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RIASSUNTI PER VERIFICA

CAPITOLO 15
15.1
LA POLITICA ASSOLUTISTICA DI GIACOMO I
Nel 1603, estintasi la dinastia Tudor con la morte senza eredi di Elisabetta I, la Corona inglese passò al
parente più prossimo, cioè a Giacomo I Stuart (1603-1625), già re di Scozia con il nome di Giacomo VI e
figlio di quella Maria Stuart che Elisabetta I aveva fatto giustiziare nel 1587. A differenza della madre,
Giacomo aveva ricevuto uni educazione protestante, quindi inizialmente la sua ascesa al trono non pose
problemi religiosi fra i sudditi. Egli perseguì una politica assolutista e antiparlamentare, proprio come
stavano facendo altri sovrani d'Europa. Tuttavia, il suo disegno si scontrò con la realtà di un paese in cui
ormai erano ben radicate le autonomie locali e individuali. L'atteggiamento assolutistico di Giacomo I ebbe
quindi il risultato di far giungere a maturazione le forti tensioni di natura politica, sociale e religiosa che
erano già presenti nel regno.
L’UNIONE DI INGHILTERRA, IRLANDA E SCOZIA
Con Giacomo I si riunivano nella stessa dinastia le Corone d'Inghilterra, Scozia e Irlanda. I singoli Stati
continuarono però a essere politicamente autonomi, in quanto ciascuno di essi conservava i/ proprio
Parlamento. L'unione politica vera e propria fra i tre Stati sarebbe giunta un secolo più tardi, nel 1707, sotto
il regno della regina Anna, quando nacque il Regno Unito di Gran Bretagna.
IL CONFLITTO TRA IL RE E LA CAMERA DEI COMUNI
Come abbiamo detto, il progetto assolutista del sovrano causò forti tensioni di natura politica. Sotto la
dinastia Tudor il Parlamento si era piuttosto rafforzato e ormai rivendicava il proprio diritto a intervenire in
tutto ciò che riguardava la politica, l'economia e la stessa condotta del re, non accettando un sovrano che
non intendeva ascoltare la sua voce. Per rafforzare la sua autorità e ottenere una base di consenso, Giacomo
I cercò quindi di ottenere l'appoggio della Camera alta o dei Lords, concedendo ricche pensioni e il
mantenimento dei diritti feudali alla grande nobiltà e ai membri della Chiesa anglicana, i cui interessi
coincidevano con quelli della Corona. Ne derivò così un grave stato di tensione con la borghesia e la piccola
nobiltà, la cosiddetta gentrv, i cui rappresentanti costituivano la Camera bassa o dei Comuni. Questi due ceti
formavano l'elemento economicamente più vivo e dinamico della società inglese: i ceti borghesi, con
interessi nelle manifatture e nei commerci, erano maldisposti verso le continue richieste di tasse per le
spese della corte e non condividevano la politica estera del sovrano, disinteressato all'espansione marittima
e intenzionato a un riavvicinamento con la Spagna; la gentry, che investiva tanto nella terra - gestendola in
modo imprenditoriale e moderno e puntando su colture specializzate - quanto nelle compagnie mercantili,
era invece desiderosa di abolire i vincoli di tipo feudale (prestazioni, servizi, terreni di uso comune,
concessioni regie ecc.). Venne a crearsi perciò una situazione di aperto conflitto fra la Corona e la Camera
dei Comuni, che il sovrano ritenne di poter superare non convocando più il Parlamento.
I CONTRASTI RELIGIOSI
Ai contrasti di natura politica si aggiungevano tensioni di tipo religioso non del tutto sopite per la
compresenza di confessioni religiose fra loro inconciliabili dopo la Riforma, malgrado la stabilizzazione della
Chiesa anglicana - improntata a una rigorosa strutturazione gerarchica - promossa da Elisabetta l. Nel regno,
oltre al cattolicesimo - i cui fedeli pur in minoranza continuavano a essere sempre numerosi -, si era
particolarmente diffuso il puritanesimo, di orientamento calvinista e insofferente nei confronti della Chiesa
anglicana e dei suoi fedeli. Nato nella seconda metà del Cinquecento all'interno della Chiesa anglicana, il
movimento radicale dei "separatisti" puritani si proponeva di "purificare" la Chiesa anglicana da tutte le
forme non previste dalle Sacre Scritture: intendeva così annullare i compromessi con il cattolicesimo
promossi dalla Riforma sotto Enrico VIII ed Elisabetta l. Inoltre, i puritani riconoscevano autorità solo alla
Bibbia e rifiutavano la sottomissione alla Corona. Infine, tutto il puritanesimo e soprattutto la sua
componente più radicale, quella presbiteriana, molto diffusa in Scozia, aveva uno spiccato carattere
democratico e antigerarchico: sottolineava infatti l'autonomia e la responsabilità individuale del fedele e
proponeva un'organizzazione su base locale di comunità guidate da pastori liberamente scelti, abolendo
tutta la gerarchia ecclesiastica anglicana.
I CATTOLICI E LA CONGIURA DEI POVERI
Chiara espressione del clima di malcontento generato dalle divisioni religiose fu la cosiddetta "congiura
delle polveri”, organizzata nel novembre 1605 da un gruppo di cospiratori cattolici con l'obiettivo di
eliminare il sovrano e porre sul trono un regnante cattolico. I ribelli, approfittando della cerimonia dedicata
all'inaugurazione annuale del Parlamento a Westminster, cercarono di far saltare in aria il palazzo dove si
trovavano la corte e il sovrano. L'attentato fu scoperto e sventato e dette a Giacomo I il pretesto per
scatenare una dura repressione contro tutti i cattolici. Lo spietato rigore con il quale il re punì il tentativo dei
cattolici di riconquistare con la violenza una posizione di preminenza nel paese non fece che aumentare le
tensioni tra gruppi religiosi e indebolire ulteriormente la posizione della monarchia.
I SEPARATISTI PURITANI
Il sovrano, tuttavia, incurante dello sfavore popolare e deciso a portare avanti il proprio disegno autoritario,
attuò una politica repressiva anche nei confronti dei puritani. Giacomo I vide il pericolo che il carattere
democratico e antigerarchico del movimento poteva rappresentare per il regno, qualora fosse stato
applicato in politica: questo motivo era per il sovrano più che sufficiente per giustificare la persecuzione dei
puritani.
CARLO I E LA PETIZIONE DEI DIRITTI
Le tensioni accumulate durante il regno di Giacomo I esplosero sotto il suo successore, il figlio Carlo I Stuart
(1625-1649). Il nuovo sovrano accentuò infatti le tendenze assolutistiche paterne con una condotta
intransigente e spregiudicata sia in politica interna, cercando di imporre tasse senza l'approvazione del
Parlamento, sia avviando una politica estera aggressiva con la partecipazione alla guerra dei Trent'anni (v.
par. 13.2). Presa la decisione di appoggiare gli ugonotti di La Rochelle contro la Francia di Richelieu e avendo
bisogno di denaro, nel 1628 Carlo I si vide costretto a convocare il Parlamento, il quale, come contropartita
delle ingenti somme richieste, impose al re di sottoscrivere una sorta di carta costituzionale, la Petition of
Rights ("Petizione dei diritti”), con cui si stabilivano alcuni limiti all'arbitrio del re, ribadendo in particolare
che le nuove tasse dovevano essere approvate dal Parlamento, che era proibito il reclutamento forzato di
soldati e marinai, che nessuno poteva essere imprigionato senza saperne il motivo. Si ribadiva dunque il
principio dell'habeas corpus, già formalizzato quattro secoli prima dalla Magna Charta Libertatum, caduta
però in disuso.
15.2
L’ASSOLUTISMO DI CARLO I E LA LIBERAZIONE SCOZZESE
Nonostante la concessione della Petition of Rights nel 1628, appena un anno dopo Carlo I fece arrestare i
capi dell'opposizione, sciolse i/ Parlamento e da allora, per ben undici anni, governò l'Inghilterra come
sovrano assoluto. La politica del re suscitò, tuttavia, un malcontento sempre più diffuso, che venne
esasperato da alcuni provvedimenti fiscali impopolari e dal lusso eccessivo della corte, ma soprattutto dal
comportamento della monarchia in campo religioso. Nel paese i puritani e i presbiteriani avevano acquisito
una forza sempre maggiore ma, come il padre, Carlo sosteneva la Chiesa anglicana e in più, essendo sposato
a una principessa francese, si dimostrava indulgente nei confronti dei cattolici. Gradualmente le diverse
cause dello scontento si saldarono fra loro: l'aspirazione alla libertà di pensiero in materia religiosa spingeva
gli inglesi a discutere e giudicare anche l'organizzazione politica e le azioni del proprio sovrano. La situazione
si aggravò quando gli scozzesi si ribellarono apertamente al tentativo di anglicizzazione forzata promosso da
Carlo I nel 1639. A questo punto il sovrano, per procurarsi i mezzi finanziari indispensabili per soffocare la
sommossa, fu costretto a riconvocare i/ Parlamento per poter imporre nuove tasse (aprile 1640).
II Corto e il Lungo parlamento
La nuova assemblea, tuttavia, ebbe vita breve perché, invece di concedere sussidi, chiese al sovrano di
rendere conto di tutte le illegalità commesse fino a quel momento. Poiché, evidentemente, si trattava di un
passo verso un ridimensionamento dell'assolutismo regio, Carlo I sciolse di nuovo il Parlamento dopo meno
di un mese di tumultuosa attività (Corto parlamento, 13 aprile-5 maggio 1640). I successi conseguiti dagli
insorti scozzesi obbligarono però il re a convocarne un altro, che questa volta fu inamovibile e perciò è
passato alla storia sotto il nome di Lungo parlamento (1640-1653). In un primo momento, costretto dagli
eventi, il sovrano fece diverse concessioni che sostanzialmente limitavano i suoi poteri. Restava però aperto
il problema religioso, su cui il Parlamento non era unanime (i puritani erano in maggioranza, ma di
pochissimo). Tuttavia, nel 1642 insorsero i cattolici irlandesi che, sentendosi minacciati soprattutto dai
puritani, erano più propensi a schierarsi con Carlo l. II sovrano cercò subito di approfittare delle divisioni
sorte all'interno del Parlamento per riprendere il pieno controllo della situazione: arrestò i capi più
intransigenti e a lui ostili, tentando di sfruttare a proprio vantaggio anche i contrasti tra moderati ed
estremisti in seno all'assemblea.
La guerra civile (1642-1648)
L'operazione contro il Parlamento, tuttavia, non ebbe successo: i suoi principali esponenti riuscirono a
mettersi in salvo grazie anche all'appoggio della popolazione di Londra, la quale costrinse i/ re ad
abbandonare la capitale e rifugiarsi a Oxford, mentre i/ Parlamento stabiliva una stretta alleanza con gli
scozzesi ribelli. Si giunse così a una guerra civile che spaccò il paese in schieramenti opposti, a seconda della
regione, della classe sociale e della confessione religiosa. A fianco del re si schierarono la Chiesa anglicana,
buona parte della grande nobiltà e dei ceti conservatori, le regioni dominate dalla grande proprietà dedita
all'allevamento e quelle economicamente più arretrate; il Parlamento poté contare sui puritani e su tutti i
dissidenti religiosi, su Londra e sulle altre città che avevano sviluppato commerci e manifatture e sulla parte
meno conservatrice della piccola e media nobiltà. I fedeli al re furono detti anche "cavalierì', mentre i
seguaci del Parlamento furono definiti con disprezzo dagli avversari "teste rotonde” per il fatto che
portavano i capelli corti senza le tradizionali parrucche. Inizialmente la guerra volse a favore del sovrano, ma
ben presto i parlamentari ottennero una serie di vittorie schiaccianti grazie alla valida guida politica e
militare di un nobile di provincia, il puritano Oliver Cromwell (1599-1658). La battaglia decisiva fra i
"cavalieri" e le "teste rotonde" avvenne nel 1648, a Preston (vicino a Manchester), e si concluse con la
disfatta dell'esercito regio.
La decapitazione di Carlo I
Dopo l'arresto del re, Cromwell fece allontanare tutti quei deputati ancora fedeli al sovrano o che
comunque lo avrebbero giudicato con clemenza e il 30 gennaio 1649 un nuovo Parlamento, a maggioranza
puritana (detto Rump Parliament, "Parlamento troncone"), condannò Carlo I a morte per decapitazione
come tiranno e traditore del popolo. Era la prima volta che la testa di un re cadeva sotto la scure
rivoluzionaria. Si trattò di un evento sconvolgente, che aprì all'Inghilterra la via verso un'esperienza
repubblicana e che fece intravedere un nuovo modo di intendere i rapporti tra governanti e governati. i re,
da quel momento in poi, sapevano di poter essere abbattuti non solo da rivali o nemici esterni, ma dal loro
stesso popolo.
La sconfitta degli irlandesi e degli scozzesi e l'ascesa di Cromwell
Approfittando del fatto che le più potenti dinastie europee, e quelle di Spagna, Francia e Austria, colte di
sorpresa dal regicidio (e ancora alle prese con le conseguenze della guerra dei Trent'anni), non avevano
reagito contro la nuova repubblica, detta Commonwealth, Cromwell represse la rivolta dei cattolici irlandesi,
ancora una volta insorti in seguito al trionfo del puritanesimo e al conseguente timore di persecuzioni.
L'esercito inglese condusse una battaglia talmente aspra e cruenta che molti furono costretti ad
abbandonare il paese e a emigrare nel Nuovo Mondo: tra il 1641 e il 1651 la popolazione irlandese si
dimezzò. Subito dopo Cromwell sconfisse gli scozzesi che, desiderosi di recuperare la propria autonomia,
avevano proclamato loro re Carlo Stuart, figlio del precedente sovrano. Cromwell poneva così fine alla
guerra civile sulle isole e assumeva il titolo di "Lord protettore di Inghilterra, Scozia e Irlanda”; in questo
modo gettava anche le basi di un'unione politica, e non più solo dinastica, tra i tre regni.
15.3
LA POLITICA INTERNA
II regime nato dalla rivoluzione del 1648 fu chiamato "repubblica", nel senso che non c'era più un re.
Tuttavia il governo di Cromwell fu concretamente paragonabile a quello di un monarca che agiva sotto i/
controllo di un Parlamento la cui composizione era determinata, secondo la tradizione, da un numero molto
ristretto di individui. Durante gli anni della guerra civile c'erano state grandi discussioni su quale dovesse
essere la nuova organizzazione dello Stato: all'interno del movimento puritano si erano affermate correnti
radicali che promuovevano il suffragio universale (i leve//ers) o addirittura una riorganizzazione della società
su basi egualitarie, con l'abolizione della proprietà privata e la messa in comune di tutte le risorse
economiche, in particolare della terra (i diggers). II governo di Cromwell non solo non accolse queste
opinioni, ma si impose come autoritario, fondato sull'esercito (tanto che per questo periodo si parla anche
di dittatura militare). Così facendo, il Lord protettore perseguì gli interessi dei proprietari terrieri della
borghesia commerciale puritana che lo avevano portato al potere e costituivano la vera forza politica del
paese. Cromwell favorì dunque con ogni mezzo il consolidamento delle ricchezze di questi ceti, incentivando
la proprietà privata anche tramite una redistribuzione delle terre requisite agli avversari sconfitti durante la
guerra civile. Una sorte particolarmente dura toccò all'Irlanda, dove le confische furono massicce. Inoltre
Cromwell stimolò il commercio mediante una legislazione volta a eliminare i privilegi locali e a ridurre i/
prelievo fiscale. Infine, abolì tutta una serie di privilegi riconosciuti ai nobili, compresi vecchi diritti feudali e
signorili. Pervaso da una fortissima religiosità, Cromwell intervenne anche nei costumi, imponendo un
rigidissimo controllo sulla moralità pubblica e perseguitando i cattolici, considerati nemici pubblici perché
filomonarchici, soprattutto perché su di loro si concentrava l'astio maturato dopo oltre un secolo di Riforma.
La politica estera
I maggiori successi di Cromwell vennero conseguiti però in politica estera: egli provvide all'ampliamento
della flotta e attuò un'intraprendente espansione commerciale sul mare. La sua politica fu di stampo
mercantilista: prevedeva il sostegno dello Stato all'attività economica privata, tutelando il più possibile
l'economia inglese. Pertanto divenne inevitabile lo scontro sia con l'Olanda, divenuta l'incontrastata
dominatrice dei traffici marittimi, sia con la Spagna che, nonostante le sconfitte subite nell'ultimo periodo
della guerra dei Trent'anni, costituiva ancora la maggiore potenza coloniale del mondo.
Fu appunto contro l'Olanda che Cromwell promulgò il 9 ottobre 16511'Atto di navigazione, rimasto poi in
vigore per circa due secoli; il provvedimento stabiliva che potessero giungere nell'isola solamente merci
trasportate da navi inglesi. Tale iniziativa costituiva nella sostanza un atto di aperta ostilità verso gli olandesi,
che dal trasporto per conto terzi e dal commercio internazionale fra l'Oriente e l'Europa ricavavano cospicui
guadagni.
Le guerre anglo-olandesi e il conflitto con la Spagna
Le Province Unite reagirono con la guerra. A partire dal 1652, nell'arco di vent'anni le due potenze si
affrontarono in tre conflitti per mare e per terra, combattuti anche fuori d'Europa, in Africa e in America (le
cosiddette guerre anglo-olandesi), che si conclusero con il trattato di Breda (1667): gli olandesi ottennero
una mitigazione dell'Atto di navigazione e il controllo del Suriname, un territorio nel Nord-Est dell'America
meridionale, e in cambio cedettero agli inglesi la città di Nuova Amsterdam, che in seguito avrebbe
cambiato il proprio nome in New York. In tutte e tre le occasioni si giunse a compromessi che però di fatto
favorirono l'Inghilterra: nei decenni successivi il paese incrementò la propria flotta ed erose
progressivamente la supremazia olandese, fino a diventare la nuova potenza commerciale. La dominazione
britannica dei commerci transoceanici sarebbe durata circa due secoli. Il successo ottenuto sul fronte
olandese indusse Cromwell ad attuare una politica aggressiva anche contro la Spagna, la quale, non avendo
sottoscritto la pace di Westfalia (v. par. 13.3), si trovava ancora in uno stato di più o meno aperta
belligeranza con la Francia. Cromwell intervenne proprio a fianco di quest'ultima e in appoggio al Portogallo,
che ancora combatteva per liberarsi dalla tutela spagnola (v. par. 12.2). La vittoria che ne seguì permise agli
inglesi di ottenere la ricca isola di Giamaica nelle Antille, preziosissima base per quella politica di espansione
coloniale di ampio respiro verso cui l'Inghilterra si stava orientando, e di assicurarsi nello stesso tempo la
piena libertà di azione negli scali atlantici del Portogallo.
La restaurazione della monarchia
Malgrado i vantaggi economici e i successi militari, il peso della dittatura divenne sempre più intollerabile
per la società inglese, anche a causa dei soprusi e delle brutali violenze di cui si rendeva protagonista
l'esercito: si preparava così la strada per il ritorno della monarchia. Alla morte di Cromwell (1658), inoltre,
gli succedette il figlio Richard, uomo di scarso valore che, dopo neppure un anno di governo, di fronte alla
crescente ostilità del Parlamento e dell'esercito, preferì abbandonare il potere e ritirarsi a vita privata. Ne
seguì un breve periodo di instabilità, in cui rifiorirono le speranze delle correnti più democratiche e anche di
quelle radicali, ma questa parentesi venne richiusa subito: le forze moderate preferirono non correre
ulteriori rischi e si adoperarono per la restaurazione della monarchia. Nel 1660 fu richiamata al potere la
dinastia degli Stuartnella persona del figlio di Carlo l, Carlo 1/(1660-1685), con l'impegno che il re, oltre a
mantenere l'ordine e a rispettare la legge, avrebbe anche concesso un'amnistia e tutelato la libertà di
coscienza.
15.4
Il governo di Carlo II Stuart
Salito al trono, Carlo II Stuart dimenticò la promessa di rispettare le conquiste democratiche frutto della
rivoluzione e in breve tempo ritornò alla politica assolutistica paterna. Inoltre restaurò la Chiesa anglicana,
perseguitò i puritani seguaci di Cromwell e favorì i cattolici (anche per compiacere la Francia di Luigi XIV, con
la quale il nuovo re si era alleato). L'atteggiamento del nuovo sovrano riaccese la tensione dentro e fuori il
Parlamento: temendo lo scoppio di una nuova rivoluzione, Carlo II accettò due leggi, volute dalla Camera
dei Comuni e destinate da allora a garantire in Inghilterra la libertà individuale contro ogni arbitrio del
potere regio e a impedire i/ ritorno all'assolutismo:
• il TestAct("Atto di Prova", 1673), che prevedeva il giuramento di fedeltà alla monarchia e alla Chiesa
anglicana da parte di tutti i funzionari pubblici. Tale provvedimento, che sarebbe rimasto in vigore fino al
1829, escludeva dagli uffici pubblici tutti i dissenzienti: in sostanza colpiva i cattolici, favoriti dal re;
• l'Habeas Corpus Act(1679), che vietava l'arresto arbitrario e illegale dei sudditi e il carcere preventivo,
conferendo solo al magistrato il potere di decidere della legalità dell'arresto. Questa legge, unitamente alla
Magna Charta e alla Petizione dei diritti, diventò uno degli elementi fondamentali dell'ordinamento politico
inglese (v. Storia, cittadinanza e costituzione, p. 426).
Whigs e tories
Il Parlamento si occupò anche del problema della successione. Poiché il sovrano era privo di eredi legittimi,
il trono sarebbe dovuto passare al fratello Giacomo, fervente cattolico. Intorno a tale questione nel
Parlamento si delinearono due partiti: quello dei whigs, favorevoli all'esclusione di Giacomo dalla
successione, e quello dei tories, sostenitori invece del suo diritto di ereditare la Corona.
I due partiti avrebbero in seguito assunto un peso sempre maggiore nella vita politica inglese. I Whigs
esprimevano soprattutto gli interessi della borghesia urbana, impegnata in attività produttive, commerciali e
finanziarie: di indirizzo progressista e liberale, erano aperti sostenitori dei principi di tolleranza religiosa e
della supremazia politica del Parlamento; i tories, più conservatori, esprimevano il punto di vista della
nobiltà terriera, legata al tradizionale ordine in campo religioso e politico, e perciò alla Chiesa anglicana e
alla Corona, a cui essi riconoscevano un indiscutibile ruolo centrale: per loro il Parlamento restava un
organo consultivo, ma non doveva sostituirsi al re nel governare.
Il breve regno di Giacomo II
Alla morte del re Carlo II (1685) alcuni gravi dissensi tra i Whigs finirono per far prevalere in Parlamento i
tories, che ratificarono la regolare successione dinastica di Giacomo II (1685-1688), il cui breve regno fu
travagliato da violente lotte religiose. La sua politica filocattolica inasprì i suoi avversari e gli fece perdere i
suoi sostenitori, per cui il Parlamento decise di offrire la corona d'Inghilterra al principe protestante
Guglielmo III d'Orange (1689-1702), statolderdelle Province Unite e marito di Maria II Stuart(1689-1694),
figlia del re Giacomo II ma protestante. La 'gloriosa rivoluzione' di Guglielmo III Guglielmo III sbarcò in
Inghilterra nel novembre 1688e la sua rapida marcia su Londra fu trionfale e pacifica. Giacomo II fu costretto
ad abbandonare la città e a cercare rifugio in Francia. La "gloriosa rivoluzione - così chiamata poiché
compiuta senza spargimento di sangue - consolidò definitivamente il sistema parlamentare in Inghilterra:
Guglielmo III, infatti, prima di essere incoronato, sottoscrisse nell'aprile 1689 la Dichiarazione dei diritti(Bill
of Rights), che circoscriveva i poteri della Corona (v. Storia, cittadinanza e costituzione, p. 426). Tale atto
segnò la fine della monarchia assoluta, perché negava al re la facoltà di sospendere l'applicazione di una
legge, di esigere tasse per uso personale, di mantenere un esercito in epoca di pace e nello stesso tempo
garantiva al Parlamento piena libertà di parola e immunità ai suoi rappresentanti per le idee sostenute, oltre
a libere votazioni e a un regolare funzionamento dell'assemblea.
L'affermazione della monarchia parlamentare costituzionale
Dunque, la sovranità (cioè il potere originario e supremo su cui si fonda lo Stato) era passata al Parlamento,
ma il re poteva continuare a esercitare una politica personale, avendo riconosciuto il diritto di designare in
piena autonomia i ministri. Di qui l'origine di nuovi attriti. Per evitarli il nuovo sovrano iniziò a scegliere i
propri collaboratori di governo su indicazione della maggioranza parlamentare. Nasceva così, a poco a poco,
la monarchia parlamentare costituzionale, cioè una monarchia disposta ad accettare, nel governo del paese,
la collaborazione del Parlamento in veste di rappresentante della volontà della nazione e rispettosa dei
diritti dei cittadini fissati da una "costituzione" qual era la Dichiarazione dei diritti.
Siamo ancora molto lontani da un sistema parlamentare moderno basato sul suffragio universale: infatti i
membri della Camera alta erano tali per diritto ereditario o per nomina regia e quelli della Camera dei
Comuni erano eletti da un numero ristrettissimo di elettori, esponenti delle classi più ricche. Si trattava,
tuttavia, di una tappa importante verso la democrazia in un'Europa nella quale gran parte dei monarchi
regnava ancora per diritto divino.

RIASSUNTO
Questo testo descrive l'era successiva alla morte di Elisabetta I, quando il trono inglese passò a Giacomo I Stuart.
Giacomo perseguì una politica autoritaria e antiparlamentare, che causò tensioni politiche, sociali e religiose nel regno.
La sua politica a favore della Camera dei Lords e contro il Parlamento causò ulteriore tensione con la borghesia e la
piccola nobiltà. Le tensioni religiose esplosero nel 1605 con la "congiura delle polveri" e l'escalation di conflitti tra
anglicani, cattolici, puritani e presbiteriani. La politica dispotica di Giacomo fu portata avanti dal figlio Carlo I, che si
scontrò con il Parlamento, che chiese il riconoscimento della Petizione dei diritti per limitare il potere del re.

Questo testo descrive la situazione politica e sociale dell'Inghilterra durante il regno di Carlo I Stuart. Carlo, seguendo
una politica assolutista, scioglie il Parlamento e accentua ulteriormente la sua politica, causando un malcontento
diffuso tra la popolazione. Questo malcontento porta a rivolte, prima degli scozzesi e poi degli irlandesi, e alla
riconvocazione del Parlamento nel 1640. Tuttavia, i contrasti tra il re e il Parlamento sfociano in una guerra civile, che
viene vinta dalle forze parlamentari guidate da Oliver Cromwell. Nel 1649, Carlo I viene condannato a morte e
decapitato come tiranno e traditore del popolo, e l'Inghilterra diventa una repubblica guidata da Cromwell. Cromwell
assume il titolo di Lord Protettore di Inghilterra, Scozia e Irlanda, gettando le basi per un'unione politica tra i tre regni.

Questo testo descrive la situazione politica ed economica in Inghilterra durante il governo repubblicano guidato da
Oliver Cromwell. Durante la guerra civile, erano emerse posizioni radicali sul piano politico e sociale, ma Cromwell non
aveva accolto queste richieste e aveva instaurato una forma di dittatura militare supportata dalla gentry e dalla
borghesia commerciale puritana. Il governo repubblicano era puritano e aveva forti controlli sulla moralità pubblica.
Promuoveva gli interessi dei suoi sostenitori incentivando la proprietà privata, redistribuendo le terre confiscate ai
realisti sconfitti e promuovendo il commercio. Con l'Atto di navigazione del 1651, fu stabilito che solo le merci
trasportate da navi inglesi potessero entrare nell'isola, il che causò tre guerre anglo-olandesi che alla fine favorirono
l'Inghilterra, che stava diventando una potenza commerciale. Tuttavia, malgrado i successi economici e militari, la
dittatura di Cromwell divenne sempre più intollerabile per la società inglese a causa della brutalità e degli abusi
commessi dal governo. Questo portò al ritorno della monarchia nel 1660, dopo la morte di Cromwell.

Questo testo descrive alcuni eventi storici importanti avvenuti in Inghilterra durante il XVII secolo. Il re Carlo II Stuart
cercò di restaurare l'assolutismo e di fortificare la Chiesa anglicana, perseguitando i puritani e concedendo maggiore
visibilità ai cattolici. Tuttavia, il Parlamento era abbastanza forte da impedirgli di fare questo e lo costrinse a firmare la
legge Habeas Corpus, che garantiva la libertà individuale dall'arbitrio del sovrano. In questo periodo si formarono due
gruppi politici contrapposti, i Whigs e i tories, che sostenevano posizioni liberali e conservatrici rispettivamente. Alla
morte di Carlo II, i tories favorirono l'ascesa al trono del cattolico Giacomo II, che però fu deposto dal Parlamento a
causa della sua politica filocattolica. Al suo posto, Guglielmo III d'Orange, marito di Maria II Stuart, una protestante, fu
offerto il trono. Dopo che Guglielmo III fu incoronato pacificamente, firmò la Dichiarazione dei diritti, che limitò i poteri
del re e segnò la fine della monarchia assoluta e l'inizio di quella parlamentare.
CAPITOLO 16
16.1
LO SVILUPPO DELLE SCIENZE
Nel Seicento conobbe ulteriori sviluppi quella cultura, che affondava le proprie radici nel Rinascimento,
incentrata sull'esaltazione della ragione umana e su un desiderio di conoscenza libera e autonoma dalle
interferenze della fede, perciò chiamata "razionalismo”. Parallelamente si sviluppò un diffuso interesse per
le scienze della natura, che proprio allora trovavano metodi e sistemi di ricerca talmente nuovi da dare
origine a quella che molti definiscono l'epoca della "rivoluzione scientifico” e della nascita della "scienza
moderno”.
Il razionalismo di Cartesio
Il fondatore del razionalismo moderno fu il filosofo e matematico francese Cartesio (nome latinizzato di
René Descartes, 1596-1650), il quale indicò la ragione come principio fondamentale di ogni conoscenza.
persino l'esistenza di Dio sarebbe dimostrabile attraverso il ragionamento. Cartesio elaborò i presupposti
teorici di un nuovo modo di concepire la ricerca fondandola su un metodo rigoroso e li espose nell'opera
significativamente intitolata Discorso sul metodo (1637), dove enunciò il suo famoso motto "Penso, dunque
sono" (in latino: cogito, ergo sum), formula con cui esprimeva la certezza indubitabile che l'uomo ha di se
stesso come essere che pensa. Introducendo il concetto di "dubbio metodico", il filosofo francese formulò
un nuovo procedimento di critica totale della conoscenza, articolato in quattro regole fondamentali
(evidenza, analisi, sintesi, riprova), che consisteva nel mettere in dubbio ogni affermazione, ritenendola
almeno inizialmente falsa, nel tentativo di scoprire i princìpi ultimi, indubitabili, su cui basare poi tutta la
conoscenza. Cartesio riteneva che il mondo fosse costituito da pura materia e che pertanto qualsiasi
fenomeno potesse essere determinato matematicamente e geometricamente con assoluta esattezza; negò
quindi ogni valore alle spiegazioni del mondo fisico fondate sulla magia e giunse a un'interpretazione della
realtà detta "meccanicismo", secondo il quale tutto l'universo poteva essere descritto come un
meccanismo, per quanto estremamente complesso, in cui tutti gli esseri materiali sono legati alle leggi ben
determinate che regolano questo meccanismo.
ll metodo sperimentale di Galileo
Uno dei padri riconosciuti della scienza moderna fu Galileo Galilei(1564-1642), che, con i suoi studi in
campo fisico e astronomico, elaborò un metodo basato su alcuni fondamentali principi:
• i/ 'vero' si studia nella natura non sui libri, quindi una metodologia scientifica deve essere basata
unicamente sull' osservazione diretta e sulla verifica sperimentale di ipotesi, e non sulle speculazioni
teoriche;
• noi giungiamo alla verità attraverso ciò che siamo capaci di scoprire e non per quanto abbiamo sentito
dire: ciò significa che non si possono accettare affermazioni non dimostrate e non confermate da esperienze
precise;
• la scienza ha a che fare solo con i corpi e con le loro determinazioni di carattere quantitativo,
matematicamente misurabili: non pretende di indagare l'essenza delle cose (come la filosofia), ma è tesa a
studiare gli aspetti sperimentabili del reale e le leggi che lo regolano;
• la scienza nulla ha a che fare con le Sacre Scritture, dalle quali la separano l'oggetto di studio (i corpi fisici
e non i princìpi di fede) e le finalità concrete (la conoscenza dei fenomeni, non la salvezza delle anime) e, di
conseguenza, anche il linguaggio.
Da tutti questi princìpi deriva un'idea di autonomia della ricerca scientifica, che non deve essere vincolata a
dogmi filosofici o religiosi: alla base del metodo galileiano stava dunque una netta separazione tra la
filosofia e la teologia da un lato e la scienza dall'altro. In altre parole, si stava avviando un processo di
laicizzazione delle scienze, anche se le nuove idee, insieme alle loro dimostrazioni, dovettero ancora fare i
conti con le censure ecclesiastiche - di tutte le Chiese, sia di quella cattolica sia di quelle protestanti.
Newton e l'esperienza come fondamento della scienza
Grazie al metodo sperimentale, già avviato con successo da Galileo, il matematico e fisico inglese Isaac
Newton (1642-1727) scoprì la legge della gravitazione universale, che riassumeva in una sola formula
matematica i rapporti tra corpi in movimento sulla Terra e nello spazio. Nell'opera Principi matematici della
filosofia naturale (1687) Newton si rifiutò di partire da spiegazioni non verificate della realtà ("Non elaboro
ipotesi astratte", diceva polemicamente), indicando nell'attenzione scrupolosa ai dati dell'esperienza la base
indispensabile per giungere alla conoscenza delle cause più profonde dei fenomeni, da esprimere poi in una
legge fisica. Con Newton giungeva a compimento la rivoluzione scientifica iniziata quasi un secolo e mezzo
prima con la pubblicazione, nel 1543, del libro che conteneva la teoria eliocentrica di Copernico (v. par. 7.7).
Lo scienziato inglese dette infatti piena sistemazione al metodo sperimentale, con la sua base empirica e la
sua espressione nel linguaggio matematico, e al contempo dette forma all'immagine dell'universo che è
rimasta stabile fino alla teoria della relatività di Albert Einstein (1879-1955), formulata all'inizio del XX
secolo.
I residui dell'irrazionalismo
Sebbene nel Seicento cominciassero ad affermarsi teorie e metodi scientifici "moderni", che sono stati alla
base dello sviluppo del sapere nei secoli successivi, sarebbe tuttavia un errore considerare questo periodo
come l'età della pura razionalità. Non va dimenticato che il secolo si caratterizzò per il permanere di modi di
pensare irrazionali, di credenze magiche e pseudo- scientifiche Ci volle del tempo perché i confini tra
scienza e pratiche prescientifiche si definissero con precisione: per esempio, solo a poco a poco
l'astronomia e la chimica si separarono dall'astrologia e dall'alchimia. E ci volle ancora molto tempo perché
la medicina consolidasse i suoi progressi su basi scientifiche e sperimentali (per esempio, nel 1628 l'inglese
William Harvey pubblicò le sue scoperte sulla circolazione del sangue) e prendesse il definitivo sopravvento
sulle pratiche tradizionali "popolari". Diffuse soprattutto negli ambienti meno aperti agli influssi della nuova
cultura e tra le masse popolari, le tendenze irrazionalistiche continuarono a esercitare una grande influenza
per lungo tempo.
Scienza e potere
Lo sviluppo delle scienze fu possibile anche grazie al sostegno dei poteri pubblici, laici o ecclesiastici. Tutti i
sovrani, compresi i papi, praticarono infatti forme di mecenatismo non solo in ambito artistico e letterario,
ma anche scientifico, favorendo la formazione di accademie. Nate durante il Cinquecento, prima di tutto in
Italia, come libere associazioni di intellettuali che discutevano di argomenti letterari, filosofici, artistici e
scientifici, organizzate in genere intorno a personalità di spicco e sostenute economicamente da prìncipi e
signori, le accademie con il tempo si erano diffuse in tutta Europa trasformandosi in istituzioni permanenti.
A poco a poco i sovrani ne assunsero il controllo o ne fondarono di nuove, come accadde per esempio in
Inghilterra con la Royal Society, fondata nel 1662, o in Francia con l'Académie des Sciences, inaugurata nel
1666 da Luigi XIV (v. par. 14.3). Lo sviluppo delle scienze poteva infatti dare una spinta propulsiva ai
progressi delle tecniche, con ricadute pratiche positive per le arti della guerra e della navigazione o più in
generale per le attività economiche.
16.2
Machiavelli e la nascita del pensiero politico moderno
La storia del pensiero politico moderno inizia tradizionalmente con Nicolò Machiavelli (1469- 1527), autore
del Principe, scritto nel 1513 e pubblicato postumo nel 1532, uno dei più celebri trattati sul potere e sulle
tecniche per conquistarlo e conservarlo. Machiavelli vi introduceva, tra le altre, un'idea fondamentale:
l'azione politica doveva essere orientata a ottenere e conservare il potere e, proprio per questo, la politica
doveva costituire una sfera autonoma rispetto alle considerazioni morali e religiose. Questa idea suscitò
all'epoca uno scandalo enorme e l'opera di Machiavelli fu inserita nell'Indice dei libri proibiti e condannata
anche nei paesi protestanti.
Il libero arbitrio dall'ambito religioso a quello politico
Nel contempo la Riforma protestante, elaborando il principio del libero arbitrio e stabilendo un nuovo
rapporto diretto tra credente e Dio, aprì nuove prospettive sul ruolo dell'individuo rispetto alle autorità
tradizionali. Infatti, l'idea riformata del libero esame nella sfera religiosa si estese gradualmente anche alla
sfera politica. Se Lutero fu contrario a ogni ribellione contro l'ordine costituito (da qui la sua ostilità alla
rivolta dei contadini del 1525), Calvino invece affermò che i credenti avevano il diritto di resistere contro un
sovrano "empio", cioè contrario ai loro princìpi religiosi. Nato in ambito religioso, il "diritto di resistenza" fu
peraltro accolto anche dai cattolici, nei paesi in cui essi si trovavano in minoranza, per esempio in Francia,
dove fu uno dei fattori che alimentarono le guerre di religione.
Bodin e i fondamenti dell’assolutismo.
Dalla fine del Cinquecento a tutto il Seicento fu costante il confronto dei pensatori con gli orrori delle guerre
di religione e per questo le loro riflessioni non furono teorie astratte, ma tentativi di trovare concrete
soluzioni politiche per rendere di nuovo possibile una pace civile e religiosa che ormai sembrava scomparsa
del tutto in gran parte d'Europa. Fu il caso del filosofo e giurista francese Jean Bodin (1530-1596), tra i
massimi sostenitori dell'assolutismo monarchico. Nella sua opera Sei libri sulla Repubblica (1576) - dove
"repubblica" è da intendersi come "Stato" - Bodin sostenne la necessità di rafforzare, al di sopra delle fazioni
religiose, il sovrano, l'unico in grado di tenere insieme tutti i sudditi. A tal fine il potere del re doveva essere
" assoluto" (da qui il termine "assolutismo"), cioè "sciolto" (dal latino absolutus) dal vincolo imposto dalle
leggi e al di sopra di esse, in quanto il re era l'unica fonte del diritto e della giustizia. Il sovrano, dunque, non
aveva bisogno di alcuna legittimazione esterna, né doveva obbedienza a una Chiesa, doveva anzi tenersi
lontano da ogni controversia religiosa: questo aspetto, evidentemente, rappresentava un passo importante
verso la laicizzazione della politica. Per Bodin il potere del sovrano, che aveva come primo obiettivo
l'amministrazione dello Stato in modo "giusto", non era infatti un potere arbitrario, perché trovava
comunque dei limiti: da un lato nelle leggi divine e naturali, dall'altro nei "giusti patti” che egli aveva
stabilito con i suoi sudditi.
ll giusnaturalismo: diritti naturali e contratto sociale
Questa riflessione sulla sovranità fu sviluppata anche nell'ambito di una delle dottrine che più influenzarono
il dibattito politico-filosofico dell'epoca: il giusnaturalismo (dal latino ius naturale, "diritto di natura"), il cui
esponente di spicco fu il filosofo e giurista olandese Huig Van Groot, latinizzato in Ugo Grozio (1583-1645).
Secondo questa teoria, l'uomo possiede di per sé, sin dalla nascita, alcuni fondamentali "diritti natura” - in
primo luogo il diritto alla vita, alla libertà personale e alla proprietà -, che, essendo costitutivi della natura
umana, precedono qualsiasi legge statale; pertanto, qualunque potere deve rispettarli e garantirli. Per i
giusnaturalisti, infatti, sono stati gli uomini a creare volontariamente la società politica e civile, associandosi
sulla base di un patto o "contratto sociale” (da qui contrattualismo), al fine di uscire dallo "stato di natura",
cioè quella (ipotetica) condizione precedente a ogni istituzione politica, per convivere in maniera ordinata e
armoniosa. In questo modo gli uomini rinunciano a farsi giustizia da sé per rimettersi al giudizio di
un'autorità superiore, lo Stato appunto, incaricato di tutelare i diritti naturali di tutti. Ne consegue che lo
Stato è una costruzione artificiale umana, nasce per una libera convenzione tra gli uomini, codificata con un
patto sociale, e non per volontà divina.
Hobbes e Locke: dall'assolutismo al liberalismo
La riflessione politica e filosofica del giusnaturalismo e del contrattualismo dominò la cultura giuridica e
politica del Seicento. Tali teorie furono spinte talora al punto da giustificare la formazione di un potere regio
assoluto; altre volte, però, i giusnaturalisti giunsero a porre limiti all'assolutismo. Queste furono le tesi
sostenute da due grandi filosofi inglesi, Thomas Hobbes (1588-1679) e John Locke (1632-1704), i quali
elaborarono le loro dottrine nel vivo delle guerre civili che sconvolsero il loro paese (v. par. 15.4). Il loro
pensiero, partendo da una comune base giusnaturalistica, approdò a esiti opposti. Hobbes, convinto della
natura intrinsecamente aggressiva e violenta dell'umanità (homo homini lupus, "l'uomo è lupo per
l'uomo"), che per questo vivrebbe in permanente conflitto, giunse a giustificare il potere assoluto
dell'autorità statale. solo grazie a esso è possibile evitare che gli uomini si facciano una guerra continua per
soddisfare ogni bisogno e desiderio. In caso contrario il corpo sociale non può che disgregarsi e l'anarchia è
il pericolo peggiore. Il pensiero politico di Hobbes - esposto nell'opera l/ Leviatano (1651) - si fondava sul
concetto di Stato come creatura artificiale dell'uomo basata su un "patto" o "contratto socia/ë' volontario,
con cui gli uomini conferiscono con delega irrevocabile tutto il potere a una sola figura, il sovrano - un
singolo individuo (allora lo Stato è una monarchia) oppure un'assemblea (allora lo Stato è un'aristocrazia o
una democrazia, secondo l'ampiezza dell'assemblea) - divenendone sudditi obbedienti. L'autorità politica -
una, indivisibile, assoluta e "irresistibile" (cioè tale che il cittadino non ha nessun diritto di opporsi) - non
trae dunque origine da Dio, bensì dalla volontà del popolo - unica fonte di sovranità - che cede al sovrano i
propri diritti in cambio di un'amministrazione capace di far rispettare le leggi e di garantire la pace.
Tuttavia, proprio la concezione contrattualistica del potere finì col minare le basi del dispotismo monarchico,
aprendo la strada all'idea moderna dell'autorità statale. Nei fondamentali Due trattati sul governo (1690)
Locke pose le basi del liberalismo politica i sudditi conferivano al sovrano il potere di amministrare e far
rispettare le leggi, ma si trattava di una delega solo temporanea. Se infatti il sovrano non si fosse attenuto
alle finalità per le quali il potere gli era stato affidato, in particolare la difesa dei diritti naturali, e ne avesse
fatto cattivo uso, i sudditi avrebbero potuto revocarglielo. Inoltre, per evitare il rischio del dispotismo, Locke
avanzò per la prima volta l'idea della separazione dei poteri era opportuno che il potere legislativo (fare le
leggi) e quello esecutivo (mettere in atto e far rispettare le leggi) fossero esercitati da organi del tutto
autonomi.
La concezione moderna dello Stato
Le dottrine elaborate nel Seicento contribuirono a dare legittimazione teorica a quel processo di
affermazione dello Stato moderno che, delineatosi attraverso accorpamenti territoriali tra XIV e XVII secolo,
si era venuto consolidando attraverso un progressivo accentramento del potere. Le funzioni in cui si articola
la sovranità, infatti, nel Seicento vennero accentrate nelle mani di monarchi assoluti, che esercitarono il
proprio potere grazie al sostegno di due principali istituzioni: l'esercito e la burocrazia. Venne formandosi
così un modello di Stato capace di emanare e fare rispettare le leggi sia per mezzo di una rete capillare di
burocrati incaricati della pubblica amministrazione e della riscossione delle tasse, sia attraverso l'uso delle
forze di polizia e dell'esercito, di cui il sovrano era l'unico a detenere legittimamente il monopolio.
L'accentramento delle diverse funzioni di difesa interna ed esterna, organizzazione burocratica e prelievo
fiscale fu la prerogativa dello Stato assoluto, che rappresentò la novità istituzionale del Seicento. Donne
nella Storia.
16.3
ll secolo della Controriforma
Il Seicento fu anche il secolo della Controriforma (v. par. 10.6): nei paesi di stretta osservanza cattolica,
soprattutto Italia e Spagna, la Chiesa avviò un programma di interventi caratterizzato da nuove strategie per
ottenere il sostegno della popolazione. Da una parte, nel tentativo di rimettere ordine nel tessuto della
cristianità lacerata dai dissidi della Riforma, la Chiesa elaborò una dottrina autoritaria e repressiva, fondata
sul ferreo controllo dei movimenti ereticali, attraverso l' Inquisizione, e su un continuo aggiornamento
dell'Indice dei libri proibiti Nello stesso tempo la Chiesa cattolica iniziò a cercare una nuova base di
consenso popolare, sia creando una cultura religiosa per le masse fondata sulla divulgazione (catechismo),
sulla devozione (culto dei santi, venerazione della Madonna) e sulla carità (assistenza ai malati, ai poveri,
agli orfani, ai carcerati), sia proponendo un'immagine solida e sicura di sé, autocelebrandosi grazie al
trionfalismo e alla grandiosità dell'arte barocca.
La repressione delle idee: i casi di Bruno e Campanella
Nel clima repressivo della Controriforma ogni aspetto della vita pubblica fu sottoposto a rigido vaglio e molti
intellettuali ne rimasero vittime. Tra questi sono celebri i casi dei filosofi Giordano Bruno (1548-1600) e
Tommaso Campanella (1568-1639). Bruno sostenne il panteismo, una concezione secondo cui Dio, inteso
come spirito divino, "empie tutta la materia", cioè pervade tutti i fenomeni naturali. Tale visione,
inconciliabile con la dottrina sostenuta dalla Chiesa, gli costò nel 1600 la condanna al rogo per eresia.
Campanella delineò un utopico Stato comunitario, basato sull'armonia delle classi e sulla religione naturale.
Spinto dai suoi ideali, nel 1599 ordì una congiura nel regno di Napoli, volta all'abbattimento del dominio
spagnolo e all'instaurazione della repubblica. La rivolta fallì e il filosofo fu condannato sia per ribellione sia
per eresia: scontò ventisette anni di carcere fingendosi pazzo prima di essere liberato.
La scienza nel mirino della censura: il caso Galilei
Il caso più noto di persecuzione nei confronti di uno scienziato e di limitazione della libertà di ricerca
riguardò Galileo Galilei, che fu messo sotto processo dall'inquisizione romana. Con il risultato dei suoi studi
e delle sue osservazioni Galilei dimostrò quanto aveva intuito alcuni anni prima l'astronomo polacco Niccolò
Copernico (1473-1543), ossia che la Terra non occupa il centro dell'universo, ma è semplicemente un
pianeta del sistema solare che ruota attorno al Sole (teoria eliocentrica). Nel 1616 la Congregazione del
Santo Uffizio dichiarò assurde ed eretiche queste affermazioni, perché riteneva che fossero contraddette da
un passo delle Sacre Scritture in cui il profeta Giosuè chiede al Sole di fermarsi. Galilei fu solo ammonito:
doveva abbandonare queste opinioni, ma soprattutto non divulgarle. Tali teorie erano infatti considerate
pericolose perché minacciavano l'autorità della Chiesa, fondata sull'interpretazione della Bibbia. Perciò,
quando nel 1633 pubblicò il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, Galileo fu processato e
condannato. ciò significava che nessuno poteva osare esprimere un'opinione dichiarata falsa dalla Chiesa in
quanto contraria alle Sacre Scritture. L'epilogo non fu sanguinoso, ma non per questo fu meno tragico.
Galileo, già settantenne, accettò di abiurare secondo la formula prescritta e la pena fu commutata
nell'obbligo di risiedere ad Arcetri, presso Firenze, dove lo scienziato trascorse gli ultimi anni della sua vita
(morì nel 1642).
Spinoza e la libertà
Ma proprio nel secolo della Controriforma, caratterizzato da un clima severo e repressivo, si cominciarono a
ridefinire i rapporti tra Stato e Chiesa, tra potere laico e religioso, tra individuo e autorità. In Europa emerse
sempre più forte la tendenza a separare definitivamente la sfera della politica da quella della religione,
indirizzando la vita civile verso una completa laicizzazione. Particolarmente importante in questo senso fu il
contributo del filosofo olandese Baruch Spinoza (1632-1677), che negò alla religione la capacità di spiegare
il senso vero delle cose: questo, a suo parere, poteva essere indagato solo dalla filosofia, mentre i dogmi
della fede conservavano il valore di sostegno all'agire morale. Secondo Spinoza, la religione non poteva
essere anteposta ai valori fondamentali della vita, quali la serenità dell'animo di fronte alle avversità,
l'amore per la ricerca, la coesistenza fra gli uomini e soprattutto la libertà, vero fondamento della dignità
umana e perciò nemica di ogni forma di autoritarismo e di intolleranza. Per il filosofo olandese lo Stato
doveva anzi garantire la libertà di pensiero e di parola, basilare per la conservazione della pace e per la
convivenza civile.
Locke e la tolleranza
Nel Seicento la guerra dei Trent'anni (v. par. 13.2) fu un conflitto di dimensioni europee che perpetrò per
tutta la prima metà del secolo il clima intollerante delle guerre di religione del Cinquecento (v. cap. 1 1),
rappresentandone l'ultima e più spietata espressione. Proprio gli esiti disastrosi della guerra sul continente,
assieme alla ferocia della guerra civile in Inghilterra, resero impellente e improrogabile un serio dibattito
sulla tolleranza religiosa. A John Locke si deve una delle più celebri formulazioni dell'idea di tolleranza,
contenuta nella sua Lettera sulla tolleranza (1689): nessuna autorità può imporre credenze e opinioni che
riguardano la coscienza individuale; perciò, la libertà religiosa deve essere la base per quella ordinata e
pacifica convivenza che è il fine di un buon governo. Locke peraltro contemplava alcune eccezioni: per
esempio, riteneva che la tolleranza dovesse essere negata alle religioni intolleranti, come il cattolicesimo,
che tendeva a invadere il campo civile, ma anche all'ateismo, in quanto causa di instabilità sociale.
Le estreme conseguenze del pensiero razionalista: i deisti, i libertini e l'ateismo
II dibattito sulla tolleranza religiosa sfociò in posizioni ben più radicali di quelle sostenute da Spinoza e da
Locke, che furono espresse da due movimenti: quello dei "deisti” e quello dei " libertini”. II deismo (dal
latino deus, "Dio") fu un movimento filosofico razionalista, nato in Inghilterra e diffusosi poi in Francia e
Germania, che, pur riconoscendo l'esistenza di un ente supremo ordinatore dell'universo (Dio), negava ogni
forma di rivelazione storica e perciò rifiutava qualsiasi dogma o autorità religiosa. Per i deisti la ragione era
l'unico elemento in grado di accomunare tutti gli esseri umani per giungere a una "religione naturale" e su
cui basarsi per porre fine ai contrasti sorti fra tutte le religioni rivelate, facendone emergere errori e
assurdità. II libertinismo fu un movimento culturale composito: nato in Italia come corrente di pensiero
incentrata sull'affermazione dell'autonomia morale dell'uomo (come sosteneva ad esempio Machiavelli), si
affermò soprattutto in Francia, dove dette vita a un gruppo di "liberi pensatori" (libertinage érudit) che si
distinsero nella lotta per la difesa della ragione in opposizione, anche politica, all'intolleranza della
Controriforma cattolica. Vi parteciparono filosofi, magistrati, uomini politici, scrittori e poeti fermamente
decisi a lottare contro le religioni rivelate, se non addirittura pronti a una professione di aperto ateismo: un
altro evento, questo, assolutamente nuovo nel pensiero occidentale. Le tesi più radicali del movimento
libertino asserivano infatti che Dio non era mai esistito e che le religioni derivavano esclusivamente dal
timore superstizioso dei popoli e dall'inganno consapevole dei governanti, che usavano la superstizione
come strumento di potere.
RIASSUNTO
Il testo descrive l'epoca del Seicento come un periodo di grande cambiamento culturale e scientifico. In
questo periodo, l'enfasi è stata posta sull'esaltazione della ragione umana e sulla volontà di una conoscenza
che fosse autonoma rispetto alla religione. Questo ha dato il via alla "rivoluzione scientifica" e alla nascita
della "scienza moderna". Cartesio è considerato il padre del "razionalismo" e ha sviluppato un nuovo modo
di criticare la conoscenza, basato sulla ragione. Galileo Galilei e Isaac Newton hanno elaborato metodi di
ricerca scientifica autonomi da dogmi filosofici o religiosi. Nonostante questi sviluppi, il Seicento ha anche
visto persistere tendenze irrazionalistiche, soprattutto tra le masse popolari e negli ambienti meno aperti ai
cambiamenti culturali.

Il testo descrive come il pensiero politico del Seicento ebbe profonde trasformazioni. Si iniziò a porre
l'importante questione dell'autonomia della politica rispetto alla religione, con Nicolò Machiavelli che apriva
la strada già nel Cinquecento. Con la Riforma protestante, il principio del libero esame delle Scritture portò
a nuove prospettive sul ruolo dell'individuo rispetto alle autorità tradizionali, introducendo anche il diritto di
resistenza al sovrano "empio". Jean Bodin elaborò l'idea dell'assolutismo, fondato su "giusti patti" tra il
sovrano e i sudditi. Nel Seicento, si sviluppò una nuova teoria dello Stato e della sovranità, che sosteneva
l'esistenza di un diritto naturale degli individui precedente qualsiasi legge dello Stato. Da queste idee
emerse la dottrina del giusnaturalismo, che portò alla nascita di due teorie politiche contrapposte: da un
lato, l'assolutismo proposto da Thomas Hobbes, basato su un contratto sociale che concedeva tutto il
potere al sovrano; dall'altro, il liberalismo fondato da John Locke, che prevedeva la separazione del potere
legislativo da quello esecutivo e la concessione del potere con delega solo temporanea.

Questo testo descrive la situazione in Europa durante il Seicento, in particolare l'effetto della Controriforma
sulla vita intellettuale e religiosa. La Chiesa cattolica ha cercato di porre fine ai dissidi religiosi causati dalla
Riforma protestante attraverso una dottrina autoritaria e repressiva, controllando gli eretici con
l'Inquisizione e diffondendo una cultura religiosa attraverso l'arte barocca. Questo clima ha portato alla
persecuzione di intellettuali come Giordano Bruno, Tommaso Campanella e Galileo Galilei. Tuttavia, c'era
una tendenza crescente a separare la politica dalla religione e a promuovere la laicizzazione. Il filosofo
Baruch Spinoza sosteneva che la religione non dovrebbe essere messa al di sopra dei valori fondamentali
della vita e che lo Stato dovrebbe garantire la libertà di pensiero e di parola. Questo ha portato a un
dibattito sulla tolleranza religiosa, sostenuta da filosofi come John Locke, che credeva che nessuna autorità
dovesse imporre credenze e opinioni. Questo dibattito ha portato a posizioni sempre più radicali, come
quelle dei deisti e dei libertini, che hanno sostenuto l'ateismo.

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