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CAPITOLO 1 (LIBRO)

1 IL REGNO DI GIACOMO I E LE DIVISIONI RELIGIOSE


Alla morte di Elisabetta I (1603) salì al trono, con il titolo di Giacomo I (1603-25), il re di
Scozia Giacomo VI Stuart, figlio di Maria Stuart e più vicino erede in quanto pronipote di
Enrico VIII. Gli Stati d’Inghilterra e di Scozia si ritrovarono quindi uniti sotto il nome di
Gran Bretagna. Il nuovo Regno era però profondamente lacerato dalle divisioni religiose.

Dal sostegno alla Chiesa cattolica, si era passati alla rottura con Roma e poi alle scelte
apertamente protestanti di Edoardo VI , per ritornare poi al cattolicesimo più intransigente
con Maria I Tudor, detta la Sanguinaria , e nuovamente all’anticattolicesimo con
Elisabetta I.
Diversi erano gli schieramenti religiosi contrapposti. Vi era e puritani in contrasto
innanzitutto una Chiesa anglicana di Stato, con una gerarchia
vescovile (Chiesa alta) Vi erano poi i cattolici, divisi in: dissidenti veri e propri, cioè
apertamente in contrasto con la Chiesa ufficiale; non comunicanti, cioè quelli che si
limitavano a frequentare i riti della Chiesa di Stato; scismatici, ovvero coloro che
apparentemente facevano parte della comunità anglicana, ma nel loro cuore restavano
fedeli alla vecchia religione. Vi erano infine i puritani, vicini al calvinismo e intenzionati a
eliminare dalla Chiesa inglese quelli che ritenevano dei dannosi residui delle superstizioni
«papiste». In particolare, essi sostenevano che la gerarchia ecclesiastica anglicana,
fondata sui vescovi, non trovasse riscontro nelle Scritture e andasse quindi abolita e
sostituita da assemblee di anziani (presbiteri) sul modello delle altre Chiese calviniste.

Le divisioni religiose produssero divisioni politiche sopratutto all’interno dell’aristocrazia.


Fu la protezione della fazione dei Pari (cioè l’alta nobiltà) cattolici che salvaguardò le
minoranze rimaste fedeli a Roma, mentre i Pari puritani incoraggiarono la violenta ostilità
sociale contro la prodigalità e l’ozio del- la corte. Nel frattempo, con il diffondersi delle
idee puritane, si fece sempre più forte il radicalismo religioso di gruppi che criticavano
l’assetto sociale sulla base dei precetti evangelici. Erede di una sovrana cattolica, Maria
Stuarda, e proveniente da un regno a maggioranza presbiteriana, la Scozia, Giacomo I
suscitò in queste minoranze speranze contrapposte, destinate comunque ad andare
deluse.

I cattolici avevano pessima fama nel Paese perché il loro lega-

me con forze esterne li rendeva sospetti di tradimento. Già negli ulti- mi anni del lungo
regno di Elisabetta I, la presenza di missionari mandati da Roma tra la minoranza cattolica
inglese fu considerata un grave pericolo per la sicurezza dello Stato. Il colpo di grazia alla
causa cattolica fu però dato dalla scoperta della cosiddetta «congiura delle polveri». Nel
1605 trentasei barili di polvere furono nascosti da un gruppo di fanatici cattolici nei
sotterranei del palazzo del Parlamento, a Westminster, con lo scopo di far saltare in aria il
re, la sua famiglia e tutti i membri del Parlamento.

Solo per caso la congiura fu sventata in tempo; gli autori cattolici del complotto furono
ricercati, scoperti e giustiziati.

I puritani, ponevano problemi di diverso tipo. Le assemblee, rifiutavano ogni forma di


gerarchia, mentre si faceva strada l’idea che i sudditi avessero il diritto di ribellarsi contro
il potere del principe, qualora si rivelasse un tiranno. Il sovrano, all’inizio, incontrò i
calvinisti, ma si alienò definitivamente il loro sostegno quando affermò che la gerarchia
ecclesiastica era essenziale per la conservazione della monarchia e cercò di estendere la
Chiesa anglicana alla Scozia.
Altre fratture minacciavano la solidità del Regno inglese. Inglese comprese l’importanza
della creazione di una corte che attirasse e al tempo stesso controllasse la nobiltà. Ma, a
differenza delle monarchie francese e spagnola, l’unico strumento del sovrano per
ingraziarsi la nobiltà erano donativi occasionali e casuali. Inoltre, dato che in Inghilterra
le risorse minerarie non appartenevano al sovrano, come invece accadeva in Francia, in
Svezia e in Spagna, il re inglese non poteva ricorrere a tali fonti finanziarie per propiziarsi i
nobili. Il risultato fu che il carattere casuale e insufficiente dei benefici ottenuti dalla
nobiltà, ostacolò la nascita di un’alleanza politica effettiva e stabile tra la monarchia e la
nobiltà.

Proprio durante il regno di Giacomo I l’aumento di donativi e la concessione di pensioni e


vitalizi che pesavano sul bilancio statale contribuirono a scavare nella società inglese un
profondo solco tra la corte e il Paese. La corte veniva considerata un ricettacolo di
corruzione e di sperpero e i membri della Camera dei Comuni erano visti come una classe
di costosi parassiti.

La politica di Giacomo I nei confronti del Parlamento fu del con il Parlamento resto
oscillante e contraddittoria. All’inizio del suo regno, il sovrano convocò il Parlamento per
ottenere risorse finanziarie, ma in seguito preferì ricorrere a fonti di finanziamento
alternative come la vendita di titoli nobiliari.
Quando il Parlamento fu convocato di nuovo nel 1621, i parlamentari poterono ribadire il
proprio diritto a deliberare in piena libertà su tutti gli affari relativi al Regno e alla Chiesa
d’Inghilterra; In questo modo il Parlamento ottenne la possibilità di pronunciarsi e di
criticare l’operato della Corona.

Anche in politica estera Giacomo I scontentò la maggior parte dei suoi sudditi
abbandonando la linea seguita da Elisabetta. Ad esempio, sebbene avesse stretto
un’alleanza dinastica con l’elettore protestante del Palatinato, a cui aveva dato in moglie
la figlia Elisabetta, il re inglese non gli prestò alcun aiuto contro le forze cattoliche degli
Asburgo durante la guerra dei Trent’anni (1618-48). Giacomo I, dunque, perseguiva un
modello assolutistico di monarchia, ma con le sue indecisioni politiche alimentò il
malcontento nel Paese, che andò aumentando sempre più.

2 LA CORTE , IL PAESE E LE TRASFORMAZIONI ECONOMICHE E SOCIALI

Il Parlamento, nel frattempo, vide crescere la propria importanza per effetto dei
mutamenti sociali provocati dall’impetuoso sviluppo economico del Paese. La

popolazione inglese raddoppiò. In particolare, crebbero le città: Londra passò da


60.000 abitanti circa nel 1500 a 450.000 nel 1640, mentre altri centri furono interessati
dall’inurbamento . Nonostante il numero dei poveri e dei mendicanti stesse
aumentando a dismisura, la produzione agricola, grazie alle migliorie tecniche e
all’ampliamento della superficie coltivata, tenne il passo con la crescita dei consumatori
e furono quindi evitate le tremende carestie che altrove continuavano a bloccare
l’incremento della popolazione.

Anche la flotta inglese viveva una fase di grande sviluppo, favorita dall’intensificarsi dei
traffici commerciali e dai guadagni ottenuti con la pirateria. Spedizioni come la
circumnavigazione del globo di Francis Drake (1540-96), nel 1585, e quelle di sir Walter
Raleigh (1552-1618) furono finanziate dalla Corona e dalla corte.

La Compagnia delle Indie orientali e la Compagnia della Virginia garantirono invece


buoni risultati. L’Inghilterra era ormai avviata, verso il suo futuro di padrona degli oceani.

In questa congiuntura economica ebbe parte attiva anche la grande nobiltà terriera.
L’aristocrazia cominciò infatti a investire le proprie rendite fondiarie per acquistare navi,
manifatture, miniere.

A questa formidabile crescita economica corrispose un’intensa mobilità sociale.

Una nutrita schiera di nuovi ricchi, di origine non aristocratica, cominciò infatti a
rivendicare per sé l’accesso alla classe nobiliare, in forza del prestigio sociale
tradizionalmente legato al possesso di terra.

Questo accesso fu reso possibile dalla vendita di titoli nobiliari; di conseguenza, i rigidi
parametri sociali che dividevano le classi e che mantenevano al di sopra di tutti l’alta
nobiltà dei Pari ne risultarono fortemente indeboliti. La classe dominante non trovò nella
monarchia un’alleata ma una nemica e il re, si alienò l’appoggio nobiliare.

Ma gli effetti più profondi si ebbero nel mondo popolare e contadino: nelle campagne,
infatti, i provvedimenti di recinzione delle terre comuni avevano gettato moltitudini di
contadini già poveri in una condizione di miseria ancora più grave. Per fronteggiare
questa situazione, Elisabetta I aveva fatto approvare, nel 1601, la legge sui poveri,
consistente in un’imposta parrocchiale per soccorrere i poveri. A tale provvedimento,
però, seguì una serie di norme severe per costringere gli oziosi a lavorare e i vagabondi
ad abitare in un luogo stabile.


Tra il 1620 e il 1650, tuttavia, una crisi finanziaria ed economica senza precedenti si
abbatté sul Regno inglese e, per far fronte alla crisi, i sovrani aumentarono la pressione
fiscale, che colpì soprattutto le classi sociali subalterne. Le turbe dei poveri che
affollavano e quasi assediavano le città si trovarono a vivere in condizioni sempre
peggiori; i provvedimenti di polizia, non erano più in grado di frenare il fenomeno del
vagabondaggio.

3 LA POLITICA ASSOLUTISTICA DI CARLO I

Il regno di Carlo I (1625-49), succeduto al padre Giacomo, esacerbò i conflitti e le


divisioni che laceravano il Paese. Sul piano religioso, il matrimonio del re con Enrichetta,
figlia di Enrico IV re di Francia e alimentò i sospetti di una simpatia del sovrano per il
cattolicesimo, simpatia che, del resto, si era manifestata già nel 1633 con la nomina di
William Laud ad arcivescovo di Canterbury e primate d’Inghilterra; Questa decisione
alienò al sovrano il favore della maggior parte della Chiesa anglicana, che sul piano
teologico seguiva invece la dottrina predestinazionista del calvinismo (secondo la quale
Dio predestina ogni uomo alla salvezza o alla dannazione eterna).

Quanto alla gestione del potere, Carlo I seguì il modello autoritario a cui si era già
ispirato il padre, ma questo stile di governo portò allo scontro tra monarchia e
Parlamento. Per ben tre volte, dal 1625 al 1629, la situazione disastrosa delle casse statali
costrinse Car- lo I a convocarlo, ottenendo magri risultati finanziari e aspre critiche.
Tuttavia, durante la convocazione del 1628 il Parlamento non si limitò a criticare la politica
di Carlo I, ma approvò una Petizione dei diritti che riaffermava le prerogative del
Parlamento, ribadendo solennemente il principio secondo cui nessuna tassa poteva
essere imposta ai sudditi senza l’approvazione del Parlamento stesso. Fra le richieste fu
fondamentale quella che invitava il re a rispettare il principio dell’habeas corpus, norma
tradizionale della giustizia inglese, che poneva un limite alle incarcerazioni arbitrarie e
prolungate. La società inglese, trovava così nel Parlamento l’organismo che ne
assumeva la difesa in nome di una legge superiore allo stesso sovrano. Quando, il
Parlamento tentò di opporsi alle novità introdotte nella Chiesa d’Inghilterra, il re lo sciolse,
facendo incarcerare i capi dell’opposizione e riconvocandolo solo nel 1640. Per far
funzionare l’amministrazione dello Stato senza consultare il Parlamento, Carlo I ricorse
allora a tassazioni arbitrarie come la ship-money, il balzello versato normalmente in
tempo di guerra per le spese della marina e che il re fece riscuotere anche in tempo di
pace.

L’arbitrio del sovrano e la sfacciata avidità di favoriti e di arrivisti minacciavano


l’ordinamento della società. Così, per esempio, avvenne nel caso della concessione
reale di monopoli per l’esportazione di panni di lana non lavorati. Le regole tradizionali
imponevano che non si po- tessero esportare lane inglesi non lavorate per tutelare il
lavoro degli artigiani inglesi, ma il re concesse sempre più spesso permessi speciali a
questo o a quel nobile per esportare determinate quantità di panni.

Un altro permesso eccezionale fu quello che consentì ai cortigiani e beneficiati del re di


privare i dissidenti cattolici dei loro beni, magari a patto di versarne una parte alla Corona.
Ma nonostante il re elargisse in continuazione uffici e benefici ai nobili, il consenso nei
suoi confronti non accennò ad aumentare. Tutti, anzi, erano scontenti: i commercianti e gli
artigiani nei confronti dei nobili, la piccola nobiltà nei confronti dei Pari, i Pari nei confronti
dei favoriti del re.

La risposta di Carlo I fu inadeguata anche rispetto ai problemi contro il rito anglicano di


ordine religioso. L’estensione del rito anglicano, anche agli scozzesi creò infatti una
nuova, gravissima frattura: la Scozia, dopo essersi riunita in un patto nazionale (il
National Covenant), si preparò allo scontro militare contro l’Inghilterra (1639). Per
affrontarlo, occorreva denaro e Carlo I fu quindi costretto, nel 1640, a convocare il
Parlamento.

4 LA GUERRA CIVILE E LA SOPPRESSIONE DELLA MONARCHIA

Il Parlamento, invece di occuparsi della richiesta di denaro parte del sovrano, colse
l’occasione per levare proteste e accuse contro il governo arbitrario del re e la sua politica
ecclesiastica. Carlo I decise quindi di scioglierlo dopo poche settimane – e per tale
ragione fu detto «Corto Parlamento» –, ma l’avanzata vittoriosa dell’esercito scozzese
costrinse il sovrano a convocarlo di nuovo. Gli scozzesi avevano chiesto, il ritiro delle
innovazioni religiose e il pagamento di una forte somma; e per pagare, Carlo I fu costretto
a riconvocare il Parlamento e ad affrontare i puritani, alleati religiosi dei presbiteriani
scozzesi. Questa volta fu un «Lungo Parlamento» (1640-53), che ingaggiò una durissima
lotta contro la monarchia, L’assemblea proclamò solennemente il diritto di restare in
sessione fin quando fosse stato necessario. Si arrogò inoltre poteri sovrani di nomina su
vescovi e capi dell’esercito e stabilì che ogni tassa decretata senza l’assenso del
Parlamento sarebbe stata considerata illegale. Vennero aboliti anche i tribunali speciali.
Unica fonte del diritto venne considerato il «diritto comune» (il Common Law), mentre le
leggi emanate arbitrariamente dal re vennero abrogate. Costituitosi in Camera di
Giustizia, il Parlamento processò e condannò a morte con l’accusa di tradimento i due
più odiati ministri del re , il conte di Strafford e l’arcivescovo di Canterbury , William Laud.

Il Parlamento si spaccò sulla questione religiosa. I puritani stessi si divisero: da una


parte, i presbiteriani propendevano per un sistema simile a quello del calvinismo
scozzese; dall’altra, l’ala cosiddetta congregazionalista (movimento religioso protestante
, di tendenza calvinista) era favorevole a un sistema più democratico, nel quale i fedeli
potessero «congregarsi» liberamente. Il processo che si era avviato si rivelò inarrestabile.
Si delinearono tre diversi schieramenti: la Chiesa anglicana, che rappresentava il
tradizionale potere dell’aristocrazia di sangue; il calvinismo dei presbiteriani, che era
invece il baluardo dell’ordine stabilito dalle classi proprietarie, il popolo minuto, gli
artigiani e i diseredati, ma anche gli intellettuali, che sostenevano la necessità di separare
Chiesa e Stato, ordine evangelico e ordine sociale.

Verso la fine del 1641 i cattolici irlandesi insorsero contro i coloni inglesi per
riappropriarsi delle terre che erano state loro espropriate. Il Parlamento, dovendo
organizzare una spedizione militare per sedare la rivolta, si rivolse a Carlo I, che tentò
allora di approfittare della situazione per entrare alla Camera di Giustizia e far arrestare i
componenti a lui più ostili. Il popolo londinese prese allora le armi per difenderli,
costringendo il re a lasciare la città e armare un esercito. Fu l’inizio, nell’agosto 1642,
della guerra civile, la cosiddetta «prima rivoluzione inglese».

Con il re si schierarono la Chiesa anglicana, i cattolici e i «cavalieri» – sul fronte


opposto si collocarono puritani e indipendenti (chiamati «teste rotonde», poiché
portavano i capelli corti), la gentry ( ceto dei gentiluomini di campagna), la borghesia
mercantile emergente, gli artigiani, i piccoli proprietari terrieri, nonché Londra e il Sud-Est
dell’Inghilterra.

In una prima fase l’indiscussa superiorità in termini di addestramento, organizzazione ed


equipaggiamento permise all’esercito di Carlo I di avere la meglio sulle forze messe
insieme dal Parlamento; la situazione, però, cambiò completamente grazie all’energico
intervento di Oliver Cromwell (1599-1658), un gentiluomo di campagna, puritano, che
prese nelle sue mani le redini dell’esercito rivoluzionario.
Nell’Inghilterra dell’Est, il comandante militare raccolse un nucleo di uomini armati
animati da salde convinzioni religiose, disciplinati e ben organizzati, disposti a rischiare la
propria vita per combattere contro la corruzione e l’idolatria che essi identificavano con il
re. Pagati bene e regolarmente, portarono sui campi di battaglia uno spirito nuovo.
Davanti a questo esercito insolito, i nobili di Carlo I si trovarono a mal partito. A Marston
Moor (nell’Inghilterra settentrionale), nel 1644, il re venne battuto da un esercito
composto da un corpo scozzese, da un’armata del Parlamento e dagli Ironsides (i
«Fianchi di ferro») di Cromwell. Sull’onda di questo successo Cromwell ottenne il titolo di
comandante della cavalleria e il compito di organizzare il New Model Army, l’«Esercito di
nuovo modello». Carlo I, nuovamente sconfitto nel 1645 a Naseby e a Langport, cercò
asilo in Scozia, ma i nobili scozzesi lo vendettero per una buona somma ai commissari
del Parlamento inglese.

Tuttavia, nel momento del trionfo delle truppe parlamentari, emersero le divisioni esistenti
in seno al Parlamento, la cui maggioranza voleva sottrarre a Carlo I l’esercizio effettivo del
potere lasciandogli solo la sovranità formale. Il Parlamento cercò anche di sciogliere
l’esercito vittorioso inviandone una parte in Irlanda e perseguitò gli anglicani cercando di
imporre il presbiterianesimo. Cromwell tentò di raggiungere un accordo con il re, il quale,

tuttavia, riuscì a fuggire dalla prigione e a scatenare una rivolta realista nel Galles.

A questo punto Cromwell si affidò nuovamente al proprio esercito e a Preston,

nel 1648, gli Ironsides affrontarono le truppe del re – 9.000 soldati contro 24.000 – e le
sbaragliarono. L’esercito vittorioso entrò a Londra e cacciò dal Parlamento gli elementi
più moderati; ciò che ne rimase – definito («Parlamento tronco») – diede una
giustificazione formale ai successivi atti rivoluzionari. Carlo I, infatti, fu processato e
condannato a morte, e venne de- capitato il 30 gennaio 1649. Alcuni mesi più tardi, il
Parlamento dichiarò abolita la monarchia e istituita la Repubblica unita (o
Commonwealth) di Inghilterra, Irlanda e Scozia.

5 LA DITTATURA DI CROMWELL E L’ATTO DI NAVIGAZIONE

Cromwell dovette poi occuparsi del proprio esercito, dove le tendenze radicali avevano
guadagnato terreno. Già nel 1647 i Levellers (i «Livellatori»), movimento politico
improntato ai princìpi dell’uguaglianza sociale, avevano proposto un progetto di
Costituzione basato sul principio secondo cui «la fonte di ogni diritto risiede
originariamente e sostanzialmente nell’intero corpo del popolo». Essi pertanto chiedevano
che fosse garantita la piena libertà religiosa a tutti e che tutto il potere venisse affidato a
una Camera da eleggersi a suffragio universale. Cromwell, però, si oppose ai Livellatori e
ad altri movimenti ancora più radicali, come i Diggers, ovvero gli «Zappatori», così
chiamati perché abbattevano le recinzioni e zappavano i terreni lasciati incolti dai
proprietari aristocratici. Gli agitatori più accesi furono incarcerati.

Nel frattempo la minaccia realista non era svanita, in quanto il figlio di Carlo I, Carlo II,
sostenuto dagli scozzesi, cercava di restaurare la monarchia. Cromwell, con un corpo
d’armata di gran lunga inferiore a quello nemico, sbaragliò gli avversari a Dunbar (1650)
e un anno dopo a Worchester. Carlo II dovette fuggire in Francia, la Scozia fu domata e il
suo Parlamento fu unito di nuovo a quello inglese.

Cromwell sciolse il Rump Parliament e nominò personalmente gli uomini di un nuovo


Parlamento, scelti fra i radicali dell’esercito e delle Chiese «indipendenti» o
«congregazionaliste» (1653), che sostenevano, la libera «congregazione» dei fedeli.
Quando però la nuova assemblea, propose di abolire il pagamento delle decime, di
sostituire le corti giudiziarie con giurie popolari e, infine, di sciogliere l’esercito, Cromwell
rimandò a casa i parlamentari.
Fu la fine della fase esplosiva e profetica della rivoluzione; ma l’eredità delle sette e gli
entusiasti che volevano modellare il mondo secondo la giustizia radicale del Vangelo,
come i quaccheri, avrebbero alimentato per secoli l’idea democratica dell’uguaglianza
naturale degli uomini e del loro diritto a partecipare alla vita politica senza discriminazioni
tra ricchi e poveri.

Nel 1653 l’esercito – unica vera forza costituita in Inghilterra – varò un nuovo disegno
costituzionale, l’Instrument of Government, che fece di Cromwell il Lord protettore della
Repubblica, assistito da un Parlamento eletto su basi censitarie (ossia poteva votare
solo chi deteneva una certa ricchezza). Tuttavia, entrato in conflitto con i più intransigenti
repubblicani, che non accettavano il suo potere personale, Cromwell nel 1655 sciolse
anche questo Parlamento, instaurando una dittatura personale. Il Parlamento, però,
dovette essere di nuovo riunito nel 1657 per l’urgenza di una guerra contro la Spagna e
per la conseguente esigenza di votare le tasse necessarie a sostenere le spese del
conflitto.

In questa occasione la frattura tra l’ala moderata, che invitò Cromwell ad assumere
ufficialmente il titolo di re, e quella dei repubblicani e dell’esercito costrinse Cromwell a
elaborare un nuovo ordinamento: il titolo di Lord protettore divenne ereditario, ma venne
restaurata la Camera dei Pari con i relativi privilegi.

Cromwell aprì un conflitto esterno, promulgando, nel 1651, l’Atto di navigazione, in base
al quale le merci dirette in Inghilterra dovevano essere trasportate o su navi inglesi o su
navi dei Paesi produttori. Era una misura protezionistica rivolta chiaramente contro
l’Olanda per salvaguardare gli interessi marittimi e navali inglesi.

L’Atto mise in crisi le attività di trasporto marittimo che gli olandesi svolgevano per conto
di terzi e per le quali erano chiamati «carrettieri del mare». Ne scaturì la prima guerra
dell’Atto di navigazione (1652-54): l’Olanda fu sconfitta e dovette accettare le
condizioni inglesi. Dopo un secondo conflitto, scoppiato nel 1665 e conclusosi nel 1667,
l’Olanda dovette rinunciare anche alla colonia di Nuova Amsterdam, che gli inglesi
ribattezzarono, New York.

6 DALLA RESTAURAZIONE ALLA GLORIOSA RIVOLUZIONE


Alla morte di Cromwell, nel settembre del 1658, il figlio Richard, perse subito il controllo
della situazione, gettando il Paese nel caos e aprendo una fase di duri scontri tra
Parlamento, esercito, repubblicani e monarchici. A ristabilire l’ordine fu il generale George
Monk (1608- 70) , comandante dell’armata del Nord , che all'Inizio del 1660 marciò su
Londra e vi fece riunire il Parlamento. Quest’assemblea, spianò la strada alla
restaurazione della monarchia, richiamando in patria Carlo II Stuart (1660-85).

Con il nuovo re ricomparvero però i vecchi problemi: corruzione della corte, arbitrio del
sovrano, intolleranza. Il Parlamento tornò quindi a essere il baluardo dei diritti civili e
della difesa della Chiesa anglicana contro la minaccia di un ritorno al cattolicesimo, pur
dividendosi in due tendenze, che presero i nomi di «whigs» (sostenitori delle libertà
costituzionali) e «tories» (filomonarchici).

Il Parlamento impose poi l’Atto di prova o Test Act (1673), che vietava ai cattolici di
ricoprire cariche pubbliche, e l’Atto di esclusione, che impediva la successione al trono
di Giacomo Stuart, in quanto cattolico.

Nel 1685, alla morte di Carlo II, il duca di York salì comunque al trono come Giacomo II
(1685-88), e la sua condotta politica riaccese rapidamente le ostilità. Egli abolì infatti il
Test Act, aprì una fase di relazioni amichevoli con il papa e cercò anche di cancellare
l’Habeas Corpus Act, con cui nel 1679 il Parlamento aveva stabilito una nuova procedura
in materia penale, che garantiva ai cittadini la libertà da qualsiasi forma arbitraria di
arresto o di detenzione; infine, sciolse la Camera dei Comuni.

Il governo autoritario di Giacomo II e la minaccia di un ritorno all’obbedienza cattolica


suscitarono opposizioni e rivolte. La mancanza di discendenti diretti lasciava comunque
sperare in un cambiamento di dinastia e di metodi dopo la morte del re: Giacomo II,
infatti, aveva per genero un principe di sicura fede protestante, lo statolder d’Olanda
Guglielmo d’Orange. Quando però, nel 1688, nacque un erede maschio di Giacomo II, fu
il Parlamento a trovare una via d’uscita politica, offrendo la corona d’Inghilterra a
Guglielmo d’Orange. Questi, assunto il titolo di Guglielmo III (1689-1702), attraversò la
Manica con 15.000 soldati ed entrò a Londra accolto trionfalmente. Il Parlamento dichiarò
decaduto Giacomo II, che si rifugiò in Francia sotto la protezione di Luigi XIV.

Non fu solo un cambiamento di dinastia. Infatti, quel che accadde a Londra nel 1688 fu
una rivoluzione che si svolse non in modo violento ma con la proclamazione di due
importanti atti formali; per questo motivo, si parlò di «Gloriosa rivoluzione».

Con il primo atto Giacomo II venne dichiarato decaduto, perché non aveva rispettato il
«contratto» originario tra re e popolo. Si affermava così il fondamento contrattuale della
legittimità del sovrano, secondo cui tra re e popolo vi è una sorta di contratto che il re
deve rispettare, pena la sua decadenza dal governo. L’altro atto fu la Dichiarazione dei
diritti del 1689 (il Bill of Rights), un elenco delle leggi e delle libertà tradizionali che i nuovi
sovrani dovevano giurare di osservare prima di essere proclamati e consacrati. Era una
svolta decisiva: nasceva una nuova forma di monarchia, nella quale il sovrano accettava
di governare sotto il controllo del Parlamento, rinunciando definitivamente a ogni
tentazione assolutistica.

Lo storico Christopher Hill ha osservato acutamente che nell’Inghilterra del Seicento


ebbero luogo due rivoluzioni. Una, quella dei possidenti, risultò vittoriosa: affermò i sacri
diritti della proprietà (abolendo le proprietà feudali e le tassazioni arbitrarie) e conferì il
potere politico ai ceti abbienti. L’altra rivoluzione – quella auspicata da gruppi come i
Livellatori o gli Zappatori – non scoppiò mai apertamente, ma costituì una minaccia
sempre incombente: se avesse prevalso, avrebbe potuto condurre all’istituzione della
proprietà comune e di una democrazia radicale. La Gloriosa rivoluzione sancì la vittoria
del Parlamento sul potere monarchico

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