religiosi Ordinario loci, iis exceptis qui a Sede Apostolica
exemptionis privilegium consecuti sunt, salva semper po-
testate quam ius etiam in eos locorum Ordinariis conce-
dit», conferma la distinzione tra Istituti esenti e non esen-

207 Cfr. RAVÀ, Esenzione, 576.


208 Cfr. FOGLIASSO, Esenzione, col. 1289.
La potestà di governo nella vita consacrata
94

ti per cui, se eccezioni vi sono per gli Istituti esenti, per


quelli non esenti non vi sono eccezioni di alcun tipo e la
loro soggezione al vescovo è totale (salvo che non vi sia-
no documenti pontifici che derogano in tal senso). Si può
perciò concludere che vi siano tre classi di Istituti religio-
si: esenti (possono essere tali per diritto o per concessione
speciale del Romano Pontefice), di diritto pontificio (non
esenti), di diritto diocesano (non esenti).209 Eccone un
elenco:
– Istituti religiosi esenti sono tutti gli Ordini clericali (per
i quali l’esenzione costituisce una regola e non una ecce-
zione, ai sensi del can. 615 CIC 17),210 le Congregazioni
clericali esenti (per es., Dottrinari, Passionisti, Redento-
risti, Mariani, Pii Operai Catechisti Rurali, Rosminiani,
Missionari dei Sacri Cuori, Salesiani, Verbiti), gli Ordini
laicali maschili, le monache dipendenti dai Regolari, le
suore assimilate alle monache;
– Istituti religiosi di diritto pontificio non esenti sono le
Congregazioni clericali di diritto pontificio, le Congre-
gazioni laicali maschili di diritto pontificio, le Congrega-
zioni femminili di diritto pontificio, le monache sogget-
te all’Ordinario del luogo o alla Santa Sede;
– Istituti religiosi di diritto diocesano sono le Congregazio-
ni clericali di diritto diocesano, le Congregazioni ma-
schili laicali di diritto diocesano, le Congregazioni fem-
minili di diritto diocesano.

209 Cfr. GOFFI, L’esenzione, 206-207. Vd. anche FOGLIASSO, Esenzio-


ne, col. 1290, che si rifà al primo autore. HUIZING, Exemptio religioso-
rum, 579, parla invece di exemptio minima in riferimento agli Istituti
diocesani, exemptio partialis in riferimento agli Istituti di diritto ponti-
ficio, exemptio sensu stricto per gli Istituti di diritto pontificio esenti.
210 “Regulares, novitiis non exclusis, sive viri sive mulieres, cum

eorum domibus et ecclesiis, exceptis iis monialibus quae Superioribus


regularibus non subsunt, ab Ordinarii loci iurisdictione exempti sunt,
praeterquam in casibus a iure expressis”.
Cap. I - Potestà dominativa dalle origini al CIC 17: sviluppo ed essenza
95

Il privilegio dell’esenzione comporta perciò un’automa-


tica sottomissione alle dipendenze del Romano Pontefice
e contemporaneamente un trasferimento in capo ai Supe-
riori religiosi della giurisdizione (potestà giurisdizionale)
che è stata ‘sottratta’ al vescovo locale.211 Tuttavia è da no-
tarsi come questo modo di intendere l’istituto dell’esenzio-
ne crea non poca confusione per quanto riguarda l’ordine
gerarchico nella Chiesa particolare e nella stessa Chiesa
universale. Infatti, se si tiene presente che spetta comun-
que al Romano Pontefice stabilire la sfera di potere facen-
te capo ai vescovi, risulta problematico intendere l’esen-
zione come un privilegio, in quanto si tratta di una situa-
zione che non va contro il diritto, ma che ne è piuttosto
una manifestazione. Infatti, lo stesso Pio XII, nell’allocu-
zione Haud mediocri (1958), affermerà che è il Romano
Pontefice a conferire ai Superiori religiosi tale potestà (che
perciò non viene sottratta ai vescovi).
Possiamo perciò affermare, anche se nel CIC 17 non se
ne fa menzione, che la potestà propria degli Istituti esenti
sia quella di giurisdizione, mentre la potestà degli altri
Istituti, non esenti di diritto diocesano o di diritto ponti-
ficio, sia quella dominativa pubblica di cui già abbiamo
trattato sopra. Il Superiore religioso degli Istituti esenti
agisce autonomamente e con potestà pubblica, ordinaria,
immediata, piena (per quanto riguarda il potere legislativo
è lasciato ai Capitoli generali) che esercita nel nome del
Romano Pontefice, perciò è pure ecclesiastica, universale
e quindi non territoriale come quella dell’Ordinario del
luogo, legata però ad una determinata categoria di perso-

211 GARCÌA MARTÌN J., Religioni esenti, in DIP, vol. VII, col. 1654.

HUIZING, Exemptio religiosorum, afferma che “… Superiores scilicet


maiores Instituti clericalis exempti possidere iurisdictionem ordinis
episcopalis, supponit illam iurisdictionem ipsis provenire ex missione
canonica, a Papa [...] data”.
La potestà di governo nella vita consacrata
96

ne. Essa, almeno nei casi degli Ordini clericali, viene eser-
citata sia in foro interno che esterno e si esplica nella ca-
pacità di emanare leggi ecclesiastiche che vincolano i sud-
diti, nonché di esercitare potestà coercitiva e giudiziaria.
Tale sfera di potere coinvolge pure coloro che risiedessero
nelle case religiose notte giorno sia come personale di la-
voro, sia come utente di servizi (sanitari, scolastici, spiri-
tuali) per quanto riguarda la cura animarum.212
Il Superiore religioso degli Istituti non esenti, invece,
esercita potestà dominativa pubblica, cioè integrale, uni-
versale ma personale, ecclesiastica (tanto che sia pontifi-
cia o vescovile), giuridica, immediata, ordinaria ma vica-
ria; ha tuttavia solo funzione esecutiva che è subordinata
comunque alla potestà di giurisdizione del vescovo tranne
quando espressamente previsto dal diritto.213 È inferiore a
quella degli Istituti esenti riguardo all’autonomia nei con-
fronti dell’Ordinario del luogo e quindi, nel caso di Istituti
di diritto diocesano, non vengono conferite in capo ai le-
gittimi Superiori religiosi quelle facoltà di governo di regi-
me interno che vengono invece date ai Superiori degli
Istituti esenti; nel caso invece di Istituti di diritto pontifi-
cio, il vescovo non può intromettersi negli affari di regime
interno, nella modifica delle costituzioni o in affari econo-
mici. Se si tratta invece di Istituti laicali (sia maschili che

212 HUIZING, Exemptio religiosorum, 566, afferma che gli Istituti che
godono di esenzione in senso stretto sono per la maggior parte cleri-
cali, con l’eccezione dell’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio,
che è invece laicale. GOFFI, L’esenzione, 206, a riguardo degli Ordini
laicali maschili esenti dice che “hanno, come ordinario proprio, quel-
lo locale (al pari dei non-esenti)”.
213 GOFFI, L’esenzione, 207: “Non è, perciò, esatto affermare che i

religiosi di diritto pontificio sono sottoposti, in quanto fedeli, all’Or-


dinario del luogo. Il regime esterno di questi religiosi è costituito da
tutto ciò che il diritto positivo riserva all’Ordinario locale; tutto il re-
sto appartiene al regime interno”.
Cap. I - Potestà dominativa dalle origini al CIC 17: sviluppo ed essenza
97

femminili), la potestà dell’Ordinario del luogo è maggiore,


perché deve vigilare sulla regolare osservanza delle costi-
tuzioni, della clausura, della frequenza ai sacramenti e del-
l’ortodossia dei costumi e della fede (resta invece di com-
petenza interna all’Istituto l’elezione del Superiore genera-
le, l’ammissione o espulsione dei membri, l’amministrazio-
ne dei beni temporali).
A quanto detto riguardo all’esenzione dei regolari ci so-
no tuttavia delle eccezioni, soprattutto per quanto riguar-
da la cura delle anime e la funzione pastorale dell’Ordina-
rio. Infatti, al vescovo è concesso di vigilare sulla predica-
zione (can. 1343 §1), sui pontificali (can. 337 §1), sul-
l’amministrare il sacramento della cresima (can. 792) sem-
pre nelle chiese delle Religioni esenti. Così pure è compi-
to dell’Ordinario del luogo consacrare i luoghi sacri (can.
1155), le campane (can. 1169 §5), l’altare immobile (can.
1199 §2). Gli Ordini clericali sono pure legati alla potestà
dell’Ordinario del luogo per quanto riguarda la celebrazio-
ne di solennità e tutto ciò che concerne l’attività parroc-
chiale in caso sia loro stata data la cura di una parrocchia
in quella particolare diocesi. All’Ordinario del luogo sono
pure sottomessi riguardo all’erezione di una casa dell’Isti-
tuto, di una chiesa, di una pia associazione, per la ricezio-
ne delle confessioni sacramentali, per predicare ai religio-
si, per la custodia dell’Eucaristia in un luogo non pubbli-
co, in quanto serve loro l’autorizzazione dell’Ordinario del
luogo.214
Oltre a ciò, si aggiunga che per il CIC 17 il privilegio
dell’esenzione può cessare. Se si tratta di quella personale,
essa cessa per il religioso che si trovi illegittimamente fuo-
ri della casa cui appartiene; nel caso in cui il religioso ab-
bia compiuto un delitto al di fuori della sua casa ma il

214 Cfr. RAVÀ, Esenzione, 580.


La potestà di governo nella vita consacrata
98

Superiore non voglia punirlo; nel caso si tratti di religiosi


in extra claustra o allontanati dall’Istituto, anche se in at-
tesa di dispensa. Se si tratta di esenzione locale, il vesco-
vo può riferire alla Santa Sede gli abusi che siano stati
compiuti nella casa religiosa ed a cui il Superiore non ab-
bia provveduto; può inoltre esercitare la sua potestà per
quanto concerne la cura e la vigilanza nei costumi e nella
fede nelle domus non formatae, cioè in quelle case che a
norma del can. 488 n. 5 non vi siano almeno sei religiosi
professi di cui quattro siano sacerdoti se si tratta di una
Religione clericale.215
Quanto fin qui espresso riguarda l’evoluzione dell’istitu-
to fino alla promulgazione del CIC 17. Si tratta ora di ve-
dere le novità apportate dal Concilio Ecumenico Vaticano
II e dai documenti subito precedenti e susseguenti a tale
evento per la vita della Chiesa, fino ad arrivare all’ultimo
importantissimo documento frutto delle innovazioni del
Concilio, il Codice di diritto canonico del 1983.

1.8. Conclusioni

La potestà in ambito familiare nel diritto romano ebbe


maggiori o minori diritti e doveri secondo le epoche in cui
la si osserva: sempre è l’autorità comune, lo Stato, ad am-
pliarla e a darne più attribuzioni, come pure a restringerla
solo a pochi ambiti della vita privata. Come si è osserva-
to, quindi, è l’autorità superiore a regolamentare la sfera di
diritti e doveri che la potestà del paterfamilias può eserci-
tare, in quanto questa stessa autorità rimette ad una auto-
rità inferiore certe competenze, in vista del bene comune
e di una maggiore e migliore gestione degli affari privati.

215 Cfr. RAVÀ, Esenzione, 581.


Cap. I - Potestà dominativa dalle origini al CIC 17: sviluppo ed essenza
99

Da questa stessa prospettiva, il diritto della Chiesa –


che attinge abbondantemente al diritto romano – regola-
menta le autorità inferiori presenti al suo interno, a volte
vedendole come inserite in strutture di ordine privato, al-
tre volte e conformemente all’utilità che ne ricavi, inse-
rendole invece in una struttura di ordine pubblico. Così si
può rilevare in massima parte anche per le strutture mo-
nastiche e più in generale per le varie forme di vita con-
sacrata che sono comparse nella Chiesa fin dai suoi primis-
simi tempi.
In queste forme strutturate di vita consacrata si entra a
far parte mediante la professione religiosa. Essa è dunque
l’atto con cui il candidato assume lo stato pubblico di re-
ligioso e consiste nella professione dei voti e nel dono di
sé. È per questo dono di sé fatto all’Istituto che il Superio-
re religioso esercita una certa potestà, una particolare at-
tribuzione di doveri e diritti sul suddito.
Quest’ultima, la cd. potestà dominativa, è intesa come
il diritto acquisito dall’Istituto e dai suoi Superiori di go-
vernare i sudditi. Ma tale potestà trae origine dalla volon-
tà dell’autorità della Chiesa che ha dato origine all’Istituto
stesso, di qualunque tipo esso sia. Questo significa che la
potestà dominativa ha estensione maggiore rispetto al vo-
to di obbedienza, potendo obbligare anche gruppi di per-
sone ed essendo esercitata anche nelle Società senza voti
(poi SVA).
Vanno perciò abbandonate le posizioni (passate e con-
temporanee) che vogliono il voto di obbedienza come ori-
gine della potestà dell’Istituto e che pongono nella volon-
tà del religioso la potestà stessa dei Superiori e dell’Istitu-
to. Non solo, ma essa è da considerarsi potestà pubblica
in senso formale e sostanziale, assimilabile alla potestà di
giurisdizione, essendo la stessa con cui si regge una socie-
tà giuridica che sia costituita allo stato pubblico nella
Chiesa, secondo il principio che tale è la potestà del Su-
La potestà di governo nella vita consacrata
100

periore quale è il tipo di società su cui essa viene eserci-


tata.
Per questo motivo, spesso agli Istituti viene applicato
l’istituto dell’esenzione (sospensione in un caso concreto
dell’ordinamento della Chiesa), che viene sempre conces-
sa dall’autorità superiore a quella cui spetterebbe il diritto
di soggezione e che vede un progresso notevole (in quan-
to a dottrina ed applicazione) nella fase seguente la pro-
mulgazione del CIC 17. Essa, fin dal suo inizio con il con-
cilio di Calcedonia (451), ha il merito di inserire il dirit-
to della vita consacrata all’interno della legislazione cano-
nica, ponendo in capo alla gerarchia della Chiesa l’eserci-
zio al suo interno di diritti e doveri. Inoltre, la suddivisio-
ne tra gli Istituti di diritto pontificio e di diritto diocesa-
no genera una ulteriore divisione tra Istituti esenti-con
giurisdizione e non esenti-senza giurisdizione.
Lentamente avanza la consapevolezza della necessità di
un’autonomia comune a tutti gli Istituti, permettendo lo-
ro di svolgere la propria missione ecclesiale secondo il ca-
risma proprio a ciascuno, secondo ciò che è stato pubbli-
camente approvato nella Chiesa. Questa viene perciò a
sostituire quella che era l’esenzione in ambito pre-conci-
liare.
Con la promulgazione del CIC 17 avanza sempre più
anche l’analisi della potestà esercitata negli Istituti di vita
consacrata e nelle Società di vita comune, riconoscendo-
ne la sua pubblicità e, quindi, l’inadeguatezza del termine
‘potestà dominativa’ che sembra rimandare in qualche mo-
do ad una sfera privata di diritti e doveri. Il riconoscimen-
to della pubblicità di tale potestà, inoltre, consente di por-
la in relazione con quella esercitata dalla gerarchia, la po-
testà di giurisdizione, e di porla in stretto legame con l’au-
torità e potestà stessa del Romano Pontefice.
101

Cap. II
Dal CIC 17 al Concilio
Ecumenico Vaticano II

Questo capitolo si propone di dare un quadro quanto


più possibile completo del progresso che ebbe il concetto
di potestà negli Istituti Religiosi, Società di Vita Comune
e Istituti Secolari così come espressa dal CIC 17, potestà
giurisdizionale e soprattutto dominativa, fino ai documen-
ti emanati dal Concilio Vaticano II.
Parte perciò da una analisi giuridica del can. 501 §1
CIC 17 per passare poi a definire la natura giuridica della
potestà dominativa. Arriva quindi ad un’analisi delle prin-
cipali fonti di modifica di tale potestà nel Concilio
Ecumenico Vaticano II, partendo dal rescritto Cum admo-
tae passando per la costituzione Lumen gentium ed il decre-
to Perfectae caritatis, arrivando infine al decreto Religionum
laicalium, che si vede particolarmente legato al pensiero del
Concilio stesso, pur non mancando modifiche successive e
documenti che saranno ripresi nei capitoli successivi.

2.1. La tematizzazione del CIC 17: can. 501 §1

2.1.1. Le fonti
Il Corpus Iuris Canonici.
Le prime fonti magisteriali che trattano del tema dei re-
ligiosi in campo canonico sono le decretali pontificie. Nel
Liber decretalium Gregorii IX, noto come Liber Extra, si rac-
colgono alcuni testi pontifici e non pontifici circa il tema
«de statu monachorum et canonicorum regularium», dove tro-
viamo riferimenti alla potestà cui è sottomesso il suddito
La potestà di governo nella vita consacrata
102

(mutuato dal Corpus Iuris Civilis), che delineano lo status


potestatis cui era sottoposto il religioso.
[…] Prohibemus quoque districte in virtute obedientiae
sub obtestatione divini iudicii, ne quis de cetero mona-
chorum proprium aliquo modo possideat; sed, si quis ali-
quid habeat proprii, totum in continenti resignet. Si ve-
ro post hoc proprietatem aliquam fuerit deprehensus ha-
bere, regulari monitione praemissa de monasterio expel-
latur, nec recipiatur ulterius, nisi poeniteat secundum
monasticam disciplinam. [...]. Abbas tamen et prior fre-
quenter inquirant et diligenter explorent, ne quis fratrum
proprietatem possit habere.1

Se, dunque, il monaco non è tenuto ad avere alcuna


proprietà, ma, anzi, ad essere privato di quella di cui fosse
trovato in possesso, si può ben ritenere che esso sia parifi-
cabile ad un ‘servo’, che nulla poteva avere che non rien-
trasse nella sfera giuridica del dominus.2 Si noti che l’abate
ed il priore di un monastero sono invitati a vigilare diligen-
ter sull’uso che fanno i religiosi della proprietà, affinché
non possano essere rimproverati del loro cattivo esempio.

1 C. VI, X, de statu monachorum et canonicorum regularium, III, 35,


passim.
2 È questa la posizione del monachus est servus (cfr. par. 1.3.4), an-

che se essa avviene non per costrizione esterna (cfr. par. 1.1.2.) ma per
libera sottomissione personale. Infatti, più oltre leggiamo: “[...] Prior
autem prae ceteris post abbatem potens sit in opere et sermone, ut
exemplo vitae verboque doctrinae fratres suos et instruere possit in bo-
no, et a malo etiam revocare. Zelum religionis habens secundum con-
scientiam, ut delinquentes corripiat et castiget, obedientes vero fove-
at et confortet”. Il Superiore, come un paterfamilias, è tenuto a correg-
gere e castigare i religiosi che abbia trovato inclini al male e ad inci-
tare invece coloro che si siano comportati bene e che verso il bene ab-
biano teso. E con il suo esempio deve essere di stimolo ai monaci per-
ché siano santi e si allontanino dal male.
Cap. II - Dal CIC 17 al Concilio Ecumenico Vaticano II
103

Ma il punto che maggiormente delinea il potere dei Su-


periori è il seguente:

Abbas vero cui omnes in omnibus reverenter obediant,


quanto frequentius poterit, sit cum fratribus in conventu,
vigilem curam et diligentem sollicitudinem gerens de om-
nibus, ut de officio sibi commisso dignam Deo possit red-
dere rationem. Quodsi praevaricator ordinis fuerit aut
contemptor, seu negligens aut remissus, pro certo se no-
verit non solum ab officio deponendum, sed et alio mo-
do secundum regulam castigandum: quum offensa non so-
lum propria, verum etiam aliena de suis manibus requira-
tur. Nec aestimet abbas, quod super habenda proprietate
possit cum aliquo monacho dispensare; quia abdicatio
proprietatis, sicut et custodia castitatis, adeo est annexa
regulae monachali, ut contra eam nec summus Pontifex
possit licentiam indulgere.

Viene qui descritta la natura del potere cui è investito


il Superiore. Essa viene dall’ufficio che gli è stato affidato.
La sua estensione è limitata dalla regola monacale e dalla
custodia della castità cui l’abate non può in alcun modo
dispensare (anzi, «nec summus Pontifex possit licentiam
indulgere»).
Il Superiore che venga trovato andare contro la Regola,
che disturbi l’ordine o che vada in qualche modo contro
l’incarico cui è stato preposto, deve essere castigato e può
essere dimesso dal suo ufficio. Il che lascia supporre che
egli stesso possa castigare e deporre dall’ufficio – sempre
per giusta causa – i religiosi che siano trovati nella neces-
sità di essere ripresi nel loro comportamento.

Il Concilio di Trento.
Nel Concilio di Trento, durante la sessione XXV, si pre-
sentò alla discussione il tema «De regularibus», in cui pure
si diceva che tutti i religiosi regolari – che hanno cioè pro-
La potestà di governo nella vita consacrata
104

fessato con la regola prescritta – iniziano quella vita di cui


i Superiori sono tenuti curare.
A riguardo, i Padri conciliari ebbero parole di lode ver-
so le Religioni o Istituti religiosi, che vedevano come una
presenza necessaria nell’economia ecclesiale e che perciò
stesso cercarono di mantenere in vita ove fosse possibile.
Essi affermarono la necessità che i Superiori maggiori,
generali e provinciali, ponessero tanta più cura nei capito-
li generali e provinciali, e pure nelle visite canoniche ai
conventi, quanta più ne avessero tolta al loro tempo per-
sonale. Di ciò, vollero pure che si addivenisse ad un minor
rilassamento da parte di religiosi e Superiori, andando al-
la sostanza, al nucleo della vita religiosa. È per questi mo-
tivi, per giungere ad una maggiore responsabilità di vita,
che viene loro data la potestà sopra i sudditi e sopra le co-
se di cui sono in possesso.
Quoniam non ignorat Sancta Synodus, quantum ex mo-
nasteriis pie institutis et recte administratis in Ecclesia
Dei splendoris atque utilitatis oriatur, necessarium esse
censuit, quo facilius ac maturius, ubi collapsa est, vetus et
regularis disciplina instauretur, et constantius ubi conser-
vata est perseveret, praecipere, prout hoc decreto praeci-
pit, ut omnes regulares, tam viri quam mulieres, ad regu-
lae, quam professi sunt, praescriptum vitam instituant et
componant; atque in primis quae ad suae professionis per-
fectionem, ut obedientiae, paupertatis et castitatis, ac, si
quae alia sunt alicuius regulae et ordinis peculiaria vota
et praecepta; ad eorum respective essentiam, nec non ad
communem vitam, victum, et vestitum conservanda, per-
tinentia, fideliter observent. Omnisque cura et diligentia
a superioribus adhibeatur, tam in capitulis generalibus et
provincialibus, quam in eorum visitationibus, quae suis
temporibus facere non praetermittant, ut ab illis non re-
cedatur; cum compertum sit, ab eis non posse ea quae ad
substantiam regularis vitae pertinent, relaxari. Si enim il-
la, quae bases sunt et fondamenta totius regularis discipli-
Cap. II - Dal CIC 17 al Concilio Ecumenico Vaticano II
105

nae, exacte non fuerint conservata, totum corruat aedifi-


cium necesse est.3

Questa esortazione e – al contempo – disposizione del


concilio Tridentino non dà definizioni circa la potestà de-
scritta, né tanto meno dà ad essa un nome: sembra solo
ammettere che vi sia o debba essere un certo livello di sot-
tomissione da parte dei sudditi verso i Superiori, ma non
per supremazia o per dispotismo, quanto per armonizzare e
guidare i religiosi verso quelle stesse vette di santità cui so-
no destinati mediante l’emissione dei voti di obbedienza,
povertà, castità. Non c’è descrizione della natura, dell’ori-
gine, dell’estensione di tale potestà.

La costituzione “Conditae a Christo”.


Ultima fonte – in ordine temporale – del canone 501
§1 del CIC 17 è la cost. Conditae a Christo di Leone XIII.
Ivi il Pontefice dispone che, per quanto riguarda gli Istituti
femminili di vita consacrata, il Vescovo indaghi4 circa la

3 MANSI J.D., Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectio, vol.


XXXIII.
4 Problema principale che doveva risolvere questa costituzione era

la questione dei nuovi Istituti di voti semplici. Come fa notare SASTRE


E.S., Una exposiciòn del arzobispo de Santiago de Compostela, José, carde-
nal Martìn de Herrera, origen de la Conditae a Christo, 8 diciembre 1900,
in Hispania Sacra 54(2002), 256, articolo di notevole spessore: “el con-
flicto de gobierno: obispo diocesano – madre general supone el de men-
talidad: entregar el poder a una mujer”. Infatti la novità dei nuovi
Istituti doveva estendere geograficamente ciò che già i monasteri fem-
minili avevano singolarmente, ponendo gli Istituti femminili sullo stes-
so piano di quelli maschili già centralizzati e con la loro autonomia. Il
problema era già aperto da tempo e il Methodus del 1854 aveva cerca-
to di dirimere la questione affermando che “el «nuevo instituto», apro-
bado por la Santa Sede, quedaba bajo la autoridad [non la giurisdizio-
ne] de la madre general salva Ordinariorum jurisdictione ad praescriptum
Sacrorum Canonum, et Apostolicarum Constitutionum”, p. 257.
La potestà di governo nella vita consacrata
106

retta intenzione e la vita religiosa delle consacrate «et an-


te suscipiendum habitum et ante professionem emitten-
dam», così come è stato anche sollecitato dal concilio di
Trento.
Candidatos cooptare, eosdem ad sacrum habitum vel ad
profitenda vota admittere, partes sunt Praesidum sodali-
tatum; integra tamen Episcopi facultate, a Synodo
Tridentina tributa5, ut, quum de feminis agitur, eas et an-
te suscipiendum habitum et ante professionem emitten-
dam ex officio exploret. Praesidum similiter est familias
singulas ordinare, tirones ac professos dimittere, iis tamen
servatis quaecumque ex instituti legibus pontificiisque de-
cretis servari oportet. – Demanandi munera et procura-
tiones, tum quae ad universam sodalitatem pertinent,
tum quae in domibus singulis exercentur, Conventus seu
Capitula, et Consilia propria ius habent. In muliebrium
autem sodalitatum Conventibus ad munerum assignatio-
nem, Episcopus, cuius in dioecesis habentur, per se vel
per alium praeerit, ut Sedis Apostolicae delegatus.6

Qui viene pure affermato che è diritto dei Capitoli no-


minare i religiosi in quegli incarichi rivolti all’Istituto uni-
versale, quando siano Istituti maschili. Nel caso, invece, di
Istituti femminili, è il Vescovo della cui diocesi l’Istituto
fa parte, come delegato della Santa Sede, ad essere super-
visore per l’attribuzione e la nomina di religiose negli uffi-

5 Sess. XXV, cap. XVII, De regul. Et monial.: “libertati professionis

virginum Deo dicandarum prospiciens Sancta Synodus, statuit atque


decernit, ut si puella, quae habitum regularem suscipere voluerit, ma-
jor duodecim annis sit, non ante suscipiat, nec postea ipsa, vel alia
professionem emittat, quam exploraverit episcopus, vel eo absente vel
impedito, eius vicarius, aut aliquis eorum sumptibus ab eis deputatus,
virginis voluntatem diligenter, an coacta, an seducta sit, an sciat quid
agat...”.
6 LEONE XIII, const. Conditae a Cristo, 8 dec. 1900, §2, n. I.
Cap. II - Dal CIC 17 al Concilio Ecumenico Vaticano II
107

ci di carattere universale o generale.7 Questa costituzione,


perciò, risolve il problema giuridico ponendo ben separati
da un lato Istituti di diritto diocesano e di diritto pontifi-
cio, dall’altro potestà di giurisdizione dell’Ordinario e po-
testà dominativa della Superiora. Per i diocesani, sotto il
controllo dei Vescovi, sarà l’Ordinario a vigilare sulla con-
dotta interna, spirituale, morale, economica; per i pontifi-
ci, a carattere centralizzato, direttamente sotto la potestà
del Romano Pontefice mediata dal Superiore religioso,

7 Vd. SASTRE E.S., La constituciòn apostolica Conditae a Cristo, 8 di-


cembre 1900: el trionfo de la Superiora general, in CpR 81(2000), 351, in
cui cita la relazione del card. Gotti, prefetto della SCRIS: “Due sono
pertanto le categorie di nuovi Istituti a voti semplici: Congregazioni
approvate solamente dall’Autorità episcopale e dette comunemente
diocesane; e Congregazioni nelle quali già è intervenuta la Santa Sede,
sia esaminandone le Costituzioni, sia concedendo decreti di lode o di
approvazione all’Istituto. […] Trattandosi dei primi, i quali hanno esi-
stenza e statuti unicamente in forza di decreti di Vescovi, era più age-
vole il determinare la loro dipendenza dagli Ordinari; perché questa di-
pendenza è manifestamente più ampia ed è soggetta appena a qualche
restrizione per ciò che riguarda le dispense dai voti perpetui. […
Riguardo ai secondi] 1° è riservata e sanzionata esplicitamente la pote-
stà di giurisdizione di tutti i Vescovi, e ciò s’intende restrittivamente
alle case che ciascuno ha in Diocesi; 2° la potestà però dominativa di
governo e di amministrazione generale è invece conferita ad uno solo,
cioè, al Superiore generale, a norma, ben inteso, delle Costituzioni
dell’Istituto. Perciò il Superiore o la Superiora generale ha realmente pote-
re governativo ed economico su tutto l’Istituto in genere e sulle singole
case del medesimo in specie…”. Ma se, come afferma ancora SASTRE,
Il posto della costituzione Conditae a Cristo, 8 dicembre 1900, nella sto-
ria giuridica dello stato religioso, in Informationes SCRIS 26/1(2000), 131,
“l’Istituto di diritto pontificio rimane sotto l’autorità dell’ordinario co-
me pastore diocesano, i suoi affari interni però cadono sotto la potestà
dominativa della madre generale a tenore delle costituzioni approvate
dalla Santa Sede”, allora non si capisce come possa una potestà di or-
dine meramente privato e inferiore prevalere su un ufficio che riveste
potestà ben superiore nella Chiesa, quella di regime.
La potestà di governo nella vita consacrata
108

l’Ordinario vigilerà esclusivamente circa la pastorale sia


interna che esterna.8

2.1.2. La prospettiva del CIC 17


Con la promulgazione del Codex Juris Canonici del 1917
si stabilisce che nel sinallagma ‘Superiore maggiore’ siano
compresi l’abate primate, l’abate superiore delle congrega-
zioni monastiche, l’abate di un monastero sui iuris, il su-
premo Moderatore di una Religione, il Superiore di una
provincia religiosa, i loro vicari.9
Il legislatore, che ha sempre tenuto in grande stima la
legislazione circa i religiosi in considerazione della loro
particolare posizione nella Chiesa, prendendo in esame il
tema del governo degli stessi, delinea la stessa potestà dei
Superiori religiosi nel c. 501 §1, sotto il titolo X, De
Religionum regimine al cap. I, De Superioribus et de Capitulis:
Superiores et Capitula, ad normam constitutionum et iuris
communis, potestatem habent dominativam in subditos; in
religione autem clericali exempta, habent iurisdictionem
ecclesiasticam tam pro foro interno, quam pro externo.

È evidente che in questo canone non si descrive espli-


citamente la natura della potestà dominativa; certamente,
se ne afferma l’esistenza per argomento inverso, cioè pro-
vando i soggetti attivi e passivi di tale esercizio d’autorità,
senza però anche minimamente addentrarsi nella estensio-
ne o nell’ambito di applicazione di questa stessa.

8 Cfr. SASTRE, Il posto della costituzione, 132-133.


9 Cfr. DEL GIUDICE V., Istituzioni di Diritto Canonico, 311. È il c.
488, n.8: “Superiorum maiorum, Abbas Primas, Abbas Superior
Congregationis monasticae, Abbas monasterii sui iuris, licet ad mona-
sticam Congregationem pertinentis, supremus religionis Moderator,
Superior provincialis, eorundem vicarii aliique ad instar provincialium
potestatem habentes”.
Cap. II - Dal CIC 17 al Concilio Ecumenico Vaticano II
109

Soggetto attivo risultano essere i Superiori ed i capito-


li (generali e provinciali, nonché conventuali). Quella do-
minativa è la potestà che investe il religioso, il suo proprio
stato religioso ed i Superiori religiosi.
Ma ciò che il Codice omette di specificare è veramen-
te considerevole: natura, origine e fondamento, coercibili-
tà. D’altronde, quello che il CIC 17 stesso tralascia, non
può essere distinto né arguito. Possiamo affermare che ta-
le potestà è propria di tutti i Superiori religiosi, maggiori e
minori, e che, perciò, tutti devono possederla, anche se in
gradi diversi e secondo diversi livelli di superiorità, in ba-
se alla partecipazione che ne hanno in capo alla Chiesa e
che viene loro concessa dalle costituzioni e dagli statuti
dell’Istituto.10
In secondo luogo, il legislatore ha stabilito il soggetto
che è tenuto alla soggezione a questa stessa potestà, cioè i
sudditi. Questa determinazione esclude coloro che non so-
no sudditi in senso giuridico, ovvero coloro che non han-
no emesso la professione dei voti (sia essa temporanea o
perpetua) in una Religione, in un Istituto. Ciò riveste no-
tevole valore in quanto al tempo della promulgazione del
CIC 17 ancora era in vigore la figura dell’oblato, che fu
successivamente abolita dal Concilio Vaticano II: su di es-
si, dunque, i Superiori religiosi non avevano potestà di ti-
po dominativo, anche se esercitavano in loro altre forme
di potere.
Circa l’ambito di esercizio di questa, può esservi vista
una applicazione sia diretta che indiretta sulla stessa per-
sona del suddito, in quanto un comando dato in vista del
bene della comunità può essere visto, indirettamente, co-
me bene pure per il singolo. Infatti, in tale atto di potestà

10 Cfr. TABERA ARAOZ A.-DE ANTOÑANA M.-ESCUDERO G., Dere-

cho de los religiosos: manual teorico pratico, 72.


La potestà di governo nella vita consacrata
110

si può includere la potestà dominativa, cui il suddito è sot-


toposto direttamente al Superiore.11
In linea generale, il Superiore poteva imporre precetti
(anche comuni e perpetui) e fare ricorso a rimedi penali;
poteva imporre penitenze; poteva concedere dispense ri-
guardanti la regola e le costituzioni; poteva imporre pene
in relazione al diritto proprio dell’Istituto, come, ad esem-
pio, deporre da una carica, privare della voce attiva e pas-
siva, richiamare da un incarico pubblico, …12
La potestà dominativa, perciò, compiva il suo fine pro-
prio ogni momento in cui era volta a conseguire il bene
comune direttamente, ma anche quando si volgeva verso
il bene particolare del singolo, del religioso. In entrambe
queste facce dello stesso potere, si realizzava, infatti, il fi-
ne stesso della società imperfetta, di qualsiasi categoria es-
sa facesse parte.13
Restava dunque da capire in cosa traesse origine la po-
testà dominativa: se dai voti, dalla traditio, dalla società
giuridica, da altre fonti. Questo avrebbe potuto chiarifica-
re l’ambito di estensione della potestà stessa, se fosse cioè
stata di carattere privato o pubblico.

11 Cfr. KINDT, De potestate dominativa, 260. Esplicazione di tale po-


testà era l’esercizio di questa stessa verso i religiosi nel campo della vi-
ta sacramentale (ultimi sacramenti, funerali,…) e religiosa (santifica-
zione personale, religiosa e, per chi lo era, sacerdotale). Fornendo ai
Superiori i mezzi per governare socialmente l’Istituto, dava loro pure
l’autorità per governare il corpo istituzionale, per l’amministrazione
dei beni, … Si lasciava al diritto particolare la facoltà di armonizzare
le disposizioni del diritto comune con le esigenze dell’Istituto.
12 Cfr. DESDOUITS, Potestà dominativa, in DIP, vol. VII.
13 Cfr. CABREROS DE ANTA, La potestad dominativa y su ejercicio, 59.

Di pari passo, non possiamo affermare che questa condivisione di vi-


ta sia di carattere giuridico-volontario: non sono i soggetti facenti par-
te della società religiosa a stipulare un “contratto” di coesione e di
coesistenza giuridicizzata.
Cap. II - Dal CIC 17 al Concilio Ecumenico Vaticano II
111

2.2. La natura giuridica della potestà dominativa

La natura giuridica della potestà dominativa è emersa


particolarmente nell’esposizione del pensiero del Suàrez,
che abbiamo trattato al 1.4.3. Tale giuridicità si esplica
particolarmente nella origine non amicale delle società re-
ligiose, Congregazioni, Istituti, Ordini.
È una vera e propria espressione di autorità, che si espri-
me nel diritto di governare l’Istituto, parte di esso, il suddi-
to. Questa potestà esiste anteriormente e indipendentemen-
te dalla stessa volontà di ogni suddito, anche del Superiore
stesso, e dell’insieme di tutte le volontà dell’Istituto.14
Al contempo, questa potestà è di carattere pubblico,
anche se precedentemente al CIC 17 si usava definire
pubblica la sola potestà proveniente da una società perfet-
ta, e privata quella avente origine dalle società imperfette,
quali erano appunto considerate gli Istituti religiosi. Gene-
ralmente, la potestà pubblica veniva anche definita pote-
stà di giurisdizione, in quanto rendeva abili a governare la
Chiesa in tutto o in parte (sia a livello territoriale che per-
sonale).
Successivamente al CIC 17, la potestà dei Superiori re-
ligiosi fu parificata o – meglio – ritenuta prevalentemente
di carattere pubblico, così come è pubblica la società che
sono chiamati a reggere: infatti, gli Istituti o Congregazio-
ni vengono costituite dall’autorità della Chiesa, perché vi
si possa professare uno stato di vita religioso pubblico. Tale
pubblicità fa sì che non possa esistere altra forma di consa-
crazione al di fuori di quella costituita dalla Chiesa stessa.15

14 Cfr. TABERA ARAOZ A.-DE ANTOÑANA M.-ESCUDERO G., Dere-

cho de los religiosos: manual teorico pratico, 70.


15 Cfr. TABERA ARAOZ A.-DE ANTOÑANA M.-ESCUDERO G., Dere-

cho de los religiosos: manual teorico pratico, 70.


La potestà di governo nella vita consacrata
112

Ora, dopo aver osservato ciò che per san Tommaso è


l’origine della potestà in genere, cioè, il diritto naturale, ed
aver definito che la potestà risulta necessaria perché la so-
cietà sussista e tenda al fine proprio, appare più evidente
come ‘la causa giuridica della società e la causa giuridica
della potestà coincidano’. Il diritto che origina la società
non può che essere lo stesso che origina la potestà ad essa
legata.16
In questo modo, ciò che contraddistingue le varie for-
me di potestà, non sarà più la loro ‘estensione dominati-
va’, il loro campo di azione, quanto piuttosto l’origine del-
la società stessa.
Seguendo perciò la logica del CIC 17, distinguiamo tra
società perfetta (quella il cui fine è un bene completo rag-
giungibile tramite i mezzi legittimi della stessa) e società
imperfetta (quella che tende verso un fine incompleto per-
ché rimanda ad un altro fine superiore o è ad esso subor-
dinata). La prima sarà dunque autosufficiente ed autono-
ma; la seconda, invece, dipendente da altra società ad es-
sa superiore.
La società imperfetta può essere amicale o giuridica; se
giuridica, può essere ancora volontaria (se il vincolo che
lega i suoi componenti è di origine privata) o necessaria
(se il vincolo che lega i suoi componenti è stabilito secon-
do una legge superiore); se società imperfetta giuridica ne-
cessaria può ancora essere necessaria simpliciter (se si deve
abbracciare necessariamente) o necessario-volontaria (se
non si deve abbracciare necessariamente), atteso che in
entrambi i casi essa trae origine dalla legge.17

16 “Inde fluit ius seu auctoritas, unde orta est societas”; OTTAVIANI

A., Institutiones Juris Publici Ecclesiastici, Roma 1956, vol. I.


17 Generatim saltem si possono individuare tre tipi di società: 1. le

società giuridiche volontarie: nascono unicamente dalla volontà dei


soci e, in base a ciò che essi stessi hanno stabilito, sono rette da ob-
Cap. II - Dal CIC 17 al Concilio Ecumenico Vaticano II
113

A quest’ultimo tipo, necessario-volontaria, appartengo-


no tutti gli Istituti e Religioni e proprio da questa catego-
ria, il card. Larraona definisce la potestà dominativa come

ius regendi societatem iuridicam necessario-volontariam


et universalem ab Ecclesia Suprema Auctoritate erectam
et approbatam, ut statum publicum religiosum plene, sta-
tum vero clericalem religioso adiunctum magna ex parte
contineat ac moderetur, fideles qui religionem amplec-
tuntur, singillatim et quatenus corpus constituunt, ad
christianae caritatis perfectionem efficaciter dirigendo18.

Perciò questa potestà è caratterizzata dal fatto di essere


di origine ecclesiastica, non divina; essa è propria in via
primaria del Romano Pontefice e dei Vescovi, che la de-
mandano poi con l’approvazione dell’Istituto ai Superiori
religiosi, in via secondaria; è famigliare, però al contempo
autoritativa (per la sua nota di sudditanza); per volere ec-

blighi e diritti; si sciolgono secondo l’intenzione dei membri ma sono


comunque riconosciute dalla legge; 2. le società giuridiche necessarie
simpliciter (sia perfette sia imperfette): dipendono dalla legge per quan-
to concerne gli obblighi ed i diritti, la costituzione e la potestà; perciò
non possono essere soppresse dalla volontà dei soci e, in quanto ne-
cessarie, devono essere abbracciate da tutti, senza possibilità di cam-
biamenti volontaristici; 3. le società giuridiche necessario-volontarie:
dipendono dalla legge circa gli obblighi ed i diritti (che non nascono
dai sudditi); tuttavia, l’ingresso in esse è libero (condizione, questa,
perché su chi entra a farvi parte si possa esercitare la potestà di cui so-
no investite), ma non la loro estinzione, che viene fatta solo tramite
decreto abrogativo del legittimo Superiore; la potestà, che in queste
società è esercitata, è di origine legale, perciò è più ampia della som-
ma delle soggezioni dei soci (e gli statuti fondamentali che siano sta-
ti approvati dalla legge, vengono modificati con il consenso di questa)
e può andare contro la volontà di questi stessi soci (i Superiori posso-
no costringere i soci che si ribellino).
18 LARRAONA, De potestate dominativa publica, p. 161.
La potestà di governo nella vita consacrata
114

clesiastico, è propria esclusivamente dell’Istituto religioso;


è ipotetica, perché i membri volontariamente si sottomet-
tono alla Religione; è integrale, perché rivolta all’uomo
nella sua totalità e inoltre personale, perché non limitata
al luogo di incardinazione, ma può essere rivolta solo ver-
so i sudditi della famiglia religiosa; è svolta in relazione al
fine e scopo dell’Istituto che è posto a servizio della Chie-
sa. Dobbiamo inoltre rilevare che tale potestà, in quanto
proveniente dalla Chiesa stessa, è pubblica e giurisdiziona-
le, a differenza di quanto affermavano gli autori presi in
esame nel primo capitolo, dal Suàrez al Kindt.19
Della natura della potestà dominativa risulterà utile
analizzare il soggetto attivo e passivo, nonché soprattutto
l’oggetto, preso nella sua ampiezza e vincolatività.

2.2.1. Il soggetto della potestà dominativa


Il soggetto attivo è definito come colui che regge i mem-
bri di una società imperfetta ecclesiastica in foro esterno
(in quanto è volta al bene della società direttamente e del-
la Chiesa indirettamente).20 Ma gode anche del potere sui
beni della società stessa. Esercita la sua potestà finché la
persona in soggezione appartiene come membro a quella
società o fino a quando permanga nella posizione giuridica
di potestà. In esso possono coesistere la potestà giurisdizio-
nale e la potestà dominativa allo stesso tempo. Possiamo

19 Cfr. RAGAZZINI, La potestà nella Chiesa, 266-268. La caratteristi-


ca di pubblicità è stata trattata nel par. 1.6.; quella di giurisdizionali-
tà sarà ripresa più oltre, in quanto di fondamentale importanza per la
trattazione della potestà.
20 Cfr. CABREROS DE ANTA M., La potestad dominativa y su ejercicio,

82. Afferma invece VERMEERSCH A., De religiosis Institutis et personis,


Bruge 1902, 239-240, che «utraque potestas regit personas et res; ve-
rum jurisdictio est fori tam interni quam externi pubblici, dum potestas
dominativa exercetur in foro privato sed non mere interno. [...] Potestas
dominativa repeti potest ex jure naturali hypothetico”.
Cap. II - Dal CIC 17 al Concilio Ecumenico Vaticano II
115

individuare queste particolari figure che godono di potestà


dominativa: il parroco ed equiparati, il vicario parrocchia-
le, i rettori di chiese, il rettore e il superiore del seminario,
i Capitoli ed i Superiori degli Istituti religiosi e secolari; i
maestri dei novizi (esercitano la potestà su soggetti che non
hanno ancora emesso i voti), il direttore di una associazio-
ne ecclesiastica costituita legittimamente.21
Per quanto attiene, invece, al soggetto passivo, lo si de-
finisce come colui che sta nella posizione giuridica di sog-
gezione verso il soggetto attivo, sia esso presente o assente
dal territorio (in quanto la potestà dominativa è di caratte-
re personale). Infatti, la forza del precetto cui è sottomesso
è indipendente dal territorio e segue il soggetto passivo
«velut umbra corpus».22 Tuttavia, il soggetto passivo può
pure essere una comunità: in tal caso il carattere della po-
testà dominativa sarà territoriale e non più personale.
Perciò, nella categoria del soggetto passivo si trovano: i
servi ed i familiari con quelli che dimorano in una casa,
coloro che sono alle dipendenze del Superiore o direttore
per ragioni di studio, di educazione, di malattia. Tra que-
sti si colloca pure il pellegrino, fintantoché si trovi nel ter-
ritorio del soggetto dominante e per quelle materie in cui
detto soggetto possa esercitare su di lui potestà.23

2.2.2. L’oggetto della potestà dominativa


Per quanto concerne l’oggetto, la potestà dominativa,
che spieghiamo qui dal punto di vista precettivo, può in-

21 Per TABERA ARAOZ A.-DE ANTOÑANA M.-ESCUDERO G., Derecho


de los religiosos: manual teorico pratico, Madrid 1962, 84: “compete esta
potestad a todos los Superiores, mayores o menores, hombres o mujeres”.
Cfr. CABREROS DE ANTA M., La potestad dominativa y su ejercicio, 83.
22 CABREROS DE ANTA M., La potestad dominativa y su ejercicio, 89.
23 Cfr. CABREROS DE ANTA M., La potestad dominativa y su ejercicio,

83-84.
La potestà di governo nella vita consacrata
116

teressare sia atti interni riguardanti atti esterni, sia atti me-
ramente esterni.
Circa gli atti interni, il soggetto investito di potestà può
emettere precetti che riguardano il foro interno ma che si
esplicheranno in atti esterni (non invece atti che siano di
carattere meramente interno). Tali atti possono essere di
natura meramente accidentale (come può essere una peni-
tenza imposta che il religioso adempia poi con un digiuno
corporale) o invece di natura sostanziale e necessaria (co-
me può essere l’imposizione di una confessione).24
Quanto poi ai precetti che il soggetto attivo può ema-
nare, essi devono essere rivolti agli atti esterni o almeno a
questi essere relazionati per poter avere quel carattere so-
ciale di cui sono investiti.25 In tal modo, i precetti avran-

24 Taluni sembrano negare la possibilità assoluta di una imperativi-


tà per gli atti interni, ma ciò può essere riaffermato in quanto la Chiesa,
godendo di potestà giurisdizionale vicaria, esercita potestà pure sugli at-
ti interni quali possono essere l’assoluzione o la negazione di essa, le in-
dulgenze, etc. Tale potestà è vicaria perché esercitata in nomine Christi;
tuttavia, nel caso della potestà dominativa, non è più vicaria ma pro-
pria, perché esercitata per il bene stesso del soggetto passivo in vista
del fine dell’Istituto, bene che si deve volere principalmente nell’am-
bito interno, per poi poterlo esplicare all’esterno. TABERA ARAOZ A.-
DE ANTOÑANA M.-ESCUDERO G., Derecho de los religiosos: manual teo-
rico pratico, Madrid 1962, 84: “... la potestad afecta al religioso en lo
que mira a la vida cristiana: ùltimos sacramentos, funerales, etc.; en lo
que mira a la vida religiosa, todo lo que cae bajo el voto de obediencia
y toda la actividad del Superior, ordenada inmediatamente a la santi-
ficaciòn personal religiosa y sacerdotal de sus subordinados”.
25 Cfr. CABREROS DE ANTA M., La potestad dominativa y su ejercicio,

86. Ciò non esclude, comunque, che il soggetto attivo possa dare con-
sigli o esortazioni al soggetto passivo, le quali, se non hanno forza vin-
colante, godono tuttavia di un notevole influsso morale. GOYENECHE
S., Quaestiones canonicae de iure religiosorum, vol. I, Napoli 1954, 118:
“Superiores vi potestatis dominativae posse subditos deficientes in re-
gulari observantia punire «modo paterno et iuxta regular»”.
Cap. II - Dal CIC 17 al Concilio Ecumenico Vaticano II
117

no come oggetto un atto a loro adeguato. A motivo del-


l’autorità da cui promanano, tali consigli sono definiti au-
toritativi e possono riguardare anche atti meramente in-
terni; hanno origine da qualsiasi tipo di potestà e vincola-
no in forza del voto di obbedienza e della volontà del
Superiore, perciò la loro osservanza è di origine volonta-
ria, non necessaria (nelle Religioni sono di gran lunga più
frequenti rispetto ai precetti).26
Per quanto riguarda gli atti passati, normalmente i pre-
cetti riguardano il presente o il futuro, perciò gli effetti de-
gli stessi che siano avvenuti nel passato non si revocano.
Tuttavia, possono essere modificati per quanto attiene il
futuro nel rispetto del bene comune: i diritti acquisiti non
intaccano la capacità giuridica se vengono modificati, in
quanto da questa si differenziano perché gli uni nascono
da un fatto proprio, l’altra nasce per volere della legge.27
Circa l’estensione temporale del precetto, dobbiamo di-
stinguere tra precetti giurisdizionali e precetti dominativi.
Quelli giurisdizionali (imposti ad una comunità) non si
estinguono con il venir meno del Superiore che li ha po-
sti (cfr. c. 24 del CIC 17); tuttavia, se sono imposti ad un

26 Cfr. CABREROS DE ANTA M., La potestad dominativa y su ejercicio,


87. Oltre agli atti interni, la potestà dominativa può vincolare all’ese-
cuzione di atti eroici (tali sono quelli che “exigen un esfuerzo extra-
ordinario de la voluntad, superior al que los varones fuertes suele im-
ponerse”). Così è quando l’autorità emana un precetto collettivo, che
sia adempibile dalla maggior parte dei soggetti sia a livello fisico che
morale, ma che per alcuni soggetti risulti particolarmente oneroso,
straordinario (in questo caso, generalmente questi soggetti sarebbero
esentati dall’osservare tale tipo di precetto, a meno che la forma di vi-
ta da loro abbracciata non imponga tale tipo di obbedienza e sogge-
zione). In tal senso, è bene che il Superiore valuti sempre con caute-
la l’imposizione di simili atti, che siano veramente e solidamente mo-
tivati dal bene comune.
27 Cfr. CABREROS DE ANTA M., La potestad dominativa y su ejercicio, 88.
La potestà di governo nella vita consacrata
118

singolo o a più singoli congiuntamente, anche questi pre-


cetti cessano per le cause di cessazione della potestà del
Superiore. Quelli dominativi, a causa del loro fondamen-
to nella relazione tra Superiore e suddito, cessano istanta-
neamente con il venir meno della potestà del Superiore
che li ha imposti (sono di questo tipo i precetti dominati-
vi privati).28

2.3. Il rescritto Cum admotae

Il rescritto pontificio Cum admotae29 è uno dei primi


frutti dei lavori e delle innovazioni apportate dal Concilio

28 Cfr. CABREROS DE ANTA M., La potestad dominativa y su ejercicio,


92-94. Tuttavia, oltre a questi tipi di precetti, di origine privata, dob-
biamo considerare pure quelli di origine semipubblica, che sopravvi-
vono alla cessazione di potestà del Superiore e, perciò, cessano con un
nuovo precetto o con una legge.
29 6 novembre 1964, AAS 59(1967), 374-378. La bibliografia circa

il rescritto è ricca ed abbondante. Si citano in via esplicativa: GAMBARI


E., Speciali facoltà dei Superiori generali, in VitRel 3(1965), 19-38;
4(1965), 3-23; 5(1965), 23-34; 6(1965), 26-44; 2(1966), 115-124; 211-
226; dello stesso autore, F acoltà speciali dei Superiori Generali, Milano
1965; PUGLIESE A., Commentarius ad rescriptum pontificium “Cum admo-
tae”, 6 nov. 1964 et ad decretum “Religionum laicalium”, 31 maii 1966, in
MonEccl 23(1968); FUERTES J., Commentarium in rescriptum pontificium
«Cum admotae»,, in CpR 44(1965), 225-242; 313- 324; 45(1966), 40-
69; 171-177; GUTIÉRREZ A., Commentarium in rescriptum pontificium
«Cum admotae», in CpR 44(1965), 8-26; 106-110; 210-224; LARRAONA
A., Commentarium in rescriptum pontificium «Cum admotae», in CpR
44(1965), 302-312; LEE I., Commentarium in rescriptum pontificium
«Cum admotae», in CpR 44(1965), 27-84, 115-229; OCHOA X., Com-
mentarium in rescriptum pontificium «Cum admotae», in CpR 44(1965),
324-344; TORRES J., Commentarium in rescriptum pontificium «Cum ad-
motae», in CpR 44(1965), 119-142, 243-247; DÌEZ A., Commentarium in
rescriptum pontificium «Cum admotae», in CpR 45(1966), 364-372;
46(1967), 59-66. Inoltre, BUIJS L., Facultates religiosorum concessae re-
Cap. II - Dal CIC 17 al Concilio Ecumenico Vaticano II
119

Ecumenico Vaticano II circa i religiosi, che si inseriscono


comunque nel contesto di sviluppo e progresso continuo
della Chiesa. Presentato alla 127a congregazione generale
dello stesso Concilio, il 6 novembre 1964, esso viene a de-
legare alcune facoltà ai Moderatori supremi degli Istituti
clericali di diritto pontificio, nonché agli Abati presiden-
ti delle Congregazioni monastiche, a partire dal giorno 21
dello stesso mese.
Il rescritto è diviso in tre parti: introduzione, elenco
delle facoltà concesse, soggetto ed estensione delle stesse
facoltà e loro uso. Non vi è espresso un limite temporale
circa queste facoltà, che perciò sono concesse fino ad una
eventuale revoca espressa. Esse, generalmente, sono un po-
tere conferito ad un soggetto determinato dall’autorità
competente per compiere determinati atti che hanno con-
seguenze giuridiche; hanno perciò una notevole ampiezza
di significato.30 In particolare, nel Cum admotae, danno il
potere di dispensare dall’osservanza di certe leggi, di auto-
rizzare atti per i quali normalmente si ricorre alla licenza

scripto pontificio diei 6 novembris 1964, Roma 1965; BELLUCO B.I.,


Facultates Superiorum Religiosorum Rescr. Pont. d. 4 nov. 1964 concessae
cum adnotationibus, Roma 1966.
30 Cfr. GAMBARI, Speciali facoltà, 3(1965), 19. In BUIJS, Facultates Re-

ligiosorum, 3, la facoltà è “quaelibet potestas aliquid valide, licite aut tu-


to agenda”. Essa è una posizione giuridica attiva che la libertà della per-
sona opera per attuare un interesse; così CIPROTTI P. Lezioni di diritto ca-
nonico, Roma 1943. GUTIÉRREZ, Commentarium in Rescriptum, 46 (1965),
15, afferma invece che, in questo caso, facoltà va preso in senso ampio,
inteso come “ius seu potestas aliquid agendi ex peculiari concessione vel
legis vel superioris ecclesiastici per actum specialem, quod sine tali con-
cessione peragi non posset vel valide vel licite vel tuto”. Certamente
possono essere dette facoltà delegate (in quanto non concesse per dirit-
to ma per un atto particolare del legislatore), abituali (concesse a tem-
po indeterminato), alcune giurisdizionali (quelle che dispensano da una
legge), alcune non giurisdizionali; cfr. BUIJS, Facultates Religiosorum, 10.
Dello stesso avviso BELLUCO, Facultates Superiorum, 23-24.
La potestà di governo nella vita consacrata
120

della Santa Sede o ad un suo intervento, di compiere atti


che per il CIC 17 non rientrerebbero nella sfera di pote-
stà del Moderatore. Sono perciò facoltà delegate, cioè da-
te dall’autorità ad un soggetto che non ne avrebbe la com-
petenza normalmente.
Quanto poi al fatto che siano delegate e non ordinarie,
la delega è fatta non ad un singolo atto, bensì ‘ad universi-
tatem negotiorum’; tuttavia, non sono date all’ufficio del su-
premo Moderatore (nel qual caso non si tratterebbe di fa-
coltà delegate, ma ordinarie), bensì direttamente alla sua
persona (nota caratteristica della delega stessa): l’autorità,
che permette ai Superiori generali di governare, viene lo-
ro dal Romano Pontefice o tramite il codice o tramite la
volontà diretta, come è in questo caso. Queste facoltà ven-
gono date in base all’ufficio che i Superiori ricoprono e per
questo, non appena ne divenga titolare un altro soggetto,
tutti coloro che ne sono investiti ne godono. È un’ulterio-
re prova dell’applicazione del principio di sussidiarietà che
ha animato il Concilio Ecumenico Vaticano II.31
Il rescritto nella versione a noi pervenuta consta di 19
facoltà: infatti, la prima emissione era composta di 21 fa-
coltà, ma successivamente ne furono tolte due che permet-
tevano ai Moderatori di lasciar sostituire ad un suddito la
recita dell’Ufficio divino con qualche altra pia pratica e di
recitarlo in volgare se vi era il consenso del Consiglio.32
Queste facoltà, come si evince dall’introduzione al rescrit-
to stesso, sono state concesse in seguito alle continue ri-
chieste dei Superiori generali. Segue perciò alcuni princi-
pi sostanziali: in primo luogo, le concessioni fatte dal

31 Cfr. GAMBARI , Speciali facoltà, 3(1965), 28-29.


32 Tale cambiamento fu dovuto semplicemente perché erano già
state concesse tali facoltà dall’Istruzione (nn. 79, 86-87) che dava le
disposizioni di attuazione della Costituzione Sacrosanctum Concilium
sulla liturgia. Cfr. GAMBARI, Speciali facoltà, 20.
Cap. II - Dal CIC 17 al Concilio Ecumenico Vaticano II
121

Romano Pontefice sono date in vista di un più agile eser-


cizio dell’ufficio di Moderatore supremo e di Abate presi-
de, dato che emerge dalla frequenza con cui tali casi era-
no già portati presso le Congregazioni; in secondo luogo,
esse riguardano essenzialmente il regime interno dell’Isti-
tuto (a norma del can. 618 §2 CIC 17), senza toccare la
sfera dei diritti-doveri degli Ordinari del luogo; terzo, in
sintonia con il m.p. Pastorale munus [30 novembre 1963,
AAS 56(1964), 5-12], non si intromette nella giurisdizio-
ne e nel campo di governo degli stessi Ordinari del luogo;
da ultimo, ma non per importanza, è da notarsi la fiducia
che il Romano Pontefice nutre nei confronti degli Istituti
religiosi dando loro una maggiore responsabilità proprio
perché agiscono in nomine ecclesiae.33
A riguardo del secondo punto, nel documento sono ben
distinti i negozi di ordine interno ed esterno. A quelli in-
terni si riferisce il rescritto e riguardano il Superiore reli-
gioso: circa la vita religiosa in quanto tale, circa la vita cri-
stiana in generale e l’esercizio del ministero che non sia di-
retto ai fedeli secolari. Viene cioè irrobustita l’autorità del
Superiore religioso, sotto triplice aspetto: cristiano, cleri-
cale, religioso.34
Se, dunque, da un punto di vista evolutivo, vi è stato
progresso per quanto attiene l’esenzione in ordine interno,
non così in ordine esterno dove si può notare un regresso
(che comincia – ad eccezione che per i Regolari – dal con-

33 Dal testo del rescr. pontificio, nell’introduzione, emergono solo


due motivazioni: “Religionum internum regimen promptius efficeret;
[...] Religionibus ipsis meritum suae propensae voluntatis testimonium
tribueret”. Le altre sono poste nell’articolo di GAMBARI, Speciali facol-
tà, 3(1965), 26-27, probabilmente guardando al simile m.p. Pastorale
munus. Vd. GUTIÉRREZ, Commentarium in Rescriptum, 11.
34 Si osserva il principio “negotia interna reservantur Superioribus

internis”; GUTIÉRREZ, Commentarium in Rescripto, 212.


La potestà di governo nella vita consacrata
122

cilio di Trento e viene poi recepito nel CIC 17): anche il


Concilio Ecumenico Vaticano II applica questo principio
generale secondo cui tutti questi negozi di ordine ministe-
riale, culto e apostolato in genere dipendono strettamente
dall’Ordinario del luogo. Resta comunque il problema dei
negozi di ordine misto, dove si tratterà di individuare la
parte leonina e quella minoritaria.35
È da notarsi che il rescritto Cum admotae viene a fare
quasi da complemento al m.p. Pastorale Munus, dato che
emerge dalla particolare somiglianza intercorrente tra i due
documenti (specialmente perché formati entrambi prin-
cipalmente da un elenco di facoltà concesse dal Romano
Pontefice in entrambi i casi).

2.3.1. Soggetto attivo


Il soggetto attivo si distingue in ordinario e straordina-
rio, ma perché possa godere delle facoltà del rescritto de-
ve possedere tre requisiti: avere l’ufficio di Moderatore su-
premo (o Preside di una congregazione monastica);36 esse-
re a capo di una Religione clericale; si richiede inoltre che

35 Cfr. GUTIÉRREZ, Commentarium in rescripto, 212-213.


36 È colui che “potestatem obtinet in omnes provincias, domos, so-
dales religionis, exercendam secundum constitutiones”, can. 502 CIC
17. Il rescritto è rivolto, perciò, ai Superiori generali delle Religioni
clericali di diritto pontificio (can. 488, 1°, 4°) ed agli Abati presidi
delle Congregazioni monastiche e canonicati (can. 488, 2°, 8°), non-
ché ai Superiori generali delle Società clericali senza voti pubblici di
diritto pontificio, i cui membri vivano in comune (can. 683 §§1-2);
tali facoltà sono pure concesse ai Superiori generali degli Istituti seco-
lari clericali di diritto pontificio (can. 488, 3°). Non vi sono distinzio-
ni circa il rito liturgico cui appartengano né si fa menzione della loro
eventuale dipendenza dalla Congregazione per le Chiese Orientali o
per l’Evangelizzazione dei Popoli o per i Vescovi o per i Religiosi ed
Istituti secolari.
Cap. II - Dal CIC 17 al Concilio Ecumenico Vaticano II
123

tale Religione sia di diritto pontificio.37 L’essere o meno di


diritto pontificio, invece, va inteso secondo il can. 488, 3°
e verificando l’eventuale approvazione ottenuta da parte
della Santa Sede (o eventualmente, il decreto di lode da
parte della stessa; non sarebbe invece sufficiente il pro-de-
creto che non arriva a mutare lo stato giuridico dell’Istitu-
to).38
Non sono da considerarsi soggetti attivi delle facoltà del
rescritto i Superiori non generali o non presidi di una
Congregazione monastica; i Superiori provinciali o i
Superiori di organismi equiparati alle province religiose; gli
abati dei monasteri sui iuris (abati locali); i Superiori loca-
li; i Superiori, provinciali e generali, di Congregazioni cle-
ricali ma di diritto diocesano e, infine, i Superiori generali
di Religioni e Congregazioni non clericali, anche se siano
di diritto pontificio e siano sacerdoti. A costoro sono equi-
parati – e perciò non godono di tali facoltà – i Vicari gene-
rali in ‘sede plena’ (chiamato a sostituire il Superiore gene-
rale qualora sia impedito nell’esercizio del suo ufficio o sia
assente per giusta ragione), anche se cause di una prolun-
gata assenza nell’esercizio dell’ufficio possono portare alla
delega (tuttavia questa non avviene ipso facto, ma necessi-
ta di una concessione espressa che risulti in forma esplicita
e che perciò sia scritta) permanente o temporanea di deter-
minate facoltà ed, in tal caso, sarà possibile anche la sud-

37 Il carattere della “clericalità” dell’Istituto sarà valutato secondo


il can. 488, 4°: “religio cuius plerique sodales sacerdotio augentur; se-
cus est laicalis”. GAMBARI , Speciali facoltà, 3(1965), 29, lo vorrebbe
valutato soprattutto con la definizione della natura dello stesso Istituto
così come si trova nelle costituzioni e non semplicemente secondo il
numero dei chierici e dei laici. Ma ciò sarà attuato solo con il CIC 83.
38 Per quanto riguarda, invece, le Religioni, le Società, gli Istituti

secolari che siano laicali, le facoltà concesse sono presenti nel decre-
to Religionum Laicalium, del 31 maggio 1966, che analizzeremo in se-
guito.
La potestà di governo nella vita consacrata
124

delega di tutte o parte delle facoltà a seconda delle neces-


sità; i delegati del Superiore generale per aree delimitate
(province o conferenze di province); i visitatori generali,
nonostante possano esercitare l’ufficio in maniera perma-
nente; tutti coloro che esercitano la loro potestà per una
delega e che perciò non sono Superiori stricto sensu; infine,
coloro che esercitano la loro potestà ma non internamen-
te all’Istituto e per il suo regime interno, quali sono gli Or-
dinari del luogo, vescovo ed equiparati.39
Sapendo che tali facoltà non vengono concesse all’uffi-
cio ma direttamente alla persona che lo ricopre, notiamo
che queste non richiedono nel delegato delle qualità spe-
cifiche, se non che sia stato costituito nel suo ufficio in
maniera legittima, secondo il diritto universale e proprio.
Ne consegue che non vi sia alcun impedimento perché ta-
li facoltà passino in capo al successore nell’ufficio di Supe-
riore generale, proprio perché non legate a caratteristiche
proprie del soggetto precedente, ma esclusivamente al fat-
to di ricoprire un ufficio determinato. La suddelega è pos-
sibile solo con il consenso del Consiglio generale e solo
verso i Superiori maggiori della stessa Religione.40
Vi possono essere anche altri soggetti attivi di queste
stesse facoltà, ma solo in via transitoria. È il caso, infatti,
di coloro che esercitino la potestà del supremo Moderatore
e dell’abate preside in caso di sede vacante dello stesso.41

39 Cfr. GAMBARI , Speciali facoltà, 3(1965), 30.


40 Eccetto quanto riguarda la facoltà 12, dove per motivi pastorali,
per quando riguarda la facoltà di delegare la possibilità di ascoltare le
confessioni dei novizi e dei membri di coloro che sono nella casa a sa-
cerdoti anche esterni all’Istituto, secolari e non, si dice espressamente
che questa può essere successivamente suddelegata anche ai Superiori
locali dello stesso Istituto. PUGLIESE, Commentarius ad rescriptum, 429.
41 L’ufficio di Superiore generale può essere vacante per morte, per

rinuncia accettata dalla competente autorità, per deposizione a norma


del diritto universale o particolare del titolare dell’ufficio stesso.
Cap. II - Dal CIC 17 al Concilio Ecumenico Vaticano II
125

L’attribuzione delle facoltà avviene automaticamente quan-


do sussista la legittimità della sostituzione o della prov-
visione dell’ufficio vacante, secondo il diritto proprio.42
Le facoltà che sono concesse a questi supremi Modera-
tori vengono esercitate in maniera cumulativa rispetto ad
altri soggetti che potevano esercitarle precedentemente.
Riguardo agli Ordinari del luogo, le facoltà concesse ai su-
premi Moderatori non diminuiscono quelle che il diritto
universale (o le concessioni apportate dalla Pastorale mu-
nus) riserva ai Vescovi. Anche in questo caso, infatti, le
facoltà vengono esercitate in maniera cumulativa, purché
tali competenze dell’Ordinario del luogo siano provate.43
La delega di queste facoltà viene data osservando le
norme riguardanti i rescritti. Al Vicario generale possono
essere delegate tutte le facoltà solo se agisce in vece del
Superiore impedito (II, 4), ma tale delega deve essere
espressa con atto specifico e formale dal Moderatore supre-
mo. Possono essere delegate ai Superiori maggiori solo le
facoltà di cui ai nn. 1, 4, 11, 13, 15, 16, 17 previo consen-
so del Consiglio generale (anche se non si esclude che le
altre facoltà possano essere concesse ai Superiori inferiori
in grado, tramite forma commissoria volontaria). La dele-
ga, inoltre, non cessa con la cessazione dell’ufficio del sog-
getto attivo delegante.44

42 Cfr. GAMBARI, Speciali facoltà, 3(1965), 30; BELLUCO, Facultates


Superiorum, 28-29.
43 Così è, ad esempio, per le Congregazioni della Santa Sede, con

le quali la competenza viene esercitata cumulativamente (è possibile


ricorrere indifferentemente alla Congregazione o al Superiore, salvo il
fatto che per una maggiore rapidità di esecuzione sarà conveniente ri-
correre all’autorità inferiore in grado) o per le facoltà che siano state
concesse ai nunzi apostolici o, soprattutto, per quanto riguarda le fa-
coltà e l’autorità degli Ordinari del luogo. Cfr. GAMBARI, Speciali fa-
coltà, 3(1965), 31.
44 Cfr. GAMBARI, Speciali facoltà, 3(1965), 36-37.
La potestà di governo nella vita consacrata
126

Per quanto concerne la suddelega, invece, come già no-


tato, solo il Vicario generale in caso di sede piena ma im-
pedita nell’esercizio, può suddelegare nei singoli casi qua-
lora sia stato a sua volta delegato dal Superiore generale,
agendo secondo le limitazioni che sono state date al primo
delegante. Anche la suddelega, quindi, è regolamentata
dal rescritto stesso e ad esso non può eccedere, soprattut-
to nei casi in cui per dare forma ad un atto occorra il con-
senso del Consiglio generale. Per il Vicario generale, poi,
la suddelega è possibile solo per singoli casi, non per uni-
versitatem negotiorum, né tanto meno per tutti i casi possi-
bili: vale a dire che l’atto che si concede deve essere de-
terminato e ben definito.45

2.3.2. Soggetto passivo


Le facoltà concesse – come abbiamo visto in 2.3.1. – so-
no date ai supremi Moderatori per un governo più sempli-
ce e spedito nel regime interno dell’Istituto. Dunque, sog-
getto passivo stricto sensu sono tutti e soli i sudditi di quei
Superiori a cui siano concesse tali facoltà, cioè coloro che
sono incardinati tramite la professione nella Religione o
Istituto (can. 502); lato sensu lo sono i novizi degli stessi
(cann. 567 §1, 615), gli oblati e pure i postulanti (cann.
514 §1, 875 §1, 1221 §3, 1245 §3). Sono soggetti passivi
in senso largo anche coloro che risiedono nelle case

45 Cfr. BUIJS, Facultates religiosorum, 22-23, per cui “religiosus hoc

modo subdelegatus omnibus facultatibus ipse uti potest easque «aliis


quoque, in singulis casibus, iterum subdelegare, iuxta limites et clau-
solas supra statutas» (r.p. II,4). Potestas igitur huiusmodi religiosi sub-
delegati est eadem ac ipsius Supremi Moderatoris”, e se necessitato
perché impedito può nuovamente suddelegare tutte le sue facoltà. Cfr.
anche GAMBARI, Speciali facoltà, 3(1965), 37-38. Di posizione diversa,
invece, BELLUCO, Facultates Superiorum, 30, che afferma essere, la sud-
delega, fatta per tutti i casi.
Cap. II - Dal CIC 17 al Concilio Ecumenico Vaticano II
127

dell’Istituto per motivi spirituali, di studio, di salute (can.


514 §1).46
Inoltre, allo stesso tempo, se il Superiore generale di
una Religione clericale fosse pure Superiore regolare di un
monastero femminile affiliato alla stessa Religione o ad es-
sa incorporato, il Moderatore supremo non avrebbe la fa-
coltà di concedere la giurisdizione per ascoltare le confes-
sioni di tali monache, in quanto la facoltà 12 non lo con-
cede (fa riferimento, infatti, al can. 514 §1, non al §2).
Potrebbe invece in linea teorica esercitare le altre facoltà,
in quanto riguardanti comunque il regime interno e trat-
tandosi pure in questo caso di un suddito in senso stretto
di quei tipi di Superiori che riguardano le facoltà in esame
(si dovrebbe verificare il tipo di potestà che esso esercita

46 Cfr. PUGLIESE, Commentarius ad rescriptum, 430-431. Per il can.


201, “Nisi aliud ex rerum natura aut ex iure constet, potestatem iuri-
sdictionis voluntariam seu non-iudicialem quis exercere potest etiam
in proprium commodum, aut extra territorium exsistens, aut in subdi-
tum e territorio absentem”, il supremo Moderatore può esercitare tali
facoltà anche a proprio vantaggio. Tuttavia, bene distingue il BUIJS,
Facultates Religiosorum, 25: “«subditi» Supremi Moderatoris sunt: a)
Omnes religiosi propriae religionis, sive professi a votis perpetuis sive
professi a votis temporaneis; b) Omnes novitii eiusdem religionis. Erga
omnes subditos exercere potest fac. nn. 10, 13; usus vero nonnullarum
facultatum ex ipso textu aut ex natura rei limitatur ad determinatam
categoriam subditorum: ad sacerdos subditos: nn. 1, 2, 3, 4, 5; ad cle-
ricos subditos: nn. 6, 7; ad clericos in sacris subditos: n. 8; ad subditos
clericos professos a votis perpetuis: n. 11; ad subditos professos: n. 15;
ad subditos professos a votis temporariis: n. 14; ad subditos professos a
votis simplicibus: n. 17”. Per lo stesso invece, p. 26, non sono sudditi
coloro che vivono notte e giorno nella casa religiosa, sia per servizio,
per l’educazione, per degenza; neppure i postulanti rientrerebbero tra
i soggetti passivi del rescritto pontificio. Dello stesso parere BELLUCO,
Facultates Superiorum, 32. Vd. anche SCHAEFER TH., De religiosis,
Roma 19474, 459.
La potestà di governo nella vita consacrata
128

sull’Istituto affiliato o aggregato nelle costituzioni stesse).47


Tuttavia, non basterebbe la semplice aggregazione o affi-
liazione, perché queste producono esclusivamente un lega-
me di tipo spirituale e non strettamente giuridico (can.
492 §1), come sarebbe invece con la “commendatio aposto-
lica”, che crea un vero e proprio rapporto di sudditanza.
Perché la facoltà sia usata a favore del soggetto passivo,
il Superiore dovrebbe informarsi anzitutto sul caso e veri-
ficarne l’effettiva coincidenza con le facoltà in suo posses-
so e con la possibilità di delega. La concessione dovrebbe
essere fatta ordinariamente per iscritto, in modo da poter
provare tale delega, almeno in quei casi che lo richiedono
(cfr. nn. 9 e 14).48
Circa la consultazione del Consiglio generale e la rice-
zione del consenso per concedere la delega, dobbiamo di-
stinguere tra liceità e validità. Infatti, la richiesta del con-
senso rende la concessione data senza esso per ciò stesso
nulla.49 Quando poi la concessione è rimessa mediante de-

47 Cfr. GAMBARI, Speciali facoltà, 3(1965), 32. Di parere opposto il


BUIJS, Facultates Religiosorum, 26: “… istae enim moniales et sorores
non subsunt Ordinario loci nisi in casibus iure expressis, quare Supre-
mus Moderator erga eas uti potest suis facultatibus”. Il BELLUCO, Fa-
cultates Superiorum, 36, si trova in diversa posizione, affermando che
l’autorità sulle monache e suore è del tutto diversa che il Superiore di
una Religione clericale ottiene sulla propria Religione.
48 Il tutto si dovrebbe svolgere in armonia con quella che è la pras-

si delle Congregazioni della Santa Sede, sia circa i criteri da seguire


nell’approvare la concessione, sia quanto alle condizioni e riserve da
imporre; sia circa il modo di concedere, in forma volontaria o com-
missoria. Meglio sarebbe se si seguissero i formulari usati dai Dicasteri
della Curia romana; così GAMBARI, Speciali facoltà, 3(1965), 33. Cfr.
anche GUTIÉRREZ, Commentarium in Rescriptum, 112-114.
49 Tuttavia, il Consiglio può aver espresso antecedentemente il

proprio assenso sul fatto in merito, nel qual caso la concessione sareb-
be valida comunque, giacché si suppone che esso sia ancora concorde
anche nel concedere la dispensa mediante delega.
Cap. II - Dal CIC 17 al Concilio Ecumenico Vaticano II
129

lega ai Superiori maggiori, ciò è dato per rendere ancora


più spedito il governo nel regime interno nei casi più sem-
plici, là dove non sia richiesta una maggior cura ed atten-
zione nella concessione stessa (non potrebbero perciò es-
sere fatte concessioni indeterminate, perché si tratterebbe
dell’equivalente di una delega ad una autorità inferiore
che è, appunto, vietata dalla Cum admotae). Dire che il ca-
so deve essere determinato significa affermare che è attua-
le, determinato nell’ufficio del soggetto passivo, determi-
nato nel momento in cui la persona beneficiata lo com-
pia.50
Infine, il Superiore dovrà agire in conformità ed ottem-
peranza all’Ordinario del luogo, la cui autorità non è ve-
nuta meno con il rescritto. Le facoltà 9, 18, 19, impongo-
no delle limitazioni nell’esercizio dell’autorità interna,
quale può essere quella di avvisare il Vescovo nel caso di
voler spostare la casa di noviziato o di essersi consigliati
con esso nel caso di voler confermare per un terzo trien-
nio un Superiore locale.51

2.4. Le singole facoltà in specie

1. L’ora della santa messa e della santa comunione.

Permittendi, boni Religiosorum causa, Sacerdotibus sub-


ditis suis tantum, iusta de causa, ut Missam qualibet diei
hora in suis domibus celebrent et sacram Communionem
distribuant; servatis ceteris servandis, et salvis iuribus
Ordinarii loci, quod spectat ad Missam per utilitatem fi-
delium celebrandam.

50 Cfr. GAMBARI, Speciali facoltà, 3(1965), 34.


51 Cfr. GUTIÉRREZ, Commentarium ad Rescriptum, 220-221.
La potestà di governo nella vita consacrata
130

Quam facultatem, de consensu sui Consilii, ceteris Supe-


rioribus maioribus eiusdem Religionis subdelegare pos-
sunt.

È una facoltà che comporta la dispensa dal can. 821


§1 circa la celebrazione dell’Eucaristia in qualsiasi ora del
52

giorno e della notte e dal can. 867 §453 circa la distribu-


zione della santa Comunione. È esclusa la celebrazione
della Messa e la distribuzione della santa Eucaristia al di
fuori dell’ambito delle proprie case.54
Soggetto passivo della concessione per la celebrazione
della santa Messa sono solo i sacerdoti sudditi di una casa
della Religione determinata: non può essere concesso per
case di altre Religioni, chiese secolari, né per sacerdoti
non sudditi che stiano nella casa religiosa della propria
Religione. Per la distribuzione della santa Comunione pos-
sono essere solo i sacerdoti sudditi che la debbano ammi-
nistrare ai religiosi che si trovano presso una casa della
propria Religione.55

52 “Missae celebrandae initium ne fiat citius quam una hora auro-


ram vel serius quam una hora post meridiem”.
53 “Sacra communio iis tantum horis distribuatur, quibus missae sa-

crificium offerri potest, nisi aliud rationabilis causa suadeat”.


54 “In suis domibus”, infatti, non significa necessariamente case re-

ligiose, quanto piuttosto “case dei religiosi”, intendendo con queste


anche monasteri femminili affiliati, purché si celebri sempre in orato-
ri o chiese; così LEE, Commentarium in Rescripto, 39; BUIJS, Facultates
Religiosorum, 29; BELLUCO, Facultates Superiorum, 50. Al di fuori di
questi confini, servirà il permesso dell’Ordinario del luogo o della San-
ta Sede.
55 In caso di necessità, la facoltà può essere data ad un diacono, ex

can. 845 §2: “Extraordinarius est diaconus, de Ordinarii loci vel paro-
chi licentia, gravi de causa concedenda, quae in casu necessitatis legi-
time praesumitur”; LEE, Commentarium in Rescriptum, 37.
Cap. II - Dal CIC 17 al Concilio Ecumenico Vaticano II
131

Tale facoltà è data per il bene dei religiosi, perciò non


può essere concessa per l’uso ministeriale della stessa (che
dovrà eventualmente essere richiesta al Vescovo). Deve
però essere presente una giusta causa56 e la concessione de-
ve essere osservata all’interno della casa della Religione.
Sembra comunque possibile che tale permesso possa esse-
re estendibile a tutta la Provincia religiosa o anche a tut-
ta la Congregazione, tant’è che la facoltà è suddelegabile
ai Superiori maggiori, se vi è il consenso del Consiglio ge-
nerale.
Nel m.p. Pastorale munus si attribuiva pure ai Vescovi
tale facoltà, di poter concedere ai sacerdoti di celebrare
l’Eucaristia in qualsiasi ora del giorno per giusta causa;
concessione che poteva essere data sia ai propri sudditi
fuori del proprio territorio, sia ai non sudditi nel proprio
territorio.57

2. Messa votiva per sacerdoti ciechi ed infermi.


Concedendi sacerdotibus subditis suis vel visivae poten-
tiae debilitate affectis, vel alia infirmitate laborantibus,
cotidie celebrandi Missam votivam Deiparae Virginis
Mariae, aut Missam Defunctorum: assistente, si opus sit,
alio sacerdote vel diacono, servatisque normis liturgicis et
praescriptis hac super re a Sancta Sedis latis.

Le condizioni per la concessione di questa dispensa è


che vi sia un’infermità da parte del sacerdote suddito, sia
riguardante la vista, sia di qualsiasi altro tipo, sia transito-

56 “Causa iusta in iure est quaelibet causa quae non sit evidenter
iniusta, quaeque obiectivam rerum ac personarum entitatem exprimit,
peculiari legi seu negotio proportionatam”; PUGLIESE, Commentarius ad
rescriptum, 434.
57 Questa ricopriva maggiore giurisdizione rispetto a quella del

Cum admotae. Cfr. BUIJS, Facultates Religiosorum, 28.


La potestà di governo nella vita consacrata
132

ria che permanente, avendo riguardo di quanto disposto


nell’Istruzione della Congregazione dei Riti del 15 aprile
1961;58 vi deve essere quindi l’osservanza delle norme li-
turgiche e, se il caso lo richiede, l’assistenza di altro sacer-
dote o diacono.59
In questa Istruzione si afferma che il sacerdote infermo
o tendente alla cecità può chiedere dispensa alla Santa
Sede per potere celebrare messe votive e dei defunti. Le
messe votive possono essere celebrate in tutti i singoli gior-
ni in cui non è permessa la messa dei defunti. Ancora, vi
si dice che «in Triduo sacro, sacerdos omnino a celebrando
abstinebit», n. 6, e che «in festo Nativitatis Domini, tres
Missas dicere potest», n. 7. Ma si afferma pure che «si, du-
rante privilegio, sacerdos caecutiens, plane caecus evadat,
novum indultum a S. Congregatione de disciplina
Sacramentorum obtinere debet; eoque ostento, sub gravi
tenetur uti absistentia alterius sacerdotis vel diaconi», n. 3.
In questo caso la facoltà non è delegabile e coincide
con la facoltà concessa agli Ordinari del luogo nel m.p.
Pastorale munus, n. 5:

Concedendi facultatem sacerdotibus visivae potentiae de-


bilitate laborantibus, vel alia infirmitate detentis, Missam
votivam Deiparae Virginis aut defunctorum cotidie cele-
brandi, adhibita, quoties ea indigeat, alterius sacerdotis vel
diaconi assistentia, atque de cetero servata Instructione a
S. Rituum Congregatione edita die 15 Aprilis 1961.

58 L’istruzione non fu pubblicata negli AAS; può essere trovata in


Leges Ecclesiae, vol. III, lex n. 2980. Vi sono poi norme liturgiche cir-
ca il colore da usare in privato ed in pubblico, i formulari ed il canto
sia della messa votiva, sia della messa dei defunti che può essere cele-
brata quotidianamente.
59 Cfr. BELLUCO, Facultates Superiorum, 56-57; per BUIJS, Facultates

religiosorum, 34, essa può essere applicata a qualsiasi sacerdote cui ce-
lebrare messe diverse ogni giorno comporti oneri non comuni.
Cap. II - Dal CIC 17 al Concilio Ecumenico Vaticano II
133

Similmente si applica la facoltà successiva, n. 3, circa


la Messa votiva della Madonna o dei defunti nel caso di
sacerdoti completamente ciechi, anche se in questo caso
l’assistenza di un sacerdote o diacono è obbligatoria
(«Concedendi eamdem facultatem sacerdotibus subditis
suis omnino caecis, dummodo tamen hisce celebrantibus
alius sacerdos vel diaconus assistat»).60

4. Messa fuori del luogo sacro.


Concedendi sacerdotibus subditis suis facultatem Missam
celebrandi in domo religiosa extra locum sacrum, sed lo-
co honesto et decenti, excepto cubicolo, supra petram sa-
cram, aut, si de Orientalibus agatur, supra “antimension”:
quod concedi tantum potest per modum actus, et iusta de
causa; si vero de constanti eiusdem celebratione agatur,
causa gravior requiritur.
Quam facultatem, de consensu sui Consilii, ceteris
Superioribus maioribus eiusdem Religionis subdelegare
possunt.

È una facoltà concessa come dispensa del can. 822 §1,61


circa l’obbligo di celebrare la Messa su di un altare consa-
crato di una chiesa od oratorio consacrato o al più bene-
detto. La Messa, comunque, se può essere celebrata fuori
dei luoghi prescritti dal diritto universale, non può essere
celebrata al di fuori dell’ambito della casa religiosa;62 il

60 Egli può ottenere la facoltà per ogni luogo dal proprio

Moderatore supremo; BUIJS, Facultates Religiosorum, 38.


61 “Missa celebranda est super altare consecratum et in ecclesia vel

oratorio consecrato aut benedicto ad normam iuris”.


62 Cfr. LEE, Commentarium in Rescriptum, 59, afferma che si deve

intendere come qualsiasi casa dove i religiosi vivano (formata o non


formata, secondo il CIC 17), purché si stia entro i limiti giurisdizio-
nali dell’Ordinario che l’ha concessa. Così pure BUIJS, Facultates
Religiosorum, 42; BELLUCO, Facultates Superiorum, 63.
La potestà di governo nella vita consacrata
134

luogo scelto deve essere conveniente («honestus dicitur


locus in quo nihil turpitudinis est, nihil immundi») e de-
cente («decens insuper, qui et ornamentis apte decoratus.
Etiam cubiculum potest esse locus honestus et decens si
lectulus separatione aliqua sive ex ligno sive textrino ope-
re occultatur et remoto quovis irreverentiae periculo»).63
La concessione che venga fatta per un solo atto deve
avere una giusta causa, mentre quella data ad universitatem
casum deve avere ragioni più gravi, come potrebbero esse-
re l’età o l’infermità. Essa può essere data solo ai sacerdoti
sudditi,64 anche nel caso possa esserci presenza di fedeli lai-
ci, sempre in osservanza delle norme liturgiche. È una fa-
coltà suddelegabile ai Superiori maggiori.
Nel m.p. Pastorale munus, n. 9, si dispone ugualmente,
anche se ai Vescovi è pure concesso di lasciar sostituire
l’antimension alla pietra sacra o all’altare portatile.65

5. Celebrazione della Messa rimanendo seduti.


Concedendi sacerdotibus subditis suis infirmis aut affecta
aetate provectis ut, si stare nequeunt, sedentes Missam
celebrent: legibus liturgicis servatis.

Questa facoltà è data in favore dei sacerdoti sudditi in-


fermi o anziani. Unica condizione: che si osservino co-
munque le norme liturgiche.66 Al contrario del Pastorale
munus, n. 10, qui non si fa accenno al divieto di celebra-

63 PUGLIESE, Commentarius ad rescriptum, 435-436.


64 Per BELLUCO, Facultates Superiorum, può essere concessa anche a
sacerdoti che vivano nella propria casa notte e giorno.
65 Cfr. GAMBARI, Speciali facoltà, 11-12.
66 Così PUGLIESE, Commentarius ad rescriptum, 436-437: “crescit au-

tem imbecillitas si infirmitas et aetas in eadem persona coniungantur”


e si dovrà allora valutare l’opportunità di lasciar celebrare la Messa al
soggetto.
Cap. II - Dal CIC 17 al Concilio Ecumenico Vaticano II
135

re la Messa nella propria stanza da letto, quindi è una fa-


coltà più estesa di quella concessa ai Vescovi, tant’è che
non vi sono casi espressi, dando libertà di applicazione ai
Superiori generali (la facoltà non è infatti delegabile).67

6. Dispensa dall’età per gli Ordini sacri.


De consensu sui Consilii, dispensandi subditos suos ad sa-
cros Ordines promovendos a defectu aetatis, qui sex inte-
gros menses non excedat.

Le facoltà di cui ai numeri 6, 7, 8, trattano dell’ammis-


sione ai sacri Ordini. Al can. 975 si stabilisce che il sud-
diaconato non sia conferito prima del 21° anno compiuto,
il diaconato prima del 22° compiuto, il presbiterato prima
del 24° compiuto. Questa facoltà autorizza il Moderatore
supremo a dispensare dal suddetto canone, però non oltre
i sei mesi. Era dispensa riservata alla Congregazione per i
Religiosi, che resta competente per concessioni superiori
ai sei mesi.68
Devono essere osservate alcune condizioni, anche se
non espresse. In quanto dispensa, vi deve essere una giu-
sta causa,69 come si può intendere anche dalla lettura di
Pastorale munus, n. 15, dove viene concessa ai Vescovi la
stessa facoltà (però per i Vescovi, a differenza dei Superiori
generali, la facoltà non è limitata ai propri sudditi, giacché
vi può essere necessità di dispensare un religioso, restando

67 Cfr. GAMBARI, Speciali facoltà, 13. Tuttavia è da notare che la


precedente facoltà, n. 4, disponendo che la celebrazione sia fatta “lo-
co honesto et decenti, excepto cubicolo”, lascia qualche dubbio sulla
liceità della celebrazione in camera da letto, come vorrebbe l’Autore.
68 Cfr. LEE, Commentario in Rescriptum, 115.
69 Cfr. LEE, Commentario in Rescriptum, 117; BELLUCO, Facultates

Superiorum, 70.
La potestà di governo nella vita consacrata
136

comunque suo Ordinario del luogo). Vi deve inoltre esse-


re il consenso del Consiglio generale. La facoltà non è de-
legabile.70

7. Dispensa da alcuni impedimenti.


Dispensandi, de consensu sui Consilii, suos subditos ad
impedimento ad sacros Ordines, quo filii acatholicorum
afficiuntur quamdiu parentes in suo errore permanent.
Pariter dispensandi super impedimento quo detinentur
admittendos in Religionem qui sectae acatholicae adhae-
serunt et dispensandi super illegitimitate natalium admit-
tendos in Religionem, etiamsi sint Sacerdotio destinati,
dummodo ne sint sacrilegi vel adulterini. Si tamen con-
flictus hac de re oriatur inter Episcoporum et supremum
Moderatorem Religionis, prioris sententia praevaleat.

Vi è contenuta la facoltà di dispensare anzitutto dal-


l’impedimento di cui al can. 987, 1° agli Ordini Sacri per
i figli degli acattolici71 (se almeno uno dei genitori vive
ancora e permane nell’errore); in secondo luogo, di di-
spensare coloro che abbiano aderito ad una setta acattoli-
ca a norma del can. 542, 1° o che siano nati illegittima-
mente (purché non sacrileghi o adulterini) per l’ammissio-
ne alla Religione, ex can. 984, 1°.72 Si tratta di impedi-

70 Cfr. GAMBARI, Speciali facoltà, 4 (1965), 15-16.


71 “Sunt simpliciter impediti: I° Filii acatholicorum, quamdiu pa-
rentes in suo errore permanent”. L’impedimento sussisteva non solo
per ricevere i sacri ordini, ma pure per gli ordini minori. Per acattoli-
ci si devono intendere coloro che sono battezzati, ma permangono
nell’eresia, nello scisma, nell’apostasia; BUIJS, Facultates Religiosorum,
56; BELLUCO, Facultates Superiorum, 72.
72 Can 542, 1°: “Invalide ad novitiatum admittuntur: qui sectae

acatholicae adhaeserunt”. Can. 984, 1°: “Sunt irregulares ex defectu:


1° Illegitimi, sive illegitimitas sit publica, sive occulta, nisi fuerint le-
gitimati vel vota solemnia professi”.
Cap. II - Dal CIC 17 al Concilio Ecumenico Vaticano II
137

mento di ordine temporale, nel primo caso, esclusivamen-


te legato ai figli e non ai discendenti, nel secondo caso.
Per essere nel caso del sectae adhaerere si deve essere iscrit-
ti alla setta stessa, o almeno avervi fatto professione pub-
blica di appartenenza; non basta infatti la semplice simpa-
tia o l’aver partecipato a qualche incontro o riunione (era
questa una dispensa riservata alla Congregazione della
Dottrina della Fede).73
Soggetto passivo della dispensa sono: per il primo caso,
i sudditi che si vogliano ammettere al diaconato, per i qua-
li non sono previste particolari condizioni (se ne ricavano
alcune dalla prassi dei dicasteri competenti della Curia ro-
mana, quali l’integrità morale, la disciplina, …); per il se-
condo caso, coloro che siano candidati all’ammissione in
Religione, per i quali si suppone una sana prudenza per
evitare scandali spiacevoli. Aver aderito ad una setta acat-
tolica comporta una irregolarità sia per l’ammissione alla
Religione sia per l’ammissione agli Ordini (can. 985, 1°):
pare perciò naturale che la dispensa per il primo compor-
ti automaticamente la dispensa per il secondo, a meno che
non sia detto espressamente altro (nonostante nella facol-
tà non venga dato un senso così ampio).74 Tuttavia, è da
notare che in Pastorale munus non viene concessa ai
Vescovi la facoltà di dispensare dall’irregolarità per adesio-
ne ad una setta acattolica.75
Si parla di figli illegittimi. I figli legittimi sono quelli
concepiti da matrimonio valido o putativo o nati almeno
sei mesi dopo la celebrazione del matrimonio o entro i die-

73 Cfr. PUGLIESE, Commentarius ad rescriptum, 439; TORRES,


Commentarium in Rescriptum, 127; BELLUCO, Facultates Superiorum, 76.
Per BUIJS, Facultates Religiosorum, 60, per aderire alle sette è sufficien-
te frequentarne abitualmente le riunioni.
74 Cfr. TORRES, Commentarium in Rescriptum, 131.
75 Cfr. GAMBARI, Speciali facoltà, 4(1965), 17-19.
La potestà di governo nella vita consacrata
138

ci mesi dallo scioglimento della vita coniugale. Sono per-


ciò illegittimi i figli avuti non da matrimonio valido (o
che provengano da un padre diverso dal marito); questi so-
no incestuosi se nati per un rapporto tra parenti o affini,
spuri se nascono senza un giusto padre, adulterini se nasco-
no per adulterio semplice o duplice, sacrileghi se si hanno
da una persona che ne sarebbe impedita, o per voto di ca-
stità, o per il sacro Ordine.76
Nel secondo capoverso viene data la precedenza al
Vescovo circa la dispensa in caso di conflitto tra questo ed
il supremo Moderatore.77 Anche in Pastorale munus, fac. n.
16, viene data facoltà agli Ordinari del luogo di dispensa-
re dall’impedimento circa gli Ordini sacri per i figli di
acattolici:

Ex iure communi (can. 990 §1) Ordinarius loci pollet fa-


cultate delegabili dispensandi ab irregularitatibus omnibus
ex delicto occulto provenientibus, ea excepta quae enasci-
tur ex homicidio volontario et ex procurato abortu effecto
secuto (can. 985, 4°), aliave deducta ad forum iudiciale.

Ora, se l’ammissione è un atto proprio del regime inter-


no dell’Istituto, riservato perciò al Superiore interno, è ve-

76 Cfr. PUGLIESE, Commentarius ad rescriptum, 440.


77 Cfr. GAMBARI, Speciali facoltà, 4(1965), 21, dice che se il
Vescovo ritiene inopportuna la dispensa, il Superiore non può conce-
derla (sarebbe il Superiore a fare domanda al Vescovo per la dispensa,
cfr. Pastorale munus, 35-36); tuttavia, non potrà verificarsi il caso in-
verso in cui il Superiore la neghi ed il Vescovo voglia concederla, per-
ché non può obbligare ad ammettere un candidato. Permangono mol-
ti dubbi su queste affermazioni e sulla stessa affermazione del m.p.,
espresse da BUIJS, Facultates Religiosorum, 67, su quale sia il Vescovo
cui chiedere la dispensa, dispensa dalla prima o seconda parte della fa-
coltà, da chiedere obbligatoriamente al Vescovo da parte del supremo
Moderatore,… Così pure BELLUCO, Facultates Superiorum, 79-80.
Cap. II - Dal CIC 17 al Concilio Ecumenico Vaticano II
139

ro che ci sono atti riservati all’intervento del Vescovo (cfr.


can. 544 circa le testimoniali che vari Vescovi devono da-
re per l’ammissione) in cui potrebbe essere espresso il suo
dissenso verso l’ammissione. Se il Superiore vi si oppone,
il conflitto riguardante la facoltà n. 7 dovrà risolversi con
il prevalere della volontà del Vescovo, in quanto il secon-
do caso previsto da questa facoltà è cumulativo tra Supe-
riore ed Ordinario del luogo. Ma tale conflitto sarà mag-
giormente fondato nei casi in cui la concessione riguardi
sia l’ammissione nell’Istituto che l’accesso ai sacri Ordi-
ni.78 Per concedere queste dispense da parte del Superiore
generale si richiede il previo consensus sui Consilii. La fa-
coltà inoltre non è suddelegabile.
Ponendo a confronto la facoltà 7 concessa ai Modera-
tori supremi e le facoltà date ai nn. 16, 35, 36 ai Vescovi
diocesani, notiamo come il punto 16 sia ripreso letteral-
mente nel Cum admotae al primo paragrafo. Ma se nel ca-
so degli Istituti di diritto diocesano, la facoltà spetta esclu-
sivamente al Vescovo diocesano, nel caso degli Istituti di
diritto pontificio la facoltà è cumulativa tra Superiore ge-
nerale ed Ordinario del luogo. Ai nn. 35-36 del m.p. il pa-
rallelo è con il secondo paragrafo del rescritto. Anche qui
la facoltà è cumulativa negli Istituti di diritto pontificio.79

8. Dispensa dalle irregolarità.


Dispensandi, de consensu sui Consilii, subditos suos ad
sacros Ordines iam promotos, eam tantum ob causam ut
Missam celebrare possint, a quibuslibet irregularitatibus
tum ex delicto, tum ex defectu provenientibus: ea condi-
cione ut altaris ministerium rite expleatur, neve scanda-
lum exinde oriatur: exceptis tamen casibus de quibus agi-

78 Cfr. GAMBARI, Speciali facoltà, 4(1965), 20-21.


79 Cfr. GAMBARI, Speciali facoltà, 4(1965), 22.
La potestà di governo nella vita consacrata
140

tur in can. 985, nn. 3 et 4 CJC, et previa abiuratione in


manibus absolventis, quando agitur de crimine haeresis
vel schismatis.

Si tratta di una dispensa che non riguarda l’avanzamen-


to nell’Ordine sacro, quanto l’effettivo esercizio del sacer-
dozio che già si è ricevuto in vista esclusivamente della ce-
lebrazione della santa Messa.80 Nella fattispecie, il Supe-
riore generale può dispensare i propri sudditi sacerdoti (n-
ovizi o professi) da ogni tipo di irregolarità, sia ex defectu
(can. 984) sia ex delicto (can. 985), tranne i casi di cui al
can. 985, 3° (irregolarità contratte per attentato matrimo-
nio) e 4° (irregolarità contratte per omicidio volontario o
aborto procurato, effectu secuto).81
Si può perciò ritenere che la dispensa non autorizzi al-
l’esercizio del ministero penitenziale, per il quale permane
l’irregolarità.82 È quindi un’ulteriore facoltà che viene ad
aggiungersi a quanto già i Superiori maggiori potevano fa-
re in forza del can. 890 §1,83 cioè di dispensare dalle irre-
golarità sorte per delitto occulto, escluso quello provenien-
te dall’omicidio volontario.
Per la valida concessione si devono osservare alcune
condizioni. Infatti, la celebrazione deve comunque essere

80 Cfr. BUIJS, Facultates Religiosorum, 71: l’irregolarità è “impedi-


mentum perpetuum prohibens ordinum susceptionem et susceptorum
exercitium”.
81 Cfr. GAMBARI, Speciali facoltà, 5(1965), 23, ripreso puntualmen-

te da BELLUCO, Facultates Superiorum, 85. Vd. anche TORRES, Com-


mentarium in Rescriptum, 136.
82 Cfr. BUIJS, Facultates Religiosorum, 73; permarrebbe quindi anche

l’irregolarità ed illiceità a celebrare il battesimo, amministrare l’estre-


ma unzione…
83 “Omnino prohibitus est confessario usus scientiae ex confessio-

ne acquisitae cum gravamine poenitentis, excluso etiam quovis reve-


lationis periculo”.
Cap. II - Dal CIC 17 al Concilio Ecumenico Vaticano II
141

compiuta in un modo corretto, soprattutto nei casi di di-


fetto del corpo (per es.: coloro che abbiano qualche defor-
mazione fisica o che siano epilettici), come affermato nel
can. 984, 2° e 3°. Inoltre, si deve evitare ogni rischio di
scandalo, magari con il trasferimento del sacerdote in al-
tro luogo, soprattutto nei casi in cui il delitto sia di domi-
nio pubblico. Trattandosi poi di eresia o scisma, si deve as-
solvere il delitto e la scomunica solo dopo che sia stata
compiuta la necessaria abiura da parte del soggetto passi-
vo. Infine, la concessione è vincolata al previo consensus
sui Consilii, non è delegabile.84
Si può inoltre notare un parallelo di questa facoltà in
Pastorale munus alla n. 17, anche se ivi sono menzionati la
capacità di conseguire e ritenere dei benefici che sono in-
vece omessi nel rescritto Cum admotae.85 Tuttavia, così
troviamo nel decreto sull’ufficio pastorale dei Vescovi nel-
la Chiesa , Christus Dominus, al n. 34:

Religiosi sacerdotes, qui in presbyteratus officium conse-


crantur ut sint et ipsi providi cooperatores Ordinis epi-
scopalis, hodie adhuc maiori auxilio Episcopis esse va-
lent, pro ingravescente animarum necessitate. Ideo vera
quadam ratione ad clerum dioecesis pertinere dicendi
sunt, quatenus in cura animarum atque apostolatus ope-
ribus exercendis partem habent sub sacrorum Praesulum
auctoritate.
Etiam alii sodales, sive viri sint sive mulieres, qui et ipsi
peculiari ratione ad familiam dioecesanam pertinent, ma-
gnum auxilium sacrae Hierarchiae afferunt, atque in dies,
auctis apostolatus necessitatibus, magis magisque afferre
possunt ac debent.

84 Cfr. BELLUCO, Facultates Superiorum, 86.


85 Cfr. GAMBARI, Speciali facoltà, 5(1965), 24.
La potestà di governo nella vita consacrata
142

Si può ritenere da quanto affermato in questo documento


conciliare che l’Ordinario del luogo, nel caso in cui i religio-
si coadiuvino maggiormente il Vescovo in campo pastorale
tramite l’animazione di una parrocchia, possa loro concedere
la dispensa contemplata in Pastorale munus con i conseguen-
ti benefici ecclesiastici, qualora ve ne sia bisogno.86

9. Permesso per alienazioni e mutui.


De consensu sui Consilii, concedendi iusta de causa, ut
bona propriae Religionis alienari, oppignorari, hypothe-
cae nomine obligari, locari, emphyteusi redimi possint,
utque personis moralibus propriae Religionis aes alienum
contrahere liceat, usque ad eam pecuniae summam, quam
vel Nationalis vel Regionalis Episcoporum Coetus propo-
suerit et Apostolica Sedes probaverit.

Nella facoltà in esame, si tratta della competenza a per-


mettere alienazioni, mutui, obbligazioni, ipoteche, con-
tratti di locazione, affrancamento da enfiteusi, fino al limi-
te massimo fissato dalla Conferenza Episcopale ed appro-
vato dalla Santa Sede.
Sono bona propriae Religionis quelli che appartengono a
tutto l’Istituto che, in quanto persona giuridica pubblica
nella Chiesa, può acquisire e possedere beni temporali pro-
pri, sempre che il diritto particolare non preveda diversa-
mente.87 Per alienare, altresì, è da intendersi il diritto di
togliere dal proprio patrimonio i propri beni, che può es-
sere realizzato in molti modi, ma sempre avviene tramite
il trasferimento del dominio sul bene stesso.88

86 Cfr. BUIJS, Facultates Religiosorum, 74-75. Cfr. anche PUGLIESE,

Commentarius ad rescriptum, 443.


87 Cfr. BELLUCO, Facultates Superiorum, 92. Cfr. BUIJS, Facultates

Religiosorum, 77. TORRES, Commentarium in Rescriptum, 232 ss.


88 Cfr. PUGLIESE, Commentarius ad rescriptum, 444.
Cap. II - Dal CIC 17 al Concilio Ecumenico Vaticano II
143

È la stessa facoltà che era stata accordata ai Vescovi in


Pastorale munus, n. 32 e delega al Moderatore supremo la
possibilità di rilasciare la licenza (precedentemente di com-
petenza della Santa Sede) prevista nei cann. 534, 1531-
1533, fino al tetto massimo stabilito dalla Conferenza
Episcopale, e la licenza per le condizioni di peggioramento
della situazione patrimoniale (debiti).89 Non rientrano nel-
l’ambito della facoltà le alienazioni di oggetti preziosi o ar-
tistici, di reliquie preziose o di doni votivi, i quali continua-
no ad essere regolati dal diritto comune ai cann. 1532,
1281 §1.90 Si tratta, perciò di una facoltà che non dispen-
sa dall’osservanza della legge, come le precedenti, ma che
ne modifica l’attuazione. È concessa pure ai Superiori ge-
nerali degli Istituti secolari clericali di pari grado.
Potrà sorgere il problema, per gli Istituti presenti in più
Conferenze Episcopali, su quale dovrà essere la norma da
osservare per rilasciare il permesso: se quella della Confe-
renza della casa generalizia, quella del territorio dove ha
sede la persona giuridica che aliena, o le altre che si rife-
riscono al bene da alienare. Si può affermare con sufficien-
te sicurezza che il Moderatore supremo potrà concedere
alienazioni e altri atti alle persone giuridiche dell’Istituto
secondo i limiti fissati dalle Conferenze dove tali persone
siano situate. In caso di dubbio, sarà sufficiente applicare
il principio giuridico locus regit actus.91

89 Come fa notare FUERTES, Commentarium in Rescriptum, 231, “be-


neplacitum seu licentia non significat quod Superior assumat respon-
sabilitatem negotii, sed est actus auctorizationis ad validitatem neces-
sarius”.
90 Sono questi infatti bona ecclesiastica, la cui alienazione è proibita

e regolata dalla Santa Sede. Cfr. BUIJS, Facultates Religiosorum, 76-77.


91 Cfr. GAMBARI, Speciali facoltà, 5(1965), 25-27; BUIJS, Facultates

Religiosorum, 84.
La potestà di governo nella vita consacrata
144

Altro problema riguarda se il limite circa i debiti con-


tratti riguardi i singoli debiti presi indipendentemente o se
si debba considerare la somma complessiva dei debiti. La
facoltà sembra fare riferimento ai singoli debiti contratti e
non si tratterà allora di cumulo di debiti. Ma i debiti con-
tratti dalla singola persona giuridica simultaneamente de-
vono essere considerati come una unità che, se può rice-
vere licenza unica, parimenti viene considerata come una
somma globale ed un unico atto giuridico.92
Circa il soggetto passivo, il Moderatore supremo potrà
rilasciare licenze per tutto l’Istituto, per le Province, per
ogni casa dell’Istituto e ogni persona giuridica dello stesso
capace economicamente, ma non per persone fisiche. La
licenza sarà comunque vincolata al consensus sui Consilii,
anche quando si tratti di un atto effettuato dal Superiore
stesso.93 Nel caso dei monasteri, in cui vi è maggiore auto-
nomia economica, l’Abate primate o il Preside potranno
richiedere una relazione sullo stato economico della casa a
cui vincolare la licenza.94 Si è inoltre soggetti ancora alle
altre norme in materia economica, che prescrivono l’osser-
vanza del diritto civile se non è contrario al diritto divino
e canonico (can. 1529), la cooperazione nel caso di alie-
nazioni di beni mobili ed immobili da parte di periti pro-
vati (can. 1530 §1, 1°), la giusta causa di urgente necessi-
tà o di evidente utilità per la Chiesa o la pietà (can. 1530
§1, 2°), l’alienazione ad un prezzo non inferiore a quello
estimato (can. 1531 §1).95

92 Cfr. FUERTES, Commentarium in Rescriptum, 231; GAMBARI, Spe-


ciali facoltà, 5(1965), 28.
93 Cfr. FUERTES, Commentarium in Rescriptum, 236-237.
94 Cfr. GAMBARI, Speciali facoltà, 5(1965), 29.
95 Cfr. BUIJS, F acultates Religiosorum, 80; BELLUCO, Facultates Supe-

riorum, 91-93; GAMBARI, Speciali facoltà, 5(1965), 30.


Cap. II - Dal CIC 17 al Concilio Ecumenico Vaticano II
145

È necessario che la concessione sia fatta per iscritto, in


modo da poterla provare. Tale concessione può essere fat-
ta in forma graziosa o commissoria. L’usanza che era vigen-
te presso la Congregazione per i Religiosi era quella della
forma commissoria; doveva essere sempre presente una
causa giustificante; inoltre non si doveva alienare ad un
prezzo inferiore a quello proposto da persone competenti;
il ricavato doveva essere devoluto ai fini della Chiesa, cer-
cando sempre di non diminuire il patrimonio della stessa;
si imponeva per la validità di non alienare a persone che
avrebbero usato i beni contro la Chiesa o per fini illeciti
(anzi, di alienare preferibilmente all’Ordinario del luogo se
il bene potesse essere stato di suo interesse, privilegiando-
lo nell’acquisto stesso).96
I mutui, invece, sarebbero consentiti a norma del can.
534, purché (dummodo, è per la validità) vi sia la fondata
speranza di poterli pagare con gli interessi in un periodo
non eccessivo.97 Inoltre, la Santa Sede si esclude da ogni
responsabilità per l’eventuale inadempimento, in quanto
la licenza accordata non corrisponde ad una garanzia di
pagamento (ciò vale anche da parte del supremo Mode-
ratore).98
La facoltà non è delegabile e non può essere data licen-
za ad una sola persona giuridica in una sola volta per cui
la somma dei debiti consentiti superi la somma limite fis-
sata dalla Conferenza Episcopale.99
Parimenti, in Pastorale munus n. 32 si fa riferimento al-
la facoltà del Vescovo di concedere tale licenza con gli
stessi limiti, anche se egli non ha bisogno del consenso di

96 Cfr. BELLUCO, Facultates Superiorum, 90.


97 Cosa poi significhi eccessivo, la dottrina non specifica.
98 Cfr. GAMBARI, Speciali facoltà, 5(1965), 32.
99 Cfr. BUIJS, Facultates Religiosorum, 84; BELLUCO, Facultates Supe-

riorum, 90.
La potestà di governo nella vita consacrata
146

alcun organismo collegiale. Ciò è dovuto al fatto che il


ruolo del Consiglio generale è molto maggiore rispetto a
quello che può avere qualsiasi consiglio del Vescovo.
Quindi, Superiore generale e Vescovo si trovano nella
stessa posizione giuridica, avendo potestà delegata di con-
cedere tale licenza ai propri sudditi. Si può inoltre afferma-
re che chi trascurasse di chiedere permesso alla Santa Sede
oltre la somma fissata dalla Conferenza Episcopale, an-
drebbe contro il disposto del can. 534 §1 e ne subirebbe la
pena nonché la nullità dell’atto stesso.100

10. Permesso per i libri proibiti.


Concedendi suis subditis veniam legendi et retinendi, ita
tamen seposita ne ad aliorum manus perveniant, libros et
ephemerides prohibita, iis non exceptis quae haeresim vel
schisma ex professo propugnent, aut ipsa religionis funda-
menta evertere conentur. Haec autem venia iis dumtaxat
concedi potest, quibus opus sit libros vel ephemerides
prohibita legere, ut aut eadem impugnent, aut fructuosius
munere suo fungantur, aut studiorum curriculum cumula-
tius peragant.

È una facoltà che, dopo la soppressione dell’Indice dei


libri proibiti, avvenuta il 7 dicembre 1965 (solo un anno
dopo la concessione del rescritto Cum admotae) con il m.p.
Integrae servandae,101 perde il proprio originario valore giu-
ridico e rimanda ad una indole più pastorale.

100Cfr. GAMBARI, Speciali facoltà, 5(1965), 34.


101AAS 57(1965), 952-955; cfr. PUGLIESE, Commentarius ad rescrip-
tum, 446. BELLUCO, Facultates Superiorum, 94, cita la notificatio della
Congregazione per la Dottrina della Fede del 14 giugno 1966, AAS
58(1966), 445, tralasciando il ben precedente Integrae Servandae che
già aveva dato disposizioni in merito all’Indice dei libri proibiti.
Cap. II - Dal CIC 17 al Concilio Ecumenico Vaticano II
147

Essa accordava al supremo Moderatore la possibilità di


dare ai propri sudditi la concessione di fare uso di quei li-
bri o riviste che fossero state proibite, cioè che fossero sta-
te elencate nell’Indice dei libri proibiti, a norma dei cann.
1399 e 2318. Era una facoltà riguardante la Congregazione
del Sant’Uffizio. Vi era pure l’obbligo di custodire i libri in
modo che non finissero in mano di terzi.102
Da un confronto con Pastorale munus, 40, notiamo co-
me la facoltà data ai Superiori generali non fosse delega-
bile (anche se si potevano servire dei Superiori maggiori o
locali per mandare ad esecuzione la loro concessione),
mentre quella data ai Vescovi non solo era delegabile, ma
era più propriamente rivolta ai singoli casi, più che alla lo-
ro generalità. Invece, non sembrano essere presenti diffe-
renze circa l’oggetto e le ragioni che giustificherebbero la
concessione.103

11. Facoltà di dare le lettere dimissorie.


Dandi suis subditis litteras dimissorias ad sacros Ordines
recipiendos, servatis de iure servandis: cum nempe de
Religionibus agitur, quae huiusmodi facultate ex iure (can.
964, 2°) non fruuntur.
Quam facultatem, de consensu sui Consilii, subdelegare
possunt ceteris Superioribus maioribus eiusdem Religionis.

102 Cfr. BUIJS, Facultates Religiosorum, 91; TORRES, Commentarium


in Rescriptum, 245. Soggetto passivo erano i sudditi che ne avessero
avuto bisogno per impugnarli o per adempiere più utilmente il proprio
ufficio o per compiere più proficuamente il corso degli studi. Era per-
ciò escluso il semplice studio personale o la curiosità; ciò faceva pre-
supporre un regolare mandato da parte del Superiore per quel partico-
lare uso che ne sarebbe stato fatto. Si poteva dare anche ad un reli-
gioso in quanto ricoprente un particolare ufficio, come poteva essere
quello di bibliotecario.
103 Cfr. GAMBARI, Speciali facoltà, 6(1965), 27-28.
La potestà di governo nella vita consacrata
148

È la facoltà di concedere le lettere dimissorie per tutti


gli ordini ai propri sudditi. Per lettere dimissorie si inten-
dono quei «documenta quibus legitimus Superior religio-
sus concedit subdito professo facultatem recipiendi ordi-
nes, simulque testatur eundem praeditum esse omnibus iis
quae a sacris canonibus postulantur ad licitam ordinatio-
nem».104 Vi è perciò attestata la loro qualità ed idoneità.
Vengono solitamente date all’Ordinario del luogo in cui è
situata la casa religiosa dell’ordinando. 105
Soggetto attivo per il can. 964, 2° sono tutti i Superiori
maggiori delle Religioni maschili esenti, sia per diritto
(can. 615) sia per privilegio speciale (can. 618 §1). La mag-
gior parte delle Congregazioni clericali, non esenti, di di-
ritto pontificio, godono di questa facoltà per speciale privi-
legio o per approvazione da parte della Santa Sede delle lo-
ro costituzioni. Tale facoltà è inoltre delegabile, con il con-
senso del Consiglio, ai Superiori maggiori. Ne vengono a
godere, perciò, tutti gli Istituti clericali di diritto pontificio
anche non esenti (se avevano già maggiori facoltà le con-
servano), le Società senza voti pubblici di diritto pontificio,
gli Istituti secolari clericali di diritto pontificio.106 Soggetti
passivi sono invece i sudditi che devono essere ammessi ai
gradi dell’ordine, a condizione che non abbiano alcun im-
pedimento e che soddisfino tutti i requisiti.107
Chiaramente questa facoltà non trova un parallelo in
Pastorale munus, ma è la prova più evidente che «l’Istituto

104 CAPPELLO F., Tractatus canonico-moralis de Sacramentis. De Sacra

Ordinatione, Vol. IV, Roma 19513, 344.


105 Cfr. FUERTES, Commentarium in Rescriptum, 315; TABERA

ARAOZ, Derecho de los Religiosos, 353; PUGLIESE, Commentarius ad re-


scriptum, 447.
106 Cfr. par. 2.3.1; BUIJS, Facultates Religiosorum, 15-16. FUERTES,

Commentarium in Rescriptum, 321; BELLUCO, F acultates Superiorum,


100.
107 Cfr. BUIJS, Facultates Religiosorum, 96.
Cap. II - Dal CIC 17 al Concilio Ecumenico Vaticano II
149

religioso clericale per i propri membri tiene il posto della


diocesi».108 Dunque, anche agli Istituti non esenti è data
la stessa potestà propria degli Istituti esenti non in virtù
dell’esenzione stessa, quanto piuttosto della loro struttura
clericale.

12. Facoltà di concedere la giurisdizione delegata per


ascoltare le confessioni dei propri sudditi.

Concedendi non modo sacerdotibus subditis suis, sed


etiam ipsis cuiusvis ritus sacerdotibus vel e clero saecula-
ri vel ex alia Religione, a suo Ordinario vel a suo Supe-
riore Maiore approbatis, iurisdictionem delegatam ad au-
diendas confessiones religiosa vota professorum, novitio-
rum aliorumque, de quibus in can. 514 §1 CJC [17] et
can. 46 §1 Litterarum Apostolicarum Postquam Aposto-
licis Litteris motu proprio datarum die IX februarii anno
MCMLII; cum scilicet de Religionibus agitur, quae huiu-
smodi facultate ex iure (can. 875 §1 CJC [17]) non fruun-
tur.
Quam facultatem, de consensu sui Consilii, subdelegare pos-
sunt non solum ceteris Superioribus maioribus, sed etiam
Superioribus singolarum domorum eiusdem Religionis.

È una facoltà che compete per il diritto stesso ai


Superiori delle Religioni clericali esenti109 e che per una
speciale delega apostolica viene ora concessa mediante il
rescritto Cum admotae anche ai Superiori generali delle
Religioni, delle Società, degli Istituti clericali di diritto

108GAMBARI, Speciali facoltà, 6(1965), 30.


109Can. 875 §1: “In religione clericali exempta ad recipiendas con-
fessiones professorum, novitiorum aliorumve de quibus in can. 514 §1,
iurisdictionem delegatam confert quoque proprius eorundem Superior,
ad normam constitutionum cui fas est eam concedere etiam sacerdo-
tibus ex clero saeculari aut alio religionis”.
La potestà di governo nella vita consacrata
150

pontificio non esenti.110 Infatti, secondo il CIC 17, i


Moderatori supremi degli Istituti di diritto pontificio non
esenti non potevano porre atti di giurisdizione di governo
e di disciplina interna, concessione che è stata loro data
con la facoltà n. 13 di questo rescritto, ponendoli sullo
stesso piano dei Superiori maggiori delle Religioni (natu-
ralmente in questa potestà viene pure inclusa la facoltà di
ascoltare le confessioni dei sudditi, così come è attribuito
per diritto nel can. 873 §2 ai «Superiores religiosi exempti
pro suis subditis, ad normam constitutionum»).111
Tale giurisdizione può essere data sia ai sacerdoti del
proprio Istituto sia ad altri esterni, secolari o consacrati, di
qualsiasi rito cattolico. Lo stesso Superiore generale può
attribuire questa giurisdizione sia a proprio favore che a se
stesso.112 Egli può anche attribuirla a tutti i sacerdoti del-
la propria Religione con una concessione generale. In al-
cuni Istituti di diritto pontificio non esenti, poi, tale facol-
tà era già stata concessa per indulto, anche se a volte era
stata limitata ai soli sacerdoti della propria Congregazione.
Tuttavia, nel caso di sacerdoti esterni all’Istituto, vi è la
condizione che siano già stati approvati dal proprio Vesco-
vo (se sono secolari) o dal proprio Superiore maggiore (se
religiosi). Ciò significa che tali sacerdoti devono già pos-

110 Cfr. FUERTES, Commentarium in Rescriptum, CpR 45(1966), 45;


BUIJS, Facultates Religiosorum, 101; BELLUCO, F acultates Superiorum, 104.
111 Cfr. PUGLIESE, Commentarius ad rescriptum, 448-449. Appare

perciò in certo senso superflua la fac. 12. Così anche GAMBARI, Speciali
facoltà, 31: “il Superiore generale gode della giurisdizione per le con-
fessioni in forza del n. 13 che include tale potere dato ai Superiori
maggiori esenti in forza del can. 873 §2”. BUIJS, Facultates Religiosorum,
105, nota come il testo del rescr. pont. distribuito presso l’aula conci-
liare non concedesse giurisdizione suddelegabile, ma fosse propria so-
lo del Moderatore supremo.
112 Cfr. GAMBARI, Speciali facoltà, 6(1965), 31.
Cap. II - Dal CIC 17 al Concilio Ecumenico Vaticano II
151

sedere la facoltà per ascoltare le confessioni, o per diritto


o per concessione fatta dalla competente autorità.113
La giurisdizione viene data in favore delle persone che
dimorano durante l’intero arco della giornata nella casa re-
ligiosa (anche se la confessione non deve necessariamente
avvenire nella casa religiosa, perché segue il principio del-
la personalità degli Istituti religiosi, non quello della terri-
torialità), sia per motivi scolastici, sia per malattia, sia co-
loro che vi lavorano o chi vi cerchi ospitalità, a norma del
can. 514 §1.114 Tra questi sono perciò esclusi coloro che
facciano parte di associazioni legate all’Istituto e le religio-
se e novizie facenti capo allo stesso.115
Come emerge dalla clausola di suddelegabilità, la con-
cessione è delegabile ai Superiori maggiori e pure ai
Superiori locali (unico caso di suddelega ampia nel rescrit-
to) entro i limiti della propria giurisdizione, avendo co-
munque il consenso del proprio Consiglio generale.116

113 Cfr. FUERTES, Commentarium in Rescriptum, 46.


114 “In omni religione clericali ius et officium Superioribus est per
se vel per alium aegrotis professis, novitiis, aliisve in religiosa domo
diu noctuque degentibus causa famulatus aut educationis aut hospitii
aut infirmae valetudinis, Eucharisticum Viaticum et extremam unctio-
nem ministrandi”.
115 Cfr. GAMBARI, Speciali facoltà, 6(1965), 31-33. L’autore fa anche

notare come la facoltà debba essere data per iscritto, in maniera da po-
terne determinare il tempo e per quali persone sia stata data.
116 Cfr. BUIJS, Facultates Religiosorum, 105; FUERTES, Commentarium

in Rescriptum, CpR 45(1966), 49; BELLUCO, Facultates Superiorum, 104-


105. Come la facoltà n. 11, anche questa attribuisce ai Superiori ge-
nerali degli Istituti clericali di diritto pontificio sempre maggiore giu-
risdizione, assimilando l’Istituto stesso ad una diocesi in tutto ciò che
concerne il regime interno allo stesso (infatti, come la diocesi si esten-
de in ambito territoriale, l’Istituto si estende in ambito personale me-
diante e sopra tutti i suoi sudditi). La potestà di giurisdizione, propria
solo degli Ordinari, sta ora venendo estesa anche ad altri soggetti del-
l’ordinamento canonico che non sono investiti di tale potere così am-
pio e che devono perciò essere compresi sotto un altro punto di vista.
La potestà di governo nella vita consacrata
152

13. Facoltà di porre atti di giurisdizione per il regime


interno, a modo degli Istituti esenti.

Ponendi actus iurisdictionis pro regimine et disciplina in-


terna ad instar Superiorum Maiorum Regularium, salva
semper dependentia ab Ordinariis locorum ad normam
iuris canonici; cum scilicet de Religionibus agitur, quae
huiusmodi facultate ex iure (cann. 501 §1, 198 §1) non
fruuntur.
Quam facultatem, de consensu sui Consilii, ceteris Supe-
rioribus maioribus suae Religionis subdelegare possunt.

È la facoltà più importante per l’oggetto del nostro stu-


dio. Viene richiamato espressamente il can. 501 §1 che af-
ferma che i Superiori ed i capitoli delle Religioni esenti
hanno potestà di giurisdizione.117
Ad essere rigorosi, la potestà di giurisdizione (regolata
appunto dal can. 501 §1) non si identifica con il privile-
gio della esenzione (che viene invece regolamentato al
can. 615 nel capitolo dei privilegi): vi sono infatti Istituti
che non godono dell’esenzione ma che hanno potestà di
giurisdizione. Tale giurisdizione è pure delegabile ai Supe-
riori maggiori e vale tanto per il foro interno118 che per il
foro esterno.
Come abbiamo notato nei capitoli precedenti, la pote-
stà con cui i Superiori reggono gli Istituti si dice domina-
tiva; negli Istituti clericali esenti però vi è anche potestà
di giurisdizione per diritto che permette di usare forme au-
tonome di governo interno rispetto agli Istituti non esen-
ti, costretti a ricorrere all’Ordinario del luogo per numero-
si atti di potestà.119

117 Cfr. GAMBARI, Speciali facoltà, 6(1965), 34.


118 Si rimanda alla facoltà n. 12.
119 Cfr. GAMBARI, Speciali facoltà, 6(1965), 34-35. Occorre spiegare

brevemente cosa si intenda per regime interno. Esso infatti si caratteriz-


Cap. II - Dal CIC 17 al Concilio Ecumenico Vaticano II
153

Con la facoltà n. 13 viene assimilata la potestà degli


Istituti non esenti a quella degli Istituti esenti e quindi dei
Superiori maggiori Regolari, con il relativo diritto di por-
re in essere quegli atti di giurisdizione che sono a questi ul-
timi riservati. Il diritto particolare potrà poi limitare que-
sta potestà subordinata al consenso del Consiglio o ad
esclusivo esercizio del Superiore generale. Circa la potestà
legislativa, è da escludere che il rescritto conceda ai supre-
mi Moderatori degli Istituti non esenti la facoltà di pre-
scrivere norme permanenti, in quanto il diritto dà questa
potestà solo ai Capitoli. Invece possono esercitare la pote-
stà giudiziaria per quanto è di loro competenza in prima
istanza (cann. 1579, 1571).120

za per il particolare fine che l’Istituto possiede e per il modo che ha di


portarlo nel mondo, cioè formando (non è un caso che il Concilio
Ecumenico Vaticano II abbia insistito molto sulla formazione dei reli-
giosi, vd. Renovationis Causam) e mandando i suoi membri ad operare
nel “campo della messe”. Però, per quanto riguarda l’azione nel mondo,
l’Istituto è sempre inserito in una diocesi e quindi in una Chiesa loca-
le. Ecco perché il regime interno è normalmente regolato dal Superiore
interno, sia per quanto riguarda il governo dell’Istituto, sia per lo svol-
gimento della vita religiosa, sia per le persone fisiche che per le perso-
ne morali; l’azione esterna, invece, è regolata insieme con l’autorità cui
la diocesi fa capo, cioè l’Ordinario del luogo, il Vescovo diocesano. I due
ambiti sono molto uniti e spesso possono confondersi i limiti dell’uno e
quelli dell’altro. Se è regime interno tutto ciò che non compete alla sfe-
ra di giurisdizione del Vescovo, tutto ciò che non vi fa parte è esterno
e da esso regolato a norma dei cann. 355 e seguenti. Il regime e la di-
sciplina interna sono regolati dalle Costituzioni (cui il Concilio ha fat-
to seguire una riforma secondo le norme emanate in ossequio al decre-
to Perfectae Caritatis) degli Istituti e il religioso vive secondo la vita che
in esse è proposta, essendo incorporato all’Istituto stesso.
120 Cfr. BUIJS, Facultates Religiosorum, 107; FUERTES, Commentarium

in Rescriptum, CpR 45(1966), 63. GAMBARI, Speciali facoltà, 6(1965),


37: Perciò, “i Superiori generali, di cui nel rescritto, vengono assimi-
lati a quelli per il godimento della potestà di giurisdizione nei casi ri-
ferentisi al regime e alla disciplina interna. Per detti casi la potestà di
giurisdizione è una necessità e non un privilegio” .
La potestà di governo nella vita consacrata
154

Ciò non toglie che il Vescovo mantenga le sue compe-


tenze e le sue facoltà. Infatti, la potestà deve essere eserci-
tata «salva semper dependentia ab Ordinariis locorum ad
normam iuris canonici», vale a dire che i Vescovi eserci-
tano ancora la loro potestà sui religiosi per quanto riguar-
da il loro ufficio, cioè il regime e la disciplina della dioce-
si e dei fedeli nel suo territorio. È il caso del can. 618 §2
(soprattutto il 2°), in cui viene definito dove il Vescovo
non può esercitare giurisdizione per le Religioni clericali o
laicali di diritto pontificio.121
Ma già nell’Istruzione circa la sacra Liturgia (26 settem-
bre 1963, artt. 63, 86) i Superiori Maggiori delle Religioni
e delle Società di vita comune clericali erano stati equipa-
rati agli Ordinari per la facoltà di dispensare dalla recita
del Breviario e di permettere di recitarlo in volgare. Oltre
a ciò, erano equiparati agli Ordinari perché veniva loro
concesso giudicare l’opportunità della concelebrazione (se
clericali) nei proenotanda del messale. Anche questo è
espressione della sempre maggiore assimilazione degli
Istituti clericali alla diocesi per quanto riguarda i membri
dell’Istituto stesso.
La potestà di giurisdizione data dal rescritto Cum admo-
tae si va a sovrapporre alla potestà dominativa dei Mode-

121 “In religionibus tamen iuris pontificii Ordinario loci non licet:
1° Constitutiones ullatenus immutare aut de re oeconomica cognosce-
re, salvo praescripto can. 533-535; 2° Sese ingerere in regimen inter-
num ac disciplinam, exceptis casibus in iure expressis; nihilominus in
religionibus laicalibus ipse potest ac debet inquirere num disciplina ad
constitutionum normam vigeat,num quid sana doctrina morumve pro-
bitas detrimenti ceperit, num contra clausuram peccatum sit, num
Sacramenta aequa stataque frequentia suscipiantur; et, si Superiores de
gravibus forte abusibus admoniti opportune non providerint, ipse per
se consulat; si qua tamen maioris momenti occurrant, quae moram
non patiantur, decernat statim; decretum vero ad Sanctam Sedem de-
ferat”.
Cap. II - Dal CIC 17 al Concilio Ecumenico Vaticano II
155

ratori non esenti, abbracciando governo, ordinamento e


svolgimento della vita religiosa dei membri e delle perso-
ne giuridiche. Essa rafforza ed, anzi, estende la potestà dei
Moderatori supremi nel regime interno e la disciplina ma
non diminuisce l’autorità ed i diritti del Vescovo diocesa-
no.122 Tale giurisdizione può essere esercitata solo sui sud-
diti (come emerge chiaramente dall’espressione «pro regi-
mine et disciplina interna») secondo tutte le materie che
riguardano l’autorità del Moderatore supremo.
Non vi sono condizioni, se non quelle poste dal diritto
comune circa la giurisdizione delegata, secondo i cann.
196-209. Essa inoltre è suddelegabile a tutti i Superiori
maggiori del proprio Istituto con il consenso del proprio
Consiglio, rendendo così anche la potestà dei Superiori
maggiori più estesa. Essa può essere delegata totalmente o
parzialmente (potendo quindi riservarsi certi atti che ri-
tenga più importanti).123
Tale estensione concerne: l’uso di sanzioni canoniche
(cann. 2220 §1, 2306); la remissione delle pene canoniche
pubbliche secondo le limitazioni del can. 2237 §1, 2°; di-
chiarare pene latae sententiae (can. 2223 §4) e rimettere
pene da loro stessi applicate (can. 2236 §1) o pene nei ca-
si occulti non riservati alla Santa Sede (can. 2237 §2); la
dispensa dalle irregolarità per un delitto occulto, secondo
le limitazioni del can. 990 §1;124 la dispensa dalle leggi ec-
clesiastiche in caso di dubbio (can. 81); dare precetti a
norma del can. 24 e concedere rescritti ai sudditi (can.
36); la dispensa da leggi irritanti e inabilitanti in dubio fac-

122Cfr. FUERTES, Commentarium in Rescriptum, in CpR 45(1966),


65-66; BUIJS, Facultates Religiosorum, 108; BELLUCO, Facultates
Superiorum, 109; GAMBARI, Speciali facoltà, 6(1965), 39.
123 Cfr. BUIJS, Facultates Religiosorum, 108.
124 Vd. per quanto riguarda la potestas punitiva, F UERTES ,

Commentarium in Rescriptum, in CpR 45(1966), 68-69.


La potestà di governo nella vita consacrata
156

ti (can. 15); la dispensa dalle leggi generali della Chiesa in


caso urgente, secondo le limitazioni del can. 81;125 istitui-
re un tribunale per dirimere questioni tra persone fisiche o
morali dell’Istituto;126 il permesso di leggere libri proibiti
nei casi urgenti (cann. 1402 §1; facoltà concessa ex. n. 10
e successivamente dal m.p. Integrae Servandae); la giurisdi-
zione per le confessioni (cann. 873, 875); la dispensa dai
giorni festivi (can. 1245 §3), dall’astinenza e dal digiuno
(can. 1313), dai voti non riservati e dal giuramento (can.
1370); il permesso di erigere oratori semipubblici (can.
1192); la facoltà di predicare (can. 1338).127

È questa facoltà che ha dato vita alla riforma del dirit-


to dei religiosi. Il Romano Pontefice vi ha affermato il ca-
rattere pratico della potestà di giurisdizione accordata agli
Istituti clericali di diritto pontificio per un governo più di-
retto. Ecco perché i Moderatori supremi degli Istituti a vo-
ti semplici vengono equiparati ai Superiori maggiori
Regolari, almeno per quanto riguarda la disciplina ed il re-
gime interno, l’incorporazione dei soggetti, le lettere di-
missorie, l’amministrazione dei beni. Questo era in parte
già stato concesso nella Postquam Apostolicis Litteris (9 feb-
braio 1952) con il Codice per le Chiese orientali al can.
26 §2, 2° dove si attribuiva giurisdizione ecclesiastica in
entrambi i fori per gli Istituti non esenti.128
Viene alla luce una nuova forma di potestà di giurisdi-
zione, senza esenzione. Se in passato potestà di giurisdizio-
ne ed esenzione venivano attribuite nello stesso momen-

125 Vd. per quanto riguarda la potestas circa leges Ecclesiae, FUERTES,

Commentarium in Rescriptum, in CpR 45(1966), 66-67.


126 Cfr. BELLUCO, Facultates Superiorum, 111.
127 Cfr. GAMBARI, Speciali facoltà, 6(1965), 39-40.
128 Cfr. BUIJS, Facultates Religiosorum, 108-109; GAMBARI, Speciali

facoltà, 6(1965), 41.


Cap. II - Dal CIC 17 al Concilio Ecumenico Vaticano II
157

to, quasi che fossero due facce di un’unica medaglia, ora


non più. Infatti, con il rescritto si vuole rendere più rapi-
do il governo interno dell’Istituto, non togliere facoltà ai
Vescovi diocesani; quindi le due figure giuridiche vengono
scisse. Ciò apre pure la via ad una nuova interpretazione
dell’istituto dell’esenzione, non più vista come un privile-
gio, ma come una necessità di regime interno della Con-
gregazione, la quale esiste per la Chiesa intera e per que-
sto dipende dai Superiori interni e dal Romano Pontefice.
Continua ad essere competenza del Vescovo l’azione pa-
storale dei religiosi sui fedeli del posto e sulla Chiesa loca-
le; non così invece quando si tratti della vita interna e del-
l’apostolato universale.
Secondo il CIC 17, can. 198 §1:

In iure nomine Ordinarii intelliguntur, nisi quis expresse


excipiatur, praeter Romanum Pontificem, pro suo quisque
territorio Episcopus residentialis, Abbas vel Praelatus nul-
lius eorumque Vicarius Generalis, Administrator, Vicarius
et Praefectus Apostolicus, itemque ii qui praedictis defi-
cientibus interim ex iuris praescripto aut ex probatis con-
stitutionibus succedunt in regimine, pro suis vero subdi-
tis Superiores maiores in Religionibus clericalis exemptis.

Non sono Ordinari a norma del diritto i Moderatori su-


premi delle Congregazioni clericali non esenti, né delle
Congregazioni laicali esenti e non esenti, o delle Società
clericali senza voti pubblici di diritto pontificio i cui mem-
bri vivano in comune né degli Istituti secolari clericali di
diritto pontificio. Anche con il rescritto e le facoltà da es-
so concesse permane la difficoltà a chiamarli Ordinari per-
ché la potestà che viene loro conferita è delegata.
Tuttavia, qui importa il fatto che la potestà che viene lo-
ro concessa è quella di cui mancano e che normalmente è
data ai Moderatori supremi delle Religioni esenti. Si po-
trebbe paragonare la loro potestà a quella di un Ordinario
La potestà di governo nella vita consacrata
158

del luogo che però non abbia l’ordine episcopale e che per
gli atti che richiedono tale ordine dovesse ricorrere quin-
di ad un Vescovo.129
In questa facoltà sono contenute pure le facoltà nn. 11
e 12, che perciò spettavano per diritto ai Superiori mag-
giori delle Religioni clericali esenti. È la maggiore concre-
tizzazione riguardo ai religiosi di quel principio di sussidia-
rietà affermato da Giovanni XXIII e ribadito nel Concilio
Ecumenico Vaticano II dai padri conciliari che sa cogliere
i ‘segni dei tempi’ (è pur vero che in passato con l’erezio-
ne di una Religione veniva automaticamente conferita pu-
re la potestà di giurisdizione ad essa necessaria).130

14. Facoltà di dispensare dai voti temporanei.


Restituendi, de consensu sui Consilii, subditos suos tem-
poraria vota professos in saecularem condicionem, ita ut
hi ad saeculum, quod vocant, redire libere et licite pos-
sint, ad normam sive can. 640 §1, 1° et 2° CJC [17], si-
ve can. 191 §1 Litterarum Apostolicarum Postquam
Apostolicis Litteris.

Si tratta di una facoltà (assieme alla n. 9) concessa an-


che ai Moderatori supremi degli Istituti secolari clericali di
diritto pontificio. La potestà di dispensare dai voti tempo-
ranei dei religiosi era riconosciuta agli Ordinari del luo-
go.131 È ora concessa anche a tutti i Superiori generali cle-
ricali di diritto pontificio di secolarizzare i propri sudditi

129 Cfr. FUERTES, Commentarium in Rescriptum, in CpR 45(1966),


64.
Cfr. GAMBARI, Speciali facoltà, 6(1965), 43.
130

Secolarizzazione è “solutio vinculi quod religiosum ligabat cum


131

Religione, et subsequens cessatio votorum”; FUERTES, Commentarium


in Rescriptum, 171.
Cap. II - Dal CIC 17 al Concilio Ecumenico Vaticano II
159

professi temporanei: a norma del can. 647 §1,132 è


un’estensione del diritto dei Superiori di dimettere i pro-
pri sudditi.
I Superiori generali possono secolarizzare i membri pro-
fessi temporanei dell’Istituto procedendo per via ammini-
strativa o disciplinare se il professo non voglia andarse-
ne,133 oppure con la semplice accettazione della richiesta
del professo (in questo caso si suppone che la dispensa dai
voti temporanei sia richiesta volontariamente e libera-
mente dal religioso professo temporaneo e che sia da lui
accettata liberamente). Sono modi diversi per sciogliere
ipso iure i voti temporanei.134
La facoltà è condizionata dal consenso del Consiglio
generale e non è suddelegabile.135

132 “Professum a votis temporariis sive in Ordinibus sive in


Congregationibus iuris pontificii dimittere potest supremus religionis
Moderator vel Abbas monasterii sui iuris cum consensu sui cuiusque
Consilii per secreta suffragia manifestato, vel, si agatur de monialibus,
Ordinarius loci et, si monasterium sit regularibus obnoxium, Superior
regularis, postquam monasterii Antistita cum suo Consilio fidem de
causis scripto fecerit; in Congregationibus vero iuris dioecesani,
Ordinarius loci in quo religiosa domus sita est, qui tamen iure suo ne
utatur Moderatoribus insciis vel iuste dissentientibus”.
133 Cfr. FUERTES, Commentarium in Rescriptum, 174, afferma che la

secolarizzazione è solo volontaria, perciò non si può far rientrare in


questa facoltà la dimissione coatta. Tuttavia, sembra valida l’opinione
di altri autori (BUIJS, Facultates Religiosorum, 111; BELLUCO, Facultates
Superiorum, 115; PUGLIESE, Commentarius ad rescriptum, 452) secondo
cui in questa facoltà si parla di saecularem condicionem, non del mon-
do in cui i religiosi vi arrivino.
134 Cfr. BUIJS, Facultates Religiosorum, 111; BELLUCO, Facultates

Superiorum, 115-116.
135 Cfr. PUGLIESE, Commentarius ad rescriptum, 452-453.
La potestà di governo nella vita consacrata
160

15. L’assenza dalla casa religiosa.


Permittendi, de consensu sui Consilii, propriis subditis, ut
iusta de causa a domo religiosa non ultra annum absint.
Quae venia, si infirmitatis gratia detur, usquedum neces-
sitas perdurabit dari potest; si vero obeundi opera aposto-
latus gratia, etiam ultra annum, iusta de causa, dare po-
test; dummodo et obeunda apostolatus opera cum finibus
Religionis coniungantur, et normae sive iuris communis,
sive iuris particularis serventur.
Quam facultatem, de consensu sui Consilii, subdelegare
possunt ceteris Superioribus maioribus, qui tamen ea uti
nequeunt, nisi suo ipsorum Consilio consentiente.

Afferma Graziano, «sicut piscis sine aqua caret vita, ita


sine Monasterio monachus».136 È perciò compito del
Superiore vigilare perché il religioso viva nella casa reli-
giosa e vi faccia vita comune.
A norma del can. 606 §2, i Superiori possono permet-
tere ai propri sudditi di vivere un determinato periodo di
tempo al di fuori della casa religiosa ma solo per una giu-
sta e grave causa, come può essere per motivi di salute, di
apostolato o altro. Ma per periodi superiori ai sei mesi, oc-
corre sempre la licenza della Sede Apostolica, a meno che
non sia per motivi di studio. L’assenza dalla casa religiosa
non si deve confondere con l’esclaustrazione a tempo de-
terminato o indeterminato, poiché in quest’ultima il reli-
gioso si separa temporaneamente dal proprio Istituto, an-
che se rimane obbligato all’osservanza dei voti e delle ob-
bligazioni assunte con la professione. Con l’extra claustra,
il religioso deve deporre l’abito e, se sacerdote, potrà tene-
re l’abito di sacerdote secolare; inoltre, perde il diritto di

136 C. 16, q. 1, c. 8.
Cap. II - Dal CIC 17 al Concilio Ecumenico Vaticano II
161

voce attiva e passiva nel proprio Istituto durante l’indul-


to.137
Con l’assenza dalla casa religiosa, invece, il religioso
dovrà osservare i voti e le obbligazioni sorte con la profes-
sione religiosa, ma pure dovrà continuare ad indossare
l’abito (salvo che l’utilità pastorale non suggerisca altro),
e gli permangono i diritti di voce attiva e passiva nell’Isti-
tuto. Il Superiore durante l’assenza è tenuto a vigilare sul
religioso ed, eventualmente, a richiamarlo per punirlo in
eventuali colpe gravi, giacché rimane sempre sottomesso
all’autorità del Superiore. Inoltre, il Vescovo della diocesi
in cui risieda il religioso può proibire allo stesso soggetto
di celebrare i sacramenti.138
La facoltà in esame aumenta la potestà del Superiore
generale per concedere il periodo di assenza da sei mesi ad
un anno, permanendo tuttavia le condizioni che vi sia una
giusta causa. Nel caso che si tratti di assenza per cure me-
diche, può essere data fintantoché perdurino le stesse, a
giudizio dei medici. Per assenza a motivo di apostolato, si
può concedere la stessa per oltre un anno, purché i fini
dell’apostolato siano legati ai fini dell’Istituto.139
Condizione generale per tutte le cause è che vi sia il
consenso del Consiglio del Superiore.
La facoltà è suddelegabile agli altri Superiori maggiori.
Può essere loro data integralmente o con restrizioni ed es-
si, nel concederla, dovranno sempre avere il consenso del
proprio Consiglio.140

137 Cfr. OCHOA, Commentarium in Rescriptum, 329.


138 Cfr. PUGLIESE, Commentarius ad rescriptum, 454-455; OCHOA,
Commentarium in Rescriptum, 341-342.
139 BUIJS, Facultates Religiosorum, 117-118, afferma che se i motivi so-

no diversi dall’apostolato, dalla malattia, dallo studio, il Superiore può


concedere periodi più lunghi purché interrotti al dodicesimo mese.
140 Cfr. PUGLIESE, Commentarius ad rescriptum, 456; BELLUCO, Facul-

tates Superiorum, 122.


La potestà di governo nella vita consacrata
162

16. Facoltà di rinunciare ai propri beni volontariamente.

De consensu sui Consilii, concedendi suis subditis vota


simplicia professis, id rationabiliter petentibus, faculta-
tem cedendi sua bona patrimonialia, iusta de causa, ex-
ceptis bonis necessariis ad sustentationem religiosi in ca-
su discessus a Religione.
Quam facultatem, de consensu sui Consilii, subdelegare
possunt ceteris Superioribus maioribus, qui tamen ea uti
nequeunt, nisi suo ipsorum Consilio consentiente.

A norma del can. 581 §1, il professo di voti semplici di


un Ordine non può rinunciare validamente ai propri beni
patrimoniali, se non sessanta giorni prima della professio-
ne solenne (salvo particolari indulti della Santa Sede) e
certamente sub conditione secuturae professionis. Lo stesso
principio è affermato per i professi di voti semplici nelle
Congregazioni al can. 583, 1°.
Cedere bona sta ad indicare la volontà di essere disere-
dati dei propri beni e di cedere la proprietà degli stessi in
capo ad altri; vale a dire, traslare in capo ad altri soggetti
i diritti e le azioni circa quegli stessi beni. Perciò le restri-
zioni che sono poste in questa facoltà rispondono all’even-
tualità che il religioso esca dall’Istituto, venga dispensato
dai voti e sia costretto a cercare un lavoro, una casa, ma-
gari senza possedere inizialmente niente e, anzi, dovendo
ridursi a mendicare.141 Per questo, «deficientiae legis cha-
ritas supplere debet».142
Nel caso in cui il soggetto passivo sia una religiosa, si
pone il grave obbligo della restituzione della dote (in caso
vi fosse stata) e di un eventuale sussidio caritativo da con-
segnare come aiuto economico.

141 Cfr. DIEZ, Commentarium in Rescriptum, 371.


142 PUGLIESE, Commentarius ad rescriptum, 458.
Cap. II - Dal CIC 17 al Concilio Ecumenico Vaticano II
163

La facoltà di rinunciare ai propri beni volontariamente


può essere eventualmente seguita da una clausola che per-
metta la restituzione dei beni del professo di voti semplici,
in modo che sia sempre la carità a guidare le azioni dei
Superiori. Inoltre, il Superiore generale è vincolato al con-
senso del suo Consiglio che deve valutare se la giusta cau-
sa persista o sia fittizia. Giusta causa sta ad indicare il de-
siderio di maggior perfezione nel cedere i propri beni e la
testimonianza di amore nell’essere assimilati a Cristo po-
vero, confidenti solo nella Provvidenza divina. 143
La facoltà è inoltre suddelegabile da parte del Modera-
tore supremo con il consenso del Consiglio generale agli
altri Superiori maggiori, i quali rimangono comunque vin-
colati al consenso del loro Consiglio.

17. Facoltà di mutare il testamento prima


della professione.

Concedenti suis subditis vota simplicia professis, ut testa-


mentum suum mutare possint.
Quam facultatem, de consensu sui Consilii, subdelegare
possunt ceteris Superioribus maioribus eiusdem Religionis.

È concesso ai professi di voti semplici di emettere testa-


mento e pure di cambiarlo prima della professione in caso
di necessità. La prassi abituale della Congregazione per i
Religiosi e gli Istituti secolari è quella di concedere prima
della professione di cambiare qualche parte del testamen-
to nel caso si fosse omesso qualcosa o anche subito dopo
la stessa. Dopo la professione, al religioso non è più con-

143 Cfr. BUIJS, Facultates Religiosorum, 128; DIEZ, Commentarium in

Rescriptum, in CpR 45(1966), 369; PUGLIESE, Commentarius ad rescrip-


tum, 459.
La potestà di governo nella vita consacrata
164

cesso di mutare il testamento, se non con il consenso del-


la Santa Sede o, in caso di urgente necessità, del Superiore
maggiore o anche locale (cfr. can. 583, 2°).144
Con questa facoltà viene evitato il dubbio circa la va-
lidità o meno della causa che spinge a mutare il testamen-
to, in caso di necessità.145 Inoltre, non vi è più distinzione
tra professo temporaneo o perpetuo. Non ne usufruiscono
i professi delle Società di vita comune e gli Istituti secola-
ri, perché in essi fare o mutare il testamento è un atto pri-
vato. Si estende invece ai professi di voti semplici, sia per-
petui che definitivi, negli Ordini.146
A condizione che vi sia il consenso del Consiglio gene-
rale, la facoltà può essere suddelegata ai Superiori maggio-
ri della stessa Religione.147

18. Facoltà di trasferire la sede del noviziato.


Transferendi, de consensu sui Consilii, vel in perpetuum
vel ad tempus, sedem novitiatus, ad normam iuris iam
erectam, in aliam domum eiusdem Religionis: praemoni-
to Ordinario loci, ubi sita est domus novitiatus, et serva-
tis de iure servandis.

144 Il testamento deve essere valido anche secondo il diritto civile;


questa facoltà riguarda le Congregazioni religiose e non gli Ordini, in
cui i voti solenni non permettono di possedere alcunché; BUIJS,
Facultates Religiosorum, 129. Tuttavia i novizi potrebbero fare testa-
mento, in quanto nessuno glielo impedirebbe; DIEZ, Commentarium in
Rescriptum, in CpR 46(1967), 60.
145 La vera causa che sottostà a questa facoltà, sarebbe limitare il po-

tere del Superiore per equità e carità; BUIJS, Facultates Religiosorum, 131.
146 Cfr. BUIJS, Facultates Religiosorum, 131. La stessa facoltà non ri-

guarda gli Ordini di rito orientale, in quanto la stessa è già concessa


per diritto.
147 Cfr. PUGLIESE, Commentarius ad rescriptum, 459- 460.
Cap. II - Dal CIC 17 al Concilio Ecumenico Vaticano II
165

A norma del can. 554 §1, l’erezione della casa di novi-


ziato in una Religione di diritto pontificio necessita della
licenza della Sede Apostolica. Allo stesso tempo non si
possono designare più case di noviziato nella stessa Pro-
vincia, se non per grave causa e con indulto della stessa
Sede Apostolica (can. 554 §2). La prassi della Congrega-
zione per i Religiosi, poi, richiede la licenza pure per lo
spostamento della sede del noviziato.148
Ora tale licenza non è più richiesta e viene estesa agli
stessi Moderatori supremi la facoltà di spostare la sede del-
la casa di noviziato. Tuttavia tale facoltà è vincolata ad al-
cune condizioni. Prima di tutte, che vi sia il consenso del
proprio Consiglio generale. In secondo luogo, che si avvi-
si l’Ordinario del luogo in cui si trova la casa di novizia-
to;149 non è per sé necessario avvisare l’Ordinario del luo-
go dove la casa sarà spostata (anche se non sarà sconve-
niente farlo). In terzo luogo, si richiede di osservare le nor-
me stabilite dal diritto, siano esse di diritto comune (cann.
554, 564), siano di diritto particolare (Costituzioni,
Statuti, …).150
Viene compresa in questa facoltà pure la concessione di
passare un tempo determinato fuori della casa di novizia-
to da parte del maestro con i suoi novizi (ad es. per una gi-
ta, una vacanza estiva, gli esercizi spirituali, …). Non è
una facoltà suddelegabile, giacché il Moderatore supremo

148 Cfr. BELLUCO, Facultates Superiorum, 130; BUIJS, Facultates Reli-


giosorum, 131; PUGLIESE, Commentarius ad rescriptum, 460.
149 Trattandosi di un avviso, l’eventuale opposizione del Vescovo

non sarà vincolante, anche se sarà conveniente porre attenzione alle


ragioni dello stesso e giungere ad una soluzione pacifica. BUIJS,
Facultates Religiosorum, 134, afferma la necessità della licenza scritta
dell’Ordinario del luogo nel caso in cui la casa in cui stava il novizia-
to venga convertita ad altri usi implicanti la sua giurisdizione (per es.,
scuole, case di cura, …).
150 Cfr. BELLUCO, Facultates Superiorum, 132.
La potestà di governo nella vita consacrata
166

deve sempre intervenire nell’erezione, trasferimento, sop-


pressione delle case di formazione del proprio Istituto.151

19. Facoltà di confermare per un terzo triennio i


Superiori locali.

Confirmandi, de consensu sui Consilii, ad tertium trien-


nium, Superiores locales, collatis antea consiliis cum
Ordinario loci.

Questa facoltà deroga al can. 505,152 che vale pure per


le Società di vita comune senza voti pubblici, anche se
non hanno case religiose o così definite, essendo formate
da pochi soggetti. Riguarda inoltre i Superiori di case di
formazione scolastica, di ospedali o altre attività apostoli-
che (che naturalmente siano allo stesso tempo Superiori di
un certo numero di religiosi).153
La ratio della normativa canonica è quella di disporre di
un meccanismo che eviti l’abuso d’ufficio da parte di co-
loro che sono chiamati a reggere i religiosi, di evitare dan-
ni e di essere il più possibile vicino alla sensibilità odier-
na. La ratio della facoltà, invece, è più prettamente prati-
ca, riguardante una causa proporzionata quale può essere
quella di gestire una situazione difficile o di mancanza di
soggetti adatti a succedere nell’esercizio dell’ufficio.

151 Cfr. PUGLIESE, Commentarius ad rescriptum, 461.


152 “Superiores autem minores locales ne constituantur ad tempus
ultra triennium; quo exacto possunt ad idem munus iterum assumi, si
constitutiones ita ferant, sed non tertio immediate in eadem religiosa
domo”.
153 Cfr. BELLUCO, Facultates Superiorum, 133. Non rientrano come

soggetti passivi di questa facoltà i Priori dei monasteri benedettini, dal


momento che non sono Superiori locali secondo il senso del can. 505,
né i loro Priori conventuali dei monasteri sui iuris, perché rientrano nel-
la categoria di Superiori maggiori; BUIJS, Facultates Religiosorum, 137.
Cap. II - Dal CIC 17 al Concilio Ecumenico Vaticano II
167

La concessione dell’ulteriore mandato a ricoprire l’uffi-


cio (con il relativo nuovo documento di assunzione) è vin-
colata ad alcune condizioni. Anzitutto, che se ne tratti
con l’Ordinario del luogo.154 Questa prima condizione, co-
me per la facoltà n. 18, non esige il consenso, ma la sen-
sibilità pastorale esorta a giungere ad una soluzione che
possa essere condivisa sia dal Vescovo che dal Superiore
generale. In secondo luogo, che vi sia il consenso del pro-
prio Consiglio.155
Anche se non è espresso nel rescritto, si richiede inol-
tre che il Superiore generale proceda nella concessione se-
condo il diritto particolare, cioè osservando eventuali ele-
zioni o conferme che le Costituzioni o gli Statuti richieda-
no.156
Questa facoltà non è suddelegabile agli altri Superiori
maggiori.

2.5. La costituzione dogmatica Lumen gentium,


cap. VI

La cost. dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium (21 no-


vembre 1964) viene a collocare una trattazione sui religio-
si al cap. VI, subito dopo il capitolo circa l’universale vo-
cazione alla santità nella Chiesa. Essa afferma l’importan-
za dello stato religioso all’interno della sua compagine e ne
ribadisce la non appartenenza alla struttura gerarchica.157

154 L’Ordinario del luogo del Superiore locale; BUIJS, Facultates


Religiosorum, 138.
155 PUGLIESE, Commentarius ad rescriptum, 461-462.
156 Cfr. BUIJS, Facultates Religiosorum, 139. Citato anche da BELLU-

CO, Facultates Superiorum, 134.


157 Cfr. LG 44d: “Status, ergo, qui professione consiliorum evange-

licorum constituitur, licet ad Ecclesiae structuram hierarchicam non


spectet, ad eius tamen vitam et sanctitatem inconcusse pertinet”.
La potestà di governo nella vita consacrata
168

È infatti quest’ultima a regolare la pratica dei consigli


evangelici e a tutelarne la crescita in seno alla Chiesa in
conformità con lo spirito dei fondatori. Ecco perché
«quodcumque perfectionis Institutum ac sodales singuli a
Summo Pontifice, ratione ipsius in universam Ecclesiam
primatus, intuitu utilitatis communis, ab Ordinariorum lo-
ci iurisdictione eximi et ei soli subiici possunt».158 Ne ri-
sulta di conseguenza che essi possono essere governati dal-
le proprie autorità interne, non tralasciando comunque il
debito rispetto ed obbedienza ai vescovi stessi.159
Tuttavia, dall’esame del cap. VI non emergono altri ri-
ferimenti diretti od indiretti alla potestà nella vita consa-
crata.160 Per trattare di essa si deve andare anzitutto al cap.
III De constitutione hierarchica Ecclesiae et in specie de
Episcopatu, dove si parla di sacra potestas nel definire la na-
tura dell’episcopato individualmente e collegialmente.
Essa viene vista come potestà della Chiesa, perché discen-
de da Cristo stesso, capo della Chiesa che è suo corpo.161
Ma nella Chiesa si distingue tra sacerdozio comune dei fe-
deli e sacerdozio ministeriale o gerarchico, che «essentia et

158 LG 45b.
159 Cfr. VAN DEN BROECK G., Il capo VI della Costituzione sulla
Chiesa, in VitRel 1(1966), 48.
160 A ben guardare, il termine “potestas iurisdictionis” o “iurisdic-

tio” appare solo nove volte in tutti i documenti conciliari, di cui due
nella LG ed uno nella Nota Explicativa Praevia; maggiore invece l’uso
del termine “potestas”, anche se con significati diversi (potere civile,
divino, diabolico, …), Cfr. OCHOA X., Index verborum cum documen-
tis Concilii Vaticani Secondi, Roma 1967, 387-388.
161 Cfr. LG 7d. In seguito si parlerà di sacerdote e sacerdozio in sen-

so giuridico, intendendo sia il presbitero che il vescovo, pur non es-


sendo completamente uguali i due ordini; infatti, afferma Presbytero-
rum Ordinis 2: “Officium Presbyterorum, utpote Ordini episcopali co-
niunctum, participat auctoritatem qua Christus Ipse Corpus suum ex-
struit, sanctificat et regit”.
Cap. II - Dal CIC 17 al Concilio Ecumenico Vaticano II
169

non gradu tantum differant»:162 comune è l’impegno mis-


sionario della Chiesa tutta, diversificata l’attività dei suoi
membri. La Chiesa può quindi essere vista in relazione al-
l’annuncio del Vangelo e all’incorporazione di tutti i fede-
li in Cristo. La parola di Dio diviene dunque il limite og-
gettivo, non funzionale, dell’esercizio della potestà nella
Chiesa.163
Circa il sacerdozio ministeriale, si dice che esso è inve-
stito di una potestà sacra, ma non si afferma che essa ven-
ga conferita con il sacramento dell’ordine.164 Si dice inve-
ce che con la consacrazione episcopale ai vescovi «cum
munere sanctificandi, munera quoque confert docendi et
regendi, quae tamen natura sua nonnisi in hierarchica
communione cum Collegii Capite et membris exerceri

162 LG 10b.
163 Cfr. a riguardo BERTRAMS W., De subiecto supremae potestatis
Ecclesiae, in Per 54(1965), 173-232; ID., De subiecto supremae potesta-
tis Ecclesiae: respondetur obiicenti, in Per 54(1965), 490-499; ID., Il sog-
getto del potere supremo nella Chiesa, in Civiltà Cattolica 2(1965), 571,
sintesi dei lavori precedenti. Lo stesso Autore afferma che il carattere
ecclesiologico della potestà vescovile consiste nel suo essere non tan-
to potestà della Chiesa quanto potestà da esercitarsi nella Chiesa; cfr.
anche BERTRAMS W., Papst und Bischofskollegium als Träger der kircli-
chen Hirtengewalt, Paderborn 1965, 12.
164 Cfr. LG 10b; 27. Ciò trova poi conferma anche nella Nota

Explicativa Praevia 2, dove si dice che “in consecratione datur ontolo-


gica participatio sacrorum munerum, ut indubie constat ex Traditione,
etiam liturgica. Consulto adhibetur vocabulum munerum, non vero po-
testatum, quia haec ultima vox de potestate ad actum expedita intelligi
posset. Ut vero talis expedita potestas habeatur, accedere debet cano-
nica seu iuridica determinatio per auctoritatem hierarchicam. Quae de-
terminatio potestatis consistere potest in concessione particularis offi-
cii vel in assignatione subditorum...”. Già nel 1965 verrà perciò alla
luce un articolo che espone quali possano essere le figure giuridiche
comprese sotto il nome di “vescovo”: FELICI A., Utrum nomine Episcopi
comprehendi potuerint etiam alii Praelati, in Apollinaris 38(1965), 19-47.
La potestà di governo nella vita consacrata
170

possunt».165 In tal modo si distingue la ‘funzione’ (munera)


dalla ‘potestà’ (potestas) e dall’ ‘ufficio’ (officium):166 il laico
può quindi essere investito di uffici ad utilità della Chiesa e
partecipare dell’unica potestà di Cristo data alla sua
Chiesa.167 In LG 31, tuttavia, si scopre che «nomine laico-
rum hic intelleguntur omnes christifideles praeter membra
ordinis sacri et status religiosi in Ecclesia sanciti, christifide-
les scilicet qui, utpote baptismate Christo concorporati, in
Populum Dei constituti, et de munere Christi sacerdotali,
prophetico et regali suo modo participer facti...”.168

165 LG 21b. Ma è importante notare come soltanto a riguardo del-


la funzione di santificare il vescovo sia “plenitudine sacramenti
Ordinis insignitus”, LG 26. Della funzione di insegnare e di governa-
re non si fa riferimento alla pienezza dell’ordine; cfr. LG 25, 27.
166 Cfr. STICKLER A.M., Le pouvoir de gouvernement, pouvoir ordinai-

re et pouvoir délégué, in L’Anné Canonique 24(1980), 77 ss., in cui af-


ferma non solo la distinzione tra matrice ecclesiologica (ordine) e giu-
ridica (giurisdizione), ma ne rintraccia pure i riferimenti nel Nuovo
Testamento: quando Pietro riceve da Cristo il primato, destinato a lui
e non agli altri apostoli; quando Mattia viene prima designato e in un
secondo tempo consacrato; quando i sette diaconi vengono prima
eletti e poi consacrati. Vd. anche, dello stesso Autore, Die
Zweigliedrigkeit der Kirchengewalt bei Laurentius Hispanus, in Ius Sacrum.
K. Mörsdorf zum 60.Geburtstag (Hrsg. A. Scheuermann, G. May),
München-Paderborn-Wien 1969, 187; Il diritto nella storia della Chiesa.
Visione d’insieme, in Seminarium 27(1975), 750.
167 “Sacri vero Pastores laicorum dignitatem et responsabilitatem in

Ecclesia agnoscant et promoveant; libenter eorum prudenti consilio


utantur, cum confidentia eis in servitium Ecclesiae officia committant et
eis agendi libertatem et spatium relinquant [...]”; LG 37c. Cfr. STICKLER,
Le pouvoir de gouvernement, 82-83; La «potestas regiminis»: visione teolo-
gica, in Apollinaris 56(1983), 72. È da notare che la dottrina dei tria mu-
nera è relativamente recente nella teologia cattolica, in quanto ripresa
da quella protestante; cfr. FUCHS J., Magisterium, Ministerium, Regimen.
Vom Ursprung einer ekklesiologischen Trilogie, Bonn 1941.
168 Il laico è incorporato a Cristo e al popolo di Dio mediante il bat-

tesimo, come sacerdoti e religiosi, ma è colui che né è stato ordinato


Cap. II - Dal CIC 17 al Concilio Ecumenico Vaticano II
171

I religiosi non fanno parte né della gerarchia né dello


stato laicale, in quanto essi costituiscono uno stato a sé, ri-
conosciuto nella Chiesa.169 Tuttavia, in LG 43b si afferma
che «status huiusmodi [...] non est intermedius inter cleri-
calem et laicalem conditionem, sed ex utraque parte qui-
dam christifideles a Deo vocantur, ut in vita Ecclesiae pe-
culiari dono fruantur et, suo quisque modo, eiusdem mis-
sioni salvificae prosint». Se ne deduce che, al di là dell’ap-
parente contraddizione, parlare di potestà riguardo ai reli-
giosi significa andare al suo fattore comune sia riguardo ai
chierici che ai laici, cioè in quegli officia che sono espleta-
ti per incarico e non per potestas ordinis, il tutto valutato
nell’ottica di quell’«ab Ordinariorum loci iurisdictione
eximi et ei soli [del Romano Pontefice] subiici possunt».170

né si è consacrato al Signore. Perciò né sacerdote né religioso, ma co-


munque gruppo di persone cui demandare uffici ed incarichi che “se ne
risultano abusi od urti, il male sarà senz’altro imputabile alle forme di
esercizio del potere: ma di queste forme anche la gerarchia è responsa-
bile”; così PHILIPS G., La Chiesa e il suo mistero, Milano 19822, 385.
169 Cfr. LG 44d; 45c. Secondo DANIÉLOU J., The Place of Religious

in the Structure of the Church, in RevRel 24(1965), 518, i religiosi sono


stati inseriti tra gerarchia e laicato per ragioni pastorali: in un mondo
che cerca di costruire se stesso fuori di Dio, persone che si consacrino
a Lui totalmente appare più che necessario. “But these reasons would
not be absolutely decisive if religious life did not constitute an essen-
tial part of the structure of the Church”. Lo stesso autore afferma che,
proprio per questo, “the religious state is no more separated from the
tasks of the Church than the priestly state or the lay state. In this sen-
se religious participate in numerous cases in the priesthood and in the
episcopacy and hence are introduced into the hierarchical ministery;
furthermore, women religious carry a large part of the responsability
for building up the universal Church in their work of the apostolate,
[...]”, 525. GAMBARI E., La Costituzione «Lumen gentium» e la vita reli-
giosa, in VitRel 1(1966), 38, ha voluto perciò affermare lo “stato reli-
gioso come genere di vita che prepara alle funzioni gerarchiche e le
inquadra in modo degno ed efficiente. La missione della gerarchia
comporta una vita di consacrazione”.
La potestà di governo nella vita consacrata
172

Ciò comporterà la necessità di capire cosa si intenda per


officium, definizione peraltro modificata proprio dal
Concilio Vaticano II in Presbyterorum Ordinis 20, dove lo
si definisce «quodlibet munus stabiliter collatum in finem
spiritualem exercendum».171
Nel dibattito acceso circa la potestà così come espressa
in LG e nel Concilio, non mancano posizioni diverse e a
volte opposte.172 Si trovano così coloro che sostengono la
consacrazione come elemento fondante la giurisdizione
(rendendo in tal caso inverosimile ed insostenibile quanto
poc’anzi affermato)173 e vi sono coloro che sostengono che
la potestà venga partecipata sia per mezzo di sacramento che

170 LG 45b. Non si capisce come KAISER M., Affermazioni del


Concilio Vaticano II sulla potestà della Chiesa, in KAISER M.-FISCHER E.-
NASILOWSKI K., Potere di ordine e di giurisdizione: nuove prospettive nel-
la dottrina del potere di giurisdizione, Roma 1971, 19, possa affermare che
“si è evitato di usare [riguardo a NEP 2] per la determinazione giuri-
dica l’espressione «iurisdictio», perché quest’ultima, in seguito alla tra-
dizionale dottrina sulla potestà ecclesiastica, ha finito con il significa-
re un potere contrapposto (per non dire opposto) alla determinazione
sacramentale”. In effetti, la tradizione della Chiesa ha disgiunto sacra-
mentalità e giuridicità della potestà proprio per meglio descrivere ciò
che avviene nella realtà: la potestas ordinis non può essere revocata, ciò
che invece succede con la potestas iurisdictionis che, essendo di carat-
tere umano, può venire revocata, ampliata, diminuita e, in alcuni ca-
si, data a persone non rivestite di ordine sacro.
171 Ora, proprio questa definizione creò non pochi problemi, allor-

ché se ne trovò la difficoltà di farla coincidere con una persona giuri-


dica. Cfr. ROBLEDA O., Quaestio de personalitate officii ecclesiastici non
soluta, in Per 56(1967), 384-427. Della potestà legata all’ufficio si par-
lerà in seguito.
172 Per una visione completa degli autori, vd. CELEGHIN A., Origine

e natura della potestà sacra: posizioni postconciliari, Brescia 1987, dove


l’Autore tratta delle scuole di pensiero principali in maniera esaustiva.
173 È questa la posizione anzitutto di MOERSDORF K., De sacra pote-

state, in Apollinaris 40(1967), 41-57, e di tutta la sua scuola. Questa li-


nea di pensiero non sembra essere fondata su solide basi storiche,
Cap. II - Dal CIC 17 al Concilio Ecumenico Vaticano II
173

di missione ecclesiale.174 Non è qui il luogo per trattare ta-


le questione che ci porterebbe lontano; tuttavia preme no-
tare come la seconda scuola sia la più rispondente alla tra-
dizione della Chiesa e al magistero del Concilio Vaticano II.

2.6. Il Decretum de accomodata renovatione vitae


religiosae Perfectae Caritatis (28 ottobre 1965)

Come già affermato (cfr. 2.3.), uno dei primi frutti che
ha portato il Concilio Ecumenico Vaticano II sul rinnova-
mento della vita religiosa fu certamente il rescritto Cum
admotae. Tuttavia, anche quel documento si inseriva in un
contesto di ripensamento della vita della Chiesa ed in par-
ticolare – nel nostro caso – dei religiosi che affondava le
sue radici ben più in là nel tempo (il nome De accommo-
data renovationae vitae religiosae non è del Concilio, ma ri-
sale al Primo Congresso Internazionale degli ‘stati di per-
fezione’, svoltosi a Roma nel 1950, che già voleva promuo-
vere il rinnovamento negli Istituti).
Quando papa Giovanni XXIII indisse il Concilio per
rinnovare la Chiesa secondo i ‘segni dei tempi’, voleva
darle un nuovo slancio per far sì che seguisse con maggior
impegno la sua missione evangelizzatrice e salvifica sulle
orme di Cristo. Non si poteva perciò non rivedere anche
la forma teologico-giuridica di quella cospicua frangia di

quanto piuttosto su una lettura massimalista del CIC 17. Stupisce a


questo riguardo trovare anche DE PAOLIS V., De natura sacramentali po-
testatis sacrae, in Per 65(1976), 59-106, che parte da concetti indimo-
strabili quanto infondati.
174 A questa “scuola” la storia ha legato numerosi Autori, anche il-

lustri (si pensi a Tommaso d’Aquino). Recentemente si veda soprat-


tutto STICKLER, Le pouvoir de gouvernement, 69-84, e BEYER J., La nou-
velle définition de la «Potestas Regiminis», in L’Année Canonique
24(1980), 53-67.
La potestà di governo nella vita consacrata
174

persone che, mediante la professione dei consigli evange-


lici, seguono Cristo pressius.
Così, dopo una prima fase preparatoria (1960-1962), si
costituì una Commissione preparatoria dei Religiosi, a cui fe-
ce seguito la Commissione conciliare dei Religiosi, che lavo-
rò proprio durante il Concilio.175 Nella quarta sessione del
Concilio fu presentato lo schema del Decretum de accom-
modata renovatione vitae religiosae, approvato e promulgato
con il nome di Perfectae caritatis da papa Paolo VI con il
collegio dei Vescovi nella sessione pubblica del 28 ottobre
1965, entrato in vigore il 29 giugno 1966.176
Soggetto del rinnovamento che vuole portare il decre-
to e le norme postconciliari relative sono i consacrati che

175 È da notare che nell’ultima votazione avuta, dal 6 all’8 ottobre


1965, prima di quella finale generale dell’11 ottobre, i Padri
Conciliari, pur avendo sempre la maggioranza assoluta a favore delle
mozioni, a riguardo della vita religiosa laicale e del voto di obbedien-
za ebbero alcuni voti contrari. Difficoltà a questo riguardo si riscon-
treranno successivamente anche in fase preparatoria del Codice. Cfr.
BEYER J., Decretum «Perfectae Caritatis» Concilii Vaticani II, in Per
55(1966), 442.
176 Cfr. ROUSSEAU G., Il decreto “Perfectae caritatis”, in VitRel

1(1966), 49; l’Autore ne faceva parte come segretario della


Commissione preparatoria. Il lavoro della Commissione non fu senza
difficoltà; cfr. GUTIÉRREZ L., Processus Historico-Doctrinalis Decreti con-
ciliaris De accomodata renovatione vitae religiosae, in CpR 45(1966), 18.
Già la costituzione dogmatica Lumen gentium, come abbiamo potuto
vedere, aveva esposto al cap. VI la natura teologica dei consigli evan-
gelici che i religiosi liberamente professano nei tre voti, per nutrirli di
maggior carità e legarli stabilmente alla Chiesa e al suo mistero. Allo
stesso tempo, il decreto Christus Dominus del 28 ottobre 1965 sull’uf-
ficio pastorale dei Vescovi, affermava al n. 34 che “religiosi sacerdo-
tes, qui in presbyteratus officium consecrantur ut sint et ipsi providi
cooperatores Ordinis episcopalis, hodie adhuc maiori auxilio Episcopi
esse valent”. E più oltre continuava: “etiam alii sodales, sive viri sive
mulieres, qui et ipsi peculiari ratione ad familiam dioecesanam perti-
nent, magnum auxilium sacrae hierarchiae afferunt”.
Cap. II - Dal CIC 17 al Concilio Ecumenico Vaticano II
175

professano i voti o altri vincoli sacri di castità, povertà, ob-


bedienza (secondo i cann. 487, 488, 7° CIC 17), ovvero
ogni “stato di perfezione” nella Chiesa universale, latina
ed orientale, oggi esistente (gli Istituti i cui membri faccia-
no professione di castità, povertà, obbedienza).177 Vi rien-
trano perciò: Religioni (Ordini e Congregazioni, latine ed
orientali, di diritto pontificio o diocesano, a qualsiasi
Congregazione appartengano), Società senza voti pubblici
(di diritto pontificio o diocesano, viventi in comune sen-
za voti, da qualsiasi Congregazione siano rette), Istituti se-
colari (di diritto pontificio o diocesano, mantenendo sem-
pre la propria indole secolare). Tuttavia, non tutte le nor-
me riguardano ugualmente tutti; sarà il testo a rendere evi-
dente quando si debbano intendere rivolti a tutti o ad al-
cuni in particolare. 178
Non vi sono particolari riferimenti alla potestà dei
Superiori religiosi, ma il rinnovamento viene fatto in vi-
sta di un miglior adattamento ai tempi moderni.179 Gli
Istituti sono tenuti ad osservare le disposizioni del decreto
e a riformarsi secondo la mente e lo spirito dei fondatori
nonché dei segni dei tempi e delle attività apostoliche.180

177 Cfr. OCHOA X., Prima principia accomodatae renovationis vitae re-
ligiosae, in CpR 3(1966), 266.
178 Cfr. OCHOA, Prima principia, 268. Il decreto non è una esorta-

zione, ma – come i principi generali del diritto suggeriscono – una ve-


ra legge, un obbligo: ha carattere disciplinare e pastorale al contempo;
perciò il rinnovamento di cui si parla urge come obbligo.
179 Nello schema del decreto del 1963, in realtà, subito dopo il n.

26 De oboedientia, vi erano due punti, De Superiorum auctoritatis exer-


citio e De duratione Superiorum in munere, che avrebbero potuto indi-
care qualcosa riguardo alla potestà nella vita consacrata. Ma nello
schema successivo dello stesso anno furono rimossi assieme anche al-
la trattazione sull’obbedienza (!). Cfr. BEYER, Decretum «Perfectae
Caritatis», 449-450.
180 Riguardo agli Istituti apostolici, tra gli schemi iniziali si diceva

che “ut apostolatui plene aptatum sit institutum, gubernium quod cen-
La potestà di governo nella vita consacrata
176

Ciò spetta in special luogo ai Superiori maggiori ed ai


Capitoli generali, senza dimenticare il contributo di cia-
scun membro. Così PC, 1:

[...] Haec sacra Synodus sequentia statuit, quae nonnisi


principia generalia respiciunt accommodatae renovatio-
nis vitae ac disciplinae religionum atque, propria indole
servata, societatum vitae communis sine votis et institu-
torum saecularium. Normae vero particulares pro eorum-
dem congrua espositione et applicatione post Concilium
a competenti auctoritate statuendae sunt.

L’indole disciplinare di tali provvedimenti è tanto più


evidente nelle Norme181 in applicazione al Decreto che
danno agli Istituti la speciale facoltà di cambiare la disci-
plina interna ad experimentum.182
In particolare, il decreto e più in generale la riforma
della vita religiosa si estende su due direzioni: da un lato

trale vocant, retinendum videtur ne deperdat ipsum institutum suam


unitatem. Ei per necessariae sunt stabilitas et adaptatio. Quae stabili-
tas regiminis habetur, ubi ipse Moderator generalis ad vitam vel ad tem-
pus indefinitum sit electus, qui ipse munus dimittere possit ad hoc am-
pliato, qui ei demissionem suadet. Alii autem contrariam sustinet sen-
tentiant pro qua solide etiam militant rationes”.
181 M.p. Ecclesiae Sanctae, in AAS 58(1966), 757-787. In PC 4d si

afferma la speranza di non moltiplicare le leggi inutilmente e di elimi-


nare quelle che già siano inutili; cfr. BEYER, Decretum «Perfectae
Caritatis», 430.
182 Il carattere disciplinare del decreto, perciò, non dà principi di

natura dogmatica o dottrinale, perché sono legati alle mutate necessi-


tà dei tempi; non hanno quindi natura stabile. Tali principi di natura
dogmatica e dottrinale sono invece presenti nella LG, al cap. VI, do-
ve emerge che lo stato di perfezione riconosciuto dalla Chiesa è di di-
ritto divino, perché si fonda sui consigli evangelici che Gesù stesso ha
vissuto ed insegnato; essa non si inserisce nella gerarchia ecclesiasti-
ca, ma è un elemento del popolo di Dio voluto da Cristo. Cfr.
ROUSSEAU, Il decreto “Perfectae caritatis”, 50.
Cap. II - Dal CIC 17 al Concilio Ecumenico Vaticano II
177

la restaurazione del passato (che scaturisce dallo studio


delle fonti proprie e comuni; cfr. PC 2, 5, 6), dall’altro il
rinnovamento come segno di adattamento ai tempi (pur
non mutando la propria natura; cfr. PC 2, 20). Sia l’uno
che l’altro devono compiersi motivatamente e con atten-
zione a non creare lacerazioni e discontinuità con il passa-
to e con l’indole propria dell’Istituto.183
Per quanto attiene il rinnovamento secondo le mutate
condizioni dei tempi, si sottolinea che non si deve agire in
astratto, secondo principi teorici, perché il rinnovamento
non è fine a se stesso, ma volto a meglio rendere un certo
adattamento alle condizioni della società in cui viviamo.
Il rinnovamento scaturisce da necessità di apostolato, di
edificazione del Corpo di Cristo: questa è una necessità in-
trinseca dello stesso stato religioso.184

2.6.1. Norme del rinnovamento


1. Ai numeri 2-4 del PC si enucleano quelle che sono
le norme fondamentali del rinnovamento: i principi gene-
rali, i criteri pratici, gli agenti.
I principi generali (descritti in PC 2) sono due: seguire
Cristo sulla via indicata nel Vangelo e l’ordine tra i diver-
si valori ed orientamenti degli Istituti. Il primo si riallac-

183 Cfr. OCHOA, Prima principia, 271-272. A livello storico si richie-


de di andare alle origini dell’Istituto stesso. Richiede inoltre che cia-
scun Istituto custodisca il proprio patrimonio spirituale (formato dal-
lo spirito del fondatore, dai propositi dello stesso, dalle tradizioni di
ciascun Istituto) e che lo conservi fedelmente.
184 L’adattamento dunque richiede anzitutto di capire la società

odierna (sia civile che ecclesiale) e le necessità dei tempi (sia aposto-
liche che culturali, sia sociali che economiche) ed inoltre di scegliere
ed applicare i mezzi che rispondano più efficacemente alle necessità
odierne (mezzi che devono essere valutati in relazione alla regione in
cui ci si trova, alla Chiesa particolare di cui si è parte); cfr. OCHOA,
Prima principia, 273.
La potestà di governo nella vita consacrata
178

cia al cuore della vita religiosa, la sequela Christi mediante


i consigli evangelici. Al contempo si rifà al particolare mo-
do che il fondatore dell’Istituto abbia voluto scegliere per
seguire Cristo. Per l’Istituto è molto importante armoniz-
zarsi con la vita e le attività della Chiesa, di cui è parte e
senza cui non sarebbe.
Riguardo all’ordine dei valori e degli orientamenti, an-
zitutto è da considerare la vita religiosa come un progres-
sivo avvicinamento del professo a Cristo e all’unione spi-
rituale con Dio. Questo seguire Cristo più da vicino (pres-
sius) si tramuta in amore per il prossimo ed in fervido apo-
stolato. È in questo senso che il rinnovamento spirituale
viene ad essere il pilastro del rinnovamento della vita re-
ligiosa (cfr. PC 2e), senza il quale pure il rinnovamento
della legislazione canonica ‘perderebbe sapore’.185
2. Il decreto prosegue con le norme particolari relative
alle persone nei nn. 5-18. Esse prendono in considerazio-
ne gli elementi comuni a tutti i consacrati (cfr. PC 5): la
professione dei consigli evangelici come frutto della con-
sacrazione battesimale per giungere alla contemplazione in
qualunque Istituto si sia incardinati. Ancora una volta vi
è il primato della vita spirituale sulle altre dimensioni
umane.186
Si suggerisce che l’obbedienza è anzitutto imitazione di
Gesù obbediente al Padre sino al sacrificio della croce,

185 Cfr. ROUSSEAU, Il decreto “Perfectae caritatis”, 53-54.


186 Si guarda successivamente al rinnovamento secondo l’indole
degli Istituti che può essere contemplativa (il religioso vi testimonia i
valori spirituali che si elevano rispetto ai beni temporali e la trascen-
denza di Dio; cfr. PC 7), attiva (può essere attiva stricte sensu o mista
ed unisce vita spirituale ed azione apostolica in un unicum inscindibi-
le; cfr. PC 8), monastica (la prima forma di vita religiosa organizzata;
cfr. PC 9), secolare (hanno il carattere della secolarità sia come pro-
fessione che come apostolato; cfr. PC 11).
Cap. II - Dal CIC 17 al Concilio Ecumenico Vaticano II
179

esempio della più ampia e perfetta maturità (si invitano i


Superiori a governare con spirito di servizio, sapendo le at-
titudini dei membri ma decidendo sulle stesse).187
3. Anche se il decreto è principalmente rivolto alle per-
sone consacrate, esso dà un rapido sguardo pure agli
Istituti. Innanzitutto tratta il problema del numero eleva-
to di Istituti, spesse volte dovuto al loro carattere locale,
avvertendo che nella erezione di nuovi Istituti si stia at-
tenti alle condizioni particolari dei luoghi e delle popola-
zioni (cfr. PC 19). D’altra parte si nota anche la necessità
della soppressione di alcuni Istituti invecchiati ed oramai
ridotti a pochi membri, azione peraltro da condursi con
molta carità ed attenzione, sia che si tratti di estinzione
completa, sia che si tratti di aggregazione.
Si invitano perciò gli Istituti ad unire le forze median-
te quattro forme particolari di aggregazione (cfr. PC 22):
la ‘federazione’ (impone un governo comune che offre l’in-
terscambio di aiuti lasciando comunque i singoli Istituti
nella loro autonomia), l’ ‘unione’ (l’accorpamento di più
Istituti in un Istituto solo); l’ ‘associazione’ (un coordina-
mento centrale delle opere simili dando assistenza nel pro-
seguire o sostenere le stesse finalità); le conferenze dei

187Circa i consigli evangelici, si auspica che non si abbracci il vo-


to di castità senza essere provati dovutamente circa la maturità affet-
tiva e psicologica; si esorta a non scindere la povertà interiore da quel-
la esteriore, essendo dipendenti dei Superiori circa i beni ed escluden-
do il superfluo (cfr. PC 13: gli Istituti evitino il lusso e ogni esagera-
zione nel cumulo di beni); cfr. ROUSSEAU, Il decreto “Perfectae carita-
tis”, 56-58. Al n. 15 si richiama la vita comune come luogo per sco-
prire la santità e salvaguardare la castità. Il n. 17 mantiene l’uso del-
l’abito religioso come testimonianza della vita religiosa nel mondo,
consigliando un armonioso aggiornamento. Il n. 18 auspica il prolun-
gamento della formazione religiosa anche per gli Istituti laicali, ma-
schili e femminili, non solo a materie teologiche ma pure umane e so-
ciali.
La potestà di governo nella vita consacrata
180

Superiori maggiori (in cooperazione con le Conferenze


Episcopali riguardo all’apostolato. Cfr. PC 23; Christus
Dominus 35).188
4. Si deve infine rilevare che il rinnovamento procede
sotto l’impulso dello Spirito Santo e sotto la guida della
Chiesa (cfr. LG 45). Perciò, se da un lato è necessario leg-
gere i segni di Dio nel mondo con saggezza e con gli occhi
della fede, secondo una visione soprannaturale del mondo
e con uno spirito permeato di zelo apostolico, dall’altro oc-
corre che ogni azione interna all’Istituto, soprattutto nel
caso che ne modifichi la struttura, sia formata in confor-
mità con quanto insegna la Chiesa. Il rinnovamento deve
avvenire secondo i principi che sono stabiliti negli statuti
del Concilio, nel decreto PC, nelle Norme di attuazione
dello stesso.189
Perciò, nel procedere al rinnovamento dell’Istituto,
non si dovrà tenere presente solo dei documenti concilia-
ri che riguardano lo stato dei religiosi, sia direttamente che
indirettamente, ma anche di tutte le altre disposizioni, de-
creti, dichiarazioni, che riguardano la vita ecclesiale ed il
suo governo.190 In PC 2c, infatti, si auspica che:

188 Cfr. ROUSSEAU, Il decreto “Perfectae caritatis”, 59-60. Si invita-


no inoltre gli Istituti ad abbandonare opere che non siano conformi al
loro particolare apostolato nella Chiesa ed a coltivare, invece, lo slan-
cio missionario che è loro proprio e che nella Chiesa è particolarmen-
te importante.
189 Oltre a ciò, l’adattamento ed il rinnovamento ed i documenti

o norme giuridiche interne che si arriveranno a produrre devono es-


sere approvati dalla Sede Apostolica, perché tutto ciò avviene nella
Chiesa e per la Chiesa stessa. Infatti, anche la professione fatta a Dio
nelle mani del legittimo Superiore procede dalla Chiesa ed è ad essa
ordinata.
190 Cfr. OCHOA, Prima principia, 274-275.
Cap. II - Dal CIC 17 al Concilio Ecumenico Vaticano II
181

Omnia instituta vitam Ecclesiae participent, eiusque in-


coepta et proposita ut in re biblica, liturgica, dogmatica,
pastorali, oecumenica, missionali et sociali, iuxta pro-
priam suam indolem, sua faciant et pro viribus foveant.

2.7. Il decreto Religionum laicalium

Con il decreto Religionum laicalium191 termina l’ultima


grande modifica al diritto della vita consacrata apportato
nell’immediato periodo del Concilio Vaticano II. Esso va
a completare ciò che era stato iniziato con il rescritto Cum
admotae e, in certo qual senso, già con il m.p. Pastorale mu-
nus sui vescovi. Viene applicato infatti il principio di sus-
sidiarietà ed, in questo modo, molte competenze proprie
della Curia Romana vengono demandate ad autorità infe-
riori, rendendo più agevole il governo di alcune persone
giuridiche.192
Il decreto consta di una breve introduzione dove viene
spiegato il fine dello stesso, cioè «meritum suae propensae
voluntatis [del Sommo Pontefice] testimonium tribueret et
pariter internum regimen promptius efficeret». Se questo
è uguale a quello già trattato nel rescritto, ciò rende la so-
miglianza di non piccola importanza, considerato pure
l’ambito in cui le facoltà vengono concesse, ovverosia la

19131 maggio 1966, in AAS 59(1967), 362-366.


192Sul decreto non sono stati fatti molti commenti, anche se si tro-
va spesso citato come un documento importante. Ciò rende una sua
analisi difficoltosa, anche se di notevole importanza per capire la por-
tata del canone 596 CIC 83. Per una breve introduzione, si veda:
RAVASI L., Speciali facoltà per i Superiori e le Superiore, in VitRel
6(1966), 496-503; 5(1967), 417-422, dove peraltro l’articolo si inter-
rompe appena alla prima facoltà. Inoltre PUGLIESE A., Commentarius
ad rescriptum pontificium «Cum admotae», 6 nov. 1964 et ad decretum
«Religionum laicalium», 31 maii 1966, in MonEccl 23(1968), 423-464.
La potestà di governo nella vita consacrata
182

potestà del Superiore maggiore. Vi è poi la prima parte che


tratta delle singole facoltà in specie ed una seconda parte
che indica l’estensione, il soggetto e l’uso cui le facoltà
spettano.

2.7.1. Soggetto attivo ed applicazione


Come già il titolo esprime chiaramente, il decreto vie-
ne applicato per le Religioni laicali, maschili e femminili,
purché di diritto pontificio, lo siano esse divenute per de-
creto di lode o per approvazione dalla Curia romana.193
Alle Religioni laicali andavano poi aggiunte le Società
di vita apostolica di diritto pontificio laicali, «in commu-
ni viventium sine votis publicis» (II, 2). Per le facoltà di
cui ai numeri 2 e 3, pure i supremi Moderatori degli Istituti
secolari di diritto pontificio laicali, pur non essendo reli-
giosi in senso stretto, ma facendo certamente parte della
vita consacrata della Chiesa. Non vi è alcuna distinzione
circa il rito liturgico cui appartengano né a quale Congre-
gazione della Sede Apostolica facciano capo.194
Soggetti attivi di tali facoltà risultano perciò essere an-
zitutto i Moderatori supremi delle Religioni laicali di dirit-
to pontificio maschili e femminili. Ad essi vanno aggiun-

193 A norma del can. 488, 1° del CIC 17, si intendeva Religione
come una «societas, a legitima ecclesiastica auctoritate approbata, in
qua sodales, secundum proprium ipsius societatis leges, vota publica,
perpetua vel temporaria, elapso tamen tempore renovanda, nuncu-
pant, atque ita evangelicam perfectionem tendunt». Si intendeva in-
vece la sua costituzione laicale, a norma dello stesso can. 488, 4°, l’es-
sere composta per la maggior parte di membri laici, cioè non costitui-
ti nel sacro ordine.
194 Non prendono parte ai soggetti di questo decreto tutti gli

Istituti di vita consacrata – religiosi, secolari, società di vita apostoli-


ca – che siano di diritto diocesano, in quanto sotto diretta competen-
za dell’Ordinario del luogo e perciò di più semplice governo ed acces-
so per quanto riguarda il regime interno.
Cap. II - Dal CIC 17 al Concilio Ecumenico Vaticano II
183

ti, nei casi previsti dal diritto, coloro che vi succedano nel-
l’ufficio in caso di impedimento temporaneo dovuto a cau-
se gravi. Inoltre, essendo concesse tali facoltà ai Superiori
generali nell’esercizio del loro ufficio, passano al successo-
re in carica al momento della nuova elezione.195 Soggetti
attivi di tali facoltà sono pure i Moderatori supremi delle
Società laicali di vita apostolica di diritto pontificio ma-
schili e femminili.196 Per le facoltà nn. 2 e 3 si aggiungo-
no i Superiori generali degli Istituti secolari laicali di dirit-
to pontificio, maschili e femminili. Per la sola facoltà n. 9
vanno ad aggiungersi la abbadessa di monastero sui iuris di
monache.197
Le facoltà del decreto possono inoltre essere suddelega-
te.198 Infatti vi si scrive che «si Supremus Moderator vel
Suprema Moderatrix sint in suo munere impediti, easdem
facultates possunt vel ex toto vel ex parte alicui sodali pro-
prii Instituti subdelegare, qui ipsorum vice fungitur» (II,
4). Non viene detto che la causa dell’impedimento deve
essere grave né in questo caso vi deve essere il consenso
del consiglio ed inoltre, se anche vi sia stata la suddelega,

195 “Hoy dìa resulta ya raro el caso de que el moderator supremo en


los Institutos dedicados al apostolado sea vitalicio; la norma es que la
duración de su gobierno tenga lìmites fijados por le derecho particu-
lar, salvo el caso de que el carisma exija otra cosa y el derecho parti-
cular lo haya reconocido en virtud de larga costumbre como ley pro-
pia”; BEYER J., Los Institutos de vida consagrada, Madrid 1978, 43.
196 Cfr. Religionum laicalium II, 2-3; TABERA-DE ANTOÑANA-

ESCUDERO, Derecho de los religiosos, 83.


197 Cfr. TABERA-DE ANTOÑANA-ESCUDERO, Derecho de los religiosos,

505.
198 In alcuni casi inoltre è richiesto il consenso del proprio consi-

glio per l’uso delle facoltà, per suddelegarle alle autorità inferiori e per-
ché gli stessi Superiori maggiori ne possano fare uso. Il consenso è un
requisito ad validitatem. Cfr. RAVASI, Speciali facoltà per i Superiori e le
Superiore, 503.
La potestà di governo nella vita consacrata
184

il supremo Moderatore stesso non perde il diritto di eser-


citare queste stesse facoltà.199
La suddelega può essere fatta ai Superiori maggiori, cioè
ai provinciali, ai loro vicari, alle persone che coprono uf-
fici con potestà come quella dei provinciali appunto. Si
possono delegare loro le facoltà nn. 4, 5, 6.200 Può essere
inoltre fatta la suddelega della facoltà 9 alle Superiore di
case di Ordini monacali. In caso di impedimento del
Moderatore supremo, le facoltà possono essere suddelega-
te «vel ex toto vel ex parte» (II, 4).201

2.7.2. Le singole facoltà in specie


Le facoltà concesse nel decreto,202 intese come potestà
di agire lecitamente e validamente, sono apostoliche (in
quanto provenienti dalla Curia romana per volere del
Sommo Pontefice), delegate (in quanto concesse al supre-
mo Moderatore ratio ufficii), abituali (perché non legate a
casi particolari, ma alla generalità degli stessi).203 Allo stes-

199 Come pure la Congregazione per i Religiosi non le ha perse nel


concederle ai Superiori generali, anche se l’applicazione del principio
di sussidiarietà ne impone il non ricorso.
200 La suddelega non è limitata nel tempo, ma può essere limitata

per un certo numero di casi o per un certo numero di Superiori mag-


giori. Vi è in questo un ampio spazio per la discrezionalità del supre-
mo Moderatore.
201 Soggetto passivo di queste stesse facoltà sono invece tutti e so-

lamente i sudditi, in senso ampio, dei Superiori cui tali facoltà sono
concesse. Tra questi vanno ascritti non solo i religiosi dopo la profes-
sione solenne, ma pure i novizi, gli oblati e i postulanti nonché colo-
ro che risiedono per tutto l’arco della giornata nella casa religiosa, sia
per motivi di ospitalità che di educazione scolastica. Cfr. PUGLIESE,
Commentarius ad rescriptum..., 430.
202 In questo paragrafo ci limiteremo ad un’analisi delle facoltà nel

decreto in maniera piuttosto generale.


203 Cfr. RAVASI, Speciali facoltà per i Superiori e le Superiore, 499. Esse

risultano essere cumulative, perché sono esercitate cumulativamente


con la stessa Curia romana che le ha concesse, cui non sono mai sta-
Cap. II - Dal CIC 17 al Concilio Ecumenico Vaticano II
185

so Superiore spetterà poi di interpretarle e di applicarle se-


condo un uso corretto, non tralasciando di confrontare la
prassi della Curia romana.

1. Facoltà di dispensare dalle illegittimità al noviziato.

Dispensandi, de consensu sui Consilii, admittendos in


Religionem super illegitimitate natalium, dummodo ne
sint sacrilegi vel adulterini.

È una facoltà presente, mutando mutandis, già nel m.p.


Pastorale munus e nel rescritto Cum admotae. Si tratta di
dispensare coloro che siano nati al di fuori di un matrimo-
nio valido o putativo, o coloro che siano stati concepiti da
chi non poteva legarsi matrimonialmente perché impedi-
to dall’impedimento di voto o di ordine sacro, per l’ammis-
sione al noviziato.204
Con questa facoltà, che ha bisogno del consenso del
consiglio e non è delegabile, si amplia quindi la giurisdi-
zione del Superiore di un Istituto laicale maschile nel ca-

te revocate; personali, perché sono date alla persona stessa del


Moderatore supremo, il quale le può esercitare quando ne voglia o lo
ritenga più opportuno.
204 Cfr. TABERA-DE ANTOÑANA-ESCUDERO, Derecho de los religiosos,

225; RAVASI, Speciali facoltà per i Superiori e le Superiore, in VitRel


5(1967), 418. Non interessa qui dare un esame della normativa a ri-
guardo della illegittimità dei natali e di come non potessero accedere
alla vita consacrata o al sacro ordine i figli illegittimi secondo il CIC
17. Ciò che rileva è che l’impedimento degli illegittimi sussisteva nel
Codice per chi aspirava al sacerdozio (non per chi entrava in Reli-
gione) e la dispensa era riservata alla Santa Sede. Di fatto, ciò era già
normalmente concesso dalle costituzioni di numerosi Istituti religiosi
clericali; non succedeva invece per gli Istituti laicali, dove chiaramen-
te le esigenze erano diverse ed il numero degli aspiranti al sacerdozio
di gran lunga minore, ed in alcuni casi le costituzioni stesse ne vieta-
vano l’ingresso.
La potestà di governo nella vita consacrata
186

so in cui un aspirante al sacerdozio voglia entrarvi ed ab-


bia bisogno perciò della dispensa dall’impedimento di cui
al can. 542, 2° CIC 17.205
Tale facoltà era stata concessa pure ai Vescovi nel m.p.
Pastorale munus, ma la sua utilità fu molto breve, perché vi
fece seguito in poco tempo il rescritto Cum admotae ed il
decreto che stiamo esaminando.

2. Facoltà di alienare i beni dell’Istituto.

De consensu sui Consilii, concedendi, iusta de causa, ut


bona propriae Religionis alienari, oppignorari, hypothe-
cae nomine obligari, locari, emphyteusi redimi possint,
utque personis moralibus propriae Religionis aes alienum
contrahere liceat usque ad eam pecuniae summam quam
vel Nationalis vel Regionalis Episcoporum coetus propo-
suerit et Apostolica Sedes probaverit.

Corrispondente alla parallela facoltà n. 9 del rescritto ed


alla n. 32 del motu proprio, concede al Moderatore supremo
di disporre dei beni del proprio Istituto mediante vendita,

205 Cfr. RAVASI, Speciali facoltà per i Superiori e le Superiore, in VitRel


5(1967), 421-422. Si noti, tuttavia, che per l’Autore tale facoltà non
dispensa dall’impedimento sorto per ricevere il sacerdozio; inoltre non
toglie l’inabilità, a norma del can. 504, per accedere all’ufficio di
Superiore maggiore. Di diverso avviso, invece, Pugliese che afferma
«tum ex fine concessionis, tum ex contextu, tum ex praxi Apostolica,
tum ex colligatione irregularitate impedimenti, extensivae videtur fa-
cultatis interpretationi favendum, ita ut, dispensato impedimento, di-
spensata quoque censeatur irregularitas, nisi in casu particulari aliud
constet», PUGLIESE, Commentarius ad rescriptum..., 441. Ora, la dispen-
sa riguarda l’ammissione al noviziato, quindi non va estesa ad altri gra-
di e situazioni; ma nel caso in cui l’impedimento riguardi pure l’am-
missione agli ordini, non se ne vede come, una volta dispensato, deb-
ba essere reiterata la procedura di dispensa.
Cap. II - Dal CIC 17 al Concilio Ecumenico Vaticano II
187

mutuo, locazione, enfiteusi, nel rispetto della somma di de-


naro fissata dalla Conferenza episcopale nazionale o regio-
nale, così come approvata dalla Santa Sede (si dovrà esse-
re chiari nello stabilire quale Conferenza sia competente,
se quella dove ha sede la persona morale dell’Istituto o
quella dove avviene la disposizione del bene. Applicando il
principio locus regit actus si dovrà usare la somma stabilita
dalla Conferenza del luogo dove avviene l’alienazione).
Questa facoltà riguarda non solo la possibilità di migliora-
re il proprio patrimonio, ma anche quella di contrarre de-
biti e di peggiorare in qualsiasi modo la condizione
dell’Istituto, secondo il disposto del can. 534.206
Essa è vincolata al consenso del consiglio, nonché ad
una giusta causa, sempre soppesate le possibilità e le con-
dizioni dell’Istituto stesso. Qualora si dovessero superare i
limiti stabiliti dalla Conferenza episcopale, si dovrà ricor-
rere alla Curia romana (alla Congregazione per i Religiosi
e gli Istituti secolari o, a seconda dell’origine dell’Istituto
stesso, alla Congregazione per le Chiese orientali o alla
Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli).207

3. Facoltà di secolarizzazione dei professi temporanei.

Obtinendi pro suis subditis, id petentibus, ut a votis tem-


porariis dispensentur ab Ordinario loci domus cui orator
adscriptus est.

206 Cfr. PUGLIESE, Commentarius ad rescriptum, 445.


207Cfr. TABERA-DE ANTOÑANA-ESCUDERO, Derecho de los religiosos,
186. È questa una facoltà che viene data anche ai supremi Moderatori
degli Istituti secolari maschili e femminili di diritto pontificio e che,
se da un lato dimostra la profonda fiducia della Curia romana e del
Romano Pontefice verso gli Istituti di vita consacrata e le Società di
vita apostolica, dall’altro ne dà una profonda responsabilità, rendendo
alto il rischio economico per l’Istituto stesso.
La potestà di governo nella vita consacrata
188

Pur essendo una facoltà presente anche nel rescritto,


comune per fine ed oggetto, tuttavia nel decreto viene
trattata con estensione diversa. Viene concessa, oltre che
ai supremi Moderatori degli Istituti di vita consacrata e al-
le Società di vita apostolica laicali e di diritto pontificio
anche a quelli degli Istituti secolari dello stesso tipo. Essa
sospende la riserva fatta alla Santa Sede per la dispensa dai
voti temporanei, così come disposto nel can. 638 CIC 17,
permettendo al supremo Moderatore di richiedere tale de-
creto all’Ordinario del luogo.208
Ma, se il supremo Moderatore del rescritto Cum admo-
tae può esercitare tale facoltà solo avendo il consenso del
proprio consiglio, il supremo Moderatore degli Istituti lai-
cali può agire di propria iniziativa ed il decreto non richie-
de particolari clausole, salvo che sia una richiesta del pro-
fesso stesso. Ciò richiede che essa sia posta liberamente, di
iniziativa del professo temporaneo e quindi dimostrabile in
foro esterno: un eventuale conflitto tra Superiore e suddi-
to, infatti, non sarebbe demandabile all’Ordinario del luo-

208 Cfr. GUTIÉRREZ A., Facultas Superiorum laicorum dispensandi vo-


ta subditorum, in CpR 51(1970), 7. È il caso in cui sia il professo stes-
so a chiedere la secolarizzazione, non che ciò avvenga con il decreto
di espulsione o di secolarizzazione imposto dal Superiore dell’Istituto.
A differenza quindi del rescritto, il decreto non permette di eseguire
tutto il negozio giuridico, ma solo di richiederne l’esecuzione all’Ordi-
nario del luogo, che sarà quello dove si trova la casa in cui il religio-
so stesso sia ascritto, anche se questo non vi risieda. Ora, sembra logi-
co affermare con Gutiérrez che “sicut professio cum omnibus suis ele-
mentis a Superioribus internis acceptatur nomine Ecclesiae, et vi talis
acceptationis statum publicum et canonicum mutat, ita non secus po-
terunt Superiores saecularizationem concedere. Immo vero logica iu-
ridica hoc postulat, cum «res per quascumque causas nascitur per ea-
sdem dissolvitur»”, 15. Vd. anche PUGLIESE, Commentarius ad rescrip-
tum, 453.
Cap. II - Dal CIC 17 al Concilio Ecumenico Vaticano II
189

go, ma esclusivamente alla Congregazione della Curia ro-


mana competente.209

4. Facoltà di concedere l’assenza dalla casa religiosa.

Permittendi, de consensu sui Consilii, propriis subditis ut


iusta de causa a domo religiosa non ultra annum absint.
Quae venia, si infirmitatis gratia detur, donec necessitas
perduraverit dari potest; si vero obeundi opera apostola-
tus gratia, etiam ultra annum, iusta de causa, dari potest,
dummodo et obeunda apostolatus opera cum finibus Re-
ligionis coniungantur et normae sive iuris communis sive
iuris peculiaris serventur.
Qua facultatem, de consensu sui Consilii, subdelegare
possunt ceteris Superioribus Maioribus, qui tamen ea uti
nequeunt nisi suo ipsorum Consilio consentiente.

Come già espresso per la parallela facoltà 15 del rescrit-


to, questa nostra concede ai Superiori generali di emette-
re decreti per l’assenza dalla casa religiosa dei sudditi, qua-
lora ve ne ricorrano le valide motivazioni. Se anche i
membri degli Istituti sono tenuti all’obbligo di risiedere
nella casa religiosa e di condurvi vita comune e di preghie-
ra, tuttavia vi possono essere delle giuste ragioni per cui ta-
le obbligo viene dispensato, quali sono l’infermità e l’apo-
stolato. Ad esse, si danno scadenze temporali diverse: «ob
causam iustam: non ultra annum; ob infirmitatem curan-
dam: donec necessitas perduraverit; ob apostolatum exer-
cendum: ultra annum».210

209 Cfr. TABERA-DE ANTOÑANA-ESCUDERO, Derecho de los religiosos,


505-506. È facoltà concessa per ridurre i tempi di attesa delle Congre-
gazioni per la dimissione di un membro, tempi che presso la Santa
Sede erano legati ad una “procédure trop longue et d’éviter un grave
scandale”; BEYER J., Vers un nouveau Droit des instituts de vie consacrée,
Paris 1978, 92.
210 PUGLIESE, Commentarius ad rescriptum, 454.
La potestà di governo nella vita consacrata
190

Tra le cause giuste si può notare pure lo studio, che ge-


neralmente comporta tempi lunghi e per questo quindi il
permesso andrà rinnovato. Per quanto riguarda l’apostola-
to, il permesso viene concesso «dummodo et obeunda apo-
stolatus opera cum finibus Religionis coniungantur», non-
ché secondo il diritto comune e proprio, anche attese le
esigenze dell’Ordinario del luogo nel quale il religioso si
troverà ad esercitare il proprio apostolato.211
Oltre alla clausola della giusta causa, il permesso viene
concesso con il consenso del proprio consiglio, e con lo
stesso la facoltà può anche essere suddelegata ai Superiori
maggiori, i quali a loro volta potranno usarla con il con-
senso del proprio consiglio.

5. Facoltà di cedere i beni patrimoniali.

De consensu sui Consilii, concedendi suis subditis vota


simplicia perpetua professis, id petentibus, facultatem ce-
dendi sua bona patrimonialia, iusta de causa et salvis nor-
mis prudentiae.

211 Il caso della malattia giustamente non comporta limiti di tem-


po, ma perdura fintantoché la malattia persista; ciò risulta essere di
notevole utilità, liberando il Superiore da rallentamenti inutili nel go-
verno stesso dei membri dell’Istituto, soprattutto per il caso di anzia-
ni che versino in uno stato continuo di degenza, magari in case di ri-
poso esterne all’Istituto stesso.
La fattispecie dell’assenza va invece distinta da quella dell’esclau-
strazione, per la quale il CIC prevedeva (e prevede) diversamente.
Infatti, anche sotto il profilo della voce attiva o passiva, il membro
che sia assente dalla casa religiosa mantiene entrambe le voci, mentre
l’esclaustrato le perde entrambe per tutto il tempo dell’indulto.
L’assente dalla casa religiosa mantiene tutti gli obblighi ed i diritti pro-
pri del suo Istituto e del diritto comune, giacché il consacrato resta co-
munque ascritto alla casa religiosa e non se ne separa giuridicamente
finché perdura la giusta causa per mancarvi e rientra nei limiti tem-
porali stabiliti.
Cap. II - Dal CIC 17 al Concilio Ecumenico Vaticano II
191

Quam facultatem, de consensu sui Consilii, subdelegare


possunt ceteris Superioribus Maioribus, qui tamen ea uti
nequeunt nisi suo ipsorum Consilio consentiente.

È una facoltà concessa in forza della rivalutazione della


professione come donazione totale di sé in povertà. Essa è
in conformità con quanto il decr. Perfectae caritatis, al n.
13, afferma, cioè che le Costituzioni delle Congregazioni
possano permettere ai membri di rinunziare ai beni patri-
moniali acquisiti o in procinto di acquisizione. La renova-
tio del diritto proprio degli Istituti avrebbe dovuto andare
proprio in questa direzione.212
Vincolo per il lecito uso della facoltà è che vi sia il con-
senso del proprio consiglio. La stessa è suddelegabile an-
che agli altri Superiori maggiori se vi è il consenso del
consiglio del supremo Moderatore, i quali a loro volta ne-
cessitano del consenso del proprio consiglio.

6. Facoltà di cambiare il proprio testamento.

Concedendi suis subditis ut testamentum mutare possint.


Quam facultatem, de consensu sui Consilii, ceteris Supe-
rioribus Maioribus eiusdem Religionis subdelegare possunt.

212Si tratta comunque di situazioni delicate e da valutare «salvis


normis prudentiae», in quanto un consacrato o soprattutto una con-
sacrata che siano ancora professi temporanei e che abbiano ad essere
dimessi dall’Istituto potrebbero trovarsi in gravi difficoltà economiche,
maggiormente nel caso in cui risiedessero in un Paese straniero, lon-
tano dai propri familiari. La giusta causa di cui si parla nella norma
per la concessione non ha particolari limiti e, probabilmente, è in ri-
ferimento alla conformazione a Cristo povero e umile, supremo idea-
le di ogni consacrato. È allora opportuno che i Superiori siano anima-
ti soprattutto dalla carità, che in questo caso si manifesta quando, in
seguito alla dimissione dall’Istituto, si abbia ad aiutare non solo con
dei sussidi economici ma anche con mezzi pratici gli stessi membri
uscenti.
La potestà di governo nella vita consacrata
192

A norma del can. 583, 2° CIC 17, «Professis a votis


simplicibus in Congregationibus religiosis non licet testa-
mentum conditum ad normam can. 569 §3 mutare sine li-
centia Sanctae Sedis, vel, si res urgeat nec tempus suppe-
tat ad eam recurrendi, sine licentia Superioris maioris aut,
si nec ille adiri possit, localis». Ciò era forse dovuto alla
particolare gravità dell’atto, cui i membri dell’Istituto po-
tevano essere addotti con il plagio o con malizia. A que-
sto riguardo si doveva ricorrere alla Congregazione per i
Religiosi. Tuttavia, nel canone il soggetto passivo è il pro-
fesso temporaneo, mentre nella facoltà non vi è distinzio-
ne alcuna tra temporaneo o perpetuo.213
Non vi è necessità di avere il consenso del proprio con-
siglio per concedere il cambiamento e la facoltà è sudde-
legabile con il consenso dello stesso. Per la materia tratta-
ta, questa facoltà riguarda i Superiori degli Istituti religio-
si, non di quelli secolari né delle Società di vita apostoli-
ca, dove gli atti patrimoniali non rientrano nelle disposi-
zioni di vita comune, ma sono relegate alla vita privata dei
membri.214

7. Facoltà di trasferire la sede del noviziato.


Transferendi, de consensu sui Consilii, vel in perpetuum
vel ad tempus, sedem novitiatus, ad normam iuris iam
erectam, in aliam domum eiusdem Religionis: praemoni-
to Ordinario loci ubi sita est domus novitiatus, et serva-
tis de iure servandis.

Come già per il rescritto, si tratta qui di trasferire la se-


de del noviziato in una casa dell’Istituto che già esisteva.

213 Cfr. TABERA-DE ANTOÑANA-ESCUDERO, Derecho de los religiosos,

373-374, in cui si sottolinea che “esta facultad no quita la que en ca-


so urgente, compete incluso a los superiores locales, [...]”.
214 Cfr. PUGLIESE, Commentarius ad rescriptum, 460.
Cap. II - Dal CIC 17 al Concilio Ecumenico Vaticano II
193

La prassi della Curia romana aveva tuttavia dato luogo al-


la richiesta della licenza apostolica per potere spostare la
sede stessa del noviziato.
Ora questa facoltà viene concessa agli stessi Moderatori
supremi di Istituti maschili o femminili i quali, avuto il
consenso del proprio consiglio ed avvisato l’Ordinario del
luogo dove stava il noviziato, possono liberamente conce-
dere la traslazione. Non è una facoltà suddelegabile, anche
dal momento che ora tutto l’iter delle case di formazione,
dall’erezione alla soppressione, passando per il trasferimen-
to, dipende dal Superiore generale.215

8. Facoltà di riconfermare i Superiori locali ad un terzo


triennio.

Confirmandi, de consensu sui Consilii, ad tertium trien-


nium Superiores locales, collatis antea consiliis cum Or-
dinario loci.

È una facoltà concessa in deroga al disposto del can.


505, secondo il quale i Superiori locali non possono esse-
re costituiti per un tempo maggiore al triennio, a meno
che le costituzioni non prevedano un secondo mandato,
tuttavia mai per un terzo triennio.216 Anche se non è det-

215 Cfr. TABERA-DE ANTOÑANA-ESCUDERO, Derecho de los religiosos,


245, in cui nota che per le Congregazioni di diritto diocesano, la li-
cenza dell’Ordinario del luogo si richiede solo per la liceità dell’atto.
Cfr. anche PUGLIESE, Commentarius ad rescriptum, 461.
216 Immediato; dopo che un nuovo Superiore locale sia stato nomi-

nato ed abbia espletato il proprio mandato, può subentrare nuovamen-


te il precedente Superiore. Cfr. TABERA-DE ANTOÑANA-ESCUDERO,
Derecho de los religiosos, 88. Se la norma codiciale era volta ad evitare
ogni abuso verso l’ufficio ed ogni danno verso gli ascritti a quella de-
terminata casa religiosa, la revisione attuale mira invece a rendere più
continuo e quindi pure più stabile l’ufficio stesso.
La potestà di governo nella vita consacrata
194

to esplicitamente, tuttavia si deve ritenere che la confer-


ma ad un terzo mandato debba essere motivata da giuste
cause, che saranno anzitutto vagliate con l’Ordinario del
luogo, condizione indispensabile per la valida riconferma.
Non è una facoltà suddelegabile, ma resta vincolata al
consenso da parte del consiglio del supremo Moderatore.
Essa riguarda pure le Società di vita apostolica, le quali
conducono pure vita comune.

9. Facoltà di dispensare dall’obbligo di recitare l’ufficio


divino.

Moderatricibus supremis Ordinum monialium dispensandi,


iusta de causa, singulas moniales ab obligatione recitandi
Officium divinum – si ad hoc vi iuris communis teneantur
– cum a choro abfuerint, vel hanc obligationem commu-
tandi in alias preces. Haec facultas subdelegari potest, de
consensu Consilii, Superiorissis singularum domorum.
Eadem facultas pariter conceditur omnibus Antistitis
Monasteriorum monialium sui iuris.

L’ultima facoltà è propria ed esclusiva del decreto, ma


ristretta solamente alle monache e consacrate che siano
tenute alla recita comunitaria dell’ufficio o, quanto meno,
privata. Nella fattispecie, la dispensa è concessa dalla re-
cita dell’ufficio in privato, giacché è questo che sono te-
nute se non possono parteciparvi in coro. La dispensa può
essere anche sostituita da altre preghiere debitamente sug-
gerite.
Vi deve sempre essere una giusta causa per la conces-
sione della dispensa, quale potrebbe essere la malattia, la
cecità, un impegno sopravvenuto, … Certamente non
potrà esserlo la pigrizia e la cattiva volontà della religio-
sa. La concessione non richiede per la validità il consen-
so del consiglio (il che potrebbe risultare esagerato e gra-
voso).
Cap. II - Dal CIC 17 al Concilio Ecumenico Vaticano II
195

È una facoltà suddelegabile con il consenso del proprio


consiglio, e può essere concessa alle Superiore delle singo-
le case.217

2.8. Conclusioni

Giunti al termine di questo secondo capitolo, riassu-


miamo brevemente i maggiori punti trattati e ne cogliamo
delle conseguenze, cercando di mettere in risalto quella
che è pure la nostra stessa posizione.
Le fonti del can. 501 CIC 17 ci hanno mostrato come
nel canone stesso siano confluite prospettive diverse che
avevano l’intento di dare uno sguardo il più possibile com-
pleto al carattere della potestà con cui i Superiori religio-
si dirigevano gli Istituti ed i loro membri, di qualsiasi tipo
fossero (Istituti religiosi, Istituti secolari, Società di vita
comune). Per fare ciò si erano usati i concetti di potestas
dominativa per tutti gli Istituti, iurisdictio ecclesiastica per le
Religioni clericali esenti. Ben presto gli studiosi hanno no-
tato che il concetto di potestas dominativa non poteva ba-
stare per qualificare la potestà negli Istituti di vita consa-
crata non esenti, giacché essa non poteva essere di natura
privata ma pubblica, non poteva venire da un principio in-
terno all’Istituto, ma doveva comunque essere concessa da
un’autorità esterna; si realizzava ciò che il principio latino
afferma: «inde venit auctoritas unde venit societas».
Questi sviluppi dottrinali furono confermati da alcuni
documenti pontifici in epoca conciliare che ampliavano la
sfera di giurisdizione dei Superiori religiosi avvalorando il
principio che la potestà viene dall’autorità che ha fonda-

217 Cfr. TABERA-DE ANTOÑANA-ESCUDERO, Derecho de los religiosos,


418.
La potestà di governo nella vita consacrata
196

to l’Istituto e non può quindi essere di carattere privato. Il


rescritto pontificio Cum admotae ed il decreto Religionum
laicalium, infatti, erano rivolti ai Superiori degli Istituti di
diritto pontificio rispettivamente clericali e laicali e ne
ampliavano le facoltà.
Allo stesso tempo, il Concilio Ecumenico Vaticano II
affermava, nella costituzione Lumen gentium, che alcuni
Istituti possono essere esentati dalla giurisdizione dell’Or-
dinario del luogo, ma non stabiliva in alcun modo che ti-
po di potestà essi esercitassero. In tale costituzione, infat-
ti, si parla della potestas sacra che nella Chiesa ha un’uni-
ca fonte, Gesù Cristo, ma lascia aperti molti spazi all’in-
terpretazione se sia legata alla potestas sacramentalis o alla
potestas non sacramentalis. Ciò che importa rilevare, inve-
ce, è che essa è l’unica potestà affidata da Cristo alla Chie-
sa, che si manifesta in vari modi per la sua missione.
In linea con la tradizione della Chiesa e con numerosi
studiosi, si può affermare che la potestà sacramentale o di
ordine (che riguarda i cinque sacramenti amministrati
esclusivamente da chi è ordinato in sacris) non è l’unica
nella Chiesa, ma vi è pure una potestà non sacramentale o
di giurisdizione che, pur essendo proveniente dall’unica po-
testas sacra della Chiesa, può venire trasmessa anche ai lai-
ci e perciò da essi esercitata. Essa è comunque potestà di
governo: questo si nota in particolare nelle facoltà 13 del
Cum admotae e 3 del Religionum laicalium, dove atti tipica-
mente propri della gerarchia ecclesiastica (perciò legati al-
la potestà sacra) vengono attribuiti agli Istituti clericali
non esenti e agli Istituti laicali.
Una nota non irrilevante, prima di passare al cap. III
sulla formazione del can. 596 del CIC 83, riguarda il gio-
co che la dottrina ebbe a svolgere nell’approfondimento
del tema della potestà dominativa: fu infatti grazie all’ope-
ra di insigni giuristi che anche a livello istituzionale si po-
té notare l’approccio sbagliato che si aveva nei confronti
Cap. II - Dal CIC 17 al Concilio Ecumenico Vaticano II
197

degli Istituti religiosi, secolari, Società di vita comune. E


misconoscendo il ruolo degli Istituti e Società nella Chiesa
e la loro posizione giuridica, se ne travisava pure l’attribu-
zione dei diritti e doveri, a volte lasciando troppa autono-
mia negli stessi e non vigilando sugli abusi che i Superiori
correvano il rischio di esercitarvi.
199

Cap. III
La fase di codificazione
del can. 596

In questo capitolo si prendono in esame le tappe prin-


cipali che hanno portato alla redazione del can. 596 CIC
83, prendendo spunto dai principi che hanno fatto da
sfondo alla riformulazione di un Codice nella Chiesa lati-
na, proposti a ridosso del Concilio Vaticano II, e arrivan-
do alla loro redazione in forma canonica.
Dopo aver visto l’evoluzione del concetto di potestà ne-
gli Istituti di vita consacrata dalle origini di questa stessa
all’interno della Chiesa fin quasi ai giorni nostri, ci trovia-
mo di fronte ad una sua nuova visione che porta con sé la
necessità anche di una riformulazione del diritto che la ri-
guarda, così da poterle dare nuovo slancio e armonia in sé
ed in rapporto con la gerarchia. Nonostante questo, diffi-
coltà nell’armonizzare una visione unitaria si sono avute
all’interno dei gruppi che dovevano porne in norme la
dottrina e la teologia.

3.1. Principi ispiratori della riforma codiciale

La Commissione De revisendo Codice Iuris Canonici fu


costituita formalmente il 28 marzo 1963, ma cominciò i
propri lavori soltanto con la chiusura del Concilio,1 per

1 Cfr. FAGIOLO V., Dal Concilio Vaticano II al nuovo Codice di Diritto


Canonico, in Vivarium (4/1980-1983), 25-26. I Gruppi di studio comin-
ciarono a riunirsi dal maggio 1966; cfr. Communicationes 28 (1996), 195
ss. Tuttavia, un Coetus centralis che ripartiva e coordinava le competen-
ze tra i diversi Gruppi fu attivo fin dal maggio 1965; cfr. Communicatio-
nes 1(1969), 44-45.
La potestà di governo nella vita consacrata
200

poter tener conto di tutte le proposte in esso emerse. Essa


doveva porre un ritocco al CIC 17 che era stato redatto
senza alcun principio direttivo, in quanto esso era un cor-
po organico di norme vigenti atto a togliere l’incertezza
del diritto circa le norme cadute in disuso.
Da principio la discussione ruotò attorno a tre questio-
ni: se doveva esserci un solo Codice o due (per la Chiesa
Latina e Orientale); il regolamento interno; la distribuzio-
ne del lavoro fra i Gruppi.2 Ben presto, però, si capì la ne-
cessità di dare delle direttive, dei principi generali riguar-
danti la codificazione e il 30 novembre 1966 il p. Bidagor
(allora segretario della Commissione) chiese ai Consultori
di inviare pareri circa i principi direttivi che si sarebbero
dovuti seguire per la revisione del CIC 17.3 Questi stessi
furono presentati all’Assemblea Generale del Sinodo dei
Vescovi (settembre-ottobre 1967) nella bozza raccolta dal
segretario del Coetus e dallo stesso Sinodo approvati, dan-
do loro maggior autorevolezza.
Con i Principia directiva generalia non si volle risolvere
questioni dottrinali, quanto offrire uno strumento di carat-
tere pratico.4 Essi si collocano nell’orizzonte del diritto ca-
2 Cfr. Communicationes 1(1969), 37. Le proposte conciliari biso-
gnose di un quadro normativo erano numerose, se si contano anche
tutte quelle che non furono neppure presentate ai Padri conciliari. In
linea di massima possono essere divise in due settori: ab intra (come
rapporti nella Chiesa e tra le Chiese), ab extra (come missione di tut-
ti i fedeli).
3 Le proposte raccolte costituirono un «foglio d’ufficio» di ben 36

pagine dal titolo Principia directiva generalia pro Codicis Iuris Canonici
recognitione. Cfr. GUTIÉRREZ J.L., La formazione dei principi per la rifor-
ma del «Codex Iuris Canonici», in CANOSA J. (a cura di), I principi per
la revisione del Codice di Diritto Canonico. La ricezione giuridica del
Concilio Vaticano II, Milano 2000, 14.
4 Infatti, fu sollevato anche l’interrogativo (che non passò nei

Principia) se la potestà di giurisdizione sia posta come fondamento del


carattere giuridico delle norme ecclesiastiche; cfr. Principio I; verbale
della sessione, II, 5-6.
Cap. III - La fase di codificazione del can. 596
201

nonico, cogliendolo «nel suo senso più radicale (e, cioè, in


quanto res iusta o id quod est alteri debitum)»,5 così come il
diritto si trova in ogni tipo di società. Infatti, «la Chiesa e
le società civili coincidono nel loro carattere di società e
sono dotate allo stesso tempo di “peculiarità”».6 Più che a
riformare delle leggi, miravano a porre in forma normati-
va gli insegnamenti conciliari.
I dieci Principia quae Codicis Iuris Canonici recognitionem
dirigant sono i seguenti:7
– de indole iuridica Codicis;
– de fori externi et interni positione in iure canonico;
– de quibusdam mediis fovendi curam pastoralem in Codice;
– de incorporatione facultatum specialium in ipso Codice;
– de applicando principio subsidiarietatis in Ecclesia;
– de tutela iurium personarum;
– de ordinanda procedura ad tuenda iura subiectiva;
– de ordinatione territoriali in Ecclesia;
– de recognoscendo iure poenali;
– de nova dispositione systematica Codicis Iuris Canonici.
Essi sono appunto di carattere generale, tanto che alcu-
ni Gruppi, come il Coetus de Institutis perfectionis (poi ri-
nominato Coetus de Institutis vitae consecratae), si diedero
alcuni principi specifici per il lavoro interno alla Commis-
sione.8
Il IV principio, «de incorporatione facultatum specia-
lium in ipso Codice», chiedeva l’incorporazione delle fa-

5 GUTIÉRREZ, La formazione dei principi, 24.


6 GUTIÉRREZ, La formazione dei principi, 25. Il diritto canonico è
perciò stesso strettamente unito alla struttura della Chiesa come so-
cietà terrena organizzata che presuppone l’uguaglianza di tutti i fedeli
(cui conseguono diritti e doveri) ed i mezzi perché questa sia tutelata
giuridicamente; cfr. LOMBARDÌA P., Nuevo Derecho Canonico, La Flori-
da 1983, 21-23.
7 Si trovano in Communicationes 1(1969), 77-85.
8 Cfr. Communicationes 2(1970), 170-173.
La potestà di governo nella vita consacrata
202

coltà concesse agli Istituti di vita consacrata e Società di


vita comune così come trattate nel cap. II e, di conseguen-
za, una chiara segnalazione delle autorità che avessero po-
tuto dispensare. In questo modo furono incorporate, tra
tante facoltà, quella di elaborare e promulgare i cambi e
l’approvazione di tutti i codici e libri propri inferiori alle
Costituzioni; l’elezione capitolare del supremo Moderatore
dell’Istituto religioso senza necessità di conferma della
Santa Sede; la concessione di assenze dalla casa religiosa
per periodi non superiori all’anno (per studio, infermità,
apostolato nel nome dell’Istituto, anche superiore all’an-
no). Così pure fu definito che gli Istituti di diritto ponti-
ficio sono, per quanto riguarda la disciplina ed il regime
interni, immediatamente sottoposti alla Santa Sede.9
Per il nostro tema sarà rilevante il numero V, circa il
principio di sussidiarietà. Esso può risultare incompleto,10 ma
come tutti gli altri, svolse una funzione di carattere gene-
rale che fu specificata dalle varie Commissioni.
Daremo infine un rapido sguardo anche al VI principio,
sulla ‘tutela dei diritti della persona’, per completare il
quadro della potestà nell’ambito della riforma del diritto
della vita consacrata.

9 Come osserva URRU A.G., Principio di sussidiarietà e diritto dei re-


ligiosi nel nuovo Codice di Diritto canonico, in VitCons 19(1983), 501-
511, il IV principio può già essere visto come una applicazione del V.
10 Cfr. Communicationes 1(1969), 80-82, dove si parla di tale prin-

cipio solo in relazione ai rapporti fra Santa Sede e Chiese particolari.


In realtà era stato proposto di estendere tale principio anche ad altri
contesti della vita sociale della Chiesa già nel Coetus dell’aprile ’67,
ma il testo dei Principia era già stato mandato alla stampa per il Sinodo
dei Vescovi. Cfr. GUTIÉRREZ J.L., El principio de subsidiariedad y la igual-
dad radical de los fieles, in IusCan 1(1971), 413-444; ID., I diritti dei
«christifideles» e il principio di sussidiarietà, in Atti del Congresso Interna-
zionale di Diritto Canonico. La Chiesa dopo il Concilio, vol. II/2, Milano
1972, 785-796.
Cap. III - La fase di codificazione del can. 596
203

3.1.2. Il principio di sussidiarietà


Il principio di sussidiarietà è stato utilizzato per giustifi-
care le posizioni più disparate: per sostenere la decentraliz-
zazione dei poteri, per appoggiare un pensiero personalista,
per ridurre il campo dell’autorità e dell’obbedienza, per in-
sistere sull’autonomia delle funzioni gerarchiche.11 Nel suo
significato latino, subsidium indicava un gruppo di soldati
che stavano dietro l’armata cui portavano soccorso ai com-
battenti affaticati o feriti;12 di qui il passo fu breve per in-
tenderlo come auxilium, aiuto. Ma va subito notato che se
auxilium indica un aiuto che viene dall’esterno, subsidium
indica invece un aiuto che viene dall’interno, che serve a
fortificare un mezzo principale. Quindi, la sussidiarietà si
differenzia pure dalla complementarietà che è un appoggio
utilizzato dall’agente principale per perfezionare la sua at-
tività conformemente alla sua natura.
Il principio di sussidiarietà non è quasi mai utilizzato
nel CIC 17 (appare il termine subsidium nei cann. 671 e
981 con il significato di aiuto economico e parcella), ma
emerge piuttosto in campo teologico-pastorale e nella dot-
trina sociale della Chiesa parlando dello Stato, a partire da

11 Cfr. LESAGE G., Le principe de subsidiarité et l’état religieux, in Studia


Canonica 2(1968), 99. Una critica all’identificazione della sussidiarietà
con il concetto di decentramento viene fatta da BEYER J., Le principe de
subsidiarité: son application en Eglise, in Gregorianum 69(1988), 442-443,
il quale afferma che “le principe de subsidiarité n’est pas un principe de
décentralisation, mais plutôt un principe de stabilisation entre deux
pouvoirs, celui des citoyens et celui des gouvernants. Il favorise une dé-
centralisation équilibrée ; bien plus, il établit entre diverse autorités
une hiérarchie entre pouvoir central, régional, provincial et communal
[…]. Cette décentralisation équilibrée n’est cependant pas son premier
but”.
12 “Subsidium proprie dicitur de militibus qui, instante pugna, post

aciem locantur, ut laborantibus aut fessis subsidio sint”; FORCELLINI A.,


Lexicon totius latinitatis, t. 4, Padova 1940, 553-554.
La potestà di governo nella vita consacrata
204

Leone XIII,13 Pio XI,14 Pio XII,15 arrivando a Giovanni


XXIII16 e al Concilio Vaticano II.17 Esso indica che il fine
della società è la persona e che tutta la società è sussidia-
ria in rapporto ai suoi membri; parimenti esprime il ruolo
suppletivo della società nei riguardi della vita economica
dell’individuo. Se vi è pure una accezione di ausiliarietà,
essa va intesa nel senso che lo Stato sorregge gli individui
in vista del bene comune e della giustizia distributiva18

13 Cfr. LEONE XIII, Enciclica Rerum novarum del 15 maggio 1891,


in ASS 23(1890/91), 643-652.
14 Cfr. PIO XI, Enciclica Quadragesimo anno, 15 maggio 1931, in

AAS 23(1931), 190-216. Al n. 203 afferma che “[...]socialis quaevis


opera vi naturaque sua subsidium afferre membris corporis socialis de-
beat, numquam vero eadem destruere et absorbere [...]. Quare sibi ani-
mo persuasum habeant, qui rerum potiuntur: quo perfectius, servato
hoc «subsidiarii» officii principio, hierarchicus inter diversas consocia-
tiones ordo viguerit, eo praestantiorem fore socialem et auctoritatem
et efficientiam eoque feliciorem laetioremque rei publicae statum”.
15 Cfr. PIO XII, Allocution aux nouveaux Cardinaux, 20 febbraio

1946, in AAS 38(1946), 145, in cui afferma che “tutta l’attività socia-
le è per sua natura sussidiaria”.
16 Cfr. GIOVANNI XXIII, Enciclica Mater et magistra, 15 maggio

1961, in AAS 53(1961), 405-447, dove un intero paragrafo è dedica-


to al “principio subsidiarii officii”.
17 Nel Concilio se ne parlò solamente nella dichiarazione Gravis-

simum educationis, al n. 3, riguardo all’educazione e alla cultura. Tutta-


via lo si applica solo in maniera imprecisa e senza riferimento agli in-
terventi pontifici precedenti. Cfr. KARRER O., Le Principe de subsidia-
rité dans l’Eglise, in L’Eglise de Vatican II. Etudes autour de la Constitu-
tion conciliaire sur l’Eglise, Parigi 1966, 575.
18 Con TOMMASO D’AQUINO, Summa theologiae, I-II, q. 29, 3, pos-

siamo affermare che la persona è il principio, il soggetto e il fine di


tutte le istituzioni. Proprio nel campo della giustizia “le principe de
subsidiarité n’è pas simplement sociologique; il appartient à la philoso-
phie du droit”; BEYER J., Principe de subsidiarité ou juste autonomie dans
l’Eglise, in Nouvelle Revue Theologique 108(1986), 803.
Cap. III - La fase di codificazione del can. 596
205

(dando quindi diritto di intervento allo Stato, ma contem-


poraneamente limitandone il campo d’azione): si crea in
questo modo una gerarchia tra società, per così dire, mag-
giori e minori, primarie e secondarie. Ciò non andrebbe a
scapito della natura dell’autorità, resa indispensabile per il
bene comune e quindi per garantire il primato della liber-
tà personale: si può dire che è di una «competenza fonda-
ta sul bene comune e anteriormente all’autorità interna
della società, che si occupa il principio di sussidiarietà».19
Nel riconoscere la Chiesa come società, pur con le proprie
caratteristiche, si può cogliere l’attuabilità del principio
anche ad essa, tramite una applicazione analogica «ad
quamlibet (materialem consideratam) activitatem socia-
lem, necnon indifferens est quoad naturam boni habendi
per activitatem socialem».20
Il principio di sussidiarietà è applicato anche nel m.p.
Ecclesiae Sanctae di Paolo VI, lì dove si accorda a qualsia-
si livello di autorità, quella libertà necessaria per esercita-
re efficacemente.21 Autonomia delle funzioni diviene allo-
ra non ingerenza di un rango gerarchico superiore in uno
inferiore,22 favorendo la decentralizzazione del governo ed
un miglior esercizio dell’autorità e dell’obbedienza.
Applicando il principio al governo dell’Istituto religio-
so, notiamo alcuni punti rilevanti: il ruolo ausiliario del-
l’Istituto; la garanzia della libertà; il rispetto della persona-

19 UTZ A., Ethique sociale, t. 2, Philosophie du droit, Friburgo 1967,

177 [nostra traduzione].


20 BERTRAMS W., De principio subsidiaritatis in iure canonico, in Per

46(1957), 15.
21 Cfr. PAOLO VI, m.p. Ecclesiae Sanctae, in AAS 58(1966), 778.
22 “Un organe supérieur ne devrait jamais s’emparer de la fonction

d’un organe inférieur, mais ne devrait agir qu’en second lieu, pour le
fortifier quand c’est nécessaire”; ORSY L., L’autorité dans la vie religieu-
se, in Vie consacrée 39(1967), 224.
La potestà di governo nella vita consacrata
206

lità; la ripartizione gerarchica dell’autorità; la specificità


delle funzioni.23
Quanto al primo punto, si nota come l’Istituto rivesta
al pari della società in generale (e, in quanto società, del-
la Chiesa stessa), un ruolo ausiliario rispetto ai membri
dell’Istituto stesso. Se il ruolo della società in generale e
del potere pubblico in particolare è quello di salvaguarda-
re il carattere intangibile dei diritti della persona umana e
di facilitare il compimento dei suoi propri doveri,24 ne
consegue che essa deve osservare la non ingerenza nei di-
ritti di ogni singolo individuo, ma pure prestargli il proprio
aiuto complementare. In questo senso la Chiesa, agendo in
nome di Cristo, interviene in diverse maniere nella vita
personale dei cristiani. Allo stesso modo, l’Istituto fornisce
un ruolo complementare di motivazione ed orientamento,
di liberazione e compimento della propria vocazione al
membro che vi prenda parte. Sarà perciò necessario rico-
noscergli una giusta autonomia di vita, nel campo del go-
verno e della disciplina propria, soprattutto per quanto ri-
guarda l’approvazione di regolamenti e statuti interni.25
In quanto garanzia di libertà, il principio è difficilmen-
te rilevabile nello stato religioso. Tuttavia, se si osserva

23 Cfr. LESAGE, Le principe de subsidiarité, 117 ss. BEYER J., Verso un


nuovo diritto degli Istituti di vita consacrata, Milano 1976, 21, nota co-
me “il principio di sussidiarietà in questa parte del diritto sembra do-
versi applicare più che nelle altre parti della legislazione della Chiesa,
poiché la varietà degli Istituti di vita consacrata, per la multiforme ric-
chezza dei doni dello Spirito Santo, risulta grande e mirabile; […]”.
24 Cfr. PIO XII, Messaggio nel 50° anniversario della Rerum novarum,

1° giugno 1941, in AAS 33(1941), 102.


25 Cfr. ANDRÉS D.J., El estatuto codicial sobre la vida religiosa (can.

573-709) en la formalizaciòn jurìdica de los «principia quae CIC recogni-


tionem dirigant» del Sìnodo episcopal de 1967, in CANOSA J. (a cura di),
I principi per la revisione del Codice di Diritto Canonico. La ricezione giu-
ridica del Concilio Vaticano II, Milano 2000, 440-442.
Cap. III - La fase di codificazione del can. 596
207

che colui che entra in un Istituto pone la propria obbe-


dienza in un Superiore che è mandatario della Chiesa e
rappresentante di Dio, si nota come tale obbedienza di-
venga segno dell’offerta della propria libertà che si trova
proprio nel fare la volontà del Padre. In questo senso, il
principio di sussidiarietà non può che essere la miglior ga-
ranzia di libertà, tenendo ben presente che i Superiori, in
quanto rivestono un ruolo profetico e pastorale, sono re-
sponsabili davanti a Dio dei loro sudditi e sono servitori
della comunità.26
Circa la ripartizione gerarchica dell’autorità, la Chiesa,
come notato nel cap. II, riceve da Gesù Cristo la propria
struttura gerarchica che è formata dal Romano Pontefice
e dai Vescovi. Questa autorità della Chiesa è comunicata
ai Superiori religiosi dal Romano Pontefice stesso:27 infat-
ti, se è vero che il potere nella Chiesa deriva da Dio, al-
trettanto deve considerarsi che esso non risiede tutto nel-
la gerarchia.28 In questo senso non si vede come possa es-

26 Cfr. ANDRÉS H., Ejercicio de la autoridad (Decreto «Perfectae


Caritatis»), in Estudio Augustiniano 3(1968), 18; VACA C., La vida re-
ligiosa en San Agustìn, IV, Madrid 1964, 169.
27 PIO XII, Esortazione ai Superiori generali, 11 febbraio 1958, in

AAS 50(1958), 153, afferma che questa autorità passa dal Papa ai
Superiori con la delega della suprema giurisdizione, sia tramite il
Codice, sia tramite l’approvazione delle Regole e degli Istituti. CAR-
DIA C., La rilevanza costituzionale del principio di sussidiarietà nella Chie-
sa, in CANOSA J. (a cura di), I principi per la revisione del Codice di
Diritto Canonico. La ricezione giuridica del Concilio Vaticano II, Milano
2000, 256, nota che “il principio primaziale ecclesiastico viene inter-
pretato come ontologicamente contrapposto e impeditivo per l’espli-
carsi della sussidiarietà”. Questa posizione può essere accolta solo se il
principio primaziale viene inteso in maniera verticistica-assoluta e
non piuttosto come elemento fondante la stessa potestà nella Chiesa,
sia nel collegio episcopale in forma ordinaria, sia a chi venga delega-
ta da chi la detiene, in forma straordinaria.
28 Cfr. GUTIÉRREZ, El principio de subsidiariedad, 425.
La potestà di governo nella vita consacrata
208

serci altra potestà all’interno dell’Istituto stesso, sia esso di


indole clericale, che di indole laicale. Poco importa poi
per il nostro studio se, nella varietà dei carismi che anima-
no gli Istituti, la forma di governo presente in questi a vol-
te sia più di tipo monarchico-verticistico, altre volte più di
tipo democratico-esteso.29 Ciò che rileva, invece, è che il
potere nella Chiesa è sempre visto nell’ottica del servizio,
in quanto finalizzata ai mezzi sacramentali di salvezza e al-
la tutela del depositum fidei.
Decentralizzazione dei poteri (ben fissati nei loro limiti
nelle costituzioni e nei regolamenti sia a livello locale che
provinciale e generale) e autonomia degli Istituti divengo-
no mezzi utili per rendere più spedito e aderente alle neces-
sità dei religiosi il governo degli stessi. Per questo «Su-
periores cuiusque gradus opportunis facultatibus muniantur,
ne inutiles vel nimis frequentes recursus ad altiores aucto-
ritates multiplicentur».30 I Superiori, a completamento del
principio, devono avere requisiti fissati dal diritto per esse-
re eletti, senza bisogno di conferme o altro da parte della
Santa Sede.31
Da quanto esposto si può dedurre che «il principio di
sussidiarietà dà i suoi migliori frutti se riferito ed applica-
to ‘ai grandi equilibri costituzionali’ che caratterizzano un
determinato ordinamento, se riferito cioè agli essenziali e
precipui fondamenti di un determinato assetto sociale e
giuridico».32 Se da un lato esso denota il bisogno di com-

29 Anche se è da notare che il Concilio (PC 4) e Paolo VI (m.p.

Ecclesiae sanctae, 2; 18) hanno auspicato una maggior partecipazione


nel governo degli Istituti di tutti i religiosi sia come capitolari che co-
me consiglieri.
30 M.p. Ecclesiae sanctae, 18.
31 Cfr. ANDRÉS, El estatuto codicial sobre la vida, 443.
32 CARDIA, La rilevanza costituzionale del principio di sussidiarietà nel-

la Chiesa, 240.
Cap. III - La fase di codificazione del can. 596
209

plementarietà nella capacità decisionale, dall’altro eviden-


zia che tale bisogno può avere risposte diverse sia in cam-
po temporale che spaziale, nelle strutture sociali differenti
in cui si manifesta: di fatto, nel principio di sussidiarietà vi
è una connotazione di storicità e di relatività legata alla
società cui è applicato.
Ma, allo stesso tempo, il principio di sussidiarietà deno-
ta il carattere di universalità che è sempre stato proprio
della Chiesa cattolica, nella sua capacità di farsi guida in
ogni dove con unità e attenzione al mondo.

3.1.2. La tutela dei diritti della persona


Il sesto principio va contro l’arbitrarietà dell’uso della
potestà nella Chiesa: l’autorità gerarchica e il fedele cri-
stiano, incorporato alla Chiesa mediante il battesimo e
perciò soggetto di diritti e doveri, si incontrano in un am-
bito di legittimità che garantisce la libertà e l’autonomia
di ciascuno, essendo la potestà «pro pastorali cura subdito-
rum».33 Essa rientra nell’ambito relazionale personale tra il
Superiore e i soggetti destinatari della stessa, relazione che
muterà a seconda della competenza dell’autorità e della
condizione del soggetto destinatario in quanto ad ampiez-
za giuridica, ma che resterà intatta in quanto alla finalità
di edificazione del Regno di Dio.34
Questa connotazione pastorale della potestà comporta
uno stile dialogico-comunicativo che tende a cercare la li-

33 Principio VI, Communicationes 1(1969), 82. Cfr. ARRIETA J.I., I

diritti dei soggetti nell’ordinamento canonico, in Fidelium Iura 1(1991), 15


ss.; HERRANZ J., Studi sulla nuova legislazione della Chiesa, Milano 1990,
117-120.
34 Cfr. PREE H., Esercizio della potestà e diritti dei fedeli, in CANOSA

J. (a cura di), I principi per la revisione del Codice di Diritto Canonico. La


ricezione giuridica del Concilio Vaticano II, Milano 2000, 308; DEL POR-
TILLO A., Fieles y laicos en la Iglesia. Bases de sus respectivos estatutos ju-
ridicos, Pamplona 19812, 70-72.
La potestà di governo nella vita consacrata
210

bera accettazione delle decisioni e la fiducia nell’autorità,


favorendo in questo modo anche la sua credibilità: il con-
cetto di potestà dominativa si allontana per lasciar spazio
al concetto di ufficio pubblico, esercitato per il bene della
comunità.35 Acquista particolare valore perciò il ‘principio
di legalità’, ad ogni livello giuridico (gli atti giuridici de-
vono essere previamente disciplinati dalla fonte superio-
re), nonché il riconoscimento dei ‘diritti soggettivi’ e del-
la loro tutela nel diritto della Chiesa e, infine, una strut-
tura di ‘partecipazione corresponsabile’ nell’esercizio della
potestà (nei suoi tre livelli legislativo, esecutivo, giudizia-
le).36
Di pari passo con l’aspetto partecipativo dei fedeli al-
l’esercizio della potestà, la revisione del Codice avrebbe
dovuto porre attenzione alla trasparenza e pubblicità delle
decisioni, favorendo che «usus huius potestatis in Ecclesia
arbitrarius esse non potest, idque iure naturali proibente
atque iure divino positivo et ipso iure ecclesiastico».37 La
responsabilità dell’autorità gerarchica avrebbe dovuto es-
sere non soltanto morale, ma anche giuridica (in questo
senso, infatti, era stata prevista la formazione di tribunali
amministrativi). Il principio di legalità, quindi, doveva far
risaltare la legalità sostanziale, «rispettando l’origine divi-

35 Cfr. HERRANZ, Studi sulla nuova legislazione, 121-122. ZUANNAZZI


I., Il principio di legalità nella funzione amministrativa canonica, in Ius
Ecclesiae 8(1996), 38, afferma che vi è “il passaggio dall’idea soggetti-
va e paternalistica di potestà, assoluta ed illimitata nei contenuti, al-
l’idea oggettiva e garantistica di funzione, condizionata al rispetto di
determinati valori”. Non c’è più dominio in senso unilaterale, quanto
piuttosto relazione giuridica bilaterale.
36 Cfr. VELA SANCHEZ L., Christifidelium officia et iura fundamentalia

descripta in legis fundamentalis Schematis textu emendato, in Per


61(1972), 611-615; MONETA P., La tutela dei diritti dei fedeli di fronte al-
l’autorità amministrativa, in Fidelium Iura 3(1993), 290-294.
37 Communicationes 1(1969), 82.
Cap. III - La fase di codificazione del can. 596
211

na di tutta la potestà nella Chiesa e di tutti i valori fonda-


mentali per la vita e la missione della Chiesa al servizio
della salus del fedele ed essendo più ampio rispetto agli or-
dinamenti statali […] e svolgendosi in un rapporto che
non è soltanto giuridico, ma anche ‘pastorale’ e ‘persona-
le’».38
Il principio di legalità andava comunque letto in corre-
lazione con il principio III di revisione del Codice, dove si
afferma che «in iure condendo Codex non tantum iusti-
tiam sed etiam sapientem aequitatem colat, quae fructus
est benignitatis et caritatis, ad quas virtutes exercendas
Codex discretionem atque scientiam Pastorum et iudicum
excitare satagat».39 Questa discrezione e scienza doveva es-
sere lasciata alla libertà dei Pastori lì dove la soluzione da
adottare potesse essere stata diversa per il bene e per il fi-
ne stesso della norma. Questo è ciò che avviene, per altro
verso, già in campo giudiziario, quando verità e giustizia si
incontrano.40 In questo modo si affermano l’uguaglianza
radicale di tutti in quanto ai diritti fondamentali; la realiz-
zazione dei diritti fondamentali come esercizio dell’essere
cristiano; la prevalenza dei diritti fondamentali sul diritto
meramente ecclesiastico.41
Il principio di tutela dei diritti della persona, se dal
punto di vista soggettivo garantisce lo stesso trattamento
di fronte al potere pubblico nell’applicazione della legge,
dal punto di vista oggettivo impone l’uguaglianza della leg-
ge stessa, ovverosia la necessità di evitare ogni genere di

38 PREE, Esercizio della potestà, 321.


39 Communicationes 1(1969), 79.
40 Ciò significa pure che la legge che lascia spazio alla discreziona-

lità deve stabilire i criteri a cui l’autorità deve rifarsi per esercitare
questa stessa discrezionalità, secondo il principio di legalità stesso.
41 Cfr. HERVADA J., Los derechos fundamentales del fiel a examen, in

Fidelium Iura 1(1991), 226-228.


La potestà di governo nella vita consacrata
212

arbitrarietà per essere il più possibile aderenti all’oggettivi-


tà dei fatti (ciò impone il rispetto anche del criterio di pro-
porzionalità, se vi sia in gioco una limitazione dei diritti
soggettivi, soprattutto se fondamentali).
Va perciò sottolineato come l’esercizio della potestà sia
da legare inscindibilmente al concetto di relazione giuridi-
co-pastorale. Esso avrà un carattere strumentale di servi-
zio, ma pure di responsabilità reciproca in vista della salus
animarum.42
Tali diritti, nella codificazione del diritto degli Istituti
di vita consacrata e Società di vita apostolica, mettono in
risalto anzitutto la comunione del religioso (in senso am-
pio) con la Chiesa, subordinata al Romano Pontefice, al-
la Santa Sede, ai Vescovi diocesani. Propriamente con lo
stato di vita che abbracciano, i religiosi avranno il dove-
re-diritto di proclamare il Vangelo e di condurre la propria
vita di apostolato, secondo il carisma del proprio Istituto.
Sarà pure loro diritto il manifestare necessità ed opinioni
ai Pastori, sia interni (Superiori religiosi) sia esterni (Or-
dinari del luogo, Romano Pontefice), permanendo comun-
que vivo il dovere e rispetto della relazione di obbedienza;
senza poi dimenticare il diritto di manifestare tali necessi-
tà ed opinioni al proprio organo legislativo interno supre-
mo, il Capitolo generale.43
Il diritto di associazione e di riunione, nella vita consa-
crata, troverà la propria forma massima di espressione, pur
rimanendo una differenza notevole tra Istituti e associazio-
ni di fedeli simpliciter dictae. Il diritto fondamentale alla
buona fama e alla intimità propria troverà parimenti una
tutela notevole nel diritto della vita consacrata, nei mo-
menti più delicati per la vita di un consacrato (ammissio-

42 Cfr. PREE, Esercizio della potestà, 345.


43 Cfr. ANDRÉS, El estatuto codicial sobre la vida, 445-447.
Cap. III - La fase di codificazione del can. 596
213

ne del candidato, direzione di coscienza e confessione sa-


cramentale, partecipazione agli altri sacramenti). Legato a
questi due, si troverà il processo amministrativo di espul-
sione, nel rispetto di tali diritti fondamentali e alla possi-
bilità del contraddittorio.44
Infine, la normativa riguardante il Superiore religioso
dovrà fare in modo che esso eserciti la propria autorità nel
rispetto della persona umana, in modo da poter suscitare
in essa la propria adesione volontaria alle necessità
dell’Istituto.

3.2. Il coetus de iure religiosorum

La Pontificia Commissione per la revisione del Codice


fu divisa in gruppi (coetus) che trattavano le diverse aree
del Codice. Il gruppo di studio De Religiosis (che prendeva
il nome a partire da LG e PC) ben presto mutò il proprio
nome in De Institutis Perfectionis, per volontà del gruppo
che curava lo schema generale del Codice, De ordinatione
systematica Novi Codicis, al fine di comprendere sotto quel
nuovo titolo sia i consacrati religiosi che i non religiosi,
così come era espresso in PC 11.
Dal diritto degli Istituti di perfezione, si passò poi al ti-
tolo De Institutis vitae consecratae per professionem consilio-
rum evangelicorum, in quanto il termine Istituti di perfe-
zione sembrava escludere dalla perfezione cristiana gli al-
tri ordini esistenti nella Chiesa, sacerdotale secolare e lai-
cale.45

Cfr. ANDRÉS, El estatuto codicial sobre la vida, 450.


44

Cfr. Communicationes 6(1974), 50. Vd. anche BEYER J., Il progetto


45

del Nuovo Diritto per gli Istituti di vita consacrata, in VitCons 13(1977),
405-406.
La potestà di governo nella vita consacrata
214

Questo coetus studiorum sostenne un ritmo notevole di


sessioni nella prima redazione del titolo: I, dal 21 al 26 no-
vembre 1966; II, dall’8 al 12 maggio 1967; III, dal 22 al 26
gennaio 1968; IV, dal 22 al 26 aprile 1968; V, dal 9 al 14
dicembre 1968; VI, dal 24 al 29 marzo 1969; VII, dal 29
settembre a l4 ottobre 1969;46 VIII, dal 19 al 24 gennaio
1970; IX, dal 25 al 30 maggio 1970; X, dal 7 al 12 dicem-
bre 1970;47 XI, dal 3 all’8 maggio 1971;48 XII, dal 22 al 27
novembre 1971; XIII, dal 24 al 29 aprile 1972; XIV, dal 4
al 9 dicembre 1972;49 XV, dal 30 aprile al 5 maggio 1973;50
XVI, dal 6 al 10 maggio 1974.51 Nel gennaio del 1975 fu
inoltre tenuta una commissione mista tra il coetus degli
Istituti di vita consacrata e il coetus sulla Sacra Gerarchia,
per trattare punti in comune tra i due.
Il 2 febbraio 1977 fu inviato il testo del progetto ai
Vescovi, alle Conferenze episcopali, ai Dicasteri romani e
agli altri organi consultivi (facoltà ed istituti di diritto ca-
nonico, tutti i Superiori e le Superiore generali, nonché le
Conferenze dei Superiori maggiori), che avrebbero dovuto
rispondere con le osservazioni entro il mese di dicembre.
Fu il p. Bidagor a presiedere le prime sessioni, mentre re-
latore iniziale fu p. Amaral, poi sostituito dal p. Said.52 Ben

46 Cfr. Communicationes 1(1969), 48 ss.


47 Cfr. Communicationes 2(1970), 79 ss. Lo stesso coetus è stato in-
terpellato a riguardo anche del diritto patrimoniale nella Chiesa; cfr.
Communicationes 2(1970), 180; 5(1973), 97-101.
48 Cfr. Communicationes 3(1971), 49.
49 Cfr. Communicationes 4(1972), 32 ss.
50 Cfr. Communicationes 5(1973), 41 ss.
51 Cfr. Communicationes 6(1974), 72 ss.
52 Cfr. Communicationes 2(1970), 170, n. 3. Altri consultori furo-

no: Philippe P., Mauro A., Bézac R., Bank G., Maggioni F., Moeller
C., Paventi S., Muttukumaru M.G., Urtasun C., Augier A., Lanne E.,
Wojnar M., Gallagher T., A SS. Rosario A., Leite A., Beyer J.,
Rousseau G., Fogliasso E., Lazzati G. Purtroppo vi è la completa assen-
Cap. III - La fase di codificazione del can. 596
215

presto le complicate questioni riguardanti il diritto della vi-


ta consacrata generarono tra i consultori un senso di smar-
rimento che si dileguò quando, dalla terza sessione, si co-
minciò a trattare di tutti gli Istituti, religiosi, secolari, So-
cietà di vita comune. Si cominciò, allo stesso tempo, a sen-
tire la necessità di una codificazione interamente nuova,
nel contenuto e nello stile, secondo il modo seguito da PC.
Per consentire uno sviluppo più spedito del nuovo di-
ritto, il coetus si diede quattro principi che dovevano ag-
giungersi a quelli già trattati nel primo paragrafo:53
– esprimere canonicamente il dono della vita consacrata:
«in recognitione iure religiosorum, canones ita redigan-
tur ut appareat normas iuridicas, etsi thesauros gratiae vi-
tae religiosae nec plene contineant nec multo minus
exhauriant, [...]». Secondo questo principio, si dovevano
demandare molte norme al diritto particolare, intrec-
ciando elementi teologici e giuridici in maniera chiara e
precisa nel Codice;54
– proteggere l’indole propria di ogni Istituto: «canones qui
disciplinam religiosam statuunt fovere debent agnitio-
nem in quolibet instituto spiritus Fundatoris eiusque
conservationem [...]». Per sviluppare la fedeltà al proprio
carisma e mantenere vive le proprie tradizioni, il diritto
comune avrebbe dovuto contenere solo i principi più ge-
nerali (evitando un certo uniformismo) e permettere una
legislazione propria ad ogni Istituto;

za di membri di Istituti e Società di vita comune femminili (la qual


cosa può sembrare strana, visto l’elevata percentuale di membri nella
vita consacrata femminile).
53 Cfr. Communicationes 2(1970), 170-173.
54 Cfr. SAID M., Influsso del diritto particolare degli Istituti nel rinnova-

mento della vita consacrata, in VitCons 12(1976), 385: “il diritto comu-
ne in corso di revisione deve esercitare un influsso molto meno impor-
tante e intensivo di quello che esercitò il Codice di Diritto Canonico”.
La potestà di governo nella vita consacrata
216

– codificare un nuovo diritto flessibile per poterlo adattare


ad ogni situazione: «dum principia constitutiva vitae re-
ligiosae clarae indicari et firmiter sanciri debent, in nor-
mis disciplinaribus statuendis congrua flexibilitas in tuto
ponatur […]». È l’applicazione del principio ‘lex speciale
derogat legi generali’ e del principio di sussidiarietà;
– sviluppare il nuovo diritto a partire dai principi posti dal
Concilio Vaticano II: «canones, quibus regimen et regi-
minis exercitium in religiosis institutis ordinantur, ita re-
digantur ut principia a Concilio statuta de repraesenta-
tione et cooperatione sodalium efficaciter ad praxim de-
ducantur». Riguarda la cooperazione nel governo del-
l’Istituto per quanto concerne il tempo del mandato, i
Capitoli ed i Consigli del Superiore, la partecipazione di
tutti nello sviluppo del bene dell’Istituto e nel voto ai
Capitoli, l’obbedienza responsabile; riforma da fare so-
prattutto negli Istituti di vita consacrata femminile.55
Si sarebbe inoltre cercato di non uniformare tutti i re-
ligiosi allo stile conventuale, ma a coglierne gli elementi
caratteristici: voti pubblici, vita comune e riconoscere
eventualmente gli stessi elementi nelle Società di vita co-
mune e Istituti secolari. Ciò avrebbe comportato anche la
ricerca di uguaglianza e di non discriminazione tra Istituti
maschili ed Istituti femminili,56 come l’assenza di parteci-

55 Cfr. BEYER, Verso un nuovo diritto, 22; GHIRLANDA G., Ecclesialità


della vita consacrata, in VitCons 12(1976), 598; O’ROURKE K.D., The
New Law for Religious: Principles, Content, Evaluation, in RevRel
34(1975), 26. Quest’ultimo accusava a p. 49 dell’articolo una scarsa
partecipazione degli Istituti di vita consacrata e Società di vita apo-
stolica nella formulazione del nuovo diritto, sì da rendere difficile una
comprensione di questo diritto come “proprio”; due anni dopo, infat-
ti, esso sarebbe stato trasmesso a diversi Superiori maggiori ed Istituti.
56 Così come espresso nello stesso Concilio; cfr. BEYER J., De statu-

to iuridico christifidelium iuxta vota Synodi Episcoporum in novo Codice iu-


ris condendo, in Per 57(1968), 650-681.
Cap. III - La fase di codificazione del can. 596
217

pazione alla giurisdizione ecclesiastica, nonostante la sto-


ria insegnasse che monache ed abbadesse ebbero nel pro-
prio territorio piena giurisdizione su abitanti laici e sacer-
doti,57 o la mancanza di autonomia di governo presso gli
Istituti monacali del secondo Ordine.58 La tutela dei dirit-
ti fondamentali dei fedeli non doveva restare materia scrit-
ta, ma divenire fatto concreto.

3.3. Alcuni documenti redatti durante la


codificazione

Nel corso della redazione del nuovo diritto della vita


consacrata, furono promulgati alcuni documenti che in-
fluirono nell’iter stesso di codificazione. Essi sono i decreti
Cum Superiores, Clericalia Instituta, Ad instituenda experi-
menta, Experimenta circa regiminis, il m.p. Causas matrimo-
niales e le note direttive Mutuae relationes. Ad essi si rivol-
ge ora la nostra attenzione, cogliendone i punti essenziali.

– Cum Superiores.59 estende ai Superiori di un Istituto lai-


cale, maschile o femminile, la facoltà di secolarizzazione
dei professi di voti temporanei, «id libere petentes», con
il consenso del loro consiglio. Nel qual caso, «votis ipso
facto solutis».
Ci possono essere due modi di interpretarlo: uno che
nega la natura giurisdizionale dell’atto di secolarizzazione;
l’altro che ne ammette il carattere giurisdizionale, andan-
do a derogare al can. 118 stesso. Nel primo caso, vede il

57 Cfr. SZENTIRMAI A., Jurisdiktion für Laïen?, in Theologische Quart-


alschrift 140(1960), 420-426.
58 Cfr. BEYER J., Le gouvernement des moniales cisterciennes, in Col-

lectanea cisterciensia 32(1970), 334-341.


59 AAS 61(1969), 738-739.
La potestà di governo nella vita consacrata
218

decreto come facoltà di ritornare allo stato laicale, ma non


di dispensa dai voti, che è concessa per il fatto stesso dal
decreto.60 Questo significherebbe che il concetto di seco-
larizzazione implica in sé un atto di giurisdizione che non
è concesso al Superiore laico, ex can. 118 CIC 17 (nel
Cum admotae la dispensa è concessa dal Superiore clerica-
le con il consenso del consiglio, in Religionum laicalium la
dispensa era concessa dall’Ordinario del luogo su richiesta
del Superiore laicale), ma che sarebbe in certo senso a lui
partecipato perché è il Superiore laico a decidere se e
quando il professo debba andarsene.61 Oppure potrebbe es-
sere visto come atto di semplice potestà dominativa, come
altri emanati da Superiori di Istituti laicali.
Nel secondo caso, il carattere giurisdizionale sarebbe
dovuto a una delega di facoltà abituale da parte del Roma-
no Pontefice (che normalmente era esercitata dalla Sede
Apostolica). Va notato che

…quando Cum admotae fu rivolto ai Superiori generali di


istituti religiosi clericali pontifici e Abati presidenti di
congregazioni monastiche, non si sollevò alcuna questio-
ne circa la possibilità data dalla facoltà n. 14 […] di non
essere una concessione di giurisdizione. Inoltre, quando
Religionum laicalium fu rivolto ai Superiori di istituti lai-
cali pontifici di uomini e donne, la restrizione della facol-
tà n. 3 […] all’Ordinario del luogo fu intesa come ad in-
dicare che questa azione [la dispensa dai voti temporanei]
fosse connessa al «carattere clericale» per lo meno in re-
lazione alla sua natura giurisdizionale. Tuttavia, quando
Cum Superiores estese ai Superiori generali laici di istitu-

60 Cfr. GUTIÉRREZ A., Facultas Superiorum laicorum dispensandi vota

subditorum, in CpR 51(1970), 12.


61 Cfr. CAPARROS E.-THÉRIAULT M-THORN J., Code of canon law an-

notated, Montreal 1993, p. 468.


Cap. III - La fase di codificazione del can. 596
219

ti religiosi la stessa facoltà del Cum admotae n. 14 e di Re-


ligionum laicalium n. 3 con la sola piccola differenza rispet-
to alle parole usate nel Cum admotae – in saecularem con-
dicionem restituendi – la natura giurisdizionale della con-
cessione fu immediatamente chiamata in questione.62

– Clericalia Instituta:63 ricorda ai Capitoli generali che i


membri non chierici hanno gli stessi diritti ed obblighi
conformi al carattere dell’Istituto (eccetto quelli che
comportano l’ordine sacro) e devono ottenere voto atti-
vo e in alcuni uffici anche passivo (in conformità ad
Ecclesiae Sanctae II, 27). Possono quindi essere ammessi
«ad munera exercenda mere administrativa», come gli
economi. Può essere loro concessa voce attiva e passiva
nei Capitoli in qualunque grado e possono svolgere l’uf-
ficio di consultore a qualsiasi livello. Tuttavia, «sodales
non clerici vero non poterunt munus Superioris vel Vi-
carii gerere sive generalis, sive provincialis, sive localis».
Questo decreto sollevò non poche approvazioni da par-
te della dottrina.64 Gutiérrez affermava al riguardo:

Non possumus arguere ex incapacitate laicorum obtinen-


di iurisdictionem uti singuli, ad eorum incapacitatem eam
obtinendi in collegio: quia iurisdictio collegii non est

62 MCDONOUGH E., The potestas of canon 596, in Antonianum


63(1988), 571 [nostra traduzione].
63 AAS 61(1969), 739-740.
64 Cfr. DEHUYLER D.H., De sodalibus laicis in congregationibus clerica-

lium, in CpR 51(1970), 115 ss.; LARRAINZAR C., Los laicos, in IusCan
13(1973) 473-474; DANEELS F., De participiatione laicorum in Ecclesiae
muneribus iuxta «schema emendatum Legis Ecclesiae Fundamentalis», in
Per 62(1973), 96-116; GUTIÉRREZ A., Participatio laicorum in regimine
Religionibus clericalis, in CpR 51(1970), 97-114, che idealmente si ri-
collegava all’articolo dallo stesso titolo apparso due anni prima in CpR
46(1967) 377-387.
La potestà di governo nella vita consacrata
220

summa potestatis quam singuli habeant. [...] Ergo ex na-


tura rei non clare apparet quod laici excludi debeant a
partecipatione in aliquo actu iurisdictionali ponendo in
Capitulis, puta ad dandam aliquam legem, ad sententiam
iudicialem ferendam, ad poenam canonicam alicui impo-
nendam...65

E concludeva con la speranza che in futuro si potesse


arrivare a determinare maggiori diritti per i laici, rimanen-
do comunque l’indole clericale degli Istituti. Affermava,
infatti, che la potestà dominativa che era concessa ai
Superiori laici, altro non era se non partecipazione a quel-
la stessa potestà con cui la Chiesa gerarchica conduce i fe-
deli alla salus animarum, vera potestà giurisdizionale.66
Una dichiarazione veniva rilasciata dalla SCRIS e di-
stribuita ai Superiori maggiori di Istituti clericali negli
Stati Uniti il 17 aprile 1970.67 Essa spiegava che il decre-
to Clericalia Instituta non era dovuto né a discriminazione
né a clericalismo né al concetto che un membro presbite-
ro non possa essere soggetto a un membro laico per quan-
to riguarda la vita religiosa dell’Istituto. La ragione risiede-
va nella direzione e supervisione di ministri sacerdoti e si
notava che

65 GUTIÉRREZ, Participatio laicorum in regimine, 108.


66 Cfr. GUTIÉRREZ, Participatio laicorum in regimine, 107. Un altro
autore, KASIRYE K.A., Authority and the power of governance in Institutes
of Consacrated Life and Societes of Apostolic life: a juridical-theological
study of c. 596, Roma 2002, 83-84, afferma che bisogna distinguere tra
Istituti di diritto diocesano e di diritto pontificio. Nella fattispecie di
Istituti di diritto diocesano clericali, i membri laici potrebbero assu-
mere l’incarico di Superiori locali, restando inviolata la struttura cle-
ricale dello stesso che non partecipa alla potestà di giurisdizione a nes-
sun livello.
67 Cfr. Canon Law Digest 7, 469-471.
Cap. III - La fase di codificazione del can. 596
221

A motivo degli obblighi particolari richiesti dall’ammini-


strazione dei sacramenti, specialmente la celebrazione
dell’Eucaristica, la predicazione ufficiale della parola di
Dio, etc., il ministero sacerdotale comporta una speciale
competenza e preparazione, oltre alla particolare grazia
ministeriale che è uno dei frutti principali del sacramen-
to dell’Ordine. […] Individui religiosi laici possono esse-
re uomini di eccezionali talenti, perfino oltrepassando
quelli di individui sacerdoti. Ma per il ministero sacerdo-
tale il religioso laico non ha né la speciale preparazione
né la particolare grazia «sociale» o il carisma richiesto per
ministeri sacerdotali.68

Né il decreto né la dichiarazione menzionavano il pro-


blema della giurisdizione in quanto tale, anche se il decre-
to parlava di funzioni dei membri laici compatibili con la
natura e l’indole clericali dell’Istituto.69
– Ad instituenda experimenta:70 sospende alcune norme del di-
ritto comune ed estende ai Superiori la potestà per speri-
mentare il rinnovamento interno promosso dal m.p. Ec-
clesiae Sanctae. Tra queste norme, l’erezione e soppressione
di regioni dell’Istituto senza bisogno di chiedere alla San-
ta Sede; la determinazione dell’età per essere Superiori.
– Causas matrimoniales:71 dopo che il 28 dicembre 1970 la
Segnatura Apostolica aveva emanato una norma che vo-
leva nei tribunali interdiocesani, regionali e interregio-
nali che gli officiali, giudici, promotori di giustizia e di-
fensori del vincolo «sint ordinarie dignitate sacerdotale
aucti»72, il 28 marzo 1971 Paolo VI emise questo m.p.

68 Canon Law Digest 7, 471 [nostra traduzione].


69 Cfr. MCDONOUGH, The potestas of canon 596, 572.
70 AAS 62(1970), 549-550.
71 AAS 63(1971), 441-446.
72 AAS 63(1971), 488.
La potestà di governo nella vita consacrata
222

per velocizzare le procedure nei casi matrimoniali. Quivi


affermava che un giudice dei tre poteva essere laico, cioè
esercitare potestà giurisdizionale. Questo era stato proi-
bito dalla Sacra Congregazione del Concilio nel primo
XX secolo.

– Experimenta circa regiminis:73 nella riforma del diritto par-


ticolare, alcuni Istituti hanno cercato di instaurare for-
me di governo ‘democratiche’, ovverosia governi di grup-
po dove l’autorità era un collegio ed il Superiore si ridu-
ceva ad essere un mero esecutore delle decisioni prese
dal collegio. Altri Istituti avevano provato ad esercitare
un mandato a livello locale ‘in solidum’, sì che la carica
era ricoperta a turno da tutti. Queste modalità avevano
creato non pochi problemi di ordine amministrativo ed
anche morale.74 Si è notato come il Superiore debba es-
sere unico, eletto stabilmente anche se per un tempo de-
terminato, con un Consiglio che lo aiuta, pur non gover-
nando affatto. Il Consiglio deve restare, il più delle vol-
te, un organo consultivo, lasciando al Superiore il com-
pito di guida spirituale dell’Istituto.75
Questo decreto vuole perciò ristabilire il Superiore per-
sonale come esercente la potestà sull’Istituto e sui mem-
bri, riponendo il collegio come forma straordinaria di go-
verno: «Superiores auctoritate frui debent personali». In
questo modo l’autorità personale e quella collegiale ven-
gono mostrate come complementari.76

73 SCRIS, 2 febbraio 1972, in AAS 64(1972), 393-394.


74 Cfr. BEYER, Il progetto del Nuovo Diritto, 472.
75 Cfr. LOBINA G., Note esplicative sulla conservazione del can. 516 e

sospensione del can. 642 del 1917, in Apollinaris 45(1972), 619.


76 Cfr. LINSCOTT M., The service of religious authority: reflections on

government in the revision of constitutions, in AA.VV., Paths of renewal


for religious, St. Louis 1986, 177.
Cap. III - La fase di codificazione del can. 596
223

In secondo luogo, il decreto sospende il disposto del can.


642 CIC 17, riguardante il ricorso alla Santa Sede per
continuare a svolgere qualsiasi ufficio, ministero o gode-
re di un beneficio una volta che il membro di un Istituto
sia stato dispensato dai voti o da altri vincoli sacri.

– Mutuae relationes:77 tratta della cooperazione tra religiosi


e Vescovi, facendo riferimento ai rispettivi ambiti di
competenza e di governo. Mette in risalto la natura pub-
blica della potestà dei Superiori, in quanto l’Istituto è
persona pubblica nella Chiesa; potestà esercitata in no-
me della Chiesa, ma non assimilabile alla potestà pubbli-
ca di giurisdizione, «accostandola per analogia alla tripli-
ce funzione del ministero pastorale, cioè d’insegnare,
santificare e governare, senza per altro confondere o
equiparare l’una e l’altra autorità».78 È il carisma inizia-
le, del fondatore, che esige un diritto particolare e fonda
l’autonomia dell’Istituto.

3.4. L’iter redazionale del canone

L’iter redazionale del can. 596 ha una storia lunga e


travagliata, che non può essere vista isolatamente, ma va
contestualizzata nel più ampio progetto di riforma del di-
ritto della vita consacrata. A partire dal Concilio Vatica-
no II (abbiamo notato, infatti, come la redazione del nuo-
vo Codice abbia cominciato solo dopo il Sinodo Ecu-
menico), i principi che hanno ispirato il coetus studiorum

77 SCRIS ET SACRA CONGREGATIO PRO EPISCOPIS, Notae directivae


Mutuae relationes, 14 maggio 1978, in AAS 70(1978), 473-506.
78 Mutuae relationes, 13. Cfr. anche D’AURIA A., I laici nel munus

regendi, in AA.VV., I laici nella ministerilità della Chiesa, Milano 2000,


150.
La potestà di governo nella vita consacrata
224

sono stati quelli che hanno avuto maggiore intesa, pur


avendo riscontrato non poche difficoltà nella redazione
dello stesso.79
La prima elaborazione della nuova codificazione, che
doveva contenere una parte generale applicabile a tutti gli
Istituti, fu preparata tra la sessione III e la XII. Si appro-
varono in questo periodo: il titolo sulla distinzione tra
Istituti di diritto pontificio e di diritto diocesano; il titolo
sugli Istituti diocesani e la loro dipendenza dall’autorità
ecclesiastica; l’ammissione nell’Istituto; obblighi degli Isti-
tuti e dei membri; separazione dall’Istituto; i beni tempo-
rali dell’Istituto e loro amministrazione. Solo alla XII ses-
sione si approvarono i canoni preliminari di questa parte
generale.80
Questo primo schema del diritto dei religiosi era così
formulato nella parte generale comune a tutti gli Istituti di
perfezione: canoni preliminari; tit. I: Erezione, fusione, sop-
pressione degli Istituti, Province e Case; tit. II: Dipen-
denza degli Istituti dall’Autorità ecclesiastica; tit. III: Go-
verno degli Istituti; tit. IV: Beni temporali degli Istituti e
loro amministrazione; tit. V: Ammissione all’Istituto; tit.
VI: Obblighi degli Istituti e dei loro membri; tit. VII: Se-
parazione dall’Istituto. La parte speciale, invece, classifica-
va i consacrati in: Istituti monastici; Istituti religiosi dedi-
ti ad opere di apostolato; Società di vita comune; Istituti
secolari; Istituti esenti.81

79 “Recognitio illius partis Libri II Codicis Iuris Canonici quae

praescripta legum continet religiosos respicientia non parvam praese-


fert difficultatem”; Communicationes 2(1970), 168. La maggior parte di
tali difficoltà, ma non tutte, fu nell’accostamento teologico ai vari ti-
pi di Istituto e nella loro classificazione.
80 Cfr. BEYER, Verso un nuovo diritto, 12.
81 Cfr. Communicationes 2(1970), 175-176. Modifiche allo schema

della parte speciale si avranno successivamente, ma non vengono da


noi prese in considerazione. Soltanto merita di essere notato che nel-
Cap. III - La fase di codificazione del can. 596
225

Come si può facilmente notare, il tit. II trattava della


gerarchia esterna (che si esplica anzitutto nell’obbedienza
al Sommo Pontefice e all’Ordinario del luogo), il tit. III
della gerarchia interna. L’obbedienza al Romano Pontefice
si sarebbe estesa quanto le costituzioni stesse, da lui appro-
vate, avrebbero stabilito. In questo titolo fu successiva-
mente inserita la trattazione dell’esenzione, vertice della
giurisdizione papale; la quale comunque non avrebbe pre-
giudicato l’autonomia di ogni Istituto, anche diocesano,82
che si sarebbe esplicata nel diritto alla protezione da ille-
gittime ingerenze esterne. Gli Istituti di diritto pontificio
sarebbero rimasti sotto l’autorità dell’Ordinario del luogo
per quanto riguardava il culto pubblico e le opere esterne
e pubbliche di apostolato.83

3.4.1. Lo Schema del 1977


La prima trattazione del governo degli Istituti fu molto
superficiale e mirò piuttosto a trattare come i Superiori do-
vessero governare:

In normis statuendis inculcatum est ut superiores officium


proprium acceptent et adimpleant in spiritu servitii erga

la seconda formulazione, Communicationes 5(1973), 63-65, non si tro-


va più il titolo degli Istituti esenti, in quanto si osservò che l’esenzio-
ne è un tipo di relazione tra Istituti di vita consacrata e autorità ge-
rarchica. Fu per questo inserita nella parte generale al tit. II: dipen-
denza degli Istituti dall’Autorità ecclesiastica.
82 Nel caso di Istituti diocesani, la vicinanza dell’autorità ecclesia-

stica avrebbe potuto favorire un continuo intervento nella vita


dell’Istituto stesso.
83 L’esenzione fu trattata solo alla fine dei lavori della Commissio-

ne; cfr. Communicationes 7(1975), 85-89. Argomento delicato, essa fu


riconosciuta a tutti i religiosi, che mantenevano i voti solenni proprio
per questo. Ma la norma comune era comunque che gli Istituti dipen-
dessero dalla gerarchia.
La potestà di governo nella vita consacrata
226

communitatem et ut magis gubernent stimulando et promo-


vendo actionem concordem inter sodales quam per imposi-
tionem praeceptorum. Habent tamen auctoritatem sufficien-
tem gubernandi, quam sapienter et prudenter exercere de-
bent pro bono communi et individuorum. Principium sub-
sidiarietatis in hac parte extensa applicatum est ut subvenia-
tur necessitatibus institutorum tam inter se diversorum.84

Si nota fin dall’inizio una certa confusione terminolo-


gica: si afferma, infatti, che gli Istituti hanno autorità suf-
ficiente per governare. Ma se l’autorità può essere definita
come «la verità socialmente riconosciuta», mentre la po-
testà come «la volontà di potere socialmente riconosciu-
ta»85, allora riconoscere l’autorità sufficiente per governa-
re significa non attribuire loro alcuna potestà, lasciando
alla mera adesione della coscienza più o meno consapevo-
le i membri dell’Istituto. Ciò sembra essere quanto mai in-
coerente se si tiene presente che si è detto di aver appli-
cato il principio di sussidiarietà nella redazione di tutta
questa materia.86
È invece da notare che la partecipazione alla potestà
della Chiesa, potestà di governo o di giurisdizione, «sem-
bra aver luogo, anche se implicitamente e tacitamente,
nell’atto stesso dell’erezione canonica dell’Istituto»87.

84 Communicationes 2(1970), 179-180.


85 Cfr. D’ORS A., Autoridad y potestad, in Lecturas juridicas 21(1948),
27-29.
86 Nella stessa confusione incappa BEYER, Verso un nuovo diritto, 53,

lì dove trattando della potestà dei Moderatori e dei Capitoli, la defi-


nisce come “autorità propria sui membri e sull’Istituto”. Tuttavia, egli
stesso fa notare che tale autorità è una potestà che non ha altro no-
me adatto a significarla se non quello di giurisdizione.
87 BEYER, Verso un nuovo diritto, 54. Ci si dovrà interrogare se si par-

li di ogni Istituto, di diritto pontificio e diocesano, o solo di diritto


pontificio.
Cap. III - La fase di codificazione del can. 596
227

Senza distinzione tra Istituti clericali o laicali, maschili o


femminili, fermo restando sempre la norma del diritto par-
ticolare.88
Durante la V sessione, il coetus si trovò a discutere del
can. 501 CIC 17:

§1. Superiores et Capitula, ad normam constitutionum et


iuris communis, potestatem habent dominativam in sub-
ditos; in religione autem clericali exempta, habent iuri-
sdictionem ecclesiasticam tam pro foro interno, quam pro
foro externo.
§2. Superioribus quibuslibet districte prohibetur quomi-
nus in causis ad S. Officium spectantibus se intromittant.
§3. Abbas Primas et Superior Congregationis monasticae
non habent omnem potestatem et iurisdictionem quam
ius commune tribuit Superioribus maioribus, sed eorum
potestas et iurisdictio desumenda est ex propriis constitu-
tionibus et ex peculiaribus Sanctae Sedis decretis, firmo
preaescripto can. 655, 1594, §4.

La discussione si fermò sul §1. In un primo tempo, molti


consultori proposero l’estensione della potestà di giurisdizio-

88 Si può così affermare che Cristo “ha demandato [la strutturazio-


ne della Chiesa] alla gerarchia insieme con la potestas gubernandi che
ha dato agli Apostoli e ai loro successori. Significa che sono le circo-
stanze storiche a determinare la demarcazione tra «gerarchico» e «non
gerarchico», per quello che riguarda gli uffici che non sono legati per
diritto divino al sacramento dell’ordine”; GHIRLANDA, Ecclesialità della
vita consacrata, p. 289. KOSER C., Cooperazione dei laici nell’apostolato, in
BARAUNA G. (a cura di), La Chiesa del Vaticano II, Firenze 1965, 1000-
1010, osserva che questo è solo un modo per iniziare un processo di
modifica delle frontiere nell’assunzione di uffici ecclesiastici. O’ROUR-
KE, The New Law for Religious, 48, nota che ancora sussistono differen-
ze tra uomini e donne riguardo alla giurisdizione, ma spera che tali dif-
ferenze siano in futuro colmate. Tuttavia, egli arriva ad ammettere an-
che il sacerdozio alle donne, tradendo la tradizione della Chiesa.
La potestà di governo nella vita consacrata
228

ne a tutti gli Istituti clericali. Ma si riconosceva anche che


la giurisdizione era argomento proprio di un altro coetus, che
meritava maggior approfondimento e che comunque non si
era chiuso il dibattito teologico su tale questione.89
Intanto un consultore proponeva che il termine ‘pote-
stà dominativa pubblica’ (come chiamata dalla dottrina)
venisse soppresso, pur interrogandosi se la potestà di giuri-
sdizione potesse essere estesa ai laici, anche alle donne
(questa infatti era vista in relazione con la potestà dei Ca-
pitoli generali e la partecipazione dei laici in essi). A que-
sto si ribatteva che, pur non avendo i laici potestà per il
foro interno sacramentale, potevano tuttavia averla per
quello non sacramentale. Si decise perciò di mantenere la
questione sospesa, togliendo tuttavia al paragrafo, nella se-
conda parte, il termine ‘iuris pontificii’.90
Nella VI sessione il perno della discussione fu la pote-
stas dominativa. Un consultore infatti affermava che esten-
dere la potestà di giurisdizione a tutti gli Istituti clericali
avrebbe risolto molti problemi, mentre un altro propone-
va che «verbum adhibeat “potestas”, sine ulla specificatio-
ne, quamvis subintelligatur esse potestatem dominati-
vam».91 Il paragrafo del canone risultava così modificato:

Institutorum Moderatores et Capitula ad normam iuris


particularis et communis sua in sodales gaudent propria
potestate; in Institutis autem clericalibus gaudent insuper
iurisdictione ecclesiastica tam pro foro interno quam pro
foro externo.

89 Cfr. Communicationes 1(1969), 31. Gli Istituti clericali compren-


devano sia quelli religiosi che quelli secolari e, in ultima analisi, pure
le Società di vita comune; cfr. DE PAOLIS V., La vita consacrata nella
Chiesa, Bologna 1992, 430; KASIRYE, Authority and the power of gover-
nance, 89.
90 Cfr. Communicationes 1(1969), 31.
91 Relatio, Coetus Studiorum, Sessio VI, 24-29 marzo 1969.
Cap. III - La fase di codificazione del can. 596
229

Un consultore notò che il rescr. pont. Cum admotae


concedeva iurisdictio solo agli Istituti clericali di diritto
pontificio, ma ciò non modificò la nuova formulazione del
canone.
La VII sessione continuò con la discussione circa l’ori-
gine della potestà negli Istituti religiosi, escludendo che
tale potestà risieda nella comunità la quale poi la trasmet-
terebbe al membro eletto Superiore ed affermando, infine,
che è compito della dottrina determinare il fondamento e
l’origine di tale potestà, che comunque rientrava nelle
competenze di un altro coetus.92
Infatti, negli stessi giorni della VII sessione del nostro
gruppo, si riuniva pure il coetus De normis generalibus, che
trattava dei precetti singolari. Si poneva di fondamentale
importanza la domanda: «an laici subiectum esse possint
ecclesiasticae iurisdictionis».93 Le conclusioni cui si arriva-
va erano che il Codice costantemente aveva ritenuto
l’inabilità dei laici a ricevere potestà di giurisdizione, ma
questo certamente per diritto ecclesiastico, non divino.
Infatti, il Concilio Vaticano II aveva persuaso a «iurisdic-
tionis potestatem quoque illis laici concedere» e a «vigen-
tem disciplinam aliquantulum mitigare» nel nuovo Co-
dice.94 Per questo fu richiesto di dare chiaramente una de-
finizione di potestas iurisdictionis.
Il 27-28 gennaio 1975 si riunì una commissione mista,
il Coetus mixtus de Sacra Hierarchia-De Institutis vitae con-
secratae che cooperarono per chiarificare la natura della
potestà in questione, del paragrafo primo del canone, so-
prattutto quella attribuita ai Superiori laici. Si notò che
essa è in qualche modo potestà ecclesiastica pubblica, pa-

92 Cfr. anche decr. Experimenta circa regiminis.


93 Communicationes 19(1987), 182.
94 Communicationes 19(1987), 203.
La potestà di governo nella vita consacrata
230

rallela a quella di giurisdizione o per lo meno ‘quasi giuri-


sdizionale’ come si poteva vedere sicuramente per alcuni
suoi effetti.95
Anche il coetus della Lex Ecclesiae Fundamentalis, nella
sessione del 23-27 febbraio 1976, sollevò la questione
«utrum potestas legislativa vel iudicialis committi possit
necne christifidelibus laicis».96 Un membro osservò che
spettava al Supremo Legislatore dirimere la questione, per-
ché la dottrina poteva sia affermare che negare tale possi-
bilità. Perciò si formulò un dubium alla Sacra Congregazio-
ne per la Dottrina della Fede, il 12 marzo, in cui si chie-
deva se i laici, in forza del battesimo, potessero sotto la
guida dei Vescovi essere assunti in qualche ufficio che
comportasse potestà di giurisdizione.97
La risposta al dubium non servì a togliere i dubbi, ma a
ricavare tre principi da seguire nel formulare i canoni:

1) Dogmaticamente, i laici sono esclusi soltanto dagli uf-


fici intrinsecamente gerarchici, la cui capacità è legata al-
la recezione del sacramento dell’Ordine. Determinare
concretamente tali uffici ad normam iuris spetta agli orga-
nismi istituiti ad hoc dalla Santa Sede.
2) Si proceda con la massima cautela per evitare che si
crei un ministero pastorale laico in concorrenza con il
ministero dei chierici.
3) Si raccomanda che l’assunzione di laici a uffici eccle-
siastici sia contenuta nei limiti del diritto vigente senza
nuova estensione.98

95 Cfr. Communicationes 7(1975), 25, 89-90.


96 Communictiones 9(1977), 288.
97 Cfr. BETTI U., In margine al nuovo Codice di Diritto Canonico, in

Antonianum 58(1983), 641, nota 36.


98 Folium ex officio, citato in PROVOST J., The participation of the

Laity in the Governance of the Church, in Studia Canonica 17(1983),


419, nota 7.
Cap. III - La fase di codificazione del can. 596
231

Si arrivava così alla nuova versione del nostro can. 596


che, nel diritto della vita consacrata, si trovava al n. 25:

§1. Institutorum Moderatores et Capitula sua in sodales


gaudent potestate ad normam iuris particularis et com-
munis; in institutis autem clericalibus pollent insuper iu-
risdictione ecclesiastica tam pro foro interno quam pro
foro externo.
§2. Moderatores omnes erga sodales suae curae commis-
sos suam adimpleant missionem et suam potestatem exer-
ceant ad normam iuris particularis et communis.
§3. In institutis exemptis ad normam can. 17, moderato-
res pleniorem obtinent potestatis ecclesiasticae participa-
tionem et eiusdem liberum usum ad normam etiam iuris
particularis exercendum. Qui autem moderatores maiores
si clerici sunt nomine Ordinarii veniunt.99

Si dice qui che godono della potestà a norma del dirit-


to particolare e comune, senza specificare che tipo di po-
testà (si omette il termine dominativa del can. 501 §1 CIC
17, che non poche difficoltà aveva suscitato nella dottri-
na).100 In primo luogo si deve notare che per superare un
problema interpretativo creato da una parola (in questo
furono ascoltati il card. Larraona e il p. Creusen101 che af-
fermavano la pubblicità della potestà dominativa trattata
nel can. del Codice del ’17), se ne genera un altro: infat-
ti, di che tipo di potestà si tratta? Si potrebbe dire che sia
in parte privata («ad normam iuris particularis»), in parte
pubblica («ad normam iuris communis»); ma è sempre il

99 Communicationes 11(1979), 305-306.


100 Cfr. BEYER J., Dal Concilio al Codice. Il nuovo codice e le istanze
del Concilio Vaticano II, Bologna 1984, 63.
101 LARRAONA A., De potestate dominativa publica in iure canonico,

in Acta Congressus Juridici Internationalis IV, Roma 1937, 147-180;


CREUSEN T., Pouvoir dominatif et erreur commune, ibidem, 181-192.
La potestà di governo nella vita consacrata
232

diritto canonico a dare carattere pubblico alle costituzioni


degli Istituti. Ogni potestà nella Chiesa, infatti, viene dal-
l’alto, da Cristo stesso, e trova la propria fonte nel Roma-
no Pontefice.102 Perciò qui non si può vedere una potestà
di carattere privato, ritornando all’errore del CIC 17.
In secondo luogo, la potestà di giurisdizione viene con-
cessa agli Istituti clericali, tanto di diritto pontificio che dio-
cesano. Non si possono quindi ridurre gli Istituti ad associa-
zioni di diritto privato, perché viene loro attribuita potestà
pubblica; la quale a sua volta viene tolta agli Ordinari del
luogo. Nel caso in cui non sussista questa potestà, i Vescovi
controllano l’ordine esterno e pubblico degli Istituti.103
In terzo luogo, si parla al §3 di esenzione che va intesa
come quella che il Romano Pontefice abbia intenzione di
accordare in futuro a qualsiasi Istituto: in tal caso, sarà
proprio il documento che la concede a qualificare la pote-
stà del Superiore e la libertà dalla giurisdizione del Vesco-
vo; tale il senso dell’espressione ‘pleniorem participatio-
nem potestatis’. I Moderatori di questi Istituti clericali
esenti vengono sotto il nome di Ordinari, in quanto la
dottrina li definiva con la stessa giurisdizione dei Vescovi
in rapporto ai loro fedeli e sul proprio territorio. Non si ca-
pisce perché non siano chiamati Ordinari anche i Superio-
ri maggiori di Istituti clericali di diritto pontificio, i quali
sono pure liberi dalla giurisdizione dell’Ordinario del luo-

102 Era quanto già aveva affermato PIO XII (cfr. AAS 50[1958], 154)
e quanto viene ripreso successivamente anche da Paolo VI. Anche
BEYER, Dal Concilio al Codice, 63, sostiene che sicuramente questa pote-
stà indefinita è pubblica, in quanto partecipazione a quella di Cristo.
103 Vi fu certamente la soppressione della figura del commissario epi-

scopale, che tanta parte ebbe nel CIC 17 contro l’autonomia soprat-
tutto negli Istituti religiosi femminili. Le Moderatrici dell’Istituto dio-
cesano possono ora trattare gli affari dell’Istituto direttamente con il
Vescovo diocesano. Cfr. BEYER J., Il nuovo diritto degli Istituti di vita con-
sacrata, in VitCons 12(1976), 78.
Cap. III - La fase di codificazione del can. 596
233

go, ai sensi del resc. pont. Cum admotae, 13.104 I Superiori


degli Istituti esenti hanno, infatti, la stessa giurisdizione
che l’Ordinario del luogo ha sui propri sudditi (perciò ri-
sulta superfluo l’uso del termine ‘pleniorem’).
Il diritto proprio dell’Istituto diviene pubblico grazie al-
l’autonomia di cui tutti gli Istituti godono: esso entra a far
parte del diritto pubblico della Chiesa, così come «gli
Istituti approvati dalla Santa Sede parlano del loro diritto
come di “diritto pontificio”».105 I consigli evangelici, vis-
suti in gruppo ed abbracciati mediante impegni privati o
pubblici, espliciti od impliciti, sono regolamentati dalla
gerarchia della Chiesa.

3.4.2. Lo Schema del 1980


Col passare del tempo, si sentiva sempre di più la neces-
sità di un diritto chiaro ed univoco, che avesse tolto le in-
certezze di tanti decreti e norme nuove emanate dai tempi
del Concilio alla fine degli anni ’70. Tuttavia, «quello che
si concepì come un rinnovamento non sempre si è rivela-
to come fedeltà al Concilio e vero progresso».106

104 Cfr. GUTIÉRREZ A., Schema canonum de Institutis vitae consecra-


tae per professionem consiliorum evangelicorum, in CpR 58(1977), 29-30.
Va notato che fu lo stesso Said, relatore del coetus, ad affermare: “nel-
le norme del Diritto comune si dovrebbero ammettere tra le varie ca-
tegorie di Istituti soltanto quelle distinzioni che sono assolutamente
necessarie per la natura degli Istituti stessi, per il loro carattere speci-
fico e la loro missione nella Chiesa; tutto il resto dovrebbe essere la-
sciato alla determinazione del diritto particolare degli Istituti. … il
principio di sussidiarietà dovrebbe essere largamente applicato nella
stesura di questa parte del Diritto canonico, precisamente perché essa
è destinata a un gruppo speciale di persone che hanno le qualità ne-
cessarie per assumersi la responsabilità di applicare sensatamente la
legge, …”; SAID, Influsso del diritto particolare, 386.
105 BEYER, Il progetto del Nuovo Diritto, 470-471.
106 BEYER J., El segundo proyecto de Derecho para la vida consagrada,

in Universitas Canonica 1(1980), 143.


La potestà di governo nella vita consacrata
234

In questo secondo Schema vi erano 27 cann. comuni


(dal 6 al 32) a tutti gli Istituti, religiosi e secolari. Al cap.
II vi si diceva che il Capitolo generale o provinciale era-
no la suprema autorità dell’Istituto (cosa peraltro discuti-
bile, essendo il potere esecutivo di competenza del Supe-
riore generale o provinciale).107
Il gruppo di studio aveva previsto che la potestà di go-
verno spettasse a tutti gli Istituti clericali, sia di diritto
pontificio sia di diritto diocesano. Ma il testo che fu pas-
sato ai Vescovi e ai Moderatori supremi degli Istituti e So-
cietà di vita apostolica fu ritoccato limitando la concessio-
ne ai soli Istituti di diritto pontificio.
Ben presto, il coetus De institutis vitae consecratae si tro-
vò ad applicare anche i principi del Folio ex officio, duran-
te la sessione dal 26 febbraio al 3 marzo 1979, riguardo agli
Istituti clericali. Un membro fece notare che la definizio-
ne di Istituto clericale108 riguardava la potestà di governo
interna all’Istituto. Ma la discussione successiva affermò
che la risposta al dubium della Congregazione non poteva
escludere la frase «quae sub moderamine sunt clericorum»,
dalla definizione di Istituti clericali, pur non essendo mai
fatto riferimento al decreto Clericalia Instituta.109 Il coetus
quindi non considerava contro il Folio ex officio affermare
che negli Istituti clericali il sacramento dell’ordine è ne-
cessario per l’esercizio del governo.110

107 Cfr. BEYER, El segundo proyecto, 153.


108 “Institutum autem clericale dicitur quod ab Ecclesiae auctorita-
te uti tale agnoscitur, attenta assumptione exercitii ordinis sacri a fon-
datore definitiva vel legitima traditione comprobata”; Communicatio-
nes 11(1979), 57.
109 Cfr. Communicationes 11(1979), 59.
110 D’altra parte, una applicazione letterale di quanto voleva la

Congregazione per la Dottrina della Fede avviene nella SCRIS quan-


do, in singoli casi e mediante un indulto, un membro laico può dive-
nire Superiore locale.
Cap. III - La fase di codificazione del can. 596
235

Nella sessione del 25-26 aprile 1979, la discussione ri-


prese vita sullo schema del 1977, con la modifica apporta-
ta prima dell’invio per la consultazione. Il §1 così recita-
va:

Institutorum Superiores et Capitula in sodales gaudent


potestate ad normam iuris universalis et Constitutionum;
in Institutis autem clericalibus iuris pontificii pollent in-
super potestate ecclesiastica regiminis pro foro tam exter-
no quam interno, firmo praescripto canonis...111

Un membro subito notò che negli Istituti laicali la po-


testà esercitata deriva in qualche modo dalla potestà ec-
clesiastica: non meramente privata o dominativa ma, in
quanto laicale, partecipava della potestà di regime. Meglio
sarebbe stato perciò usare la locuzione «ea potestate eccle-
siastica gaudent». Ma un altro propose di omettere ‘eccle-
siastica’ per non specificare la natura di questa potestà né
la sua relazione con la potestà di governo.112
Si osservò pure che gli Istituti secolari clericali di dirit-
to pontificio godono della stessa potestà giurisdizionale
perché hanno la facoltà di incardinare i membri chierici
nell’Istituto. Dunque, la potestas regiminis sarebbe stata cor-
relata con la capacità di incardinare nell’Istituto e questo
non avrebbe negato i principi della Congregazione per la
Dottrina della Fede circa la possibilità per i laici di parte-
cipare nella potestà di giurisdizione nei casi concessi dalla
suprema autorità della Chiesa.113
Nello Schema del 1980 questo era il can. 523, così for-
mulato:

111 Communicationes 11(1979), 305.


112 Cfr. Communicationes 11(1979), 306.
113 Cfr. MCDONOUGH, The potestas of canon 596, 579.
La potestà di governo nella vita consacrata
236

Institutorum Superiores et Capitula in sodales ea gaudent


potestate quae iure universali et Constitutionibus defini-
tur; in Institutis autem religiosis clericalibus iuris pontifi-
cii pollent insuper potestate ecclesiastica regiminis pro
foro tam externo quam interno.

La problematica dell’incardinazione ritornava a farsi


sentire anche nella Relatio114 che doveva preparare la Ple-
naria della Commissione per il Codice dell’ottobre 1981,
affermando che avevano potestà di regime solo gli Istituti
(religiosi e secolari) clericali e di diritto pontificio che
possedevano la facoltà di incardinare.115 Inoltre, si propo-
neva di eliminare il termine ‘insuper’ perché la potestas re-
giminis non era propria solo degli Istituti religiosi clericali
di diritto pontificio;116 ma la Commissione osservò che
questa parola non escludeva che potessero essere anche al-
tri a possedere potestà di regime.117
Un altro cardinale proponeva di inserire un riferimen-
to al can. 131 §1 nell’ultimo paragrafo, che allora indica-
va coloro che erano qualificati come Ordinari. Qualche
membro notò che ciò non era necessario; tuttavia si divi-
se il canone in due paragrafi, aggiungendone un terzo mo-

114 Cfr. PONTIFICIA COMMISSIO CODICIS IURIS CANONICI RECO-


GNOSCENDO, Relatio complectens synthesim animadversionum ab em.mis
atque exc.mis Patribus Commissionis ad novissimum schema Codicis Iuris
Canonici exhibitarum, cum responsionibus a secretaria et consultoribus da-
tis (Patribus Commissionis stricte reservata), Roma 1981, 139-140.
115 “Sed huiusmodi Instituta saecularia paucissima sunt”, quindi

non aveva senso inserirli nel §2 del canone: si sarebbe provveduto di


volta in volta; PONTIFICIA COMMISSIO CODICIS IURIS CANONICI RECO-
GNOSCENDO, Relatio complectens, 139.
116 Ad essi il card. Pironio equiparava gli Istituti clericali diocesa-

ni e le Società clericali di vita apostolica.


117 Cfr. Communicationes 15(1983), 64-65; PONTIFICIA COMMISSIO

CODICIS IURIS CANONICI RECOGNOSCENDO, Relatio complectens, 139.


Cap. III - La fase di codificazione del can. 596
237

tivando che alla potestà generica di cui non si descriveva


la natura, «quae non est potestas regiminis, etsi quamdam
potestatem ecclesiasticam publicam constituat», dovevano
comunque applicarsi dei canoni della potestà di regime.118
Questi erano il 128,119 130,120 134-141121 dello Schema del

118 Cfr. PONTIFICIA COMMISSIO CODICIS IURIS CANONICI RECOGNO-


SCENDO, Relatio complectens, 140; Communicationes 15(1983), 64.
119 §1. Potestas regiminis ordinaria ea est quae ipso iure alicui offi-

cio adnectitur; delegata quae ipsi personae non mediante officio con-
ceditur. §2. Potestas regiminis odinaria potest esse sive propria sive vi-
caria. §3. Ei qui delegatum se asserit, onus probandae delegationis in-
cumbit.
120 §1. Delegatus qui sive circa res sive circa personas mandati sui

fines excedit, nihil agit. §2. Fines sui mandati excedere non intelligi-
tur delegatus qui alio modo ac in mandato determinatur ea ad quae
delegatus est peragit, nisi modus ab ipso delegante ad validitatem fue-
rit praescriptus.
121 Can. 134 – §1. Potestas exsecutiva ordinaria delegari potest tum

ad actum tum ad universitatem casuum, nisi aliud iure expresse cavea-


tur. §2. Potestas exsecutiva ab Apostolica Sede delegata subdelegari
potest sive ad actum sive ad universitatem casuum, nisi electa fuerit
industria personae aut subdelegatio fuerit expresse prohibita. §3.
Potestas exsecutiva delegata ab alia auctoritate potestatem ordinariam
habente, si ad universitatem casuum delegata sit, in singulis tantum
casibus subdelegari potest; si vero ad actum aut ad actus determinatos
delegata sit, subdelegari nequit, nisi de expressa delegantis concessio-
ne. §4. Nulla potestas subdelegata iterum subdelegari valet, nisi id ex-
presse a delegante concessum fuerit.
Can. 135 – Potestas exsecutiva ordinaria necnoc potestas ad uni-
versitates casuum delegata, late interpretanda est, alia vero quaelibet
stricte; cui tamen delegata potestas est, ea quoque intelliguntur con-
cessa sine quibus eadem potestas exerceri nequit.
Can. 136 – §1. Nis [sic!] aliud iure statuatur, eo quod quis aliquam
auctoritatem, etiam superiorem, competentem adeat, non suspenditur
alius auctoritatis competentis exsecutiva potestas, sive haec ordinaria
sit sive delegata. §2. Causae tamen ad superiorem auctoritatem dela-
tae ne se immisceat inferior, nisi ex gravi urgentique causa; quo in ca-
su statim superiorem de re moneat.
La potestà di governo nella vita consacrata
238

1980,122 che si riferivano all’Ordinario (proprio o vicario) de-


legandogli potestà, ed erano in parallelo con i cann. del CIC
17 applicati al can. 501 dal voto della Commissione per l’in-
terpretazione autentica del Codice del 26 marzo 1952.123

Can. 137 – §1. Pluribus in solidum ad idem negotium agendum de-


legatis, qui prius negotium tractare inchoaverit alios ab eodem agen-
do excludit, nisi posthac impeditus fuerit aut in negotio peragendo ul-
terius procedere noluerit. §2. Pluribus collegialiter ad negotium agen-
dum delegatis, omnes procedere debent secundum praescripta de acti-
bus collegialibus statuta in can. 115, nisi mandato aliud cautum sit.
§3. Potestas exsecutiva pluribus delegata, praesumitur iisdem delegata
in solidum.
Can. 138 – Pluribus successive delegatis, ille negotium expediat
cuius mandatum anterius concessum, nec postea revocatum fuerit.
Can. 139 – §1. Potestas delegata extinguitur expleto mandato;
elapso tempore vel exhausto numero casuum pro quibus concessa fue-
rit; cessante causa finali delegationis; revocatione delegantis delegato
directe intimata necnon renuntiatione delegati deleganti significata et
ab eo acceptata; non autem resoluto iure delegantis, nisi ex appositis
clausolis appareat. §2. Actus tamen, ex potestate delegata quae exer-
cetur pro solo foro interno, per inadvertentiam positus, elapso conces-
sionis tempore, validus est.
Can. 140 – §1. Potestas ordinaria extinguitur amisso officio cui ad-
nectitur. §2. Nisi aliud iure caveatur, suspenditur potestas ordinaria, si
contra privationem vel amotio0nem ab officio legitime appellatur vel
recursus interponitur.
Can. 141 – In errore communi de facto aut de iure, itemque in du-
bio positivo et probabili, sive iuris sive facti, supplet Ecclesia, pro fo-
ro tam externo quam interno, potestatem regiminis exsecutivam.
122 PONTIFICIA COMMISSIO CODICIS IURIS CANONICI RECOGNO-

SCENDO, Schema Codicis Iuris Canonici iuxta animadversiones S.R.E.


Cardinalium, Episcoporum, Conferentiarum, Dicasteriorum Curiae Ro-
manae, Universitatum Facultatumque ecclesiasticarum necnon Superiorum
Institutorum vitae consecratae recognitum (Patribus Commissionis reserva-
tum), Roma 1980.
123 Cfr. AAS 44(1952), 497. Questa interpretazione autentica era

stata vista dalla dottrina come una conferma della teoria di Larraona,
che considerava la potestà dominativa come una forma imperfetta di
potestà giurisdizionale.
Cap. III - La fase di codificazione del can. 596
239

Il nuovo can. 523 risultava così modificato:

§1. Institutorum Superiores et Capitula in sodales ea gau-


dent potestate quae iure universali et Constitutionibus
definiuntur.
§2. In Institutis autem religiosis clericalibus iuris pontifi-
cii pollent insuper potestate ecclesiastica regiminis pro
foro tam externo quam interno.
§3. Potestati de qua in §1 applicantur praescripta cann.
128, 130 et 134-141.

Tranne che per i cambiamenti numerici dei cann. cita-


ti al §3, questa è la versione che fu promulgata ed è attual-
mente in vigore del can. 596.
Ci furono nuovi sviluppi nel coetus dopo la Relatio del
1981 relativa al nostro canone? Sembrerebbe di no; trarre
perciò delle conclusioni al riguardo potrebbe essere utile.
Anzitutto va notato che tutti i Superiori ed i Capitoli
degli Istituti godono di una potestà indefinita dal diritto,
sulla cui natura non si è voluto entrare nel merito,124 ma
che potrebbe sottintendersi essere la stessa potestà domi-
nativa del CIC 17 per gli Istituti non clericali125 e che, pur
non essendo potestas regiminis, tuttavia è costituita come
una certa potestas ecclesiastica publica,126 a volte con gli stes-
si effetti della giurisdizione,127 sebbene non riportata come
ecclesiastica128 (perché dire così sarebbe come equipararla
alla potestà ecclesiastica di regime).129
Ai Superiori e Capitoli degli Istituti religiosi clericali di
diritto pontificio è data inoltre potestà di governo.

124 Cfr. Communicationes 11(1979), 306.


125 Cfr. Relatio coetus studiorum, Sessio V, 24-29 marzo 1969.
126 Cfr. Communicationes 15(1983), 64; 19(1987), 216.
127 Cfr. Communicationes 19(1987), 204.
128 Cfr. MCDONOUGH, The potestas of canon 596, 582-583.
129 Cfr. Communicationes 11(1979), 306.
La potestà di governo nella vita consacrata
240

Tuttavia, si usa qui il termine ‘insuper’, non per escludere


che anche altri possano avere questa stessa potestà, com’è
il caso degli Istituti secolari clericali di diritto pontificio,
delle Società di vita apostolica, degli Istituti diocesani cle-
ricali che abbiano tutti la facoltà di incardinare.130
Il canone termina con un riferimento alla potestà ordi-
naria e delegata applicate al §1. Se letto congiuntamente
al can. 516 §2131 che definisce gli Istituti clericali, esso
combacia con i principi del Folio ex officio della Congre-
gazione per la Dottrina della Fede di cui già parlato, man-
tenendo i sacramenti che richiedono l’ordine solo ai chie-
rici. Ciò che andrebbe specificato ulteriormente è sapere
se l’esercizio di uffici che includono potestas iurisdictionis
può essere concesso ad hoc ai Superiori laici negli Istituti
religiosi sia ad normam iuris sia, come indicato nel diritto
e nel Folio, dalla Autorità Suprema della Chiesa.
Nella Plenaria della Commissione del Codice del 20-28
ottobre 1981, una delle questioni trattate riguardava la ne-
cessità o meno della conferma da parte della Santa Sede
del decreto di dimissione di un membro di un Istituto pon-
tificio (sia clericale che laicale). Una corrente all’interno
della Commissione affermò che la conferma doveva essere
fatta perché alcuni Istituti (specialmente femminili) non
hanno donne particolarmente preparate per portare avan-
ti la procedura e perché questa conferma fa da deterrente
all’elevato numero di dispense da voti perpetui della Santa
Sede. Ciò, si diceva, non avrebbe violato il principio di
sussidiarietà, perché la conferma era un atto di controllo
formale che accetta o rifiuta l’azione dell’Istituto valutan-

130 Cfr. Communicationes 15(1983), 64.


131 Institutum clericale dicitur quod, ratione finis seu propositi a
Fundatore intenti vel vi legitimae traditionis, sub moderamine est cle-
ricorum, exercitium ordinis sacri assumit et uti tale ab Ecclesiae auc-
toritate agnoscitur.
Cap. III - La fase di codificazione del can. 596
241

dolo sul rito o sul merito. Questo avrebbe pure reso più
grave il ricorso alla dimissione proprio per il bisogno di
conferma della Santa Sede. Queste alcune difficoltà solle-
vate a favore del ricorso: il piccolo numero di membri di
alcuni Istituti femminili; la mancanza di responsabilità da
parte dei Superiori femminili.132
Un’altra corrente, invece, non voleva la conferma del
decreto di dimissione da parte della Santa Sede; questo
avrebbe favorito il ricorso gerarchico ad ogni livello per i
membri di voti perpetui che fossero stati dimessi, renden-
do la procedura uniforme per tutti gli Istituti, clericali e
laicali. Questa sarebbe stata una concessione di facoltà
operata dal diritto stesso concesso dal Romano Pontefice.
Infatti, alle difficoltà sollevate dalla prima corrente si ri-
batteva che all’esiguo numero di membri di alcuni Istituti
sia maschili che femminili aveva già provveduto il
Concilio raccomandando la fusione o l’unione con altri
Istituti. Inoltre, la cosiddetta mancanza di responsabilità
delle Superiore avrebbe piuttosto dovuto dare un nuovo
impegno alla SCRIS di rimozione degli abusi grazie alla re-
lazione quinquennale che gli Istituti avrebbero mandato
alla Santa Sede.133
I suggerimenti furono inseriti nello Schema del 1982
che richiedeva la conferma della Santa Sede per il decre-
to di dimissione emesso dal Moderatore supremo di un
Istituto di diritto pontificio, clericale e laicale, perché po-
tesse entrare in vigore.134 Tale conferma non avrebbe reso

132Cfr. MCDONOUGH, The potestas of canon 596, 588.


133Cfr. MCDONOUGH, The potestas of canon 596, 588.
134 Cfr. Relatio del 1981 al can. 626 §1, in Communicationes

15(1983), 79; PONTIFICIA COMMISSIO CODICIS IURIS CANONICI RE-


COGNOSCENDO, Codex Iuris Canonici. Schema novissimum iuxta placita
Patrum Commissionis emendatum atque Summo Pontifici praesentatum,
Roma 1982, can. 700.
La potestà di governo nella vita consacrata
242

il decreto di dimissione come un atto pontificio, ma solo


avrebbe dato alla Santa Sede la possibilità di conoscere i
fatti e di controllare il rito della dimissione. Questo signi-
fica che il decreto emanato dal Moderatore supremo, sia
laico che chierico, è decreto in senso tecnico, perciò atto
di potestà esecutiva, concessa dal Romano Pontefice ai
Moderatori stessi.

3.5. Conclusioni e prospettive

Terminando questo sguardo d’insieme sulla genesi del


can. 596, osserviamo quali siano state le principali tappe
che esso ha avuto nell’arco dei vent’anni che lo hanno
portato dal Concilio Ecumenico Vaticano II al CIC 83.
Nel pieno del Concilio fu costituita la Commissione De
revisendo Codice iuris Canonici che, terminato il Concilio
stesso, cominciò a radunarsi e a trattare della riforma del Co-
dice, ispirandosi a dei Principia directiva generalia che avreb-
bero dovuto omogeneizzare l’opera di tutta la Commissione,
sulla scia degli insegnamenti conciliari. La Commissione fu
divisa in vari coetus, gruppi di studio specializzati nella trat-
tazione di settori specifici del Codice stesso.
Il coetus de Religiosis (poi de Institutis Perfectionis, infine
de Institutis vitae consecratae per professionem consiliorum
evangelicorum), nella prima redazione del nostro canone, si
ritrovò in diverse sessioni a redigere un diritto della vita
consacrata conforme in particolare a due principi ispirato-
ri: de applicando principio subsidiarietatis in Ecclesia e de tute-
la iurium personarum.
Il primo, il principio di sussidiarietà, si basava sul m.p.
Ecclesiae Sanctae, ed accordava a qualsiasi livello di autori-
tà quella libertà necessaria per esercitare efficacemente la
propria potestà. Si garantiva la non ingerenza di un rango
gerarchico superiore in uno inferiore e se ne favoriva la de-
Cap. III - La fase di codificazione del can. 596
243

centralizzazione delle competenze e del governo. Ciò signi-


ficava ripartire gerarchicamente la potestà, garantire la li-
bertà individuale (applicando il principio di legalità) e va-
lorizzare il ruolo ausiliario dell’Istituto rispetto ai suoi mem-
bri e alla gerarchia della Chiesa. L’Istituto doveva aiutare i
singoli membri a portare a compimento la propria vocazio-
ne e, per far questo, si sarebbe vista riconosciuta una giusta
autonomia, sia nel governo che nella disciplina propria. Il
Romano Pontefice, che riceve la propria potestà da Gesù
Cristo, comunica ai Superiori religiosi tale potestà ed auto-
rità, i quali la esercitano nell’ottica del servizio.
Il secondo, la tutela dei diritti della persona, si pone al-
l’opposto della arbitrarietà dell’uso della potestà nella
Chiesa. Esso andava a fondare la legittimità come garan-
zia di libertà e autonomia di ciascun membro dell’Istituto.
Il riconoscimento di diritti soggettivi e la partecipazione
corresponsabile nell’esercizio della potestà avrebbero do-
vuto essere riconosciuti dal principio di legalità, che com-
portava una responsabilità nelle decisioni non solo mora-
le, ma anche giuridica: parità di trattamenti nell’applica-
zione della legge, unitamente all’applicazione del criterio
di proporzionalità e dell’equità canonica. Ne sarebbe risul-
tato un legame stretto tra esercizio della potestà e relazio-
ne giuridico-pastorale, ponendo qualsiasi consacrato in co-
munione con il proprio Superiore, con i Vescovi, con la
Santa Sede, con il Romano Pontefice.
Oltre a questi due principi generali, il coetus si diede al-
tri quattro principi speciali: esprimere canonicamente il
dono della vita consacrata; proteggere l’indole propria di
ogni Istituto; codificare un nuovo diritto flessibile per po-
terlo adattare ad ogni situazione; sviluppare il nuovo dirit-
to a partire dai principi posti dal Concilio.
Con il procedere delle sessioni del gruppo, la Santa
Sede emanò alcuni documenti riguardanti il governo degli
Istituti o rilevanti per esso. Essi sono i decreti Cum Supe-
La potestà di governo nella vita consacrata
244

riores (estendeva ai Superiori di Istituto laicale, maschile o


femminile, la facoltà di secolarizzazione dei professi di vo-
ti temporanei, con atto che ha carattere giurisdizionale),
Clericalia Instituta (ricorda che i membri non chierici di
Istituti clericali hanno stessi diritti ed obblighi dei chieri-
ci che non comportino ordine sacro; inoltre, essi devono
avere voto attivo e in alcuni uffici anche passivo), Ad in-
stituenda experimenta (estende a tutti i Superiori la potestà
per sperimentare il rinnovamento interno promosso dal
m.p. Ecclesiae Sanctae), Experimenta circa regiminis (pone
dei limiti alle riforme nel diritto particolare, ribadendo
che il Superiore deve essere unico, eletto stabilmente a
tempo determinato e con un Consiglio che lo aiuta, ma
non governa), il m.p. Causas matrimoniales (attribuisce po-
testà di governo giudiziale ai laici che possono divenire
giudici nelle procedure dei casi matrimoniali) e le note di-
rettive Mutuae relationes (mette in risalto la natura pubbli-
ca della potestà dei Superiori, in quanto l’Istituto è perso-
na pubblica nella Chiesa).
La prima parte del nuovo diritto della vita consacrata
prese forma tra la III e XII sessione, nel triennio 1968-
1971. Il tit. II doveva trattare della gerarchia esterna, il tit.
III della gerarchia interna. Ma la prima stesura circa il go-
verno degli Istituti fu molto generica, trattando di come il
Superiore avesse dovuto comportarsi.
Dalla V sessione si cominciò ad affrontare il tema del-
la potestà riconosciuta ai Superiori degli Istituti di vita
consacrata e Società di vita apostolica. Il canone 501 del
CIC 17 seguì questo iter fino a divenire il 596 del CIC 83.
Cap. III - La fase di codificazione del can. 596
245

can. 501 CIC 17 can. 25 can. 25 can. 523 can. 523


sessione V sessione VI Schema 1977 Schema 1980 Schema
novissimum

§1. Superiores et Institutorum §1. Institutorum Institutorum §1. Institutorum


Capitula, ad normam Moderatores et Moderatores et Superiores et Superiores et
constitutionum et iuris Capitula ad Capitula sua in Capitula in Capitula in
communis, potestatem normam iuris sodales gaudent sodales ea sodales ea
habent dominativam in particularis et potestate ad normam gaudent gaudent potestate
subditos; in religione communis sua in iuris particularis et potestate quae quae iure
autem clericali exempta, sodales gaudent communis; in iure universali et universali et
habent iurisdictionem propria potestate; institutis autem Constitutionibus Constitutionibus
ecclesiasticam tam pro in Institutis clericalibus pollent definitur; in definiuntur.
foro interno, quam pro autem clericalibus insuper iurisdictione Institutis autem
foro externo. gaudent insuper ecclesiastica tam pro religiosis
iurisdictione foro interno quam clericalibus iuris
ecclesiastica tam pro foro externo. pontificii pollent
pro foro interno insuper
quam pro foro potestate
externo. ecclesiastica
regiminis pro
foro tam
externo quam
interno.

§2. Superioribus §2. Moderatores §2. In Institutis


quibuslibet districte omnes erga sodales autem religiosis
prohibetur quominus in suae curae commissos clericalibus iuris
causis ad S. Officium suam adimpleant pontificii pollent
spectantibus se missionem et suam insuper potestate
intromittant. potestatem exerceant ecclesiastica
ad normam iuris regiminis pro foro
particularis et tam externo
communis. quam interno.

§3. Abbas Primas et §3. In institutis §3. Potestati de


Superior Congregationis exemptis ad normam qua in §1
monasticae non habent can. 17, moderatores applicantur
omnem potestatem et pleniorem obtinent praescripta cann.
iurisdictionem quam ius potestatis ecclesiasticae 128, 130 et 134-
commune tribuit participationem et 141.
Superioribus maioribus, eiusdem liberum usum
sed eorum potestas et ad normam etiam iuris
iurisdictio desumenda particularis
est ex propriis exercendum. Qui
constitutionibus et ex autem moderatores
peculiaribus Sanctae maiores si clerici sunt
Sedis decretis, firmo nomine Ordinarii
preaescripto can. 655, veniunt.
1594, §4.
La potestà di governo nella vita consacrata
246

Come si può notare dai corsivi, i cambiamenti da una


versione all’altra del canone sono notevoli, tanto da risul-
tare difficile riconoscerlo nella sua forma del CIC 17 alla
sua attuale del CIC 83. Il §1 ha nuove modifiche ad ogni
sessio, arrivando ad essere diviso in due nell’ultimo Schema.
Il §2 e §3 scompaiono per ritornare nello Schema del 1977
completamente modificati; scompaiono nuovamente nello
Schema del 1980 per ricomparire nello Schema novissimum
del 1982 completamente nuovi rispetto ai precedenti.
Scompare fin dall’inizio l’uso del termine ‘dominativa’
per qualificare la potestà propria di tutti gli Istituti e la di-
scussione tra i consultori si protrae a lungo proprio sulla
natura di questa potestà che non è definita esplicitamen-
te. Se da un lato, infatti, essa comporta l’emissione di atti
di governo esecutivo, dall’altro non si vuole identificarla
come potestas regiminis exsecutiva, in quanto verrebbe rico-
nosciuta a consacrati che dal punto di vista gerarchico so-
no dei laici. Inizialmente e coerentemente la potestà di go-
verno viene attribuita agli Istituti clericali, siano essi di di-
ritto pontificio o di diritto diocesano. Viene inoltre formu-
lato un dubium alla Congregazione per la Dottrina della
Fede, la quale afferma che se i laici sono «esclusi solo da-
gli uffici intrinsecamente gerarchici», tuttavia si deve evi-
tare di creare un ministero pastorale laico concorrente a
quello clericale.
Per evitare il problema di una formulazione non solo
canonica, ma anche dottrinale, si afferma che i Superiori
ed i Capitoli godono di quella potestà definita sia dal di-
ritto universale che particolare. Tale diritto particolare è
comunque pubblico, in forza del carattere pubblico degli
Istituti, soprattutto di quelli approvati dalla Santa Sede,
ma la potestà è di governo – viene notato – in rapporto al
fatto che l’Istituto abbia capacità di incardinare i chierici
o meno, non tanto per la qualità degli atti che i Superiori
ed i Capitoli possano emanare. Di conseguenza, il can. 596
Cap. III - La fase di codificazione del can. 596
247

nel nuovo Codice di Diritto Canonico viene così formu-


lato:

§1. Institutorum Superiores et Capitula in sodales ea gau-


dent potestate quae iure universali et Constitutionibus
definiuntur.
§2. In Institutis autem religiosis clericalibus iuris pontifi-
cii pollent insuper potestate ecclesiastica regiminis pro
foro tam externo quam interno.
§3. Potestati de qua in §1 applicantur praescripta cann.
131, 133 et 137-144.

La natura della potestà di cui godono i Superiori e Ca-


pitoli degli Istituti non è definita e non può più essere in-
tesa come potestà dominativa, di carattere privato, come
qualche consultore avrebbe voluto. Essa ha gli stessi effet-
ti della potestà esecutiva, come ci ricorda lo stesso §3 del
canone, tuttavia non viene riconosciuta da alcuni consul-
tori come ecclesiastica. Per questo si analizzeranno ora al-
cuni atti di governo propri dell’Ordinario, ponendoli a
confronto con quelli del Superiore di un Istituto.
249

Cap. IV
L’ufficio di Ordinario

Nel tit. VIII del primo libro del Codice di Diritto Ca-
nonico, sotto il nome De potestate regiminis, si tratta della
potestà di governo e di coloro che sono chiamati ad eser-
citarla nel servizio della Chiesa universale, particolare, o
di determinate porzioni e categorie del popolo di Dio. Tra
questi, risulta avere un ruolo preminente l’Ordinario. Que-
sta è una parola tecnica che viene usata nel Codice per
una sorta di economia giuridica che permette di non ripe-
tere tutta una serie di uffici che rientrano sotto questo
concetto ogniqualvolta venga loro attribuita una qualche
competenza.1
Il capitolo presente si propone di rilevarne caratteristi-
che e competenze, in relazione con quanto viene attribui-
to ai Superiori maggiori di Istituti religiosi clericali e lai-
cali e con le loro competenze specifiche, notandone tutto
l’ammontare di doveri e diritti, le somiglianze e le differen-
ze nel governo del popolo o dei sudditi loro affidati. Dopo
un primo paragrafo sulla potestà ordinaria e sull’Ordinario
in quanto tale, sulla potestà delegata e sui limiti di pote-
stà di colui che ne è investito, il secondo paragrafo elenca
i numerosi doveri e diritti propri di ogni Ordinario, affian-
candosi poi un terzo paragrafo con i doveri e diritti di ogni
Superiore maggiore.
Infine, il capitolo si chiude con alcune considerazioni
sul Superiore maggiore degli Istituti religiosi e su alcuni at-

1 Cfr. VERA VELASCO A., El concepto de Ordinario en el Còdigo de

Derecho Canònico de 1983, Roma 2001, 3.


La potestà di governo nella vita consacrata
250

ti particolari che il CIC 83 gli attribuisce la potestà di pro-


durre, parallelamente a quelli che l’Ordinario può produr-
re a sua volta.

4.1. L’Ordinario secondo il can. 134 §1

L’Ordinario è colui che esercita potestà ordinaria a nor-


ma del diritto. Questa è potestà di governo ordinaria, an-
nessa ad un ufficio dal diritto stesso2 e perciò non legata
alle caratteristiche della persona. Essa è contraddistinta
quindi dall’annessione all’ufficio e dall’annessione fatta
dal diritto (elementi essenziali per distinguerla dalla pote-
stà delegata, che manca di uno dei due o di entrambi), è
stabilmente costituita, permane con il permanere dell’uffi-
cio e rimane invariata con l’immutabilità dell’ufficio, an-
che se l’autorità competente può mutarne contenuti e
competenze.3 In generale, la potestà nella Chiesa può es-
sere ritenuta necessaria in quanto la Chiesa stessa è socie-
tà visibile; la potestà, allora, e non l’ordine sacro, diviene
principio di unità nella Chiesa, unitamente all’ufficio sa-
cro cui essa è annessa.4
L’ufficio è «qualunque incarico, costituito stabilmente
per disposizione sia divina sia ecclesiastica, da esercitarsi
per un fine spirituale».5 Oltre a essere costituito per dispo-

2 Cfr. can. 131 §1: “Potestas regiminis ordinaria ea est, quae ipso
iure alicui officio adnectitur; delegata, quae ipsi personae non median-
te officio conceditur”.
3 Cfr. MAROTO F., Instituciones de Derecho Canonico en conformidad

con el nuevo Còdigo, Madrid 1919, vol. I, 463-468.


4 Cfr. can. 204 §1: “Haec Ecclesia, in hoc mundo ut societas con-

stituta et ordinata, subsistit in Ecclesia catholica, a successore Petri et


Episcopis in eius communione gubernata”.
5 Can. 145 §1.
Cap. IV - L’ufficio di Ordinario
251

sizione sia divina (Romano Pontefice e Episcopato subor-


dinato) sia ecclesiastica (tutti gli altri uffici), può essere
costituito anche per diritto sia universale che particolare.
Esso esiste prima di essere concesso o al più viene costitui-
to al momento stesso della concessione dell’ufficio. La po-
testà che si esercita tramite di esso è strettamente dipen-
dente da questo stesso e non può sussistere in se stessa, se-
paratamente dall’ufficio. Quindi, come l’ufficio preesiste a
chi ne diviene titolare, così la potestà ordinaria, e cioè an-
nessa all’ufficio, preesiste alla concessione, non venendo
ottenuta tramite un atto successivo del Superiore.6 Preesi-
stendo alla concessione dell’ufficio, non è concessa alle
persone, ma all’ufficio e tramite questo alle persone, che la
esercitano fintantoché rimangono titolari dello stesso.
La potestà annessa all’ufficio denota che quest’ultimo
comporta doveri e diritti stabiliti per legge e che colui al
quale tale ufficio venga concesso deve adempierli,7 deline-
ando in tal modo la potestà annessa all’ufficio che può es-
sere propria o vicaria ma in nessun modo delegata, in
quanto comunque ordinaria.
La distinzione della potestà ordinaria in propria o vica-
ria8 era già esistente nel CIC 17 e, allora come adesso, la
differenza consiste quando si eserciti a nome proprio oltre
che per diritto proprio e in forza dell’ufficio e quando in-
vece, nel caso della potestà ordinaria vicaria, si eserciti a
nome di un altro. La potestà cui partecipano entrambe è
la stessa, ma quella vicaria ha funzione sostitutiva di quel-

6 Cfr. GARCÌA MARTÌN J., Le norme generali del Codex Iuris Canonici,
Roma 20024, 520.
7 Cfr. can. 145 §2: “Obligationes et iura singulis officiis ecclesiasti-

cis propria definiuntur sive ipso iure quo officium constituitur, sive de-
creto auctoritatis competentis quo constituitur simul et confertur”.
8 Cfr. can. 131 §2: “Potestas regiminis ordinaria potest esse sive

propria sive vicaria”.


La potestà di governo nella vita consacrata
252

la propria, quando cioè colui che la esercita sia assente o


non possa esercitarla.
In questo caso, gli uffici configurabili come potestà vi-
caria si devono distinguere in due categorie: quelli in cui
si ha identità giuridica tra vicario e principale (per es. nel
caso del Vicario generale ed episcopale), quelli in cui non
vi è identità giuridica (nel qual caso non decadono dall’uf-
ficio quando cessa il principale). Vi sono perciò uffici con
potestà vicaria che hanno maggiore autonomia, altri che
ne hanno meno: forse per questo alcuni commentatori del
CIC 17 avevano classificato la potestà vicaria non come
ordinaria, ma delegata,9 oppure configurandola in una
classe intermedia tra le due.10

4.1.1. La potestà di governo ordinaria


La potestà di governo può definirsi come il «potere
pubblico della Chiesa di dirigere autoritativamente i fede-
li verso il fine soprannaturale a essa proprio, per volontà
del suo fondatore Gesù Cristo».11 È pubblica e pertanto di-
stinta da quella privata.12 Deriva direttamente dal munus

9 Cfr., ad es., WERNZ F., Ius Decretalium. II. Ius constitutionis Eccle-

siae catholicae, Roma 1889, 626-627.


10 La cosiddetta potestà quasi-ordinaria. Cfr. FALCO M., Corso di di-

ritto ecclesiastico, Padova 19352, 104.


11 MARCUZZI P.G., Potestà di giurisdizione, in DIP, 1983, vol. VII, 150.
12 HERVADA J., Elementos de Derecho Constitucional Canonico, Pam-

plona 1987, 247, afferma che i Moderatori supremi degli Istituti cleri-
cali di diritto pontificio sono considerati Ordinari “exclusivamente
para sus sùbditos por un fenomeno juridico mixto de potestad domi-
nativa unida a una linea de potestad de jurisdicciòn en virtud del
Sacramento del Orden y la incardinaciòn”. Se i Superiori maggiori de-
gli Istituti clericali di diritto pontificio sono riconosciuti come
Ordinari, ciò non è certo per la potestà dominativa che era loro attri-
buita nel CIC 17, di cui godevano assieme a molti altri nella norma-
tiva precedente, ma per la potestà esecutiva di governo, così come spe-
cificato nel can. 134 §1 stesso.
Cap. IV - L’ufficio di Ordinario
253

docendi e munus regendi, ma non dal munus sanctificandi,


per esercitare alcuni tratti del quale è necessaria l’ordina-
zione sacramentale.
La potestà di governo è perciò nella Chiesa per volon-
tà del suo fondatore, Gesù Cristo, come anche il can. 129
§1 ricorda.13 Per lo stesso diritto divino positivo si trasmi-
se tale potestà agli Apostoli e tramite loro ai successori, a
Pietro e ai suoi successori, nonché ai Vescovi in comunio-
ne con il successore di Pietro. Tale potestà, detta sacra po-
testas, si espleta nelle funzioni di santificare, insegnare, go-
vernare.
Tuttavia il can 129 §1, affermando che l’ordine sacro
rende abile alla potestà di governo, sottolinea pure che ta-
le potestà è ben distinta da quella di ordine; inoltre, chi
riceve la potestà di ordine non è automaticamente insi-
gnito della potestas regiminis. Infatti, la potestà di ordine si
riceve con il sacramento dell’ordine, la potestà di gover-
no con la missio canonica, cioè con il conferimento di un
ufficio cui sia annessa o con la delega fatta dal Superiore
che ne ha competenza. Ciò significa che «non… tutta la
potestà di governo ha origine sacramentale»:14 già il Con-
cilio affermava che il sacramento dell’ordine conferisce le
tre funzioni di insegnare, santificare, governare, ma non
ne dà la potestà per esercitarle.15 Avere la potestà signifi-
ca avere dei sudditi, avere qualcuno su cui far ricadere le
proprie decisioni e certamente il sacramento dell’ordine
non ne assegna, pur essendo una condizione essenziale
perché l’atto giuridico abbia validità che sia posto ai pro-
pri sudditi.

13 “Potestatis regiminis, quae quidem ex divina institutione est in


Ecclesia et etiam potestas iurisdictionis vocatur, ad normam praescrip-
torum iuris, habilis sunt qui ordine sacro sunt insigniti”.
14 GARCÌA MARTÌN, Le norme generali, 501.
15 Cfr. NEP 2.
La potestà di governo nella vita consacrata
254

Parafrasando la NEP 2, la potestà non viene dall’ordi-


ne ma dalla missio canonica che non è un sacramento (ec-
co perché ci sono presbiteri e vescovi senza potestà di go-
verno, o presbiteri che hanno potestà di governo episco-
pale senza avere ricevuto la consacrazione episcopale, o
persone giuridiche che hanno potestà di governo per di-
sposizione del diritto, mancando chiaramente del sacra-
mento dell’ordine).
Va distinta tra potestà di governo in foro esterno ed in
foro interno, che consiste sempre nella stessa potestà ma
esercitata in ambiti diversi, con fini diversi e in modi di-
versi. In foro esterno è caratterizzata dalla pubblicità di
esercizio e quindi da prove giuridicamente valide; raggiun-
ge tutte le persone ed è l’ambito principale di esercizio, ri-
guardante la disciplina ecclesiastica, l’ordine pubblico, le
formalità richieste dal diritto, la celebrazione pubblica del
culto divino. Essa può essere amministrativa o giudiziale.16
In foro interno, invece, essa è limitata all’ambito della
coscienza (pur non identificandosi con il foro della co-
scienza)17 e dell’occulto, distinguendosi ulteriormente in
foro interno sacramentale (nel sacramento della peniten-
za) e foro interno extrasacramentale (al di fuori del sacra-
mento della penitenza). In questo ambito gli effetti giuri-
dici non sono riscontrabili nel foro esterno, anche perché
l’uomo è fondamentalmente libero in ambito occulto e di
coscienza.
Riguardo alla validità o liceità dell’attività ministeriale
e sacerdotale, essa ne ha il controllo.18 Quanto alle funzio-

16 Cfr. GARCÌA MARTÌN, Le norme generali, 517.


17 Cfr. Communicationes 9(1977), 235.
18 “… Abbiamo molto presto delle prove sicure dell’esistenza con-

creta e cosciente di un potere di governo differente da quello dell’or-


dine. […] La necessità di distinguere teoricamente questi due poteri si
affacciava solo da quando, a causa di eresie, scismi, rivalità o compor-
Cap. IV - L’ufficio di Ordinario
255

ni la potestà di governo si divide in legislativa, esecutiva,


giudiziale.19 La divisione delle funzioni dell’unica potestà
di governo è dovuta al fatto che non tutti i Superiori ec-
clesiastici godono delle tre funzioni contemporaneamente.
La potestà legislativa20 è la funzione da cui dipendono
le altre due, per cui la più eminente. Essa compete a colo-
ro che possono emanare leggi e viene esercitata a norma
del diritto per i legislatori inferiori (Vescovo diocesano,
Concili particolari, Conferenze episcopali, Capitoli gene-
rali degli Istituti clericali di diritto pontificio) a pena del-
la invalidità delle disposizioni stabilite o liberamente dai
legislatori supremi (Romano Pontefice, Collegio dei Ve-
scovi). I legislatori inferiori non possono delegare tale fun-
zione tranne nei casi espressamente stabiliti dal diritto, né
possono emanare norme contrarie a quelle emanate dai le-
gislatori supremi.
La potestà giudiziale21 è quella che vuole risolvere con-
flitti e questioni controverse mediante l’applicazione della
legge. È perciò subordinata alla funzione legislativa ed
esercitata da chi detiene potestà legislativa in forma per-
sonale. Viene pure esercitata a norma del diritto e, come
la potestà legislativa, non può essere delegata perché lega-

tamento indegno dei ministri sacri, si poneva il problema della validi-


tà o meno dei loro atti d’ufficio”; STICKLER A.M., Origine e natura del-
la Sacra Potestas, in GHERRO S. (a cura di), Studi sul primo libro del
Codex Iuris Canonici, Padova 1993, 78.
19 Can. 135 §1: “Potestas regiminis distinguitur in legislativam, ex-

secutivam et iudicialem”.
20 Can. 135 §2: “Potestas legislativa exercenda est modo iure prae-

scripto, et ea qua in Ecclesia gaudet legislator infra auctoritatem su-


premam, valide delegari nequit, nisi aliud iure explicite caveatur; a le-
gislatore inferiore lex iuri superiori contraria valide ferri nequit”.
21 Can. 135 §3: “Potestas iudicialis, qua gaudent iudices aut colle-

gia iudicialia, exercenda est modo iure praescripto, et delegari nequit,


nisi ad actus cuivis decreto aut sententia praeparatorios perficiendos”.
La potestà di governo nella vita consacrata
256

ta all’ufficio (possono tuttavia essere delegati gli atti pre-


paratori del decreto o sentenza).
La potestà esecutiva riguarda l’esecuzione della legge.
Essa è annessa all’ufficio e perciò è potestà esecutiva ordi-
naria. Può essere esercitata validamente sui propri suddi-
ti22 anche assenti dal territorio, che abbiano il domicilio o
quasi-domicilio nel territorio dell’Ordinario; ma può esse-
re esercitata anche sui forestieri che si trovano nel territo-
rio dell’Ordinario. La funzione esecutiva, al contrario del-
le altre due funzioni, può essere delegata, sia per un atto
che per un insieme di casi.23
Quanto ai soggetti abili ad esercitarla, il già citato can.
129 §1 sembra affermare in maniera esclusiva che la pote-
stà di governo risieda solamente in coloro che hanno l’or-
dine sacro: diaconi, presbiteri, vescovi. La potestà di ordi-
ne è infatti il fondamento della potestà di governo, ma
questa non viene conferita automaticamente con il sacra-
mento dell’ordine: essa è legata all’ufficio, ma non tutti so-
no abili a ricevere determinati uffici. Questi poi sono in
alcuni casi di istituzione divina (Romano Pontefice me-
diante elezione legittima da lui accettata; Vescovi come
singoli successori degli Apostoli e riuniti nel Collegio Epi-
scopale), in tutti gli altri di istituzione ecclesiastica. Tra
quelli di istituzione ecclesiastica figurano non solo perso-
ne fisiche, ma pure giuridiche, che ricevono potestà per di-
sposizione del diritto stesso.

22 Cfr. can. 136: “Potestatem exsecutivam aliquis, licet extra terri-


torium exsistens, exercere valet in subditos, etiam a territorio absen-
tes, nisi aliud ex rei natura aut ex iuris praescripto constet; in peregri-
nos in territorio actu degentes, si agatur de favoribus concedendis aut
de exsecutioni mandandis sive legibus universalibus sive legibus parti-
cularibus […]”.
23 Can. 137 §1: “Potestas exsecutiva ordinaria delegari potest tum

ad actum tum ad universitatem casuum, nisi aliud iure expresse cavea-


tur”.
Cap. IV - L’ufficio di Ordinario
257

Il can. 129 §2 stabilisce invece la capacità dei laici nel-


la cooperazione alla sacra potestas.24 Per giungere alla for-
mulazione di questo canone, la Plenaria del 1981 ebbe una
lunga discussione in cui molti vedevano come un pericolo
contro la tradizione della Chiesa e la sua costituzione tale
partecipazione (negli Schema si affermava che i laici «par-
tem habere possunt» alla potestà sacra).25 Il can. 129 §2
sembra risolvere la questione: nonostante il cambiamento
di formulazione dello stesso da partem habere a cohoperatio,
la cooperazione, cioè l’operare con un altro, sembra impli-
care la stessa potestà esercitata da colui con il quale si è
chiamati a cooperare. Ne viene che ‘cooperare’ ha lo stes-
so significato e valore di ‘avere parte’,26 pur essendoci il li-
mite che tale cooperazione deve avvenire a norma del di-
ritto.27 Dunque, se i laici possono cooperare all’esercizio di
tale potestà, ciò significa che essi hanno potestà di gover-
no e sono abili ad esercitarla: i ministri sacri sono la cau-
sa principale della potestà di governo, ma non assoluta.28

24 “In exercitio eiusdem potestatis, christifideles laici ad normam


iuris cooperari possunt”.
25 Cfr. Communicationes 14(1982), 146-149.
26 Cfr. GUTIÉRREZ A., Canones circa Instituta vitae consecratae et

Societates vitae apostolicae vagantes extra partem eorum propriam, in CpR


64(1983), 90.
27 Il can. 274 §1 afferma che “soli clerici obtinere possunt officia

ad quorum exercitium requiritur potestas ordinis aut potestas regimi-


nis”. Ciò significa che l’esercizio della potestà di governo da parte dei
laici è limitato ad uffici che non richiedano né potestà di ordine né
potestà di governo ecclesiastico, cioè potestà di governo ordinaria; cfr.
GARCÌA MARTÌN, Le norme generali, 508.
28 Cfr. GANGOITI B., De la potestad de régimen, in BENLLOCH POVE-

DA A. (a cura di), Còdigo de Derecho Canonico. Ediciòn bilingüe, fuen-


tes y comentarios de todos los cànones, Valencia 1993, 84.
La potestà di governo nella vita consacrata
258

4.1.2. I soggetti che ricadono sotto il nome di Ordinario


La figura giuridica dell’Ordinario, descritta al can. 134
§1,29 si distingue da quella di Ordinario del luogo e di
Vescovo diocesano per la sua ampiezza. Esso appare ben
più di cento volte nel Codice, ma non ogni qualvolta si
tratti di un ufficio che esercita potestà ordinaria. Infatti al
termine di ‘Ordinari’ sono legati degli uffici ben precisi: il
Romano Pontefice, i Vescovi diocesani ed equiparati, i Vi-
cari generali e i Vicari episcopali, i Superiori maggiori de-
gli Istituti religiosi di diritto pontificio clericali e delle
Società di vita apostolica di diritto pontificio clericali.
Essi possiedono potestà ordinaria, ma ciò non basta per
essere qualificati come Ordinari, perché essa deve essere
«ordinaria saltem potestate exsecutiva».30 Dunque, se de-

29 “Nomine Ordinarii in iure intelleguntur, praeter Romanum


Pontificem, Episcopi dioecesani aliique qui, etsi ad interim tantum,
praepositi sunt alicui Ecclesiae particulari vel communitati eidem ae-
quiparatae ad normam can. 368, necnon qui in iisdem generali gaudent
potestate exsecutiva ordinaria, nempe Vicarii generales et episcopales;
itemque, pro suis sodalibus, Superiores maiores clericalium instituto-
rum religiosorum iuris pontificii et clericalium societatum vitae aposto-
licae iuris pontificii, qui ordinaria saltem potestate exsecutiva pollent”.
30 La potestà esecutiva è necessaria perché chi ha potestà legislati-

va ne ha pure esecutiva, entrambe destinate alla comunità. Tale prin-


cipio era in uso anche nella legislazione precedente; cfr. can. 198 §1:
“In iure nomine Ordinarii intelliguntur, nisi quis expresse excipiatur,
praeter Romanum Pontificem, pro suo quisque territorio Episcopus re-
sidentialis, Abbas vel Praelatus nullius eorumque Vicarius Generalis,
Administrator, Vicarius et Praefectus Apostolicus, itemque ii qui prae-
dictis deficientibus interim ex iuris praescripto aut ex probatis consti-
tutionibus succedunt in regimine, pro suis vero subditis Superiores ma-
iores in religionibus clericalibus exemptis”. Và perciò respinta la tesi
secondo cui “se trata, pues, de un fenómeno jurídico mixto de pote-
stad de jurisdicción que se conjuga con la potestad dominativa”, co-
me pure l’opinione che la potestà dominativa fosse dovuta all’unione
dei consigli evangelici con l’esenzione; così VERA VELASCO, El concep-
to de Ordinario, 38. Al contrario, proprio l’esenzione unitamente ai
Cap. IV - L’ufficio di Ordinario
259

vono possedere potestà ordinaria ‘episcopale’ o ‘quasi-epi-


scopale’, non si capisce perchè non rientrino nell’elenco
anche i Vicari castrensi e i Prelati di Prelatura personale.31
Il canone sembra fare una divisione su base territoriale o
personale, cioè sulla potestà territoriale o personale e, pro-
prio per questo, dovevano figurare anche queste due cate-
gorie, senza demandarle ad altre normative particolari o ad
altre parti del Codice. Nel CIC 17 non figuravano com-
pletamente come Ordinari i Prelati di Prelatura personale,
il Vicario episcopale,32 i Superiori maggiori di Istituti di vi-
ta consacrata non esenti.
Nella prima parte di esso rientrano coloro che sono pre-
posti alla Chiesa universale e ad una Chiesa particolare di
carattere territoriale, demandando al can. 368 il compito
di indicarne gli equiparati.33 Nella seconda parte si parla
di quelli che hanno carattere personale, cioè gli Istituti re-
ligiosi e le Società di vita apostolica clericali di diritto
pontificio (che hanno la funzione della diocesi in quanto
ad incardinazione dei propri chierici): si deve tenere pre-

consigli evangelici ha portato alla comprensione della potestà domi-


nativa come vera e propria potestà di giurisdizione.
31 Cfr. URRUTIA F.J., De normis generalibus C.I.C. Schemata pro lec-

tionibus, Roma 1986-1989, vol. II, 49-50. Lo stesso Autore si chiede


come mai non risultino tra gli Ordinari anche i Vicari giudiziali. Ma
essi hanno solo potestà giudiziale che è indirizzata a destinatari parti-
colari, non alla comunità, e che quindi non pone il giudice nella ca-
tegoria degli Ordinari. Al contrario, la potestà dell’Ordinario può es-
sere senz’altro considerata potestà episcopale; cfr. SERRANO J.M., El
ejercicio de la potestad en el Ordinario, in REDC 37(1981), 230.
32 Trova la propria ragione nel decreto conciliare Christus Dominus,

27.
33 “Ecclesiae particulares, in quibus una et unica Ecclesia catholi-

ca exsistit, sunt imprimis dioeceses, quibus nisi aliud constet, assimi-


lantur praelatura territorialis et abbatia territorialis, vicariatus aposto-
licus et praefectura apostolica necnon administratio apostolica stabili-
ter erecta”.
La potestà di governo nella vita consacrata
260

sente che nel Codice attuale il Superiore maggiore è colui


che governa sia l’intero Istituto che una sua parte, sia es-
sa una sua provincia o una parte ad essa equiparata, o una
casa sui iuris, senza dimenticare i rispettivi vicari.34 Ad es-
si vanno perciò aggiunti gli Ordinariati militari35 e le
Prelature personali.36 In questo modo si distinguono gli
Ordinari dagli Ordinari del luogo sulla base di coloro che
hanno potestà ordinaria e potestà ordinaria esecutiva ge-
nerale.37

34 Cfr. can. 620: “Superiores maiores sunt, qui totum regunt insti-

tutum, vel eius provinciam, vel partem eidem aequiparatam, vel do-
mum sui iuris, itemque eorum vicarii. His accedunt Abbas Primas et
Superior congregationis monasticae, qui tamen non habent omnem
potestatem, quam ius universale Superioribus maioribus tribuit”.
35 Cfr. GIOVANNI PAOLO II, cost. ap. Spirituali militum curae, 21 apri-

le 1986, in AAS 78(1986), II §1, 482: “Ordinariatui militari, ut pro-


prius, praeficitur Ordinarius dignitate episcopali pro norma insignitus,
qui omnibus gaudet iuribus Episcoporum dioecesanorum eorundemque
obligationibus tenetur, nisi aliud ex rei natura vel statutis particulari-
bus constet”. L’Ordinario castrense, perciò, non è necessariamente in-
signito dell’episcopato, ma è equiparato in iure ai vescovi e appartiene
a iure alla conferenza episcopale nazionale in quanto l’Ordinariato è
equiparato alla diocesi. Cfr. ARRIETA J.I., El Ordinariato castrense.
(Notas en torno a la Cost. Apost. «Spirituali militum curae»), in IusCan
26(1986), 731 ss.
36 Can. 295 §1: “Praelatura personalis regitur statutis ab Apostolica

Sede conditis eique praeficitur Praelatus ut Ordinarius proprius, cui ius


est nationale vel internationale seminarium erigere necnon alumnos
incardinare, eosque titulo servitii praelaturae ad ordines promovere”.
La Prelatura personale è equiparata agli Istituti missionari clericali.
Cfr. GUTIÉRREZ J.L., La Costituzione apostolica “Ut sit” e la figura giuri-
dica della prelatura personale, in Apollinaris 57(1984), 335-340; LO
CASTRO G., Un’istituzione giurisdizionale gerarchica della Chiesa. La pre-
latura personale Opus Dei, in DirEccl 96(1985), 547-579; CELEGHIN A.,
Prelatura personale: problemi e dubbi, in Per 82(1993), 95-138; 231-256;
GARCÌA MARTÌN J., El Ordinario propio de la Prelatura personal, in CpR
77(1996), 377.
37 Si escludono così i parroci; cfr. Communicationes 23(1991), 49.
Cap. IV - L’ufficio di Ordinario
261

– Il Romano Pontefice è l’Ordinario di tutte le Chiese par-


ticolari38 e il Superiore supremo di tutti gli IR e le SVA,39
avendo potestà ordinaria, propria, universale ed imme-
diata.
– I Vescovi diocesani sono coloro cui è affidata una Chiesa
particolare durante sede piena, impedita, vacante, e co-
loro cui è affidata una Chiesa particolare equiparata alla
diocesi, cioè la prelatura territoriale, l’abbazia territoria-
le, il vicariato apostolico, la prefettura apostolica, la pre-
fettura apostolica stabilmente eretta; per disposizioni
particolari anche la missione sui iuris40 e l’Ordinariato
castrense.
Con sede piena, il Vescovo diocesano di una diocesi si
equipara al Prelato territoriale, all’Abate territoriale, al
Vicario apostolico, al Prefetto apostolico, all’Ammini-
stratore apostolico stabilmente costituito, al Superiore di
missione sui iuris, al Vicario castrense, all’Amministrato-
re apostolico ad nutum Sanctae Sedis.
Con sede impedita, la Chiesa particolare viene affidata
al Vescovo coadiutore, al Vescovo ausiliare, al Vicario
generale ed episcopale, al Superiore interino (presbitero)
secondo l’ordine stabilito nell’elenco che il Vescovo dio-
cesano ha compilato o eletto dal collegio dei consultori,
l’Amministratore apostolico ad nutum Sanctae Sedis.

38 Cfr. can. 333 §1: “Pontifex, vi sui muneris, non modo in univer-

sam Ecclesiam potestate gaudet, sed et super omnes Ecclesias particu-


lares earumque coetus ordinariae potestatis obtinet principatum […]”.
39 Cfr. can. 590 §2: “Singuli sodales Summo Pontifici, tamquam su-

premo eorum Superiori, etiam ratione sacri vinculi oboedientiae pare-


re tenentur”.
40 Pro Audientia Santissimi, 7 novembre 1929: Sylloge praecipuo-

rum documentorum recentium Summorum Pontificum et S. Congregationis


de Propaganda Fide necnon aliarum SS. Congregationum Romanarum,
Roma 1939, n. 146, 349-350.
La potestà di governo nella vita consacrata
262

Con sede vacante, la Chiesa particolare è affidata all’Am-


ministratore diocesano, al Pro-vicario apostolico, al Pro-
prefetto apostolico, al Pro-superiore apostolico o all’Am-
ministratore apostolico ad nutum Sanctae Sedis.
– I Vicari generali ed episcopali nelle medesime Chiese
particolari, perché hanno potestà esecutiva ordinaria ge-
nerale. Vi possono essere compresi in questa categoria
anche i Vescovi coadiutori e quelli ausiliari.41
– I Superiori maggiori di IR e SVA clericali di diritto ponti-
ficio (tra questi rientrano sia i Moderatori supremi che co-
loro che sono posti a capo di una parte dell’Istituto o di una
casa sui iuris), ai quali si equiparano, per disposizioni ester-
ne al can. 134 §1, gli Abati primati e i Superiori di con-
gregazioni monastiche, pur non avendo tutta la potestà che
il diritto universale attribuisce ai Superiori maggiori.
– A questi si aggiungono i Vicari dei Superiori maggiori.42
– Il Prelato di Prelatura personale.43
– Il Vicario del Prelato personale, a norma degli statuti ap-
provati dalla Sede Apostolica.44
Avendo questi potestà annessa all’ufficio e non legata
direttamente alla persona, essa viene a cessare nel momen-

41 Cfr. GARCÌA MARTÌN, Le norme generali, 527.


42 Cfr. can. 620.
43 Cfr. il già citato can. 295 §1.
44 A titolo puramente esemplificativo, accenniamo all’Ordinario

del luogo. Cfr. can. 134 §2: “Nomine Ordinarii loci intelleguntur om-
nes qui in §1 recensentur, exceptis Superioribus institutorum religio-
sorum et societatum vitae apostolicae”. Esso viene definito per via ne-
gativa, dicendo che vi corrispondono tutti gli Ordinari del 134 §1,
tranne i Superiori degli Istituti religiosi e delle Società di vita aposto-
lica, cioè tranne coloro che non hanno carattere territoriale ma per-
sonale (e solo per i propri membri), anche il Prelato di Prelatura per-
sonale e l’Ordinario di Vicariato castrense. Tuttavia, gli Ordinari del
luogo hanno potestà sul territorio, sulle persone, sulle cose che sono
in quel luogo e con essi si comprendono anche i loro vicari.
Cap. IV - L’ufficio di Ordinario
263

to stesso in cui il titolare perde l’ufficio o ne viene sospe-


so. Si tratta allora di estinzione (quando non esiste più) o
di sospensione (quando non si può esercitare),45 «nisi aliud
iure caveatur», cioè a meno che non vi sia stato un decre-
to di rimozione che non abbia avuto forma scritta46 o sia
mancata la dichiarazione della rimozione da parte dell’au-
torità competente.47 Ciò è conforme con quanto afferma-
to già nel can. 131 §1, dove si dice che la potestà ordina-
ria è quella annessa dal diritto stesso all’ufficio: non si può
perdere l’ufficio e conservare tale potestà.
Al contrario, quindi, chi non perde l’ufficio dovrebbe
mantenere la potestà ordinaria, ma nel caso di appello le-
gittimo o ricorso contro la privazione o rimozione dall’uf-
ficio, essa viene sospesa. Ne consegue che il titolare non
può esercitare la potestà annessa all’ufficio e gli atti che
ponesse in tale contesto sarebbero nulli.
Il Moderatore supremo esercita potestà su ogni singola
provincia, casa e membro dell’Istituto, secondo il diritto
universale e particolare. La parte dell’Istituto equiparata
alla provincia è quella in cui vi sia «previsto l’ufficio di un
superiore con una potestà ordinaria anche se vicaria sul-
l’insieme delle case», sì che ci sia «sufficiente autonomia
per equiparare tale realtà a una provincia».48

45 In caso di appello pendente legittimamente posto o di ricorso


contro la privazione o rimozione dall’ufficio; cfr. can. 143 §2.
46 Can. 193 §4: “Decretum amotionis, ut effectum sortiatur, scrip-

to intimandum est”.
47 Can. 194 §2: “Amotio […] urgeri tantum potest, si de eadem

auctoritatis competentis declaratione constet”. Cfr. URRUTIA, De nor-


mis generalibus, vol. II, 63.
48 DE PAOLIS V., La vita consacrata nella Chiesa, Bologna 1992, 202.

Di diverso avviso BEYER J., Il diritto della vita consacrata, Milano 1989,
231, secondo cui il diritto proprio “non può tuttavia conferire a que-
sto superiore intermedio le competenze che il diritto della Chiesa ri-
conosce ai superiori provinciali come superiori maggiori […] questi su-
La potestà di governo nella vita consacrata
264

Perciò si può osservare che l’Ordinario religioso o l’Or-


dinario moderatore di una SVA non ha regime pieno sul-
la Chiesa né generale né particolare, distinguendosi in
questo dagli Ordinari del luogo, pur avendo potestà esecu-
tiva propria o vicaria.49 È sempre Superiore maggiore di un
IR o SVA di indole clericale e di carattere pontificio, di-
stinguendosi dai Superiori maggiori di IR o SVA di indo-
le laicale anche se di carattere pontificio.

4.1.3. La potestà di governo delegata


La potestà di governo delegata è quella che non è con-
nessa all’ufficio stesso, ma viene concessa «a persona ad
personam»,50 così come descritto al can. 131 §1. Perciò è
potestà propria della persona che fa la delega, che la con-
cede. Richiede quindi due agenti: uno titolare della pote-
stà, l’altro che la riceve non dall’ufficio (ma potrebbe es-
sere ‘per’ l’ufficio). Ma non tutti possono delegare tutte le
funzioni: è il diritto stesso a stabilire le competenze del de-
legante e quali funzioni sono delegabili.
Tale concessione può essere fatta dal diritto o diretta-
mente dal titolare della potestà. La potestà delegata con-
cessa dal diritto è differente da quella ordinaria perché
non è annessa all’ufficio ma al delegato in quanto tale: per
questo si può ritenere che l’esecutore non abbia potestà

periori intermedi non sono superiori maggiori; non si può neppure nel
diritto proprio, conferire loro poteri che il Codice affida ai superiori
provinciali come superiori maggiori e soprattutto come ‘ordinari’
(c. 134)”.
49 Il can. 134 §1, dicendo che tali Ordinari devono avere “ordina-

ria saltem potestas exsecutiva”, ammette che possano averne altre, co-
me effettivamente avviene, esercitando anche potestà legislativa e
giudiziale. Tali potestà esercitano soltanto per i loro sudditi, senza re-
lazione al territorio, con meno doveri e diritti degli Ordinari del luo-
go, ma secondo il diritto universale ed anche proprio.
50 URRUTIA, De normis generalibus, vol. II, 49.
Cap. IV - L’ufficio di Ordinario
265

propriamente detta e che spetti al delegante originario au-


torizzare all’eventuale delega della suddelega.51
La delega, oltre che per il modo che ha di essere fatta,
può essere distinta in base alla sua ampiezza: quando sia
speciale (e perciò indirizzata ad un atto particolare) ovve-
ro generale (per un insieme di casi), cioè universale in
quanto concessa per una generalità di casi; può essere di-
stinta in base al motivo per cui viene fatta: quando sia cioè
personale (fatta in ragione delle qualità della persona, nel
qual caso è intrasferibile) ovvero reale (a motivo dell’uffi-
cio che svolge la persona, nel qual caso è trasferibile, de-
legabile).52
Nel contesto della potestà delegata vengono anche
considerate le facoltà abituali, ritenute nel CIC 17 un pri-
vilegio fuori del diritto, ora rette dalle disposizioni sulla
potestà delegata. Possono essere definite «concessio per
actum peculiarem ad aliquid agendum, non ad casum in
individuo determinatum»53 e, come visto nel cap. II, pos-
sono concedere potestà giurisdizionale: in quanto tali pre-
suppongono mancanza di potestà, ma presenza dei requisi-
ti o delle circostanze perchè tale potestà venga concessa
(sono fatte in ragione dell’ufficio, ma posteriori al conferi-
mento dello stesso; necessitano di sudditi per cui siano
esercitate e hanno come finalità la risoluzione di casi ur-
genti, difficili o non previsti dal Codice).
Pur essendo rette dalle disposizioni sulla potestà delega-
ta, esse passano al successore dell’Ordinario nel momento
in cui questi cessi dall’ufficio (se sono concesse in base al-

51 RIVELLA M., Titolo VIII. La potestà di governo, in AA.VV., Codice

di diritto canonico commentato, (a cura della Redazione di Quaderni di


diritto ecclesiale), Milano 2001, 183. Inoltre, per questo stesso motivo
al delegato spetta l’onere della prova, ex can. 131 §3.
52 Cfr. URRUTIA, De normis generalibus, vol. II, 57-58.
53 URRUTIA, De normis generalibus, vol. II, 59.
La potestà di governo nella vita consacrata
266

l’ufficio esercitato; nel caso in cui esse siano concesse in


base alle qualità personali, cessano con la persona stessa);
vengono esercitate nei limiti stabiliti dal delegante (dal di-
ritto o dall’autorità), siano essi di tipo temporale, territo-
riale, personale.
Queste le possibilità di delegare alcune funzioni:
– circa la potestà legislativa, il can. 135 §254 pone una di-
stinzione chiara tra l’autorità suprema da una parte e
quella inferiore dall’altra. Elencando i soggetti di autori-
tà inferiore (Vescovi diocesani ed equiparati, Concili
particolari, Conferenze Episcopali, Capitoli degli Istituti
di vita consacrata e Società di vita apostolica) che non
possono delegare validamente tale funzione se non sia
stabilito espressamente dal diritto, si capisce che l’auto-
rità suprema ha invece piena capacità di delegarla;55
– circa la potestà giudiziale, solo il Romano Pontefice può
delegarla, salvo per quanto riguarda gli atti preparatori
dei decreti e delle sentenze, per cui anche il Vescovo o i
giudici possono delegare;56
– circa la potestà esecutiva, le disposizioni del diritto sono
più complesse e si articolano nei cann. 137-142.
Il can. 137 stabilisce le norme generali per la potestà
esecutiva delegata:

54 “Potestas legislativa exercenda est modo iure praescripto, et ea

qua in Ecclesia gaudet legislator infra auctoritatem supremam, valide


delegari nequit, nisi aliud iure explicite caveatur; a legislatore inferio-
re lex iuri superiori contraria valide ferri nequit”.
55 Cfr. URRUTIA, De normis generalibus, vol. II, 55; GARCÌA MAR-

TÌN, Le norme generali, 542.


56 Can. 135 §3: “Potestas iudicialis, qua gaudent iudices aut colle-

gia iudicialia, exercenda est modo iure praescripto, et delegari nequit,


nisi ad actus cuivis decreto aut sententia praeparatorios perficiendos”.
Cap. IV - L’ufficio di Ordinario
267

§1. Potestas exsecutiva ordinaria delegari potest tum ad


actum tum ad universitatem casuum, nisi aliud iure ex-
presse caveatur.
§2. Potestas exsecutiva ab Apostolica Sede delegata sub-
delegari potest sive ad actum sive ad universitatem ca-
suum, nisi electa fuerit industria personae aut subdelega-
tio fuerit expresse prohibita.
§3. Potestas exsecutiva delegata ab alia auctoritate pote-
statem ordinariam habente, si ad universitatem casuum
delegata sit, in singulis tantum casibus subdelegari potest;
si vero ad actum aut ad actus determinatos delegata sit,
subdelegari nequit, nisi de expressa delegantis concessio-
ne.
§4. Nulla potestas subdelegata iterum subdelegari potest,
nisi id expresse a delegante concessum fuerit.

La norma stabilisce che colui che possiede potestà ese-


cutiva ordinaria, anche se vicaria, può delegarla per un at-
to o per un insieme di casi. Il canone non specifica se la
causa debba essere per la liceità o per la gravità della situa-
zione. Non solo l’Ordinario può delegare, ma anche chi ha
potestà esecutiva ordinaria, cioè annessa all’ufficio: ciò è
importante in relazione proprio al can. 596 §3, dove si ri-
manda espressamente a questi canoni. In via eccezionale,
il diritto può stabilire diversamente, cioè vietare l’uso del-
la delega.57
I §§2-4 stabiliscono le condizioni per la suddelega:
– nel caso di delega da parte della Sede Apostolica, la sud-
delega è sempre possibile, «sive ad actum sive ad univer-
sitatem casuum», ad eccezione dei casi proibiti dal dirit-
to e della delega fatta per le qualità specifiche della per-
sona;
– nel caso di delega da parte di un’altra autorità, si distin-
guono le possibilità 1) in cui la delega sia fatta «ad uni-

57 Cfr. URRUTIA, De normis generalibus, vol. II, 57-58.


La potestà di governo nella vita consacrata
268

versitatem casuum», nella qual ipotesi la suddelega può


avvenire solo per singoli casi, 2) o in cui la delega sia fat-
ta «ad actum aut ad actus determinatos», nella cui ipo-
tesi la suddelega è generalmente proibita, a meno che il
delegante non lo conceda espressamente;
– nel caso di ulteriore suddelega, la norma generale ne
proibisce l’applicazione, salvo il diritto del delegante di
permettere tale suddelega, che dovrà essere fatto espres-
samente ed in maniera chiara.
Al can. 14058 si tratta della delega di potestà esecutiva
fatta «pluribus in solidum», al fine di dirimere conflitti di
competenza.59 Se da un lato potremmo arguire che la dele-
ga di potestà venga fatta validamente a coloro che sono in-
signiti dell’ordine sacro a norma del can. 129 §1, dall’altro
dobbiamo riconoscere che tale delega può essere fatta da
tutti i Superiori maggiori di Istituti di vita consacrata e
Società di vita apostolica a norma del can. 596 §3, che pos-
sono essere anche laici: può dunque un laico dare potestà
di governo, per quanto delegata, ad un ministro sacro?
La delega a parecchi delegati stabilisce che la potestà
delegata possa essere fatta a una persona fisica o a una per-
sona giuridica, come già avviene per certe funzioni nella
potestà di governo ordinaria. Essa si ripartisce in delega in
solido, collegiale, successiva.

58 §1. Pluribus in solidum ad idem negotium agendum delegatis,


qui prius negotium tractare inchoaverit alios ab eodem agendo exclu-
dit, nisi postea impeditus fuerit aut in negotio peragendo ulterius pro-
cedere noluerit.
§2. Pluribus collegialiter ad negotium agendum delegatis, omnes pro-
cedere debent ad normam can. 119, nisi in mandato aliud cautum sit.
§3. Potestas exsecutiva pluribus delegata, praesumitur iisdem dele-
gata in solidum.
59 Cfr. ARRIETA J.I., Titulus VIII. De potestate regiminis, in ARRIETA

J.I. (a cura di), Codice di diritto canonico e leggi complementari commen-


tato, Roma 2004, 151.
Cap. IV - L’ufficio di Ordinario
269

La delega fatta a parecchi soggetti in solido, can. 140


§1, concede potestà a tutti indistintamente ma non simul-
taneamente: infatti il primo che abbia iniziato a svolgere
l’affare, esclude gli altri dal trattarlo. E se questi venga im-
pedito o non possa procedere nel condurlo a termine, sarà
un altro delegato in solido a subentrare nell’esercizio.
Diversamente, nella delega fatta a parecchi soggetti
collegialmente, la potestà non è concessa a tutti indistin-
tamente, ma a tutti come collegio. Si procede a norma del
can. 119,60 sotto pena di nullità degli atti posti, con l’in-
tervento di tutti i delegati o, secondo il can. 119, 2°, con
la convocazione di tutti i delegati ma la presenza solo del-
la maggioranza, permanendo la facoltà del delegante di di-
sporre diversamente.
La delega fatta a parecchi successivamente è trattata al
can. 14161 e consiste nella situazione in cui la delega per
trattare l’affare sia stata fatta a più soggetti separatamente
e in tempi successivi. In tal caso il diritto dispone che sia
competente colui che per primo ricevette la delega e che

60 Ad actus collegiales quod attinet, nisi iure vel statutis aliud ca-
veatur:
1° si agatur de electionibus, id vim habet iuris, quod, praesente
quidem maiore parte eorum qui convocari debent, placuerit parti ab-
solute maiori eorum qui sunt praesentes; post duo inefficacia scrutinia,
suffragatio fiat super duobus candidatis qui maiorem suffragiorum par-
tem obtinuerint, vel, si sunt plures, super duobus aetate senioribus;
post tertium scrutinium, si paritas maneat, ille electus habeatur qui se-
nior sit aetate;
2° si agatur de aliis negotiis, id vim habet iuris, quod, praesente
quidem maiore parte eorum qui convocari debent, placuerit parti ab-
solute maiori eorum qui sunt praesentes; quod si post duo scrutinia suf-
fragia aequalia fuerint, praeses suo voto paritatem dirimere potest;
3° quod autem omnes uti singulos tangit, ab omnibus approbari de-
bet.
61 Pluribus successive delegatis, ille negotium expediat, cuius man-

datum anterius est, nec postea revocatum fuit.


La potestà di governo nella vita consacrata
270

non gli sia stata revocata. Svolto l’affare dal primo, la de-
lega dei successivi cessa.62
Quanto alla cessazione, le cause sono diverse.63 Con ri-
guardo alla potestà e quindi alla delega, il can. 142 §1 ci-
ta sia il compimento del mandato sia la scadenza del tem-
po per il quale fu concessa la delega (tuttavia, il §2 pone
come eccezione l’atto posto per inavvertenza dopo la sca-
denza del tempo di concessione nel solo foro interno an-
che non sacramentale); sia l’esaurimento del numero dei
casi sia la cessazione della causa finale della delega (che
deve perciò essere manifestata nella delega stessa).64
Con riguardo invece alla potestà del delegante, il §1 ci-
ta la revoca da parte del delegante (che deve essere inti-
mata direttamente al delegato e che necessita di una cau-
sa per la liceità). Se il delegante ha condizionato la con-
cessione alla sua potestà, la perdita di questa da parte del
soggetto delegante può essere una ulteriore causa di cessa-
zione (andando contro il principio generale che non pre-
vede perdita della potestà delegata nel caso in cui venga
meno il diritto del delegante).65

62 Cfr. BENDER L., Potestas iurisdictionis exercenda extra territorium, in


Perfice Munus 34(1959), 349-354; SAUCEDO P.R., Exercitium iurisdictio-
nis ecclesiasticae et Superiores Laici ex Ordine Hospitalario S. Joannis de
Deo, in CpR 13(1932), 51-61.
63 Can. 142: §1. Potestas delegata extinguitur: expleto mandato;

elapso tempore vel exhausto numero casuum pro quibus concessa fuit;
cessante causa finali delegationis; revocatione delegantis delegato di-
recte intimata necnon renuntiatione delegati deleganti significata et
eo acceptata; non autem resoluto iure delegantis, nisi id ex appositis
clausulis appareat.
§2. Actus tamen ex potestate delegat, quae exercetur pro solo fo-
ro interno, per inadvertentiam positus, elapso concessionis tempore,
validus est.
64 Cfr. URRUTIA, De normis generalibus, vol. II, 63-64.
65 Cfr. GARCÌA MARTÌN, Le norme generali, 552.
Cap. IV - L’ufficio di Ordinario
271

Con riguardo al delegato stesso, le cause possono esse-


re due: la rinuncia accettata dal delegante e la morte del
delegato stesso. Pur non figurando nel can. 142, a queste
va aggiunta, nel caso di concessione fatta a parecchi col-
legialmente, l’estinzione del collegio a motivo della man-
canza di uno dei suoi membri.66
Secondo il can. 139,67 la potestà esecutiva di un Supe-
riore gerarchico non viene sospesa per il ricorso ad un’al-
tra autorità superiore o inferiore, ma permane immutata
(rimanendo perciò valida l’eventuale decisione presa dal-
l’autorità precedente). Tale è il caso di religioso che ricor-
ra alla Sede Apostolica per un indulto di esclautrazione,
omettendo l’iter gerarchico inferiore ed interno all’Istituto
stesso di cui sia membro. È quindi una norma che «mira a
dirimere conflitti di competenza che possono insorgere in
ipotesi sia di potestà ordinaria che di potestà delegata», ri-
ferendosi «ad ogni autorità esecutiva titolare di una com-
petenza concorrente per una data materia, qualunque sia il
suo grado gerarchico».68 È il suddito stesso che ha in que-
sto caso ampia possibilità discrezionale sulla scelta dell’au-
torità competente.

66 Cfr. URRUTIA, De normis generalibus, vol. II, 64.


67 §1. Nisi aliud iure statuatur, eo quod quis aliquam auctoritatem,
etiam superiorem, competentem adeat, non suspenditur alius auctori-
tatis competentis exsecutiva potestas, sive haec ordinaria est sive de-
legata.
§2. Causae tamen ad superiorem auctoritatem delatae ne se immi-
sceat inferior, nisi ex gravi urgetique causa; quo in casu statim supe-
riorem de re moneat.
68 Cfr. ARRIETA J.I., Titulus VIII. De potestate regiminis, 150. Nel ca-

so in cui l’autorità gerarchica diversa cui il suddito ha fatto ricorso sia


di grado superiore, quella inferiore non deve intromettersi, salvo il ca-
so in cui vi siano contemporaneamente motivi gravi e urgenti e sem-
pre avvisando quella superiore della cosa.
La potestà di governo nella vita consacrata
272

Infine, il can. 14469 tratta della supplenza della potestà


esecutiva e delle facoltà abituali da parte della Chiesa, sia
nell’errore comune di fatto o di diritto70 sia nel dubbio posi-
tivo e probabile di diritto e di fatto.71 Essa avviene per im-
pedire che l’atto, posto da una persona carente della dovuta
potestà, sia nullo; perciò ha finalità pastorale, non di suppli-
re la negligenza dei ministri sacri o dell’autorità gerarchica.
Ne risulta che i Superiori maggiori, rivestendo un uffi-
cio e quindi avendo potestà ordinaria, si situano nella pri-
ma categoria e perciò anche a loro vengono attribuite
quelle disposizioni dei cann. 139-144 che abbiamo appena
analizzato e che sono proprie di coloro che esercitano po-
testà esecutiva o che posseggono perlomeno particolari fa-
coltà abituali. Tale potestà esecutiva sembra non dover es-
sere di natura privata, in quanto negli atti di natura priva-
ta è lo stesso diritto particolare a stabilire i modi per sop-
perire errori di diritto o di fatto, così come indica il dispo-
sto del can. 144.

69 §1. In errore communi de facto aut de iure, itemque in dubio po-

sitivo et probabili sive iuris sive facti, supplet Ecclesia, pro foro tam
externo quam interno, potestatem regiminis exsecutivam.
§2. Eadem norma applicatur facultatibus de quibus in cann. 882,
883, 966, et 1111, §1.
70 L’errore comune consiste nella valutazione inesatta, da parte di

chi deve soggiacere ad una potestà, del fatto che un soggetto determi-
nato ne sia investito. È di diritto quando riguarda l’interpretazione
delle norme giuridiche che regolano l’esercizio della potestà; di fatto
quando riguarda l’errata valutazione di un insieme di circostanze di
fatto che portano a considerare che un soggetto abbia potestà confor-
me al diritto stesso. Questo fatto non deve essere necessariamente
pubblico, ma certo, stabile e la supplenza deve nascere dall’interesse e
dal beneficio generale della comunità.
71 Il dubbio positivo e probabile di diritto e di fatto riguarda il sog-

getto che esercita la potestà ed è tale quando colui che esercita tale
potestà ha motivi solidi di giudizio per ritenere di esserne investito.
Non è tale pertanto il caso in cui chi agisce lo faccia per negligenza.
Cap. IV - L’ufficio di Ordinario
273

Tuttavia, per procedere con ordine, analizziamo gli at-


ti di governo, doveri e diritti propri sia dei Superiori mag-
giori in quanto Ordinari sia dei Superiori maggiori in ge-
nerale.

4.2. Atti di governo dell’Ordinario

Il Codice annette all’ufficio di Ordinario la potestà e


quindi l’insieme di doveri-diritti suoi propri. Ciò vale na-
turalmente anche per quei Superiori maggiori che rientra-
no nella fattispecie dell’Ordinario, cioè quelli di Istituti re-
ligiosi clericali di diritto pontificio e di Società di vita apo-
stolica clericali di diritto pontificio che godano almeno di
potestà di governo esecutiva.
Questo insieme di doveri-diritti comprende, oltre al
munus regendi, che riguarda specificamente il campo della
potestà esecutiva ordinaria e legislativa-giudiziale, anche il
munus docendi e il munus sanctificandi, sia per il foro ester-
no che per quello interno, sacramentale ed extrasacramen-
tale.72
Ne richiamiamo perciò il corrispettivo elenco che pos-
sa poi essere messo a confronto con quello comune a tut-
ti i Superiori maggiori degli IVC e delle SVA, sia clerica-
li che laicali. Naturalmente il nostro studio si ferma ad un
livello di ius comune e perciò non scende ad analizzare la
miriade di possibilità che possono esserci nel campo del di-
ritto proprio di ciascun Istituto o Società e che possono

72 A tutto l’insieme di doveri e diritti che troviamo riferiti all’Or-

dinario si deve notare che vi fu un ampliamento notevole a partire


dallo Schema del 1980 a riguardo della formazione dei chierici, della
predicazione, degli stipendi, della ricezione del sacramento dell’Ordi-
ne. Cfr. VERA VELASCO, El concepto de Ordinario, 155.
La potestà di governo nella vita consacrata
274

apportare particolari doveri-diritti al già cospicuo elenco


previsto dal Codice.73

4.2.1. Doveri specifici dell’Ordinario


a) Doveri riguardanti il munus docendi:
– determinare le ‘opportune esperienze’ nella prassi pasto-
rale per i membri che si preparano al sacerdozio, da aver-
si nel periodo degli studi o delle vacanze (can. 258);
– comunicare le motivazioni all’autore di un eventuale di-
niego nel concedere la licenza (che ha valore solo per il
testo originale, can. 829) di pubblicare (can. 830 §3);
– emettere personalmente la professione di fede prima di
cominciare ad esercitare la potestà propria dell’ufficio
(can. 833, 8°).74

b) Doveri riguardanti il munus sanctificandi:


– stabilire le finalità delle offerte delle ss. Messe binate
(can. 951 §1);75

73 Nell’elencazione dei doveri-diritti, pur descrivendo sommaria-


mente il contenuto degli stessi, facciamo solo riferimento al canone
corrispettivo, senza citarlo per intero. La bibliografia usata per questo
elenco, con qualche ritocco personale, è la seguente: ANDRÉS D.J., Los
Superiores religiosos de los religiosos segun el Codigo: (IV) Estatuto especì-
fico de los Superiores mayores ordinarios, in CpR 79(1998), 159-191;
IDEM, Los Superiores religiosos segun el Codigo. Guia de subditos y de su-
periores, Madrid 1985, 187-202; D’OSTILIO F., L’esercizio della Sacra
Potestà negli Istituti Religiosi, Città del Vaticano 2000, 135-146; ESPOSI-
TO B., Alcune riflessioni sul Superiore maggiore in quanto Ordinario e sul-
la valenza ecclesiologica e canonica della qualifica, in Angelicum 78(2001),
700-709.
74 Norma comune a tutti gli IVC ed SVA clericali, sia di diritto

pontificio che di diritto diocesano.


75 Cfr. anche PCCICAI, Responsio I, 23 aprile 1987, in AAS

79(1987), 1132. Il can. 111 §2 dello Schema de Sacramentis del 1975


dava questa competenza all’Ordinario del luogo.
Cap. IV - L’ufficio di Ordinario
275

– definire le modalità di consegna, da parte degli ammini-


stratori di cause pie o di obblighi a provvedere alla cele-
brazione di Messe, degli oneri di Messe che non siano
stati soddisfatti entro l’anno (can. 956);
– prendere visione ogni anno, personalmente o tramite al-
tri, dei registri delle ss. Messe (can. 958 §2);
– stabilire il luogo e il modo dello svolgimento degli eser-
cizi spirituali di coloro che sono promossi a qualche or-
dine (can. 1039);76
– annotare l’avvenuta ordinazione dei propri sudditi sul re-
gistro che si conserva nell’archivio (can. 1053 §2);
– consultare dei periti prima di concedere la licenza scrit-
ta per il restauro di immagini preziose e insigni esposte
alla venerazione dei fedeli nella chiese e negli oratori
(can. 1189);
– visitare il luogo destinato alla costituzione di un oratorio
personalmente o per mezzo di altri prima di concedere la
licenza richiesta se sia trovato allestito in modo conve-
niente (can. 1224 §1).

76 Un Autore poneva a questo punto, tra i doveri specifici dei Su-


periori maggiori Ordinari, anche la possibilità di “non … ammettere
al diaconato coloro che non hanno emesso professione definitiva; la
medesima deve constare dalle lettere dimissorie (cfr. cann. 1037; 1052
§2)”; ESPOSITO B., Alcune riflessioni sul Superiore maggiore in quanto
Ordinario e sulla valenza ecclesiologica e canonica della qualifica, in Ange-
licum 78(2001), 701. Va notato che nei canoni indicati dallo stesso
non si fa alcun riferimento all’Ordinario, quanto piuttosto al Superio-
re maggiore del candidato, anche perché tutti compresi nel Libro II
Parte III sugli IVC e SVA. Ciò, d’altro canto, è naturale se si tiene
presente che vi sono IVC che non sono clericali ma hanno o potreb-
bero avere chierici o, ancora, IVC di diritto diocesano clericali i cui
Superiori, pur non essendo Ordinari, hanno piena responsabilità sui
loro sudditi. Cfr. ANDRÉS D.J., Los Superiores religiosos segùn el Còdigo:
(III) Estatuto especifico de los Superiores Mayores, in CpR 79(1998), 19-
20; D’OSTILIO F., L’esercizio della Sacra Potestà negli Istituti Religiosi, Cit-
tà del Vaticano 2000, 162.
La potestà di governo nella vita consacrata
276

c) Doveri riguardanti il munus regendi, divisi nella funzio-


ne legislativa, esecutiva, penale e giudiziale:

Funzione legislativa
– privare chi gravemente abusa del privilegio concessogli
dallo stesso Ordinario (o da altro; se esso fu concesso dal-
la Sede Apostolica è tenuto ad informarla dell’avvenuta
privazione), ma solo dopo che sia stato ammonito inva-
no (can. 84).
Nello stesso modo l’Ordinario procede in caso di abuso
di una deroga fatta ab homine della norma privilegiata
singolare.

Funzione esecutiva
– rispettare i limiti della propria competenza riguardo agli
atti amministrativi singolari (can. 35);77
– ricercare le notizie e le prove necessarie e, per quanto
possibile, ascoltare coloro i cui diritti possono essere lesi
prima di emettere un decreto singolare (can. 50);
– dare sempre per iscritto il decreto, esponendo almeno
sommariamente le motivazioni quando si tratti di una
decisione (can. 51);
– intimare con un documento legittimo a norma del dirit-
to il decreto singolare, per poterne urgere l’osservanza
(can. 54 §2);

77 Dovere proprio degli IVC clericali di diritto pontificio, secondo

ANDRÉS, Los Superiores religiosos se los Religiosos: (I) Estatuto comun a


todos los Superiores, in CpR 78 (1997), 134, ed altri, ma che in realtà
è meglio collocato nella parte comune a tutti i Superiori maggiori, in
quanto tutti emettono atti amministrativi singolari; cfr. GARCÌA
MARTÌN J., Actos administrativos singulares de los Superiores de Institutos
religiosos laicales de derecho pontificio, in CpR 84(2003), 108-109.
Sull’argomento si tornerà in seguito.
Cap. IV - L’ufficio di Ordinario
277

– provvedere entro tre mesi per l’emissione di un decreto


singolare ogni volta che la legge lo impone o che da par-
te dell’interessato viene legittimamente proposta una pe-
tizione o un ricorso per ottenerne uno, a meno che la
legge non disponga un termine diverso (can. 57 §1);
– non concedere la grazia che sia stata negata già da un al-
tro Ordinario, se non (saputo del diniego) dopo aver co-
nosciuti i motivi del diniego dall’Ordinario precedente
(can. 65 §1);
– esigere la presentazione del rescritto concesso dalla Sede
Apostolica in cui non venga assegnato alcun esecutore
solo nei casi in cui ciò sia richiesto nella lettera medesi-
ma, oppure si tratti di cose pubbliche, o si renda neces-
sario comprovarne le condizioni (can. 68);
– conferire personalità giuridica agli insiemi di persone o
cose che perseguono un fine effettivamente utile e che
siano forniti dei mezzi atti a conseguire il fine stesso che
si prefiggono (can. 114 §3);78
– non ritardare la provvisione di un ufficio che comporti
la cura delle anime, se non per grave causa (can. 151);
– non conferire alla stessa persona due o più uffici incom-
patibili tra loro (can. 152);
– consegnare per iscritto la provvisione di qualsiasi ufficio
(can. 156);
– istituire legittimamente colui che avrà riconosciuto ido-
neo e che avrà accettato se gli compete a norma del di-
ritto istituire il presentato (can. 163);79
– accettare una rinuncia ad un ufficio ecclesiastico solo se
fondata su causa giusta e motivata (can. 189 §2);

78 Anche questo can. andrebbe collocato nella parte comune a tut-

ti i Superiori maggiori di IR.


79 Trattandosi di parecchi presentati e ritenuti legittimamente ido-

nei, il Superiore maggiore deve istituirne uno dei medesimi.


La potestà di governo nella vita consacrata
278

– avere una causa grave per il trasferimento posto secondo


le disposizioni del diritto ma contro la volontà del tito-
lare dell’ufficio, facendo salva la possibilità di esporre le
ragioni contrarie (can. 190 §2);80
– avere cause gravi per rimuovere dall’ufficio che sia stato
conferito a tempo indeterminato (can. 193 §1) o a tem-
po determinato nel caso di rimozione prima dello scade-
re del tempo stabilito (can. 193 §2), sempre osservando
il modo di procedere definito dal diritto;81
– sottoscrivere gli atti con effetti giuridici che si inviano
alla curia diocesana (can. 474);
– ordinare l’intero affare dell’amministrazione dei beni
dando istruzioni secondo i limiti stabiliti dal diritto uni-
versale e particolare, tenendo in debito conto i diritti, le
legittime consuetudini e le circostanze delle persone giu-
ridiche pubbliche a lui soggette (can. 1276 §2);82
– assumere per un triennio (che può essere riconfermato
dall’Ordinario) delle persone idonee all’amministrazione
dei beni di una persona giuridica pubblica che, per dirit-
to o per le tavole di fondazione o per i propri statuti,
manchi di amministratori propri (can. 1279 §2);
– vigilare anche con la visita perché le pie volontà siano
adempiute e curare che gli sia reso conto del compito
terminato da parte dei «ceteri exsecutores» (can. 1301

80 Il diritto proprio può stabilire altre cause per il trasferimento:


can. 624 §3.
81 Anche nella rimozione, il diritto proprio può stabilire diversa-

mente: can. 624 §3.


82 L’intero affare dell’amministrazione, che ora si concede a tutti gli

Ordinari in senso personale, prima era competenza del Vescovo in sen-


so reale: tutti i beni ecclesiastici dentro il territorio della diocesi erano
sotto la cura del medesimo; ora solo quelli che appartengono a perso-
ne giuridiche pubbliche soggette al Vescovo. Cfr. LOPEZ ALARCON M.,
Commentario al can. 1276, in ARRIETA J.I. (a cura di), Codice di diritto
canonico e leggi complementari commentato, Roma 2004, 845-846.
Cap. IV - L’ufficio di Ordinario
279

§2), essendo egli l’esecutore di tutte le pie volontà, «tam


mortis causa quam inter vivos» (can. 1301 §1); che, se
vi fossero delle clausole contrarie a questo diritto
dell’Ordinario annesse alle ultime volontà, si considere-
rebbero come non apposte (can. 1301 §3);
– essere informato circa la consistenza dei beni sia mobili
che immobili e gli eventuali oneri annessi (can. 1302
§1);
– esigere che i beni fiduciari siano collocati al sicuro e vi-
gilare sull’esecuzione della pia volontà a norma del can.
1301 (can. 1302 §2);
– accertare che la persona giuridica possa accettare una
fondazione potendo soddisfare sia al nuovo onere sia a
quelli precedentemente assunti, ponendo particolare at-
tenzione nell’accertare che i redditi corrispondano ap-
pieno agli oneri aggiunti, secondo gli usi del luogo o del-
la regione; solo allora può rilasciare la licenza scritta ne-
cessaria per la valida accettazione della nuova fondazio-
ne (can. 1304 §1);
– porre immediatamente al sicuro il denaro ed i beni mo-
bili assegnati a titolo di dote (in luogo da approvarsi
dall’Ordinario); investire tali beni e denaro a vantaggio
della stessa fondazione secondo il prudente giudizio
dell’Ordinario che deve udire gli interessati ed il proprio
consiglio per gli affari economici e fare espressa e distin-
ta menzione dell’onere (can. 1305).

Funzione penale
– attestare l’ammonizione o la riprensione di colui che si
trovi nell’occasione prossima di delinquere (o sul quale
dall’indagine fatta cada il sospetto grave d’aver commes-
so il delitto) con qualche documento da conservarsi nel-
l’archivio segreto della curia (can. 1339 §3);
– constatato che non si può riparare lo scandalo, ristabili-
re la giustizia, emendare il reo né con l’ammonizione fra-
La potestà di governo nella vita consacrata
280

terna, né con la riprensione né per altre vie, avviare la


procedura giudiziaria o amministrativa per infliggere o
dichiarare le pene (can. 1341);83
– infliggere o dichiarare in giudizio una pena per decreto
extragiudiziale secondo quanto la legge dice a riguardo
del giudice, a meno che non consti altrimenti né si trat-
ti di disposizioni attinenti soltanto la procedura (can.
1342 §3);
– nel caso sia stata inflitta una pena ad un chierico, prov-
vedere che non gli manchi il necessario per un onesto
sostentamento, eccetto il caso di dimissione dallo stato
clericale (can. 1350 §1);
– provvedere nel miglior modo possibile a chi è stato di-
messo dallo stato clericale e che ne sia veramente biso-
gnoso (can. 1350 §2);84
– punire con una giusta pena coloro che, oltre a quanto di-
sposto dal can. 1364 §1, insegnano dottrine condannate
e, ammoniti dalla Sede Apostolica o dall’Ordinario stes-
so, non ritrattano (cann. 1371, 1°; 750 §2;85 752);
– punire con giusta pena coloro che in altro modo disob-
bediscono alla Sede Apostolica, all’Ordinario o al
Superiore, quando legittimamente comandano o proibi-
scono e, dopo l’ammonizione, persistono nella disobbe-
dienza (can. 1371, 2°);
– punire con l’interdetto o con altre giuste pene chi pub-
blicamente suscita rivalità e odi da parte dei sudditi con-
tro la Sede Apostolica o l’Ordinario per un atto di pote-
stà o di ministero ecclesiastico, o eccita i sudditi alla di-
sobbedienza nei loro confronti (can. 1373).

83 Cfr. il can. 697, simmetrico a questo, che ha per soggetti attivi

i Superiori maggiori di IR.


84 Cfr. il can. 702 §2 riguardante l’equità e la carità fraterna che

l’IR deve mostrare verso chi si separa dall’Istituto stesso.


85 GIOVANNI PAOLO II, m.p. Ad tuendam fidem, 18 maggio 1998, in

AAS 90(1998), 457-461.


Cap. IV - L’ufficio di Ordinario
281

Funzione giudiziale
– indagare con prudenza sui fatti, le circostanze, l’imputa-
bilità, personalmente o tramite persona idonea, quando
si abbia notizia almeno probabile di un delitto, sempre
che tale indagine non sembri del tutto superflua (can.
1717 §1) ed evitando di ledere la buona fama di alcuno
(can. 1717 §2);86
– avviare la procedura giudiziale o amministrativa per in-
fliggere o dichiarare le pene, solo quando si constati
l’inutilità dell’ammonizione fraterna, della riprensione e
degli altri mezzi fraterni (can. 1341);87
– conservare gli atti dell’indagine e i decreti dell’Ordina-
rio, se non sono necessari al processo penale, nell’archi-
vio segreto della curia (can. 1719);
– se l’Ordinario ha deciso di procedere per via extragiudi-
ziale: a) rendere note all’imputato l’accusa e le prove,
dandogli possibilità di difendersi; b) valutare tutte le
prove e gli argomenti con l’aiuto di due assessori; c)
quando consti con certezza del delitto e l’azione crimina-
le non sia estinta, emanare un decreto a norma dei cann.
1342-1350, esponendo le ragioni in diritto e in fatto
(can. 1720);
– se l’Ordinario ha avviato un processo penale giudiziario,
trasmettere gli atti dell’indagine al promotore di giusti-
zia (can. 1721 §1);

86 Sarebbe solo l’Ordinario a poter dare impulso a detto processo,

non solo il Vescovo ma tutti coloro che godano di potestà giudiziale


propria. LOZA F., Pars IV libri VII. De processu poenali, in ARRIETA J.I.
(a cura di), Codice di diritto canonico e leggi complementari commentato,
Roma 2004, 1139.
87 Si procede allora per via giudiziale o per decreto extragiudiziale

e, in presenza di nuovi elementi, si procede con nuovo decreto per re-


vocare o modificare la decisione precedente, udendo degli esperti e va-
lutando l’ipotesi che questi stessi dirimano la questione, con il con-
senso delle parti (can. 1718 §§1-4).
La potestà di governo nella vita consacrata
282

– se l’Ordinario ha avviato uno o alcuni dei procedimenti


elencati nel can. 1722 ed il processo penale viene meno
per il venir meno della causa, revocare quegli stessi pro-
cedimenti (can. 1722).

4.2.2. Diritti specifici dell’Ordinario


a) Diritti riguardanti il munus docendi:
– restringere o togliere la facoltà di predicare nelle proprie
chiese o richiedere la licenza espressa per legge partico-
lare (can. 764);88

b) Diritti riguardanti il munus sanctificandi:


– rilasciare le lettere commendatizie per essere ammessi a
celebrare la santissima Eucaristia in qualsiasi chiesa (can.
903);
– concedere la licenza perché qualsiasi sacerdote o altro
ministro della sacra comunione possa portare il Viatico
ad un proprio suddito infermo (can. 911 §1);
– permettere per una giusta causa che la santissima Euca-
ristia venga conservata, oltre che nella chiesa o nell’ora-
torio, anche in un altro oratorio della medesima casa
(can. 936);
– ricevere le confessioni dei propri sudditi e di tutti colo-
ro che vivono giorno e notte nella casa dell’Istituto o
della Società e conferire tale facoltà a chi voglia per tut-
to l’Istituto, a meno che qualche Superiore maggiore
non ne abbia fatto divieto per i propri sudditi in un ca-
so particolare (can. 967 §3);
– ricevere le confessioni dei propri sudditi e degli altri che
vivono diu noctuque nella casa (can. 968 §2);

88 È facoltà concessa dal rescr. Cum admotae I, 13. È facoltà dap-

prima riservata all’Ordinario del luogo, poi ampliata agli Ordinari in


genere e anche a tutti i Superiori maggiori (can. 719 dello Schema del
1980).
Cap. IV - L’ufficio di Ordinario
283

– conferire a qualunque presbitero la facoltà di ricevere le


confessioni dei propri sudditi e di coloro che vivono
giorno e notte nella casa (can. 969 §2);
– dare la licenza affinché un proprio presbitero possa ave-
re dall’Ordinario del luogo la facoltà di ricevere abitual-
mente le confessioni (can. 971);
– conferire la facoltà di ricevere le confessioni dei propri
sudditi per un tempo indeterminato o determinato (can.
972);89
– amministrare l’unzione degli infermi ai religiosi sotto la
propria cura pastorale personalmente o tramite un altro
sacerdote, con il suo consenso almeno presunto (can.
1003 §§1-2);
– provare il neofita affinché possa ricevere gli ordini sacri
(can. 1042, 3°);
– consentire l’esercizio degli ordini sacri a chi è affetto da
pazzia o da altre infermità psichiche di cui al can. 1041,
1°, dopo aver consultato un perito (can. 1044 §2, 2°);
– dispensare dalle irregolarità e dagli impedimenti non ri-
servati alla Santa Sede (can. 1047 §4);
– concedere le lettere dimissorie che attestino la presenza
dei documenti richiesti per l’ordinazione, che lo scruti-
nio è stato compiuto a norma del diritto, che consta del-
l’idoneità del candidato e che esso è stato cooptato defi-
nitivamente nell’IVCR o SVA e che è suddito del Supe-
riore che dà le lettere (can. 1052 §2);
– sospendere l’obbligazione del voto fintantoché il suo
adempimento arrechi pregiudizio a chi lo ha emesso
(can. 1195);
– dispensare dai voti privati dei sudditi, dei novizi e di co-
loro che vivono diu noctuque nelle case dell’Istituto o

89 Ma se tale facoltà è abituale, deve essere concessa per iscritto,

ex can. 973.
La potestà di governo nella vita consacrata
284

della Società, per una giusta causa e purché la dispensa


non leda l’altrui diritto acquisito (can. 1196, 2°);90
– commutare con un bene maggiore o uguale (può essere
fatto anche da chi l’ha emesso) o con un bene minore la
promessa del voto privato (can. 1197);
– sospendere, dispensare, commutare il giuramento pro-
missorio, a meno che ciò non torni a pregiudizio di ter-
zi, nel qual caso la dispensa è riservata alla Sede Aposto-
lica (can. 1203);
– benedire i luoghi sacri (can. 1207);
– permettere altri usi dell’oratorio o luogo sacro, purché
non contrari alla santità del luogo (can. 1210);
– decretare che un luogo sacro è stato destinato permanen-
temente ad usi profani (cann. 1212; 1224 §2);
– concedere la licenza per la costituzione di un oratorio,
dopo aver visitato personalmente o tramite altri il luogo
destinato allo stesso (can. 1224 §1);
– concedere la dispensa per una giusta causa dall’obbligo di
osservare il giorno festivo o di penitenza, oppure com-
mutarlo in altre opere pie relativamente ai propri suddi-
ti e agli altri che vivono diu noctuque nella loro casa
(can. 1245).91

c) Diritti riguardanti il munus regendi, distinti nella funzio-


ne legislativa, esecutiva, penale e giudiziale:

90 Facoltà già concessa nel rescr. Cum admotae, I, 14 ai Superiori

degli IVCR e delle SVA clericali di diritto pontificio ed ora estesa agli
Abati che presiedono congregazioni monastiche.
91 Nel caso in cui a dispensare sia un Superiore locale di un IVCR

o di una SVA clericali di diritto pontificio, resta salvo il diritto del


Vescovo diocesano e le prescrizioni che siano state emanate dallo stes-
so a norma del can. 87 §1.
Cap. IV - L’ufficio di Ordinario
285

Funzione legislativa
– giudicare se le consuetudini universali o particolari, vi-
genti al presente e che non vanno contro le disposizioni
del CIC 83 o che sono centenarie o immemorabili, non
possano essere rimosse a causa di circostanze di luoghi e
di persone e perciò vadano tollerate (can. 5 §1);92
– promulgare le Costituzioni e gli Statuti che contengono le
norme fondamentali dell’Istituto (cann. 94 §3; 587 §1).

Funzione esecutiva
– dispensare dalle leggi irritanti ed inabilitanti nel dubbio
di fatto purché, se si tratta di dispensa riservata, venga
solitamente concessa dall’autorità cui è riservata (can.
14);
– dare decreti generali esecutivi, entro i limiti della loro
competenza, per determinare più precisamente i modi da
osservarsi nell’applicare una legge o per urgere l’osser-
vanza delle leggi (can. 31);93
– dare istruzioni per rendere chiare le disposizioni delle
leggi e determinare i procedimenti nell’eseguirle (can. 34
§1);94

92 Riguarda la efficacia normativa della consuetudine, pur rima-


nendo valido il principio che la consuetudine, per divenire fonte in-
novativa del diritto, deve essere approvata dal legislatore (e quindi dal
Capitolo per gli IVCR). Cfr. LOMBARDIA P., Estructura del Ordinamento
Canonico, in Derecho Canonico, Vol. I, Pamplona 1974, 203 ss.
93 Questi stessi decreti generali esecutivi non cessano venuto me-

no il diritto di colui che li stabilisce, eccetto che non sia disposto


espressamente il contrario (can. 33 §2).
94 Anche per le istruzioni, la cessazione avviene con la revoca di

chi le ha emanate o del suo superiore (can. 34 §3). A questo punto,


ANDRÉS D.J., Los Superiores religiosos de los religiosos: (I) Estatuto comun
a todos los Superiores, in CpR 78(1997), 150, poneva la possibilità, per
i Superiori maggiori Ordinari, di emanare atti amministrativi singola-
La potestà di governo nella vita consacrata
286

– dispensare i sudditi da tutte le leggi disciplinari, purché


consti che ciò giovi al bene spirituale del suddito e, nel
caso di dispensa riservata alla Santa Sede, questa sia so-
lita concederla nelle medesime circostanze, salvo il caso
di dispensa dal celibato, can. 291 (cann. 85; 87 §2);95
– ritenere valido un rescritto, viziato da errori materiali,
nella misura in cui non vi è dubbio circa l’identità della
persona, dell’oggetto e del luogo (can. 66);
– concedere privilegi sia a persone fisiche che giuridiche se
il legislatore abbia conferito all’Ordinario tale potestà
(can. 76 §1);96

ri, la qual cosa è pur vera, ma non completa. È infatti prerogativa an-
che degli Istituti religiosi (non secolari) laicali di diritto pontificio di
produrre atti amministrativi singolari, tanto come decreti, tanto come
precetti o rescritti. Tale argomento verrà trattato in seguito.
95 URRUTIA, De normis generalibus, vol. I, 95, afferma che, secondo

il can. 85, la potestà di dispensare compete anche ai Superiori religio-


si, nonostante nella parte propria degli IVC ed SVA non si dica al-
cunché: è una lacuna iuris del diritto universale? Tale sembrerebbe,
tanto che gli Autori antichi (per es.: SUÀREZ, De Religiosis, VIII,
II,12.27-43) affermavano che non soltanto potevano (mancante una
proibizione espressa), ma che tale era pure il diritto dei Superiori lo-
cali e dei Superiori degli Istituti laicali. Certamente risulta essere già
un notevole ampliamento rispetto alla precedente normativa (can. 81
CIC 17) che stabiliva che solo il Romano Pontefice, e colui al quale
ne fosse data la facoltà, poteva dispensare dalle leggi disciplinari. Cfr.
BERTRAMS W., De Episcopis quoad universalem Ecclesiam, in Quaestiones
Fundamentales Iuris Canonici, Roma 1969, 416.
96 Il privilegio può essere considerato come un “atto del legislato-

re destinato ad un soggetto concreto – norma singolare – che, avendo


il valore di regola di diritto oggettivo, attribuisce situazioni giuridiche
attive, delle quali chi beneficia del privilegio non sarebbe titolare, se
il legislatore non avesse provveduto a modificare in tal senso l’ordina-
mento giuridico”; così LOMBARDIA P., Liber I. De normis generalibus, in
ARRIETA J.I. (a cura di), Codice di diritto canonico e leggi complementari
commentato, Roma 2004, 113.
Cap. IV - L’ufficio di Ordinario
287

– una facoltà concessa ad un Ordinario non è annullata


venendo meno il diritto dell’Ordinario cui è concessa,
sebbene egli stesso abbia iniziato ad eseguirla, ma passa
al suo successore (can. 132 §2);
– definire ulteriormente obblighi e diritti propri dei singo-
li uffici ecclesiastici sia nel decreto di costituzione sia in
quello di conferimento (can. 145 §2);97
– dare il proprio assenso affinché l’autorità competente
possa conferire un ufficio od incarico ad un proprio sud-
dito (can. 162);
– avere il rispetto e l’obbedienza da parte dei propri chie-
rici (can. 273) che comportano l’accettazione degli inca-
richi loro affidati dallo stesso Ordinario, tranne nel caso
di impedimento legittimo (can. 274 §2);
– concedere la licenza per accettare l’amministrazione di
beni riguardanti i laici o per esercitare uffici secolari che
comportino l’onere del rendiconto; essere consultato per
la fideiussione (cann. 285 §4; 672);98
– concedere la licenza per togliere la proibizione di presta-
re servizio militare volontario (cann. 289 §1; 672);
– disporre che un religioso non usufruisca della esenzione
di esercitare uffici ed incarichi civili estranei allo stato
clericale (cann. 289 §2; 672);
– concedere la licenza scritta che, assieme a quella
dell’Ordinario del luogo, permette alle persone private,
sia fisiche che giuridiche, di raccogliere denaro per qua-
lunque fine o istituto pio o ecclesiastico (can. 1265 §1);

97 Anche i Superiori maggiori di Istituti laicali di diritto pontificio


godono di questo diritto. Ad essi spetta anche la provvisione degli
stessi uffici, come si vedrà in seguito.
98 Diritto comune ai Superiori maggiori degli IR di diritto pontifi-

cio in generale ed a quelli Ordinari. Secondo le disposizioni del can.


672, i Superiori degli Istituti laicali di diritto pontificio possono con-
cedere questo rescritto per i propri sudditi, senza dover ricorre all’Or-
dinario del luogo.
La potestà di governo nella vita consacrata
288

– vigilare ed avere cura dei beni appartenenti alle persone


giuridiche pubbliche soggette ad egli stesso (can. 1276
§1);
– intervenire in caso di negligenza dell’amministratore dei
beni ecclesiastici di una persona giuridica pubblica o pri-
vata, salvo sempre il diritto particolare, gli statuti o la le-
gittima consuetudine (can. 1279 §1);
– dare il permesso scritto di compiere atti che oltrepassa-
no i limiti dell’ordinaria amministrazione agli ammini-
stratori (can. 1281 §1);
– ricevere il giuramento degli amministratori, personal-
mente o tramite altri, di svolgere onestamente e fedel-
mente le funzioni amministrative (can. 1283, 1°);
– dare il loro consenso affinché gli amministratori possano
impiegare utilmente il denaro eccedente le spese per le
finalità della persona giuridica (can. 1284 §2, 6°);
– dare la licenza scritta perché gli amministratori possano
introdurre una lite presso un tribunale civile in nome di
una persona giuridica pubblica (can. 1288);
– dare la licenza scritta per accettare validamente una pia
fondazione (can. 1304 §1);
– se espressamente previsto nelle tavole di fondazione, ri-
durre gli oneri delle Messe se vi sia diminuzione dei red-
diti (can. 1308 §2).

Funzione penale
– ammonire direttamente o tramite altri colui che si trovi
nell’occasione prossima di delinquere o sul quale cada il
sospetto grave di aver commesso il delitto (ammonizio-
ne che deve constare da documento scritto conservato
nell’archivio segreto; can. 1339 §§1-2);
– provvedere ad avviare la procedura giudiziale o ammini-
strativa per infliggere o dichiarare le pene, una volta
constatato che né l’ammonizione né altri solleciti richia-
mi abbiano ottenuto gli effetti previsti (can. 1341);
Cap. IV - L’ufficio di Ordinario
289

– rimettere la pena ferendae sententiae o latae sententiae sta-


bilita per precetto che non sia stato dato dalla Sede
Apostolica, ma che sia stato inflitto o dichiarato
dall’Ordinario stesso con decreto personale o tramite al-
tri (can. 1356 §1, 2°).

Funzione giudiziale
– stare in giudizio personalmente o tramite altri a nome
delle persone giuridiche soggette alla potestà propria nel
caso i legittimi rappresentanti non si siano presentati o
siano trovati negligenti (can. 1480 §2);
– accusare la validità della sacra ordinazione di un proprio
chierico (can. 1708);
– avere gli stessi poteri ed obblighi che ha l’uditore nel
processo nel caso di un delitto probabile previsto al can.
1717 §1 (can. 1717 §§1; 3);
– decidere se gli elementi raccolti bastino per procedere in
conformità a quanto prescritto nei cann. 1718-1731 per
avviare un processo penale (can. 1718 §§1-4);
– udito il promotore di giustizia e citato l’accusato stesso,
allontanare l’imputato dal ministero sacro o da un uffi-
cio o compito ecclesiastico, imporgli o proibirgli la di-
mora in qualche luogo o territorio, vietargli di partecipa-
re pubblicamente alla santissima Eucaristia al fine di pre-
venire gli scandali, tutelare la libertà dei testimoni e ga-
rantire il corso della giustizia (can. 1722);
– dare il mandato o il consenso perché il promotore di giu-
stizia possa rinunciare alla causa, in qualunque grado di
giudizio (can. 1724 §1);
– ordinare che venga sospesa l’esecuzione del decreto nel
caso in cui il ricorso non lo sospenda per il diritto stes-
so, purché ciò avvenga per causa grave ed evitando che
la salus animarum ne tragga danno (can. 1737 §3);
– ordinare che il ricorrente si presenti personalmente
per essere interrogato, per evitare inutili ritardi nel ca-
La potestà di governo nella vita consacrata
290

so in cui si sia presentato senza un patrono (can.


1738);
– confermare o dichiarare invalido il decreto di cui si sta
giudicando il ricorso, oppure rescinderlo, revocarlo, cor-
reggerlo, subrogarlo, abrogarlo (can. 1739).
Tutti questi doveri e diritti degli Ordinari e quindi dei
Superiori maggiori Ordinari sono esercitati a norma del di-
ritto sui propri sudditi che, per gli IVC e SVA, sono colo-
ro che abbiano emesso la prima professione, temporanea,
nello stesso Istituto.

4.3. Atti di governo comuni a tutti i Superiori


maggiori

Alla numerosa elencazione dei doveri-diritti specifici


dei Superiori maggiori Ordinari, si aggiunge quella propria
e comune a tutti i Superiori maggiori, che ha quindi una
base più ampia di quella precedente, ma che viene eserci-
tata sempre per il bene comune e dei singoli, oltre che
dell’Istituto stesso.99

4.3.1. Doveri specifici dei Superiori maggiori


a) Doveri riguardanti il munus sanctificandi:
– curare l’osservanza dei documenti della Santa Sede ri-
guardanti i membri dell’Istituto (can. 592 §2);
– non ammettere nel noviziato acattolici o cattolici man-
canti di retta intenzione, delle qualità richieste dal dirit-

99 Anche per questa elencazione ci avvalliamo di: ANDRÉS D.J., Los

Superiores religiosos de los religiosos segùn el Còdigo: (III) Estatuto espe-


cìfico de los Superiores mayores, in CpR 79(1998), 19-34; D’OSTILIO,
L’esercizio della Sacra Potestà, 128-134; GARCÌA MARTÌN J., Atti ammi-
nistrativi singolari: norme comuni, Roma 2003; IDEM, Actos administrati-
vos singulares de los Superiores de Institutos religiosos laicales de derecho
pontificio, in CpR 84(2003), 107-134.
Cap. IV - L’ufficio di Ordinario
291

to universale e proprio, o vincolati da qualche impedi-


mento (can. 597 §1);100
– reggere i membri dell’Istituto come figli di Dio, essendo
docili alla volontà di Dio nell’adempimento del loro in-
carico e suscitando la loro volontaria obbedienza (can.
618);
– riconoscere la dovuta libertà ai religiosi circa il sacra-
mento della penitenza e la direzione di coscienza, salva
la disciplina dell’Istituto (can. 630 §1);
– provvedere con premura alla disponibilità di confessori
idonei per i religiosi (can. 630 §2);
– curare che vi siano confessori ordinari approvati dall’or-
dinario del luogo nei monasteri di monache, nelle case
di formazione e nelle comunità più numerose degli
Istituti laicali, lasciando la libertà di presentarsi a loro o
ad altri (can. 630 §3);
– non ascoltare le confessioni dei propri sudditi, a meno che
non lo abbiano richiesto spontaneamente (can. 630 §4);
– non indurre in qualunque modo i religiosi a manifestare
loro la propria coscienza (can. 630 §5);
– non ammettere nel noviziato coloro che non abbiano
ancora compiuto 17 anni di età, siano sposati (perduran-
te il matrimonio),101 siano legati con un vincolo sacro ad
un altro IVC o incorporato ad una SVA (a meno che ci
sia la concessione del Moderatore supremo secondo il di-
sposto del can. 684); parimenti, non possono ammettere
al noviziato coloro che vi siano costretti da violenza, ti-
more grave o inganno (can. 643 §1);102

100 Condizioni richieste per la validità dell’ammissione.


101 Salvo dispensa dalla norma concessa dalla Congregazione per
gli IVC e SVA.
102 Viceversa, il Superiore maggiore che fosse costretto ad ammet-

tere al noviziato qualcuno per gli stessi motivi, violenza, timore grave
o inganno, porrebbe un atto ugualmente invalido.
La potestà di governo nella vita consacrata
292

– procurare i mezzi e il tempo perché i religiosi possano


proseguire assiduamente la propria formazione spirituale,
dottrinale e pratica (can. 661);103
– ammettere a celebrare la messa nella propria chiesa o
oratorio un sacerdote anche se sconosciuto, purché esi-
bisca le lettere commendatizie del suo Superiore (can.
903);
– vigilare sull’adempimento degli oneri delle Messe nelle
chiese del proprio Istituto o Società (can. 957);
– provvedere in tempo opportuno l’amministrazione del-
l’unzione degli infermi ai religiosi malati (can. 1001);
– proibire ai diaconi propri sudditi, nel caso di una causa
canonica prevista anche se occulta, la ricezione dell’or-
dine del presbiterato, restando salvo il diritto al ricorso
a norma del diritto (can. 1030);104
– determinare un periodo di tempo adeguato in cui i dia-
coni, dopo aver terminato gli studi, debbano esercitare il
ministero pastorale del diaconato (can. 1032 §2);
– non proibire l’esercizio dell’ordine diaconale da parte del
diacono che rifiuti di ricevere l’ordine del presbiterato, a
meno che non vi sia trattenuto da un impedimento ca-
nonico o da altra grave causa, da valutarsi a giudizio del
Superiore maggiore competente (can. 1038);
– comunicare la ordinazione ricevuta di ogni suddito al
parroco del luogo del battesimo dello stesso (cann. 1054;
535 §2);

103 Riguarda i Superiori a qualsiasi livello, anche locale e viene co-

munemente indicata come “formazione permanente”.


104 La norma ha carattere proibitivo, pur lasciando la libertà di

esercitare tale diritto, perché “no existe derecho subjetivo alguno a la


recepciòn de las òrdenes sagradas”; ANDRÉS, Los Superiores religiosos
(III), 27. Era di competenza del Vescovo diocesano nello Schema del
1980, al can. 229. Ora è divenuto del Superiore competente. Cfr.
VERA VELASCO, El concepto de Ordinario, 144.
Cap. IV - L’ufficio di Ordinario
293

– celebrare le esequie dei membri dell’Istituto o Società


clericali nella propria chiesa od oratorio (can. 1179).

b) Doveri riguardanti il munus docendi:


– far conoscere i documenti della Santa Sede riguardanti i
membri dell’Istituto e curarne l’osservanza (can. 592
§2);105
– suscitare la volontaria obbedienza dei sudditi nel rispet-
to della persona umana e ascoltando volentieri gli stessi,
favorendo la comune partecipazione per il bene dell’Isti-
tuto e della Chiesa (can. 618);106
– dare con frequenza ai religiosi il nutrimento della parola
di Dio ed indirizzarli alla celebrazione della sacra litur-
gia; essere di esempio nell’osservare le leggi e le tradizio-
ni dell’Istituto (can. 619);
– provvedere in modo conveniente a quanto occorre per-
sonalmente ai membri, favorendo in questo modo anche
la fedeltà alla vocazione e al fine della stessa, secondo il
can. 670 (can. 619);
– procurare i mezzi e il tempo perché i religiosi prosegua-
no assiduamente alla loro formazione spirituale, dottri-
nale e pratica (la formazione permanente; can. 661);
– mantenere con fedeltà la missione e le opere proprie
dell’Istituto assieme ai membri, adattandole con pruden-
za alle necessità dei tempi e dei luoghi (can. 677 §1);
– curare che nelle proprie chiese, scuole o altre opere in
qualunque modo loro affidate, venga impartita diligente-
mente (per forma e contenuto) l’istruzione catechetica,
in comunione con il Vescovo (can. 778);

105 Documenti è parola generica che vuole indicare non solo de-

creti ed istruzioni, ma anche lettere encicliche e documenti dottrina-


li, che possono essere valutati dal Superiore stesso.
106 Cfr. par. 3.1.2. sulla tutela dei diritti della persona.
La potestà di governo nella vita consacrata
294

– favorire che ogni consacrato presti la propria opera in


modo speciale nell’azione missionaria, con lo stile pro-
prio dell’Istituto, in forza della propria consacrazione
(can. 783);
– adoperarsi efficacemente all’educazione cattolica anche
attraverso proprie scuole, lì dove sia previsto dal carisma
dell’Istituto, con il consenso del Vescovo diocesano per
fondare scuole (can. 801);
– curare che l’istruzione impartita nelle loro scuole si di-
stingua dal punto di vista scientifico almeno a pari gra-
do che nelle altre scuole della regione (can. 806 §2);
– inviare nelle università o facoltà ecclesiastiche religiosi
che si segnalino per indole, virtù e ingegno nella misura
in cui lo richieda il bene dell’Istituto o della Chiesa uni-
versale (can. 819);
– provvedere che i candidati, prima di essere promossi a
qualche ordine, vengano istruiti su ciò che riguarda l’or-
dine e i suoi obblighi (can. 1028).

c) Doveri riguardanti il munus regendi, distinti nella fun-


zione legislativa, esecutiva, penale e giudiziale:
– avvertire l’autorità superiore nel caso in cui, per causa
grave e urgente, si sia intromesso in una questione defe-
rita alla stessa autorità superiore da un ricorrente (can.
139 §2);
– confermare il risultato di una elezione (se prescritto) nel
caso in cui l’eletto risulti idoneo ai sensi del can. 149 §1
e l’elezione sia stata compiuta a norma del diritto (can.
179 §2), rilasciando la conferma sempre per iscritto
(can. 179 §3);107

107 Per la carica di Superiore maggiore, da parte del Moderatore su-

premo, possono passare otto giorni dall’elezione alla conferma, cfr.


cann. 177 §1; 179 §1.
Cap. IV - L’ufficio di Ordinario
295

– stipulare una convenzione scritta con il Vescovo diocesa-


no in cui si determini la durata, l’attività da svolgere, le
persone da impiegare e le questioni economiche della par-
rocchia assegnata ad un IR o SVA clericali (can. 520 §2);
– osservare le norme del diritto universale e del diritto pro-
prio nel conferire uffici e nelle elezioni, evitando di fa-
vorire alcuno direttamente o indirettamente (can. 626);
– costituire il proprio consiglio di cui devono avere il con-
senso o il consiglio per procedere validamente nei casi
stabiliti dal diritto universale e da quello proprio, a nor-
ma del can. 127 (can. 627);
– visitare le case e i religiosi affidati secondo le disposizio-
ni del diritto proprio e con la frequenza stabilita (can.
628 §1);108
– risiedere nella propria casa ed allontanarsene a norma
del diritto proprio (can. 629);
– astenersi dall’autorizzare a contrarre debiti, a meno che
ci sia sufficiente certezza che si potrà in un tempo non
troppo lungo coprire lo stesso debito (can. 639 §5);109
– ammettere al noviziato solo coloro che, oltre all’età ri-
chiesta, posseggano salute, indole adatta, maturità suffi-
ciente per abbracciare lo stile di vita proprio dell’Istituto,
da valutarsi anche con l’aiuto di esperti (can. 642);110
– ammettere al noviziato chierici secolari solo dopo aver
consultato l’Ordinario del luogo (can. 644);111

108 I Superiori incaricati della visita delle case e dei membri del-

l’Istituto possono essere diversi.


109 L’eventuale autorizzazione viene data mediante rescritto, che è

un atto amministrativo singolare; cfr. par. 4.4.


110 Curando di mantenere integro il diritto alla buona fama e alla

proprio intimità, ex can. 220.


111 A causa dell’obbedienza che i chierici secolari devono al pro-

prio Ordinario (can. 273), questo è un obbligo importante che com-


porta pure una appropriata relazione tra religiosi e Vescovi e che si in-
nesta nella collaborazione tra vita consacrata e gerarchia della Chiesa.
La potestà di governo nella vita consacrata
296

– non ammettere al noviziato persone che siano gravate da


debiti e che siano incapaci di estinguerli (can. 644);112
– richiedere l’attestato rilasciato rispettivamente dall’Or-
dinario del luogo, dal Superiore dell’IVC o SVA, dal ret-
tore del seminario di un candidato (chierico o laico) che
provenga da altro IVC, SVA, o seminario (can. 645 §2);
– governare il maestro nella direzione dei novizi, prescin-
dendo dal Superiore della casa in cui il noviziato risieda
(can. 650 §2);
– ricercare e aiutare sollecitamente il religioso che si allon-
tani illegittimamente dalla casa religiosa per sottrarsi al-
la potestà dei Superiori, al fine di farlo tornare e perse-
verare nella propria vocazione (can. 665 §2);
– procedere in reciproca intesa con i Vescovi diocesani
nell’organizzare le attività apostoliche dei religiosi (can.
678 §3);
– stendere una convenzione scritta tra il Vescovo diocesa-
no e il Superiore competente dell’Istituto circa le opere
affidate ai religiosi per definirvi espressamente e con
chiarezza lo svolgimento dell’opera, i religiosi da impe-
gnarvi e l’aspetto economico (can. 681 §2);
– mostrare vigilanza ed attenzione con gli esclaustrati
(can. 687);
– non dimettere il religioso che durante i voti temporanei
sia divenuto demente, anche se è incapace di emettere
la nuova professione (can. 689 §3);
– assieme al proprio consiglio, raccogliere le prove nel caso
che un religioso abbia in modo notorio abbandonato la fe-
de cattolica o abbia contratto matrimonio, anche solo ci-
vilmente, e senza indugio emettere la dichiarazione del fat-
to perché la dimissione consti giuridicamente (can. 694);

112 Ciò infatti porterebbe non pochi rischi all’Istituto verso i cre-

ditori, pur rimanendo possibile l’estinzione del debito da parte del-


l’Istituto stesso, decadendo in tal modo la medesima proibizione.
Cap. IV - L’ufficio di Ordinario
297

– dimettere il religioso che abbia commesso i delitti di cui


ai cann. 1397, 1398, 1395,113 raccogliendo le prove rela-
tive ai fatti e alla imputabilità, e rendendo poi note al
religioso e l’accusa e le prove, con la possibilità che que-
sto si difenda. Il Superiore maggiore deve firmare tutti gli
atti che devono essere controfirmati da un notaio ed in-
viati al Moderatore supremo (can. 695);
– nei casi di dimissione non obbligatoria, può procedere
alla dimissione del religioso; nel qual caso deve, prima di
avviare la procedura giudiziaria o amministrativa per in-
fliggere o dichiarare le pene, richiamare ed ammonire il
reo (can. 697, 2°);114 quindi, è tenuto ad osservare le se-
guenti formalità processuali: raccogliere o integrare le
prove; ammonire il religioso, per iscritto o davanti a due
testimoni, avvertendolo che se non si correggerà si pro-
cederà alla sua espulsione, indicandogli chiaramente la
causa di dimissione e lasciando il diritto alla difesa, pro-
cedendo ad una seconda ammonizione dopo un interval-
lo di quindici giorni nel caso in cui la prima sia stata inu-
tile; assieme al proprio consiglio, nel caso in cui giudi-
cassero il religioso incorreggibile, dopo quindici giorni
dalla seconda ammonizione, il Superiore maggiore deve
trasmettere gli atti, controfirmati da un notaio, al Mode-
ratore supremo dell’Istituto (can. 697);115

113 Si tratta dei delitti contro la vita (omicidio, aborto effectu secu-
to, mutilazione, ferimento grave, …), contro la libertà della persona
(rapimento, detenzione, …), contro il voto di castità (concubinato,
permanenza scandalosa in altro peccato esterno contro il sesto precet-
to del Decalogo o commessi con violenza, minacce, pubblicamente,
con minore di anni 16, …).
114 Cfr. can. 1341 riguardante la comminazione delle pene da par-

te dell’Ordinario e la previa ammonizione fraterna che questo deve


compiere, evitando di procedere per vie giudiziarie o amministrative
se la sollecitudine pastorale possa provvedere in altro modo.
115 Le risposte date dal religioso devono essere firmate dal religio-

so stesso, dal Superiore maggiore e dal notaio.


La potestà di governo nella vita consacrata
298

– osservare la carità e l’equità verso coloro che si separano


dall’Istituto (can. 702 §2);
– curare che si istruisca il processo di dimissione di un re-
ligioso (oppure che l’affare sia deferito alla Sede
Apostolica) che sia stato espulso dalla casa a causa di un
grave scandalo esterno o per un pericolo imminente di
gravissimo danno per l’Istituto, sia che la decisione sia
stata presa dal Superiore maggiore sia dal Superiore lo-
cale con il consenso del proprio consiglio (can. 703);
– esortare il ricorrente e l’autore del decreto (contro il
quale si voglia interporre ricorso), ogniqualvolta si intra-
veda una speranza di buon esito, a ricercare e suggerire
eque soluzioni (can. 1733 §3);
– trasmettere un ricorso contro un decreto amministrativo
al Superiore gerarchico competente, quando risultano
essere autori di questo stesso decreto o quando il ricorso
sia stato interposto a loro stessi (1737 §1);
– partecipare al Concilio particolare di una Chiesa locale
nel caso in cui vi sia stato eletto o, se trattenuto da giu-
sto impedimento, informare il presidente del Concilio
(can. 444 §1);
– non mandare un procuratore al Concilio particolare, nel
caso in cui sia impedito a parteciparvi; a meno che non
abbia voto deliberativo, nel qual caso il procuratore avrà
voto solo consultivo (can. 444 §2).

4.3.2. Diritti specifici dei Superiori maggiori


a) Diritti riguardanti il munus docendi:
– concedere la licenza per la predicazione nelle chiese o
oratori dell’IR a norma delle costituzioni (can. 765);116

116 Inizialmente diritto proprio dell’Ordinario del luogo, diviene

competenza dapprima degli Ordinari in genere, nel can. 719 dello


Schema del 1980. Successivamente anche dei Superiori maggiori, co-
me conferma l’attuale disposizione.
Cap. IV - L’ufficio di Ordinario
299

– stipulare opportune convenzioni con i Vescovi diocesani


per promuovere, guidare e coordinare, nei territori di
missione, le iniziative e le opere che tendono all’azione
missionaria (can. 790 §1);
– fondare scuole per dedicarsi all’educazione cattolica con
il consenso del Vescovo diocesano e secondo la propria
specifica missione (can. 801);
– concedere la licenza perché un membro dell’IVCR pos-
sa pubblicare scritti che trattano questioni di religione o
di costumi, a norma delle costituzioni (can. 832).

b) Diritti riguardanti il munus sanctificandi:


– concedere la licenza (a norma del diritto) per celebrare
l’Eucaristia, amministrare i sacramenti o compiere altre
funzioni sacre nelle chiese proprie dell’IVC o SVA (can.
561);
– ammettere liberamente con il voto del proprio consiglio
a norma del diritto alla professione temporanea di un no-
vizio (can. 656, 3°);
– ricevere la prima professione dei novizi personalmente o
per mezzo di altri (can. 656, 5°) e anche quella definiti-
va (can. 658);
– prolungare fino ad un massimo di nove anni il tempo
della professione temporanea del religioso, secondo il di-
ritto proprio (can. 657 §2);
– accettare la professione definitiva di un proprio suddito
a norma del diritto proprio e delle condizioni di cui al
can. 656, nn. 3-5, e che abbia compiuto almeno 21 an-
ni e tre di professione temporanea (can. 658);117

117 Rientra in questa facoltà anche l’accettazione della professione

definitiva con il voto del proprio consiglio anche di religiosi prove-


nienti da un altro IVC o SVA e passati al proprio (can. 684 §2) e
quella, da parte del Moderatore supremo con il consenso del proprio
consiglio, di coloro che siano stati riammessi nel proprio Istituto o
Società dopo esservi usciti legittimamente (can. 690 §1).
La potestà di governo nella vita consacrata
300

– ammettere e ricevere la professione perpetua o definiti-


va (can. 658);
– vigilare sull’adempimento degli oneri delle Messe nelle
chiese del proprio IVC o SVA (can. 957);
– vietare, in casi concreti e rispetto ai propri sudditi (i
membri e coloro che vivono notte e giorno nella casa
dell’Istituto o della Società) dotati della facoltà relativa,
di ricevere le confessioni sacramentali (can. 967 §3). In
questo caso, revocata la facoltà dal proprio Superiore
maggiore, il presbitero la perde ovunque verso i sudditi
dell’Istituto; revocata invece da un altro Superiore com-
petente, la perde verso i soli sudditi della sua circoscri-
zione (can. 974 §4);
– concedere ai propri sudditi (che abbiano già emesso la
professione perpetua o definitiva) le lettere dimissoriali
per il diaconato e per il presbiterato negli IVCR clerica-
li di diritto pontificio o nelle SVA clericali di diritto
pontificio (can. 1019 §1);118
– esprimere il proprio giudizio circa la lecita ordinazione
dei propri diaconi e presbiteri, secondo quanto richiesto
ai cann. 1033-1039, e circa il non essere trattenuti da al-
cuna irregolarità e da nessun impedimento, con il posses-
so dei documenti richiesti al can. 1050 ed avendo già fat-
to lo scrutinio di cui al can. 1051 (can. 1025);
– avvalersi dei mezzi che sembrino utili perché lo scrutinio
circa le qualità richieste nell’ordinando sia fatto nel mo-
do dovuto, quali lettere testimoniali, pubblicazioni o al-
tre informazioni (can. 1051, 2°);

118 Facoltà già concessa con il rescr. Cum admotae (I, 11) ed ora

confermata dal diritto ampliata rispetto al rescritto (dove era conces-


sa ai Superiori generali con possibilità di suddelega, qui è già attribui-
ta a tutti i Superiori maggiori).
Cap. IV - L’ufficio di Ordinario
301

– dare il consenso perché altri fedeli oltre ai membri del-


l’Istituto o Società possano accedere all’oratorio o cap-
pella privata della comunità (can. 1223).

c) Diritti riguardanti il munus regendi, distinti nella funzio-


ne legislativa, esecutiva, penale e giudiziale:
– emanare atti amministrativi singolari entro i limiti della
propria competenza, sia decreti sia precetti o rescritti
(can. 35);119
– emanare decreti singolari a norma del diritto per una de-
cisione particolare o per la provvisione di un ufficio, sen-
za che vi sia una petizione fatta da alcuno (can. 48);
– emanare precetti singolari per imporre direttamente e a
norma del diritto a una o a più persone (determinate) di
fare o non fare qualcosa ed urgere l’osservanza della leg-
ge (can. 49);
– dare rescritti per iscritto per concedere privilegi, dispen-
se o altre grazie su petizione di qualcuno (can. 59 §1);120
– costituire persone giuridiche che abbiano fini effettiva-
mente utili attinenti ad opere di pietà, di apostolato, di
carità sia spirituale sia temporale e che siano fornite di
mezzi sufficienti a conseguire il fine prestabilito; tali per-
sone giuridiche, corporazioni o fondazioni, vengono co-
stituite mediante decreto dal Superiore competente
(can. 114);121

119 Il can. 35 dice che tali atti possono essere emanati “ab eo qui
potestate exsecutiva gaudet”. Tali atti possono essere emanati dai
Superiori maggiori di Istituti religiosi laicali di diritto pontificio che
non godono di potestà esecutiva in maniera esplicita secondo il can.
596 §1.
120 Se il legislatore lo ha concesso, possono anche concedere privi-

legi o grazie tanto a persone fisiche che giuridiche (can. 76 §1).


121 Si tratta dei decreti di cui ai cann. 48-58 e di costituzione di

persona giuridica pubblica.


La potestà di governo nella vita consacrata
302

– approvare gli statuti degli insiemi di persone o cose che


vogliano ottenere la personalità giuridica, prima di costi-
tuirli tali (can. 117);
– sopprimere legittimamente una persona giuridica pubbli-
ca di cui sia competente o una persona giuridica privata
che a suo giudizio abbia cessato di esistere a norma degli
statuti (can. 120 §1);
– accedere o meno al voto espresso dalle persone tenute ad
esprimere il proprio consiglio al Superiore stesso per
emettere determinati atti giuridici (can. 127 §2, 2°);
– sollecitare l’obbligo del segreto da parte del consiglio che
abbia espresso il proprio voto su affari gravi (can. 127
§3);
– definire ulteriormente obblighi e diritti propri dei singo-
li uffici ecclesiastici sia nel decreto di costituzione sia in
quello di conferimento di un ufficio (can. 145 §2);
– assegnare la provvisione dell’ufficio che sia stato eretto o
innovato dallo stesso Superiore maggiore o cui spetti la
sua soppressione, a meno che non sia stabilito altro dal
diritto (can. 148);
– dare il proprio assenso affinché l’autorità competente
possa conferire un ufficio od incarico ad un proprio sud-
dito (can. 162);122
– ammettere o meno la postulazione fintantoché il postu-
lato non acquisisce alcun diritto dalla postulazione (can.
182 §3);
– dare il consenso per la revoca della postulazione fatta da-
gli elettori (can. 182 §4);
– effettuare il trasferimento da un ufficio ad un altro se vi
è il diritto alla provvisione sia dell’uno che dell’altro
(can. 190 §1);

122 Diritto che pure gli Ordinari possono esercitare.


Cap. IV - L’ufficio di Ordinario
303

– rimuovere dall’ufficio per giusta causa e secondo le di-


sposizioni del diritto (can. 193 §3);
– condurre la vita apostolica e far tendere alla perfezione
cristiana dei membri delle associazioni aggregate agli
Istituti religiosi (can. 303);
– vigilare sulle associazioni di fedeli a lui soggette perché
vi si conservi l’integrità della fede e dei costumi, visitan-
do tali associazioni a norma del diritto e degli statuti
(can. 305 §1);123
– dare il proprio consenso perché i membri dell’IR possa-
no aderire a tali associazioni a norma del diritto (can.
307 §3);
– curare che i membri degli IVC che presiedono o assisto-
no tali associazioni unite al proprio Istituto prestino aiu-
to alle attività di apostolato presenti in diocesi, operan-
do con le associazioni esistenti nella diocesi (can. 311);
– erigere associazioni pubbliche di fedeli quando sussista il
privilegio apostolico (can. 312 §1, 3°);124
– approvare, rivedere e cambiare gli statuti dell’associazio-
ne pubblica che hanno eretto (can. 314);
– nominare o confermare il moderatore o il cappellano
delle associazioni erette presso la propria casa o chiesa a
norma degli statuti; spetta all’autorità ecclesiastica com-
petente invece per quelle erette al di fuori della propria
casa o chiesa (can. 317 §2);
– rimuovere il moderatore di una associazione pubblica per
giusta causa dopo aver sentito sia il moderatore stesso sia

123 È un diritto in quanto alla forma di esercizio, un dovere in

quanto alla necessità di vigilare.


124 Spetta al Superiore maggiore erigere una associazione pubblica

di fedeli nella diocesi; a tal fine, occorre il consenso scritto del Vesco-
vo diocesano (consenso già implicito nel consenso dato per l’erezione
di una casa di un IR); cfr. can. 312 §2. Vd. anche par. 4.4.1.
La potestà di governo nella vita consacrata
304

gli officiali maggiori dell’associazione, a norma degli sta-


tuti (can. 318 §2);
– dirigere l’amministrazione dei beni posseduti dall’asso-
ciazione pubblica eretta legittimamente, ricevendo ogni
anno il rendiconto dell’amministrazione, a norma degli
statuti (can. 319 §1);
– sopprimere le proprie associazioni pubbliche, ma dopo
aver sentito il suo moderatore e gli altri officiali maggio-
ri (can. 320 §3);
– dotare di personalità giuridica una associazione privata
di fedeli mediante decreto formale, dopo aver approvato
i suoi statuti (can. 322 §§2-3);125
– come per le associazioni pubbliche, dirigere e vigilare
sulle associazioni private, evitando la dispersione di for-
ze e ordinando al bene comune l’esercizio dell’apostola-
to (can. 323);
– come per le associazioni pubbliche, vigilare perché i be-
ni della associazione privata siano usati per i fini stessi
dell’associazione (can. 325 §1);
– come per le associazioni pubbliche, sopprimere le asso-
ciazioni private se la loro attività è causa di grave danno
per la dottrina o la disciplina ecclesiastica oppure di
scandalo per i fedeli (can. 326);
– dare il proprio consenso per l’affidamento di una parroc-
chia ad un IR clericale o ad una SVA clericale, che può
essere eretta anche presso la chiesa dell’Istituto o
Società, in perpetuo o a tempo determinato, a condizio-
ne che un solo sacerdote sia il parroco della parrocchia
(can. 520);
– dare il proprio consenso o fare la propria presentazione
per la provvisione dell’ufficio di parroco da parte del

125 Tale approvazione non cambia la natura privata dell’associa-


zione.
Cap. IV - L’ufficio di Ordinario
305

Vescovo diocesano alle parrocchie affidate all’Istituto


(can. 523);
– presentare il religioso che il Vescovo diocesano istituirà
rettore di una chiesa, anche se questa sia annessa all’IR
e questo sia clericale di diritto pontificio (ca. 557 §2);
– proporre qualche sacerdote, udita la comunità, per la no-
mina del cappellano di una casa di un IR laicale da par-
te dell’Ordinario del luogo (can. 567 §1);
– aggregare al proprio IVC un altro, salva sempre l’autono-
mia dell’Istituto aggregato (can. 580);126
– dividere il proprio Istituto in parti designate con qualun-
que nome, erigerne di nuove, fondere quelle già costitui-
te o circoscriverle in modo diverso (can. 581);127
– compilare opportunamente delle raccolte con le norme
stabilite dall’autorità competente dell’Istituto, rivedute
ed adattate convenientemente secondo le esigenze dei
luoghi e dei tempi (can. 587 §4);
– ammettere i candidati al noviziato, a norma del diritto
proprio (can. 641) e di quello universale (can. 597);128
– erigere case dell’IVCR, salvo che le costituzioni non pre-
vedano altra autorità competente ed avendo il consenso
scritto del Vescovo diocesano (can. 609 §1), o della Sede
Apostolica per un monastero di monache (can. 609 §2);
– decidere e comandare ai sudditi ciò che va fatto (can.
618);
– stabilire nel diritto proprio altre cause per il trasferimento
di un religioso da un ufficio ecclesiastico (can. 624 §3);129

126 È competenza del Moderatore supremo con il proprio consiglio.


127 Anche in questo caso la competenza è del Moderatore supremo
con il proprio consiglio.
128 Per sua natura, questa ammissione avviene tramite rescritto,

cioè un atto amministrativo singolare.


129 È disposizione parallela al can. 190 circa il trasferimento, effet-

tuato anche contro la volontà, da un ufficio ad un altro la cui provvi-


sione spetti allo stesso Superiore.
La potestà di governo nella vita consacrata
306

– presiedere ai capitoli ed esercitare quelle funzioni espresse


nel diritto proprio per lo svolgimento degli stessi (can. 632);
– dirigere gli economi della loro giurisdizione costituiti se-
condo il diritto proprio con norme direttive per l’ammi-
nistrazione dei beni e per un controllo della loro gestio-
ne (can. 636);
– porre atti giuridici di amministrazione ordinaria (can.
638 §2);
– dare la licenza scritta per la valida alienazione (e per
qualunque negozio da cui la situazione patrimoniale del-
la persona giuridica possa subire detrimento) con il con-
senso del proprio consiglio (can. 638 §3);130
– dare la licenza per la contrazione di debiti e oneri di una
persona giuridica (can. 639 §1);131
– servirsi di esperti per valutare la salute, l’indole e la ma-
turità sufficiente dei candidati al noviziato, salvo il dirit-
to alla buona fama ed alla propria intimità di cui al can.
220 (can. 642);
– chiedere informazioni circa i candidati al noviziato, ol-
tre all’attestato di battesimo, confermazione e stato libe-
ro, anche sotto segreto (can. 645 §4);
– concedere la licenza di anticipare la prima professione,
non oltre quindici giorni (can. 649 §2);
– dimettere i novizi (can. 653 §1);132
130 Si richiede inoltre la licenza della Santa Sede per i negozi che
superano la somma fissata dalla Santa Sede nelle singole regioni o per
le donazioni votive fatte alla Chiesa o per cose preziose di valore sto-
rico o artistico; cfr. can. 638 §3.
131 Nel caso in cui un religioso abbia contratto debiti e oneri su be-

ni propri è tenuto a risponderne personalmente; se invece ha conclu-


so affari dell’Istituto per mandato del Superiore è l’Istituto che ne ri-
sponde (can. 639 §2).
132 Se da un lato c’è la libertà di abbandono da parte del novizio,

dall’altra c’è quella dell’Istituto a non ammetterlo alla prima profes-


sione, temporanea: non essendo ancora ascritto all’IVC, non richiede
alcun processo. Cfr. ANDRÉS, Estatuto especifico de los Superiores mayo-
res, 32-33.
Cap. IV - L’ufficio di Ordinario
307

– prolungare il periodo di prova del novizio se rimane


qualche dubbio circa la sua idoneità, non oltre i sei me-
si ed a norma del diritto proprio (can. 653 §2);
– ammettere liberamente alla prima professione, con il vo-
to del suo consiglio e a norma del diritto comune e pro-
prio (can. 656, 3°);133
– concedere la licenza per anticipare la professione perpe-
tua o definitiva per giusta causa ma non oltre un trime-
stre (can. 657 §3);
– elaborare e promulgare il regolamento e la durata della
formazione secondo le esigenze ed il carisma dell’Istituto
e le necessità della Chiesa (can. 659 §2);
– concedere ad un professo, con il consenso del proprio
consiglio e per giusta causa, una assenza dalla propria ca-
sa religiosa prolungata per non più di un anno, a meno
che ciò non sia per motivi di salute, di studio o di apo-
stolato da svolgere in nome dell’Istituto (can. 665 §1);
– dare la licenza relativa a norma del diritto proprio per
modificare le disposizioni testamentarie o circa l’ammi-
nistrazione dei propri beni da parte di un professo, così
come per porre qualunque atto relativo ai beni tempora-
li (can. 668 §2);134
– concedere la licenza per l’assunzione di incarichi o uffici
fuori del proprio Istituto (can. 671);135
– negli Istituti laicali di diritto pontificio, concedere la li-
cenza per amministrare beni riguardanti i laici e per eser-
citare uffici secolari che comportino l’onere del rendi-
conto; essere consultato per la fideiussione, anche di be-
ni propri del religioso; inoltre, dare la licenza per la ne-

133 Il diritto proprio può riservare tale ammissione al Moderatore

supremo.
134 Si tratta di un rescritto, atto amministrativo singolare, retto dal-

le disposizioni del can. 59 §2.


135 È una facoltà propria anche del munus docendi.
La potestà di governo nella vita consacrata
308

goziazione o il commercio e per esercitare attività affari-


stica e commerciale personalmente o tramite altri, salvo
sempre il diritto particolare (can. 672);136
– emettere il proprio giudizio di opportunità circa la parte-
cipazione attiva dei propri sudditi nell’attività di partiti
politici o nella direzione di sindacati (can. 672; 287 §2);
– proibire ad un proprio suddito di dimorare in una dioce-
si, nel caso in cui il Vescovo diocesano ne abbia riscon-
trato una causa molto grave e urgente (can. 679);137
– dirigere l’attività apostolica-pastorale dei religiosi in col-
laborazione con la direzione dell’Ordinario del luogo
(can. 681 §1);
– presentare o almeno prestare il consenso per il conferi-
mento di un ufficio ecclesiastico a un religioso da parte
del Vescovo diocesano (can. 682 §1);
– rimuovere dall’ufficio ecclesiastico il religioso, informan-
do l’autorità committente ma senza necessità del consen-
so dell’altra autorità (can. 682 §2);138
– prendere provvedimenti nel caso in cui il Vescovo dio-
cesano, durante la visita pastorale, abbia scoperto qual-
che abuso nell’Istituto e richiamato il Superiore stesso
(can. 683 §2);139

136 Diritto comune ai Superiori maggiori in generale ed a quelli


Ordinari: cfr. cann. 285 §4; 286. Infatti, a entrambi è data la potestà
di emettere questo genere di decreti singolari. Cfr. GARCÌA MARTÌN,
Actos administrativos singulares, 120.
137 In tal caso, il Vescovo diocesano deve avvisare il Superiore

maggiore e, se questo non prende provvedimenti, può agire di conse-


guenza, deferendo al più presto la questione alla Santa Sede.
138 Parallelamente, colui che ha conferito l’ufficio (sia Vescovo dio-

cesano o equiparato, o qualunque altra autorità), può rimuovere il re-


ligioso dall’ufficio informandone il Superiore religioso.
139 I Superiori locali hanno pure questo diritto. Esso può anche non

essere esercitato, nel qual caso il Vescovo procederà d’autorità pren-


dendo i provvedimenti del caso.
Cap. IV - L’ufficio di Ordinario
309

– escludere un religioso allo scadere della professione tem-


poranea dalla successiva professione, sussistendo giuste
cause ed avendo udito il proprio consiglio (can. 689 §1);
– non procedere alla dimissione obbligatoria nel caso in
cui ritenga che la correzione del religioso, la reintegra-
zione della giustizia e la riparazione dello scandalo pos-
sano essere soddisfatti in altro modo nei delitti de sexto
(can. 695 §1; 1395 §2);
– espellere immediatamente dalla casa religiosa un religio-
so colpevole di grave scandalo esterno o di pericolo im-
minente di un gravissimo danno per l’Istituto (se il ritar-
do dell’espulsione risultasse pericoloso, lo stesso Supe-
riore locale con il consenso del suo consiglio può proce-
dere all’espulsione). In tal caso, lo stesso Superiore mag-
giore può istruire il processo di dimissione a norma del
diritto o deferire la cosa alla Sede Apostolica (can. 703);
– associarsi in Conferenze o Consigli per conseguire più
agevolmente, nell’unione delle forze, il fine proprio dei
singoli Istituti, sia per trattare affari di comune interes-
se, sia per instaurare un opportuno coordinamento e
cooperazione con le Conferenze episcopali e con singoli
Vescovi (can. 708);
– eleggere ed essere eletti per i Concili particolari, plenari
o provinciali, secondo il numero fissato tanto per gli uo-
mini quanto per le donne dalle Conferenze episcopali o
dai Vescovi della Provincia ecclesiastica. Una volta elet-
ti, devono essere convocati e nei Concili tengono dirit-
to di voto consultivo (can. 443 §3, 2°);
– rifiutare per giusta causa le offerte fatte ai superiori di
una persona giuridica ecclesiastica o anche privata (can.
1267 §2);
– prescrivere ulteriori cautele per l’alienazione dei beni il
cui valore ecceda la somma stabilita, oltre a quelle stes-
se già prescritte dal diritto universale e particolare (can.
1293 §2);
La potestà di governo nella vita consacrata
310

– stabilire se si debba intentare una azione qualora i beni


ecclesiastici siano stati alienati con le debite formalità
civili ma non canoniche (can. 1296);
– negli Istituti religiosi clericali di diritto pontificio, esse-
re giudici di prima istanza (per il Superiore provinciale
o, nel caso di monasteri sui iuris, l’Abate locale) nelle
controversie tra religiosi e case dello stesso IVCR, salvo
disposizioni diverse del diritto proprio (can. 1427 §1).

4.4. Considerazioni sul Superiore maggiore di


un Istituto religioso

L’Ordinario esercita potestà di governo ordinaria, cioè


connessa con il proprio ufficio, non invece delegata da
un’autorità superiore. Come visto nel par. 4.2., esso eserci-
ta la potestà conformemente al diritto, secondo una lunga
lista di doveri e diritti che ne qualificano l’ufficio. Questo
si espleta prevalentemente (ma non esclusivamente, sia
ben chiaro) nella funzione di mandare ad esecuzione la
legge e di far sì che il popolo di Dio (nella fattispecie,
quella porzione di popolo di Dio a lui affidata, i suoi sud-
diti) tenda alla santità di vita e quindi giunga alla salus
animarum, suprema legge nella Chiesa.
È dunque la potestà di governo esecutiva ordinaria ciò
che viene richiesto come requisito fondamentale per po-
ter eventualmente rientrare nella categoria giuridica di
Ordinario. Come notano gli Autori, tale potestà esecuti-
va (che è una specie di potestà di governo, cfr. can. 135
§1), «è da intendersi come il potere di applicare la legge,
normalmente attraverso atti amministrativi singolari».140

140 ESPOSITO B., Alcune riflessioni sul Superiore maggiore in quanto

Ordinario e sulla valenza ecclesiologica e canonica della qualifica, in Ange-


licum 78(2001), 699. Cfr. LOMBARDIA P., Liber I. De normis generalibus,
Cap. IV - L’ufficio di Ordinario
311

Si dice, infatti, ‘normalmente’, perché l’eccezione sareb-


be di applicare la legge attraverso altri atti giuridici,141
non invece perché gli atti amministrativi singolari possa-
no essere emanati anche da chi potestà esecutiva in nes-
sun modo può possedere o possiede di fatto. Affermare
che gli atti amministrativi singolari possano essere pro-
dotti da chi gode anche solo di una potestà meramente
privata, creerebbe fraintendimenti e usurpazioni di uffi-
cio che mal si conciliano con le disposizioni più elemen-
tari del diritto, secondo cui chi agisce oltre i limiti delle
proprie capacità (giuridiche), agisce invalidamente o il-
lecitamente rispettivamente, secondo che ponga atti in-
validi o solamente illeciti.
Quanto poi a una definizione di atto amministrativo
singolare, anche se il Codice non ne dà alcuna, può es-
sere quella che lo descrive come «un atto di governo po-
sto dall’autorità competente nell’esercizio delle sue fun-
zioni, e diretto a persone singole o anche a comunità, in
casi concreti e particolari».142 Tale autorità competente,
secondo lo stesso can. 35,143 è specificamente l’autorità
esecutiva, ma può essere anche l’autorità legislativa che

in ARRIETA J.I. (a cura di), Codice di diritto canonico e leggi complemen-


tari commentato, Roma 2004, 96-97.
141 Disciplinati nei cann. 124-128, essi possono essere qualsiasi at-

to della persona, libero e volontario, al quale la legge riconosca deter-


minati effetti giuridici; cfr. CHIAPPETTA L., Il Codice di Diritto Cano-
nico. Commento giuridico-pastorale, Napoli 1988, vol. I, 156. È quindi
una categoria giuridica ampia che rientra in maniera generica nell’at-
tività delle persone fisiche e giuridiche all’interno della Chiesa e che
si distingue dal fatto giuridico per l’elemento della volontarietà.
142 CHIAPPETTA, Il Codice di Diritto Canonico, vol. I, 60.
143 Actus administrativus singularis, sive est decretum aut praecep-

tum sive est rescriptum, elici potest, intra fines suae competentiae, ab
eo qui potestate exsecutiva gaudet, firmo praescripto can. 76, §1.
La potestà di governo nella vita consacrata
312

dispone in maniera particolare della legge e della sua ap-


plicazione.144
Il Codice dice chiaramente che l’autorità, che può pro-
durre nei limiti della propria competenza atti amministra-
tivi, è quella che gode della potestà esecutiva. L’attività
amministrativa o esecutiva, infatti, è «nella Chiesa quella
più di continuo svolta, quindi l’esercizio della potestà am-
ministrativa o esecutiva è della più grande importanza».145
Tra le autorità che la esercitano rientrano: il Romano
Pontefice per la Chiesa universale unitamente ai Dicasteri
della Curia Romana; il Vescovo diocesano, il Vicario epi-
scopale e il Vicario generale, le Conferenze episcopali nei
limiti della loro competenza; i Superiori maggiori degli
IVC e delle SVA clericali di diritto pontificio che godono
di potestà esecutiva ordinaria assieme ai loro Vicari.146
Non vanno poi escluse autorità quali il Vicario Castrense
e il Prelato di Prelatura personale, che pure godono di po-
testà esecutiva ordinaria relativamente ai loro sudditi.
Tuttavia, la posizione degli Autori deve essere ripresa e,
non senza una certa forza, ampliata e perciò corretta nella
sua portata: «plus semper in se continet quod est minus»,
dicevano gli antichi. Ma il contrario non può sussistere,

144 Cfr. MAZZONI G., Le norme generali, in CAPPELLINI E. (a cura di),


La normativa del nuovo Codice, Brescia 1983, 41; CHIAPPETTA, Il Codice
di Diritto Canonico, vol. I, 60-61; CAPARROS E.-THÉRIAULT M.-THORN
J., Code of canon law annotated, Montreal 1993, 101-102; LOMBARDÌA
P.-ARRIETA J.I. (a cura di), Codice di Diritto Canonico. Edizione bilingue
commentata, Roma 1986, vol. I, 78.
145 GHIRLANDA G., Il diritto nella Chiesa mistero di comunione. Com-

pendio di diritto ecclesiale, Roma-Cinisello Balsamo 20003, 486.


146 Cfr. CHIAPPETTA L., Il Codice di Diritto Canonico. Commento giu-

ridico-pastorale, Napoli 1988, vol. I, 62. L’Autore sembra porre l’elen-


co in maniera esaustiva, escludendo dalla lista anche i Vicari Castrensi
e i Prelati di Prelatura personale, che pure rientrano nel concetto di
Ordinario come già trattato in 4.1.2.
Cap. IV - L’ufficio di Ordinario
313

giacché il meno non è sufficiente per contenere il più; an-


zi, è omissione del vero, surrezione che può portare a dire
il falso.147
Infatti, a chi gode di potestà esecutiva compete produr-
re atti amministrativi singolari. Questa potestà può essere
ordinaria o delegata per un insieme di casi e quindi ad es-
sa si applicano i canoni di cui abbiamo trattato al par.
4.1.3.
A maggior ragione, la potestà può essere definita come
«la situazione giuridica soggettiva che comporta la capaci-
tà di produrre unilateralmente effetti nella sfera giuridico-
canonica di altri»,148 che sostanzialmente significa quel-
l’insieme di facoltà, obblighi e diritti di cui colui che eser-
cita tale potestà è investito. Ciò dimostra che se da un la-
to l’origine ed il fine stesso della potestà nella Chiesa so-
no divini (la potestà proviene da Cristo e a lui stesso vuo-
le tendere o portare), il modo per determinarla in senso
‘giuridico’ consiste nel verificare chi può emettere lecita-
mente e validamente determinati atti, chi può produrre ef-
fetti e mutamenti nella sfera giuridico-canonica della per-
sona a norma del diritto.
Vi è un dualismo dall’alto al basso o, a voler essere pre-
cisi, una ‘circolarità ermeneutica’ che abbraccia e com-
prende tutta una porzione del popolo di Dio, giustificata
dal fatto che i Superiori sono chiamati ad esercitare in spi-
rito di servizio quella potestà che hanno ricevuto da Dio
mediante il ministero della Chiesa (cfr. can. 618) e non
solo per l’atto volontario di un singolo fedele che professi
il voto di obbedienza nelle mani di un altro fedele a ciò
destinato.

Vd. can. 63 §1.


147

ARRIETA J.I., Titulus VIII. De potestate regiminis, in ARRIETA J.I.


148

(a cura di), Codice di diritto canonico e leggi complementari commentato,


Roma 2004, 142.
La potestà di governo nella vita consacrata
314

Infatti, a questo riguardo, si deve notare che gli atti am-


ministrativi

sono imputabili all’organizzazione ufficiale della Chiesa,


nel cui nome i primi hanno agito. Se così non fosse, non
ci troveremmo affatto in presenza di un atto amministra-
tivo, bensì di un negozio giuridico privato. Se qualsiasi
persona giuridica pubblica esercita la sua funzione guar-
dando al bene pubblico nel nome della Chiesa per quan-
to attiene al perseguimento dei propri fini (can. 116 §1),
a fortiori agisce in nome della Chiesa il titolare di un uf-
ficio con potestà esecutiva o quanti assumono giuridica-
mente l’incarico di collaborare con detto ufficio nell’eser-
cizio delle loro funzioni.149

Tali atti amministrativi singolari, decreti (precetti e de-


creti propriamente detti, cann. 48-49) e rescritti (privile-
gi, dispense e licenze, can. 59) sono prodotti anche dai
Superiori maggiori degli Istituti religiosi laicali di diritto
pontificio150 e, secondo quanto appena affermato, sono at-
ti posti dal titolare di un ufficio pubblico nella Chiesa, in
forza di una potestà pubblica e non privata, in quanto po-
sti a capo di una persona giuridica pubblica nella Chiesa,
in nessun modo dominativa.151

149 LOMBARDIA, Liber I. De normis generalibus, 99-100.


150 In maniera specifica si tratta di Istituti religiosi, non di Società
di vita apostolica (che, secondo il can. 573 §2, non professano di os-
servare i consigli evangelici mediante i voti), né di Istituti secolari
(che, pur emettendo voti o altri sacri vincoli, non tengono una vita
separata dal mondo né vita fraterna in comune, secondo il can. 607
§§2-3). È importante anche notare la distinzione tra IR di diritto pon-
tificio e di diritto diocesano, che segna la differenza sostanziale tra la
potestà che si può esercitare ai due diversi livelli.
151 Affermazioni che pongono la potestà negli IVC o SVA su due

piani diversi, due nature diverse, secondo cui “l’una scaturisce dalla di-
pendenza giuridica che, in considerazione degli obblighi nascenti dal
Cap. IV - L’ufficio di Ordinario
315

4.4.1. Atti amministrativi singolari: decreti


Al can. 609 §1,152 ogni Superiore maggiore di IR di di-
ritto pontificio, sia clericale che laicale, può procedere al-
l’erezione di una casa religiosa e, parallelamente, alla sua
soppressione al can. 616 §1153 (normalmente consentita al
Moderatore supremo). Vale a dire che sono i Superiori in-
terni dell’IR ad essere competenti per l’erezione di perso-
ne giuridiche nello stesso, mediante il legittimo decreto
singolare.
Se da un lato ciò è dovuto ad un risparmio di lavoro e
di tempo,154 dall’altro questo decreto permette di afferma-
re che tutti i Superiori maggiori di IR di diritto pontificio

Battesimo, si stabilisce con l’autorità gerarchica della Chiesa (potestà


gerarchica o di giurisdizione sensu stricto); l’altra, invece, si basa sul-
l’impegno d’obbedienza al superiore giuridicamente assunto con il vin-
colo sacro (potestà che il CIC 17 chiamava ‘dominativa’)”, vanno spe-
cificate. Infatti, il can. 596 non specifica di che tipo di potestà si trat-
ti e lascia al diritto universale e particolare lo specificarne i contenu-
ti: generalizzazioni di questo tipo inducono il lettore, anche avveduto,
ad erronee conclusioni (che insinuano non esserci stato progresso nor-
mativo nel CIC 83, ritornando a formule sorpassate quali “potestà do-
minativa”. Ora, se da un lato non si può dire di essere giunti alla per-
fezione [!], dall’altro non si può nemmeno affermare che nulla sia cam-
biato). Vd. ARRIETA, Titulus VIII. De potestate regiminis, 143.
152 Instituti religiosi domus eriguntur ab auctoritate competenti iux-

ta constitutiones, praevio Episcopi dioecesani consensu in scripti dato.


153 Domus religiosa legitime erecta supprimi potest a supremo

Moderatore ad normam constitutionum, consulto Episcopo dioecesa-


no. De bonis domus suppressae provideat ius proprium instituti, salvis
fundatorum vel offerentium voluntatibus et iuribus legitime quaesitis.
154 “Ratio regiminis talis sit, ut ‘Capitula et Consilia... suo quaeque

modo sodalium omnium pro bono totius communitatis participatio-


nem et curam exprimant’ (PC 14), [...]. Ideo Superiores cuiusque gra-
dus opportunis facultatibus muniantur, ne inutiles vel nimis frequen-
tes recursus ad altiores auctoritates multiplicentur”; PAOLO VI, m.p.
Ecclesiae sanctae, 778.
La potestà di governo nella vita consacrata
316

esercitano potestà di governo esecutiva.155 Il Codice usa


due termini per la formazione di una persona giuridica:
constituere156 ed erigere,157 indicanti entrambi l’esistenza di
una persona giuridica pubblica o privata nella Chiesa.
Elemento materiale sarebbe il gruppo umano o corporazio-
ne, mentre elemento formale sarebbe l’intervento dell’au-
torità esecutiva o legislativa. Tuttavia, constituere si riferi-
sce in alcuni casi all’elemento formale, in altri a quello
materiale; così pure per erigere. Generalmente il primo si
riferisce all’elemento formale, quando l’autorità legislativa
stabilisce i casi in cui il diritto concede la personalità giu-
ridica; il secondo si riferisce alla formazione dell’elemento
materiale. Quando avviene il contrario, constituere si rife-
risce all’elemento materiale, cioè l’autorità con potestà
esecutiva concede la personalità giuridica per mezzo di un
decreto e non del diritto.158

155 Cfr. GARCÌA MARTÌN, Actos administrativos singulares, 113. Non


mancano naturalmente voci contrarie che, per sostenere i propri as-
siomi, ritornano ad affermare l’esistenza di una potestà dominativa di
origine privata proveniente dal voto di obbedienza. Ciò sarà ripreso
nel prossimo capitolo.
156 Can. 114 §1: “Personae iuridicae constituuntur aut ex ipso iu-

ris praescripto aut ex speciali competentis auctoritatis concessione per


decretum data, universitates sive personarum sive rerum in finem mis-
sioni Ecclesiae congruentem, qui singulorum finem transcendit, ordi-
natae”.
157 Can. 122: “Si universitas, quae gaudet personalitate iuridica pu-

blica, ita dividatur ut aut illius pars alii personae iuridicae uniatur aut
ex parte dismembrata distincta persona iuridica publica erigatur, auc-
toritas ecclesiastica, cui divisio competat, curare debet per se vel per
exsecutorem, […]”.
158 Can. 116 §2: “Personae iuridicae publicae hac personalitate do-

nantur sive ipso iure sive speciali competentis auctoritatis decreto


eandem expresse concedenti; personae iuridicae privatae hac persona-
litate donantur tantum per speciale competentis auctoritatis decretum
eandem personalitatem expresse concedens”.
Cap. IV - L’ufficio di Ordinario
317

In entrambi i casi, i due elementi si danno contempo-


raneamente e sono formati dall’autorità competente per le
persone giuridiche di carattere territoriale. Nel caso delle
case e province religiose degli IR, il termine erigere indica
l’azione del Superiore maggiore che prepara l’elemento
materiale, cui la personalità giuridica viene concessa dal
diritto stesso, quindi dal legislatore. Ma il decreto è un ele-
mento richiesto per la validità dell’erezione: mancando
questo, la casa religiosa o la provincia religiosa non viene
‘constituita’ dal diritto.159
Anche se il Superiore religioso deve avere il consenso
del Vescovo diocesano per erigere una casa religiosa nella
sua diocesi, questo non è elemento per stabilire che l’ere-
zione della casa avviene per volere del Vescovo, quanto
per dire che il Vescovo è pastore della porzione di popolo
a lui affidata e del suo territorio. Inoltre tale decreto di
erezione deve essere dato per iscritto, requisito necessario
per la validità dell’atto stesso.160
Requisiti diversi si richiedono invece per il decreto di
soppressione di una casa religiosa. Il can. 616 §1 richiede,
infatti, la sola consultazione del Vescovo diocesano: non
sarà necessario seguire il suo parere per la validità del de-
creto, ma lo sarà l’averne richiesto il parere. Inoltre, non
sarà qualsiasi Superiore maggiore a procedere alla soppres-
sione, ma il Moderatore supremo a norma del diritto pro-
prio, attendendo fino a tre mesi per la risposta o parere del
Vescovo diocesano, trascorsi i quali il decreto può essere

159 Il can. 647 §1 stabilisce che “domus novitiatus erectio, transla-


tio et suppressio fiant per decretum scripto datum supremi Moderato-
ris instituti de consensu sui consilii”.
160 Can. 609 §1: “Instituti religiosi domus eriguntur ab auctoritate

competenti iuxta constitutiones, praevio Episcopi dioecesani consen-


su in scripti dato”. Cfr. GARCÌA MARTÌN, Actos administrativos singula-
res, 116-117.
La potestà di governo nella vita consacrata
318

emesso validamente. Anche in questo caso la forma del


decreto deve essere scritta e la soppressione avviene per
mano del legislatore.161
Per quanto attiene la erezione o soppressione di una
provincia religiosa, persona giuridica secondo il can. 634
§1,162 spetta alla competente autorità interna all’IR (gene-
ralmente il Moderatore supremo), mediante decreto dato
per iscritto conforme alle norme del diritto comune.163
Discorso diverso va fatto invece per la provvisione di
uffici. I Superiori maggiori di IR emanano decreti per la lo-
ro provvisione, per confermare coloro che sono stati elet-
ti legittimamente o per nominare Superiori locali interni
all’Istituto stesso. Invece per gli uffici ecclesiastici diocesa-
ni o secolari, essi non possono conferirli, ma hanno il di-
ritto o talvolta il dovere di dare la licenza o il consenso per
la provvisione.
Circa la rimozione dall’ufficio, quando si tratta di uffici
interni all’IR, essi possono rimuovere i propri sudditi o tra-
sferirli. Quando si tratta di uffici diocesani, essi possono

161 Risulta invece diversa la situazione in cui si tratti dell’unica ca-


sa dell’IR, la cui competenza cade sotto la giurisdizione della Santa
Sede, in quanto la sua soppressione corrisponde alla soppressione stes-
sa dell’IR. Così can. 616 §2: “Suppressio unicae domus instituti ad
Sanctam Sedem pertinet, cui etiam reservatur de bonis in casu statue-
re”.
162 Instituta, provinciae et domus, utpote personae iuridicae ipso

iure, capaces sunt acquirendi, possidendi, administrandi et alienandi


bona temporalia, nisi haec capacitas in constitutionibus excludatur
vel coarctetur.
163 Così can. 621: “Plurium domorum coniunctio quae sub eodem

Superiore partem immediatam eiusdem instituti constituat et ab auc-


toritate legitima canonice erecta sit, nomine venit provinciae”. Nel
CIC 17 tale autorità legittima era esterna all’IR, in quanto competen-
te per l’erezione di una provincia religiosa era la Santa Sede stessa. Il
cambio di competenza è stato fatto con il decr. Ad instituenda experi-
menta della SCRIS di cui già si è trattato nel capitolo III.
Cap. IV - L’ufficio di Ordinario
319

procedere alla rimozione dall’ufficio come lo potrebbe il


Vescovo diocesano, avendolo solamente avvisato, a norma
del diritto e secondo la convenzione stipulata con il
Vescovo stesso.164
Come visto per i Superiori maggiori Ordinari, il can.
151 dispone che non si ostacoli la provvisione di un ufficio
che comporta la cura delle anime se non per grave causa.
Ma tutti i Superiori maggiori, di Istituti clericali o laicali
che siano, sono tenuti a tale disposizione, tanto per uffici
ecclesiastici diocesani che secolari. Infatti, se da un lato es-
si non possono conferire tale genere di uffici, dall’altro
hanno il diritto e l’obbligo di dare la licenza od il consen-
so per la loro accettazione (cann. 682 §1; 672).165 Parimen-
ti, essi possono rimuovere i religiosi loro sudditi sia da in-
carichi conferiti all’interno del proprio Istituto (can. 624
§3) sia da uffici ecclesiastici diocesani nel rispetto delle
norme canoniche, con la stessa efficacia giuridica di una ri-
mozione posta da un Ordinario del luogo (can. 682 §2).
Il Superiore maggiore che proceda alla rimozione di un
suddito da un ufficio ecclesiastico diocesano non è neppu-
re tenuto a consultare il Vescovo diocesano, ma solamen-
te ad informarlo secondo quanto stabilito nell’accordo
scritto previo concordato dalle parti (can. 681 §1). Tale
documento, atto amministrativo singolare a tenore del
can. 35 che deve venire notificato all’interessato per pro-
durre effetto giuridico secondo il can. 47, pone in essere la

164 Can. 682 §2: “Religiosus ab officio commisso amoveri potest ad

nutum sive auctoritatis committentis, monito Superiore religioso, sive


Superioris, monito committente, non requisito alterius consensu”. Il
documento di rimozione ha la stessa natura di quello prodotto dal
Vescovo diocesano per la sua provvisione. Cfr. GARCÌA MARTÌN, Actos
administrativos singulares, 121.
165 Cfr. GARCÌA MARTÌN, Actos administrativos singulares, 120.
La potestà di governo nella vita consacrata
320

medesima potestà che esercita il Vescovo diocesano nel


provvedere all’ufficio.166
Il Superiore maggiore di IR può anche procedere al-
l’ammonizione di un suo suddito con la minaccia di espul-
sione dall’Istituto stesso. L’ammonizione può essere fatta in
forma scritta (in tal caso questo è un decreto decisorio che
deve indicare anche la causa della possibile espulsione) o
in forma orale (in tal caso serve la presenza di due testi-
moni che ne attestino l’avvenuta intimazione).167 Allo
stesso tempo può imporre precetti penali a norma del can.
1319 §1.168
Il Moderatore supremo può procedere ad emanare il de-
creto di espulsione ma prendendo la decisione collegial-
mente con il suo consiglio, formato da quattro membri ed
indicando le cause di diritto e di fatto dell’espulsione stes-
sa. Anche in questo caso si tratta di un decreto deciso-
rio.169

166 Cfr. GARCÌA MARTÌN, Actos administrativos singulares, 120-121.


167 Can. 697, 2°: “In casibus de quibus in can. 696, si Superior ma-
ior, audito suo consilio, censuerit processum dimissionis esse inchoan-
dum: [...] sodalem scripto vel coram duobus testibus moneat cum ex-
plicita comminatione subsecuturae dimissionis nisi resipiscat, clare si-
gnificata causa dimissionis et data sodali plena facultate sese defen-
dendi quod si monitio incassum cedat, ad alteram monitionem, spatio
saltem quindecim dierum interposito, procedat”.
168 Quatenus quis potest vi potestatis regiminis in foro externo

praecepta imponere, eatenus potest etiam poenas determinatas, excep-


tis expiatoriis perpetuis, per praeceptum comminari.
169 Can. 699 §1: “Supremus Moderator cum suo consilio, quod ad

validitatem saltem quattuor membris constare debet, collegialiter pro-


cedat ad probationes, argumenta et defensiones accurate perpenden-
da, et si per secretam suffragationem id decisum fuerit, decretum di-
missionis ferat, expressis ad validitatem saltem summarie motivis in
iure et in facto”.
Cap. IV - L’ufficio di Ordinario
321

Un’importanza particolare riveste l’erezione di associa-


zioni di fedeli con personalità giuridica pubblica. Questi,
se associati agli IR, sono generalmente detti ‘terzi ordini
secolari’ ed in passato la loro situazione giuridica non era
chiara, tanto che venivano quasi equiparati alle SVA.170
Oggi la legislazione nuova li pone certamente sul piano
delle associazioni pubbliche di fedeli e concede loro perso-
nalità giuridica.
Il can. 303 afferma che i terzi ordini sono associazioni
di fedeli, ma non dice chi sia l’autorità competente per eri-
gerli.171 Parimenti, il can. 677 §2 afferma che tutti gli IR
possono avere associazioni di fedeli a loro aggregate,172 le
quali partecipano dello spirito stesso dell’Istituto o della
SVA e ne sono dirette nell’apostolato, pur rimanendo di-
verse dagli IVC, dal momento che non professano i con-
sigli evangelici (e quindi non sono equiparabili agli Istituti
secolari).173

170 Il can. 702 §1 del CIC 17 così disponeva: “Tertiarii saeculares


sunt qui in saeculo, sub moderatione alicuius Ordinis, secundum eiu-
sdem spiritum, ad christianam perfectionem contendere nituntur, mo-
do saeculari vitae consentaneo, secundum regulas ab Apostolica Sede
pro ipsis approbatas”. Forse anche per questo esse dipendevano dalla
stessa Congregazione per gli IVC e SVA, come affermava il can. 703
§1: “Firmo privilegio nonnullis Ordinibus concesso, nulla religio po-
test tertium Ordinem sibi adiungere”.
171 Consociationes, quarum sodales, in saeculo spiritum alicuius in-

stituti religiosi participantes, sub altiore eiusdem instituti moderami-


ne, vitam apostolicam ducunt et ad perfectionem christianam conten-
dunt, tertii ordines dicuntur aliove congruenti nomine vocantur.
172 Instituta autem, si quas habeant associationes christifidelium si-

bi coniunctas, speciali cura adiuvent, ut genuino spiritu suae familiae


imbuantur.
173 Come affermano i can. 303 e 677 §2, non è più necessario il

privilegio apostolico per l’erezione di questi terzi ordini, come avveni-


va invece nel CIC 17. Cfr. GARCÌA MARTÌN, Actos administrativos sin-
gulares, 125.
La potestà di governo nella vita consacrata
322

La const. ap. Pastor bonus, all’art. 111, afferma che per


loro natura i terzi ordini non dipendono dalla Congrega-
zione per gli IVC e SVA quanto alla loro erezione, regime,
disciplina e, all’art. 134, afferma che dipendono dal Pon-
tificio Consiglio per i Laici per quanto riguarda l’apostola-
to. Ciò significa che non hanno carattere diocesano e non
dipendono dall’Ordinario del luogo.174
L’autorità competente per l’erezione dei terzi ordini non
è quindi esplicitamente espressa nella PB, né è riservata
agli Ordini esenti o agli IR con privilegio apostolico. Que-
sto vuoto giuridico viene colmato dalle molte competenze
che il nuovo diritto della Chiesa ha affidato ai Superiori
religiosi. Infatti, le associazioni internazionali o universali
sono erette dal Pontificio Consiglio per i Laici (can. 312
§1, 1°);175 le associazioni nazionali sono erette dalla Con-
ferenza Episcopale (can. 312 §1, 2°);176 le associazioni dio-
cesane sono erette dal Vescovo diocesano e da chi possie-
de il relativo privilegio apostolico, non dall’Amministra-
tore diocesano (can. 312 §1, 3°);177 le associazioni partico-
lari, di carattere personale come i terzi ordini secolari o al-

174 Mentre, ad es., le associazioni internazionali di fedeli dipendo-


no dallo stesso Pontificio Consiglio per i Laici, PB art. 134, o per
quanto riguarda le organizzazioni cattoliche internazionali dalla
Segreteria di Stato, PB artt. 41 §2 e 134. Quindi, i terzi ordini non so-
no associazioni né internazionali né universali.
175 Ad erigendas consociationes publicas auctoritas competens est:

pro consociationibus universalibus atque internationalibus Sancta


Sedes.
176 Pro consociationibus nationalibus, quae scilicet ex ipsa erectio-

ne destinantur ad actionem in tota natione exercendam, Episcoporum


Conferentia in suo territorio.
177 Pro consociationibus dioecesanis, Episcopus dioecesanus in suo

territorio, non vero Administrator dioecesanus, iis tamen consociatio-


nibus exceptis quarum erigendarum ius ex apostolico privilegio aliis
reservatum est.
Cap. IV - L’ufficio di Ordinario
323

tre associazioni unite agli IR, sono erette dal Superiore


maggiore quando erige la casa religiosa, per cui il Vescovo
diocesano ha già dato il suo consenso, assieme al consen-
so per l’erezione della casa religiosa (can. 312 §2).178
È dunque il Moderatore supremo competente ad erige-
re una casa religiosa che è pure competente ad erigere ter-
zi ordini regolari, sia negli IR clericali che laicali. Infatti,
il can. 317 §2179 concede al Superiore religioso la stessa
competenza del Vescovo diocesano per nominare o confer-
mare il presidente di una associazione ed, essendo questo
un conferimento di un ufficio ecclesiastico in una associa-
zione pubblica, se ne deduce che il Superiore religioso è
pure competente ad erigere l’associazione o terzo ordine in
forza del can. 148180 secondo cui chi conferisce uffici ec-
clesiastici è pure chi è competente ad erigerli, innovarli o
sopprimerli.
È interessante notare che i terzi ordini possono avere
personalità giuridica pubblica se il Superiore maggiore
che li erige lo ritiene opportuno,181 allo stesso modo co-
me possono essere soppressi dallo stesso Superiore che li
ha eretti.

178 […] Consensus tamen ab Episcopo dioecesano praestitus pro


erectione domus instituti religiosi valet etiam ad erigendam in eadem
domo vel ecclesia ei adnexa consociationem quae illius instituti sit
propria.
179 In consociationibus vero a sodalibus institutorum religiosorum

in propria ecclesia vel domo erectis, nominatio aut confirmatio mode-


ratoris et cappellani pertinet ad Superiorem instituti, ad normam sta-
tutorum.
180 Auctoritati, cuius est officia erigere, innovare et supprimere, eo-

rundem provisio quoque competit, nisi aliud iure statuatur.


181 Cfr. GARCÌA MARTÌN J., Caracteristicas de las personas juridicas

publicas segun el canon 116 §1, in CpR 82(2001), 89-105; IDEM, Actos
administrativos singulares, 130.
La potestà di governo nella vita consacrata
324

4.4.2. Atti amministrativi singolari: rescritti


Essendo il rescritto un «actus administrativus a compe-
tenti auctoritate exsecutiva in scriptis elicitus, quo suapte
natura, ad petitionem alicuius, conceditur privilegium, di-
spensatio aliave gratia» (can. 59 §1), esso è un atto che ri-
guarda la potestà esecutiva che viene esercitata su richie-
sta di qualcuno.
Tra questi rientra il rescritto di ammissione al novizia-
to, a norma del can. 641,182 fatto su petizione del candida-
to e concesso se si hanno rispettato le condizioni richieste
sia al candidato stesso (quali sono l’età minima, la libertà
da impedimenti giuridici o da costrizioni morali, etc.) che
all’autorità competente (la consultazione dell’Ordinario
proprio del candidato, la raccolta di informazioni dal suo
Superiore, etc.).
Vi è poi il rescritto di ammissione alla professione reli-
giosa temporanea, a norma del can. 656, 3°, che è pure vin-
colato a determinati requisiti e condizioni per la validità
dell’atto stesso. Per produrre questo rescritto, il Superiore
maggiore deve avere il voto del proprio consiglio.
Il Moderatore supremo può anche concedere il rescrit-
to di passaggio ad un altro Istituto, vincolato al consenso
del proprio consiglio e al rescritto di ammissione dell’altro
Moderatore supremo emesso pure con il consenso del suo
consiglio.183 È una norma nuova che pone ulteriori facol-
tà in capo al Superiore di un IR.
È pure il Moderatore supremo a concedere l’indulto di
esclaustrazione non oltre i tre anni, sussistendo cause gra-
vi ed avendo il consenso sia del proprio consiglio sia

182 Ius candidatos admittendi ad novitiatum pertinet ad Superiores


maiores ad normam iuris proprii.
183 Can. 684 §1: “Sodalis a votis perpetuis nequit a proprio ad aliud

institutum religiosum transire, nisi ex concessione supremi


Moderatoris utriusque instituti et de consensu sui cuiusque consilii”.
Cap. IV - L’ufficio di Ordinario
325

dell’Ordinario del luogo dove andrà a risiedere l’esclaustra-


to se è un chierico.184
Di notevole importanza il rescritto per concedere la se-
colarizzazione del membro professo temporaneo dell’IR. Il
Moderatore supremo è competente per concedere l’indulto
di secolarizzazione durante la professione temporanea, con
il consenso del proprio consiglio e per una grave causa.185
Ciò significa che, come già notato, il Superiore religioso
con la propria potestà produce unilateralmente effetti nel-
la sfera giuridico-canonica del suddito, vuoi per ammetter-
lo come religioso nel proprio Istituto (e questo è uno stato
nella Chiesa), vuoi per dimetterlo e quindi farlo passare al-
lo stato laicale secolare. Questo atto amministrativo singo-
lare, oltre ad essere emesso da chi è titolare di potestà ese-
cutiva, comporta una modifica nello stato giuridico della
persona a favore della quale viene esercitato.
Oltre a questi rescritti, i Superiori maggiori possono da-
re licenze ai membri dell’IR per assenze dalla casa religiosa
di un anno o anche più (se è per motivi di studio, apostola-
to secondo il carisma e il diritto particolare dell’Istituto, in-

184 Can. 686 §1: “Supremus Moderator, de consensu sui consilii, so-

dali a votis perpetuis professo, gravi de causa concedere potest indul-


tum exclaustrationis, non tamen ultra triennium, praevio consensu
Ordinarii loci in quo commorari debet, si agitur de clerico. Indultum
prorogare vel illud ultra triennium concedere Sanctae Sedi vel, si de
institutis iuris dioecesani agitur, Episcopo dioecesano reservatur”. È un
cambio introdotto, rispetto alla legislazione precedente, dal rescr.
pont. Cum admotae I, 15 e che quindi va a portare una profonda in-
novazione rispetto al diritto precedente il CIC 83.
185 Can. 688 §2: “Qui perdurante professione temporaria, gravi de

causa, petit ut institutum derelinquat, indultum discendi consequi po-


test in instituto iuris pontificii a supremo Moderatore de consensu sui
consilii; in institutis autem iuris dioecesani et in monasteriis de qui-
bus in can. 615, indultum, ut valeat, confirmari debet ab Episcopo do-
mus assignationis”. Si tratta anche in questo caso di una recezione del
rescr. pont. Cum admotae I, 14.
La potestà di governo nella vita consacrata
326

fermità), sempre con il consenso del proprio consiglio, a te-


nore del can. 665 §1; per accettare incarichi ed uffici fuori
dell’IR, sia ecclesiastici (diocesani o nella Curia Romana)
sia civili, a norma del can. 671; per predicare ai propri sud-
diti, can. 765, e quindi anche proibendo di predicare ai pro-
pri sudditi, can. 764;186 per modificare le disposizioni testa-
mentarie sui propri beni e sulla loro amministrazione, uso o
usufrutto, can. 668 §2; per amministrare beni appartenenti
a laici o per esercitare uffici secolari che comportino l’one-
re del rendiconto o che siano di governo in amministrazio-
ni civili, can. 672 (come già notato al par. 4.3., è una facol-
tà concessa sia agli Ordinari che ai Superiori maggiori in ge-
nere);187 per realizzare atti di amministrazione straordinaria
(con una petizione che deve essere valida, non viziata da
occultamento di documenti o della situazione patrimoniale
della persona giuridica; cfr. can. 1292), avendo il consenso
del proprio consiglio dato per iscritto, can. 638 §2. In ogni
caso, la licenza va sempre data in forma scritta ad validita-
tem, proprio per la sua natura stessa di rescritto.

4.5. Brevi conclusioni

Le osservazioni che si potrebbero fare in merito alla po-


testà esercitata dai Superiori maggiori tutti, sia di Istituti

186 Cfr. rescr. pont. Cum admotae, I, 13.


187 GARCÌA MARTÌN, Actos administrativos singulares, 133, afferma
che “esta competencia no les era reconocida por los esquemas del
Còdigo, incluido el del 1982, pero fue introducida por el Còdigo a pe-
sar del cambio realizado en el can. 129. Esta equiparacion al Ordinario
del lugar y al Superior mayor religioso clerical de derecho pontificio,
también Ordinario, demuestra que estos Superiores laicales tiene po-
testad eclesiastica ejecutiva de la misma naturaleza que los anteriores
en virtud del oficio”.
Cap. IV - L’ufficio di Ordinario
327

religiosi laicali che clericali, sono molte, ma tutte ci por-


terebbero alla stessa conclusione ed affermazione: essi eser-
citano potestà di governo esecutiva, perché tali sono gli
atti che possono produrre per lo stesso diritto.
Nell’elencare i doveri e diritti degli Ordinari e dei
Superiori maggiori in generale, abbiamo notato come in
più casi il diritto attribuisca facoltà uguali a entrambi, pur
non richiamando la voce Ordinario per i Superiori mag-
giori, perché si tratta di canoni inseriti nella terza parte del
libro secondo sul popolo di Dio (per es., i cann. 672, 797,
702 §2). Molti di tali doveri e diritti vengono espletati
mediante l’esercizio della potestà esecutiva, cioè mediante
la produzione di atti amministrativi singolari in favore di
determinate persone, fisiche o anche giuridiche, per una
migliore e più equa applicazione della legge ai singoli casi.
Il diritto perciò concede a tali Superiori religiosi di
Istituti di diritto pontificio potestà esecutiva, vale a dire
potestà ecclesiastica di governo. Questo, come già notato,
è un ambito limitato, in quanto si tratta solo degli Istituti
religiosi, non degli Istituti secolari che, per loro propria
natura, non conducono vita in comune e i cui membri so-
no incardinati nella diocesi in cui risiedono (salvo la
Santa Sede abbia stabilito diversamente); lo stesso si dica
delle Società di vita apostolica, i cui membri non profes-
sano voti o altri vincoli sacri, tranne alcune eccezioni.
Questo limite, tuttavia, non riguarda il tipo di potestà
esercitata, ma i soggetti attivi di questa stessa potestà, che
il can. 596 combina indistintamente e sbrigativamente as-
sieme, lasciando alla dottrina il farne le dovute distinzio-
ni. Non riguarda neppure la potestà dal punto di vista qua-
litativo, in quanto appunto si tratta della stessa potestà di
governo ecclesiastica, quanto piuttosto dal punto di vista
quantitativo (ed anche qui, si tratta di una quantità non
tanto di atti, di doveri e diritti, che non mancano in en-
trambi i casi, quanto di soggetti passivi, di sudditi per cui
La potestà di governo nella vita consacrata
328

questa stessa potestà viene esercitata: il popolo di Dio af-


fidato ad un Vescovo diocesano, Ordinario, è ben di più di
quello incardinato in un IR).
Sarà perciò il prossimo capitolo ad osservare come la
dottrina stessa abbia affrontato il problema, che pure si
pone e che il canone che stiamo esaminando sembra non
aver affrontato con dovuta serietà (cioè aderenza alle co-
se, alla realtà), e come questa stessa dottrina abbia cerca-
to di risolvere questo silenzio giuridico da parte del
Codice.
329

Cap. V
Dottrina sulla potestà
dei Superiori maggiori

5.1. Le principali posizioni dottrinali

Addentrarsi nelle varie scuole di tendenza che approva-


no o disapprovano la potestà di governo attribuita ai
Superiori maggiori e alla possibilità per laici in genere di
esercitarla è al contempo arduo e laborioso. Si tratta, in-
fatti, di affrontare una confusione terminologica che abbi-
na a parole uguali concetti diversi, a volte pure nelle ope-
re di uno stesso autore. Non solo, ma a volte ci si trova di
fronte a lavori basati su di una prospettiva ecclesiologica
di parte, che tralasciano altre tipologie pure presenti nella
Chiesa e soprattutto la sua visione d’insieme.1 Stupisce a
maggior ragione se si pensa al dibattito notevole che ebbe
in fase codificatoria l’elaborazione di questo canone, 596.
Vi sono autori che citano alcuni documenti pontifici e
poi ne dimenticano altri che porrebbero la loro dottrina su
altre e ben diverse strade. Tale è risultata essere, a volte,
anche la posizione della Commissione per la revisione del
Codice che, come abbiamo visto (cfr. cap. III), ha dovuto
interpellare la Sacra Congregazione per la Dottrina della
Fede.2 La confusione è aggravata dal fatto che il can. 596,

1 Ciò d’altronde sarebbe conforme a LG 1, 6-7, che propone a ti-


tolo esemplificativo una ampia carrellata di prospettive ecclesiologi-
che.
2 La risposta, pervenuta nel Folio ex officio (cfr. par. 3.4.2.), ribadi-

va che l’inabilità dei laici all’esercizio della potestà sacra non era mai
stata affermata dal Concilio.
La potestà di governo nella vita consacrata
330

di carattere generale, pone sullo stesso piano Superiori ge-


nerali, provinciali, locali, rimandando al diritto proprio lo
stabilire quale tipo di potestà essi esercitino. Per qualcuno
questo è un’applicazione del principio di sussidiarietà nel-
la vita consacrata.3

5.1.1. Partecipazione della potestà di governo


Questa scuola afferma generalmente la distinzione tra
potestà di ordine e di giurisdizione, che hanno due fonti
prossime diverse. In alcuni casi afferma la stessa origine,
con differente esercizio.
Gutiérrez A., analizzando il §1 del canone, non trova
«alcuna differenza qualitativa tra la potestà di governo che
compete ai Superiori di un Istituto clericale di diritto pon-
tificio e la potestà che il can. 596 §1 attribuisce a tutti i
Superiori chierici, compresi i sacerdoti di un Istituto cleri-
cale diocesano o secolare».4 Inoltre, come altri in seguito,
afferma che la Chiesa non ha altra potestà che quella con-
feritagli da Cristo, cioè di giurisdizione, nonostante in que-
sto caso – prosegue l’Autore – sia imperfetta perché solo
esecutiva.5 Dunque i Superiori di tutti gli Istituti di vita

3 Cfr. LESAGE G., Renouveau de la vie religieuse, Montréal 1985, 114.


4 GUTIÉRREZ A., I canoni riguardanti gli Istituti di vita consacrata e le
Società di vita apostolica collocati fuori della parte ad essi riservata, in
VitCons 20(1984), 73. Infatti il primo Schema del Coetus per la Vita
consacrata dava a tutti gli IVC clericali, sia di diritto pontificio che
diocesano, la potestà ecclesiastica di governo. Questo perchè l’ufficio
è pubblico e questi sacerdoti sono a capo di una persona giuridica pub-
blica nella Chiesa.
5 Cfr. GUTIÉRREZ A., Potestà. I. Potestà dominativa. 5. Il CIC2, in

DIP, vol. VIII, 149-150. Ma in tal caso, si potrebbe osservare, è im-


perfetta anche quella di ogni Ordinario che gode solo di potestà ese-
cutiva di governo? Cfr. cann. 134 ss. L’autore, alla colonna 149, affer-
ma che “agli istituti clericali di diritto diocesano, a quelli laicali di di-
ritto pontificio, come pure a tutti gli istituti secolari sia clericali sia
Cap. V - Dottrina sulla potestà dei Superiori maggiori
331

consacrata godono di potestà ecclesiastica di governo ese-


cutiva.
Andrés afferma che «è praticamente impossibile che la
potestà comune, chiamata prima dominativa, abbia natura,
fini e divisioni radicalmente differenti da quella ecclesia-
stica di regime».6 Sostiene quindi la radicale uguaglianza
tra la potestà definita dal diritto universale e dalle costitu-
zioni descritta al can. 596 §1 e la potestà di governo di cui
godono gli Istituti religiosi clericali di diritto pontificio se-
condo il can. 596 §27 per natura e fini, ma diversità per

laicali, il CIC2 [cioè il CIC 83] concede una potestà che qualitativa-
mente è di regime ecclesiastico per governare la vita cristiana […]; una
potestà, però, limitata (quantitativamente) alla sola funzione esecutiva,
limitatamente ancora a quanto definito nel diritto universale per loro
e nelle costituzioni e, in quanto al modo dell’esercizio, secondo i c.
131, 133, 137-44, oltre che nel diritto proprio”. Cfr. anche GUTIÉRREZ
A., El nuevo Codigo de Derecho Canonico y el derecho interno de los
Institutos de vida consagrada, in Informationes SCRIS 9(1983), 104-106.
6 ANDRÉS D.J., Il diritto dei religiosi. Commento esegetico al codice,

Roma 19992, 41. IDEM, cc. 330-746, in BENLLOCH POVEDA A. (a cura


di), Còdigo de Derecho Canonico. Ediciòn bilingüe, fuentes y comentarios
de todos los cànones, Valencia 19932, 289. Tuttavia in altro luogo so-
stiene diversamente: “la potestad comun, [...], que se entiende como el
poder doméstico, o gubernativo, o econòmico de gobernar a los sùb-
ditos en orden a los fines del instituto, [...]; esta potestad tiene el do-
ble origen de la naturaleza de la vida religiosa y del acuerdo libre de
sujeciòn de parte del profeso, asumido mediante la profesiòn del con-
sejo de obediencia mediante voto pùblico”; ANDRÉS D.J., Art. 1 De los
Superiores y de los consejos. Cc. 617-630, in MARZOA A. – MIRAS J. –
RODRÌGUEZ-OCAÑA R. (a cura di), Comentario exegético al Còdigo de
Derecho Canònico, Pamplona 19963, 1540.
7 In un’opera è della stessa posizione anche Gambari, che la vede

appartenente alla stessa conferita da Cristo alla sua Chiesa. Cfr.


GAMBARI E., Vita religiosa secondo il concilio e il nuovo diritto canonico,
Roma 1985, 512-513. Ma successivamente lo stesso autore cambierà
posizione.
La potestà di governo nella vita consacrata
332

applicazione ed estensione.8 Ed effettivamente nota che


«la norma lascia molto più in chiaro ed esplicito questo li-
vello di differenziazione, mentre appare più implicita e re-
missiva nella presentazione del primo livello sostanziale o
essenziale»,9 riferito alla natura della potestà.
Gutiérrez J.L. considera la ex potestà dominativa come
vera potestà di giurisdizione concessa dall’autorità eccle-
siastica in virtù della sua intrinseca natura, che vede per
questo ad essa applicati i canoni riguardanti la potestà ese-
cutiva.10 Già commentando le innovazioni11 apportate dal-
la Commissione pontificia per l’interpretazione autentica
del CIC 17 nel 1952, afferma che «sarebbe stato assai più
semplice affermare schiettamente che la potestà dominati-
va altro non è che una partecipazione all’unica potestà
pubblica di regime che esiste nella Chiesa, vale a dire alla
giurisdizione».12 Questa è finalizzata al retto ordine inter-
no di ogni Istituto, cioè al bene comune: essa è quindi «ve-
ra giurisdizione concessa dall’Autorità ecclesiastica, e non
un tertium genus per il quale non si trova posto nell’ordi-
namento canonico».13

8 Cfr. anche ANDRÉS D.J., Innovazioni del Codice all’esterno degli


Istituti di vita consacrata. Apertura e dialogo con la Chiesa con il mondo,
in VitCons 20(1984), 51-53; IDEM, Istituti religiosi clericali e laicali: nuo-
ve nozioni e differenze, in FCan 2(1999), 323-324, 327.
9 ANDRÉS D.J., Le forme di vita consacrata. Commentario teologico-

giuridico al Codice di Diritto Canonico, Roma 20055, 80.


10 Cfr. GUTIÉRREZ J.L., Dalla potestà dominativa alla giurisdizione (Ap-

punti per uno studio), in EICan 39(1983), 84.


11 Cfr. PONTIFICIA COMMISSIO CODICIS IURIS CANONICI AUTHEN-

TICAE INTERPRETANDO, Responsio, 26 marzo 1952, in AAS 44(1952),


497.
12 GUTIÉRREZ, Dalla potestà dominativa alla giurisdizione, 89-90.
13 GUTIÉRREZ, Dalla potestà dominativa alla giurisdizione, 103. Questa

potestà viene perciò trasmessa nella misura in cui gli Istituti ne abbia-
no bisogno e, se sono laicali, non può venir loro trasmessa la potestà
di regime unita inseparabilmente all’ordine sacro.
Cap. V - Dottrina sulla potestà dei Superiori maggiori
333

Da parte sua Betti,14 nella sua riflessione circa i laici e


la potestà di giurisdizione, analizza il can. 129 §2. Egli no-
ta che la parola cooperatio, certamente non coincidente
con la precedente espressione partem habere dello Schema
82 precedente il CIC 83, implica comunque una certa par-
tecipazione alla potestà sacra nella Chiesa, «a meno che
non vi siano esplicite valenze riduttive». Ma «queste di
fatto non ci sono».15 Se infatti la cooperazione si fosse in-
tesa come un semplice aiuto, si sarebbe avvallata la propo-
sta per un’altra formulazione16 e, forse, anche per la intera
soppressione del can. 129 §2. Ciò significa che la coope-
razione dei laici all’esercizio della potestà di giurisdizione
è esercitabile ed attiva, e l’affermazione del can. 274 §1,17
può riferirsi ad «una potestà di giurisdizione non derivan-
te dal sacramento dell’Ordine, della quale sono partecipi
anche i laici».18
Una posizione intermedia è presa da Soullard, secondo
cui «è normale che l’autorità interna all’Istituto possa di-

14 Questo autore gode di una posizione privilegiata. Egli è infatti


uno degli esperti che aiutarono il Santo Padre, Giovanni Paolo II, nel-
l’esame personale del nuovo Codice poco prima della sua promulga-
zione. Tra questi rientravano anche: Mons. Edward Egan, Mons.
Istvàn Mester, Mons. Zenon Grocholewski, P. Javier Ochoa, sac.
Eugenio Corecco, P. Luis Dìez Garcìa. Tra i vescovi rientravano inve-
ce: card. Agostino Casaroli, card. Joseph Ratzinger, card. Narciso
Jubany Arnau, Mons. Vincenzo Fagiolo.
15 BETTI U., In margine al nuovo Codice di Diritto Canonico, in

Antonianum 58(1983), 636.


16 Vd. BETTI, In margine al nuovo Codice, 636, nota 20, in cui ricor-

da che questa proposta, del card. J. Ratzinger, “presentava il §2 in que-


sti termini: «In exercitio eiusdem potestatis ii, qui ordine sacro non
sunt insigniti, suo modo ad normam iuris adiuvare et cooperari pos-
sunt»”.
17 Soli clerici obtinere possunt officia ad quorum exercitium requi-

ritur potestas ordinis aut potestas regiminis ecclesiastici.


18 BETTI, In margine al nuovo Codice, 637.
La potestà di governo nella vita consacrata
334

sporre di certe prerogative attribuite alla potestà ecclesia-


stica di governo»,19 ma sembra non affermare esplicita-
mente che queste disposizioni siano dovute ad un effetti-
vo esercizio di potestà ecclesiastica di governo. Tuttavia
ammette che «un’analisi minuziosa potrebbe trovare delle
tracce negli Istituti non clericali»,20 per cui appare chiara-
mente che tale posizione di prerogative della potestà ec-
clesiastica di governo concesse ai Superiori in genere esi-
stono, ma vanno studiate.
Ghirlanda afferma che «la potestà è una, perché è la
potestà di Cristo, ed è sacra sia per questa ragione sia per
il fatto che è conferita ed è esercitata nella Chiesa sempre
per fini spirituali in ordine alla salvezza»,21 sia che si usi
per atti sacramentali o di santificazione in generale o di
governo. Già prima sosteneva che «per il fatto che alme-
no in parte a tale potestà si applicano i canoni sulla pote-
stà ordinaria e delegata di governo ecclesiastico o di giuri-
sdizione (cann. 131, 133 e 137-144) si deve ammettere
che è radicalmente della stessa natura di quest’ultima».22

19 SOULLARD R., La vie religieuse, les Instituts religieux (c. 607-709),


in AA.VV., Directoire canonique. Vie consacrée et sociétés de vie apostoli-
que, Parigi 1986, 189 [nostra traduzione].
20 SOULLARD, La vie religieuse, 189.
21 GHIRLANDA G., Il diritto nella Chiesa mistero di comunione.

Compendio di diritto ecclesiale, Roma-Cinisello Balsamo 20003, 266.


22 GHIRLANDA, Il diritto nella Chiesa, 193. Cfr. anche GHIRLANDA

G., De natura, origine et exercitio potestatis regiminis iuxta novum


Codicem, in Per 74(1985), 148-149, dove nota che questa potestà è
conferita dal Codice stesso, ovvero tramite questo dalla suprema au-
torità ecclesiastica. In “Istituti misti” e nuove aggregazioni, in QDE
9(1996), 491, l’autore si chiede “se i laici possono esercitare, in base
al can. 129 §2, la potestà di giurisdizione, ricoprendo vari uffici eccle-
siastici, non si vede perché non lo possano i superiori laici negli isti-
tuti laicali o misti, anche se non nella stessa misura che i superiori de-
gli istituti clericali di diritto pontificio”.
Cap. V - Dottrina sulla potestà dei Superiori maggiori
335

Beyer, maestro di Ghirlanda, aveva già sostenuto que-


sta teoria.23 Ciò d’altronde non contrasterebbe con la sud-
divisione dell’unica potestà nei tre munera di insegnare,
santificare e governare, che non negano la sua unità, co-
me afferma Bertrams.24 Lo stesso Beyer ha modo di defini-
re carismatica la potestà di cui al can. 596 §1, in quanto al
modo di esercitarsi, ma per natura esecutiva:25 «la potestà
di governare comporta sempre una potestà di insegnamen-
to e di santificazione. […] Chi insegna, santifica; chi san-
tifica, insegna, e chi dirige insegna e santifica: tre aspetti
essenziali di ogni atto di autorità responsabile […]».26 Più
oltre, l’autore la definisce potestà di superiorato correlata a
quella di ordinariato, ritenendo le due più unite di quan-
to fa il Codice adesso.27 Infine afferma la partecipazione

23 Cfr. BEYER J., La nouvelle définition de la “Potestas Regiminis”, in


L’Anné Canonique 24(1980), 66-67; IDEM, De natura potestatis regimi-
nis seu iurisdictionis recte in Codice renovato enuntianda, in Per 71(1982),
105-107; 131. Posteriormente: IDEM, Teologia e diritto della potestà sacra
nella Chiesa, in AA.VV., Teologia e Diritto Canonico, Città del Vaticano
1987, 68.
24 Cfr. BERTRAMS W., De natura potestatis Supremi Ecclesiae Pastoris,

in Per 58(1969), 10. Ritroveremo questo autore tra coloro che non
ammettono potestà sacra in tutti gli IVC o SVA. Questa unità, co-
munque, è stata osservata anche da GIOVANNI PAOLO II, epistula Novo
incipiente ad universos Ecclesiae sacerdotes, adveniente Feria V in
Cena Domini, 8 aprile 1979, in AAS 71(1979), n. 3: “si loci concilia-
res accurate inspiciantur, patet loquendum potius esse de triplici ratio-
ne ministerii ac muneris Christi quam de tribus diversis officiis”.
25 Cfr. BEYER J., Il diritto nella vita consacrata, Milano 1989, 127.

Nella pagina successiva, l’autore afferma che “un gruppo ecclesiale è


diretto da un responsabile che gode per il fatto stesso di una potestà
ecclesiale”. Questo “comporta per sua natura una partecipazione alla
potestà nella Chiesa: non solo governo, ma insegnamento e santifica-
zione”. Cfr. anche DE ROSA G., Istituzione e carisma nella Chiesa, in
Civiltà Cattolica 137(1986), 357.
26 BEYER, Il diritto nella vita consacrata, 129.
27 Cfr. BEYER J., Il diritto nella vita consacrata, 133.
La potestà di governo nella vita consacrata
336

dei laici alla potestas sacra nel Codice, quando è detto che
essa proviene da Dio ed è concessa ai Superiori religiosi
«per ministerium Ecclesiae».28
Stickler, analizzando in prospettiva storica e conciliare
la potestà di governo, sottolinea che essa per essere ordi-
naria deve essere annessa all’ufficio.29 Perciò essa può esse-
re distinta nella misura in cui Cristo ha voluto una gerar-
chia di governo e una di santificazione; correlata in quan-
to proviene dall’unione di poteri dalla stessa persona; dif-
ferenziata, perché «è possibile mantenere la loro natura di-
stinta, la loro origine distinta, le loro proprietà distinte, e
anche le loro finalità distinte».30
Urrutia tratta invece della potestà di governo delegata
ai laici.31 Egli nota, parlando di uffici diocesani, che «non
c’è motivo per negare che questi casi comportano qualche
potestà esecutiva di governo o giurisdizione, una potestà
inoltre che può essere esercitata da persone laiche».32 Tut-

28 Cfr. BEYER, Teologia e diritto della potestà sacra nella Chiesa, 77. In
altro luogo, BEYER J., La Chiesa si interroga sulla vita consacrata. Verso il
IX Sinodo ordinario dei Vescovi, in Quaderni di diritto ecclesiale 6(1993),
377, afferma che la vita consacrata appartiene alla struttura gerarchica
della Chiesa e perciò esercita il potere che gli viene trasmesso dal
Sommo Pontefice. Cfr. Anche BEYER J., Dal Concilio al Codice. Il nuo-
vo codice e le istanze del Concilio Vaticano II, Bologna 1984, 63-65, do-
ve distingue tra potestà sacramentale e potestà di missione.
29 Cfr. STICKLER A.M., Le pouvoir de gouvernement, pouvoir ordinai-

re et pouvoir délégué, in L’Anné Canonique 24(1980), 83.


30 STICKLER, Le pouvoir de gouvernement, 84 [nostra traduzione]. Cfr.

IDEM, La «potestas regiminis»: visione teologica, in Apollinaris 56(1983),


407-408; IDEM, Origine e natura della Sacra Potestas, in GHERRO S. (a cu-
ra di), Studi sul primo libro del Codex Iuris Canonici, Padova 1993, 87-88.
31 Cfr. URRUTIA F.J., Delegation of the executive power of governance,

in StuCan 19(1985), 339-355.


32 URRUTIA, Delegation of the executive power, 343 [nostra traduzio-

ne]. Da notare che arriva a queste conclusioni non senza affermare che
ai laici, anche se religiosi, non può essere delegata ogni tipo di pote-
Cap. V - Dottrina sulla potestà dei Superiori maggiori
337

tavia, il limite principale a questa trattazione è che la po-


testà delegata è tale perché non annessa all’ufficio e, quin-
di, non appartiene alla stessa persona delegata. Nel caso
invece dei Superiori maggiori, la potestà di cui godono è
annessa all’ufficio e, perciò, ordinaria in senso stretto.
Dal canto suo, McDonough unisce l’analisi della pote-
stà di governo con il carisma dell’Istituto. L’autrice affer-
ma che «ai Superiori e membri di istituti è data la respon-
sabilità per conservare fedelmente e adattare prudente-
mente le opere, nel rispetto del ‘carisma’ dell’istituto, alle
differenti circostanze e bisogni».33 Arriva così a conclude-
re che «il principio base della legge ecclesiastica è che
chiunque abbia la responsabilità per certe questioni abbia
pure l’autorità su di esse e sia competente ad agire nei lo-
ro riguardi».34 Non si deduce in questo lavoro a quali con-
clusioni arrivi,35 che si faranno sentire solo qualche anno
dopo, nell’analisi giuridica del Codice che la stessa autri-
ce farà. Potrà così affermare che «la potestas attribuita ai
superiori di istituti di vita consacrata dal can. 596 §1 ed
esercitata secondo altri canoni del Codice rivisto è – per
lo meno in alcuni casi – un esempio di una concessione de
lege a non-ordinati fatta dalla suprema autorità della
Chiesa per la partecipazione alla potestas regiminis nella
forma esecutiva in un caso particolare».36

stà: così, ad es., non potrà essere nominata una religiosa nell’ufficio di
vicario episcopale per la vita consacrata; cfr. p. 350.
33 MCDONOUGH E., Religious in the 1983 Code. New Approaches to

the New Law, Chicago 1985, 69 [nostra traduzione].


34 MCDONOUGH, Religious in the 1983 Code, 70.
35 Così è pure per altri Autori che, nei primissimi anni dopo la pro-

mulgazione del nuovo Codice, non si interessano del problema della po-
testà riconosciuta ai Superiori degli IVC. Cfr. MORLOT F., Gli Istituti seco-
lari: breve commento del nuovo Codice, in OBERTI A. (a cura di), Gli Istituti
secolari nel nuovo Codice di Diritto Canonico, Milano 1984, 25, 9-59.
36 MCDONOUGH E., The potestas of can. 596, in Antonianum 63(1988),

605 [nostra traduzione]. Cfr. anche: MCDONOUGH E., Juridical decon-


La potestà di governo nella vita consacrata
338

Nel suo studio riguardo al capitolo generale negli IR,


Iannone prende posizione riguardo al nostro tema e «vede
nella potestà di cui nel §1 del can. 596 la potestà di regi-
me, in forma ‘quantitativamente’ minore».37 Afferma che
i capitoli e Superiori degli IVC ed SVA, tranne quelli cle-
ricali di diritto pontificio, non hanno potestà giudiziale e
quindi nel seguire qualche procedimento particolare, il ca-
pitolo generale lo farà sempre in via amministrativa.38
Valutando la potestà di regime nello sviluppo che ebbe
all’interno della riforma codiciale, Malumbres afferma che
l’espressione generica riguardante il governo sembra porre
a confronto due livelli distinti di uffici, difficilmente deli-
mitabili.39 Da una parte, infatti, «un livello fondamentale,
costituzionale, ‘intrinsecamente gerarchico’ cui possono

struction of Religious institutes, in StuCan 26(1992), 312; IDEM, Jurisdiction


exercised by non-ordained members in religious institutes, in Canon Law
Society of America Proceedings 58(1996), 305-307; IDEM, The Potestas of
Religious Superiors according to canon 596, in RevRel 55(1996), 90-91;
IDEM, Authority in Institutes of Consacrated Life, in RevRel 55(1996), 206;
IDEM, Secular Institutes, in RevRel 51(1992), 932; IDEM, Clerical Institutes,
in RevRel 51(1992), 148; IDEM, Canonical considerations of autonomy and
hierarchical structure, in RevRel 45(1986), 685-686; IDEM, The Potestas of
Religious Superiors: Background for canon 596, in RevRel 54(1995), 939.
Vd. Anche ciò che affermava CUNEO J.J., The Power of Jurisdiction:
Empowerment for the Church functioning and mission distinct from the
Power of Orders, in The Jurist 39(1979), 211; 217-219.
37 IANNONE F., Il Capitolo generale. Saggio storico-giuridico, Roma

1988, 141.
38 Cfr. IANNONE, Il Capitolo generale, 143. Ivi sostiene che il proce-

dimento processuale amministrativo non è propriamente giudiziale


perché in questo caso si richiede la potestà giudiziale, cioè la giurisdi-
zione; ma in questo caso sembra usare il termine in senso stretto di po-
tere decisionale. Vd. anche IANNONE F., Potestà del Capitolo Generale
(cann. 596; 631 §1), in CpR 68(1987), 77-97; 223-244.
39 Cfr. MALUMBRES E., Los laicos y la potestad de régimen en los tra-

bajos de reforma codicial: una cuestiòn controvertida, in IusCan 26(1986),


619-620.
Cap. V - Dottrina sulla potestà dei Superiori maggiori
339

accedere solo gli ordinati. Dall’altra, un livello di caratte-


re più tecnico e sempre di cooperazione, nel quale rientra,
senza problemi teologici, il proprio impegno da parte del
laico».40 L’autore arriva così a notare che la potestas regimi-
nis trattata nei cann. 129 §1 e 274 §1 faccia riferimento
proprio a quel livello fondamentale di governo intrinseca-
mente gerarchico legato agli ordinati. Nei cann. 129 §2 e
1421 §2 si tratterebbe invece del secondo livello di coope-
razione aperto ai laici.41
Completamente affermativa la posizione di Boni, il
quale si ritiene «fermamente convinto che la distinzione
tra il paragrafo primo ed il paragrafo secondo del can. 596
si deve ricondurre ad una distinzione semplicemente di or-
dine “quantitativo”. Tutti gli istituti religiosi sono retti
dalla stessa potestà che regge tutta la Chiesa: gli istituti re-
ligiosi sono retti dalla potestà soprannaturale che Cristo
partecipa sacramentalmente al “corpo sociale” della Chie-
sa».42 Ed arriva a queste conclusioni dopo un lavoro che
ha abbracciato ben duemila anni di storia.43
Parlando del capitolo generale, Codorniu afferma che i
capitoli hanno potestà pubblica. Essi hanno potestà di go-
verno che viene espletata generalmente in accordo con il
Moderatore supremo (nel caso del capitolo generale), che

40 MALUMBRES, Los laicos y la potestad de régimen, 620 [nostra tra-


duzione].
41 Cfr. MALUMBRES, Los laicos y la potestad de régimen, 621.
42 BONI A., Gli istituti religiosi e la loro potestà di governo (cc.

607/596), Roma 1989, 499. Il singolare in corsivo è mio.


43 Cfr. anche BONI A., La vita religiosa nella struttura concettuale del

nuovo Codice di Diritto Canonico, in Antonianum 58(1983), 610-611,


dove sostiene che “in quanto i superiori di tutti gli istituti religiosi
esercitano una potestà di giurisdizione (potestà pubblica di governo)
che è annessa al loro ufficio (potestà ordinaria, can. 596 §§1 e 3,
confr. can. 131), la distinzione tra istituti clericali e istituti laicali si
rivela sempre più labile”.
La potestà di governo nella vita consacrata
340

comunque continua a governare normalmente l’Istituto.44


Afferma che essi hanno potestà di regime esecutiva anche
perché emanano decreti generali esecutivi a norma dei
cann. 29 e 31 §1.45
Nel dare la propria definizione di potestà ordinaria,
Olivares D’Angelo dice che «nell’essere nominato un lai-
co per un ufficio ecclesiale e partecipare così alla potestà
esecutiva ecclesiale, gli si concede la missione canonica
perché possa esercitare lecitamente e validamente la pote-
stà, ricevuta nel battesimo, di poter cooperare nell’eserci-
zio della potestà di regime».46 Dunque, secondo questo au-
tore, il sacramento del battesimo abilita a cooperare nel-
l’esercizio della potestà di regime, secondo il can. 129 §2.47
Piñero Carrion, chiedendosi se tutti i Superiori degli
IVC ed SVA esercitino potestà di regime, arriva alla con-
clusione che «i cc. 129, e quelli che lo illuminano, ci la-
sciano aperta la questione e a quella noi rispondiamo af-
fermativamente. […] Ammesso che il laico possa prende-
re parte alla potestà di regime, l’applicazione del tema al-
la vita consacrata e alle società risulta facile».48 Infatti

44 Cfr. CODORNIU M., El regolamento del capitulo general, Roma


1987, 16-19.
45 Cfr. CODORNIU, El regolamento del capitulo general, 320-321.
46 OLIVARES D’ANGELO E., Potestad ordinaria (potestas ordinaria), in

CORRAL SALVADOR C. (a cura di), Diccionario de Derecho Canonico,


Madrid 1989, 485 [nostra traduzione].
47 Cfr. anche OLIVARES D’ANGELO E., Potestad de regimen (potestas re-

giminis), in CORRAL SALVADOR C. (a cura di), Diccionario de Derecho


Canonico, Madrid 1989, 485, in cui l’autore afferma che i laici “pueden
recibir esta mision para ejercer la funcion de regir, como cooperadores.
Porque el bautismo capacita a todos los cristianos no solo para el ejer-
cicio privado de la funcion de evangelizar y dar culto a Dios, sino tam-
bien para cooperar en esas mismas funciones en nombre de la jerarquia
eclesial, en cuanto publicas: basta que le conceda la mision canonica”.
48 PIÑERO CARRION J.M., La ley de la Iglesia. Instituciones Canonicas,

vol. 1, Madrid 19932, 572 [nostra traduzione].


Cap. V - Dottrina sulla potestà dei Superiori maggiori
341

la parola latina insuper = ‘inoltre’ ha questo senso espres-


so; non determina se gli altri la possiedono o meno, ma
si accontenta di affermare che questi sì la posseggono
[…]. Hanno, secondo la nostra opinione, potestà di regi-
me i superiori ed i capitoli di tutti gli altri IR, IS e SVA,
anche quelli laicali, quelli femminili e diocesani; questa
opinione è più comune nel caso degli IS e SVA clericali
pontifici con la facoltà di incardinare.49

Commentando il can. 129, lo stesso autore affermava


che la legge data dal legislatore supremo può concedere
potestà ecclesiastica di regime anche ai laici; in questo
senso, cooperare è sinonimo di essere abili.50
Dando un approccio ermeneutico alle posizioni di in-
terpretazione della potestà nella Chiesa, del Concilio e del
Codice, Beal afferma che anche i Superiori religiosi degli
Istituti laicali partecipano della potestà sacra a norma del
diritto.51 Essi lo fanno assieme ad una serie di altri uffici
che possono essere esercitati da fedeli laici, pur compor-
tando l’esercizio di potestà sacra. Tuttavia l’autore afferma
che una conclusione nel dibattito sulla potestà sacra nella
Chiesa non è prossima a delinearsi nella dottrina. E men-
tre la disputa procede sul campo concettuale, i Vescovi dal
canto loro procedono con la cura delle loro Chiese parti-

49 PIÑERO CARRION, La ley de la Iglesia, vol. 1, 573. Il pensiero del-


l’autore ha avuto un notevole approfontimento e cambiamento dalla
sua prima opera a commento del CIC 83, dove affermava che la po-
testà di cui al §1 non era strettamente di regime, se non negli IR cle-
ricali di diritto pontificio, negli IS clericali di diritto pontificio con fa-
coltà di incardinare, nelle SVA di diritto pontificio con facoltà di in-
cardinare. Cfr. PIÑERO CARRION J.M., Nuevo Derecho Canonico. Ma-
nual practico, Madrid 1983, 283.
50 Cfr. PIÑERO CARRION, La ley de la Iglesia, vol. 1, 263.
51 Cfr. BEAL J.P., The Exercise of the Power of Governance by Lay

People: State of the Question, in The Jurist 55(1995), 90.


La potestà di governo nella vita consacrata
342

colari con i mezzi a loro disposizione, tra cui la cooperatio


in potestate sacra.52
Riferendosi alla formazione ed emissione degli atti am-
ministrativi singolari, Bodzon afferma che chi ha la capaci-
tà di produrre questi atti «deve essere una persona fisica o
giuridica che abbia ricevuto potestà pubblica di governo, di
cui si parla nei cc. 129 e ss.».53 Perciò, continua lo stesso
autore, «si tratta pertanto dell’Amministrazione attiva in
qualche organo, qualsiasi esso sia, della Chiesa particolare
o universale, organo centrale o periferico, di un istituto di
vita consacrata o di una società di vita apostolica».54
Tiongco, nella sua tesi dottorale, ammette che la pote-
stà comune riconosciuta a tutti i Superiori religiosi è di ca-
rattere pubblico.55 Conclude poi affermando che «nella
Chiesa, esiste solo una potestà: la potestas sacra regiminis
seu jurisdictionis. Per questo, la potestà propria e specifica
dei superiori religiosi degli IVC, di origine associativa, è
una potestà partecipativa della potestas sacra, che concede
loro la Chiesa».56

52 Cfr. BEAL, The Exercise of the Power of Governance, 92. L’autore


auspica pure una interpretazione autentica da parte della Santa Sede
del can. 129, per poter togliere quel dubium iuris che il dibattito sulla
natura della potestà sacra ha creato lasciando un vuoto a livello pra-
tico.
53 BODZON J.K., El procedimiento de formacion y emision de los actos

administrativos singulares en el Codigo y segun las normas comunes de la


Curia Romana, in Cuadernos Doctorales 15(1998), 228 [nostra tradu-
zione].
54 BODZON, El procedimiento de formacion y emision de los actos ad-

ministrativos singulares, 228.


55 Cfr. TIONGCO I.A.D., La naturaleza de la potestad en los Institutos

religiosos a la luz de las codificaciones de 1917 y de 1983, in Cuadernos


doctorales 18(2001), 359.
56 TIONGCO, La naturaleza de la potestad en los Institutos religiosos,

359 [nostra traduzione].


Cap. V - Dottrina sulla potestà dei Superiori maggiori
343

Analizzando la struttura meramente giuridica della po-


testà di governo nel Codice, Huels espone vari modi giu-
ridici e quindi de facto in cui i laici esercitano la detta po-
testà nella Chiesa.57 Così questo autore nota che, anche se
il Codice non lo dice espressamente, «chi ha potestà ese-
cutiva per legge sono i superiori ed i corpi collegiali negli
istituti di vita consacrata e società di vita apostolica, sia
clericali sia laicali».58 Egli trova il fondamento di questa
negli atti che i Superiori sia chierici che laici producono,
concessi loro dal diritto stesso e quindi dalla suprema au-
torità nella Chiesa, così come dimostrato dallo stesso au-
tore negli stessi atti amministrativi singolari che vengono
posti dai Superiori.59
Garcìa Martìn, in uno studio riguardante gli atti ammi-
nistrativi singolari, afferma che i Superiori degli Istituti re-
ligiosi laicali di diritto pontificio esercitano potestà esecu-
tiva di governo nella Chiesa.60 Infatti, «tutti gli atti ammi-
nistrativi […] hanno carattere pubblico, con effetti giuri-
dici pubblici. Per produrre tali atti amministrativi è neces-
sario che siano posti da persone che godono di potestà di
governo esecutiva».61 Perciò «i Superiori supremi e, in al-
cuni casi, secondo le costituzioni, anche i Superiori mag-
giori, cioè i provinciali, godono di potestà esecutiva come

57 Cfr. HUELS J., The power of governance and its exercise by lay per-
sons: a juridical approach, in StuCan 35(2001), 59-96.
58 HUELS, The power of governance and its exercise by lay persons, 75

[nostra traduzione].
59 Cfr. HUELS, The power of governance and its exercise by lay persons,

78: “If an act is acknowledged as the power of governance when it is


performed by a cleric, it follows that the same act, when lawfully per-
formed by a lay person, is also an act of governance”. Vd. anche
HUELS J., Another look at lay jurisdiction, in The Jurist 41(1981), 59-80.
60 Cfr. GARCÌA MARTÌN J., Actos administrativos singulares de los

Institutos religiosos laicales de derecho pontificio, in CpR 84(2003), 134.


61 GARCÌA MARTÌN J., Atti amministrativi singolari, Roma 2003, 141.
La potestà di governo nella vita consacrata
344

i Superiori clericali di diritto pontificio, in tutto quello


che si riferisce al regime interno, eccettuati i limiti che
provengono dall’ordine sacro».62
Con chiarezza concettuale ed espositiva, il pensiero di
Torres indica che la potestà definita nel diritto universale
e nelle costituzioni propria degli IVC «consiste sostanzial-
mente in una partecipazione alla potestà della Chiesa stes-
sa».63 Infatti essa è di natura ecclesiale e pubblica e trae ori-
gine da Cristo stesso per il ministero della Chiesa. L’autore
afferma che essa viene partecipata in maniera propria in
ogni Istituto ed in maniera diversificata ai Superiori ed ai
capitoli, che sono la sede suprema, collegiale e legislativa,
della potestà dell’Istituto stesso; mentre i Superiori sono
l’autorità personale esecutiva dello stesso Istituto.64 Nel ca-
so degli Istituti religiosi clericali di diritto pontificio, la po-
testà ecclesiastica di governo partecipata «è completa e
quindi abbraccia ambedue i fori, quello interno sacramen-
tale e non sacramentale, e quello esterno, per cui tali
Superiori sono riconosciuti come Ordinari».65
Seppur indirettamente, anche Celeghin afferma la pos-
sibilità che i Superiori maggiori di Istituti laicali possano
avere potestà di governo. Egli, infatti, parlando a riguardo
della potestà di governo esercitata dai laici, così come vie-
ne vista dalla dottrina, afferma che non sia facile negare
che i laici «possano esercitare potestà di regime e, da

62 GARCÌA MARTÌN, Atti amministrativi singolari, 143. Cfr. IDEM, La

potestad de los Superiores Religiosos de los Institutos religiosos laicales de


derecho pontificio, in CpR 85(2004), 74-75.
63 TORRES J., Norme comuni a tutti gli Istituti di vita consacrata.

Cann. 586-606, Roma 2003-2004, pro manuscripto, 30.


64 Cfr. TORRES, Norme comuni, 31.
65 TORRES, Norme comuni, 32. Perciò il §3 confermerebbe la mag-

giore o minore partecipazione alla potestà ecclesiastica di governo ese-


cutiva.
Cap. V - Dottrina sulla potestà dei Superiori maggiori
345

quanto i membri della Commissione hanno detto, sembra


che non si possa negare che l’ufficio di giudice implichi
esercizio di potestà sacra».66 Pur facendo riferimento
espresso alla potestà giudiziale dei laici, quindi consacrati
e non, si deve tenere presente che i Superiori maggiori
esercitano potestà giudiziale sui loro sudditi, di cui sono re-
sponsabili di fronte alla Chiesa e di fronte a Dio.67
Viana, nell’introdurre il tema della potestas regiminis,
nota che la potestà di diritto divino nella Chiesa è quella
esercitata negli uffici che rappresentano esternamente Cri-
sto, cioè Sommo Pontefice e Vescovi.68 Da parte loro, in-
vece, «tanto i chierici che gli altri fedeli possono coopera-
re nell’esercizio della potestà di giurisdizione che origina-
riamente risiede negli uffici capitali».69 Questo permette,
quindi, diversi tipi di cooperazione nell’esercizio della po-
testà di giurisdizione, sempre secondo ciò che stabilisce il
diritto nella normativa corrispondente ai diversi uffici ec-
clesiastici e alla delegazione di potestà.
Gli autori presi in considerazione in questo paragrafo,
che considerano la potestà di governo partecipata a tutti
gli IVC ed SVA, sono molti e compatti nel pensiero, oltre
ad essere di notevole spessore giuridico. Ad essi va il me-
rito di aver analizzato la potestà esercitata nella vita con-

66 CELEGHIN A., Origine e natura della potestà sacra. Posizioni post-


conciliari, Brescia 1987, 457. Cfr. anche CELEGHIN A., Il «potere di go-
verno» dei laici nella Chiesa, in QDE 2(1989), 315-318.
67 Si pensi ai cann. 695, 697, che trattano della dimissione obbli-

gatoria e non obbligatoria e in forza dei quali il consiglio del Superiore


maggiore deve essere formato da almeno quattro membri, per poter
permettere un tribunale di cinque persone. Cfr. par. 4.3.1.
68 Cfr. VIANA A., Titulus VIII. De potestate regiminis. Introducciòn,

in MARZOA A.-MIRAS J.-RODRÌGUEZ-OCAÑA R. (a cura di), Comenta-


rio exegético al Còdigo de Derecho Canònico, Pamplona 19963, 842-843.
69 VIANA, Titulus VIII. De potestate regiminis, 844 [nostra traduzio-

ne].
La potestà di governo nella vita consacrata
346

sacrata dal punto di vista teologico, storico, ecclesiologico,


giuridico, offrendo quindi un ampio ventaglio di punti di
vista. Proprio per questo si può affermare che tale posizio-
ne complessiva sia ben fondata, corroborata dal Codice
stesso e da diverse leggi prima e dopo di esso e difficilmen-
te contestabile dal punto di vista dottrinale e positivo.
Tuttavia, non mancano le voci contrarie prima del CIC 83
e dopo la sua promulgazione.

5.1.2. Mancanza della potestà di governo


Questa scuola afferma che tutta la potestà sacra ha co-
me fonte il sacramento dell’ordine: chi non ha ricevuto ta-
le sacramento, non può neppure ricevere la potestà sacra.70

a) la potestas sacra si trasmette solo per via sacramentale


A capo della scuola di coloro che vedono solo l’ordina-
to in sacris come soggetto della potestà nella Chiesa tro-
viamo Bertrams. Egli sostiene, infatti, che la potestas sacra
nella Chiesa è propria solo di chi abbia ricevuto la consa-
crazione episcopale o presbiterale almeno:71 i primi perché
sono inseriti nella comunione gerarchica, i secondi perché
ricevono la missio canonica. Quanto invece ai laici, essi
possono esercitare uffici e ministeri nella Chiesa, ma non

70 Nella disamina dei vari autori non sono presi in considerazione


coloro che riprendono la terminologia del CIC 17. Tra questi: SEDOTT
R., Ordensrecht: Kommentar zu den Kanones 573-746 des Codex Juris
Canonici, Frankfurt am Main 1995, 63; AYMANS W., Kanonisches
Recht: Lehrbuch aufgrund des Codex Iuris Canonici, Paderborn 1991,
vol. I, 404-406. Si prendono invece ad esame alcuni autori che, pur
non trattando direttamente della potestà degli IVC ed SVA, tuttavia
si interessano del tema della potestà sacra in generale, argomento im-
portantissimo per capire anche quello inerente la vita consacrata.
71 Cfr. BERTRAMS W., De differentia inter sacerdotium Episcoporum et

Presbyterorum, in Per 59(1970), 185 ss.


Cap. V - Dottrina sulla potestà dei Superiori maggiori
347

partecipare alla potestà sacra.72 Infatti vi sarebbero potestà


pubbliche nella Chiesa che non sono potestà di giurisdi-
zione e, se anche talora i laici hanno ricoperto uffici in cui
si esercitava una qualche giurisdizione, ciò avveniva per
un abuso e non per una legittima attribuzione di potere.73
Sulle stesse posizioni di Bertrams si trova anche Mörs-
dorf, il quale tuttavia oltre a riconoscere un’unica pote-
stà sacra nella Chiesa, nota che essa viene esercitata in
due modi complementari ma inseparabili, entrambi con
il proprio contenuto formale e materiale: ordine e giuri-
sdizione.74 Però tale esercizio complementare non può es-
sere disgiunto in due potestà separate nella Chiesa, ma
deve restare unito, senza portare ad abusi in cui un ve-
scovo eserciti la propria giurisdizione senza essere ordina-
to almeno diacono:75 conferire un ufficio ad un laico si-

72 Cfr. BERTRAMS W., Communio, communitas et societas in Lege fon-


damentali Ecclesiae, in Per 61(1972), 587-588; 591. A p. 589 l’autore
sostiene che il m.p. Causas Matrimoniales di Paolo VI va contro il can.
118 del CIC 17, pure “fondato teologicamente”.
73 Cfr. B ERTRAMS , C ommunio, communitas et societas, 592.

Sostanzialmente della stessa posizione di Bertrams anche ROBLEDA O.,


Quaestio de personalitate offici ecclesiastici non soluta, in Per 56(1967),
384-427; IDEM, Officio exercetur potestas, in Per 57(1968), 482-493;
IDEM, Innovationes Concilii Vaticani II in theoria et disciplina de officiis et
beneficiis, in Per 58(1969), 155-179; IDEM, Iurisdictio-Officium ecclesia-
sticum, in Per 59(1970), 661-689; IDEM, La nocion canonica de officio,
in Gregorianum 54(1973), 353-361; IDEM, Sobre la ‘Sacra Potestas’, in
Gregorianum 57(1976), 147-159; NAVARRETE U., Potestas vicaria Eccle-
siae. Evolutio historica conceptus atque observationes attenta doctrina Con-
cilii Vaticani II, in Per 60(1971), 415-486; SCHWARZ R., De potestate
propria Ecclesiae, in Per 63(1974), 429-445.
74 Cfr. MÖRSDORF K., Einheit in der Zweiheit. Der hierarchische

Aufbau der Kirche, in Archiv für katholisches Kirchenrecht 134(1965), 94.


75 Cfr. MÖRSDORF K., Das konziliare Verständnis vom Wesen der

Kirche in der nachkozinliaren Gestaltung der kirchlichen Rechtsordnung, in


IDEM, Schriften zum kanonischen Recht, Paderborn 1989, 493.
La potestà di governo nella vita consacrata
348

gnifica andare contro la legge e contro la natura della po-


testà sacra.76
Anche Bonnet si trova a sostenere che la potestà nella
Chiesa è legata alla sacramentalità della sua trasmissione e
alla possibilità di una sua ricezione: vi è una differenza fon-
damentale tra sacerdozio ministeriale e sacerdozio comune,
che porta a distinguere tra potestà gerarchica e potestà non
gerarchica.77 Tale differenza è solo funzionale perché

«est in Ecclesia diversitas ministerii sed unitas missionis».


Per esercitare questa pluralità ministeriale è necessario un
potere, e cioè una capacità, che si è voluto, fondazional-
mente, che fosse variamente graduata tra i ‘christifideles’
in ordines o collegia di persone, tutti partecipi, singolar-
mente e alle volte anche insieme, dell’unico ‘potere sa-
cro’ che è nella Chiesa, ma, secondo quanto si è detto, in
modo talora anche essenzialmente diverso […].78

76 Ma secondo l’autore ciò non significa che i laici, in virtù del bat-
tesimo, non partecipino ai tria munera sanctificandi, regendi, docendi,
non solo nel mondo ma anche nella Chiesa. Cfr. MÖRSDORF K., Das
konziliare Verständnis vom Wesen der Kirche, 489-491. Vd. anche
MÖRSDORF K., De conceptu officii ecclesiastici, in Apollinaris 33(1960),
75-87; IDEM, Die hierarchische Struktur der Kirchenverfassung, in Semina-
rium 18(1966), 403-416; IDEM, Ecclesiastical Authority, in Sacramentum
Mundi, vol. 2, Brescia 1969, 133-139; IDEM, De sacra potestate, in
Apollinaris 40(1967), 41-57; IDEM, Das eine Volk Gottes und der Teilhabe
der Laien an der Sendung des Kirches, in Ecclesia et Ius: Festgabe für
Audomar Scheuermann zum 60. Geburtstag, Munich 1968, 99-119.
77 Cfr. BONNET P.A., Una questione ancora aperta: l’origine del pote-

re gerarchico nella Chiesa, in EICan 37(1981), 109-114; IDEM, Diritto e


potere nel momento originario della «potestas hierarchica» nella chiesa.
Stato della dottrina in una questione canonisticamente disputata, in IusCan
5(1975), 148-149; IDEM, «Est in Ecclesia diversitas ministerii sed unitas
missionis», in Droits fondamentaux, Fribourg-Freiburg-Milano 1981,
297-298; 300-301.
78 BONNET, Una questione ancora aperta, 114.
Cap. V - Dottrina sulla potestà dei Superiori maggiori
349

La potestà sarebbe quindi originata da una parte dall’or-


dine sacro, dall’altra dal battesimo unitamente alla cresi-
ma.79 Tuttavia, risulta difficile distinguere nell’autore la
posizione dottrinale cui vuole giungere, per il fatto che egli
ingenera confusione tra i concetti di sacramentalità e di
ordine sacro, di diversi ministeri e di funzioni.
Corecco affermava prima della promulgazione del CIC
83 che «il Vaticano II ha messo l’accento sull’unità della
“sacra potestas”. […] il potere di giurisdizione può essere
conferito solo ad una persona ordinata».80 E questo perché
la potestà sacra non è solo realtà unitaria, ma pure unica:
la divisione tra potestà di ordine e di giurisdizione sarebbe
solo quella di due aspetti formali della medesima ‘potestas
sacra’. L’autore conclude quindi che «l’ipotesi che la “po-
testas sacra” possa essere esercitata disgiuntamente da mi-
nistri diversi, nel potere di ordine e in quello di giurisdi-
zione, sarebbe del resto contraria a tutta la tradizione teo-
logica cattolica».81

79 Cfr. BONNET, Diritto e potere, 148-149.


80 CORECCO E., La «sacra potestas» e i laici, in Studi parmensi 29(1981),
62.
CORECCO, La «sacra potestas» e i laici, 89. È interessante notare che
81

l’autore, a p. 63 dell’articolo, cita Tommaso D’Aquino, il teologo che nel-


la Summa Theologiae, II II, q. 39, a. 3, constatò la distinzione tra potestà
di ordine e di giurisdizione non in senso solo formale, ma anche materia-
le. Del resto, lo stesso autore ammise che la sua posizione riguardo alla sa-
cra potestas non è stata recepita nel nuovo Codice. Vd. anche CORECCO
E., Riflessioni giuridico-istituzionali su sacerdozio comune e sacerdozio ministe-
riale, in AA. VV., Popolo di Dio e sacerdozio. Prassi e linguaggio ecclesiali,
Padova 1983, 80-129; IDEM, Nature et structure de la ‘sacra potestas’ dans
le doctrine et dans le nouveau Code de Droit Canonique, in Revue de Droit
Canonique 34(1984), 361-389; IDEM, Natura e struttura della «sacra pote-
stas» nella dottrina e nel nuovo Codice di diritto canonico, in Communio
75(1984), 24-52; IDEM, Die ‘sacra potestas’ und die Laien, in Freiburger
Zeitschrift für Philosophie und Theologie 27(1980), 120-154; IDEM, I laici nel
Codice di Diritto Canonico, in La Scuola Cattolica 112(1984), 194-218.
La potestà di governo nella vita consacrata
350

De Paolis tratta della questione della potestà sacra, pri-


ma e dopo la promulgazione del CIC 83. Egli afferma che
solo nel sacramento dell’ordine c’è la potestà di Cristo: né
le fonti dogmatiche né il Concilio indicano vie diverse per
il conferimento di tale potestà.82 Di conseguenza, a com-
mento della potestà negli IR e SVA, afferma che il Codice
non qualifica più come dominativa la potestà dei Superiori
e dei capitoli.83 Ma

sembra indubbio che essa non sia potestà di giurisdizione


in foro esterno, dal momento che di essa godono soltan-
to i superiori di cui al §2 dello stesso canone. D’altra par-
te la soppressione della qualifica di potestà dominativa è
eloquente per se stessa; dal momento che la dottrina era
orientata unanimemente a considerarla potestà domina-
tiva pubblica equiparata alla potestà di giurisdizione ese-
cutiva.84

L’autore ricorda inoltre che, al §3, i canoni riguardanti


la potestà esecutiva si applicano agli IVC o SVA in forza
della legge, come afferma anche il can. 145 §285 riguardo
a qualsiasi ufficio ecclesiastico, e perciò la potestà che vi
si esercita «propriamente non è di giurisdizione, neppure
esecutiva, ma viene equiparata a essa».86

82 Cfr. DE PAOLIS V., De natura sacramentali potestatis sacrae, in Per


65(1976), 69.
83 Cfr. DE PAOLIS V., La vita consacrata nella chiesa, Bologna 1992,

112.
84 DE PAOLIS, La vita consacrata nella chiesa, 112.
85 Obligationes et iura singulis officiis ecclesiasticis propria defi-

niuntur sive ipso iure quo officium constituitur, sive decreto auctorita-
tis competentis quo constituitur simul et confertur.
86 DE PAOLIS, La vita consacrata nella chiesa, 112. Vd. anche DE

PAOLIS V., La potestà di governo nella Chiesa. Gli uffici ecclesiastici (libro
I, cann. 129-196), in I religiosi e il nuovo Codice di Diritto Canonico.
Atti della XXIII assemblea della Conferenza Italiana dei Superiori
Cap. V - Dottrina sulla potestà dei Superiori maggiori
351

b) potestà comune
Gambari nega che la potestà di regime sia attribuita
«agli Istituti secolari clericali, anche se di diritto pontifi-
cio; agli Istituti religiosi clericali di diritto diocesano e, na-
turalmente, agli Istituti laicali di qualsiasi genere».87 Egli
chiama ‘comune’ la potestà di tutti i Superiori e capitoli
degli Istituti di vita consacrata. Tuttavia, subito dopo di-
chiara che i Superiori e i capitoli, al can. 596 §1, «hanno
sui membri la potestà di regime definita dal diritto univer-
sale e nelle costituzioni».88 Infine attribuisce a tutti i
Superiori non dotati della potestà di regime, una potestà
in stretta analogia con il potere di regime, pubblica ed
esercitata perché a capo di un ufficio ecclesiale; con tutte
le funzioni analoghe a quella di regime: legislativa, giudi-
ziaria, esecutiva. Questo ci sembra l’autore voglia con
maggior insistenza sottolineare.89
Anche secondo Kasirye essa è potestà comune da non
confondersi con la potestà di governo nelle sue diverse pe-

Maggiori. Collevalenza 8-11.11.1983 (a cura della segreteria CISM),


Roma 1984, 31-63; IDEM, De significatione verborum: iurisdictio «ordina-
ria», «delegata», «mandata», «vicaria», in Per 54(1965), 508-516. Po-
sizione simile anche in ERDÖ P., Il senso della capacità dei laici agli uffi-
ci nella Chiesa, in Fidelium Iura 2(1992), 185, secondo cui la capacità
generale dei laici ad assumere uffici ecclesiastici proviene dal loro do-
vere a partecipare alla missione della Chiesa, non invece a partecipa-
re alla potestas sacra della stessa.
87 GAMBARI E., Vita religiosa oggi secondo il Concilio e il nuovo Diritto

Canonico, Roma 1983, 514. Egli cita in nota l’Ordine Ospedaliero di


S. Giovanni di Dio, IR laicale di diritto pontificio che gode per privi-
legio dell’esenzione ed esercita potestà di regime. Cfr. SAUCEDO R.M.,
Exercitium Iurisdictionis Ecclesiasticae et Superiores Laici ex Ordine
Hospitalitario S. Joannis de Deo, Roma 1932, 35-54.
88 GAMBARI, Vita religiosa oggi secondo il Concilio, 515.
89 Cfr. GAMBARI, Vita religiosa oggi secondo il Concilio, 515; IDEM, I

religiosi nel codice, Milano 1986, 77. La posizione dell’autore è comun-


que difficile da inquadrare.
La potestà di governo nella vita consacrata
352

culiari funzioni, soprattutto perché essa è solo per il foro


esterno, né tanto meno da confondersi con la potestà pri-
vata usata per alcune associazioni private di fedeli. Se-
condo l’autore essa sarebbe fondata sul voto di obbedien-
za, ma sarebbe pubblica.90 Ma – ed è interessante notarlo
– «a riguardo della partecipazione dei religiosi laici nel go-
verno degli istituti religiosi clericali, non ci dovrebbero es-
sere ragioni per rifiutare membri laici per essere assunti nel
governo di istituti diocesani clericali dal momento che
questi non hanno potestà ecclesiastica di governo sia per
il foro esterno che interno, come regolato dal c. 596 §2».91
Dammertz sottolinea che è la Chiesa ad erigere l’Istitu-
to, a riconoscerne la missione e approvarne le costituzio-
ni: «per questo ai superiori ed ai capitoli è dato un potere
che esiste indipendentemente dalla volontà dei membri.
La professione ed il voto di ubbidienza non sono la fonte
costitutiva del potere dei superiori; il religioso piuttosto si
sottomette attraverso la sua professione a questo già esi-
stente potere dei superiori».92 In questo modo afferma che
la potestà di cui gode il superiore è ordinaria e di natura
pubblica ecclesiastica, non privata. Tuttavia, non si sbilan-

90 Cfr. KASIRYE K.A., Authority and the power of governance in


Institutes of Consacrated Life and Societes of Apostolic life: a juridical-
theological study of c. 596, Roma 2002, 116. Cfr. anche MONTAN A.,
Gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, in AA. VV.,
Il diritto nel mistero della Chiesa, vol. II, Roma 1990, 233.
91 KASIRYE, Authority and the power of governance, 116 [nostra tra-

duzione]. Ciò farebbe anche capire perché nei vari schemi di prepara-
zione del Codice, il secondo paragrafo dell’attuale can. 596 veniva
presentato senza la formula iuris pontifici, dando potestà ecclesiastica
di regime a tutti gli Istituti religiosi clericali. Vd. già al riguardo
GALLEN J.F., Canon law for religious after Vatican II, in RevRel
32(1973), 1286-1287.
92 DAMMERTZ V., La nuova figura del Superiore, in AA.VV., Il nuovo

diritto dei religiosi, Roma 1984, 136.


Cap. V - Dottrina sulla potestà dei Superiori maggiori
353

cia nel definirla ulteriormente, se non chiamandola ‘co-


mune’ a tutti gli Istituti.93
Anche D’Ostilio chiama la potestà di cui al §1 comune,
definendola come «la potestà domestica, socio-comunita-
ria, che compete ad ogni superiore religioso, per reggere i
sudditi in ordine al conseguimento del fine proprio del-
l’IVC».94 Tuttavia, nel prosieguo dell’opera afferma che
«gli elementi essenziali dell’atto amministrativo sono i se-
guenti: soggetto, volontà, oggetto, contenuto, causa, forma
[…] Il soggetto, ossia l’autore dell’atto amministrativo, è
una persona fisica o giuridica che sia organo, ufficiale, del-
la Pubblica Amministrazione: della Chiesa Universale, di
una Chiesa Particolare, di uno IVCR o di una SVA, dota-
to della specifica competenza […]».95 Tale è la competen-
za anche degli IVC laicali di diritto pontificio e diocesa-
no, tanto da dover sostenere che essi esercitano potestà ec-
clesiastica di governo, stando al dettato dei canoni.
Esposito sostiene che non si può parlare di potestà di re-
gime ecclesiastica per quanto riguarda il can. 596 §1.96
Infatti, esso «parla della potestà comune a tutti gli Istituti,
quella che il Codice Piano-Benedettino al can. 501 §1
chiamava potestà dominativa che, come abbiamo già nota-
to, deve essere anche essa considerata ecclesiastica perché
data attraverso il ministero della Chiesa e collegata ad un

93 Così pure DI SILVESTRI G.M., Life in common an integral part of


religious life as exemplified in the Congregation of the Sisters of Saint John
the Baptist, Roma 1986, 65.
94 D’OSTILIO F., Il diritto amministrativo della Chiesa, Città del Vati-

cano 1995, 244.


95 D’OSTILIO, Il diritto amministrativo, 301-302. Vd. anche D’OSTI-

LIO F., Necessità e funzione della sacra potestà nella Chiesa, in MonEccl
118(1993), 299-316.
96 Cfr. ESPOSITO B., Alcune riflessioni sul Superiore maggiore in quan-

to Ordinario e sulla valenza ecclesiologica e canonica della qualifica, in


Angelicum 78(2001), 713.
La potestà di governo nella vita consacrata
354

ufficio ecclesiastico a norma del can. 145 §1. Pur tuttavia


questa non deve essere confusa con la potestà di gover-
no».97

c) potestà pubblica – ecclesiastica


Montan dice che «tale potestà è propria di ‘tutti’ gli
Istituti di vita consacrata ed è distinta dalla potestà eccle-
siastica connessa al sacramento dell’ordine»,98 sottolinean-
do le incertezze che derivano circa la terminologia da usa-
re per indicare questa stessa potestà.99 Egli definisce la po-
testà di cui al can. 596 §1 come ‘potestà religiosa ordina-
ria’.100 In un’opera successiva, la indica invece come ‘pote-
stà ecclesiastica pubblica’.101 L’autore specifica che la pote-
stà ecclesiastica di governo per gli Istituti e le Società cle-
ricali di diritto pontificio è dovuta all’incardinazione dei
ministri sacri in questi stessi Istituti e Società: si stabilisce
così chi sia il loro Ordinario.102

97 ESPOSITO, Alcune riflessioni sul Superiore maggiore in quanto Ordi-

nario, 712. Secondo l’autore, che riprende GAMBARI, I religiosi nel co-
dice, 51, questa potestà ha una doppia componente: l’erezione del-
l’Istituto ed approvazione delle costituzioni da parte della Chiesa e
l’Istituto stesso, cui la Chiesa attribuisce effetti giuridici nel proprio
ordinamento.
98 MONTAN A., Gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apo-

stolica. Normativa, in GHIRLANDA G.-DE PAOLIS V.-MONTAN A., La vi-


ta consacrata, Bologna 1983, 161.
99 Va notato che questo stesso autore fa riferimento all’esercizio

della potestà esecutiva da esercitarsi secondo i cann. 31-33 per i de-


creti generali esecutivi e 48-58 per i decreti e precetti singolari. Cfr.
MONTAN, Gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, 161.
100 Cfr. MONTAN, Gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apo-

stolica, 167.
101 Cfr. MONTAN A., Il diritto nella vita e nella missione della Chiesa.

1. Introduzione. Norme generali. Il popolo di Dio (Libri I e II del Codice),


Bologna 2000, 285.
102 Cfr. MONTAN A., Gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita

Apostolica, in AA.VV., Il diritto nel mistero della Chiesa, vol. II, Roma
Cap. V - Dottrina sulla potestà dei Superiori maggiori
355

Lesage chiama la potestà di cui al §1 del can. 596 col


nome di «pouvoir public de governement»,103 ‘potestà
pubblica di governo’, riconoscendola ai Superiori laici di
Istituti maschili e femminili, maggiori e locali. Allo stesso
tempo distingue una potestà ecclesiastica di governo ‘mag-
giore’ per gli Ordinari o Superiori maggiori degli Istituti
clericali di diritto pontificio, ‘minore’ per i Superiori an-
che locali degli Istituti religiosi clericali di diritto pontifi-
cio,104 creando delle distinzioni non presenti nel Codice
esplicitamente e ricordando che la potestà ecclesiastica di
governo esige il sacramento dell’ordine.
Nel suo commento al can. 35 circa l’autorità competen-
te ad emanare gli atti amministrativi singolari, Miras di-
chiara che non basta una qualsiasi potestà pubblica per
emanare atti amministrativi singolari: «nemmeno lo sono
gli atti giuridici realizzati in virtù di una potestà pubblica
che non sia esecutiva: per dare un atto amministrativo sin-
golare è necessaria la potestà esecutiva».105 Tuttavia, nota
successivamente che gli atti di governo provenienti dagli
IVC non provengono propriamente da potestà ecclesiasti-
ca di regime, perché «congrua congruis referendo […] sebbe-
ne non sia potestà esecutiva, le si applicano le norme sul-
la potestà esecutiva ».106

1990, 231. Tuttavia lo stesso autore contrappone la struttura gerarchi-


ca della Chiesa alla natura carismatica degli IVC (vd. p. 242) per af-
fermare la fondamentale differenza con la potestà gerarchica. Ci chie-
diamo se non sia più rispettoso della natura pneumatologica della
Chiesa, affermare che sia la gerarchia sia la vita consacrata sono doni
dello Spirito Santo per l’utilità comune.
103 LESAGE G., Renouveau de la vie religieuse, 59.
104 Cfr. LESAGE, Renouveau de la vie religieuse, 59.
105 MIRAS J., Capitulo I Normas comunes. Cc. 35-47, in MARZOA

A.-MIRAS J.-RODRÌGUEZ-OCAÑA R. (a cura di), Comentario exegético al


Còdigo de Derecho Canònico, Pamplona 19963, 503-504 [nostra tradu-
zione].
106 MIRAS J., Capitulo I Normas comunes. Cc. 35-47, 504.
La potestà di governo nella vita consacrata
356

È definita potestà dominativa pubblica da Pazhayam-


pallil, il quale la distingue dalla potestà giurisdizionale e
nota che è esercitata negli IVC ed SVA, in quanto «è una
partecipazione imperfetta della potestà giurisdizionale del-
la Chiesa».107 Essa verrebbe direttamente dal Papa agli
Istituti e da questi ai loro Superiori, i quali quindi non
eserciterebbero in forza del voto d’obbedienza (in quanto
anche nelle SVA, pur non avendo voti, essa viene eserci-
tata).108
Attenendosi alle sole espressioni del Codice e della
Commissione preparatoria del Codice, Rincòn-Pérez affer-
ma che potrebbe esistere un tertium quid in cui «la potestà
pubblica nella Chiesa tenga anche manifestazioni differen-
ti: quella di regime propriamente detta, molto vincolata al
sacramento dell’Ordine, e quella pubblica di indole asso-
ciativa».109 L’autore propone di trasporre questa potestà a
tutte le associazioni pubbliche, sostenendo che questa po-
testà pubblica «alcune volte riveste natura di vera giurisdi-
zione, e altre al contrario, ha solo carattere associativo, per
quanto la sua finalità rimanga il governo dei fedeli che vo-
lontariamente si ascrivono a detta associazione, nel caso
dei religiosi, mediante la professione religiosa e l’emissio-
ne dei voti sacri, tra questi, quello di obbedienza».110 Rin-

107 PAZHAYAMPALLIL T., A Commentary on the new Code of Canon


Law, Bangalore 1985, 425 [nostra traduzione].
108 Cfr. PAZHAYAMPALLIL, A Commentary on the new Code of Canon

Law, 426.
109 RINCÒN-PÉREZ T., Titulo I Normas comunes a todos los Institutos

de vida consagrada. Cc. 573-606, in MARZOA A.-MIRAS J.-RODRÌGUEZ-


OCAÑA R. (a cura di), Comentario exegético al Còdigo de Derecho Ca-
nònico, Pamplona 19963, 1472 [nostra traduzione].
110 RINCÒN-PÉREZ, Titulo I Normas comunes, 1472; IDEM, La aplicacion

del nuevo Codigo de Derecho Canonico en el ambito de los Institutos de vi-


da consagrada (Comentarios de los decretos de las SCRIS de 2.II.1984), in
IusCan 25(1985), 272.
Cap. V - Dottrina sulla potestà dei Superiori maggiori
357

còn-Pérez, ancora, afferma che «sebbene gli Istituti seco-


lari clericali e quelli di diritto pontificio non sono, in li-
nea di principio, titolari della potestà ecclesiastica di regi-
me, pure possono ottenerla con lo stesso atto di concessio-
ne della facoltà di incardinare».111
Diversamente, Martinez Sastre afferma commentando
il can. 129 §2 che i religiosi possono partecipare alla po-
testà di regime perché «in quella si afferma categoricamen-
te che i non ordinati possono cooperare nel suo eserci-
zio»,112 come nel caso dell’indulto di dimissione che una
Superiora generale può concedere a una religiosa di voti
temporali. Tuttavia, commentando il can. 596 §1, dimen-
tica quanto appena affermato e sostiene che «gli istituti di
religiose non posseggono alcuna potestà di regime che
sempre va annessa alla potestà sacra di Ordine».113 Defi-
nisce questa potestà come ‘potestà ecclesiastica’ o sempli-
cemente ‘potestà’.
Così anche Senofonte considera che la potestà ecclesia-
stica di governo, già nel lavoro del Coetus di preparazione
del Codice, sia affermata per gli Istituti religiosi laicali tut-
ti e per quelli clericali di diritto diocesano e secolari, ma
non esercitata in modo pieno.114 Infatti, solo negli IR e
nelle SVA clericali di diritto pontificio essa è ricevuta ed

111 RINCÒN-PÉREZ T., Pars III. De institutis vitae consecratae et de so-


cietatibus vitae apostolicae. Cc. 573-746, in ARRIETA J.I. (a cura di),
Codice di diritto canonico e leggi complementari commentato, Roma 2004,
447. Cfr. anche RINCÒN-PÉREZ T., Pars III. De institutis vitae consecra-
tae et de societatibus vitae apostolicae, in LOMBARDÌA P.-ARRIETA J.I. (a
cura di), Codigo de Derecho Canonico. Edicion anotada, Pamplona 1983,
400.
112 MARTINEZ SASTRE P., Las religiosas en el nuevo Codigo de Derecho

Canonico, Murcia 1983, 22 [nostra traduzione].


113 MARTINEZ SASTRE, Las religiosas en el nuevo Codigo, 55.
114 Cfr. SENOFONTE B., La potestas degli Istituti di vita consacrata (cann.

596, 617, 618), in MonEccl 117(1992), 313.


La potestà di governo nella vita consacrata
358

esercitata in modo pieno. Secondo l’autore, «conferma


pratica di questa dottrina sicura è data dal fatto che que-
sti Istituti incardinano ministri sacri (chierici) i quali de-
vono avere un loro proprio Ordinario».115 Tuttavia, l’auto-
re conclude, dopo tali premesse, asserendo che «nei due
paragrafi del can. 596 si tratti di due potestà distinte, di
natura diversa», come potrebbe essere confermato dall’av-
verbio insuper.116
Recchi sottolinea che, sebbene la potestà di cui al §1
non possa essere considerata una delegazione di potere fat-
ta dalla gerarchia, essa non va considerata una «potestà di
giurisdizione di foro esterno, goduta solo dai superiori di
cui al can. 596 §2».117 Tuttavia, la stessa autrice nota che
questa potestà non può nascere dal voto e quindi essere di
natura privata, perché il voto non conferisce ai Superiori
tutte le competenze per svolgere la missione propria
dell’Istituto.118

d) potestà indefinita
Non dà alcuna denominazione a questa potestà Gallen,
il quale ricorda che «superiori provinciali e locali devono
possedere l’autorità necessaria almeno per il governo nor-
male della provincia e delle case […]».119 Lo stesso autore
nota che questi Superiori esercitano una ‘potestà giudizia-
le imperfetta’ sui membri dell’Istituto e una ‘potestà coer-
citiva’ di imporre pene conformi al diritto particolare.120

115 SENOFONTE, La potestas degli Istituti di vita consacrata, 313.


116 SENOFONTE, La potestas degli Istituti di vita consacrata, 317.
117 RECCHI S., Commento ai cann. 573-709, in AA.VV., Codice di di-

ritto canonico commentato, (a cura della Redazione di Quaderni di dirit-


to ecclesiale), Milano 2001, 519.
118 Cfr. RECCHI, Commento ai cann. 573-709, 519.
119 GALLEN J.F., Canon Law for Religious: an explanation, New York

1983, 34 [nostra traduzione].


120 Cfr. GALLEN, Canon Law for Religious, 34-35.
Cap. V - Dottrina sulla potestà dei Superiori maggiori
359

Valtorta afferma che la potestà negli Istituti femminili


non è sacra e che i capitoli non hanno potestà esecuti-
va.121 Tuttavia, va notato che i capitoli emanano decreti
generali esecutivi, quindi essi devono possedere anche po-
testà esecutiva generale ai sensi del can. 31 §1 (oltre a po-
testà legislativa), la quale sarà personale perché esercitata
non su un territorio ma su un gruppo di persone determi-
nato.122
Si limita solo a riportare il can. 596 §1 Arboleda Va-
lencia che, nel commentare la parte comune a tutti gli
IVC, rimanda al diritto proprio dell’Istituto, lasciando al-
la dottrina di altri l’approfondimento della potestà dei
Superiori e dei capitoli.123
Nel suo commento al can. 596 §1, Williamson afferma
che la potestà definita dal diritto universale e dalle costi-
tuzioni per i Superiori non va confusa con la potestà ec-
clesiastica di governo di cui al §2, pur essendo simile ad

121 Cfr. VALTORTA U., Le norme comuni agli Istituti di vita consacrata,
in AA.VV., Gli Istituti religiosi nel nuovo Codice di Diritto Canonico,
Milano 1984, 101. L’affermazione è rilevante, quanto meno perché non
considera gli Istituti religiosi laicali maschili a priori, creando una dif-
ferenza di trattamento indebita che va contro il disposto del can. 606.
122 Cfr. CONGREGATIO PRO RELIGIOSIS ET INSTITUTIS SAECULA-

RIBUS, decr. Iuris Canonici Codice, 2 febbraio 1984, in AAS 76(1984),


499; GARCÌA MARTÌN J., Atti amministrativi generali, Roma 2004, 138-
142. Vd. anche MIRAS J.-CANOSA J.-BAURA E., Compendio de Derecho
Administrativo Canònico, Pamplona 2001, 82.
123 Cfr. ARBOLEDA VALENCIA H.D., Le norme comuni agli Istituti di

vita consacrata. Superiori, Consigli e Capitoli (L. II, P. III, Cann. 573-
633), in AA.VV., I religiosi e il nuovo Codice di Diritto Canonico. Atti
della XXIII Assemblea CISM. Collevalenza (PG) 8-11 Novembre 1983,
Roma 1984, 115; 122. Un altro autore, CORIDEN J.A., An introduction
to Canon Law, New York 1991, 156, 96, afferma che il Codice resta
volutamente ambiguo riguardo alla cooperazione dei laici al governo
nella Chiesa, per lasciar spazio ad applicazioni diverse.
La potestà di governo nella vita consacrata
360

essa in molti aspetti.124 Ma non viene indicato che tipo di


potestà essa possa essere.
Nel suo commento ai canoni comuni agli IVC, O’Hara
afferma che tale potestà descritta al §1 è applicabile a tut-
ti i livelli di Superiori e capitoli nell’Istituto, ma non ne
dà alcuna specifica denominazione.125 Solo ricorda la pro-
posta della Canon Law Society of America di cambiare le
parole «gaudent ea potestate», per non lasciar adito a
fraintendimenti, quasi che questa potestà provenisse dal
voto di obbedienza.126 Nella stessa opera, Modde fa riferi-
mento all’erezione e soppressione di case e di province re-
ligiose senza mai dire la potestà di cui deve godere l’auto-
rità competente;127 tale è anche la sua posizione commen-
tando il can. 617.128
In maniera limitativa e, per certi aspetti, negativa,
Labandeira afferma essere soggetti della potestà esecutiva
coloro che sono denominati Ordinari nel can. 134 §1, va-
le a dire il Romano Pontefice, i Vescovi diocesani ed equi-
parati, quelli che vi esercitano potestà esecutiva ordinaria
generale, i Superiori maggiori degli IVC e SVA clericali di

124 Cfr. WILLIAMSON E., Commentary in can. 596, in AA.VV., The


Canon Law. Letter & Spirit. A practical guide to the Code of Canon Law,
Trowbridge, Wiltshire 1995, 328. Della stessa opinione, anche se trat-
tando un argomento diverso, circa i Superiori non chierici negli IVC
clericali, è WOESTMAN W.H., De Institutis clericalibus vitae consecratae
et Superioribus non clericis, in MonEccl 110(1985), 416; 419.
125 Cfr. O’HARA E., Norms Common to All Institutes of Consecrated

Life. Canons 573-606, in HITE J.-HOLLAND-S. WARD D. (a cura di), A


Handbook on canons 573-746, Collegeville Minnesota 1985, 50-51.
126 Cfr. O’HARA E., Norms Common to All Institutes of Consecrated

Life, 50.
127 Cfr. MODDE M.M., Religious Houses and Governance : Canons

607-633, in HITE J.-HOLLAND S.-WARD D. (a cura di), A Handbook on


canons 573-746, Collegeville Minnesota 1985, 66-67.
128 Cfr. MODDE, Religious Houses and Governance, 74.
Cap. V - Dottrina sulla potestà dei Superiori maggiori
361

diritto pontificio.129 Coloro che emettono atti amministra-


tivi singolari sarebbero «sottomessi a fiscalizzazione tanto
del superiore gerarchico (cc. 1400 §2 e 1732-1739) come
del tribunale amministrativo (cc. 1400 §2 e 1445 §2)».130
Tuttavia, tra questi non rientrerebbero i Superiori di
Istituti laicali, in quanto non elencati tra gli Ordinari al
can. 134 §1.

e) potestà laica – battesimale


Aymanathil la definisce ‘potestà laica’, creando un’ulte-
riore categoria.131 Egli prosegue affermando che questa po-
testà laica ha il suo fondamento «nel diritto associativo ed
anche nella concessione su parte della Chiesa. […] così in
conclusione noi non possiamo che includere la potestà
menzionata nel can. 596 §1 nella categoria di potestà con-
cessa alle associazioni».132
Alla luce del Concilio Vaticano II, Marcuzzi afferma
che la fonte della potestà del can. 596 §1 è il battesimo
che conferisce a ciascun fedele il sacerdozio comune (LG
10). Infatti, c’è una differenza sostanziale, qualitativa, tra
la potestà di cui al can. 596 §2 e quella di cui al §1, pur
essendo la potestà di natura sacramentale.133 Dunque, essa
è ‘potestà battesimale’, mentre quella del capitolo derive-
rebbe indirettamente dalla Chiesa stessa, il Vescovo dio-
cesano per gli Istituti di diritto diocesano, la Santa Sede

129 Cfr. LABANDEIRA E., La distinction de poderes y la potestad ejecu-

tiva, in IusCan 28(1988), 95.


130 LABANDEIRA, La distinction de poderes, 96 [nostra traduzione].
131 Cfr. AYMANATHIL J., Personal Authority of the Religious Superiors

in the Legislation of the Church, Roma 1989, 17.


132 AYMANATHIL, Personal Authority of the Religious Superiors, 22-23

[nostra traduzione].
133 Cfr. MARCUZZI P.G., Natura della Potestà degli Istituti di Vita

Consacrata, in AA.VV., Lo stato giuridico dei consacrati per la professione


dei consigli evangelici, Città del Vaticano 1985, 115-118.
La potestà di governo nella vita consacrata
362

per quelli di diritto pontificio. Entrambe dunque sono so-


stanzialmente, e non formalmente, diverse da quella de-
scritta nel §2.134
Esponendo il tema della potestas regiminis, Arrieta affer-
ma che «le prescrizioni generali di questo titolo, nella mi-
sura in cui la natura della questione o la stessa legge non
vi osti, sono dirette a disciplinare il potere giuridico dei su-
periori ed i capitoli degli istituti di vita consacrata, sia ma-
schili che femminili».135 Ma, continua,

la natura della potestà giuridica che viene esercitata è di-


versa: mentre l’una scaturisce dalla dipendenza giuridica
che, in considerazione degli obblighi nascenti dal
Battesimo, si stabilisce con l’autorità gerarchica della
Chiesa (potestà gerarchica o di giurisdizione sensu stricto);
dall’altra invece, si basa sull’impegno d’obbedienza al su-
periore giuridicamente assunto con il vincolo sacro (po-
testà che il CIC 17 chiamava ‘dominativa’).136

Non è perciò possibile confondere le due potestà, né


darne un significato di cooperazione da parte di laici alla
seconda.

f) potestà propria
Ara osserva il tema della potestà nella Chiesa e negli
IVC innanzitutto dal punto di vista del servizio: se la na-
tura e caratteristiche della potestà negli IVC è conforme a

134 Cfr. MARCUZZI P.G., Natura della Potestà degli Istituti di Vita

Consacrata, in MonEccl 110(1985), 114-115; 118. Lo stesso autore


preferisce parlare di differenza qualitativa della potestà e insiste a que-
sto riguardo sulla natura sacramentale delle potestà.
135 ARRIETA J.I., Titulus VIII. De potestate regiminis, in ARRIETA J.I.

(a cura di), Codice di diritto canonico e leggi complementari commentato,


Roma 2004, 143.
136 ARRIETA, Titulus VIII. De potestate regiminis, 143.
Cap. V - Dottrina sulla potestà dei Superiori maggiori
363

quelle della Chiesa stessa, ciò è dovuto all’insegnamento


evangelico.137 Perciò, «sono gli istituti religiosi clericali di
diritto pontificio quelli che godono di potestà di regime o
di governo in senso pieno, mentre negli altri istituti si ri-
conosce una certa abilità per l’esercizio di questa potestà,
escluso sempre l’ordine sacro in coloro che non abbiano ri-
cevuto il sacerdozio».138 Definisce questa la ‘potestà pro-
pria’ di ogni Istituto, di carattere pubblico anche se non
autentica potestà di regime ecclesiale.139
Nella stessa posizione si trova anche Holland che, cri-
ticando le posizioni della Commissione per la Revisione
del Codice, afferma che le costituzioni di ogni Istituto de-
vono definire attentamente la potestà propria dei
Superiori e dei capitoli.140 Non si spinge oltre nel definire
quale tipo di potestà gli stessi IR o IVC in genere eserciti-
no al loro interno.141

137 Cfr. ARA S., La potestad de gobierno en los Institutos de vita con-

sagrada, in Laurentianum 32(1991), 371. Vd. anche SPITERIS J., “Pote-


stas regendi” e sacerdozio in rapporto alla vita religiosa. Una retrospettiva
storica, in Laurentianum 28(1987), 376.
138 ARA, La potestad de gobierno, 382 [nostra traduzione].
139 Cfr. ARA, La potestad de gobierno, 386.
140 Cfr. HOLLAND S.L., Commentary on cann. 573-606, in CORIDEN

J.A.-GREEN T.J.-HEINTSCHEL D.E. (a cura di), The Code of Canon Law.


A text and commentary, Mahwah 1985, 463. Va notato che anche in
questa traduzione anglofona del Codice, come in molte altre (per es.,
The Code of Canon Law in English translation. Prepared by The Canon
Law Society of Great Britain and Ireland in association with The Canon
Law Society of Australia and New Zealand and The Canadian Canon Law
Society, Bath 1983; The Canon Law. Letter & Spirit. A practical guide to
the Code of Canon Law, Trowbridge, Wiltshire 1995), il termine pote-
stas viene tradotto con il termine inglese authority. Questa traduzione
sembra essere quanto mai erronea, perché incapace di attribuire al sog-
getto investito di tale autorità i rispettivi doveri, diritti e facoltà.
141 Cfr. HOLLAND, Commentary on cann. 573-606, 464. E questo

nonostante nella stessa opera si evincano posizioni diverse, quali pos-


sono essere quelle di RISK J.E., Commentary on cann. 29-95, in
La potestà di governo nella vita consacrata
364

g) potestà spirituale
Nel commentare il can. 596 §1, Khoury traduce lo stes-
so con «i Superiori ed i capitoli degli istituti godono verso
i soci di quella autorità, la quale è definita nel diritto uni-
versale e nelle costituzioni».142 Con questa traduzione erra-
ta, l’autore prosegue negando che tale potere provenga da
una delega fatta dalla gerarchia o «dalla volontà dei mem-
bri che si danno un superiore per farsi governare».143 Perciò
egli la qualifica come ‘potestà spirituale’, in quanto gli IVC
ed SVA traggono origine dallo Spirito Santo. Tuttavia,
l’autore nota che «negli istituti religiosi questo potere è, in
più, ecclesiale e quindi aggregato al potere dei Vescovi, ha
carattere giurisdizionale, in virtù del quale i superiori eser-
citano un potere in foro interno ed esterno».144

h) potestà religiosa
Dal canto suo, Castaño indica che la potestà di gover-
no negli Istituti religiosi è «una potestà ‘religiosa’ che
compete ai superiori e capitoli di tutti gli istituti religiosi,
anche agli istituti laicali».145 Quanto alle sue caratteristi-

CORIDEN J.A.-GREEN T.J.-HEINTSCHEL D.E. (a cura di), The Code of


Canon Law. A text and commentary, Mahwah 1985, 49, a riguardo de-
gli atti emanati dai Superiori di IR di diritto pontificio in generale.
142 KHOURY J., Commento ai cann. 573-661, in PINTO P.V. (a cura

di), Commento al Codice di Diritto Canonico, Città del Vaticano 1985,


356.
143 KHOURY, Commento ai cann. 573-661, 356, tesi ampiamente

confutata nei capp. I-II.


144 KHOURY, Commento ai cann. 573-661, 356. Sembra strana tale

posizione, probabilmente dovuta ad un errore, nel dimenticarsi che


anche gli IR possono essere clericali o laicali, a norma del can. 588.
Lo stesso errore, come pure l’errata traduzione del canone, è stato fat-
to anche nella seconda edizione del testo; vd. PINTO P.V. (a cura di),
Commento al Codice di Diritto Canonico, Città del Vaticano 20012, 361.
145 CASTAÑO J.F., La vita religiosa. Exposicion teologico-juridica,

Salamanca 1998, 95 [nostra traduzione].


Cap. V - Dottrina sulla potestà dei Superiori maggiori
365

che, essa è «di natura spirituale, tipica della Chiesa, ma,


sebbene sia potestà di governo nella Chiesa, non si iden-
tifica con la potestà ‘ecclesiastica di governo’ [...]».146
Tuttavia, circa la potestà propria degli Istituti secolari,
l’autore non trova espressioni adatte a descriverla.147
Sembra sicuro invece che essa «appartiene alla Chiesa,
partecipa logicamente della natura della ‘potestà ecclesia-
stica’».148
Moreno, prendendo ad esame le norme generali, pone
tra i soggetti attivi degli atti amministrativi singolari i so-
li Superiori degli Istituti di vita consacrata o apostolica
clericali di diritto pontificio.149 Non entrando nel merito
di una terminologia impropria per descrivere le Società di
vita apostolica che emerge nel trattato dell’autore, tutta-
via si deve notare l’incompletezza dell’elenco di coloro che
possono esercitare potestà di regime esecutiva.

i) potestà del governante


Liguori Okure afferma con forza, in riferimento al can.
596 §1, che «i superiori partecipano a ‘quella stessa pote-
stà’ di regime cosiddetta potestà di giurisdizione secondo la
natura di ogni istituto».150 Infatti, l’autrice sostiene che

146 CASTAÑO, La vita religiosa, 96.


147 Cfr. CASTAÑO J.F., Gli Istituti di vita consacrata: cann. 573-730,
Roma 1995, 144. L’autore sostiene che il fondamento prossimo di que-
sta potestà è la professione dei consigli evangelici, soprattutto il voto
d’obbedienza.
148 CASTAÑO, Gli Istituti di vita consacrata, 147; 150. A p. 148-149

sembra avvicinarsi molto all’affermare che i Superiori laici cooperano


nell’esercizio della potestà di regime e, cioè, operano con quanti sono
insigniti dell’ordine sacro nella Chiesa.
149 Cfr. MORENO J.M.D., Derecho canonico. Parte general y matrimo-

nial, Madrid 20004, 58.


150 LIGUORI OKURE M., Church authority as service with particular at-

tention to consecrated life, Roma 2003, 135 [nostra traduzione].


La potestà di governo nella vita consacrata
366

tutti i Superiori possiedono potestà ordinaria sia propria


che vicaria, delegabile ed esercitabile secondo i limiti del
mandato; inoltre, essi possiedono potestà esecutiva ordina-
ria legata a tutte le caratteristiche proprie della delega di
potestà.151 Tuttavia, nel seguito del suo lavoro dottorale,
chiama potestas gubernantis la potestà di cui al §1, soste-
nendo inadeguati tutti gli altri appellativi che gli sono sta-
ti dati e che essa, seppur molto simile alla potestà di regi-
me, «non è interamente corrispondente alla potestà di go-
verno della Chiesa».152

5.2. Diversità di vedute: prospettive


ermeneutiche

Come si è notato, è difficile trovare una linea comune


tra i diversi autori nella trattazione del tema della potestà
che il diritto universale e le costituzioni definiscono. Tra
coloro che sostengono che tale potestà è la stessa potestà
di regime della Chiesa e coloro che trovano altri titoli per
definirla sembra esserci un divario incolmabile.

A coloro che sostengono che la potestà di governo è in-


scindibilmente ‘unita al sacramento dell’ordine’, prima e
dopo la promulgazione del CIC 83, si può rispondere non
solo con una lettura dal punto di vista positivo dello stes-

151 Cfr. LIGUORI OKURE, Church authority as service, 134-135. Questo

è comprensibile perché “la potestà del Superiore è servizio; egli deve


governare come colui che serve, perché è obbligato per ufficio a servi-
re comandando”; BOCCARDELLI B., La dignità del religioso e la potestà del
superiore nel nuovo codice di Diritto Canonico, in DirEccl 97(1986), 345.
152 LIGUORI OKURE, Church authority as service, 165. A questo pun-

to, per soddisfare le esigenze di tutti, si potrebbe provvedere mante-


nendo la locuzione stessa riportata nel canone, senza ulteriori specifi-
cazioni.
Cap. V - Dottrina sulla potestà dei Superiori maggiori
367

so Codice, ma anche con una lettura dal punto di vista


teologico-dogmatico della stessa posizione.
Dal punto di vista giuridico, il Codice in più casi stabi-
lisce che i laici possono cooperare all’esercizio della pote-
stà di governo con la gerarchia. Gran parte della dottrina,
infatti, afferma questo quando si osservano i canoni con-
creti in cui la potestà viene esercitata anche da laici. Si
nota in particolare il can. 1421 §2 circa la nomina del giu-
dice laico in un collegio di tre giudici.
Dal punto di vista teologico, basti ricordare il già cita-
to Folio ex officio della Sacra Congregazione per la
Dottrina della Fede153 che non negava uffici ecclesiastici ai
laici, se non quelli intrinsecamente legati al sacramento
dell’ordine. Inoltre ci si pone di fronte il problema storico:
come giustificare tutte le situazioni oggettive in cui i laici
in passato154 hanno esercitato potestà di governo? Ciò và
poi confrontato con la delegazione di potestà fatta dallo
stesso Romano Pontefice o dalla gerarchia.

La definizione di potestà ‘comune’ a tutti gli IVC ed


SVA così come espressa da molti autori, sembra non po-
tersi sostenere per diverse ragioni. Anzitutto, si noti che
quegli stessi Superiori possono e in alcuni casi devono
emettere decreti, indulti, rescritti, atti tutti appartenenti
alla potestà esecutiva nella Chiesa. In secondo luogo, si
osserva che i capitoli esercitano potestà legislativa.
Inoltre, i Superiori ricoprono un ufficio cui è annessa po-
testà ordinaria.
A rigor di logica, proseguendo con l’affermazione che
quella che esercitano è potestà comune ma non di gover-
no, si potrebbe osservare che tale potestà in realtà non può

153 Vd. paragrafo 3.4.1.


154 Vd. cap. I.
La potestà di governo nella vita consacrata
368

essere tanto comune: come sostenere che i Superiori han-


no potestà comune con i capitoli? Se poi a definirla sono,
oltre al diritto comune (che applica diversa legislazione
per gli IR, gli IS e le SVA) anche le costituzioni e quindi
il diritto particolare, come affermare che essa è comune a
tutti gli IVC (e per combinato disposto anche alle SVA)
se poi ogni Istituto può definirla in maniera diversa e dar-
ne diversi contenuti? Sembra potersi dire che tutto questo
sia una contraddizione in termini.

Il titolo di potestà ‘pubblica’ o ‘ecclesiale’ trova il pro-


prio fondamento nel lavoro di formazione del Codice da
parte della Commissione preparatoria. Esso definisce il ca-
rattere di questa potestà, ne dà una connotazione pubbli-
ca nella Chiesa e perciò la definisce ecclesiastica e, in que-
sto, non sbaglia. Tuttavia ci si chiede se la Chiesa defini-
sca nel libro I sulle norme generali qualche altro tipo di
potestà pubblica al suo interno; o se lo stesso libro I non
sbagli nel ritenere necessaria la potestà esecutiva per pro-
durre atti amministrativi singolari: non potrebbe bastare la
potestà pubblica?
Sembra perciò una posizione limitativa e che non si
spinge nel definire di che tipo di potestà pubblica si tratti
questa dei Superiori e dei capitoli.
Gli autori, invece, che non definiscono la potestà di cui
al §1 del can. 596 sono diversi. A riguardo di questa posi-
zione non sembra sconveniente dare la stessa risposta usa-
ta dagli autori stessi.

Alcuni autori la definiscono potestà ‘laica’, trovando la


sua fonte nel sacramento del battesimo. Essa non viene as-
similata alla potestà del giudice laico che pure, se tale è il
suo stato nella Chiesa, dovrebbe essere laica. Inoltre, affer-
ma che tale potestà trova origine nel battesimo comune a
tutti i fedeli e che li rende tutti sacerdoti, re e profeti, an-
Cap. V - Dottrina sulla potestà dei Superiori maggiori
369

che se in diverso modo. Ma dai documenti conciliari non


emerge in alcun luogo che il battesimo abiliti ad un qual-
che tipo di potestà, contrapposta alla potestà di governo
della Chiesa. Essa sembra creare piuttosto due tipi diversi
di potestà, quasi che il can. 129 §2 non parlasse di coope-
razione nell’esercizio della stessa potestà sacra, quanto in-
vece di esercizio di potestà laicale di origine battesimale.
Tale posizione è perciò inaccettabile.

La cosiddetta potestà ‘propria’ dei Superiori e dei capi-


toli non dice in realtà niente di nuovo. Infatti, ogni uffi-
cio esercita la potestà che le è propria, ma ciò non signifi-
ca definirla, quanto piuttosto sviare il problema circa il suo
contenuto materiale e formale.

Un autore usa per questa potestà il termine di potestà


‘spirituale’. Essa definisce l’origine della potestà in sé, non
invece la sua qualità. Tuttavia, a tale posizione si potreb-
be ribattere che anche la potestà sacra nella Chiesa ha ori-
gine spirituale ed è, certamente, il vertice di ogni potere
spirituale nella Chiesa. Invece, questo autore non assimi-
la tale potestà a quella sacra, pur riconoscendola come po-
testà ecclesiastica.
Ciò che si può rilevare, tuttavia, è che l’idea di potestà
spirituale sembra richiamare in qualche modo ad una po-
testà di ordine privato, nonostante si faccia espresso riferi-
mento all’origine non umana della stessa.

La potestà ‘religiosa’ definita da Castaño rimanda ad


una potestà di ordine meramente privato, che fa riferimen-
to alla precedente potestà dominativa del CIC 17 e al vo-
to di obbedienza circa la sua origine. Essa inoltre non è po-
testà uguale in tutti gli IVC: secondo l’autore essa è qua-
litativamente diversa negli IS rispetto a quella negli IR.
Questo sembra essere contraddittorio, in quanto anche le
La potestà di governo nella vita consacrata
370

SVA non hanno membri religiosi, tuttavia esercitano gli


stessi diritti e doveri degli IVC, e viene loro attribuita po-
testà religiosa. In realtà, l’autore definisce religiosa questa
potestà, che si potrebbe meglio dire ‘potestà degli IVC ed
SVA’, cioè dei religiosi in senso ampio, dei consacrati.

L’ultimo autore la definisce potestas gubernantis, e certa-


mente il termine non è inappropriato. Tuttavia, non defi-
nisce tanto la potestà in sé, quanto piuttosto chi la eserci-
ta, il suo soggetto attivo, in un modo piuttosto generico.
Si dovrebbe in questo caso guardare alle varie categorie di
‘governanti’ presenti nella vita consacrata (interni ed
esterni), creando così una gran quantità di classificazioni,
di gruppi e tipi, dando ad ognuno attribuzioni diverse. Si
ricadrebbe nella divisione quantitativa della potestà, ma
non qualitativa.

Tutte queste posizioni dottrinali sembrano affondare le


proprie radici sul can. 129 §1 e in una lettura esclusiva del
can. 274 §1, non prendendo in considerazione il can. 228
§1 e la natura degli Istituti e Società laicali, secondo il
can. 588. A tali posizioni si cercherà ora di rispondere sul
piano ecclesiologico per fondare secondo un modello con-
ciliare il can. 129 §2 circa la cooperazione all’esercizio del-
la potestà sacra da parte dei laici.

5.3. Linee personali

Se da un lato si deve dunque affermare che anche i lai-


ci, conformemente alle disposizioni del CIC 83, esercita-
no potestà di regime, si può dall’altro notare che il Codice
stesso non fa alcun riferimento alla dottrina, alla «potestas
sacra ordini sacro innixa» o «non innixa». Con l’affermare
che anche i laici possono esercitare – e di fatto lo fanno –
Cap. V - Dottrina sulla potestà dei Superiori maggiori
371

potestà di governo, non arriva a sostenere che la dottrina


che presenta il sacramento dell’ordine come fonte di tutta
la potestà sacra sia stata rifiutata; o che si lasci strada pro-
prio alla dottrina tradizionale sull’origine della potestà; o
che ogni potestà derivi dall’ordinazione e tuttavia l’autori-
tà suprema, una volta in possesso della pienezza della po-
testà, possa trasmetterla anche al di fuori della consacra-
zione.
Però certamente afferma che a loro viene riconosciuta
potestà di regime e che la dottrina della origine sacramen-
tale della potestà sacra riconosce l’esercizio di essa anche
da parte dei laici stessi. Per farlo, elimina la tradizionale
distinzione tra Istituti esenti e non esenti, che aveva crea-
to differenze a livello di rapporti con gli Ordinari del luo-
go, ma che non riusciva a dare sufficientemente ragione
dell’autorità interna all’Istituto.
A livello giuridico, il CIC 83 al can. 274 §1 afferma che
«soli clerici obtinere possunt officia ad quorum exercitium
requiritur potestas ordinis aut potestas regiminis ecclesia-
stici», irrigidendo la posizione di LG 20-21 e NEP 2 circa
il legame tra potestà di regime e ordinazione sacerdotale.
Dall’altro lato, il can. 228 in entrambi i suoi paragrafi sot-
tolinea che i laici ritenuti idonei habiles sunt a ricevere uf-
fici ecclesiastici o nel portare il proprio aiuto e consiglio
ai Pastori della Chiesa.155
Questo rimanda direttamente al can. 129 §2 e a quel
cooperari possunt nella potestà sacra della Chiesa, per
quanto non sia legato direttamente con il sacramento del-

155 §1. Laici qui idonei reperiantur, sunt habiles ut a sacris

Pastoribus ad illa officia ecclesiastica et munera assumantur, quibus ip-


si secundum iuris praescripta fungi valent.
§2. Laici debita scientia, prudentia et honestate praestantes, habi-
les sunt tamquam periti aut consiliarii, etiam in consiliis ad normam
iuris, ad Ecclesiae Pastoribus adiutorium praebendum.
La potestà di governo nella vita consacrata
372

l’ordine. Ciò d’altro canto è comprensibile se guardiamo ai


par. 4.4.1 e 4.4.2. in cui abbiamo notato come Superiori
laici esercitino come dovere o come diritto potestà eccle-
siastica di governo nel campo esecutivo, conformemente
ai cann. 35 e seguenti sugli atti amministrativi singolari.
Tale novità certamente al CIC 83 va riconosciuta, perché
«laicorum delectio ad praestandam operam secundum jus
in potestate iurisdictionis»156 e tale è, secondo il diritto,
l’opera nell’esercizio della potestà di giurisdizione.
Se poi queste sono note caratteristiche dell’ufficio di
Superiore maggiore, dobbiamo riconoscere a questi stessi
Superiori anche la possibilità, già concessa anche ai laici
secolari, di assistere ai matrimoni (can. 1112), di essere
giudici in un tribunale collegiale (cann. 1421 §2; 1428
§2), di essere promotori di giustizia o difensori del vinco-
lo (can. 1435) e altri ancora.
Non solo, ma se guardiamo all’autorità competente ad
erigere case e comunità presso le Società di vita apostoli-
ca, vi troviamo nuovamente i Superiori che esercitano ta-
le diritto producendo un decreto a norma del diritto pro-
prio e del diritto comune (cann. 114 §1; 116; 35; 48). Essi
creano quindi degli uffici ecclesiastici, in quanto vi inse-
diano un Superiore locale il quale sarà tenuto ad esercita-
re la potestà che gli viene conferita.157 Esercitano quindi,
a livello generale, provinciale e locale, quella potestà pro-
pria degli uffici ecclesiastici, ordinaria e, secondo i cann.
617, 618, 619, in partecipazione con la potestà ecclesiasti-
ca di governo.
Parafrasando il can. 596 §1, de potestate quae iure uni-
versali et constitutionibus definitur possiamo dire che essa è
di natura pubblica ecclesiastica e di origine divina (can.

156 SERRAINO M., Epitome Juris Canonici ad mentem Codicis 1983,

Trapani 1988, 37.


157 Cfr. ROBLEDA O., Officio exercetur potestas, in Per 57(1968), 483.
Cap. V - Dottrina sulla potestà dei Superiori maggiori
373

129 §§1-2), annessa all’esercizio di un ufficio ecclesiastico


conformemente al diritto (cann. 145 §1; 617; 618; 619).
Pur non comportando il pieno esercizio della potestà di
governo nel caso dei Superiori non chierici degli Istituti di
diritto pontificio,158 tuttavia essa è la stessa potestà di go-
verno (can. 129 §2) e può quindi essere delegata come af-
ferma il can. 596 §3 nei suoi riferimenti.
Gli Istituti e le Società sono divise in IVC e SVA di di-
ritto pontificio o diocesano (can. 589), ma possono essere
anche esenti o non esenti (se il Sommo Pontefice eserci-
ta il suo diritto di farlo; can. 591). Inoltre, mentre negli
Istituti e Società clericali tale potestà viene esercitata sia
in foro esterno che in quello interno, pur rimanendo sem-
pre valido il disposto del can. 630 §4 secondo cui i Supe-
riori devono evitare di ascoltare le confessioni dei loro
sudditi, invece negli Istituti e Società laicali essa è eserci-
tata sia in foro esterno che in quello interno ma non sa-
cramentale.
Va notato inoltre che negli Istituti di diritto pontificio
la potestà di governo viene conferita ai Superiori dal
Sommo Pontefice attraverso la mediazione del diritto uni-
versale e delle costituzioni di ogni singolo Istituto tramite
approvazione della Sede Apostolica; di converso, negli
Istituti di diritto diocesano la potestà di governo viene
conferita ai Superiori attraverso la mediazione del diritto
universale e dal vescovo diocesano mediante l’approvazio-
ne delle costituzioni di ogni singolo Istituto. Come può in
questo senso venire chiamata potestà comune, se ad ogni
Istituto viene data una diversa potestà, secondo il volere
della legittima autorità? A meno che colui che approva le

158 Come già notato (cap. IV), si tratta di potestà di governo non

piena in quanto si esprime nella sua attività amministrativa-esecutiva


e giudiziale, non invece legislativa (lasciata ai capitoli, che pur sono
parte dei soggetti attivi nel can. 596).
La potestà di governo nella vita consacrata
374

costituzioni e sancisce il diritto universale, potendo dele-


gare la propria potestà (che altra non può essere, sia a li-
vello diocesano che pontificio, se non potestà sacra), la
partecipi a tutti i Superiori degli IVC e delle SVA. Questa
partecipazione non è però classificabile nell’ordine della
potestà delegata, bensì in quello della potestà ordinaria,
perché annessa ad un ufficio in maniera stabile e propria,
essendo una concessione di una autorità che precede
l’Istituto stesso, e in ordine temporale e in ordine morale.
Dunque, l’espressione «potestate quae iure universali et
constitutionibus definitur» rimanda direttamente a quella
presente nel can. 129 §2, «ad normam iuris cooperari pos-
sunt» che descrive l’esercizio della potestas regiminis da par-
te dei laici.
La locuzione del §2, «insuper […] pro foro tam externo
quam interno» va ad aggiungere qualcosa che il diritto nor-
malmente non ha bisogno di specificare, perché «potestas
regiminis de se exercetur pro foro externo», can. 130. Ciò di-
venta maggiormente evidente negli atti amministrativi po-
sti da un laico che sia cancelliere di curia, o da un giudice
laico, o da un Superiore di un Istituto laicale: si tratta cioè
di cooperazione all’esercizio della potestà di governo.
Dunque la specificazione «sia per il foro esterno che in-
terno» va ad aggiungere qualcosa di ulteriore, certamente,
rispetto al §1, ma in quanto quella potestà è delimitata al
solo foro esterno, dove la potestà di governo viene di per
sé solitamente esercitata. Una potestà di governo, d’al-
tronde, che anche se aperta all’esercizio nel foro interno,159

159 È nota la distinzione del foro interno sacramentale e non sacra-

mentale: sembra che in questo caso, quindi, si parli esclusivamente del


foro interno sacramentale, riservato a chi ha ricevuto il sacramento
dell’ordine dal grado di presbiterato. Il problema sussiste nel fatto che
tale potestà di governo esecutiva nel foro interno viene concessa an-
che ai capitoli: consiste in un eventuale segreto da mantenere all’in-
Cap. V - Dottrina sulla potestà dei Superiori maggiori
375

viene comunque sconsigliata nella possibilità dell’ammini-


strazione del sacramento della penitenza dallo stesso dirit-
to, tranne il caso in cui i sudditi stessi lo richiedano. Il
can. 968 §2, infatti, afferma che proprio in forza dell’uffi-
cio i Superiori di un Istituto religioso o di una Società di
vita apostolica clericali e di diritto pontificio hanno facol-
tà di ricevere le confessioni dei sudditi propri e di chi di-
mora diu noctuque nelle proprie case.160
D’altronde questa potestà di governo sarebbe compren-
sibile anche osservando l’evoluzione che ha subito l’istitu-
to dell’esenzione: se prima, infatti, essa attribuiva la pote-
stas iurisdictionis solo all’Istituto che avesse beneficiato del-
l’esenzione (cfr. can. 501 CIC 17), con il nuovo Codice
essa esime gli Istituti di vita consacrata dal governo degli
Ordinari del luogo e li sottopone soltanto all’autorità del
Sommo Pontefice (can. 591), nulla mutando nel tipo di
potestà che viene esercitata al loro interno. Infatti, ai sin-
goli Istituti (cioè a tutti e a ciascuno) viene riconosciuta
comunque una giusta autonomia di vita, ‘specialmente di
governo’ (can. 586 §1).161
A quale titolo può essere allora possibile questa coope-
ratio nell’esercizio della sacra potestas?
Una possibile risoluzione all’intero problema và ricerca-
ta in un nuovo modello ecclesiologico proposto dallo stes-
so Concilio Ecumenico Vaticano II: la Chiesa come sacra-

terno dei capitoli? È solo una attribuzione spirituale? O forse anche qui
si attribuiscono potestà diverse a soggetti pure diversi: ai Superiori sia
il foro esterno che quello interno, ai capitoli solo il foro esterno?
Difficile capire il dettato del canone, che si rivela ancora una volta
molto approssimativo.
160 Ad essi è pure consentito dispensare dai voti privati per una giu-

sta causa; cfr. can. 1196, 2°.


161 Cfr. a questo riguardo MANTUANO G., Appunti sui limiti alla «sa-

cra potestas» degli Ordinarii ex can 682 §2 del Codex, in DirEccl


99(1988), 440-441.
La potestà di governo nella vita consacrata
376

mento universale della salvezza, «Ecclesia universali salutis


sacramentum» (LG 48). È lo sviluppo dottrinale di secoli
di lotte attorno all’assioma «extra Ecclesiam nulla salus» at-
tribuito a san Cipriano (†258)162 e che tuttavia non è sta-
to recepito dal Concilio stesso secondo quella che era l’in-
terpretazione tradizionale.
Infatti, la posizione attuale della Chiesa si pone nell’in-
terpretare l’assioma con un significato nuovo, «sine
Ecclesia nulla salus»,163 cambiando completamente la pro-
spettiva di lettura riguardo la salvezza che viene portata
dalla Chiesa nel mondo: Gesù Cristo è l’unico mediatore
e via alla salvezza attraverso le sue disposizioni alla fede e
al battesimo.164 E proprio Cristo e la sua Chiesa formano
una mystica persona: essa è suo corpo e perciò lo rappresen-
ta. Ne deriva che essa è sacramento, strumento dell’azione
di Cristo: senza di essa la salvezza non sarebbe presente nel
mondo e nella storia.
Cristo ed il deposito della fede, di conseguenza, diven-
gono parametro per valutare le vie di salvezza che storica-
mente possono presentarsi all’umanità e che, lontani dal
cadere nel relativismo, propongono a volte elementi posi-
tivi verso la salvezza. Proprio alla difesa e al servizio di
questo popolo, il popolo di Dio, Cristo pone la sacra gerar-
chia, Romano Pontefice per la Chiesa universale e Vescovi

162 CIPRIANO, Epistola ad Iubaianum, 73,21, cit. in QUASTEN J.,


Patrologia, Casale Monferrato 1983, vol. I, 603. Fu poi ripresa da mol-
tissimi Padri della Chiesa ed autori della cristianità; basti per tutti
AGOSTINO D’IPPONA, De peccatorum meritis et remissione et de baptismo
parvulorum, III, 11,19, in MIGNE J.P., Patrologiae cursus completus.
Series latina, Parigi 1844-1864, vol. 44.
163 Cfr. CANOBBIO G., «Extra Ecclesiam nulla salus», in Rivista del

clero italiano 6(1990), 442.


164 In 1Tim 2,4-5 leggiamo: “Dio vuole che tutti gli uomini siano

salvati e arrivino alla conoscenza della verità. Uno solo infatti è Dio
e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù”.
Cap. V - Dottrina sulla potestà dei Superiori maggiori
377

per le Chiese particolari. La sacra potestas è consegnata a


loro originariamente e sommamente.
Perciò, se da un lato osserviamo che «sine Ecclesia nul-
la salus», dall’altro possiamo pure notare che «sine hierar-
chia nulla potestas»: non vi potrebbe essere, infatti, alcun
principio di governo, di magistero, di santificazione nella
Chiesa se non vi fossero i sacri Pastori – maestri di dottri-
na, sacerdoti del sacro culto, ministri del governo – in suc-
cessione apostolica ed in comunione gerarchica con il
Capo e le membra del Collegio.165 Romano Pontefice e
Collegio dei Vescovi sono la suprema autorità della Chiesa
cui viene affidata la potestà per guidare alla salus anima-
rum per conto ed in nome di Cristo stesso.
È la stessa gerarchia perciò che può affiancare a sé altri
nell’esercizio della sacra potestà: così è con la costituzione
dei presbiteri fin dal principio della Chiesa stessa, in epo-
ca neotestamentaria.166 E nell’esercizio della potestà, an-
che partecipata, si sono creati con il tempo diversi altri uf-
fici, istituti, collegi che coadiuvavano i sacri Pastori verso
l’espletamento del loro incarico supremo, teso al bene di
tutti.
Lo stesso Codice dice che «Romano Pontifici praesto
sunt Episcopi, qui eidem cooperatricem operam navare va-
lent variis rationibus».167 Si parla di cooperazione anche
del presbiterio verso il proprio Vescovo nella cura pastora-
le della diocesi168 e di cooperazione che vi deve essere an-
che tra i presbiteri stessi (cosa che presuppone una condi-

165 Cfr. can. 375.


166 Cfr. At 14,23; 20,17; Tt 1,5-7; 1Pt 5,1. Anche se gli inizi di que-
sta prassi sono dubbi, sicuramente è consolidata già dagli inizi del II
sec.
167 Can. 334. Il corsivo è mio.
168 Can. 369: “Dioecesis est populi Dei portio, quae Episcopo cum

cooperatione presbyterii pascenda concreditur…”


La potestà di governo nella vita consacrata
378

visione degli stessi fini, doveri, diritti e per molti aspetti


anche potestà).169
A questa cooperazione sono chiamati anche i fedeli lai-
ci, a norma del diritto, non perché ne siano abili ontolo-
gicamente, ma perché chiamati dalla stessa gerarchia a ta-
le esercizio attraverso la missio canonica. Una cooperazione
che sembra essere ben al di là della semplice formale attri-
buzione, come nell’uso di potestà esecutiva qualcuno ha
voluto dire.170 Un ‘operare con’ la sacra gerarchia, Romano
Pontefice e Vescovi riuniti in collegio, unici capaci di par-
tecipare la propria potestà ad altri fedeli.
Secondo quanto da noi riscontrato, ciò avviene trami-
te il diritto, cioè tramite l’attribuzione di diritti e doveri
fatta dal Codice stesso, promulgato ed approvato dal
Romano Pontefice, approvato dai Vescovi tutti sparsi in
tutta la Terra ma in comunione gerarchica tra loro e con
il Papa. Esso è segno eloquente della ministerialità della
Chiesa, di quel servizio teso alla salus animarum che si
espleta in svariate forme e che si estende ad ogni fedele ca-
pace di annunciare il Vangelo.
In quest’ottica sembra potersi risolvere la dicotomia
dottrinale tra potestà sacra inscindibilmente legata al sa-

169 Can. 275 §1: “Clerici, quippe qui omnes ad unum conspirent
opus, ad aedificationem nempe Corporis Christi, vinculo fraternitatis
et orationis inter se uniti sint, et cooperationem inter se prosequantur,
iuxta iuris particularis praescripta”. Purtroppo la traduzione italiana
del testo usa il verbo collaborare, che svia dalla ricerca circa la coope-
razione, ma che forse fa meglio trasparire l’uguaglianza intercorrente
tra i chierici stessi. Si parla di cooperazione anche in diversi altri ca-
noni, tra cui ricordiamo il can. 759 sulla cooperazione del fedele lai-
co (battezzato e cresimato) con il Vescovo e presbiteri nell’esercizio
del ministero della Parola; il can. 296 circa la cooperazione dei laici
nelle opere apostoliche di una prelatura personale; il can. 434 circa la
cooperazione che vi deve essere tra i Vescovi di una stessa regione.
170 Cfr. ARRIETA, Titulus VIII. De potestate regiminis, 143.
Cap. V - Dottrina sulla potestà dei Superiori maggiori
379

cramento dell’ordine e potestà sacra partecipata attraverso


la missio canonica. È, infatti, dal proprio essere «sacramen-
to universale di salvezza» che la Chiesa attinge la potestà
che gli è necessaria per svolgere il suo mandato. Tale sa-
cramento va ben al di là del suo essere compagine visibi-
le, società perfetta, istituzione, ma si inserisce nel corpo
mistico di Cristo, prolungamento dell’azione iniziata da
Gesù e che si protrae nei secoli.
«Gli uomini si salvano mediante la Chiesa, si salvano
nella Chiesa, ma sempre si salvano per la grazia di Cristo»
affermava Giovanni Paolo II in una sua opera171, cioè la
ministerialità della Chiesa si manifesta nel suo essere sa-
cramento di Cristo. D’altronde, i tre uffici della Chiesa,
come quelli di Cristo profeta, sacerdote e re, si compene-
trano qualificandosi reciprocamente: l’azione profetica
della Chiesa è sacerdotale e regale; la sua attività sacerdo-
tale è profetica e regale; le sue funzioni regali sono profe-
tiche e sacerdotali.172 Tutto questo si manifesta in modo
particolare nell’azione redentrice di Cristo presente nel-
l’eucaristia e nella missione regale della Chiesa. Qui essa
fa avanzare l’opera di Cristo sottomettendo la creazione a
Dio, anelando al giorno in cui Dio sarà tutto in tutti. È
mediante la sua ministerialità e sacramentalità che la
Chiesa partecipa alla funzione regale di Cristo che venne
non per essere servito, ma per servire (RH 21).173

171 GIOVANNI PAOLO II, Varcare la soglia della speranza, Milano

1994, 154.
172 Cfr. WOJTYLA K., Sources of Renewal: The Implementation of

Vatican II, San Francisco 1979, 221.


173 Cfr. WOJTYLA, Sources of Renewal, 264.
La potestà di governo nella vita consacrata
380

5.4. Applicazioni e strade aperte

Da quanto fin qui detto, sembra potersi affermare che il


canone 596 non dà maggiori chiarimenti di quelli che rie-
sce in realtà a confondere: il compromesso cui si è giunti
per la versione attuale del canone (cfr. cap. III) ha prodot-
to una norma che nel §1 è priva di contenuto essenziale e
nel §2 è incompleta nella sua espressione.
Infatti, il §1 rimanda la definizione della potestà al di-
ritto proprio ed universale, ma questo dice chiaramente
che essa è potestà esecutiva di governo, che si esplica sia
nel §3 con le norme generali circa la potestà esecutiva, or-
dinaria o delegata, sia con il rimando nel Libro II parte III
a tutti i decreti, licenze, indulti, che un Superiore di IVC
(IR ed IS) deve emettere a norma dei canoni relativi nel
Libro I del Codice. Perché allora escluderla dal canone?
Invece il §2, pur facendo direttamente riferimento al
can. 129 §1 circa coloro che sono abili alla potestà di go-
verno, esclude da essa coloro che ricoprano un ufficio di
Superiore ma ‘solo’ in un Istituto di diritto diocesano. Tale
posizione sembra essere del tutto arbitraria, in quanto l’uf-
ficio di Superiore, di diritto pontificio o di diritto diocesa-
no che sia l’Istituto, comunque è costituito in maniera sta-
bile, ordinaria e non delegata. Ciò significa che i sacerdo-
ti che ne siano titolari sono abili alla potestà di governo.
Perché questa omissione?
Non si consideri perciò avventata una nuova formula-
zione del canone o forse la formulazione di un nuovo ca-
none, che renda ragione, pur esprimendosi in maniera
non dissimile dal precedente circa la forma, della potestà
che viene esercitata negli IVC (e conseguentemente, per
mezzo del can. 732, anche nelle SVA). Và notato anzitut-
to che la dottrina, per quanto ci si sia avventurati nel-
l’analisi di circa sessanta autori tra le diverse scuole dot-
trinali, non si è espressa in alcun modo a riguardo, quin-
Cap. V - Dottrina sulla potestà dei Superiori maggiori
381

di non si è avuto modo alcuno di confrontarsi con altri


pensieri.174
L’intento del prossimo paragrafo sarà perciò di sintesi e
di proposta giuridica.

5.4.1. La formulazione di un nuovo canone?


Il testo del can. 596 è:

§1. Institutorum Superiores et capitula in sodales ea gau-


dent potestate, quae iure universali et constitutionibus
definitur.
§2. In institutis autem religiosis clericalibus iuris pontifi-
cii pollent insuper potestate ecclesiastica regiminis pro
foro tam externo quam interno.
§3. Potestati de qua in §1 applicantur praescripta cann.
131, 133 et 137-144.

Secondo quanto detto, la divisione più conforme alla


teologia sottostante le norme generali, ed in particolare il
tit. VIII circa la potestà di governo, è quella che distingue
tra Istituti laicali ed Istituti clericali. Tuttavia, tale distin-
zione, come notato al cap. II, non vuole creare due classi
distinte di potestà, quanto piuttosto due modi distinti di es-
sere chiamati ad esercitarla: chi rivestito dell’ordine sacro
perché abile, chi è laico perché chiamato a cooperarvi.
Perciò, circa il §1 si noti subito che i Superiori ed i ca-
pitoli degli Istituti laicali esercitano potestà di governo

174 Solo Andrés, nell’evoluzione del suo pensiero, si è spinto a ri-

formulare in questo modo il canone: “i superiori di tutte le forme di


vita consacrata hanno quel grado di cooperazione all’esercizio della
potestà ecclesiastica di regime che, secondo il diritto, è consentito lo-
ro per il carattere laicale o diocesano di alcuni di essi, o per la man-
canza del sacramento dell’ordine nei titolari degli uffici”. Cfr. ANDRÉS,
Le forme di vita consacrata, 81. Tale formula, pur lodevole, ci pare pos-
sa essere ulteriormente migliorata.
La potestà di governo nella vita consacrata
382

cooperando con la sacra gerarchia. Ciò significa che coo-


perari possunt sia a livello universale, cioè con gli Istituti di
diritto pontificio in relazione al Romano Pontefice, sia a
livello locale, cioè con gli Istituti di diritto diocesano in
relazione al Vescovo diocesano. Non sembra necessaria
una distinzione tra le due categorie – diritto pontificio e
diritto diocesano – poiché anche in questi ultimi, secondo
il diritto universale, viene esercitata potestà esecutiva con-
formemente a quanto concesso dal diritto comune (per
esempio per l’erezione e la soppressione di case
dell’Istituto, cann. 609; 616) e dal Vescovo del luogo nel
quale risieda la casa principale in accordo con gli altri
Vescovi (can. 595 §1).
Non avrebbe invece senso includere in questo primo
paragrafo gli Istituti secolari clericali o gli Istituti clericali
di diritto diocesano, giacché la potestà che vi viene eser-
citata è legata pure all’ufficio e all’ordine sacro che ad
esercitarla li rende abili.
Dunque, partendo da questi presupposti, si potrebbe co-
sì formulare una parte del canone 596:

In Institutis laicalibus Superiores et capitula in exercitio


potestatis regiminis cooperantur ad normam iuris univer-
salis et particularis pro foro tam externo quam interno,
sed non sacramentale.

Questo rispetterebbe la suddivisione del can. 588 §3,


aggiungendo tuttavia una specificazione invece presente
nel §2 riguardo agli Istituti clericali: l’Istituto laicale è
quello che è governato da laici.
Riguardo invece ad una seconda parte del canone, si
dovrebbe specificare la potestà propria negli Istituti cleri-
cali. Conformemente a quanto già espresso nell’attuale §2,
gli Istituti religiosi clericali di diritto pontificio godono di
potestà ecclesiastica di governo. Ma lo stesso vale per gli
Cap. V - Dottrina sulla potestà dei Superiori maggiori
383

Istituti religiosi clericali di diritto diocesano, i quali pure


la esercitano sia per il foro esterno che interno. Tale posi-
zione è avvalorata dalle stesse disposizioni del Codice ri-
guardo alla potestà esecutiva e da quelle circa il sacramen-
to della penitenza (cfr. can. 974).
Si può dunque riformulare questo paragrafo in maniera
più ampia e, in certo qual modo, anche più conforme al li-
bro I che dispone tutto l’ordinamento del Codice:

In Institutis clericalibus tam iuris pontificii quam iuris


dioecesani Superiores et capitula pollent potestate regi-
minis ad normam iuris universalis et particularis.

Le differenze tra Istituti di diritto pontificio e diocesa-


no constano nei canoni del Codice espressamente, la-
sciando a volte al diritto particolare, alle costituzioni, di
determinare l’autorità competente per determinati atti
(per es.: cann. 609; 618). Non si parla più di potestà di go-
verno «pro foro tam externo quam interno», perché il dirit-
to universale cui si rimanda fa esplicito riferimento al fo-
ro interno anche sacramentale in più luoghi (per es. can.
630 §4-5).
Inoltre, non si usa il termine ecclesiastica per indicare la
potestà di governo, in quanto nel can. 129 §1 si parla so-
lamente di potestas regiminis, senza ulteriori specificazioni.
È, infatti, nella Chiesa ed in una sua persona giuridica
pubblica che viene esercitata tale potestà: non si vede il
bisogno di appesantire ulteriormente il canone.
Infine, per riprendere proprio la forma usata dal can.
129, risulta più agevole porre prima la seconda parte ri-
guardo gli Istituti clericali, in secondo luogo quella riguar-
do gli Istituti laicali, ponendo il tutto in due paragrafi:

§1. In Institutis clericalibus tam iuris pontificii quam


iuris dioecesani Superiores et capitula pollent potesta-
La potestà di governo nella vita consacrata
384

te regiminis ad normam iuris universalis et particula-


ris.
§2. In Institutis laicalibus Superiores et capitula in exer-
citio potestatis regiminis cooperantur ad normam iuris
universalis et particularis pro foro tam externo quam in-
terno, sed non sacramentale.

In questo modo si rende ragione dell’esercizio della po-


testà esecutiva che avviene in entrambi i tipi di Istituti, gli
uni perché abili ad esercitarla, gli altri perché chiamati a
cooperare dal diritto stesso nel suo esercizio. Si evitano
inoltre elucubrazioni atte a giustificare la possibilità per
Superiori laici di produrre atti che propriamente apparten-
gono solo a chi gode di potestà sacra o, più verosimilmen-
te, a negare che gli atti che questi producono siano vera-
mente tali.

5.4.2. Strade aperte


La nuova impostazione dell’esercizio della potestà negli
IVC ed SVA trova una nuova prospettiva che parte dalle
discussioni fatte dal Coetus de Religiosis: se cioè la potestà
esercitata negli Istituti e nelle Società è di indole pubbli-
ca, perché non regolamentarla come ogni potestà pubbli-
ca nella Chiesa?
Tale prospettiva apre nuovi orizzonti nello studio e nel-
l’approfondimento della stessa. Infatti, se coloro che go-
vernano un gruppo di persone e le guidano nel vivere co-
mune o nel secolo verso la salus animarum esercita su di lo-
ro una potestà pubblica, affidata loro dalla Chiesa e non
di indole privata, allora essi esercitano potestà sacra per il
fatto di essere riconosciute dalla Chiesa stessa a livello
universale o locale.
Questo potrebbe significare, in primo luogo, una mag-
gior competenza per quanto riguarda il governo anche de-
gli Istituti e Società di diritto diocesano, permettendo il ri-
Cap. V - Dottrina sulla potestà dei Superiori maggiori
385

corso presso il Vescovo competente o presso gli organi


centrali da parte dei membri.
In secondo luogo, significherebbe dare ulteriore attua-
zione, pur nel rispetto di un legittimo controllo del supe-
riore competente, del principio di sussidiarietà, che ha ret-
to la formulazione del Codice vigente e che può venire
considerato una innovazione notevole nel diritto della
Chiesa.
In ultima analisi, significa attuare anche quella valoriz-
zazione e riconoscimento dell’operato del fedele laico, sen-
za il rischio di clericalizzazione del laicato, da parte di
qualche autore avvertito come un pericolo nella Chiesa
post-conciliare. Il riconoscimento di compiti prettamente
di governo, non riguardanti il foro interno e l’ambito del-
la potestà di ordine, sembra invece lasciare un ampio spa-
zio all’iniziativa laicale, sia negli Istituti maschili che fem-
minili.
Tale posizione sarebbe inoltre conforme alle disposizio-
ni del can. 606 che non vuole differenze, quanto piuttosto
«pari iure de utroque sexu», considerato che «status vitae
consecratae, suapte natura, non est nec clericalis nec laicalis»,
can. 588 §1.

5.5. Conclusioni

In questo capitolo si sono analizzate le principali posi-


zioni dottrinali riguardo al can. 596 da noi trattato. Gli au-
tori descrivono la «potestas quae iure universali et constitu-
tionibus definitur», chi affermando la sua fondamentale
uguaglianza con la potestas sacra della Chiesa, chi negan-
dola.
Coloro che la assimilano alla potestà sacra nella Chie-
sa, vi vedono un frutto del Concilio Vaticano II ed un ri-
conoscimento del posto che la vita consacrata ha nella
La potestà di governo nella vita consacrata
386

Chiesa. Quest’ultima, infatti, non ha altra potestà di indo-


le pubblica se non quella sacra, e tale è quella esercitata
negli IVC ed SVA. Essa viene partecipata dalla gerarchia
della Chiesa agli stessi Superiori e capitoli per mezzo del
diritto.
Coloro che negano agli Istituti e alle Società un qual-
che esercizio di potestà sacra non sono unanimi nel defi-
nire la potestà che il diritto concede a tutti coloro che fan-
no parte della vita consacrata. Essa, con particolare riferi-
mento al §1 del can. 596, viene descritta a volte come po-
testà comune, altre come pubblica – ecclesiastica, altre an-
cora non gli viene dato alcun nome o descrizione. Vi è chi
poi afferma che la potestà sacra è nella Chiesa solo per chi
ha ricevuto il sacramento dell’ordine e, perciò, è inscindi-
bilmente unita ad essa e chi, avvallando questa teoria, af-
ferma che la potestà di cui godono gli altri Istituti e
Società non clericali di diritto pontificio sia di origine bat-
tesimale, quindi propriamente laicale. Vi è chi la definisce
propria e chi la ritiene spirituale perché scaturente dallo
Spirito che ispira i carismi e la vita consacrata stessa.
Qualche autore la definisce religiosa, seppur applicata an-
che alle SVA e IS che non hanno membri religiosi. Infine,
vi è chi la definisce come la potestà dei governanti, di co-
loro che governano l’Istituto.
Tutte queste posizioni che negano la potestà di gover-
no agli IR o alle SVA che non siano clericali e di diritto
pontificio (can. 596 §2), risultano di fatto come posizioni
parziali, che non guardano cioè all’insieme dei fattori che
compongono la potestà: soggetti attivi e passivi, doveri e
diritti, ecclesiologia e fini sottostanti. Essi piuttosto accen-
tuano ora l’uno ora l’altro elemento, perdendo la visione
d’insieme e quindi anche una valutazione equilibrata del-
la potestà stessa.
Il capitolo prosegue affermando che la potestà definita
dal diritto universale e dalle costituzioni è, di fatto, pote-
Cap. V - Dottrina sulla potestà dei Superiori maggiori
387

stà sacra della Chiesa e nella Chiesa che viene partecipa-


ta a tutti gli IVC e SVA, sia clericali che laicali. Agli
Istituti clericali, perché i loro Superiori ne sono abili in
base al can. 129 §1 e all’ufficio che devono esercitare in
base al can. 145. Agli Istituti laicali, perché i loro Supe-
riori cooperano al suo esercizio in base al can. 129 §2 e al-
l’ufficio che devono espletare in base al can. 145.
Il fondamento di quanto affermato si trova nella nuova
ecclesiologia del Vaticano II che, staccandosi in certo sen-
so dal passato recente, non vede più se stessa solo come so-
cietas perfecta, ma si ritrova anche in altri modelli ecclesio-
logici che, nel loro insieme, mostrano la complessità della
struttura della Chiesa. In particolare, è la Chiesa come sa-
cramento universale di salvezza (LG 48) e, quindi, la sua di-
mensione sacramentale (in senso ampio) a divenire fonda-
mento per la diffusione della potestà sacra al suo interno.
Infatti, se da un lato il Concilio propone che «sine
Ecclesia nulla salus», dall’altro circa la potestà si può osser-
vare che «sine hierarchia nulla potestas», cioè senza la gerar-
chia, a cui soltanto spetta per disposizione divina la pote-
stà sacra della Chiesa, non vi sarebbe neppure alcun servi-
zio di governo in essa. La gerarchia, Romano Pontefice e
Vescovi tutti, propriamente detiene questa potestà e la par-
tecipa a coloro che sono ordinati sacerdoti, perché abili ad
esercitarla, e ai laici che possono essere chiamati a coope-
rare nel suo esercizio per disposizione singolare della com-
petente autorità (potestà delegata), o in maniera stabile per
disposizione dello stesso diritto (potestà ordinaria).
Nel caso dei Superiori degli IVC ed SVA tutti, essi vi
partecipano e ne esercitano i doveri e diritti in base alla
loro abilità o alla cooperazione che possono farne. Si nota
perciò la sostanziale inesattezza dell’attuale can. 596 e se
ne propone una nuova formulazione, più rispondente al
dettato del can. 129 e, più ampiamente, alle disposizioni
del libro I sulle norme generali.
La potestà di governo nella vita consacrata
388

§1. In Institutis clericalibus tam iuris pontificii quam iu-


ris dioecesani Superiores et capitula pollent potestate re-
giminis ad normam iuris universalis et particularis.
§2. In Institutis laicalibus Superiores et capitula in exer-
citio potestatis regiminis cooperantur ad normam iuris
universalis et particularis pro foro tam externo quam in-
terno, sed non sacramentale.

Questa nuova formulazione rende ragione dell’esercizio


della potestà sacra in tutti gli Istituti e le Società e ne in-
dica la fonte unica per tutti: la partecipazione voluta dal-
la gerarchia all’unica potestà di Cristo nel guidare il popo-
lo di Dio verso la sua meta ultima, la salus animarum.
389

Conclusione

Giunti alla fine del nostro studio ed esposte le ragioni


del nostro argomentare, poniamo in sintesi i tratti del per-
corso svolto. Anche se si sa e si sperimenta che a volte le
analisi sono aride e stancano, tuttavia si riconosce che es-
se sono il prezzo da pagare per il valore di certe conclusio-
ni valide e credibili. Ogni uomo è chiamato a percorrerne
la strada per arrivare ad una sintesi personale.
Così a partire da una panoramica sulla potestà nel di-
ritto romano (patria potestas e dominica potestas, doveri e
diritti propri del paterfamilias che il legislatore ampliava o
diminuiva a seconda dell’opportunità, riconoscendo il lo-
ro carattere pubblico all’interno dello Stato), il primo ca-
pitolo ha preso ad esame la nascita del concetto di potestas
dominativa fino alla sua fissazione definitiva nel Codice
Piano-Benedettino: un ampio ventaglio storico (molto va-
sto certamente), con l’intento di rilevare i punti sicuri che
nel tempo si sono consolidati per arrivare fino ai nostri
giorni.
Non è mancata anche un’analisi di ciò che i maggiori
autori passati, medievali e moderni, pensavano riguardo
alla potestà negli Istituti religiosi (allora unica categoria
giuridica rilevante di vita consacrata associata) e alla sua
relazione con l’istituto dell’esenzione, che aveva un ruolo
chiave nell’inserire la potestà degli Istituti nel campo del-
la sacra potestas della Chiesa. Si è notato che alcuni di es-
si la pensavano correlata al voto di obbedienza, altri alla
traditio nelle mani del Superiore, altri alla professione reli-
giosa; ma sembra più appropriato ritenere che essa trovi
origine nella volontà dell’autorità della Chiesa che ha da-
to origine all’Istituto: affermare diversamente significa
La potestà di governo nella vita consacrata
390

porla in un ambito privato-volontaristico. È questo un ca-


pitolo importante anche per capire il grande cambiamen-
to che la Chiesa intera fece nei riguardi della vita consa-
crata associata, a partire dal monachesimo fino alla nasci-
ta delle Società di vita comune senza voti, poi Società di
vita apostolica, arrivando successivamente anche agli
Istituti secolari.
Si è proseguito poi, nel capitolo secondo, con le modi-
fiche che, dal Codice del ’17 al Concilio Ecumenico Vati-
cano II incluso, sono state apportate dal magistero grazie
soprattutto alle analisi e alle proposte degli studiosi.
Infatti, esaminando la natura giuridica della potestà domi-
nativa, gli autori hanno rilevato il carattere pubblico di ta-
le potestà, che prese allora il nome nella dottrina di pote-
stà dominativa pubblica.
Tale posizione fu corroborata nel 1952 da una risposta au-
tentica della Pontificia Commissione per l’Interpretazione
Autentica del Codice, che applicava alla potestà dominati-
va i canoni riguardanti la potestà giurisdizionale del Codice
del ’17, sia per gli Istituti clericali che laicali. Veniva così ri-
conosciuto il legame stretto (se non la sostanziale coinciden-
za) tra potestà dominativa pubblica e potestà giurisdizionale.
E in seguito, con il rescritto Cum admotae e il decreto
Religionum laicalium in particolare, veniva riconosciuto de
facto, anche in fase conciliare, tale carattere. Questi due do-
cumenti, infatti, hanno attribuito ai Superiori di Istituti di
diritto pontificio laicali e clericali un ampio ventaglio di fa-
coltà, legate precedentemente solo agli Istituti esenti (che
avevano, appunto, potestà di giurisdizione). Anche il decre-
to Perfectae Caritatis e la costituzione dogmatica Lumen
Gentium inseriscono a pieno titolo la vita consacrata nella
vita stessa della Chiesa, riconoscendo il suo insostituibile va-
lore e la sua costituzione all’interno di essa.
Alla presa di coscienza di tale nuova concezione della
vita consacrata, comincia la fase di elaborazione di un
Conclusione
391

nuovo diritto per gli Istituti e le Società, esposto nel capi-


tolo terzo. Esso venne alla luce solo dopo un ventennio di
lavoro da parte delle varie Commissioni che ne preparava-
no la stesura. Il lavoro dei vari coetus – e del nostro in par-
ticolare, de Institutis vitae consecratae per professionem con-
siliorum evangelicorum –, fu indirizzato da alcuni ‘principi
ispiratori’ che, approvati dall’Assemblea generale del
Sinodo dei Vescovi del 1967, diedero alle Commissioni le
linee guida per una riforma voluta da tutta la Chiesa. Ciò
che in particolare segnò il coetus per gli Istituti di vita con-
sacrata fu il principio IV (circa l’incorporazione delle fa-
coltà speciali concesse agli Istituti e alle Società nel
Codice stesso), il principio V (sull’applicazione del princi-
pio di sussidiarietà nella Chiesa), il principio VI (sulla tu-
tela dei diritti della persona).
Durante la fase di codificazione del can. 596, furono re-
datti alcuni documenti da parte di Congregazioni e dica-
steri della Curia romana che diedero conferma dei lavori
della Commissione (in particolare ricordiamo, circa il go-
verno negli Istituti laicali e la collaborazione dei laici in
quelli clericali, Cum Superiores, Clericalia Instituta e, circa
l’istituzione del giudice laico e quindi con potestà giurisdi-
zionale, Causas matrimoniales). Si giunse così alla bozza di
due versioni del canone, lo Schema 1977 e lo Schema 1980.
Nel frattempo, un Folium ex officio della Congregazione
per la Dottrina della Fede, nel 1976, affermava che i laici
sono dogmaticamente esclusi solo dagli uffici intrinseca-
mente gerarchici, lasciando al diritto stabilire concreta-
mente quali questi fossero. Comunque, solo con lo Schema
novissimum del 1982 si arrivò sostanzialmente al can. 596
presente nel Codice del 1983, dopo un lavoro di verifica e
di revisione che non fu facile per i consultori del gruppo,
viste le diverse posizioni che si dovevano conciliare al suo
interno e che venivano continuamente smentite o avval-
late dagli uni e dagli altri; eccone il testo:
La potestà di governo nella vita consacrata
392

§1. Institutorum Superiores et capitula in sodales ea gau-


dent potestate, quae iure universali et constitutionibus
definitur.
§2. In institutis autem religiosis clericalibus iuris pontifi-
cii pollent insuper potestate ecclesiastica regiminis pro
foro tam externo quam interno.
§3. Potestati de qua in §1 applicantur praescripta cann.
131, 133 et 137-144.

Arrivati alla formulazione del canone e quindi avendo


in certo senso esaurito il suo iter storico, la ricerca si spo-
sta sul piano prettamente giuridico per individuare le ca-
ratteristiche della figura dell’Ordinario secondo l’attuale
Codice – i soggetti, le facoltà, i doveri ed i diritti – e per
porle in relazione con quella del Superiore maggiore degli
Istituti e delle Società. Si espone perciò, nel corso del ca-
pitolo quarto, il nuovo concetto di Ordinario, ben più am-
pio rispetto al precedente del Codice del ’17, così come
più ampio risulta essere quello di Superiore maggiore. Tale
accostamento è risultato utile dal momento che le due fi-
gure sono state trattate da coetus diversi della
Commissione preparatoria del nuovo Codice e non di ra-
do, tra i diversi gruppi, il coordinamento è stato difficile
per le diverse istanze che vi si accavallavano, se non addi-
rittura lacunoso. Al contempo si è voluta osservare l’origi-
ne di tali doveri e diritti, cosicché si è dovuto fare conti-
nuo riferimento alle Norme generali del libro I del Codice:
la potestà ordinaria, propria anche dei Superiori maggiori
in generale in quanto ricoprono un ufficio pubblico nella
Chiesa, è risultata essere quella stessa potestas exsecutiva
che altro non è se non una forma (la più diffusa e neces-
saria) di potestà ecclesiastica di governo.
Nello svolgimento dell’analisi della potestà propria de-
gli Ordinari e di quella dei Superiori maggiori, quindi, si è
dato prova della potestas regiminis che accomuna entrambi
nel loro reciproco servizio al popolo di Dio o ad una sua
Conclusione
393

porzione o comunità. Si tratta, infatti, della stessa potestà


capace di produrre effetti nella sfera canonica di un altro
da parte di un soggetto agente a ciò designato.
Potestà di governo, dunque, direttamente connessa alla
sacra potestas e quindi alla gerarchia. Potestà che trova il
proprio fondamento in Cristo, ma che viene disciplinata
dalla gerarchia della Chiesa nel suo ministero di guida del
popolo di Dio. Essa viene esercitata nella Chiesa, ma non
soltanto da chi di essa faccia parte (si pensi al battesimo
conferito da un non credente, can. 861 §2). Parimenti la
Chiesa può limitarne l’esercizio, se lo ritenga opportuno.
È, infatti, importante notare che se da un lato l’ordina-
zione conferisce al sacerdote l’abilità per esercitare la po-
testà sacra, dall’altro è solo la missio canonica a regolarne
ed autorizzarne l’esercizio, che avviene in tal caso non so-
lo in persona Christi ma anche in nomine Ecclesiae, cioè in
piena comunione con essa. Perciò, vi è uno stretto legame
tra Cristo e la Chiesa per quanto riguarda la potestà sacra:
la Chiesa, infatti, può ritirare la missio canonica al sogget-
to che l’aveva e privarlo quindi della sacra potestas. Ma al-
lo stesso tempo, può succedere che sia il soggetto stesso in-
vestito della potestà che, agendo contro la legislazione ca-
nonica, si priva di tale potestà e quindi fa venire meno il
suo esercizio della potestà sacra. Questo secondo aspetto
diviene tanto più evidente quanto più il soggetto agisca ol-
tre i limiti che gli sono concessi (si pensi al sacerdote che
assolve il confessore che abbia violato direttamente il si-
gillo sacramentale, can. 1388 §1).
Se la potestà sacra viene affidata da Cristo alla Chiesa
in maniera unitaria, tuttavia quest’ultima la può conferire
in varie maniere. Infatti, questo è ciò che avviene quando
essa, la Chiesa, la conferisce attraverso l’ordinazione con
l’aggiunta della missio canonica, o quando lo fa solo attra-
verso la missio canonica, che può manifestarsi in modi di-
versi.
La potestà di governo nella vita consacrata
394

Diviene allora importante capire che la missione è un


aspetto centrale della Chiesa e nella Chiesa, affidata al suo
ministero per la salus animarum. Missione, ministero, mi-
nisterialità, sono termini profondamente legati tra loro al-
l’interno del mandato che Gesù fa agli apostoli di andare
e battezzare tutti gli uomini (cfr. Mt 28,18-20; Mc 16,16-
16; Lc 24,46-7). Tuttavia, consacrazione e missione posso-
no esistere anche separatamente tra loro (si è osservato ad
es., nel capitolo secondo, che il Romano Pontefice in pas-
sato ha più volte governato la Chiesa già prima di essere
consacrato vescovo e, nel caso di Adriano V, anche senza
ricevere completamente tale consacrazione) e se la Chiesa
non avesse voluto questo, avrebbe potuto considerare nul-
le tutte le disposizioni o applicazioni contrarie.
È la Chiesa, in particolare nella sua gerarchia, che sta-
bilisce come regolare l’esercizio della potestà sacra confe-
rita da Cristo, in forza della propria particolare ministeria-
lità. Parimenti, la ministerialità può venire dalla Chiesa
affidata a qualsiasi fedele attraverso il diritto stesso, cioè
attraverso uffici stabilmente costituiti, ma anche attraver-
so deleghe e mandati, quando questi non siano legati in-
trinsecamente all’ordine sacro.
Ma ciò, d’altro canto, è successo anche quando gli apo-
stoli, guide della Chiesa assieme a Pietro, hanno parteci-
pato direttamente e subordinatamente ad altri il loro com-
pito di pastori, cioè ai presbiteri. È la gerarchia che assu-
me la guida del popolo e quindi decide anche la parteci-
pazione o meno alla sua potestà, l’affidamento di determi-
nati compiti, il conferimento di uffici diversi, ubbidendo
al principio di ministerialità affidatogli da Cristo.
La missio canonica determina concretamente il grado di
potestà sacra da esercitare e la concreta disposizione ad
esercitarla (NEP 2). Essa significa quindi la giurisdizione
concreta in cui sarà esercitata la potestà sacra e, al con-
tempo, la non uguaglianza tra potestà di ordine e di giuri-
Conclusione
395

sdizione: se in alcuni casi la missione canonica regola il


potere, in altri essa lo conferisce del tutto. Se ne ricava
che le due potestà, avendo un’unica fonte, la sacra potestas,
vengono esercitate a volte in modo unitario, a volte in
modo diviso, sì che la seconda – potestà di giurisdizione –
può sussistere senza la prima – potestà di ordine –, cioè in
un fedele laico.
La potestas regiminis viene, dunque, esercitata anche
da laici e può esserlo in quanto i laici ritenuti idonei so-
no abili a ricevere uffici ecclesiastici (can. 228). È ciò
che avviene non solo con i giudici laici (cann. 1421 §2;
1428 §2), ma anche con i Superiori maggiori di IVC ed
SVA laicali di diritto pontificio: i laici chiamati a gover-
nare tali Istituti e Società cooperano all’esercizio della
potestà sacra, soprattutto della potestas regiminis exsecuti-
va, con l’emissione di atti amministrativi singolari, di cui
si è trattato nel capitolo quarto. Tali atti sono quelli po-
sti dall’autorità che gode di potestà esecutiva (cfr. can.
35), potestà esercitata di continuo nella Chiesa e perciò
stesso molto importante. Si pone in evidenza, ancora
una volta, che l’origine ed il fine della potestà nella
Chiesa sono divini, ma il modo per determinarla in sen-
so giuridico consiste nella missio canonica, che dà la fa-
coltà di porre validamente e lecitamente determinati at-
ti (i quali, poi, producono effetti nella sfera giuridica del-
le persone).
Atti amministrativi singolari sono, per es., i decreti con
i quali il Superiore maggiore di un IR o di una SVA erige
una casa o la sopprime (cfr. cann. 609 §1; 616 §1); casa
che, è bene ricordarlo, è persona giuridica nella Chiesa
(cfr. cann. 114 §1; 122). Lo stesso vale anche per l’erezio-
ne o soppressione di una provincia religiosa (anche essa
persona giuridica; cfr. can. 634 §1), di cui è competente il
Moderatore supremo. Ancora, il Superiore maggiore può
emanare decreti per la provvisione di uffici, per conferma-
La potestà di governo nella vita consacrata
396

re coloro che sono stati eletti legittimamente o per nomi-


nare Superiori locali interni all’Istituto.
Parimenti, atti amministrativi singolari sono i rescritti,
per es. quello di ammissione al noviziato (cfr. can. 641); o
di ammissione alla professione temporale (cfr. can. 656,
3°); o di secolarizzazione del membro professo temporaneo
nell’IR (cfr. 688 §2).
Molti degli atti indicati al capitolo quarto sono comu-
ni sia agli Ordinari che ai Superiori maggiori. Questo, se
da un lato indica il particolare e delicato ruolo di governo
che entrambe le figure sono chiamate ad esercitare, dall’al-
tro indica pure che la loro potestà è certamente della stes-
sa specie, anche se più estesa negli uni rispetto agli altri.
A differenza del CIC 17, che non dava chiaramente spie-
gazione degli atti amministrativi e non li distingueva co-
me l’attuale Codice, l’odierna legislazione distingue chia-
ramente gli atti giuridici dagli atti amministrativi singola-
ri che possono essere emessi solo da chi ha potestà esecu-
tiva: è questo un progresso ed anche una svolta nella legi-
slazione canonica.
Dunque, la potestà che il diritto universale e le costitu-
zioni definiscono è di natura pubblica ecclesiastica e di
origine divina, annessa all’esercizio di un ufficio ecclesia-
stico conformemente al diritto. È potestas regiminis a pieno
titolo (cfr. can. 129 §2) e per questo motivo può anche es-
sere delegata (cfr. can 596 §3).
Alcune considerazioni vanno, tuttavia, rilevate.
Anzitutto, la potestà di governo viene conferita sempre
attraverso la mediazione del diritto universale e quella del-
le costituzioni dell’Istituto stesso. Tuttavia, se negli Istituti
di diritto pontificio le costituzioni vengono approvate dal-
la Sede Apostolica, in quelli di diritto diocesano tale ap-
provazione avviene da parte del Vescovo diocesano. In se-
condo luogo, la potestà degli Istituti clericali viene eserci-
tata anche per il foro interno sacramentale, come il §2 del
Conclusione
397

can. 596 sottolinea, nonostante il Codice sconsigli ai Su-


periori l’esercizio di tale foro (cfr. can. 630 §4); invece gli
Istituti laicali esercitano la potestà sacra nel foro esterno e
nel foro interno ma non sacramentale, data la condizione
laicale dei loro membri e quindi anche dei Superiori (cfr.
can. 588 §3).
La cooperatio dei Superiori degli IVC e SVA alla sacra
potestas è resa possibile dal Concilio Ecumenico Vaticano
II, che comprende la Chiesa – tra l’altro – come sacramen-
to universale della salvezza (cfr. LG 48). È la Chiesa stes-
sa che viene posta come base per la salvezza nel mondo:
Gesù Cristo, unico mediatore tra Dio e gli uomini, divie-
ne via alla salvezza attraverso il battesimo e la fede in lui.
Cristo e la sua Chiesa formano una mystica persona, stru-
mento di salvezza per l’umanità, che è guidata in terra dal-
la gerarchia, Romano Pontefice per la Chiesa universale e
Vescovi per le Chiese particolari: è a loro che viene con-
segnata, originariamente e in forma più alta, la potestà sa-
cra, che, tramite il diritto universale e le costituzioni, la
trasmettono ai Superiori.
È per mezzo della gerarchia che continua ad esserci la
potestà sacra nella Chiesa, in successione apostolica e in
comunione gerarchica con il Capo e le membra del Colle-
gio. È mediante la sacramentalità e ministerialità della
Chiesa che la funzione regale di Cristo viene partecipata
alla Chiesa stessa.
Ma molti autori cercano soluzioni diverse per la potestà
dei Superiori e dei capitoli negli IVC ed SVA. Come si è
notato nel capitolo quinto, infatti, oltre a dare diversi ap-
pellativi a questa potestà, senza riuscire per questo ad ar-
monizzarsi tra loro, essi in più casi giustificano l’esercizio
di potestà esecutiva come una attribuzione fatta per mez-
zo di legge e, quindi, secondo alcuni, i Superiori ed i capi-
toli non possiedono potestà esecutiva. Tale posizione va
contro il dettato di LG 24 e NEP 2 (vd. sopra), cioè il di-
La potestà di governo nella vita consacrata
398

sposto circa la missio canonica che stabilisce quando e co-


me viene esercitata la potestà sacra, sia tramite la consue-
tudine, sia tramite il Codice, sia tramite le disposizioni di-
rette del Romano Pontefice e dei Vescovi.
Proseguendo in questa analisi e partendo da questi pre-
supposti, si è notato come la formulazione del can. 596,
così come a noi è pervenuta, sia poco corretta e, quanto
meno, meriti delle correzioni o forse, meglio, una nuova
forma che renda ragione delle posizioni conciliari e soprat-
tutto delle sue concrete istanze che sono venute alla luce
lungo tutto il Codice (in particolare, per il nostro argo-
mento, nel libro I).
Infatti, se da un lato i Superiori degli IVC e SVA lai-
cali cooperano nell’esercizio della potestà di governo, dal-
l’altro i Superiori di IVC e SVA clericali di diritto dioce-
sano sembrerebbero essere stati esclusi da tale esercizio,
quantunque il can. 129 §1 li reputi abili a tale potestà. Di
fatto, il can. 596, così formulato, diviene occasione di
equivoci e soprattutto non rende ragione della potestà che
viene esercitata da coloro che rivestono gli uffici di Supe-
riori provinciali o generali di Istituti e Società.
Si è pensato, perciò, di proporre una nuova formulazio-
ne del canone, quantunque non si sia trovato, nella dot-
trina esaminata, alcun autore che ne abbia tentato una
nuova versione e pur essendoci chi ha criticato il modo in
cui è stato redatto e ne ha proposto una revisione.
Partendo dalla divisione base tra Istituti laicali ed Isti-
tuti clericali, presente nel can. 588, che si può collegare a
quella presente nel can. 129 circa l’esercizio della potestas
regiminis da parte di chierici e laici, si formulerà anzitutto
un canone diviso in due paragrafi (non più in tre), con
una parte appunto per i Superiori di Istituti clericali, l’al-
tra per quelli laicali. Non si tratterà di due classi diverse di
potestà, ma di due fonti e due modi distinti di esercitare la
stessa potestà: gli uni perché abili, gli altri perché coope-
Conclusione
399

rano nel suo esercizio. Al contempo, non vi sarà distinzio-


ne tra Istituti di diritto pontificio o diocesano perché in
entrambi si esercita potestà esecutiva, sia per disposizione
del diritto comune, sia per disposizione del Romano Pon-
tefice o del Vescovo diocesano.
Da un lato, perciò, si faranno rientrare anche gli Istituti
clericali di diritto diocesano tra quelli in cui vi si esercita
potestà sacra perché i loro Superiori sono abili ad eserci-
tarla, in quanto sono presbiteri. Dall’altro, tutti quelli lai-
cali in quanto cooperano con la gerarchia all’esercizio di
tale potestà.
Da questi presupposti, il can. 596 risulterebbe così mo-
dificato:
§1. In Institutis clericalibus tam iuris pontificii quam iu-
ris dioecesani Superiores et capitula pollent potestate re-
giminis ad normam iuris universalis et particularis.
§2. In Institutis laicalibus Superiores et capitula in exer-
citio potestatis regiminis cooperantur ad normam iuris
universalis et particularis pro foro tam externo quam in-
terno, sed non sacramentale.

Il canone non usa il termine ecclesiastica per indicare la


potestà di governo, in quanto lo stesso can. 129 non ne
parla: è la potestà della Chiesa e nella Chiesa, perciò è ec-
clesiastica senza bisogno che ciò venga specificato. Non si
specifica il rimando ai canoni riguardanti la potestà dele-
gata e le norme della delega, in quanto si fa direttamente
riferimento a tutto il tit. VIII del libro I del Codice e, tra-
mite esso, alle norme per gli atti amministrativi singolari
e a tutti gli atti per l’esercizio della potestà esecutiva.
Il canone modificato riconosce l’applicazione del prin-
cipio di sussidiarietà. Inoltre, apre la possibilità ad ulterio-
ri competenze per quanto riguarda il governo di Istituti e
Società, permettendo sempre il ricorso presso il Superiore
competente (interno od esterno). Dà pieno valore all’ope-
La potestà di governo nella vita consacrata
400

rato del fedele laico, anche se in questo caso consacrato,


senza il pericolo di clericalizzarlo, sia in Istituti maschili
che femminili. Riconosce quel «pari iure de utroque sexu»
di cui al can. 606, partendo dal principio consolidato nei
secoli – e ne abbiamo dato rilievo nei primi due capitoli –
che «status vitae consecratae, suapte natura, non est nec
clericalis nec laicalis» (can. 588 §1).
Dunque, tutto l’arco della vita consacrata associata e
della potestà che vi si esercita si riscopre in un passaggio
dal privato al pubblico, dal rapporto gestito autonoma-
mente tra Superiore e suddito ad un rapporto regolato da
norme universali e volute dalla Chiesa, custode ultima
della giustizia, garante e dispensatrice della misericordia di
Dio. In questo cammino si riscopre la difficoltà del gover-
nare, ma anche che «ars artium, gubernatio hominum», la
fatica delle cose che valgono perché a servizio del prossi-
mo.
E a questa funzione di governo, funzione regale di Cri-
sto per eccellenza nella Chiesa, partecipano i Superiori de-
gli Istituti e delle Società mediante il loro servizio, che si
vuole fedele all’insegnamento e alla vita stessa del Cristo,
venuto per servire e non per essere servito. Consapevoli,
paradossalmente, che proprio Cristo è quel re servire al
quale è regnare.
401

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La potestà di governo nella vita consacrata
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Canonique 10(1966), 213-238.
431

Indice delle abbreviazioni

AAS Acta Apostolicae Sedis.


ASS Acta Sanctae Sedis.
Ca. circa.
Can./cann. canone/canoni.
Cd. cosiddetto.
Cfr. confronta.
CIC 17 Codex Iuris Canonici Pii X Pontificis Maximi iussu digestus Benedicti
Papae XV auctoritate promulgatus, in AAS 9/II(1917), 5-521.
CIC 83 Codex Iuris Canonici auctoritate Ioannis Pauli pp. II promulgatus, 25
gennaio 1983, in AAS 75/II(1983), 1-317.
CISM Conferenza Italiana Superiori Maggiori.
CIVCSVA Congregatio pro Institutis Vitae Consecratae et Societatibus Vitae
Apostolicae.
Const. costituzione.
Const. Ap. costituzione apostolica.
CpR Commentarium pro Religiosis et missionariis.
Decr. decreto.
DIP Dizionario degli Istituti di Perfezione.
DirEccl Il Diritto Ecclesiastico.
EICan Ephemerides Iuris Canonici.
Enc. lettera enciclica.
FCan Folia Canonica.
Greg Gregorianum.
IR Istituto religioso.
IusCan Ius Canonicum.
IVC Istituto di vita consacrata
IVCR Istituto di vita consacrata religioso.
LG Lumen Gentium.
MonEccl Monitor Ecclesiasticus.
M.p. Littera apostolica motu proprio datae.
NEP Nota Explicativa Praevia.
N./nn. numero/i.
P./pp. pagina/e.
PB const. ap. Pastor bonus.
PC Perfectae Caritatis.
PCCICAI Pontificia Commissio Codicis Iuris Canonici Authenticae Interpre-
tandi.
Per Periodica de re morali, canonica, liturgica.
QDE Quaderni di diritto ecclesiale.
RassTeol Rassegna di Teologia.
REDC Revista Española de Derecho Canonico.
Rescr. rescritto.
RevRel Review for Religious.
RH Redemptor hominis.
SCRIS Sacra Congregatio pro Religiosis et Institutis Saecularibus.
Indice delle abbreviazioni
432

Sec./secc. secolo/i.
Secr. St. Segreteria di Stato.
StuCan Studia Canonica.
SVA Società di vita apostolica.
USG Unione Superiori Generali.
Vd. vedi.
VitCons Vita consacrata (già Vita religiosa).
VitRel Vita religiosa (poi Vita consacrata).
Vol./voll. volume/i.
§/§§ paragrafo/i.
433

Indice degli Autori Bender; 270


Benedetto abate; 85
citati nel testo Benedetto XIV; 71; 91
(Il numero in grassetto si riferisce Benlloch Poveda; 257; 331
Bertolfo; 87
ad una citazione bibliografica)
Bertrams; 169; 205; 286; 335;
346-347
Betti E.; 19; 24; 26; 27
Adriano imp.; 22; Betti U.; 230; 333
Adriano V; 394 Beyer; 173-176; 183; 189; 203-
Agostino D’Ippona; 31; 376; 204; 206; 213-214; 216-217;
Amaral; 214; 222; 224; 226; 231-234; 263;
Andrés; 206; 207; 208; 212; 213; 335; 336
274; 275; 276; 285; 289; 290; Bézac; 214
292; 306; 331; 332; 381 Bidagor; 200; 214
Antonio abate; 85 Biondi; 19; 24-27
Ara; 363 Boccardelli; 366
Arangio-Ruiz; 17; 18; 19; 20; 21; Bodzon; 342
23; 24; 25; 26; Bondini; 82
Arboleda Valencia; 359 Bonfante; 17; 19-24; 26-28
Arcadio; 18 Boni; 339
Arcidiacono; 37; 39 Bonifacio VIII; 88
Arrieta; 209; 260; 268; 271; Bonnet; 348; 349
278; 281; 286; 311-313; Buijs; 118-119; 126-128; 130-
315; 357; 362; 378 133; 136-138; 140; 142-145;
Augier; 214 147-148; 150-151; 153;
Augusto; 18 155-156; 159; 161; 163-167
Aymanathil; 361
Aymans; 346 Cabreros De Anta; 16; 68; 69;
110; 114-118
Baldo Degli Ubaldi; 33; 35 Canobbio; 376
Balmès; 65 Canosa; 200; 206-207; 209; 359
Bank; 214 Caparros; 218; 312
Barauna; 227 Cappellini; 312
Bargillat; 62 Cappello; 148
Bartolo Da Sassoferrato; 33 Cardia; 208
Bartolomeo Da Brescia; 37 Casaroli; 333
Basilio; 85 Castaño; 364; 365; 369
Baura; 359 Celeghin; 172; 260; 344; 345
Beal; 341; 342 Chiappetta; 311-312
Belluco; 119; 125-128; 130; Cino Da Pistoia; 38
132-138; 140-142; 144-146; Cipriano; 376
148; 150-151; 155-156; 159; Ciprotti; 61; 119
161; 165-166 Cocchi; 64
Indici degli autori citati nel testo
434

Codorniu; 339; 340 Felici; 169


Colella; 62 Fischer; 172
Corecco; 333; 349 Fogliasso; 83; 86; 89-91; 93-94;
Coriden; 359; 363-364 214
Coronata; 74 Forcellini; 203
Costantino; 18; 25 Franciosi; 16
Creusen; 64; 67; 231 Fuchs; 170
Crnica; 62 Fuertes; 67; 118; 143-144; 148;
Cuneo; 338 150-151; 153; 155-156;
158-159
D’Angelo O.; 340
D’Angelo S.; 83 Gaio; 24; 26
D’Auria; 223 Gallagher; 214
D’Ors; 226 Gallen; 352; 358
D’Ostilio; 274-275; 290; 353 Gambari; 118-121; 123-126;
Dammertz; 352 128-129; 134-141; 143-147;
Daneels; 219 149-153; 155-156; 158; 171;
Daniélou; 171 331; 351; 354
De Antoñana; 109; 111; 115- Gangoiti; 257
116; 183; 185; 187; 189; Garcìa Martìn; 83; 95; 251; 253-
192-193; 195 254; 257; 260; 262; 270;
De Bertolis; 59 290; 308; 316-317; 319-321;
De Paolis; 173; 228; 263; 350; 323; 326; 343; 344; 359
354 Gelasio I; 29; 30;
De Rosa; 335 Gherro; 255; 336
Dehuyler; 219 Ghirlanda; 59; 216; 227; 312;
Del Giudice; 108 334-335; 354
Del Portillo; 209 Gil; 65; 66-67; 76;
Desdouits; 29-30; 41; 63; 110 Giovanni Di Andrea; 34; 36
Di Silvestri; 353 Giovanni Paolo II; 260; 280;
Diez; 162-164; 333 333; 335; 379
Giovanni XXIII; 158; 173; 204
Egan; 333 Giustiniano; 17; 23; 28; 38
Enrico Da Susa (Hostiensis); 34; Goffi; 83; 88; 94; 96
35; 36; 39 Goffredo; 37
Erdö; 351 Goyeneche; 116
Escudero; 109; 111; 115-116; Graziano; 18; 28; 30-31; 32; 37;
183; 185; 187; 189; 192- 160
193; 195 Green; 363-364
Esposito; 275; 310; 353; 354 Gregorio I; 30
Gregorio IX; 88
Fagiolo; 199; 333 Grocholewski; 333
Falco; 252 Guarino; 24
Fanfani; 62; 64 Gulielmus Durantis; 35
Indici degli autori citati nel testo
435

Gutiérrez A.; 83; 118; 122; 188; Lobina; 222


219; 220; 330 Lombardia; 201; 285-286; 310;
Gutiérrez J.L.; 332 312; 314; 357
Lopez Alarcon; 278
Heintschel; 363; 364 Loza; 281
Herranz; 209-210 Luzzatto; 17
Hervada; 211; 252
Hite; 360 Maggioni; 214
Holland; 360; 363 Malumbres; 338; 339
Hostiensis (Enrico da Susa); 34; Mansi; 86; 105
35; 36; 39 Mantuano; 375
Huels; 343 Marcuzzi; 252; 361; 362
Huguccio; 34-35 Maroto; 250
Huizing; 83; 94-96 Marzoa; 331; 345; 355-356
Mauro; 214
Iannone; 338 Mazzoni; 312
Mcdonough; 219; 221; 235; 239;
Jubany Arnau; 333 241; 337
Melo; 83; 92
Kaiser; 172 Mercanti; 18; 25
Karrer; 204 Mester; 333
Kaser; 17; 21; 25 Miras; 331; 345; 355; 356; 359
Kasirye; 220; 228; 351; 352 Modde; 360
Kay; 83; 85; 87-88; 92 Modestino; 19
Khoury; 364 Moeller; 214
Kindt; 30-34; 36; 38-39; 43-45; Molina; 53
46; 47-49; 51-54; 56-58; 62; Mommsen; 18; 20
63; 110; 114 Moneta; 210
Koser; 227 Montan; 352; 354
Moreno; 365
Labandeira; 360; 361 Morlot; 337
Lanne; 214 Mörsdorf; 170; 172; 347; 348
Larrainzar; 219 Muttukumaru; 214
Larraona; 53; 63; 67-68; 70-71;
73; 78-80; 113; 118; 231; 238 Nasilowski; 172
Laurentius; 64 Navarrete; 347
Lazzati; 214 Nicolaus De Ausmo; 36; 40
Lee; 118; 130; 133; 135
Leite; 214 O’Brien; 83
Leone XIII; 92; 105; 106; 204 O’Hara; 360
Lesage; 203; 206; 330; 355 O’Rourke; 216; 227
Liguori Okure; 365; 366 Oberti; 337
Linscott; 222 Ochoa; 118; 161; 168; 175; 177;
Lo Castro; 260 180; 333
Indici degli autori citati nel testo
436

Onorio imp.; 18 Said; 214; 215; 233


Onorio I (papa); 87 Sastre; 105; 107-108; 357
Orsy; 205 Saucedo; 270; 351
Ottaviani; 74; 78; 112 Schaefer; 127
Schwarz; 347
Pacomio; 85 Sedott; 346
Paolo VI; 174; 205; 208; 221; Senofonte; 357; 358
232; 315; 347 Serraino; 372
Paventi; 214 Serrano; 259
Pazhayampallil; 356 Sinibaldo Fieschi; 34; 36-37
Pejska; 67 Sipos; 64
Philippe; 214 Sisto IV; 88
Philips; 171 Soullard; 333; 334
Pietro Da Anchara; 33; 36 Stickler; 170; 173; 255; 336
Piñero Carrion; 340; 341 Suàrez; 12; 40-43; 45-47; 49-51;
Pinto; 364 52; 53; 56; 57; 58; 63; 67;
Pio XI; 204 111; 114; 286
Pio XII; 95; 204; 206-207; 232 Szentirmai; 217
Postius; 74
Pree; 209; 211-212 Tabera Araoz; 109; 111; 115-
Probo; 87 116; 183; 185; 187; 189;
Provost; 230 192-193; 195
Pugliese G.; 24 Teodoro I; 87
Pugliese A.; 118; 124; 127; 131; Thériault; 218; 312
134; 137-138; 142; 146; Thorn; 218; 312
148; 150; 159; 161-167; Tiongco; 342
181; 184; 186-189; 192-193 Tommaso D’Aquino; 36; 59-60;
112; 173; 204; 349
Ragazzini; 40-41; 64-66; 70-71; Torres; 118; 137; 140; 142; 147;
73; 75-76; 80-81; 114 344
Ratzinger; 333
Raus; 16; 65; 67 Ulpiano; 16; 18
Ravà; 83; 87-88; 91-93; 97-98 Urbano VIII; 71
Ravasi; 181; 183-186 Urru; 202
Recchi; 358 Urrutia; 259; 263-267; 270-271;
Rincòn-Pérez; 356-357 286; 336
Risk; 363 Urtasun; 214
Rivella; 265 Utz; 205
Rivet; 74
Robleda; 172; 347; 372 Vaca; 207
Rodrìguez-Ocaña; 331; 345; 355- Valentiniano III; 18
356 Valentiniano Il Giovane; 18
Ronga; 18-20; 23; 25-26 Valerio Massimo; 20
Rousseau; 174; 176; 178-180; 214 Valtorta; 359
Indici degli autori citati nel testo
437

Van Den Broeck; 168 Wernz; 64; 252


Vasquez; 41 Williamson; 359-360
Vela Sanchez; 210 Woestman; 360
Vera Velasco; 249; 258; 273; Wojnar; 214
292 Wojtyla; 379
Vermeersch; 62; 67; 114
Viana; 345 Zagano; 32-33; 35; 37
Volterra; 18-19; 24-26 Zuannazzi; 210

Ward; 360
439

Sommario

Presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7

CAP. I
POTESTÀ DOMINATIVA DALLE ORIGINI
AL CIC 17: SVILUPPO ED ESSENZA . . . . . . . . . . 15

1.1. La potestà nel diritto romano . . . . . . . . . . . . . . . . . 15


1.1.1. La patria potestas . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17
1.1.2. La dominica potestas . . . . . . . . . . . . . . . . 24
1.2. Il Decretum Gratiani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28
1.3. La dottrina della potestà dominativa
negli autori medievali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32
1.3.1. Monachus non habet velle vel nolle . . . 34
1.3.2. Monachi sunt in potestate;
monachum possidet monasterium . . . . . . . . . . . 35
1.3.3. Monachus mortuus fingitur . . . . . . . . . . . 36
1.3.4. Monachus est servus; monachus est
filiusfamilias; monachus est filius Abbatis . . . . . 38
1.4. La prospettiva del Suàrez . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40
1.4.1. Lo stato giuridico del religioso . . . . . . . . 43
1.4.2. L’essenza del voto non si fonda
sull’offerta del religioso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46
1.4.3. L’offerta del religioso non è parte del
voto solenne di obbedienza . . . . . . . . . . . . . . . . 49
1.4.4. La natura della professione religiosa . . . . 51
1.4.5. La potestà dominativa: fondamento
e natura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53
1.4.6. Ambito di applicazione ed estensione . . . 57
Sommario
440

1.5. L’origine secondo le varie dottrine . . . . . . . . . . . . . 59


1.5.1. La traditio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63
1.5.2. La professione religiosa . . . . . . . . . . . . . . 64
1.5.3. Il voto di obbedienza . . . . . . . . . . . . . . . . 65
1.6. Potestà pubblica e privata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67
1.6.1. Uno sguardo storico . . . . . . . . . . . . . . . . . 70
1.6.2. Carattere pubblico della potestà
dominativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73
1.6.3. Categorie della potestà dominativa
pubblica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 78
1.7. Potestà negli Istituti esenti e non esenti . . . . . . . . . 82
1.7.1. Uno sguardo storico . . . . . . . . . . . . . . . . . 85
1.7.2. Posizioni giuridiche . . . . . . . . . . . . . . . . . 92
1.8. Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 98

CAP. II
DAL CIC 17 AL CONCILIO ECUMENICO
VATICANO II . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 101
2.1. La tematizzazione del CIC 17: can. 501 §1 . . . . . 101
2.1.1. Le fonti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 101
2.1.2. La prospettiva del CIC 17 . . . . . . . . . . . . 108
2.2. La natura giuridica della potestà dominativa . . . . . 111
2.2.1. Il soggetto della potestà dominativa . . . . 114
2.2.2. L’oggetto della potestà dominativa . . . . . 115
2.3. Il rescritto Cum admotae . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 118
2.3.1. Soggetto attivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 122
2.3.2. Soggetto passivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 126
2.4. Le singole facoltà in specie . . . . . . . . . . . . . . . . . . 129
2.5. La costituzione dogmatica Lumen gentium,
cap. VI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 167
2.6. Decretum de accomodata renovatione vitae
religiosae Perfectae Caritatis (28 ottobre 1965) . . 173
Sommario
441

2.6.1. Norme del rinnovamento . . . . . . . . . . . . 177


2.7. Il decreto Religionum laicalium . . . . . . . . . . . . . . . 181
2.7.1. Soggetto attivo ed applicazione . . . . . . . . 182
2.7.2. Le singole facoltà in specie . . . . . . . . . . . 184
2.8. Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 195

CAP. III
LA FASE DI CODIFICAZIONE DEL CAN. 596 . . 199
3.1. Principi ispiratori della riforma codiciale . . . . . . . . . 199
3.1.1. Il principio di sussidiarietà . . . . . . . . . . . . 203
3.1.2. La tutela dei diritti della persona . . . . . . 209
3.2. Il coetus de iure religiosorum . . . . . . . . . . . . . . . . . 213
3.3. Alcuni documenti redatti durante la codificazione . 217
3.4. L’iter redazionale del canone . . . . . . . . . . . . . . . . . 223
3.4.1. Lo Schema del 1977 . . . . . . . . . . . . . . . . 225
3.4.2. Lo Schema del 1980 . . . . . . . . . . . . . . . . 233
3.5. Conclusioni e prospettive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 242

CAP. IV
L’UFFICIO DI ORDINARIO . . . . . . . . . . . . . . . . . . 249
4.1. L’Ordinario secondo il can. 134 §1 . . . . . . . . . . . . 250
4.1.1. La potestà di governo ordinaria . . . . . . . . 252
4.1.2. I soggetti che ricadono sotto il nome
di Ordinario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 258
4.1.3. La potestà di governo delegata . . . . . . . . 264
4.2. Atti di governo dell’Ordinario . . . . . . . . . . . . . . . . 273
4.2.1. Doveri specifici dell’Ordinario . . . . . . . . 274
4.2.2. Diritti specifici dell’Ordinario . . . . . . . . . 282
4.3. Atti di governo comuni a tutti i Superiori maggiori 290
4.3.1. Doveri specifici dei Superiori maggiori . . 290
4.3.2. Diritti specifici dei Superiori maggiori . . 298
Sommario
442

4.4. Considerazioni sul Superiore maggiore


di un Istituto religioso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 310
4.4.1. Atti amministrativi singolari: decreti . . . 315
4.4.2. Atti amministrativi singolari: rescritti . . 324
4.5. Brevi conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 326

CAP. V
DOTTRINA SULLA POTESTÀ DEI SUPERIORI
MAGGIORI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 329
5.1. Le principali posizioni dottrinali . . . . . . . . . . . . . . . 329
5.1.1. Partecipazione della potestà di governo . 330
5.1.2. Mancanza della potestà di governo . . . . . 346
5.2. Diversità di vedute: prospettive ermeneutiche . . . . . 366
5.3. Linee personali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 370
5.4. Applicazioni e strade aperte . . . . . . . . . . . . . . . . . . 380
5.4.1. La formulazione di un nuovo canone? . . 381
5.4.2. Strade aperte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 384
5.5. Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 385

Conclusione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 389
Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 401
A. Fonti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 401
1. Pontificie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 401
2. Curia romana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 402
3. Autori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 403
B. Letteratura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 405
1. Studi monografici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 405
2. Articoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 413
Indice delle abbreviazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 431
Indice degli Autori citati nel testo . . . . . . . . . . . . . . 433
Sommario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 439
MONOGRAFIE

1. Unità e varietà nella comunione della Chiesa locale. A cura di


Arturo Cattaneo.
2. Pensieri di un canonista nell’ora presente. Javier Hervada. Tradu-
zione, note e aggiornamento bibliografico di Lucia Graziano.
3. Fondamenti del Diritto Canonico. Klaus Mörsdorf. Edizione e tra-
duzione a cura di Stefano Testa Bappenheim.
4. La potestà di governo nella vita consacrata. Linee di sviluppo sto-
rico-giuridico ed ecclesiologico. Francesco Panizzolo.
MARCIANUM PRESS s.r.l.
Dorsoduro, 1 - 30123 Venezia
Tel. +39-041-29.60.608 - Fax +39-041-24.19.658
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www.marcianumpress.it

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