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Biffi, Approccio al cristocentrismo 1

Giacomo Biffi
APPROCCIO AL CRISTOCENTRISMO

riassunto
IL CRISTOCENTRISMO
Riteniamo propriamente cristocentrica la visione della realtà che fa
dell’umanità del Figlio di Dio incarnato il principio ontologico subalterno
dell’intera creazione.
L’ANTROPOCENTRISMO DELLA QUESTIONE IPOTETICA
«Se Adamo non avesse peccato, il Verbo si sarebbe incarnato lo stesso?»
L’interrogativo ipotetico va alla ricerca di un “futuribile divino”, cioè di
quello che Dio avrebbe fatto in connessione con una libera decisione umana che
non si è avverata. La classe dei futuribili divini non ha alcuna intelligibili-
tà. La questione ipotetica -se ha un senso- è quello di chiedersi quale sia il
motivo o il fine dell’incarnazione.
IL FINE DELL’INCARNAZIONE
Propriamente parlando, non è possibile trovare all’azione di Dio un “motivo” -
cioè un impulso all’agire - che gli sia esterno. Egli è per definizione
l’incondizionato, e niente di ciò che è extra-divino può essere propriamente
causa di una sua decisione1. Il fine dell’incarnazione, come di ogni altra ope-
ra, non può essere che la “gloria”, cioè la manifestazione delle perfezioni di-
vine.
«Quali perfezioni divine sono manifestate dall’incarnazione?»
All’interno di una gerarchia si potrà collocare la misericordia come valore che
più di ogni altro Dio ha voluto manifestare in questo ordine concretamente esi-
stente, come “messaggio” proprio e specifico della sua epifania.
LA PREDESTINAZIONE
Scoto: Cristo è il primo dei predestinati, e la predestinazione di Adamo e di
tutti i suoi figli è predestinazione in Cristo. (1Cor 1,4-5; Rm 8,29; Col 1,15).
La predestinazione di Cristo preesige necessariamente la caduta della natura u-
mana?: no. Quest’ultima infatti è occasionale2. Invece il fine era visto imme-
diatamente da Dio dall’eternità, e quindi la natura umana di Cristo - la realtà
più vicina al fine - era predestinata prima di tutto il resto. E così Cristo è
il primo dei predestinati. Cristo è assoluto e incondizionato, e con lui e in
lui il piano di elezione. Dio ha previsto di unire sé Cristo nell’unità del sup-
posito prima di qualunque merito e demerito. La ragione dell’incarnazione non
può trovare principio se non nella bontà divina, la quale non può che automoti-
varsi.
Valutazione di Biffi su Scoto: la predestinazione dell’incarnazione deve preve-
dere anche la predestinazione della redenzione, altrimenti si rimane

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L’incarnazione non è in funzione dell’uomo (e dell’universo) né in prospettiva elevante (essa rifinisce e dà completa-
mento al genere umano per quanto riguarda la natura, la grazia, la gloria, la bellezza: cfr. Bonaventura e Grossatesta), né
in prospettiva sanante (scopo dell’incarnazione è la restaurazione del genere umano caduto sotto il dominio del peccato:
Tommaso): sono entrambe queste visioni antropocentriche (cercano nell’uomo il fine dell’azione di Dio), che Biffi rifiu-
ta, opponendo invece un’indagine cristocentrica.
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nell’astratto. Cristo è il primo come Signore e Salvatore. Bisogna superare la


posizione scotista con la ricerca di un’unità originaria della “gloria” e della
“passione”, dell’incarnazione e della redenzione3.
Cristo Risorto è il primo dei predestinati, la gloria di Cristo è la gloria del
Crocifisso Risorto, in principio era il Risorto. Il Cristo immolato e glorifica-
to è quindi la sorgente di ogni esistenza creata, che perciò è sempre tutta e in
tutti esistenza redenta. (L’umanità che Cristo assume, lungi dall’essere princi-
pio di un mondo innocente e poi violato, è fin dall’inizio simultaneamente una
natura violata e redenta.)
IL DISEGNO DI DIO
(Ef 1,9-12; Col 1,18; Ef 3,11; Rm 8,28-29; 2Tim 1,9; Ef 20,1; Ef 3,9; At 4,27-
28; At 2,23; Lc 15,7)
C’è in Dio dall’eternità un disegno, un progetto, che ha presieduto
all’attuazione dell’ordine di cose di fatto esistente. Anche la Rivelazione lo
conferma: è “il disegno di ricapitolare in Cristo tutte le cose. In lui noi sia-
mo stati fatti anche eredi (...) per essere a lode della sua gloria” (Ef 1,9-
12).
Disegno cristocentrico: tutto ciò che il Padre ha pensato e voluto dall’inizio
(la sua oikonomìa è finalizzato a Cristo).
Disegno unitario: la razionalità del progetto (necessitata dalla volizione divi-
na) richiede la sua unità. All’idea prescelta tutte le realtà sono necessarie.
Poiché la rappresentazione ideale del mondo è per forza unitaria, ogni realtà
che ha un posto nell’universo deve avere un significato che la connette col re-
sto. Ogni cosa è perciò ordinata all’universo e gli è necessaria; contingente
può essere definito il mondo in rapporto a Dio, non le singole cose in rapporto
al mondo. Certezze: l’unità del progetto esclude una successione di progetti:
per es. un progetto iniziale dove non era contemplato Cristo e un progetto fi-
nale conseguente al peccato dell’uomo incentrato sulla “riparazione” del proget-
to iniziale fallito per mezzo del Cristo Redentore: è impensabile cioè che il
Verbo incarnato sia stato solo in un secondo momento caricato della finalità re-
dentiva.
Disegno ontologicamente limitato: siccome una è la realtà creata, ogni progetto
divino comporta fatalmente una scelta in cui alcuni valori sono assunti, mentre
altri sono lasciati nel mondo delle pure ipotesi divine. Infatti nessun possibi-
le piano di Dio potrebbe contemplare in sé tutte le perfezioni d’essere che sol-
tanto nell’infinità della divina essenza si trovano compresenti. Anche l’umanità
di Cristo è un bene relativo all’ordine prescelto, non un bene assoluto nei con-
fronti di tutti gli ordini ipotizzabili.
Domande sensate e insensate: non ha senso chiedersi perché è stata voluta questa
realtà piuttosto che un’altra: non ci sono “perché” che possano determinare

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Le conseguenze negative che Scoto individua su questo punto:
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Biffi cita e commenta le sue fonti. Suarez: l’incarnazione è stata voluta per se stessa, ma simultaneamente è stata voluta
anche come adeguata riparazione di un’eventuale caduta; Godoy: Cristo è stato voluto prima di ogni altra cosa, e, solo in
considerazione dell’eccellenza della sua gloria e della sua prevista azione redentrice, Dio permette il peccato e decide la
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l’azione di Dio; ha senso invece domandarsi quali sono i legami che connettono
le realtà particolari all’universo esistente, qual è il senso positivo anche di
ciò che ci appare con valenze negative.
Finalità: per sapere il senso del disegno di Dio, il senso cioè di ciò che il
Padre ha voluto dall’inizio, bisogna guardare a ciò che è avvenuto alla fine: se
alla fine c’è il Cristo Redentore, crocifisso e risorto, allora al principio e
al vertice dell’economia divina non ci può essere che il Cristo Redentore, cro-
cifisso e risorto4. Ora, per attuare il prodigio di un Uomo-Dio Redentore è sta-
to preferito, tra tutti i possibili, un mondo dove di fatto le creature libera-
mente si contaminassero nel peccato. Tra tutte le possibili realtà doveva essere
chiamata all’esistenza quella realtà che avesse la facoltà di essere redenta (e
quindi “antecedentemente” la possibilità di peccare). Dio ha creato l’uomo per
avere qualcuno da redimere, qualcuno cioè su cui riversare la propria misericor-
dia, il proprio perdono. Per avere un peccato da redimere è stato chiamato
all’esistenza un essere come l’uomo che, in quanto signore dei suoi atti, avesse
la tremenda facoltà di decidere anche contro Dio5.
I RAPPORTI DI CRISTO CON L’UNIVERSO
Lettura e analisi delle fonti bibliche: soprattutto 1Cor 8,6 e Col 1,15-20.
Cristo è la causa finale dell’universo6: il mondo è per Cristo e non viceversa7.
Con uno stesso atto Dio ha predestinato e voluto Cristo e gli uomini (e il mon-
do), il Redentore e i redenti. Il primo dei predestinati è il “Christus totus”,
che idealmente include in sé tutte le cose create e rinnovate. Il decreto di
predestinazione del “Cristo intero” -dice il Boublik- implica anche il decreto
dell’incarnazione (che implica anche la predestinazione di Maria) e il decreto
della redenzione.
Cristo è la causa esemplare dell’universo8: l’universo è l’epifania delle perfe-
zioni di Cristo. Il Verbo incarnato possiede la massima perfezione consentita
dalla natura (umana); le cose riproducono all’esterno in modo limitatissimo
qualcuna delle sue perfezioni. Dio (il Verbo incarnato9) è il fine (il modello,
l’archetipo) di tutte le cose perché le cose oggettivamente sono la sua “glo-
ria”, cioè sono manifestazione pur parziale della sua interiore ricchezza, sono

creazione; Molina: l’oggetto primo della predestinazione divina è Cristo, il quale è il principio non solo della rinnova-
zione e del riscatto, ma anche della stessa creazione del mondo.
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Dovremmo allora aggiungere un corollario: la natura umana (e la stessa materia) è anch’essa crocifissa e risorta.
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Anche qui si dovrebbe aggiungere un corollario: se la massima azione di Dio nei confronti dell’uomo è la misericordia
che si invera nel perdono, allora la massima azione dell’uomo nei confronti di Dio -dal punto di vista della gerarchia dei
valori- non consiste nel non peccare, ma nel pentimento e nella contrizione per aver peccato. Cfr. la parabola del figliuol
prodigo, ora del Padre misericordioso, ora del figliuol pentito. Dice Biffi che quel solo peccatore col suo pentimento si
colloca al centro di ciò che è proprio e caratteristico di questo ordine di cose voluto da Dio (cfr. Lc 15,7). Come scrive il
cardinale, è dunque insufficiente affermare che Dio “permette il peccato”; dal punto di vista della finalità Dio permette
il peccato per lasciare la possibilità del perdono. Dio ha previsto (ma non voluto) il peccato avendo previsto (e voluto) il
perdono. Benissimo allora S.Ambrogio: “Leggo che ha fatto l’uomo e allora si è riposato, avendo uno cui potesse per-
donare i peccati”.
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La causa finale è la causa delle cause.
7
Questo nell’ordine della creazione. Nell’ordine della elevazione -dice Trento- la causa finale è la gloria di Dio e di
Cristo e la vita eterna.
8
Causa esemplare di qualcosa - o causa formale estrinseca - è ciò che costituisce il modello di ciò che si prende a consi-
derare.
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cioè esemplate su di lui (sulla sua essenza). Poiché l’esemplare è concretamente


il Cristo crocifisso e risorto, è logico che l’universo, esemplato su di lui,
percorra tutti i misteri della sua vita salvifica. Tutta l’umanità è inchiodata
alla croce di Cristo, lo voglia o non lo voglia, lo sappia o non lo sappia.
Cristo è la causa efficiente dell’universo10: è questa una causalità efficiente
strumentale anche di tipo ontologico -e non solo morale- su tutto l’esistente,
nell’ordine della natura e nell’ordine della grazia. Si tratta però di
un’efficienza subalterna: causa efficiente primaria della creazione è la Trini-
tà.
LA PREESISTENZA DI CRISTO
L’antichità non parla di preesistenza ontologica dell’umanità di Cristo; si par-
la invece di preesistenza del Figlio di Dio in quanto consustanziale al Padre. I
francescani -presentando il primato del Verbo incarnato- parlano di preesistenza
morale o intenzionale di questa natura in Dio 11. Cullmann presenta
un’interessante soluzione, attingendo dalla categoria biblica del Figlio
dell’uomo: il Figlio dell’uomo preesistente, che è presso Dio fin dall’inizio,
che è dato con lui come sua immagine, è per sua essenza già uomo divino. Biffi
ripropone come risolutivo il mistero dell’ascensione, che è l’evento sorprenden-
te del passaggio di un uomo -sia pur divinamente personalizzato- dalla condizio-
ne temporale alla condizione di arcana ma reale partecipazione all’eternità di
Dio. Niente ci vieta di pensare -dice Biffi- che il Risorto, entrato
nell’eternità, sia stato fatto partecipe dell’attività divina “ad extra” di Dio,
che è in sé eterna, anche se è temporale nei suoi effetti. È questo un “atto e-
viterno del Signore della gloria”. In altre parole -se ho capito bene e con tut-
ti i distinguo del caso- il Verbo increato parteciperebbe dell’esperienza tempo-
rale del Verbo incarnato e viceversa; cioè l’unico Verbo di Dio da sempre esiste
nell’eternità, ma possiede anche la dimensione temporale dell’incarnazione; ora,
l’incarnazione dal punto di vista del tempo è “un’andata e ritorno
dall’eternità”, un passaggio dall’eternità alla temporalità e di nuovo -per il
mistero dell’ascensione- dalla temporalità all’eternità; dunque da sempre il
Verbo di Dio vive in un’eternità che “contiene” anche la temporalità
dell’incarnazione; dunque la natura umana di Cristo preesite e partecipa
dell’attività divina “ad extra” di Dio, che nei suoi effetti è temporale: cioè
alla creazione (di cui è causa).

9
Qui però mi sembra che Biffi predichi lo stesso di Dio e del Verbo incarnato.
10
Causa efficiente di qualcosa è ciò che determina il suo esterno esistere.
11
In che rapporto sta il Verbo increato col Verbo incarnato?

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