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IDENTITA’ - PRESENZA - PIENEZZA

E’ noto come il Concilio Vaticano II abbia prodotto una “rivoluzione copernicana” in molti
campi, compreso quello ecumenico. Questa rivoluzione l’ho sentita sintetizzare da persone diverse
con uno slogan accattivante: “Mentre prima si diceva: Dove c’è chiesa, c’è salvezza, ora si dice:
Dove c’è salvezza, c’è chiesa”.
La soluzione del paradosso apparente, per cui i due enunciati sembrano identici nel
contenuto, sta nella diversa estensione del significato del termine “chiesa”, laddove nel primo caso
si intende la Chiesa (particolare) cattolica, mentre nel secondo si intende la Chiesa (universale) di
Cristo.
L’efficace slogan sopra citato trova il suo riferimento più immediato nel decreto Unitatis
redintregratio dove al n.3 si dice che “le stesse chiese e comunità separate, quantunque crediamo
che abbiano delle carenze, nel mistero della salvezza non sono affatto spoglie di significato e di
peso, poiché lo Spirito di Cristo non ricusa di servirsi di esse come di strumenti di salvezza, il cui
valore deriva dalla stessa pienezza della grazia e della verità che è stata affidata alla chiesa
cattolica”.
Certo il passo è notevole; tuttavia quello che qui si vuole dimostrare mediante una piccola
analisi dei documenti è che per ciò che riguarda l’ecumenismo della chiesa cattolica sarebbe più
esatto parlare di “evoluzione” piuttosto che di “rivoluzione”. La rivoluzione è un evento
traumatico, un rovesciamento istituzionale e legislativo che crea frattura col passato; l’evoluzione
qualcosa lascia e qualcosa tiene del passato per protendersi verso il futuro con correzioni e sviluppi
successivi.
Il linguaggio già ne è un sintomo: oggi non si parla più di “chiese e comunità separate” ma
di “non perfettamente congiunte” o “non in piena comunione con la chiesa cattolica” o più
semplicemente di “altre chiese o comunità ecclesiali” (cfr. Direttorio 1993 e UUS).
Il riconoscimento della dignità ecclesiale delle altre chiese e comunità cristiane è senz’altro
un grande successo del Concilio, che viene costantemente ribadito con affermazioni importanti del
Magistero. Così nella recente enciclica Ut unuum sint, Giovanni Paolo II, in assonanza con UR 3
afferma che “oltre i limiti della comunità cattolica non c’è il vuoto ecclesiale. Parecchi elementi di
grande valore che nella chiesa cattolica sono integrati alla pienezza dei mezzi di salvezza e dei
doni di grazia che fanno la chiesa, si trovano anche nelle altre comunità cristiane” (UUS, 13).
Tuttavia qui si vuole mostrare come i limiti denunciati da Carlo Dallari nel suo libro
(prospettiva quantitativa, prospettiva oggettivistica, prospettiva romanocentrica) non siano stati
superati, o, per dirla nei nostri termini, abbiano avuto una più lenta evoluzione nei confronti di altri
aspetti del campo ecumenico e di altri campi.
C’è però un aspetto positivo in questo: come i confini di uno stato tracciati su una cartina ne
mettono in rilievo la forma, così i punti nei quali si registra una più lenta evoluzione daranno
un’immagine chiara dell’identità della chiesa cattolica nei confronti delle altre chiese.
Fondamentale sarà vedere come nasce e si sviluppa la “categoria della pienezza”. A questo
riguardo isoleremo i punti pertinenti rintracciabili in LG, UR. Dir 93, UUS.

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La costituzione LUMEN GENTIUM

In LG,8 si definisce l’unica chiesa di Cristo come un organismo visibile, che è una sola
complessa realtà risultante di un elemento umano e di uno divino, per cui essa è insieme santa
e sempre bisognosa di purificazione.
“Questa è l’unica chiesa di Cristo, che professiamo una, santa, cattolica, apostolica, e che il
Salvatore nostro dopo la sua risurrezione diede da pascere a Pietro, affidandone a lui e agli altri
apostoli la diffusione e la guida, e che costituì per sempre la colonna e il fondamento della
verità”. Questa chiesa è organizzata come una società.
Orbene, l’unica chiesa di Cristo: 1) sussiste nella chiesa cattolica
: 2) ancorché al di fuori del suo organismo visibile si
trovino parecchi elementi di santificazione e di verità.

Gioverà anche uno sguardo a LG,14 dove troviamo che “non potrebbero salvarsi quegli
uomini, i quali, non ignorando che la chiesa cattolica è stata fondata da Dio come necessaria,
non avessero tuttavia voluto entrare in essa o in essa perseverare”.

In LG,15 si afferma che “con coloro che, battezzati, sono sì insigniti del nome cristiano,
ma non professano la fede integrale o non conservano l’unità della comunione sotto il successore
di Pietro, la chiesa (cattolica, n.d.r.) sa di essere per più ragioni unita”. Fa poi l’elenco delle
ragioni. “A questo si aggiunge ... una certa vera unione nello Spirito santo, poiché anche in loro
lo Spirito con la sua virtù santificante opera per mezzo di doni e grazie, e ha fortificati alcuni di
loro fino allo spargimento del sangue”.

Lasciando ad una più opportuna occasione la giusta comprensione del citato LG,14 che si
porrebbe in contraddizione con troppe altre proposizioni conciliari (se si dice che la chiesa cattolica
intesa come chiesa particolare è la sola necessaria alla salvezza cade tutto il discorso ecumenico),
troviamo qui un’evoluzione rispetto alle posizioni del passato (cfr. Enciclica Mortalium animos di
Pio XI del 1927).
Innanzitutto, la chiesa partecipa del già e non ancora della redenzione, legato alla propria
costituzione divino-umana per cui “incessantemente si applica alla penitenza e al rinnovamento”.
E’ proprio della dimensione del non ancora che ogni chiesa particolare si apra umilmente al
rinnovamento, al dialogo e al confronto, riconoscendo nelle altre chiese i parecchi doni di
santificazione offerti dallo Spirito.
L’altro passo importante è quando si afferma che l’unica chiesa di Cristo sussiste nella
chiesa cattolica. L’apertura sembrerebbe delineare il seguente teorema:
a) esiste l’unica chiesa di Cristo; b) l’unica chiesa di Cristo sussiste nella chiesa cattolica; c) l’unica
chiesa di Cristo sussiste anche nelle altre chiese cristiane.
Alla domanda su in che modo b) e c) differiscano nell’essere l’unica chiesa di Cristo LG
non risponde, anzi non prende neppure in considerazione la possiblità dell’affermazione c), poiché
non rientra nel suo oggetto immediato: si limita a dire che l’unica chiesa di Cristo sussiste nella
chiesa cattolica. Oltre non guarda, ma è già molto così: con questo passo si esce decisivamente
dalla categoria dell’assolutezza.
Da questo momento però il termine “chiesa” si carica in parte di equivocità: con “chiesa” si
intende la chiesa di Cristo o la chiesa cattolica? A volte i due significati sembrano usati
interscambiabilmente lasciando il sospetto che la categoria dell’identità irriducibile tra chiesa di
Cristo e chiesa cattolica che si voleva cacciare dalla porta rischi di rientrare dalla finestra. Non è
poi chi non veda come elementi, per alcuni specificamente “cattolici” come il primato di Pietro in
ordine alla gerarchia e alla verità, rientri direttamente tra gli elementi della definizione non della

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chiesa cattolica ma della chiesa di Cristo tout court, prospettando quel rapporto di identità
irriducibile di cui sopra. Lo stesso va detto per l’aggettivo “cattolico” che spesso viene usato in
contesti in cui non si capisce se lo si debba intendere col significato di “universale” o col
significato di “romano” (cfr. UR,3).
Questo e altri problemi dovrà risolvere la categoria della pienezza..

Il decreto UNITATIS REDINTEGRATIO

N.1: “Da Cristo signore la chiesa è stata fondata una e unica, eppure molte comunioni
cristiane propongono se stesse agli uomini come la vera eredità di Cristo; ... tale divisione
contraddice apertamente alla volontà di Cristo ed è di scandalo al mondo”.

N.2: “Lo Spirito santo ... opera la varietà delle grazie e dei servizi e arricchisce con vari
doni la chiesa di Gesù Cristo ‘organizzando i santi per compiere l’opera del servizio e per la
edificazione del corpo di Cristo’ (Ef 4,12)”.

N.3: i “fratelli separati” “che credono in Cristo e hanno ricevuto debitamente il battesimo
sono costituiti in una certa comunione, sebbene imperfetta, con la chiesa cattolica. Nondimeno,
giustificati nel battesimo della fede, sono incorporati a Cristo e perciò sono a ragione insigniti del
nome di cristiani ... e riconosciuti come fratelli nel Signore.
Inoltre, tra gli elementi o beni (dai quali, presi insieme nel loro complesso la chiesa è
edificata e vivificata), alcuni, anzi parecchi e segnalati, possono trovarsi (anche, n.d.r.) fuori dei
confini visibili della chiesa cattolica, come la parola di Dio scritta, la vita della grazia, la fede, la
speranza e la carità, ed altri doni interiori dello Spirito santo ed elementi visibili: tutte queste cose
che provengono da Cristo e a lui conducono, giustamente appartengono all’unica chiesa di
Cristo.”

N.B.) Viene stilato un elenco di “elementi o beni parecchi e segnalati” che “giustamente
appartengono all’unica chiesa di Cristo” e che “possono trovarsi fuori dei confini visibili della
chiesa cattolica”. Io ho aggiunto tra parentesi “anche”: si noti infatti che tutti gli elementi citati
appartengono tanto all’unica chiesa di Cristo quanto alla chiesa cattolica, e che invece non è citato
alcun elemento che non possa ritenersi proprio della chiesa cattolica. Questo perché -anticipiamo
un risultato- si dà perfetta identità e corrispondenza perfetta di elementi tra “unica chiesa di Cristo”
e “chiesa cattolica”, mentre non sarà così per le “altre chiese e comunità cristiane”.

“Anche non poche azioni sacre della religione cristiana vengono compiute dai fratelli da
noi separati e ... possono senza dubbio produrre realmente la vita della grazia ed ... aprire
l’ingresso nella comunione della salvezza.
Perciò le stesse chiese e comunità separate, quantunque crediamo che abbiano delle
carenze, non sono affatto spoglie di significato e di peso nel mistero della salvezza. Il loro valore
deriva dalla stessa pienezza della grazia e della verità che è stata affidata alla chiesa cattolica,
poiché lo Spirito di Cristo non ricusa di servirsi di esse come di strumenti di salvezza.
Tuttavia ... solo per mezzo della cattolica chiesa di Cristo, che è lo strumento generale
della salvezza si può ottenere tutta la pienezza dei mezzi di salvezza.
In realtà al solo collegio apostolico con a capo Pietro crediamo che il Signore ha affidato
tutti i beni della nuova alleanza, per costituire l’unico corpo di Cristo sulla terra al quale bisogna
che siano pienamente incorporati tutti quelli che già in qualche modo appartengono al popolo di
Dio”.

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Il principio è importantissimo: lo Spirito di Cristo non ricusa di servirsi delle altre chiese come di
strumenti di salvezza; dove c’è lo Spirito c’è salvezza e dove c’è salvezza c’è chiesa, si diceva. E’
un principio fondato su una prassi che si trova più volte nella bibbia (cfr. Nm 11, 24-30; Lc 9, 49
ss; Lc 11,20; At 11, 17-18; At 15, 8-11) e che - vedremo - Giovanni Paolo II porterà ai massimi
livelli nell’enciclica Ut unum sint, mettendo come punto di partenza del discorso ecumenico la
martyria.
Ma altrettando fondamentale è qui l’esposizione della categoria della pienezza, alla quale
dobbiamo prestare attenzione, perché il termine viene applicato a due diverse estensioni: c’è una
“pienezza della grazia e della verità” che lo Spirito ha donato tanto alla chiesa cattolica quanto alle
altre chiese in ordine al mistero della salvezza. C’è poi la “pienezza dei mezzi di salvezza” o dei
beni ecclesiali che invece appartiene solamente alla “cattolica chiesa di Cristo” alla quale il
Signore ha affidato “tutti i beni della nuova alleanza”. Per meglio intenderci, d’ora in poi parleremo
di presenza e di categoria della presenza ciò che qui è stato definito come “pienezza della grazia
e della verità” mentre continueremo ad usare il termine pienezza per indicare la “pienezza dei
mezzi di salvezza” e la “totalità dei beni ecclesiastici”. (L’inversione dei termini -cattolica chiesa
di Cristo- genera quell’equivoco di cui si è accennato. No, qui “cattolica” non sta tanto per
“universale”, quanto per “romana”; il contesto lo conferma. Probabilmente, qui e in altri punti,
l’ambiguità è forse ricercata perché si vuole ad un tempo affermare la diversità della chiesa
cattolica dalle altre chiese e al contempo la sua identità con l’unica chiesa di Cristo -o con la
definizione dell’unica chiesa di Cristo- in un ambito ecumenico che invita alla prudenza. Giovanni
Paolo II in UUS 14 porrà fine a queste ambiguità e si esprimerà in modo esplicito proprio citando
ed emendando questo punto, come vedremo) Si vede allora come molte espressioni rieccheggiano
un “ecumenismo del ritorno”, per quanto ci sia evoluzione della materia.

N.4: “Per questa via, a poco a poco, superati gli ostacoli che impediscono la perfetta
comunione ecclesiastica, tutti i cristiani in un’unica celebrazione dell’eucaristia, si riuniscano in
quell’unità dell’una e unica chiesa, e che crediamo sussistere senza possiblità di essere perduta
nella chiesa cattolica.”

Dunque, l’unica chiesa di Cristo sussiste senza possiblità di essere perduta nella chiesa cattolica,
ma -come detto sopra in altri termini e come UUS,10 affermerà esplicitamente- sussiste anche nelle
altre chiese. Siamo nella categoria della presenza; vanno ancora superati gli ostacoli che
impediscono la perfetta comunione ecclesiastica e dunque l’unità visibile.

“E’ chiaro che l’opera di preparazione e di riconciliazione di quelle singole


persone che desiderano la piena comunione cattolica è di natura sua distinta dall’azione
ecumenica; non c’è però alcuna opposizione.

E’ sintomatico che non si dia opposizione tra conversione alla chiesa cattolica e azione ecumenica:
posta l’identità e tra chiesa di Cristo e chiesa cattolica, così che quella sussiste in questa tanto per
la pienezza della grazia quanto per la pienezza dei mezzi e dei beni, favorendo il ritorno all’unica
chiesa di Cristo, si favorisce al contempo il ritorno alla chiesa cattolica o alla piena comunione con
essa. E’ ancora una visione quantitativa; ci si avvicina però a poco a poco anche ad una più
qualitativa dove ogni chiesa pensa in termini di doni dello Spirito da offrire per la causa dell’unità
visibile e da accettare nella reciprocità, come quando in UR,17 si afferma come nelle chiese
orientali “alcuni aspetti del mistero rivelato siano talvolta percepiti in modo più adatto e posti in
miglior luce” (così anche UUS,14).

I cattolici riconoscano “le ricchezze di Cristo e le opere virtuose nella vita degli altri, i
quali rendono testimonianza a Cristo, talora sino all’effusione del sangue.

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Né si deve dimenticare che quanto alla grazia dello Spirito santo viene fatto nei fratelli
separati può contribuire alla nostra edificazione.
Tuttavia le divisioni dei cristiani impediscono che la chiesa stessa attui la pienezza della
cattolicità ad essa propria in quei figli, che le sono bensì uniti col battesimo, ma sono separati
dalla sua piena comunione. Anzi, nella chiesa stessa diventa più difficile esprimere sotto ogni
aspetto la pienezza della cattolicità nella realtà della vita”.

Il DIRETTORIO 1993

N.13: “La comunione nella quale i cristiani credono e sperano ... ha il suo pieno
compimento nella gloria del cielo, ma si realizza già nella chiesa sulla terra mentre cammina
verso quella pienezza.
Tale comunione concreta si realizza nelle chiese particolari, ognuna delle quali è riunita
intorno al proprio vescovo. In ciascuna di esse’ è veramente presente ed agisce la chiesa di Cristo,
una santa, cattolica e apostolica’ (CD,11).
La comunione tra le chiese si conserva ed esprime specialmente attraverso la comunione
dei loro vescovi. Insieme essi formano un collegio, che succede al collegio apostolico e ha come
suo capo il vescovo di Roma come successore di Pietro.
Così i vescovi garantiscono che le chiese di cui sono i ministri continuano l’unica chiesa
di Cristo, fondata sulla fede e sul ministero degli apostoli.”

N.16: “L’unità della chiesa si realizza nel contesto di una ricca diversità. La diversità è
una dimensione della cattolicità della chiesa.”

Qui “cattolico” è inteso come “universale”.

N.17: “I cattolici ... confessano che la totalità della verità rivelata, dei sacramenti e del
ministero ... si trova nella comunione cattolica della chiesa.
Certo, i cattolici sono consapevoli di non aver vissuto e di non vivere personalmente in
pienezza dei mezzi di grazia di cui la chiesa è dotata. Malgrado tutto la loro fiducia nella chiesa
non viene mai meno.”

N.18: “Per quanto la colpevolezza umana abbia potuto nuocere gravemente alla
comunione, questa non è mai stata distrutta.
In effetti, la pienezza dell’unità della chiesa di Cristo si è conservata nella chiesa cattolica,
mentre altre chiese e comunità ecclesiali, pur non essendo in piena comunione con la chiesa
cattolica, in realtà mantengono con essa una certa comunione.”

Interpreto così sulla base delle precedenti e successive acquisizioni: la chiesa cattolica possiede la
pienezza dell’unità (la presenza) come le altre chiese, che invece non possiedono la pienezza dei
mezzi e dei beni ecclesiali e che per questo non sono in comunione con la chiesa cattolica.

N.20: Modificando in parte la sintassi della citazione ma non il senso si dice che “Il decreto
Unitatis redintegratio precisa che l’unità voluta da Cristo per la sua Chiesa si realizza ‘per mezzo
della fedele predicazione del Vangelo, dell’amministrazione dei sacramenti e del governo
esercitato nell’amore da parte degli apostoli e dei loro successori, cioè i vescovi con a capo il
successore di Pietro’. Il decreto afferma che tale unità consiste ‘nella confessione di una sola fede,
nella comune celebrazone del culto divino e nella fraterna concordia della famiglia di Dio’.

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Il concilio dichiara che essa non richiede affatto che venga sacrificata la ricca diversità ...
nella misura in cui tale diversità rimane fedele alla tradizione apostolica.”

L’enciclica UT UNUM SINT di Giovanni Paolo II

N.1: “La testimonianza coraggiosa di tanti martiri è la prova significativa che ogni
elemento di divisione può essere trasceso e superato nel dono totale di sé alla causa del vangelo.
... Uniti nella sequela dei martiri, i credenti in Cristo non possono restare divisi. ...Essi debbono
professare insieme la stessa verità sulla croce.” “Tale comune testimonianza della santità è un
potenziale ecumenico straordinariamente ricco di grazia (n.48)”. “Tutte le comunità cristiane
hanno dei martiri della fede cristiana (n.83)”. “In una visione teocentrica noi cristiani abbiamo
già un martirologio comune. ... Ho constatato, e con gioia, come la comunione, imperfetta ma
reale, è mantenuta e cresce a molti livelli della vita ecclesiale. Ritengo ora che essa sia già
perfetta in ciò che tutti noi consideriamo l’apice della vita di grazia, la ‘martyria’ fino alla
morte, la comunione più vera che ci sia con Cristo che effonde il suo sangue e, in questo
sacrificio, fa diventare vicini coloro che un tempo erano lontani (Ef 2,13)”.

Siamo all’avamposto attualmente più avanzato dell’evoluzione: si afferma che l’unità visibile della
chiesa è già pienamente realizzata nei martiri.

N.10: “Gli elementi di santificazione e di verità presenti nelle altre comunità cristiane, in
grado differenziato dall’una all’altra, costituiscono la base oggettiva della pur imperfetta
comunione esistente tra loro e la chiesa cattolica.
Nella misura in cui tali elementi si trovano nelle altre comunità cristiane, l’unica chiesa
di cristo ha in esse una presenza operante. Per questo motivo il concilio Vaticano II parla di una
certa comunione, sebbene imperfetta. La costituzione Lumen gentium sottolinea che la chiesa
cattolica ‘sa di essere per più ragioni unita’ a queste comunità con una certa vera unione nello
Spirito santo.”

N.13: “Parecchi elementi di grande valore, che nella chiesa cattolica sono integrati alla
pienezza dei mezzi di salvezza e dei doni di grazia che fanno la chiesa, si trovano anche nelle
altre comunità cristiane.”

(Mi conforta che quell’”anche” che io ho aggiunto a UR,3 il papa lo inserisca nell’identico punto,
confermando la mia interpretazione del decreto.)

N.14: “Tutti questi elementi portano in sé il richiamo all’unità per trovare in essa la loro
pienezza. Non si tratta di sommare insieme tutte le ricchezze disseminate nelle comunità cristiane,
al fine di pervenire ad una chiesa a cui Dio mirerebbe per il futuro. ... Essa (unità) è già data. ...
Gli elementi di questa chiesa già data esistono congiunti nella loro pienezza nella chiesa
cattolica e senza tale pienezza nelle altre comunità, dove certi aspetti del mistero crstiano sono
stati a volte messi più efficacemente in luce.”

Riassumendo, l’unica chiesa di Cristo sussiste nella chiesa cattolica e nelle altre chiese; la chiesa
cattolica possiede la pienezza della grazia (presenza) e la pienezza-totalità dei mezzi o beni
ecclesiali di salvezza (pienezza), mentre le altre chiese possiedono la prima ma non la seconda. Si
ammette però che qualcuno di questi mezzi, di cui la chiesa cattolica pure non difetta, trova miglior
espressione nelle altre chiese. Dunque, l’unica chiesa di Cristo sussiste presentemente e

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pienamente nella chiesa cattolica, mentre sussiste presentemente ma non pienamente nelle altre
chiese.
P. Carlo Dallari nel suo libro Chiamati all’unità (p.63) afferma che “in LG 8 il passaggio
dall’ ‘est’ al ‘subsistit’ manifesta che si è arrivati a istituire una differenza tra il contenuto (la
chiesa di Cristo c’è) e il contenente (cioè la chiesa nella sua dimensione storica con tutte le sue
pecche)”. Questa distinzione ci aiuta a mettere in rilievo quello che abbiamo più volte affermato: il
magistero cattolico insegna una sostanziale identità-reversibilità tra chiesa di Cristo e chiesa
cattolica all’interno di una relazione biunivoca per cui ogni elemento che viene riferito all’una può
anche essere riferito all’altra; non c’è invece biunivocità tra chiesa di Cristo e altre chiese poiché
queste difettano della pienezza dei mezzi e dei beni ecclesiastici. Dunque si può dire che il
contenuto della chiesa di Cristo si riversa pienamente nel contenitore della chiesa cattolica, mentre
il contenitore delle altre chiese resta tuttora insufficente a tale scopo.

N.87: “Il dialogo ecumenico si adopera a suscitare un fraterno aiuto reciproco per mezzo
del quale le comunità si applicano a darsi scambievolmente ciò di cui ciscuna ha bisogno per
crescere secondo il disegno di Dio verso la pienezza definitiva (cfr. Ef 4, 11-13) .... Tale
dinamismo di mutuo arricchimento ... basato sulla comunione che già esiste grazie agli elementi
ecclesiali presenti nelle comunità cristiane, non mancherà di spingere verso la comunione piena e
visibile.”

Con queste affermazioni c’è una decisa evoluzione da una prospettiva quantitativa ad una
prospettiva qualitativa.

Concludendo, trova conferma l’ipotesi di partenza di diverse velocità nell’evoluzione


dell’ecumenismo in campo cattolico: più lenta quella dottrinale (sostanzialmente ferma al concilio)
più accelerata quella legata alla prassi e al dialogo.

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