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Elisabetta I, ultima regina della dinastia dei Tudor, governò dal 1558 fino alla sua morte nel

1603 con astuzia e saggezza, trasformando l'Inghilterra in una nazione ricca, potente, votata
ai commerci ma favorendo anche le arti e le opere di grandi autori come Shakespeare.
Elisabetta I nacque nel 1533 a Greenwich. Figlia del re Enrico VIII Tudor d'Inghilterra e di
Anna Bolena, perse a tre anni la madre, fatta decapitare da Enrico VIII con l’accusa di
stregoneria e incesto. Dopo la morte del padre nel 1547, durante i brevi regni dei fratellastri
Edoardo VI e di Maria la Cattolica, Elisabetta I visse momenti di grande difficoltà. La
sorellastra Maria, che aveva sposato il re di Spagna Filippo II, per scongiurare la sua ascesa
al trono la rinchiuse nella prigione della Torre di Londra e meditò di ucciderla nel corso del
suo regno durante il quale si impegnò nell'opera di restaurazione del Cattolicesimo in
Inghilterra perseguitando i Protestanti.

Morta Maria, prematuramente e senza eredi, si aprì in Inghilterra una delicata questione di
successione. Nel 1558 il Parlamento inglese proclamò regina Elisabetta I, che era di
religione protestante. I Cattolici inglesi non la vollero riconoscere come erede perché nata da
un'unione matrimoniale di cui il papa non aveva mai ammesso la validità e le contrapposero,
senza successo, la cattolica Maria Stuart, regina di Scozia, cugina di Elisabetta I. Ma l'idea
che, con l'elezione di Maria, la Francia potesse controllare il Regno inglese era inaccettabile
per il Parlamento. Nei primi anni di governo Elisabetta evitò di adottare duri provvedimenti
nei confronti dei sudditi cattolici con l'obiettivo di ricomporre quell'unità nazionale che era
venuta meno durante il regno di Maria la Cattolica.

Nel 1559 con l'Atto di uniformità rese obbligatorio l'uso del Libro delle preghiere comuni per i
servizi religiosi. Il libro era una sintesi fra tradizione cattolica e innovazioni protestanti
pensata per garantire da una parte l'uniformità religiosa e dall'altra un'ampia tolleranza di
fedi. Nello stesso anno, con il secondo Atto di Supremazia dopo quello del 1534 emanato da
Enrico VIII, stabilì che i pubblici ufficiali dovessero prestare giuramento alla regina e
riconoscerla come capo della Chiesa Anglicana.

La presenza di Elisabetta I, fece vivere all'Inghilterra un periodo florido, caratterizzato da una


forte espansione economica e da un ricco fermento culturale.
Favorì l'agricoltura e l'allevamento;
Si sviluppò la produzione tessile, l’aumento delle esportazioni;
favorì la nascita delle prime industrie, nacque una potente flotta grazie all'espansione
marittima e commerciale,
Anche la società inglese si preparava a grandi cambiamenti:
dal punto di vista religioso Elisabetta I spinse il paese verso il Protestantesimo.
Le condizioni di vita migliorarono in modo deciso e di conseguenza la popolazione crebbe e
Londra si avviò a diventare una grande capitale europea.
L'aristocrazia si allontanò dalle campagne e cominciò a subire la concorrenza di un nuovo
gruppo sociale, la gentry, la piccola nobiltà. Oltre all'economia fiorirono anche le arti: venne
fondato il primo quotidiano, presero vigore la poesia e la letteratura, nacque anche il teatro,
che conobbe il massimo sviluppo con le opere di uno dei più grandi autori di scritti teatrali
della storia: William Shakespeare.
La Francia delle guerre di religione.
In Francia le guerre di religione tra cattolici e ugonotti (calvinisti francesi) furono anche
guerre per il controllo politico del paese, in una fase in cui la debolezza della monarchia
mise in pericolo la stessa unità statale. Violenze conflitti, culminata il massacro degli ugonotti
nella notte di San Bartolomeo, si protrassero fino all’incoronazione di Enrico Quarto di
Borbone, che restituì autorità alla monarchia e con l’editto di Nantes concesse una parziale
libertà di culto alla minoranza ugonotta.

La crisi demografica ed economica


Nella prima metà del seicento una serie di fattori di natura demografica, economica e politica
condussero a creare uno scenario sostanzialmente negativo che gli storici indicano con
l’espressione “crisi del seicento“. I diversi esiti della crisi modificarono l’equilibrio economico
europeo: alcune aree (soprattutto la Spagna) furono penalizzate dalla riduzione della
popolazione e dalla pesante crisi produttiva; altre, come l’Inghilterra e l’Olanda, risposero
alla crisi innovando sistemi di produzione agricola e manifatturiera e gli scambi commerciali.

La guerra dei trent’anni


La Guerra dei trent’anni fu sia una guerra di religione tra cattolici e protestanti, sia una
guerra politica tra gli Asburgo, che volevano uno Stato nell’area tedesca, e Francia e Svezia,
che volevano allargare la loro influenza.

La guerra si svolse nell’Europa continentale tra il 1618 e il 1648 e fu suddivisa in quattro fasi.
La prima, detta boemo-palatina (1618-1624) si svolse in Boemia ed ebbe origine dalla
ribellione dei protestanti boemi contro l’imperatore Ferdinando II di Asburgo, che era venuto
meno alle concessioni di libertà religiose e di culto fatte con la Lettera di maestà
(defenestrazione di Praga). La rivolta portò all’elezione a sovrano, da parte dei boemi, del
capo dell’Unione evangelica, il palatino Federico V.
La risoluzione arrivò con la battaglia della Montagna Bianca vicino a Praga che si concluse
con la sconfitta dei boemi (1620). L’imperatore non tardò a invadere il Palatinato,
espropriando poi la nobiltà boema a favore di quella straniera cattolica e spostando così il
potere in Germania verso i cattolici.

La minaccia di un possibile accesso degli Asburgo al Baltico provocò l’intervento del re di


Danimarca Cristiano IV e fu all’origine della seconda fase del conflitto, quella danese
(1626-1629). Il re danese, nel suo tentativo di sostenere i protestanti, fu sconfitto a Dessau
(1626) e firmò la pace di Lubecca (1629).
Dopo la vittoria di Breitenfeld del 1631, il sovrano svedese invase la Baviera battendo
Wallenstein a Lützen (1632), ma perse la vita. La guerra venne portata avanti ma terminò
con la netta sconfitta della Svezia a Nordlingen, seguita dalla pace di Praga con
l’imperatore.

La Francia continuò a non accettare la supremazia asburgica e decise di intervenire


direttamente, aprendo così l’ultima fase, detta francese (1635-1648). I francesi vennero
affiancati da svedesi, olandesi, duca di Savoia, Mantova e Parma e sconfissero gli spagnoli.
Dopo una serie di sconfitte. Si arrivò alla pace di Westfalia del 1648, con cui l’imperatore
accettò la sconfitta e riconobbe la perdita dell’egemonia sugli Stati tedeschi. Nel frattempo la
Spagna, pur indebolita, continuò la sua guerra contro la Francia fino alla pace dei Pirenei del
1659.

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