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vescovo senza il “suo” presbiterio».
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La teologia del sacerdozio oggi sembra un po’ in disuso. Dal concilio
in poi è subito percepibile un cambio di registro nell’accostare la que-
stione: più che di «sacerdozio ministeriale» si preferisce parlare di
«ministero ordinato». Il cambio può avere cause diverse, tutte possi-
bili, nessuna decisiva: la più probabile rimanda al bisogno di coniare
una formula che abbracciasse tutti i gradi dell’ordine, anche quello
del diaconato, introdotto dal Vaticano II come forma stabile di mini-
stero nella Chiesa, e che notoriamente non è ad sacerdotium, ma
ad ministerium. Ma forse non è estranea al fenomeno una sorta di
riflesso condizionato, per cui si doveva cassare ogni termine che evo-
casse la radicale separazione tra chierici e laici, tra Ecclesia docens e
discens, tipica della Chiesa pre-conciliare. Oltre a queste, di carattere
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La formulazione tridentina
Le dottrina formulata a Trento è nota. Il decreto sul sacramento dell’or-
dine, riprendendo la prospettiva sviluppata dalla Scolastica, fa dipende-
re l’esistenza e la necessità del sacerdozio dall’Eucarestia: se esiste l’una
come simbolo dell’unità e della carità che Cristo ha lasciato alla Chiesa,
«con cui volle che tutti i cristiani fossero congiunti e strettamente legati
tra loro»4, deve esistere anche il sacerdozio come ministero adatto a cele-
brare i misteri della salvezza. Il nesso costitutivo è esposto subito in aper-
tura del decreto sul sacramento dell’ordine: «Poiché nel Nuovo
Testamento la Chiesa cattolica ha ricevuto dalla istituzione stessa del
Signore il santo visibile sacrificio dell’Eucarestia, bisogna pure ammet-
tere che in essa esiste anche un nuovo sacerdozio visibile ed esteriore»,
istituito da Cristo stesso e trasmesso agli apostoli e ai loro successori,
dotato del potere «di consacrare, di offrire e di distribuire il suo corpo
e il suo sangue, e inoltre di rimettere o non rimettere i peccati», come
attesta la sacra Scrittura e l’insegnamento costante della Chiesa5.
Il capitolo 2 precisa che a servizio di un così alto sancti sacerdotii
ministerium esistono più ordini di ministri, diversi tra loro e distri-
buiti secondo una scala, attraverso la quale ascendono al sacerdozio
coloro che sono immessi nella condizione clericale con la tonsura.
Tale cursus honorum prevedeva sette figure di ministri, divisi in quat-
tro ordini minori e tre ordini maggiori: ostiario, lettore, esorcista,
accolito; e poi suddiacono, diacono e, al vertice della scala, il sacer-
dote6. Il Catechismo Romano conferma e specifica questa dottrina,
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La novità conciliare
Naturalmente, l’unità del sacerdotium non è più di un’opinione teolo-
gica. Tanto è vero che prima del Concilio Vaticano II andava emer-
gendo la posizione teologica a favore della sacramentalità dell’episco-
pato21. D’altronde, era difficile inquadrare la figura e il ministero del
vescovo sotto il potere di ordine – soprattutto se lo si considera come
ministro dell’ordinazione – e poi negare l’esistenza di un ordine supe-
riore al presbiterato22. Lo Schema de Ecclesia del Vaticano I già affer-
mava esplicitamente che «i vescovi per divina istituzione sono supe-
riori ai presbiteri sia nel potere di ordine che di giurisdizione»23.
Il Concilio Vaticano II sostiene questa dottrina con termini così Sacerdozio, vescovo e presbiterio
forti, che il testo in questione si avvicina a una definizione dogmatica
vera e propria. Ecco il testo: «Insegna il santo concilio che con la con-
sacrazione episcopale viene conferita la pienezza del sacramento del-
l’ordine, quella cioè che dalla consuetudine liturgica della Chiesa e
dalla voce dei santi Padri viene chiamata il sommo sacerdozio, il ver-
tice del sacro ministero. La consacrazione episcopale conferisce pure,
con l’ufficio di santificare, anche gli uffici di insegnare e di governa-
re, che però, per loro natura, non possono essere esercitati se non
nella comunione gerarchica con il capo e con le membra del collegio.
Dalla tradizione, infatti, quale risulta specialmente dai riti liturgici e
dall’usanza della Chiesa sia d’Oriente che d’Occidente, consta chia-
ramente che con l’imposizione delle mani e con le parole della consa-
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Conclusioni
Questa massa di elementi, se letti nel quadro delle relazioni Chiesa
particolare-vescovo-presbiterio, permettono di arrivare a conclusioni
interessanti sulla questione dell’unità del sacerdotium. Ammessa la
distinzione dei gradi, sulla base della duplice dimensione – cristologi-
ca ed ecclesiale – del sacerdozio ministeriale, si può comprendere l’u-
nità in termini dinamici, nella necessaria correlazione tra il vescovo e
il suo presbiterio. Sacerdozio, vescovo e presbiterio
Per un verso, il vescovo esercita una funzione personale, in quan-
to è principio e fondamento di unità della sua Chiesa. La Chiesa par-
ticolare che egli guida è tale per la presenza del vescovo38: senza
vescovo non si dà Chiesa particolare, perché non sarebbe assicurata
la sua apostolicità. In forza di questa funzione apostolica, che è cri-
stologica ed ecclesiale insieme, egli è il sommo sacerdote della sua
Chiesa, pastore e maestro, il quale assicura la Parola e l’Eucarestia
come mezzi necessari per la salvezza del popolo che gli è affidato.
Tuttavia, il vescovo non esercita da solo il sacerdozio a favore di un
popolo che gli è affidato, ma sempre congiuntamente al suo presbite-
rio, al quale è unito in forza della partecipazione al sacerdozio di
Cristo-capo. Si può discutere se il vescovo sia dentro o sopra il pre-
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In Occidente le posizioni di Girolamo (cfr. Ep. 69,3: PL 22,656; Ep. 146, 1ss.: PL
22,1992-95; Commentarium in epistulam ad Titum, I, 5: PL 26, 562-563) e
dell’Ambrosiaster (Commentarium in epist I ad Timoth.: PL 17, 496; cfr anche
Quaestiones Veteri et Novi Testamenti, q. 101: «De iactantia romanorum levitarum»: PL
35, 2301-2303) secondo cui vescovo e presbitero si equivalgono, dato che ambedue
sono chiamati sacerdos, e il vescovo è un primus inter pares, sono state riprese e divul-
gate da Isidoro di Siviglia (De eccl. off. II, 7, 2: PL 83,787).
2 L’idea che presbiterato ed episcopato costituissero un solo ordine, attraverso il
Decretum Gratiani (c. 5, d. 95; c. 24, d. 93), entra nelle Sentenze di Pietro Lombardo
(Sent. IV, d. 24, c. 14) e di qui nei grandi Scolastici come Alessandro di Hales e
Bonaventura, Alberto Magno e Tommaso d’Aquino, i quali ritengono l’episcopato un
sacramentale. Ma non mancheranno autori (ad esempio, Duns Scoto) che sosterranno
la sacramentalità dell’episcopato.
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Sessio XXIII, 15 Iul. 1563: Doctrina de sacramento ordinis: DS 1763-1778.
4 Decretum de ss. Eucaristia, proemium, DS 1635.
5 Doctrina et canones de sacramento ordinis, cap. I: DS 1764.
6 Cfr. Doctrina et canones de sacramento ordinis, cap. II: DS 1765. La prima men-
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zione dei 7 ordini risale a papa Cornelio, ricordata in Eusebio, Historia ecclesiastica, 6,
43, 11: PL 3, 765 A-B; DS 109.
7 «Essendo cosa divina l’esercizio di un così grande sacerdozio, era logico che per
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riale, sia perché il capitolo dottrinale a cui il canone rimanda è dedicato alla dimostra-
zione della grandezza del sacerdozio cattolico, a servizio del quale esistono tanti mini-
steri, ripartiti in ordini minori e maggiori.
10 Doctrina et canones de sacramento ordinis, cap. IV: DS 1768.
11 Catechismo Romano, § 284.
12 Ibidem. Sorprendente l’abbondanza dei riferimenti al sacerdozio comune, con
tutti i riferimenti biblici contenuti in LG 10; come a dire che anche il recupero della
dottrina al Vaticano II non sortirà effetti, se non si insisterà in una debita recezione del
tema nella vita ecclesiale.
13 Ibidem.
14 Ibidem.
15 Catechismo Romano, § 285.
16 Catechismo Romano, § 274.
17
A. Tanquerey, Brevior synopsis Tjeologiae dogmaticae, Parisiis-Tornaci-Romae
1946, p.711.
18 Summa Theologiae, III, q. 37, art. 2.
19 Summa Theologiae, III, q. 40, art. 5.
20
Summa Theologiae, III, q. 40, art. 4.
21 Basti consultare, ad esempio, due testi che prima del concilio hanno fatto scuola:
cui la verità circa la Chiesa di Cristo deve essere esplorata, ordinata ed espressa, non
forse con quelle solenni enunciazioni che si chiamano definizioni dogmatiche, ma con
quelle dichiarazioni con le quali la Chiesa con più esplicito ed autorevole magistero
dichiara ciò che essa pensa di sé». EV 1, 152*.
26 J. Auer, I sacramenti della Chiesa, Assisi 1974, p. 432. I corsivi nel testo.
27 LG 28. Il testo dello schema III utilizza ancora la distinzione tra potere di ordine
e potere di giurisdizione, che scompare nella redazione definitiva: Potestats sacra tum
ordinis tum iurisditionis, quae ex missione Christi in Episcopis residet, vario gradu variis
subiectis in Ecclesia legittime demandatur.
28 Basterà rammentare qui H. de Lubac, Corpus mysticum. L’Eucarestia e la chiesa nel
Medioevo, Milano 19822, il quale mostra nel Medioevo, anche sotto la spinta della cele-
brazione privata dell’Eucarestia, di incrinare l’intima correlazione di Eucarestia e Chiesa,
ambedue corpus Christi, e il mistero eucaristico cessa di essere sacramentum unitatis.
29 Così si esprime CD 11: «La diocesi è una porzione del popolo di Dio, che è affidata
alle cure pastorali del vescovo coadiuvato dal suo presbiterio, in modo che, aderendo al
suo pastore e da lui unita per mezzo del vangelo e dell’Eucarestia nello Spirito santo, costi-
tuisca una Chiesa particolare, nella quale è veramente presente e agisce la Chiesa di Cristo
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una, santa, cattolica e apostolica». Continua il testo, precisando che «i singoli vescovi, ai
quali è affidata la cura di una Chiesa particolare, sotto l’autorità del sommo pontefice,
come pastori propri, ordinari e immediati, pascono nel nome del Signore le loro pecore ed
esercitano a loro vantaggio la funzione di insegnare, di santificare e di governare». Il testo
è ripreso, praticamente alla lettera, dal Codice di Diritto Canonico, can. 369.
30 Questo non significa che tutto debba avvenire con la presenza del vescovo, o che
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tutto si concentri a un livello diocesano: SC 41-42 mostra come la vita della Chiesa par-
ticolare avviene nelle comunità, soprattutto parrocchiali, nelle quali si articola la dio-
cesi. Per una riflessione sull’argomento, cfr. D.Vitali, La parrocchia, luogo privilegiato
della spiritualità diocesana, «Presbyteri», 40 (2006), 9, pp. 706-717.
31 Anche se SC 42 sembra insinuare questa prospettiva: «Poiché nella sua Chiesa il
vescovo non può presiedere personalmente sempre e ovunque l’intero gregge, deve
necessariamente costituire dei raggruppamenti di fedeli (fidelium coetus) tra cui hanno
un posto preminente le parrocchie organizzate localmente sotto la guida di un pastore
che fa le veci del vescovo».
32 PDV 17; «All’interno della comunione ecclesiale, il sacerdote è chiamato in par-
ticolare a crescere, nella sua formazione permanente, nel e con il proprio presbiterio
unito al vescovo. Il presbiterio nella sua verità piena è un mysterium: infatti è una realtà
soprannaturale, perché si radica nel sacramento dell’Ordine. Questo è la sua fonte, la
sua origine. È il “luogo” della sua nascita e della sua crescita» (Ibid, 74). «La fisiono-
mia del presbiterio è, dunque, quella di una vera famiglia, di una fraternità, i cui lega-
mi non sono dalla carne e dal sangue, ma sono dalla grazia dell’Ordine: una grazia che
assume ed eleva i rapporti umani, psicologici, affettivi, amicali e spirituali tra i sacer-
doti; una grazia che si espande, penetra e si rivela e si concretizza nelle più diverse
forme di aiuto reciproco, non solo quelle spirituali, ma anche quelle materiali» (Ibi, 74).
33 I testi conciliari tendono a parlare genericamente dell’episcopato, non del vesco-
vo. La ragione può risiedere nella forte sottolineatura della collegialità, dove un sog-
getto che comprende tutti i vescovi può essere meglio configurato come un ordo; nella
relazione con i presbiteri, poi, esiste la difficoltà a configurare il rapporto al vescovo di
quanti appartengono agli istituti di vita consacrata, i quali dipendono direttamente dal
loro legittimo superiore. La tendenza a parlare di episcopato sembra rafforzata oggi,
almeno per due motivi, di natura assai diversa: da un lato, l’esistenza delle conferenze
episcopali, che appaiono come un soggetto collettivo identificabile con l’episcopato di
una data nazione; dall’altro, la tesi che l’ordinazione episcopale abbia per effetto l’im-
missione nel collegio episcopale del candidato, il quale, in conseguenza di tale appar-
tenenza, riceve la missio canonica che può essere a servizio di una Chiesa particolare o
della Chiesa universale. Per quanto sostenuta anche dalla Pastores gregis, la tesi sembra
discostarsi dall’usanza plurisecolare della Chiesa, peraltro in vigore ancora oggi, di
legare ogni vescovo al titolo di una Chiesa.
34 D’altronde, è sintomatico che la riscoperta del presbiterio cammini di pari passo
con il recupero della Chiesa locale, inaugurato al Concilio soprattutto con l’afferma- Sacerdozio, vescovo e presbiterio
zione che «nelle e a partire dalle Chiese particolari, formate a immagine della Chiesa
universale, esiste l’una e unica Chiesa cattolica» (LG 23).
35 Pontificale Romanum: Rito di ordinazione del Vescovo, dei Presbiteri e dei Diaconi,
Città del Vaticano 1992. Confrontare l’originale latino e la traduzione italiana dei nn.
121. 123. 124. 131.
36 PDV 17.
37 In forza della corrispondenza tra sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale, si
può stabilire anche un’analogia tra presbiterio e Chiesa: come questa non è la somma
dei battezzati, ma, appunto, il corpo di Cristo, così il presbiterio non è la somma dei
preti, ma un corpo di carattere ministeriale, posto a servizio della Chiesa particolare.
Né il fatto che sia ministeriale lo rende semplicemente funzionale, e quindi sociologi-
co: se l’ordine sacro costituisce personalmente ogni presbitero in una forma stabile di
vita, anche l’organismo che li costituisce in unità stabile: per quanto si può parlare di
una fondazione ontologico-sacramentale del presbiterio.
38 Né si dà il caso della sede vacante come argomento contrario, perché su quella sede
dovrà comunque essere immesso un successore; piuttosto, il fatto che la Chiesa partico-
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lare non cessi di essere tale durante la sede vacante è un forte argomento a favore della
sua natura teologica e non solo amministrativa, come più di qualcuno vorrebbe.
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Il linguaggio ricalca – mutatis mutandis – la relazione tra papa e collegio dei
vescovi: il collegio non esiste che cum Petro e mai sine Petro, e, correlativamente, il
papa, che svolge nel collegio una funzione personale che vale singulariter (CJC, can.
331), è sempre coniunctus con il collegio dei vescovi (cfr. CJC 330; 333, §2). La possi-
bilità di articolare in parallelo le due realtà è suggerita e in certo modo garantita da LG
23, quando afferma che «il sommo pontefice, quale successore di Pietro, è il perpetuo
e visibile principio e fondamento dell’unità sia dei vescovi, sia della moltitudine dei
fedeli; i vescovi, invece, singolarmente presi, sono il principio visibile e il fondamento
dell’unità nelle loro chiese particolari» e, si potrebbe aggiungere, nel o del loro presbi-
terio. Sull’interpretazione del termine coniunctus, cfr. F. Coccopalmerio, Il primato del
romano pontefice nel Codice di diritto canonico, in G. Ancona, Dossier Chiesa e
Sinodalità, Gorle (Bg) 2005, pp. 67-118.
40 A riprova basta citare il caso dei vescovi coadiutori e ausiliari, la cui funzione
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