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LInfinito nel finito: lIncarnazione Propongo di svolgere un tema cos interessante in due tappe.

Nella prima espongo alcune coordinate decisive per una sana teologia dellincarnazione, ovvero per comprendere quella singolare unione di finito e infinito realizzata in Ges Cristo. Nella seconda raccogliamo la provocazione a considerare lincarnazione come un tema culturale, un simbolo che d a pensare e non solo come un dato di fede, una dottrina su Dio. Questo tipo di considerazione peraltro un dato culturale di rilievo, come si visto, ad esempio, nelle speculazioni filosofiche dellidealismo tedesco (Hegel e Schelling). Approccio teologico 1. La prima coordinata la questione del luogo dellincarnazione, ovvero di quellunione di finito e infinito di cui trattiamo. Tale luogo , secondo la nostra fede, la storia singolare, ovvero normativa e insostituibile, di Ges di Nazareth. Ma nel contesto dellattuale situazione pluralista stata posta la domanda se una tale visione non sia limitante: lincarnazione solo un evento puntuale o non piuttosto un processo universale, quasi cosmico, che riguarda tutti gli uomini, in qualsiasi cultura o tradizione religiosa si trovino? Si intuisce la portata della domanda, che chiede di verificare in che senso la fede riconosce in Ges il realizzarsi di un dono dellinfinito nel finito secondo un processo di incarnazione. Qualunque sia la risposta, la fede cristiana ritiene di dover mantenere fermo che il luogo dellincontro di finito e infinito una storia concreta e irreversibile, che abbraccia tutti gli uomini e culmina in Ges Cristo, verit delluomo (si vedano in tal senso le precisazioni della Dominus Jesus). Certo, occorre mantenere fermo che lincarnazione un avvenimento storico concreto, realizzatosi in Ges. Ma questo non toglie che tale avvenimento sia il culmine di un processo storico-salvfico che raggiunge ogni uomo per via spesso misteriose, come sosteneva lantica teoria dei semi del Verbo. 1.1. Per una pi approfondita caratterizzazione dei poli in tensione possiamo rimandare alle indicazioni di G. OCollins, che parla di un significato primario o classico (di fede) e di un uso esteso, sia interno al cristianesimo che oltre il cristianesimo (in altre esperienze religiose1.
(a) Il significato primario: Il senso pi antico della parola incarnazione rimane ancora il suo significato primario o letterale: la Parola o il Figlio di Dio si fece carne o si in-carn assumendo una completa natura umana e non semplicemente una forma corporea esterna. A un certo punto nella storia umana Dio oper in un modo speciale, e di fatto unico, mediante linvio o la venuta, una volta per sempre, di suo Figlio Tre preminenti teologi del Nuovo Testamento usano differenti linguaggi per testimoniare lincarnazione che inizi e puntell lintera storia di Ges (Paolo in Fil 2,6-11; Ebrei in 1,13; Giovanni in 1,1-14)2. (b) Uso esteso. Anzitutto lincarnazione diventa una verit generale: Almeno a partire dal diciannovesimo secolo, alcuni cristiani o post-cristiani hanno utilizzato (o, si dovrebbe dire, ridotto) incarnazione per indicare qualche verit generale circa la condizione umana. Cos, lungi dal limitare il termine a una caso unico, quello del Figlio di Dio diventato carne 2000 anni fa, essi interpretano lincarnazione come una possibilit per tutti gli uomini e le donne, o almeno per tutti gli esseri umani aperti al loro potenziale massimo. In tal senso viene citata una poesia di D. H. Lawrence: Dio il grande impulso che non ha ancora trovato corpo, ma insiste a voler incarnarsi, con grande slancio creativo. E diventa infine un garofano: ecco! Quello dio! E diventa Elena, o Ninon: una qualche bella e generosa donna al grado pi alto e pi bello, dacch dio a farsi manifesto in lei; o diventa un chiaro e impavido uomo, manifestazione di dio, dio stesso. Dio non c, se fai astrazione dai papaveri o dai pesci
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G. OCOLLINS, Incarnazione (=Gdt 304), Queriniana, Brescia 2004. Per ulteriori approfondimenti si veda N. CIOLA, Disagi contemporanei di fronte al paradosso cristiano dellincarnazione, in PATH 2 (2003) 443-471. Una buona sintesi della problematica si trova in G. MAZZA, Incarnazione e umanit di Dio. Figure di uneternit impura, San Paolo, Cinisello B. 2008, 19-33. 2 Per questa citazione e le seguenti si veda G. OCOLLINS, Incarnazione, 11-25.

volanti, dagli uomini che cantano, dalle donne che si spazzolano i capelli al sole. Le cose belle sono dio che passato, come Ges venuto. In secondo luogo e in tempi pi recenti, lesigenza di una visione pluralista della societ porta a una revisione della nozione primaria di incarnazione: Revisionisti recenti sono spesso guidati dalla convinzione che la dottrina classica dellincarnazione comporti inevitabilmente un inaccettabile esclusivismo religioso, una pretesa arrogante per cui, essendo stato fondato dal Figlio di Dio incarnato, il cristianesimo superiore e unico. Queste due pretese interconnesse devono essere evitate ad ogni costo, se intendiamo promuovere un reale dialogo interreligioso e la pace.

1.2. Alla luce di quanto rilevato sin qui occorrerebbe per chiedersi se il senso originariamente cristiano dellincarnazione non includesse da subito questo intreccio col senso pi esteso, antropologico o meglio storico-salvifico. quanto emerge dalla riflessione di Ireneo, laddove lincarnazione va intesa come lintensificazione di un processo storico-salvifico di plasmazione dellimmagine di Dio nellargilla della carne umana. Lincarnazione va inserita, insomma, in un processo storico-salvifico di avvicinamento di Dio alluomo e delluomo a Dio e quindi in una spazio narrativo (preesistenza) che comincia fin dal principio delle vie di Dio con luomo e quindi scaturisce dalloriginario riceversi delluomo dal dono di Dio. Ges Cristo il punto di unit e unificazione di un lungo processo storico, che non pu essere saltato mediante intuizioni mistiche di un al di l divino trascendente ineffabile (gnosticismo). La dottrina cristiana viene articolata in un simbolo o regola di fede che sintetizza il nucleo di una lunga storia di salvezza:
Possediamo la salvezza credendo in un solo Dio creatore del cielo e della terra e di tutto ci che esse contengono, e in Ges Cristo, il Figlio di Dio, che a causa del suo amore sovrabbondante per lopera da lui stesso modellata, ha acconsentito a essere generato dalla vergine per unire lui stesso mediante se stesso luomo a Dio3.

In questo passo emerge chiaramente lidea nuova della preesistenza del Verbo che acconsente a discendere nella sua incarnazione per la nostra salvezza. La confessione del Dio creatore viene articolata in un racconto complessivo che aggancia nella sua strategia narrativa il racconto biblico delle origini con il racconto della nascita di Ges Cristo dei vangeli: il richiamo alla partecipazione di Cristo allopera creatrice, opera da lui modellata, canonizza il legame dei due Testamenti in un solo corpo e configura la durata intera dei tempi in ununica storia di salvezza. C ununica economia unita dalla benevolenza del Padre e dallincarnazione del Figlio Ges Cristo. Emerge anche il motivo dellincarnazione: a causa del suo amore sovrabbondante per lopera da lui stesso modellata, ha consentito a nascere dalla vergine per unire lui stesso, mediante se stesso, luomo a Dio. Lunit di Ges Cristo il luogo di realizzazione dellunit per amore e nellamore di Dio con luomo, unit trasfigurante la natura umana. Lo spazio della cristologia al di qua della vita di Ges, tra linizio dei tempi e la comparsa di Ges, che ne compie la plasmazione delluomo secondo la benevolenza del Padre. Il secondo inizio, ossia la nascita di Ges, una ripresa pi intensa della stessa iniziativa creatrice/plasmatrice di Dio. La cristologia conserva la forma narrativa, riscrivendo la storia di Ges Cristo nel corpo dellumanit dallorigine e cos riscrive la storia di Ges in termini di storia universale:
stato mostrato con chiarezza che il Verbo, che era al principio, per mezzo del quale tutto stato fatto e che era presente da sempre al genere umano, questo medesimo Verbo, negli ultimi tempi, al momento stabilito dal Padre, si unito allopera da lui stesso modellata e si fatto uomo passibile [] Ha ricapitolato cos lui stesso la lunga storia degli uomini e ci ha procurato la salvezza in compendio4.

Lincarnazione ripresa e consumazione della creazione dallinizio, sotto limpulso della fine. Allorigine di tutto sta la percezione della bont della creazione, nella quale luomo stato plasmato a immagine e somiglianza di Dio. Perci luomo porta limmagine di Cristo nel suo essere totale, incluso il corpo materiale. La bont che si manifesta nellopera di salvezza cos riportata nello
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Contro le eresie, III,4,2, in E. BELLINI (ed), Contro le eresie e gli altri scritti, Jaca Book, Milano 1981, 220-221. Contro le eresie, III,1,2; 11,7, in Ivi, 217. 241.

stesso atto creatore da cui tutto scaturisce. Ma la creatura pu perdersi proprio perch Dio vi ha inscritto la somiglianza con s, ossia lappello a un destino superiore che essa, con la sua libert, pu realizzare sostenuta dalla grazia, ma pu anche fallire per la debolezza di una libert ferita. Dio per non pu lasciare che si perda una creatura nella quale, anche se caduta per il peccato, non cessa di vedere limmagine del Figlio. questa lintenzionalit che abita latto creatore, che viene sempre di nuovo ripreso, in caso di caduta, nellatto redentore. Dio salva luomo cos come lha creato, per la mediazione del Figlio, inviato nel mondo per rimodellare lopera che aveva modellato al principio. 2. La seconda coordinata rimanda alla questione del fine (e quindi, in qualche modo, della fine ossia del termine) del donarsi dellinfinito nel finito. Non si tratta semplicemente della questione teologica del Cur Deus homo, ovvero del rapporto tra incarnazione e redenzione. La questione concerne piuttosto il senso dellincarnazione: una strategia con cui linfinito recupera il finito e lo porta al di l dei suoi limiti, salvandolo ma rendendolo estraneo a se stesso? Oppure si pu dire che linfinito si perde nel finito, in un processo kenotico di dono che d valore al finito in quanto tale, col suo limite? Si intuisce che c in gioco il luogo di incontro tra il farsi vicino dellinfinito e la risposta del finito. Listanza estremamente stimolante. Ci limitiamo per a segnalare la reazione di un teologo speculativo di tutto rispetto, W. Pannenberg5. Egli sottolinea come il Dio trascendente si sia unito nellincarnazione col mondo del finito. Ma per tentare di comprendere questo avvenimento di grazia, occorrerebbe unire da subito al pensiero dellInfinito quello della sua onnipotente libert: Dio non ha posto un mondo finito per un processo necessario della sua natura, ma come espressione della sua assoluta libert. Analogamente lincarnazione va pensata come un atto libero, espressione della massima libert. Ci significa che Dio non semplicemente il correlato del mondo creato, bens il suo libero Creatore. Eppure se Dio si legato realmente nellincarnazione a una creatura umana, lessenza di Dio non pu essere pi pensata facendo astrazione dal legame con tale creatura umana finita. Ununione accidentale e occasionale di Dio con luomo distruggerebbe la stessa nozione di incarnazione. Ma ridurre lunione dellinfinito col finito a un processo necessario, porterebbe alla confusione. Occorre pensare attentamente alla libert dellInfinito nel suo legame col finito e del finito nella relazione con lassoluto, di modo che lunione realizzata nellincarnazione sia ben compresa a partire dalla mediazione della personalit divina del Figlio, per la quale la relazione del Figlio col Padre trova la sua mediazione adeguata in una forma umana. Lunit dellAssoluto col finito che si realizza nellIncarnazione pensabile solo a condizione che lassoluto entri nel finito e reciprocamente il finito si elevi al di sopra della sua finitezza verso lassoluto. Se allauto-esprimersi dellassoluto nel finito non corrispondesse un movimento sul versante del finito, la presenza dellassoluto nel finito rimarrebbe qualcosa di estraneo e non si realizzerebbe una vera unit. Perci ununit dellassoluto col finito pensabile solo come diventare uomo proprio perch fa parte della peculiarit delluomo tra tutte le essenze finite di elevarsi al di l dei propri limiti finiti per stabilirsi in una realt al di l di s. Peraltro tipico di ogni realt vivente il progredire al di l di s, prendendo posto in uno spazio pi vasto. Ma tipico delluomo il riconoscere anche laltro da s come altro e di tendere al di l dellaltro finito, riconosciuto nel suo essere finito, verso lInfinito. Detto altrimenti: tipico delluomo avere una religione. Luomo religioso tende a una qualche partecipazione al divino. Ma ci si pu realizzare nella forma della tentazione a farsi come dio, ponendo se stessi al posto di Dio nel totale oblio della propria limitatezza. Come possibile essere partecipi di ci che di Dio? Solo a condizione che Dio stesso venga incontro alluomo. Alluomo invece spetta di accettare la sua condizione finita come spazio di un affidamento a Dio, in cui accoglie da lui la sua condizione creaturale
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Riprendiamo le lucide considerazioni di W. PANNENBERG, Das christliche Inkarnationsdogma als Thema der Philosophie, in Archivio di Filosofia 77 (1999) 503-508.

nelladorazione e nella riconoscenza. La forza di un simile affidamento non spontaneo nelluomo idolatra. Ma quando avviene, si realizza il lui latteggiamento del Figlio nel suo riceversi dal Padre e consegnarsi a Lui. Lauto-differenziazione di Ges rispetto a Dio come Padre lo spazio in cui si realizza la comunione delluomo con Dio. Nella misura in cui ci avviene si realizza la manifestazione, nella relazione delluomo con Dio, dellimmagine (Bild) del Figlio e quindi si compie la relazione filiale. La fede confessa lunicit e singolarit dellunione di Dio con luomo in Ges. Ma tale evento non va isolato, poich laddove luomo si riceve dal Padre come il Figlio, lincarnazione del Figlio determina lumano e lo porta alla sua verit nella comunione con Dio. La partecipazione alla vita divina non perde lessere finito delluomo. Ges Cristo rimane pienamente uomo proprio nel suo essere il Figlio tra noi e questo essere umano rimane parte dellessere di Dio tramite la risurrezione e lascensione. Cos i beati rimangono pienamente uomini nel loro essere totalmente in comunione con Dio. La differenza del finito da Dio resta condizione della vera comunione e unit. 3. La terza coordinata infine rimanda al problema della logica che presiede al processo di incarnazione. Di che rapporto si tratta: ununione che genera fusione fino alla confusione, uno scambio nuziale che fonda la consistenza del finito nella stessa relazione o ancora di un processo di dissimulazione, di nascondimento dellinfinito nel finito per riscattarlo e portarlo altrove? Lultima ipotesi rimanda allo gnosticismo. Il pensiero gnostico non poteva accettare che Dio comunicasse con luomo legandosi alla materia, alla carne, al finito contingente. Sembrava perci pi conveniente pensare che il finito a cui si lega linfinito fosse una traccia, un segno che rimanda oltre, a una trascendenza inafferrabile, nascosta nelle figure del corpo e della carne, ma proiettata verso altre dimensioni celesti o spirituali. Simili domande permettono di intuire la portata del disagio gnostico: come linfinito (ad esempio lamore infinito di Dio), legandosi al limite, ovvero ad una carne deperibile pu rivelare la sua verit? Si tratta di indagare le risorse del limite, della carne e del corpo in ordine alla questione della verit e della salvezza, cos da mettere in luce linevitabilit del corpo di carne quale luogo dellavvenimento della verit. Luomo presso di s nel suo limite, nella sua carne, non altrove. La carne e il corpo non sono per principio luoghi di alienazione del vero io, ma luoghi della sua incarnazione, del suo riconoscimento e della sua strutturazione. Daltra parte, la negazione della vera carne del Figlio Ges comporta esiti curiosi e una logica sconveniente. Lassunzione della carne (di una carne apparente o come tale non decisiva per lidentit storica del Figlio e per il senso dellazione divina di salvezza) si realizza allinterno di una logica di inganno, dissimulazione e nascondimento. Infatti, per attraversare i diversi eoni (o spazi esistenziali degradanti da Dio verso la materia) il Salvatore deve in qualche modo dissimulare la sua identit e nascondersi, per poter giungere al destinatario e salvarlo. Detto altrimenti: il Dio che salva non si esprime nella carne limitata, ma si nasconde in essa per fare altro. Lascia segni (ambigui) di uneconomia salvifica, che non ha a che fare con il mondo di esperienza in cui vivono i destinatari della rivelazione. Siamo in una logica di distanza, sospetto, che realizza una sorta di crisi comunicativa. Lesito pi grave di questa logica la dispersione dei soggetti: chi salva? A che livello? Facendo cosa? Chi luomo salvato nonostante la sua condizione attuale di vita? Approccio filosofico/culturale Di fatto il pensiero dellincontro tra infinito e finito, e precisamente il mistero dellincarnazione, non stato solo un dato di fede proposto dalle Chiese, ma anche un tema di riflessione, uno stimolante oggetto del pensiero filosofico e dellimmaginario culturale, un simbolo antropologico che d a pensare. Riprendiamo, di questo grande patrimonio culturale, solo tre riflessioni recenti, appartenenti la prima allaltro ieri, la seconda aieri e la terza alloggi della nostra cultura.

1. Lincarnazione sospettata: lunione di finito e infinito un sogno o un incubo, promessa o minaccia? Lunione dellinfinito col finito stata oggetto, negli anni 70 di una certa diffidenza che potremmo tradurre con alcuni slogan dellepoca: luomo ha bisogno di essere divinizzato o non piuttosto umanizzato? Se gi difficile diventare autenticamente uomini, in che senso ci viene proposto di partecipare alla vita di Dio? Il sogno delluomo di essere pi di quel che , appunto uomo, non fallisce il bersaglio? Non cade in forme di delirio di onnipotenza che rendono luomo colpevole pi cattivo di quel che (bestia) e luomo giusto pi idealizzato di ci che (angelo)? Allorigine di tali sospetti si troverebbe, secondo alcuni pensatori, un equivoco sul funzionamento dellamore e in specie dellamore di Dio. Si tratta di quellequivoco che pensa come unione/fusione degli amanti, fino alla confusione che perde lalterit:
Una regola fondamentale dellamore vero, anche di quello di Dio, di volere laltro come altro, di non volersi identificare con lui, perdendone lalterit (incarnazione, unione ipostatica). Questa perversione dellamore che tutto unifica, smarrendo lalterit e la differenza, trasforma lannuncio evangelico di Ges nellossessiva possessivit di un amore che fa tutto e quindi chiede tutto in modo arbitrario e prepotente. Lamore di Dio preferisce uno allaltro: come pu essere universale e incondizionato? Lamore perdona stabilendo le condizioni della riconciliazione, che lui stesso dona, senza chiedere nulla al partner: dove sta il rispetto dellaltro e la sua gratuit? Questi equivoci derivano dallidentificazione dellamore di Dio con un mediatore storico: in tal modo si perde la differenza del Dio totalmente Altro, identificandolo con un uomo, e si sottomette a una logica deformante lamore differente e universale di Dio (G. MOREL, Questions d'homme. Jsus dans la thorie chrtienne, Paris, 1977).

La provocazione interessante nella misura in cui costringe a rileggere con cura il senso della dottrina cristiana riguardo allunione ipostatica di Dio e uomo in Ges (Concili di Efeso del 431 e di Calceodnia del 451). In questi Concili emerge con chiarezza come lincarnazione non esprima unidentificazione mitica di Dio e uomo, ma la libera assunzione da parte di Dio di unidentit umanamente realizzata. Efeso dice che la realt creata (la storia di Ges) assunta nel rapporto di auto-comunicazione del Padre al Figlio e nel Figlio, per cui labisso tra Dio e uomo assunto nella relazione tra Padre e Figlio, come dono reciproco che crea e salva. Non si deve per dimenticare che Ges Cristo Dio proprio in quanto questuomo concreto, Ges di Nazaret. Non insomma un caso speciale di unione tra umano e divino. Ges il Figlio di Dio proprio in quanto questuomo, nel senso che in forza dellunione questa sua umanit quella del Figlio. La storia di Ges la missione del Figlio. A partire da Efeso la relazione tra umanit e divinit relazione di essere e non di avere. La storia di Ges la storia di Dio con noi. Non si tratta dunque di una fusione che confonde, perch il luogo di unit non una terza natura tra Dio e uomo, che crea confusione tra infinito e finito. Il luogo di unione la persona del Figlio, realt sostanziale che crea comunione senza confondere, realizzando lidentit personale del Figlio nella vera storia umana di Ges. 2. Dallo scambio di sospetti alla ricerca di un luogo fecondo di incontro tra cultura e teologia. La teologia sospetta i procedimenti filosofici di favorire una riduzione antropologica dellincarnazione, una sorta di processo di secolarizzazione in cui Dio diventa metafora delluomo o si perde e risolve nellumano che (si) pone (come) il divino, per giungere pienamente a s. Cos lincarnazione ridotta a simbolo o metafora del diventare uomo delluomo. La filosofia invece, o la cultura in genere, sospettano la teologia di mantenere una comprensione forte o dallalto di incarnazione, e quindi una comprensione apparente dellassunzione dellumano da parte di Dio, intendendola come processo vittorioso con cui Dio attraversa lumano per vincerne/superarne la fragilit e ultimamente il peccato, giungendo cos a riaffermare la totalit teologica dellInfinito, che si prende la rivincita sul finito.

Questo scambio di sospetti ben rilevabile nelle considerazioni sullincarnazione di S. Natoli. Egli da un lato afferma che la modernit ha superato una comprensione letterale e quindi tendente al mito (delluomo/Dio) dellincarnazione della trascendenza, ripensando al processo di incarnazione come processo dellimmanenza e quindi come simbolo antropologico. Esistono due modelli: Dio salva lumanit perch incarnandosi diviene pari ad essa, oppure perch essendo eterogeneo ad essa la rende a sua volta eterogenea a se stessa, in breve, la trasforma?6. Il modello trionfante gi nella formulazione teologica un modello di successo. Lincarnazione vista come lesito inevitabile e coerente della creazione. Lincarnazione lespediente con cui Dio evita il fallimento della creazione. Lincarnazione in mente Dei fin dalla creazione, ratifica ab initio il successo di Dio. Nellincarnazione Dio non si svuota, anzi nellincarnarsi Dio perfeziona la creazione, la porta a compimento. Nellincarnazione linfinito entra nel mondo e nel tempo e fa in modo che questi non possano pi essere compresi senza linfinito. Su questa via la secolarizzazione dellincarnazione significa un diventare divino delluomo, affidato per ora solo a se stesso: indica cio lumana capacit di cogliere e affermare la sua dimensione infinita e quindi incondizionata. Luomo moderno eredita lidea di una salvezza incondizionata, ma la pone da s e per s. Nel modello kenotico invece Dio annienta se stesso. Ma lannientarsi di Dio un annientarsi infinito, come solo a un Dio pu capitare. Se le cose stanno in questi termini, Dio non pu essere esperito altrimenti che nella caritas. La verit dellincarnazione data dal fatto che Ges inaugura la possibilit di una donazione incondizionata. Gli uomini possono ad ogni momento e sempre ripetere il suo gesto: darsi per intero agli altri. La carit dunque un modo per dar seguito allincarnazione, un modo per sperimentare il divino nelluomo. In questa seconda linea si inscrive la lettura di Natoli: questo incarnarsi di Dio per noi nullaltro significa che lo svelarsi del divino nelluomo o meglio la possibilit che luomo ha di trascendersi, di eccedere se stesso, di divenire Dio. Il dono di s, quando estremo, cos improbabile da esigere lincarnarsi di un Dio. E Dio sincarna davvero ogni qualvolta gli uomini diventano capaci di dono.

possibile per segnalare autori che cercano un punto di incontro tra i due movimenti dellincarnazione, rimanendo fedeli al luogo in cui Dio incontra luomo, ossia la storia finita e concreta di Ges. A titolo di esempio raccogliamo le suggestive riflessioni di M. Ruggenini prima e poi di P. Coda7. Per Ruggenini il Dio che si fa vicino nella rivelazione un Dio che si lega alla parola umana e cerca di dire la sua verit con parole umane. Lo fa proprio perch luomo, che convocato dalla parola e interpellato da essa per una decisione, sia in qualche modo costretto a decidersi nellascolto di questa parola, lasciandosi interpellare da Dio proprio l dove diventa responsabile di s e dellaltro. Linfinito incontra il finito proprio laddove il finito affidato a se stesso, nel suo limite che prende forma per un senso pi grande:
Il Dio del linguaggio non pertanto un Dio al di l delluomo, separato dalla sua esistenza finita, ma il Dio che realizza il proprio essere Dio in quanto si fa parola nelle parole degli uomini. Non questo il Dio dellincarnazione? [] Laudacia straordinaria del cristianesimo quella che la teologia e la fede faticano a tradurre nei propri pensieri espliciti, consiste nellaver reso la misura dellumano interna allessere stesso di Dio. Il Dio divino quello che si sottopone a tale misura e che dunque si rivela come Dio nellessere delluomo. [] Se dunque Ges un uomo, la verit di Dio che egli manifesta una verit finita, ma proprio per questo, non malgrado i suoi limiti, la pienezza della rivelazione di un Dio che cerca la propria gloria nella risposta che gli uomini sapranno dare alla sua parola In Ges possiamo dunque intendere che il Dio parola si fa carne affinch ogni carne si faccia parola, rivelazione del mistero divino che ogni esistenza chiamata a custodire nella sua finitezza8. Questo finalmente il mistero del Dio che ha consumato sulla croce ogni desiderio dinfinito, per rivelare allesistenza che il suo bisogno di altro la deve condurre a cercarlo nel mondo, in cui il Dio Logos parla agli uomini nelle loro parole9.
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S. NATOLI, Verbum-caro. Per unermeneutica dellincarnazione, in Filosofia e Teologia 13 (1999) 52. P. CODA, Lincarnazione del Figlio di Dio vocazione del figlio delluomo, in Filosofia e Teologia 13 (1999) 21-42; M. RUGGENINI, Un Dio uomo?, in Ivi, 7-20. 8 M. RUGGENINI, Un Dio uomo?, in Ivi, 14-16. 9 Ivi, 18-20.

Si chiarisce la domanda sul rapporto tra linfinito che si dona e il finito visitato: a quale livello si incontrano i due movimenti (del finito elevato e dellinfinito che viene)? Qual il luogo della loro riuscita composizione, al di l di sospetti pi o meno fondati o riduttivi? Per il teologo P. Coda tale luogo il possesso di s nel dono allaltro, ossia il livello personale dellesperienza:
Dio ha allo stesso tempo e, per dirla con Calcedonia, senza confusione, senza mutamento, senza divisione e senza separazione unespressione di S dentro di S (che il Logos) e una fuori di S che la creazione o, meglio, Ges Cristo nel suo pleroma pan-umano e pan-cosmico: perch, in Lui, il creato attinge, gratuitamente e liberamente, la sua vocazione a diventare ci che da sempre nel progetto di Dio Tutto ci significa che occorre prendere sul serio il dato, che ci rivelato dallevento cristologico, per cui Dio pu trascendere Se stesso, proprio in ci manifestando al massimo (se cos si pu dire) il suo Essere-Dio; e che di conseguenza e in risposta anche luomo e il creato in Lui pu trascendere se stesso. Evidentemente, tale originaria possibilit di auto-trascendimento si esprime in Dio nel fatto che lEssere di Dio sempre personalizzato, e cio non si d in Dio una natura che non sia ipostatizzata. Dio in S libero trascendimento di S verso lAltro (Padre e Figlio, in reciprocit), latto stesso di questo reciproco trascendimento (Spirito Santo). E in ci che il cuore di Dio sta la possibilit di un trascendimento che lo ponga anche fuori di S: o meglio attraverso cui liberamente Egli ponga fuori di s un altro da S che a sua volta liberamente accolga nella dedizione di s la grazia dessere fatto altro Dio, distinto da Dio10.

Ma questa lettura trinitaria dellincarnazione rimanda poi alla sua realizzazione storica, che si compie sulla croce. Nellesperienza dellabbandono patito da Ges sulla croce e nel suo affidamento totale al Padre si precisa il trascendimento verso lAltro di cui si detto sopra:
Il trascendimento di Dio verso lA/altro in S e fuori di S, per essere come reale, non pu non comportare una totale kenosi di S, in cui Egli proprio perch non , perch si dona. Solo Dio pu dare Dio e, dunque, solo Dio (nel Verbo incarnato) pu perdere Dio nel darLo (labbandono della croce) proprio cos essendo se stesso (Padre) e partecipando Se stesso allaltro da S (il Figlio risorto nello Spirito, e i figli in lui). Levento dellabbandono di Ges Cristo apre su questa abissale profondit dellontologia agapica della dedizione che dice lEssere di Dio e nella cui interiorit, per levento dellincarnazione, detto in libert anche lessere delluomo e del creato11.

3. Lincarnazione come punto di contatto o soglia di comunicazione tra due infiniti, in una rete ingovernabile di relazioni, intrecci, scambi. Una recente proposta teologica sullincarnazione porpone di rivedere lidea tradizionale di finito/infinito a partire dalla complessit del finito resa evidente dal mondo virtuale e da una strutturazione del reale come rete infinita di connessioni possibili. In questo contesto lincontro tra finito e infinito andrebbe pensato come un prendere forma un assumere il limite da parte dellinfinito per diventare soglia, limen luogo di incontro e di scambio. Dio assume unidentit storica per farsi incontrare, per stabilire connessioni, per inserirsi in una rete di relazioni e contatti e offrire alluomo un luogo di incontro e di scambio. Lo sfondo di una simile intuizione lattuale esperienza di un mondo globalizzato, ma non unificato:
La nostra situazione globalizzata e pluralista ha sovvertito la visione dellIlluminismo. Il postmoderno afferma che non si pu pi ragionevolmente sostenere la prospettiva di un mondo simbolico unico e universale, che unisca lumanit a un livello pi profondo delle nostre apparenti differenziazioni. Al contrario, bisogna rendersi conto che abitiamo ormai un mondo fatto da realt multiple. Ogni diversa categoria di persone costruisce storie diverse sul mondo che essa incontra12.
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P. CODA, Lincarnazione del Figlio di Dio vocazione del figlio delluomo, 39. Ivi, 40. 12 G. MAZZA, Incarnazione e umanit di Dio. Figure di uneternit impura, San Paolo, Cinisello B. 2008, 52.

Il principio associativo in questa complessit funziona al modo di uninterrelazione e di uno scambio continuo: Dialogo e osmosi, condivisione e conflitto fanno del regime di prossimit un intricato sito di relazioni che abbatte i muri dello spazio e del tempo Tutto vicino, tutto al centro, perch non c nessun centro e nessun confine. Tutto comunica con tutto, e la comunicazione, vera anima della concatenazione di relazioni, non possesso di nessuno. viva in s. La conoscenza tanto pi efficace, quanto pi far leva sullabilit di ciascuno a muoversi entro una rete connettiva globale (lholistic web, appunto). Ne deriva la tensione tra erranza reticolare e ricerca del fondamento. Laccesso alla totalit ormai in regime di accesso alle connessioni infinite dei singoli elementi in una rete allinterno della quale ci si muove agilmente. In queste interrelazioni infinite non si apre lo spazio per una nuova congiunzione con Dio e in particolare col Dio incarnato che si delimita per mettersi in connessione comunicativa col resto in una rete di relazioni interminabile e sempre attualizzabile? Si pu allora superare un Dio astratto e esteriore rispetto al campo immenso delle interconnessioni in cui viviamo. Dio appare come concreto, perch inserito in/con/attraverso i confini della nostra realt limitata eppure in rete. Il rischio di questo funzionamento dellincarnazione quello di una certa dispersione dei soggetti in gioco. Si tratta cio della tentazione di entrare in connessione con la forma finita dellinfinito senza la preoccupazione di darsi unidentit concreta, voluta e decisa. Il mondo virtuale un mondo in cui ci si inventa unidentit facendo esperimenti, che per potrebbero non costringere mai a darsi una forma, in cui si decide di s, della propria verit di fronte a Dio e ai fratelli. Sarebbe una sorta di malattia dellamore, che non decide di s ma sperimenta, senza mai costruire unidentit in una storia coerente. Lincontro tra finito e infinito mette in gioco la questione radicale della libert e dellidentit. Linfinito pu entrare in contatto salvifico col finito solo laddove in gioco la libert con cui luomo ha che fare seriamente con s, decide di s in relazione allaltro. la grande sfida dellincarnazione.

Scuola di Teologia di Monza 29 novembre 2011

Il finito nellinfinito: la Risurrezione Il dato di fede: la centralit della risurrezione 1. La risurrezione e il senso letterale dellincarnazione (i teologi pluralisti) 2. Il processo di trasfigurazione inscritto nellincarnazione: Massimo Confessore 3. La risurrezione al cuore della storia della salvezza (J. Ratzinger) Se lincontro di infinito e finito realizzatosi nellincarnazione del Figlio in Ges non dice un modo astratto e statico di identificare il rapporto di Dio con luomo, ma identifica un processo, un dinamismo salvifico che si intensifica e si compie in Cristo, proprio perch in lui si attua a un titolo affatto originario e singolare, il pensiero della risurrezione diventa qualificante. Un test istruttivo per verificare la tensione tra una comprensione statica, astratta dellincarnazione e una dinamica e salvifica il confronto tra lidea dei teologi pluralisti sullincarnazione come metafora dellincontro riuscito delluomo con Dio in occasione di Ges. Tale visione deve recuperare il senso originario dellincarnazione, al di l delle successive distorsioni, derivate da uninterpretazione letterale e metafisica. Ma tale lettura del dato di fede deve misurarsi con lintuizione patristica del mirabile scambio di Dio con luomo ovvero della pericoresi di umano e divino nellipostasi del Figlio. La teologia pluralista delle religioni (J. Hick; P. Knitter, R. Panikkar, Schmid Leukel), ossia quella teologia che vuole rileggere la fede in Ges Cristo allinterno del pluralismo religioso, ha suscitato un certo dibattito sul senso dellincarnazione oggi. Lesigenza attuale di creare un dialogo tra le religioni sincero e leale dovrebbe portare a una sorta di annullamento o ridimensionamento della pretesa cristiana di avere in Ges Cristo lunico e universale rivelatore di Dio e salvatore. Ges uno tra i tanti, bench sia altamente significativo per i cristiani. Per riuscire in questa operazione di ridimensionamento della pretesa occorre verificare la radice da cui deriva una cos alta valutazione di Ges Cristo. Ora, lorigine della pretesa meno il Ges della storia quanto piuttosto la fede dogmatica della Chiesa, che reinterpreta Ges come il Figlio di Dio incarnato. Ma una simile lettura dogmatica e metafisica di Ges un dato originario o una complicazione della fede? Ritorna il sospetto che la Chiesa abbia proiettato su Ges, inteso come Figlio di Dio, un significato sproporzionato alla pretesa del Ges della storia. Si ricrea la contrapposizione tra Ges storico e il Cristo della Chiesa. stata la Chiesa a rileggere in maniera letterale il mito cristologico originario, falsandone il significato. Ma in tal modo ha complicato la fede, portandola a difficolt insuperabili: se Ges il Figlio di Dio apparso tra noi pu essere veramente un uomo? Chi agiva in Ges: luomo o Dio? Ma se agiva Dio, Ges ha veramente sofferto? Posso dire che Ges era onnipotente in quanto Figlio di Dio? Ma in questo caso era veramente uomo? Questi problemi mostrerebbero limpossibilit di interpretare in maniera letterale la fede in Ges come Figlio di Dio. Si tratta piuttosto di un mito, che vuole esprimere lesperienza fatta dai discepoli di avere incontrato Dio in Ges.
In concreto si tratta di ritrovare un senso non-letterale della pretesa cristiana e quindi a partire da una ricomprensione del funzionamento del discorso di fede. Ci possibile recuperando la lettura mitica dellaffermazione cristiana dellunicit di Ges: i cristiani, quando dicono che Ges lunico, fanno come linnamorato che professa di aver incontrato lunica donna della sua vita. Questa strategia di discorso mantiene per i cristiani il senso dellassolutezza e imprescindibilit del riferimento a Ges

Cristo, mentre permette di relativizzare la pretesa cristiana di fronte alle altre religioni 13. Linterpretazione letterale di una simile affermazione invece frutto di esigenze storiche e sensibilit culturali determinate (nozione greca di verit, contesto originario di minoranza e persecuzione nel mondo greco-romano), che vanno superate per recuperare il senso originario delle professione di fede in Cristo. Fa parte di questa purificazione anche lesigenza di superare una comprensione letterale dellunitidentit di Ges con il Figlio di Dio, miticamente espressa nella dottrina dellincarnazione. Questa dottrina, infatti, va letta allinterno della strategia di discorso mitizzante sopra indicata. Si tratta cio di un modo per esprimere il significato di Ges per i cristiani e non della descrizione di uno stato di cose. Linterpretazione letterale e quindi equivoca di tale dottrina sorta quando la Chiesa oper un mutamento del tema (ossia di ci di cui si parla) nella confessione cristologica. Ponendo come referente della professione di fede non pi Ges di Nazareth ma il Logos o Figlio di Dio quale soggetto proprio delle predicazioni cristologiche, la teologia cristiana ha compiuto un passo decisivo dalla fede in Ges Figlio di Dio allidea di Ges Dio Figlio. Il cambiamento di soggetto implica un mutamento nella strategia del discorso: mentre la professione di fede Ges il Figlio di Dio aveva carattere metaforico, lespressione Ges Dio Figlio ha una carattere metafisico e implica un equivoco passaggio dal senso mitico di una metafora religiosa al senso metafisico, che pretende di dire qualcosa di una figura divina appartenente alla realt. Ma lintepretazione metafisica e letterale della fede in Ges Cristo si scontra con limpossibilit di dare alle affermazioni cristologiche cos intese un significato logico coerente e plausibile. Se infatti si deve intendere unidentit reale tra Ges e Dio Figlio, si devono poter predicare dei due le stesse qualit: ma in che senso si pu dire che Dio Figlio soffre al Getsmani o piange davanti alla morte di Lazzaro o ha sete al pozzo di Giacobbe? E in che senso si pu dire che Ges onnisciente e onnipotente? Si impone di ripensare lidentit tra Ges e Dio Figlio meno in termini sostanziali e pi in termini dinamici o qualitativi. Ma in tal caso o Ges diventa il Figlio nella successione dei tempi oppure va inteso come lincarnazione o la storicizzazione dellazione/dellamore di Dio. Siamo cos tornati al senso metaforico dellidentificazione cristologica. Eppure il dogma della Chiesa esige di interpretare lidentit in senso sostanziale/reale e quindi lincarnazione in senso letterale (Ges proprio Dio Figlio incarnatosi). In tal modo si costretti, nellinterpretazione letterale dellaffermazione cristologica, a scegliere qual il soggetto e quale il predicato. Ricompaiono pertanto le aporie della tradizione cristologica: se soggetto il Dio Figlio, la storia di Ges rischia di essere apparente (docetismo), mentre se il soggetto Ges si deve accedere allidea di un Dio mutevole o inferiore, incarnatosi in Ges. Nei due casi si conferma la difficolt della teologia cristiana a comprendere in un sistema di pensiero coerente il mistero di Ges a partire da uninterpretazione letterale dellincarnazione e quindi dellidentit tra Ges e Dio Figlio. Ne consegue che linterpretazione letterale delle affermazioni cristologiche impossibile, dal momento che linterpretazione realista e sostanziale dellidentit di Ges con Dio Figlio porta ad aporie insolubili. Non resta che interpretare metaforicamente (ossia in senso non descrittivo di stati di cose) le affermazioni sullidentit di Ges col Logos e quindi di rileggere lincarnazione come un mito. Si tratta di un mito religioso usato per dire limportanza di Ges per luomo.

In verit questo tipo di ragionamento presuppone che loggetto della fede sia un puro fatto storico (Ges) su cui la Chiesa ha proiettato diversi significati pi o meno coerenti (Cristo o Figlio di Dio in senso mitico-metaforico prima e poi metafisico-letterale). Ma una simile lettura delloggetto (o tema) della fede cristologica corretta?14 E in gioco il tema stesso delle cristologia, ci di cui parla la professione di fede della Chiesa. La discussione teologica in gioco non semplicemente un dibattito su una forma particolare di rappresentazione del tema della cristologia, ma una disputa su questo stesso tema. E insomma una discussione su ci che la confessione di fede porta a linguaggio e non solo sul come lo esprime (miticamente o meno). Lalternativa pu essere individuata in questi termini: levento dellincarnazione del Figlio di Dio il tema fondamentale delle affermazioni
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Si veda J. HICK P. KNITTER , Lunicit cristiana: un mito? Per una teologia pluralista delle religioni, Assisi, Cittadella, 1987. Sul senso mitico dellaffermazione dellunicit-esclusivit di Ges e sullanalogia con linnamorato si veda soprattutto P. KNITTER, Nessun altro nome? Un esame critico degli atteggiamenti cristiani verso le religioni mondiali, Queriniana, Brescia 1991. 14 I.U. DALFERTH, Der Mythos vom inkarnierten Gott und das Thema der Christologie, Zeitschrift fr Theologie und Kirche 84 (1987) 329-338.

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cristologiche o la cristologia dellincarnazione solo un modo erroneo di dire il tema cristologico? E evidente che non si pu rispondere alla domanda senza chiarire ci di cui ultimamente trattano le affermazioni cristologiche.
I teologi pluralisti contestano precisamente che le affermazioni cristologiche abbiano un unico tema con cui cade o sta la fede cristiana. Si deve piuttosto dire che la confessione di fede in Ges Cristo Figlio di Dio cerca di esprimere con diversi titoli, aventi valore metaforico, il significato di Ges per i suoi discepoli. Se si ammette che la confessione cristologica ha ununica struttura normativa, si deve ammettere che il suo significato letteralmente vero, per cui Ges il Figlio di Dio. Ma un simile significato realistico-letterale implica precisamente un mutamento del referente: da Ges Figlio di Dio al Dio Figlio incarnatosi in Ges, col corrispondente passaggio dal senso metaforico a quello metafisico. Limpossibilit di interpretare in senso letterale queste affermazioni cristologiche, nel senso di unidentit sostanziale e numerica, spinge ad interpretare lidentit come continuit, una continuit non essenziale ma di evento: tra Ges e Dio vi una sorta di homoagape (anzich homoousia, in cui peraltro ousia sarebbe un concetto meno chiaro di quello di agape), per cui lamore di Ges un prolungamento storico dellamore di Dio stesso. Ges un evento complesso in cui si realizza in maniera unica lamore di Dio15. Dicendo che Ges il Figlio di Dio si cerca di esprimerne il significato per i discepoli: Ges storicizza per noi lazione amorevole di Dio. Dunque le affermazioni cristologiche vanno lette come un mito religioso. Un mito non dice qualcosa in senso letterale, ma interpreta il significato e il valore di una cosa per colui che parla: il mito racconta una storia o offre unimmagine che significano per chi parla e per chi ascolta un atteggiamento, unimpressione suscitate dalla cosa di cui si parla. Il discorso mitico ha valore metaforico, non descrittivo. Laffermazione Ges il Figlio di Dio non vera o falsa, ma dice con un motivo mitico il significato di Ges per il mondo. Ges colui alla cui sequela entriamo alla presenza di Dio in modo che questincontro cambi la nostra vita. Ma una simile interpretazione rispetta il tema della confessione cristologica o lo fallisce?

Queste analisi smarriscono il vero referente della confessione cristologica ( davvero semplicemente Ges di Nazareth nel suo significato per luomo?). Il problema aperto quindi non solo quello di verificare se nellinterpretazione metaforica piuttosto che letterale esattamente inteso ci che si dice di Ges, ma se si coglie veramente ci di cui si parla quando si dice che Ges il Figlio di Dio. Di cosa parla la fede cristiana? Parla semplicemente delluomo di Nazareth proiettando su di lui significati salvifici mediante miti pi o meno di moda? A questo livello emerge con chiarezza lequivoco del procedimento dei teologi pluralisti: la loro prospettiva cristologica rimane ancorata allidea che la confessione in Ges si riferisca semplicemente al Ges di Nazareth afferrabile storicamente, per esprimerne il significato per i discepoli. Siamo nellorizzonte della separazione tra fatto e senso, evento e suo significato, dove levento/fatto compare come un dato pacifico e in s sussistente e il significato unoperazione ermeneutica operata dal soggetto credente in modo pi o meno coerente e plausibile. Ma sufficiente una simile comprensione del senso della confessione cristologica? Le confessioni di fede non esprimono il significato (pi o meno mitico) di un giudeo vissuto molti secoli fa, ma esprimono il riconoscimento del Ges risuscitato da Dio come Cristo, presente ad ogni uomo in ogni tempo come garanzia di liberazione dal peccato e dalla morte. La fede non rimanda al dato storico Ges dicendone il significato per luomo, ma rimanda al Ges risuscitato da Dio come salvatore di ogni uomo. Questo il tema della fede cristologica, ci di cui parla ultimamente la confessione di fede e ci per cui sta o cade il cristianesimo.
La fede non esprime un certo significato di Ges, ma confessa il significato salvifico realizzato da Dio con la risurrezione di Ges dai morti. Laffermazione Ges il Figlio di Dio non una metafora perch un predicato mitologico attribuito a un personaggio storico della Giudea, ma perch qui si cerca di portare a linguaggio lesperienza del Crocifisso risorto, attualmente vivente e presente nella potenza di Dio. Proprio perch al presente media il nostro legame con Dio, Ges ha un significato salvifico. Ci di cui parla la confessione di fede precisamente questa vita del Risorto nella potenza di Dio, quale offerta
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J. HICK, Christ and Incarnation, in IDEM, God and the Universe of Faith. Essays in the Philosophy of Religion, London, 1973, 163.

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di salvezza per noi. Lerrore fondamentale dei teologi pluralisti quindi quello di ridurre il referente cristologico della confessione di fede alla figura storica di Ges di Nazareth e al suo significato esemplare per noi. Quindi Ges non solo un certo significato per noi, un modello, un impulso allamore di Dio. La confessione di fede esprime un dono di Dio pi radicale, che si realizza in Cristo (e non solo si significa nella sua vicenda in maniera esemplare) e mediante la sua morte e risurrezione si partecipa a noi come dono di vita nuova. La professione di fede Ges Figlio di Dio esprime dunque un dono di Dio che si realizza nella vicenda di Ges, dischiudendo un mondo nuovo. La fede pretende di cogliere questo evento salvifico nella sua verit ultima e non semplicemente secondo un certo significato.

La fede cristiana rimanda come suo referente a un evento escatologico in cui si realizza ununione singolare di Dio con luomo. Il referente della confessione cristologica non dunque un Ges storico afferrabile per s, ma Ges il Cristo glorificato da Dio e presente ad ogni tempo come mediazione di questa venuta salvifica di Dio nella storia. Questo evento escatologico portato a linguaggio nelle metafore cristologiche che confessano diversamente Ges il Signore, il Cristo, il Figlio di Dio. Lincarnazione non unidentit semplice e diretta tra un fatto e un significato, un evento storico e il suo senso teologico o dogmatico. Si tratta piuttosto di uno scambio dinamico che realizza un movimento di Dio verso luomo e delluomo verso Dio, che si compie nellagire salvifico e rivelatore di Ges (poich fondato nel mistero del Figlio che ne costituisce il segreto). Questi movimenti e il loro scambio funzionano in maniera sensata proprio nella misura in cui aiutano a leggere le dimensioni della vicenda storica di Ges di Nazareth alla luce della pretesa che labitava. La radice patristica dellintuizione sullunione ipostatica quale sintesi di due movimenti, da Dio alluomo (kenosi) e dalluomo a Dio (divinizzazione) era gi emersa con Massimo il Confessore16. Per lui Ges Cristo non riporta semplicemente la natura umana al suo dinamismo naturale, ma la eleva anche a un nuovo livello di partecipazione alla vita di Dio, in quanto porta luomo a uscire liberamente da se stesso (estasi), abbandonando ci che naturale per ricevere lo Spirito e unirsi a Dio. Questo auto-trascendimento reso possibile dal movimento di discesa di Dio che si comunica nelle sue energie divine in modo speciale nel Verbo incarnato, in una pericoresi o scambio mirabile, nel quale lelevazione a Dio delluomo proporzionata alla radicalit dellabbassamento di Dio nella kenosi per amore. Leccesso damore di Dio fonda leccesso dellelevazione delluomo. Allestasi umana corrisponde un atto di Dio il quale a sua volta esce dalla sua essenza trascendente per venire incontro alla creatura. Lincontro di questi due movimenti si compie pienamente e ipostaticamente nel Verbo incarnato. Lunione ipostatica va pensata come pericoresi del movimento della natura divina verso lumana (kenosi) e di quella umana verso Dio (estasi), secondo la libera determinazione conferita dallipostasi del Verbo.
Con gli stoici Massimo vede lesempio pi chiaro di pericoresi nel rapporto tra anima e corpo: lanima compenetra tutto il corpo, come il fuoco nel metallo reso incandescente, senza perdere la sua natura propria. A questo rapporto di completa compenetrazione, nella differenza permanente, i neoplatonici aggiungono lidea del rapporto di fondazione: lanima il principio da cui deriva la compenetrazione reciproca. proprio Massimo che utilizza il sostantivo pericoresi e il verbo corrispondente per precisare, nella disputa monotelita, la non-confusione e la non-separazione delle attivit umane e divine di Ges Cristo. Ammettere due attivit in Cristo non implica ammettere due persone, se si pensa alla duplicit nella logica della pericoresi: Non conforme a Dio egli ha attuato il divino: era infatti uomo; e non conforme alluomo egli ha attuato lumano: era infatti Dio17. Le operazioni/attivit di Ges Cristo, nelle quali lumano, rimanendo umano, appare elevato al di sopra di s, e il divino, rimanendo divino, appare (kenoticamente) in forma umana, vengono interpretate mediante la dottrina della pericoresi: Al di l delluomo egli opera lumano dimostrando che lumana energeia cresciuta insieme con la dynamis
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Per questa parte ci rifacciamo al bel saggio di P. HNERMANN, Figlio di Dio nel tempo. Abbozzo di un concetto, in L. SCHEFFCZYK (ed), Problemi fondamentali di cristologia oggi, Morcelliana, Brescia 1983, 113-143. 17 Scholia in (Dion. Ar.) Epistola 4,8 (Cord. 2,77D).

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divina. Infatti la natura divina, senza mescolanza con quella umana, ha governato perfettamente questa18. Il concreto agire di Ges cos caratterizzato come il luogo della rivelazione, dellattuazione di s da parte di Dio, e viceversa loperare divino si dimostra come luogo della rivelazione e attuazione dellumanit. Loperare divino si manifesta proprio nelluomo in tutta la sua divinit, nel suo sovrabbondante amore e nella sua potenza; loperare umano si sviluppa proprio nel Logos, raggiungendo la sua piena e insopprimibile indipendenza e dignit. Giovanni Damasceno assume la lezione di Massimo e la porta avanti. Parte dallidea di pericoresi e approfondisce questidea coi neoplatonici, interpretando la pericoresi come rapporto di fondazione, cos che la pericoresi non sia solo leffetto, il risultato dellunione ipostatica, ma sia la stessa unione ipostatica in processo, il divenire uno ipostatico. La pericoresi un processo di fondazione reciproca, ma di peso diseguale: La pericoresi non si svilupp dalla carne, ma dalla divinit. impossibile infatti che la carne domini e governi totalmente la divinit. Ma una volta che la physis divina abbia dominato e governato totalmente la carne, essa accorda alla carne anche lineffabile dominio e governo di essa stessa, cosa che noi chiamiamo unione19. Lunione ipostatica caratterizzata come un duplice movimento: come movimento discendente di rivelazione del divino e come movimento ascendente dellumano. Dove il movimento di rivelazione primario, fondante, quello ascendente secondario, di risposta. I due movimenti hanno ciascuno il punto di arrivo nellaltro. Il primo movimento della pericoresi proviene dalla divinit, ma viene considerato nellumano e chiamato perci theosis o logosis (diventare Dio o Verbo). In questa vicenda lesistenza umana viene assunta nella sussistenza divina. Laltro movimento della pericoresi deriva dalluomo, ma ha in Dio il suo luogo darrivo e viene definito di conseguenza kenosis e sarkosis, spogliazione di s e svuotamento o incarnazione. Nellimpotenza della carne presente proprio lo stesso Logos di Dio. Dunque il primo movimento della pericoresi deriva da Dio e viene considerato nelluomo: la theosis o logosis. Qui si realizza quella dimensione dellesperienza per cui il soggetto scopre il fondamento del suo essere se stesso nellessere determinato dal dono di Dio. La consapevolezza di questa derivazione originaria si mostra nellespressione di riconoscenza e affidamento. La theosis (divinizzazione) si realizza nella storia concreta come un riceversi riconoscente da Dio in ogni situazione di vita, affidandosi a lui nella propria apertura verso il futuro. Luomo se stesso a partire dallaltro, ricevendosi da lui. In termini cristologici: nel cammino della sua vita Ges si dimostra Figlio di Dio proprio nel fatto che egli colui che crede compiutamente in Dio, nel fatto che la volont di Dio il suo cibo. In queste attuazioni si rivela che egli, nelle situazioni di volta in volta ricorrenti, attinge se stesso, comprende se stesso partendo da Dio e in relazione a Lui, e soltanto cos diventa comprensibile agli altri uomini. Giungere a se stessi partendo dallaltra persona una caratteristica dellamore. Il secondo movimento della pericoresi, che il Damasceno descrive come kenosis e sarkosis, spogliazione e incarnazione, corrisponde al movimento esistenziale della dedizione di s agli altri e al mondo. Se nel primo movimento luomo se stesso ricevendosi da Dio, dagli altri e dal mondo, in questo movimento lessere s si attua nellandare disinteressato verso laltro. Solo questo movimento relizza incontri veramente umani. In concreto: nella trasparenza dellapproccio di Ges ai fratelli, nel suo rivolgersi ai bambini, peccatori, ammalati, sacrificando se stesso, si dimostra la forza dellenergia divina, il movimento di un farsi vicino di Dio che si umilia a nostro favore. In questa vicenda si fa evento e viene compiuta da Ges la kenosi del Verbo. La kenosi non un evento che precede, ma che accade in questa vicenda, nella dedizione di s da parte di Ges. Questi movimenti di theosis e kenosi si realizzano sempre in situazioni concrete e temporali. Tutto questa processo va inteso come la costituzione dellessere-s di Ges in quanto unit ipostatica del Figlio. Non si tratta di ununione morale o accidentale di umano e divino, poich i termini non vanno pensati come a s stanti, precostituiti allunione successiva, ma il loro essere-s, la loro consistenza si realizza nel tempo, nel processo pericoretico del riceversi dallaltro donandosi ad esso incondizionatamente e quindi si attuano come unione-unit dinamica, costitutiva dellessere-s. In questa prospettiva la Pasqua ritrova la sua coerenza interna: proprio nel momento vertice della dedizione di s fino alla morte, Ges trova loriginariet del suo riceversi totalmente dalla relazione col Padre e appare il suo essere-s in una vita risorta come lessere-s del Figlio generato dal Padre con una potenza di vita che supera la morte, poich al di l del tempo e dei suoi limiti. La Pasqua, insomma, il vertice della pericoresi di theosis e kenosi, del riceversi da Dio e del consegnarsi nel dono e come tale il luogo della piena attuazione dellessere-s del Figlio, nella sua vera umanit trasfigurata dal dono del Padre. Nella Pasqua si attua pienamente la compiuta, partecipante unit di Dio con questuomo: nella radicale dedizione a Dio di Ges, Dio
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Conf. Ambigua 112 (Patrologia Greca 91,1053B). Expositio Fidei 52, Ivi, 122.

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testimoniato come lessere-s ultimo di questuomo, cos che questi accede al suo essere-s proprio nellamoroso rivolgersi a lui di Dio stesso (il Padre). la rivelazione piena del Figlio di Dio tra noi. Lessere-s stesso di Ges Cristo, proprio perch costituito dal movimento di rivelazione (riceversi da Dio) e di ascesa (attuarsi nel dono di s che termina in Dio) in se stesso unione, comunione, unzione (enosis, koinonia, chrisis). Viene cos pensata lunione ipostatica nel suo processo pericoretico, in cui si condensa e realizza pienamente il senso della storia di Dio con luomo e la verit delluomo aperto a Dio.

Nel presentare il senso della riscoperta della categoria di storia della salvezza in teologia, J. Ratzinger ricordava che il centro della fede rimanda alla storia 20. Ma tale centro si presenta spesso nella forma alternativa: si tratta di eventi realizzati da Dio e posti nel passato come dati da assumere oppure di un appello divino escatologico, che attraversa quei fatti ma irriducibile ad essi? La risposta di Ratzinger sposta lalternativa. Al centro c un : Ges il Cristo, il Figlio di Dio. Non si tratta per di un essere astorico, bens di un avvenimento escatologico compiutosi nella risurrezione-glorificazione di Ges. E questo il centro della fede e lessenziale del cristianesimo. Ne deriva che la teologia deve essere teologia della risurrezione, poich questo il centro della fede e il suo fondamento. Nella risurrezione Dio spezza la vera costante della storia, cio la morte. Questo intervento di Dio un agire che precede ogni azione umana. Il prae dellazione storica di Dio un avvenimento. La storia precede la metafisica, lessenza. la novit biblica: Dio non va pensato nellorizzonte dellimmutabile in s concluso, ma in relazione a un agire concreto nella storia. Ma questo agire una realt che si d in s e non solo nel per me dei significati umani. Tale evento per anche escatologico e come tale trascendente la storia. Ci non significa che sia al di l della storia. E un evento escatologico entro la storia. Emerge la storicit dellagire escatologico di Dio. Tale storicit significa in secondo luogo che questa trascendenza escatologica si inscrive nel dinamismo storico come apertura del futuro e quindi speranza. La risurrezione il futuro dellumanit, il suo avvenire. Ma ci significa che lumanit non pu attingere se stessa se non uscendo da s per superarsi (zu sich kommen ber sich hinauskommen). Il Cristo necessario perch lumanit raggiunga il suo avvenire, che non in grado di attingere da sola. Dio invita luomo a superare il passato, ossia il peccato e la morte, per entrare nellavvenire della risurrezione. Ma questo pone il problema della mediazione storico-escatologica dellessenza vera delluomo. La risurrezione rivela infatti, nel suo rimando allesistenza, il segreto della storia della salvezza che esodo, uscita da s verso lavvenire di Dio:
Questo mostra bene come la teologia della risurrezione riunisca in s tutta la storia della salvezza e la concentri sul suo significato relativo allesistenza, cos che essa viene ad essere, in un senso molto letterale una teologia dellesistenza: dellex-sistere, di quellesodo delluomo fuori di s, attraverso il quale soltanto egli pu trovare se stesso. Ma in questo movimento dellex-sistere, la fede e lamore da ultimo si fondono luna nellaltro, luna e laltro significano profondamente quellexi (esci!), quellappello al superamento e al sacrificio di s, che la legge fondamentale della storia dellalleanza in Dio con luomo e per ci stesso la vera legge di ogni esistenza umana. Sembra che qui appaia un punto dove potrebbero coincidere storia della salvezza ed escatologia, teologia delle grandi gesta di Dio nella storia e teologia dellesistenza, quandesse sano disposte a considerare fino in profondit e ad aprire se stesse a questa considerazione. Lazione di Dio, proprio nelloggettivit del suo essere in s, non qualcosa di oggettivo e senza valore di salvezza, ma la vera formula dellesistenza umana, la quale ha il suo in s soltanto al di fuori di s e che trova il suo vero centro unicamente nellex-sistere fuori di s. Questazione di Dio non pi nemmeno un passato vuoto ma quel perfetto, che vero presente delluomo in quanto esso procede sempre e resta costantemente la sua promessa e il suo avvenire. E cos implica necessariamente quell che la fede subito formul per esplicitarlo: Ges il Cristo. Dio uomo e avvenire delluomo significa dunque essere una cosa sola con Dio. Solo in questa formula si trova finalmente accolta tutta la novit pasquale e questa diventa cos lasse stesso della storia, dal quale noi tutti siamo portati21.
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J. RATZINGER, Elementi di teologia fondamentale, Morcelliana, Brescia 1986. J. RATZINGER, Storia della salvezza, metafisica ed escatologia, in Elementi di teologia fondamentale, 142-143. In una nota aggiunta Ratzinger precisa che andrebbe sottolineato di pi lontologico e quindi l del Dio vivente e creatore rispetto al divenire.

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Il dibattito culturale: la problematicit della risurrezione Come diceva J. Guitton , la risurrezione cade nel punto cieco della nostro occhio pensante.
Il dialogo di san Paolo coi filosofi greci sulla collina dellAreopago simbolico. I dotti della Grecia ascoltano Paolo con interesse quando parla della presenza di Dio nel quale ci muoviamo e siamo; pare che accettino anche lidea della ricapitolazione degli esseri in Ges Cristo. Per quando Paolo parla di una reale risurrezione di Ges dai morti, essi rivolgono ad altro la loro attenzione e interrompono il dialogo per sempre. Questo episodio si rinnov in Occidente in tutte le Scuole che seguirono quella di Atene. Certi dogmi cattolici, come la Trinit, lunione ipostatica e anche la transustanziazione, hanno destato linteresse di metafisici come Descartes, Leibniz o Hegel. La risurrezione sempre caduta nel punto cieco della retina pensante. Non si trova un pensatore che labbia vista come un alimento dellintelligenza o che abbia almeno tentato di metterla fra gli alimenti possibili. Essa non per il pensiero un mistero, poich il mistero pu dare un alimento, una spinta: un elemento inassimilabile22.

Una provocatoria riflessione di S. Natoli.


Il tratto di singolarit che caratterizza il cristianesimo, inteso qui nel suo complesso, vale a dire come credenza, pensiero e tradizione, dato dal fatto che in esso la confutazione della carne direttamente implicata con la glorificazione del corpo e la carne pu essere cos fortemente confutata solo in quanto il corpo glorificato. E lenfasi del corpo glorioso che ha reso credibile e persuasiva la denigrazione della carne. La forza del cristianesimo stata quella di aver preso sul serio il dolore di tutti e di aver ideato per tutti gli uomini una via di liberazione. E impossibile salvarsi da soli Per questo nel cristianesimo la forma pi alta dellamore non poteva che essere caritas: non il possesso, ma lofferta di s, lo svuotamento. La felicit risiede nella reciprocit del dono e senza contropartita: amarsi crescere insieme, nellattesa di una comune pienezza. Nel cristianesimo il corpo, in quanto bene creaturale, non pu non essere apprezzato, ma non davvero amato: al contrario amato in quanto redimibile: glorificato. Se le cose stanno cos non difficile comprendere come nella tradizione cristiana il corpo sia stato tanto facilmente rimosso, oltrepassato: oppure sublimato, spiritualizzato, trasfigurato. Nonostante la bont della creazione non siamo stati fatti per questo mondo: o per lo meno, e pi esattamente, per il mondo cos com. Quanto qui si detto d ragione del come e del perch nella storia cristiana sia risultato improbabile, o comunque non consueto, poter amare il corpo cos com. Al contrario, molto spesso si ama il corpo per altro o meglio in vista di quel che dovr essere, di quel che noi stessi diverremo23.

Queste notazioni, per quanto da precisare, hanno il merito indubbio di spostare il problema dalla secca e sterile alternativa tra carne e spirito, terra e cielo, reale e ideale. Ci che colgono di positivo della speranza cristiana il fatto che il passaggio dal benessere alla beatitudine non frutto di una negazione, bens, al contrario, di unaffermazione incondizionata che non pu accontentarsi di ci che provvisorio n tantomeno di compromessi col male. La tensione verso la beatitudine, al di l dellimmediatezza del benessere, animata dallincondizionatezza che abita ogni affermazione umana. Interessanti, in tal senso, le notazioni conclusive di Natoli:
1. Il cristiano ha in orrore il mondo perch prende sul serio lorrore del mondo: per il cristiano il male scandalo, il dolore, preso per s solo, intollerabile. Eppure il cristiano non dispera. Egli non dispera perch dispone, ma soprattutto crede, in una promessa. Infatti, quandanche la sofferenza rimanesse senza giustificazione, quandanche luomo non riuscisse a farsene una ragione e fallisse ogni teodicea, ci non intaccherebbe affatto la possibilit di sperare, di attendere un tempo nuovo, una terra redenta, ove saranno per sempre cancellati ogni delusione e ogni patire. I cristiani messi alle strette da una situazione radicale la prendono sul serio sia essa di natura esistenziale, sociale, storico-epocale.
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J. GUITTON, Filosofia della risurrezione, 13. S. NATOLI, La felicit. Saggio di teoria degli affetti, Milano, Feltrinelli, 1994, 228-229.

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2. Il cristiano pretende lassoluto. Lo spirito di rinuncia, che indubbiamente uno dei tratti peculiari del cristianesimo, non coincide affatto con un malsano spirito di negazione, ma, al contrario, scaturisce da una voglia incondizionata di affermazione. Il cristianesimo non denigra il mondo, vuole il meglio: si radica nella pretesa di una gioia infinita, di una vita sine termino. Se cos , il cristiano rinuncia al mondo non tanto e non solo perch vuole sfuggire al dolore, ma perch il mondo, in ci che pi ha di bello non riesce a dargli il piacere a cui aspira. E vero, quel che il mondo offre bello, ma caduco. Tuttavia, quandanche fosse durevole, sarebbe sempre troppo poco per soddisfare il desiderio di infinito insito nelluomo24.

Lattesa della beatitudine raccoglie lincondizionato che abita il desiderio delluomo e rimanda a una promessa fondata sulla fedelt di Dio. Non ha quindi a che fare con un malsano spirito di negazione ma al contrario con un desiderio positivo e incondizionato di vita. (a) Sarebbe interessante sviluppare alcune intuizioni di A. Vergote sulla distinzione tra corpo organico/libidinale, corpo psichico e corpo trasfigurato25. Oltre al riferimento al corpo trasfigurato dei risorti, interessa della distinzione la sottolineatura della complessit del corpo psichico, che si colloca tra due ordini: quello della vita, con le sue pulsioni, e quello del linguaggio, creando una sorta di sdoppiamento delle polarit: quella di corpo organico e corpo psichico e quella di corpo psichico e corpo simbolico. Questa complessit impone lavvertenza a non ragionare sulla risurrezione (a livello antropologico) ponendo semplicemente il problema del corpo/materia o del corpo/vita, ma ampliando la considerazione al corpo psichico, che struttura lidentit in una certa organizzazione delle pulsioni allinterno di una dinamica simbolica e linguistica. questa individualit corporea complessa che giunge al compimento nella risurrezione, non una qualche organizzazione neutrale della materia. Pi analiticamente: il corpo psichico vive sulla frontiera tra lessere (io sono il mio corpo) e lavere (io ho un corpo). La distinzione stabilita precisamente dal salto tra lordine fisico e vitale e quello simbolico e linguistico. Solo lio del soggetto pu nellatto di parola identificarsi col corpo che ed esprimersi nel corpo che ha. Ma questo corpo psichico, lio del soggetto, ha una sua logica di funzionamento che la psicologia va scoprendo. Ne deriva la seguente notazione conclusiva:
Cos bisogna tenere conto di tre linguaggi sul corpo: il linguaggio del corpo obiettivo (la macchina corporea), il linguaggio psicologico (il corpo vissuto) e il linguaggio ontologico (il corpo come carne). A questi tre discorsi sul corpo bisognerebbe aggiungere quello che tiene il messaggio cristiano. Poich lEucaristia come assimilazione del corpo di Cristo e lannuncio della risurrezione comportano lidea originale di un corpo trasfigurato dalla gloria divina. Compito del teologo potrebbe essere quello di valutare in che misura i diversi linguaggi umani sul corpo preparano una certa intelligenza del discorso cristiano Pi si approfondisce la realt del corpo, della vita o della coscienza e pi ci si convince della loro natura definitivamente enigmatica e pi si trova ridicolo il razionalismo stretto che ritiene assurda lidea della risurrezione26.

Da queste considerazioni, solo abbozzate, possiamo raccogliere due provocazioni: la prima quella di verificare quale corpo immaginato quando si pensa alla risurrezione, dal momento che cambia molto limmaginazione pasquale a seconda del livello del discorso sul corpo; la seconda riguarda lintuizione finale, solo allusa in tono sarcastico antirazionalista, sulla necessit di tenere uniti i vari aspetti dellenigma corpo per percepire la plausibilit dellidea di una risurrezione. Ci significa che la risurrezione non tanto pi credibile, quanto pi si cerca di andare oltre il corpo e quindi oltre il limite creaturale, bens quanto pi si impara ad abitare il corpo cogliendone la complessit desperienza.
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Ivi, 247-248. Si veda A. VERGOTE, Le Corps. Pense contemporaine et catgories biblique, in Revue Thologique de Louvain 2/10 (1979) 159-175. 26 Ivi, 169.

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(b) Ad un altro livello di considerazione utile raccogliere alcune intuizioni di J. Guitton sul nesso tra corpo e materia27. Non solo lidea di corpo, ma anche il rapporto uomo/materia pi complesso di quanto il senso comune (spesso animato da razionalismi e dualismi) lascia intuire. bene allora problematizzare tali luoghi comuni per tenere aperte le dimensioni della speranza cristiana proprio su questo terreno. Data la ricchezza di intuizioni, procediamo per flash successivi. Partiamo raccogliendo tre prospettive nuove sul corpo in s, in relazione al cosmo e nel processo evolutivo della realt:
Dal concetto di corpo al corpo trasfigurabile. Cos un corpo? [] Lartista tira fuori dai corpi un elemento che non propriamente materiale e che, daltra parte, non astratto o puramente spirituale, ma che ci fa pensare a quella che sarebbe la sublimazione del corpo in un altro modo di esistenza. Naturalmente le opere darte sono mute come una gloria chiusa su se stessa Per questo non impedisce che loperazione dellarte apra vedute su quello che potrebbe essere un corpo risuscitato. Se si separano le due funzioni del corpo, di cui una organica e laltra gi spirituale, si pu concepire che, se un giorno il cosmo cessasse di esistere, se un giorno il mio corpo si disorganizzasse e si distribuisse in un altro modo, esso potrebbe restare (a condizione che una potenza ricreatrice si opponga al suo dissolvimento) un linguaggio nuovo per il mio io: un mediatore della comunicazione delle coscienze. Corpo e cosmo. Per diritto, la percezione si dovrebbe estendere al cosmo tutto intero. In ogni istante io dovrei poter percepire il tutto. Eppure il mio organo di percezione offre una prospettiva limitata sulla realt e il corpo funziona come organo di percezione per riduzione. Si pu allora immaginare una nuova organizzazione del corpo risorto a cui affidata la totalit del cosmo in un rapporto nuovo tra lio e la materia in cui vive. Non c pi un cosmo che mi avviluppa, ma il rapporto tra microcosmo e macrocosmo si inverte. Le dimensioni dellevoluzione. Il divenire inteso come evoluzione globale dellessere intero stato pensato fino ad ora in modo orizzontale, come un divenire storico, lineare, come progresso nel tempo. Ma forse a questo divenire orizzontale si sovrappone o si accorda un sopravvenire verticale presentito da molti pensatori come Plotino nellantichit e Leibniz, Maine de Biran, Lachelier e Blondel nei tempi moderni. I pensatori citati suppongono che lessere non debba solo vedersi secondo le fasi e le tappe della sua evoluzione, ma anche secondo i livelli, gli strati, le tappe e gli stadi del suo sviluppo intimo, delle sue mutazioni e trasmutazioni ascendenti. Nelluomo vi sono tre livelli di esistenza: il corpo, lanima (il pensiero, lo psichismo) e lo spirito (presentimento delleterno, vita pneumatica). Esistono quindi tre modi di essere: lio somatizzato, cosmizzato; lio della riflessione o della coscienza e lio della vita spirituale sperimentata in una vita che insieme interiore e superiore. Questo io interiore e superiore non pienamente consegnato a s nelle attuali condizioni dellesperienza e solo a volte percepisce se stesso. Si trovano qui le intuizioni di grandi artisti e mistici. Nel periodo giovanile luomo sviluppa lio somatizzato e cosmizzato nello slancio vitale. Nella fase matura invece sviluppa lio riflessivo. La vita tende come a suo fine a questo io riflessivo e cosciente28.

Tenendo sullo sfondo queste tre intuizioni, si dovrebbero sviluppare alcune ricerche sulla logica di sviluppo ovvero sui processi che potrebbero far intuire qualcosa del dinamismo della risurrezione: fenomeni nellambito della tanatologia (lazione della vita nei cadaveri), in cui si nota come asceti che hanno ridotto in s le funzioni vitali a favore di funzioni volitive e intellettive, solitamente assopite nella vita ordinaria, fino ad accentuare capacit di concentrazione e attenzione inusuali, presentano ricadute sulla stessa condizione del cadavere dopo la morte; conseguenze di esperienza mistiche o ascetiche nellambito della agiologia, in cui emerge un ciclo interiore di progresso dello spirito che opposto al ciclo progressivo e orizzontale della vita biologica, cos che ogni mortificazione spirituale appare a un altro livello come vivificazione e intensificazione dellesperienza (nella memoria, percezione, profetismo); infine pu aiutare lanalisi secondo principi di analogia con altre esperienze: il risveglio dal sonno e lilluminazione improvvisa, il risveglio della natura dopo linverno, le mutazioni di alcune specie di insetti che, in situazioni critiche, si mutano in forme nuove di esistenza. Tali esperienze di metamorfosi possono dare lintuizione che la morte non la fine, ma il luogo di una trasformazione che apre al nuovo e forse
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J. GUITTON, Filosofia della risurrezione. Monadologia. Breve trattato di fenomenologia mistica, 11-51. Ivi, 16-25.

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proprio a quella dimensione verticale che sopravviene allevoluzione orizzontale29. Tutti questi indizi ci portano nella direzione dellipotesi di un mutamento sostanziale delluomo, una specie di salto evolutivo che aprirebbe a una condizione nuova, che pu essere immaginata proprio a partire dai fenomeni indicati:
Lanastasis di Ges di Nazareth ci obbliga, infatti, a considerare lipertesi di uno statuto definitivo e superevolutivo delluomo e anche della natura. Siamo obbligati a elevarci al di sopra della natura, del movimento, del numero, dello spazio e del tempo, persino al di sopra dellumanit somatizzata e anche psichizzata o noetizzata. Faremo dunque in modo che il problema dellanastasis si apra in un problema pi semplice ancora: quello della relazione tra la parte e il tutto, sia per la conoscenza e sia per lazione30.

Lintuizione ricorda quanto diceva Rahner: la morte non porta a unanima a-cosmizzata, bens a una nuova relazione dellio con la totalit del cosmo. Guitton lo dice a modo suo, partendo dalla sproporzione tra lhomo sapiens, che abbraccia con la sua conoscenza la totalit di ci che , e lhomo faber, che invece riesce a modificare solo porzioni inconsistenti della totalit (in tal senso parla di sproporzione tra lhomo hominatus, avviluppato nella totalit, e homo hominans, che abbraccia il tutto come linguaggio del suo io). Non siamo ancora ci che ci sentiamo chiamati a divenire. Solo un salto evolutivo qualitativo potrebbe cambiare questi rapporti e in questa mutazione sostanziale si realizzerebbe il passaggio dalla noosfera alla pneumatosfera. Tale salto raccoglierebbe quellinversione evolutiva che si mostra nei processi ascetici, ma a livello cosmico: come laumento dellentropia si accompagna a un progresso dellinformazione, secondo unanaloga legge di compensazione, il degradarsi della materia si accompagna a unintensificazione dello spirito, a una ricomposizione nella dimensione spirituale che sopravviene nel processo evolutivo al modo di unaltra dimensione. Cos si riesce a pensare lanastasis in modo genetico, come ontogenesi di un certo statuto dellessere:
Ormai abbiamo posto la risurrezione nellontogenesi e ci eleveremo a una veduta pi alta. Possiamo dire che la risurrezione un legame tra due tipi di esistenza: una lesistenza temporale e laltra unesistenza in forma di eternit. inevitabile che, prigionieri del tempo, dello spazio e del movimento, noi tendiamo a considerare la vita eterna come un simbolo o come un sogno. anche necessario riconoscere che, quando ci formiamo unidea giusta delleternit, ci difficile immaginare come unesistenza finita si possa combinare con unesistenza infinita senza essere da essa assorbita. La risurrezione di Ges ha un carattere segreto, che quello di chiarire i rapporti fra il tempo e leternit. Essa proietta una luce sul posto di un essere che appartiene alla zona eterna, e che tuttavia provvisoriamente presente nella biosfera, dopo aver attraversato la frontiera della morte In questo caso, e solo in questo caso, lanastasis di Ges sarebbe il fenomeno storico pi capitale, poich sarebbe lunica prova che noi possediamo di una possibile vittoria sulla mortalit. Crediamo daver anche fatto vedere che la risurrezione, lungi dallessere un accidente estrinseco alla ragione, allesperienza, alla nozione che abbiamo dellesistenza, entra nel piano del divenire, o meglio dello sviluppo dellessere. E ci riferiamo ancora al pensiero profondo di san Paolo San Paolo diceva che noi non cerchiamo di essere spogliati, ma di essere sopravestiti, perch ci che in noi mortale sia assorbito dalla vita Si tratta sempre di sapere se lincompiutezza, limperfezione che io sento in me costantemente e che esiste anche in un certo modo nella natura cosmica e biologica, se questa incompiutezza un fenomeno assoluto o se prepara una compiutezza, quella che si potrebbe chiamare una nuova forma della creazione Levangelista Giovanni ha espresso questo pensiero sotto una forma ancor pi semplice: Non si ancora manifestato quel che saremo (1Gv 3,2). Tale lultima parola dellintelligenza che scruta lavvenire31.

Il finito nellinfinito: la Risurrezione


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Ivi, 26-35. Ivi, 37-38. 31 Ivi, 49-51.

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La considerazione, nel mistero dellincarnazione, dellinfinito che si dona nel finito aveva lasciato aperta una domanda impegnativa: Dio si vuole perdere nel finito, dandogli valore in quanto finito, oppure si dona nel finito con una strategia di recupero del finito nellinfinito, in una sorta di processo di trasformazione? Rispondiamo indirettamente alla domanda constatando come per la nostra fede il Dio che si dona nel finito vi inserisca un processo di trasfigurazione che ha il suo esito nella risurrezione di Ges Cristo. Certo, tale risurrezione non un perdersi del finito nellinfinito. Al contrario, si tratta di una trasfigurazione del finito, della nostra corporeit limitata ma identificatrice (la nostra identit storica irripetibile) nellamore infinito di Dio (si veda il senso dellAscensione di Ges). La teologia tradizionale, per esempio quella bizantina (Massimo Confessore, Giovanni Damasceno), raccomandava di comprendere lincarnazione come un processo storico-salvifico che ha un ritmo di discesa di Dio nellumanit per elevare luomo alla vita divina. Si tratta di un mirabile scambio, di un incontro nuziale di dono-risposta, nel quale tanto pi Dio esce da s verso luomo per amore, tanto pi luomo elevato alla partecipazione alla vita divina. Ma ci presuppone da un lato che luomo sia fatto per un esodo, un oltre verso il quale attirato dallincontro interpersonale con lAltro nella storia concreta, e daltro lato ci implica che Dio vuole incontrarci nella nostra storia in un processo di trasfigurazione che ci chiama oltre. Per comprendere questo nesso tra incarnazione e risurrezione, un nesso che permette di cogliere il luogo di una considerazione corretta della risurrezione di Ges, possiamo fare un esempio. Immaginiamo una mamma che va dai professori a parlare dellandamento scolastico del figlio. I professori devono riconoscere che il ragazzo ha ottime qualit, intelligente, ma punta al minimo nello studio e quindi non va al di l della sufficienza. Ma la mamma non si accontenta e quando giunge a casa rimprovera il figlio sottolineando come i genitori non lo abbiano amato puntando la minimo, ma anzi puntando al massimo. Non dovrebbe anche lui cercare di sviluppare la sua intelligenza puntando alla misura smisurata dellamore che riceve, anzich al minimo sindacale? Ne ricaviamo la questione decisiva: qual la misura della nostra umanit? Cosa significa il fatto che siamo chiamati a far crescere in noi le cose belle che abbiamo secondo la misura di un amore che esce da s e ci invita a entrare in un movimento di elevazione, di trasfigurazione e non puntando al minimo? Lincarnazione che porta verso la risurrezione realizza proprio questo processo, questa misura dellumanit delluomo e ci svela il senso della nostra esperienza storica e il nostro destino. questo, ci pare, il senso della lezione di H.U. von Balthasar sul mirabile scambio e la lieta disputa tra lamore sempre maior di Dio e le resistenza della libert finita, chiamata a un destino smisurato nel Figlio crocifisso e glorificato. 1. Il dato di fede: la centralit della risurrezione Partiamo dunque da una ricognizione delle dimensioni della fede nella risurrezione, ovvero del mistero del finito nellamore infinito di Dio. Anzitutto prendiamo atto del fatto che non si pu cogliere il senso autentico dellincarnazione se non si comprende bene il valore della risurrezione. Anzi, se la risurrezione viene mal compresa, lincarnazione assume un senso metaforico, mitico, simbolico perdendo consistenza e realt. Se invece si sperimenta nella fede una relazione col Signore vivente, col Cristo presente tra noi in modo nuovo, allora lincarnazione ritrova tutta la sua pregnanza storico-salvifico, il suo senso letterale. quanto emerge dal confronto coi cosiddetti teologi pluralisti sul significato di Ges come Cristo. 1. La teologia pluralista delle religioni (J. Hick; P. Knitter, R. Panikkar, Schmid Leukel), ossia quella teologia che vuole rileggere la fede in Ges Cristo allinterno del pluralismo religioso, ha suscitato un certo dibattito sul senso dellincarnazione oggi. La proposta di questi teologi consiste nel relativizzare Ges come Cristo dando un senso mitologico e non letterale alla fede nel 19

Figlio di Dio incarnato. Tale relativizzazione sarebbe unesigenza del pluralismo religioso e culturale attuale, nel quale risulta impensabile che Ges sia lunico Cristo salvatore, lunico luogo storico in cui incontrare il Figlio di Dio.
In concreto si tratta di ritrovare un senso non-letterale della pretesa cristiana e quindi una nuova comprensione del funzionamento del discorso di fede. Ci possibile recuperando la lettura mitica dellaffermazione cristiana dellunicit di Ges. Linterpretazione letterale di una simile affermazione frutto di esigenze storiche e sensibilit culturali determinate (nozione greca di verit, contesto originario di minoranza e persecuzione nel mondo greco-romano), che vanno superate per recuperare il senso originario delle professione di fede in Cristo. Fa parte di questa purificazione anche lesigenza di superare una comprensione letterale dellunit-identit di Ges con il Figlio di Dio, miticamente espressa nella dottrina dellincarnazione. Ges Dio incarnato nel senso metaforico: per i suoi discepoli il luogo di accesso a Dio, lunico efficace. dunque per loro, in base alla loro esperienza concreta lunico luogo di incontro col mistero divino. Non lo per di diritto, per ogni uomo. Lespressione enfatica Ges lunico Figlio di Dio incarnatosi per salvarci dice una fede commovente, ma non andrebbe inteso in senso letterale, altrimenti si creano problemi logici e teologici insuperabili: se Ges era veramente Dio nella carne, la sua vita era una vita reale? Ha sofferto davvero? Ha pianto? Quale coscienza aveva del suo destino? Non conosceva tutto da prima? Ma allora visse un tempo autenticamente umano? Chi fu il soggetto della storia di Ges?

In verit questo tipo di ragionamento presuppone che loggetto della fede sia un puro fatto storico (Ges) su cui la Chiesa ha proiettato diversi significati pi o meno coerenti (Cristo o Figlio di Dio in senso mitico-metaforico prima e poi metafisico-letterale). Ci che c in gioco qui il tema stesso delle cristologia, ci di cui parla la professione di fede della Chiesa. Emerge con chiarezza lequivoco del procedimento dei teologi pluralisti. Le confessioni di fede non esprimono il significato (pi o meno mitico o letterale o metafisico) di un giudeo vissuto molti secoli fa. Tali formule di fede esprimono il riconoscimento del Ges risuscitato da Dio come Cristo, presente ad ogni uomo in ogni tempo come garanzia di liberazione dal peccato e dalla morte. La fede non rimanda al dato storico Ges dicendone il significato per luomo, ma rimanda al Ges risuscitato da Dio come salvatore di ogni uomo. Questo il tema della fede cristologia: non un significato infinito, forse esagerato, enfatico e mitico di un avvenimento finito, passato. Ma un avvenimento di trasfigurazione, in cui la vita ha vinto la morte e una realt finita divenuta lespressione piena della forza dellamore infinito di Dio. 2. Ma questa notazione esige di ripensare al senso dellincarnazione stessa, ovvero allinfinito nel finito. Lincarnazione non unidentit semplice e diretta tra un fatto e un significato, un evento storico e il suo senso teologico o dogmatico. Si tratta piuttosto di uno scambio dinamico che realizza un movimento di Dio verso luomo e delluomo verso Dio, che si compie nellagire salvifico e rivelatore di Ges. La radice patristica dellintuizione sullincarnazione quale sintesi di due movimenti, da Dio alluomo (kenosi) e dalluomo a Dio (divinizzazione) era gi emersa con Massimo il Confessore32. Per lui Ges Cristo non riporta semplicemente la natura umana al suo dinamismo naturale, ma la eleva anche a un nuovo livello di partecipazione alla vita di Dio, in quanto porta luomo a uscire liberamente da se stesso (estasi), abbandonando ci che naturale per ricevere lo Spirito e unirsi a Dio. Questo auto-trascendimento reso possibile dal movimento di discesa di Dio che si comunica nelle sue energie divine in modo speciale nel Verbo incarnato, in una pericoresi o scambio mirabile, nel quale lelevazione a Dio delluomo proporzionata alla radicalit dellabbassamento di Dio nella kenosi per amore. Leccesso damore di Dio fonda leccesso dellelevazione delluomo. Allestasi umana corrisponde un atto di Dio il quale a sua volta esce dalla sua essenza trascendente per venire incontro alla creatura. Lincontro di questi due movimenti si compie pienamente e ipostaticamente nel Verbo incarnato. Lincarnazione va
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Per questa parte ci rifacciamo al bel saggio di P. HNERMANN, Figlio di Dio nel tempo. Abbozzo di un concetto, in L. SCHEFFCZYK (ed), Problemi fondamentali di cristologia oggi, Morcelliana, Brescia 1983, 113-143.

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pensata come pericoresi del movimento della natura divina verso lumana (kenosi) e di quella umana verso Dio (estasi), secondo la libera determinazione conferita dallipostasi del Verbo. 3. Possiamo ora recuperare le dimensioni della fede nella risurrezione. Al centro della fede c un avvenimento escatologico, compiutosi nella risurrezione-glorificazione di Ges, che realizza un movimento di discesa-ascesa, umiliazione-esaltazione, svuotamento di s e pienezza divina, che la logica segreta e la chiave di interpretazione della vicenda di Ges, colta nel suo ritmo pasquale. Lo possiamo dire con le parole del teologo Ratzinger:
Questo mostra bene come la teologia della risurrezione riunisca in s tutta la storia della salvezza e la concentri sul suo significato relativo allesistenza, cos che essa viene ad essere, in un senso molto letterale una teologia dellesistenza: dellex-sistere, di quellesodo delluomo fuori di s, attraverso il quale soltanto egli pu trovare se stesso. Ma in questo movimento dellex-sistere, la fede e lamore da ultimo si fondono luna nellaltro, luna e laltro significano profondamente quellexi (esci!), quellappello al superamento e al sacrificio di s, che la legge fondamentale della storia dellalleanza in Dio con luomo e per ci stesso la vera legge di ogni esistenza umana. Sembra che qui appaia un punto dove potrebbero coincidere storia della salvezza ed escatologia, teologia delle grandi gesta di Dio nella storia e teologia dellesistenza, quandesse sano disposte a considerare fino in profondit e ad aprire se stesse a questa considerazione. Lazione di Dio, proprio nelloggettivit del suo essere in s, non qualcosa di oggettivo e senza valore di salvezza, ma la vera formula dellesistenza umana, la quale ha il suo in s soltanto al di fuori di s e che trova il suo vero centro unicamente nellex-sistere fuori di s. Questazione di Dio non pi nemmeno un passato vuoto ma quel perfetto, che vero presente delluomo in quanto esso procede sempre e resta costantemente la sua promessa e il suo avvenire. E cos implica necessariamente quell che la fede subito formul per esplicitarlo: Ges il Cristo. Dio uomo e avvenire delluomo significa dunque essere una cosa sola con Dio. Solo in questa formula si trova finalmente accolta tutta la novit pasquale e questa diventa cos lasse stesso della storia, dal quale noi tutti siamo portati33.

Ne deriva che la teologia deve essere teologia della risurrezione, poich questo il centro della fede e il suo fondamento. Nella risurrezione Dio spezza la vera costante della storia, cio la morte. Questo intervento di Dio un agire che precede ogni azione umana. Il prae- dellazione storica di Dio un avvenimento (non unidea o un sogno). La storia precede la metafisica, lessenza. la novit biblica: Dio non va pensato nellorizzonte dellimmutabile in s concluso, ma in relazione a un agire concreto nella storia. Tale evento per anche escatologico e come tale trascendente la storia. Ci non significa che sia al di l della storia. Si tratta piuttosto di un evento escatologico entro la storia. Emerge la storicit dellagire escatologico di Dio. Tale storicit significa che questa trascendenza escatologica si inscrive nel dinamismo storico come apertura del futuro e quindi come speranza. La risurrezione il futuro dellumanit, il suo avvenire. Ma ci implica che lumanit non pu attingere se stessa se non uscendo da s per superarsi (zu sich kommen ber sich hinauskommen). Cristo necessario perch lumanit raggiunga il suo avvenire, che non in grado di attingere da sola. Dio invita luomo a superare il passato, ossia il peccato e la morte, per entrare nellavvenire della risurrezione. La risurrezione rivela, nel suo rimando allesistenza, il segreto della storia della salvezza che esodo, uscita da s verso lavvenire di Dio. Il dibattito culturale: la problematicit della risurrezione 1. Avendo considerato le dimensioni della fede nella risurrezione (il finito nellinfinito) alla luce del movimento dellincarnazione (linfinito nel finito) possiamo passare a considerare le implicazioni culturali di tale mistero. Partiamo da una constatazione significativa: mentre lincarnazione ha stimolato molte considerazioni filosofiche, la risurrezione stata spesso censurata, sospettata, denigrata. Non a prodotto grandi riflessioni speculative. Come diceva J. Guitton , la risurrezione cade nel punto cieco della nostro occhio pensante:
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J. RATZINGER, Storia della salvezza, metafisica ed escatologia, in Elementi di teologia fondamentale, 142-143.

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Il dialogo di san Paolo coi filosofi greci sulla collina dellAreopago simbolico. I dotti della Grecia ascoltano Paolo con interesse quando parla della presenza di Dio nel quale ci muoviamo e siamo; pare che accettino anche lidea della ricapitolazione degli esseri in Ges Cristo. Per quando Paolo parla di una reale risurrezione di Ges dai morti, essi rivolgono ad altro la loro attenzione e interrompono il dialogo per sempre. Questo episodio si rinnov in Occidente in tutte le Scuole che seguirono quella di Atene. Certi dogmi cattolici, come la Trinit, lunione ipostatica e anche la transustanziazione, hanno destato linteresse di metafisici come Descartes, Leibniz o Hegel. La risurrezione sempre caduta nel punto cieco della retina pensante. Non si trova un pensatore che labbia vista come un alimento dellintelligenza o che abbia almeno tentato di metterla fra gli alimenti possibili. Essa non per il pensiero un mistero, poich il mistero pu dare un alimento, una spinta: un elemento inassimilabile34.

2. Il sospetto sembra essere quello che la risurrezione suoni come un lieto fine estraneo alla nostra vita, una salvezza che piove dal cielo su unesistenza finita che ha i suoi equilibri e sogni, che non riguardano per un destino eterno di questa carne che possediamo Eppure il destino dei risorti corrisponde a unattesa inscritta nel cuore delluomo, corrisponde alla speranza di un senso incondizionato, che ci permetta di amare incondizionatamente ci che noi siamo nella carne, ovvero nella fragilit dei nostri limiti e delle nostre fragilit. Una provocatoria riflessione in tal senso si pu trovare in S. Natoli, secondo il quale la risurrezione rimanda al bisogno di incondizionatezza:
Il tratto di singolarit che caratterizza il cristianesimo, inteso qui nel suo complesso, vale a dire come credenza, pensiero e tradizione, dato dal fatto che in esso la confutazione della carne direttamente implicata con la glorificazione del corpo e la carne pu essere cos fortemente confutata solo in quanto il corpo glorificato. E lenfasi del corpo glorioso che ha reso credibile e persuasiva la denigrazione della carne. La forza del cristianesimo stata quella di aver preso sul serio il dolore di tutti e di aver ideato per tutti gli uomini una via di liberazione. E impossibile salvarsi da soli Per questo nel cristianesimo la forma pi alta dellamore non poteva che essere caritas: non il possesso, ma lofferta di s, lo svuotamento. La felicit risiede nella reciprocit del dono e senza contropartita: amarsi crescere insieme, nellattesa di una comune pienezza. Nel cristianesimo il corpo, in quanto bene creaturale, non pu non essere apprezzato, ma non davvero amato: al contrario amato in quanto redimibile: glorificato. Se le cose stanno cos non difficile comprendere come nella tradizione cristiana il corpo sia stato tanto facilmente rimosso, oltrepassato: oppure sublimato, spiritualizzato, trasfigurato. Nonostante la bont della creazione non siamo stati fatti per questo mondo: o per lo meno, e pi esattamente, per il mondo cos com. Quanto qui si detto d ragione del come e del perch nella storia cristiana sia risultato improbabile, o comunque non consueto, poter amare il corpo cos com. Al contrario, molto spesso si ama il corpo per altro o meglio in vista di quel che dovr essere, di quel che noi stessi diverremo35.

Queste notazioni, per quanto da precisare, hanno il merito indubbio di individuare la sfida della fede non nella secca e sterile alternativa tra carne e spirito, terra e cielo, reale e ideale. Ci che colgono di positivo della speranza cristiana il fatto che il desiderio di vita beata ed eterna non frutto di una negazione, bens, al contrario, di unaffermazione incondizionata che non pu accontentarsi di ci che provvisorio n tantomeno di compromessi col male. La tensione verso la beatitudine, al di l dellimmediatezza del finito, animata dallincondizionatezza che abita ogni affermazione umana. Interessanti, in tal senso, le notazioni conclusive di Natoli:
1. Il cristiano ha in orrore il mondo perch prende sul serio lorrore del mondo: per il cristiano il male scandalo, il dolore, preso per s solo, intollerabile. Eppure il cristiano non dispera. Egli non dispera perch dispone, ma soprattutto crede, in una promessa. Infatti, quandanche la sofferenza rimanesse senza giustificazione, quandanche luomo non riuscisse a farsene una ragione e fallisse ogni teodicea, ci non intaccherebbe affatto la possibilit di sperare, di attendere un tempo nuovo, una terra redenta, ove saranno

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J. GUITTON, Filosofia della risurrezione, 13. S. NATOLI, La felicit. Saggio di teoria degli affetti, Milano, Feltrinelli, 1994, 228-229.

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per sempre cancellati ogni delusione e ogni patire. I cristiani messi alle strette da una situazione radicale la prendono sul serio sia essa di natura esistenziale, sociale, storico-epocale. 2. Il cristiano pretende lassoluto. Lo spirito di rinuncia, che indubbiamente uno dei tratti peculiari del cristianesimo, non coincide affatto con un malsano spirito di negazione, ma, al contrario, scaturisce da una voglia incondizionata di affermazione. Il cristianesimo non denigra il mondo, vuole il meglio: si radica nella pretesa di una gioia infinita, di una vita sine termino. Se cos , il cristiano rinuncia al mondo non tanto e non solo perch vuole sfuggire al dolore, ma perch il mondo, in ci che pi ha di bello non riesce a dargli il piacere a cui aspira. E vero, quel che il mondo offre bello, ma caduco. Tuttavia, quandanche fosse durevole, sarebbe sempre troppo poco per soddisfare il desiderio di infinito insito nelluomo36.

Lattesa della beatitudine raccoglie lincondizionato che abita il desiderio delluomo e rimanda a una promessa fondata sulla fedelt di Dio. Non ha quindi a che fare con un malsano spirito di negazione ma al contrario con un desiderio positivo e incondizionato di vita. 3. Bisogna precisare che questattesa di una pienezza capace di realizzare il desiderio incondizionato che abita il cuore umano non rimanda a qualcosa di spirituale al di l del materiale, a qualcosa di incorporeo, ma si inscrive nella carne che siamo, su quel corpo che tanto abbiamo curato, che ha ricevuto carezze, con cui ci siamo gioiosamente o dolorosamente identificati per tanti anni della nostra vita. Se vero che luomo presso di s nella sua carne, non altrove, la carne e il corpo non sono per principio luoghi di alienazione del vero io, ma luoghi della sua incarnazione, del suo riconoscimento e della sua strutturazione. Del resto impensabile che qualcosa che occupa cos tanta parte della vita (la cura del corpo e delle cose che lo riguardano) sia un errore, una condanna, la ferita provocata da una caduta originaria. plausibile piuttosto che la relazione riuscita con Dio si inscriva in un altro rapporto col corpo e la materia, meno conflittuale e penoso. Anzi, si deve dire che proprio il mistero del corpo, nella sua complessit, a rimandare alla risurrezione come a suo compimento adeguato. questo il senso delle considerazioni di A. Vorgote e di J. Guitton, che raccogliamo in questa ultima parte delle nostre considerazioni. Sarebbe interessante, anzitutto, sviluppare alcune intuizioni di A. Vergote sulla distinzione tra corpo organico/libidinale, corpo psichico e corpo trasfigurato37. Oltre al riferimento al corpo trasfigurato dei risorti, interessa della distinzione la sottolineatura della complessit del corpo psichico, che si colloca tra due ordini: quello della vita, con le sue pulsioni, e quello del linguaggio. Si crea una sorta di sdoppiamento delle polarit: quella di corpo organico e corpo psichico e quella di corpo psichico e corpo simbolico. Questa complessit impone lavvertenza a non ragionare sulla risurrezione (a livello antropologico) ponendo semplicemente il problema del corpo/materia o del corpo/vita, ma ampliando la considerazione al corpo psichico, che struttura lidentit in una determinata organizzazione delle pulsioni, allinterno di un certo contesto simbolico/linguistico. questa individualit corporea complessa che giunge al compimento nella risurrezione, non una qualche organizzazione anonima della materia. Pi analiticamente: il corpo psichico vive sulla frontiera tra lessere (io sono il mio corpo) e lavere (io ho un corpo). La distinzione stabilita precisamente dal salto dallordine fisico e vitale a quello simbolico e linguistico. Solo lio del soggetto pu, nellatto di parola, identificarsi col corpo che ed esprimersi nel corpo che ha. Ma questo corpo psichico, lio del soggetto, ha una sua logica di funzionamento che la psicologia va scoprendo. Ne deriva la seguente notazione conclusiva:
Cos bisogna tenere conto di tre linguaggi sul corpo: il linguaggio del corpo obiettivo (la macchina corporea), il linguaggio psicologico (il corpo vissuto) e il linguaggio ontologico (il corpo come carne). A questi tre discorsi sul corpo bisognerebbe aggiungere quello che tiene il messaggio cristiano. Poich lEucaristia come assimilazione del corpo di Cristo e lannuncio della risurrezione comportano lidea
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Ivi, 247-248. Si veda A. VERGOTE, Le Corps. Pense contemporaine et catgories biblique, in Revue Thologique de Louvain 2/10 (1979) 159-175.

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originale di un corpo trasfigurato dalla gloria divina. Compito del teologo potrebbe essere quello di valutare in che misura i diversi linguaggi umani sul corpo preparano una certa intelligenza del discorso cristiano Pi si approfondisce la realt del corpo, della vita o della coscienza e pi ci si convince della loro natura definitivamente enigmatica e pi si trova ridicolo il razionalismo stretto che ritiene assurda lidea della risurrezione38.

Da queste considerazioni, solo abbozzate, possiamo raccogliere due stimoli: il primo di verificare quale corpo immaginato quando si pensa alla risurrezione, dal momento che cambia molto limmaginazione pasquale a seconda del livello del discorso sul corpo (organico, psichico o simbolico); la seconda riguarda lintuizione finale, solo allusa in tono sarcastico antirazionalista, sulla necessit di tenere uniti i vari aspetti dellenigma corpo per percepire la plausibilit dellidea di una risurrezione. Ci significa che la risurrezione non tanto pi credibile quanto pi si cerca di andare oltre il corpo e quindi oltre il limite creaturale, bens quanto pi si impara ad abitare il corpo, cogliendone la complessit desperienza. 4. Ad un altro livello di considerazione utile raccogliere alcune intuizioni di J. Guitton sul nesso tra corpo e materia39. Non solo lidea di corpo, ma anche il rapporto uomo/materia pi complesso di quanto il senso comune (spesso animato da razionalismi e dualismi) lascia intuire. bene allora problematizzare tali luoghi comuni per tenere aperte le dimensioni della speranza cristiana proprio su questo terreno. Data la ricchezza di intuizioni, procediamo per flash successivi. Partiamo raccogliendo tre prospettive nuove sul corpo in s, in relazione al cosmo e nel processo evolutivo della realt:
Dal concetto di corpo al corpo trasfigurabile. Cos un corpo? [] Lartista tira fuori dai corpi un elemento che non propriamente materiale e che, daltra parte, non astratto o puramente spirituale, ma che ci fa pensare a quella che sarebbe la sublimazione del corpo in un altro modo di esistenza Loperazione dellarte apre vedute su quello che potrebbe essere un corpo risuscitato. Se si separano le due funzioni del corpo, di cui una organica e laltra gi spirituale, si pu concepire che, se un giorno il cosmo cessasse di esistere, se un giorno il mio corpo si disorganizzasse e si distribuisse in un altro modo, esso potrebbe restare (a condizione che una potenza ricreatrice si opponga al suo dissolvimento) un linguaggio nuovo per il mio io: un mediatore della comunicazione delle coscienze. Corpo e cosmo. Per diritto, la percezione si dovrebbe estendere al cosmo tutto intero. In ogni istante io dovrei poter percepire il tutto. Eppure il mio organo di percezione offre una prospettiva limitata sulla realt e il corpo funziona come organo di percezione per riduzione. Si pu allora immaginare una nuova organizzazione del corpo risorto a cui affidata la totalit del cosmo in un rapporto nuovo tra lio e la materia in cui vive. Non c pi un cosmo che mi avviluppa, ma il rapporto tra microcosmo e macrocosmo si inverte. Le dimensioni dellevoluzione. Il divenire inteso come evoluzione globale dellessere intero stato pensato fino ad ora in modo orizzontale, come un divenire storico, lineare, come progresso nel tempo. Ma forse a questo divenire orizzontale si sovrappone o si accorda un sopravvenire verticale presentito da molti pensatori come Plotino nellantichit e Leibniz, Maine de Biran, Lachelier e Blondel nei tempi moderni. I pensatori citati suppongono che lessere non debba solo vedersi secondo le fasi e le tappe della sua evoluzione, ma anche secondo i livelli, gli strati, le tappe e gli stadi del suo sviluppo intimo, delle sue mutazioni e trasmutazioni ascendenti. Nelluomo vi sono tre livelli di esistenza: il corpo, lanima (il pensiero, lo psichismo) e lo spirito (presentimento delleterno, vita pneumatica). Esistono quindi tre modi di essere: lio somatizzato, cosmizzato; lio della riflessione o della coscienza e lio della vita spirituale sperimentata in una vita che insieme interiore e superiore. Questo io interiore e superiore non pienamente consegnato a s nelle attuali condizioni dellesperienza e solo a volte percepisce se stesso. Si trovano qui le intuizioni di grandi artisti e mistici40.

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Ivi, 169. J. GUITTON, Filosofia della risurrezione. Monadologia. Breve trattato di fenomenologia mistica, 11-51. 40 Ivi, 16-25.

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Tenendo sullo sfondo queste tre intuizioni, si possono riprendere i risultati delle ricerche su alcuni fenomeni e processi riguardo al corpo nella morte. Si tratta di fenomeni che possono far intuire qualcosa del dinamismo della risurrezione. Anzitutto alcuni fenomeni registrati dalla tanatologia (lo studio dellazione della vita nei cadaveri), in cui si nota come asceti che hanno ridotto in s le funzioni vitali a favore di funzioni volitive e intellettive, solitamente assopite nella vita ordinaria, fino ad accentuare capacit di concentrazione e attenzione inusuali, presentano ricadute sulla stessa condizione del cadavere dopo la morte (incorruttibilit, luminescenza, profumi). In secondo luogo andrebbero studiate le conseguenze di esperienze mistiche o ascetiche nellambito della agiologia, in cui emerge un ciclo interiore di progresso dello spirito che opposto al ciclo progressivo e orizzontale della vita biologica, cos che ogni mortificazione spirituale appare a un altro livello come vivificazione e intensificazione dellesperienza (nella memoria, percezione, profetismo). Infine pu aiutare lanalisi analogica di altre esperienze: il risveglio dal sonno e lilluminazione improvvisa, il risveglio della natura dopo linverno, le mutazioni di alcune specie di insetti che, in situazioni critiche, si trasformano in forme nuove di esistenza. Tali esperienze di metamorfosi possono dare lintuizione che la morte non la fine, ma il luogo di una trasformazione che apre al nuovo e forse proprio a quella dimensione verticale che sopravviene allevoluzione orizzontale41. Tutti questi indizi ci portano nella direzione dellipotesi di un mutamento sostanziale delluomo, una specie di salto evolutivo che aprirebbe a una condizione nuova, che pu essere immaginata proprio a partire dai fenomeni indicati:
Lanastasis di Ges di Nazareth ci obbliga, infatti, a considerare liper-tesi di uno statuto definitivo e superevolutivo delluomo e anche della natura. Siamo obbligati a elevarci al di sopra della natura, del movimento, del numero, dello spazio e del tempo, persino al di sopra dellumanit somatizzata e anche psichizzata o noetizzata. Faremo dunque in modo che il problema dellanastasis si apra in un problema pi semplice ancora: quello della relazione tra la parte e il tutto, sia per la conoscenza e sia per lazione42.

Lintuizione ricorda quanto diceva Rahner: la morte non porta a unanima a-cosmizzata, bens a una nuova relazione dellio con la totalit del cosmo. Guitton lo dice a modo suo, partendo dalla sproporzione tra lhomo sapiens, che abbraccia con la sua conoscenza la totalit di ci che , e lhomo faber, che invece riesce a modificare solo porzioni inconsistenti della totalit (in tal senso parla di sproporzione tra lhomo hominatus, avviluppato nella totalit, e homo hominans, che abbraccia il tutto come linguaggio del suo io). Non siamo ancora ci che ci sentiamo chiamati a divenire. Solo un salto evolutivo qualitativo potrebbe cambiare questi rapporti e in questa mutazione sostanziale si realizzerebbe il passaggio dalla noosfera alla pneumatosfera. Tale salto raccoglierebbe quellinversione evolutiva che si mostra nei processi ascetici, ma ad un livello cosmico: come laumento dellentropia si accompagna a un progresso dellinformazione, secondo unanaloga legge di compensazione, il degradarsi della materia si accompagna a unintensificazione dello spirito, a una ricomposizione nella dimensione spirituale che sopravviene nel processo evolutivo al modo di unaltra dimensione. Cos si riesce a pensare lanastasis in modo genetico, come ontogenesi di un certo statuto dellessere:
Ormai abbiamo posto la risurrezione nellontogenesi e ci eleveremo a una veduta pi alta. Possiamo dire che la risurrezione un legame tra due tipi di esistenza: una lesistenza temporale e laltra unesistenza in forma di eternit. inevitabile che, prigionieri del tempo, dello spazio e del movimento, noi tendiamo a considerare la vita eterna come un simbolo o come un sogno. anche necessario riconoscere che, quando ci formiamo unidea giusta delleternit, ci difficile immaginare come unesistenza finita si possa combinare con unesistenza infinita senza essere da essa assorbita. La risurrezione di Ges ha un carattere segreto, che quello di chiarire i rapporti fra il tempo e leternit. Essa proietta una luce sul posto di un essere che appartiene alla zona eterna, e che tuttavia provvisoriamente presente nella biosfera, dopo aver attraversato la frontiera della morte In questo
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Ivi, 26-35. Ivi, 37-38.

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caso, e solo in questo caso, lanastasis di Ges sarebbe il fenomeno storico pi capitale, poich sarebbe lunica prova che noi possediamo di una possibile vittoria sulla mortalit La risurrezione, lungi dallessere un accidente estrinseco alla ragione, allesperienza, alla nozione che abbiamo dellesistenza, entra nel piano del divenire, o meglio dello sviluppo dellessere. E ci riferiamo ancora al pensiero profondo di san Paolo San Paolo diceva che noi non cerchiamo di essere spogliati, ma di essere sopravestiti, perch ci che in noi mortale sia assorbito dalla vita Si tratta sempre di sapere se lincompiutezza, limperfezione che io sento in me costantemente e che esiste anche in un certo modo nella natura cosmica e biologica, se questa incompiutezza un fenomeno assoluto o se prepara una compiutezza, quella che si potrebbe chiamare una nuova forma della creazione Levangelista Giovanni ha espresso questo pensiero sotto una forma ancor pi semplice: Non si ancora manifestato quel che saremo (1Gv 3,2). Tale lultima parola dellintelligenza che scruta lavvenire43.

Questo secondo percorso antropologico sul corpo ha messo in luce come sia proprio il mistero della corporeit e la sua ricchezza (lo splendore del corpo, una relazione nuova col cosmo e la materia) a chiedere di attivare unimmaginazione pasquale che sia allaltezza delle attese inscritte nella nostra esperienza corporea. In particolare, lascolto delle dinamiche evolutive inscritte nel rapporto tra corpo e cosmo apre allattesa di un destino di trasformazione o addirittura di salto evolutivo, che esige un radicale ripensamento della condizione delluomo nellal di l. Ci attende qualcosa di nuovo, che deve essere allaltezza delle dinamiche evolutive inscritte nellal di qua.

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Ivi, 49-51.

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