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CAPITOLO 16

MODELLO DI SOCIETA’ OLANDESE E INGLESE

Sia le Province Unite che erano diventate indipendenti dalla corona spagnola nella
seconda metà del 500 e sia l’Inghilterra, in cui dopo qualche anno di Repubblica era
stata ripristinata la monarchia nella seconda metà del 600 vi era un modello di
organizzazione statale differente rispetto alla maggior parte dei Paesi europei.
Gli elementi in comune a questi due modelli erano:
1. La compartecipazione alle decisioni politiche delle elites locali
2. Il mantenimento degli organi rappresentativi: Assemblea generale per le
Province Unite e Parlamento diviso in due Camere per l’Inghilterra
3. Un forte carattere antidispotico affiancato ad un grado sempre
maggiore di tolleranza
Dopo la morte di Cromwell nel 1660 in Inghilterra venne ripristinata la monarchia con
Carlo II Stuart (successore del re decapitato Carlo I), ma si mantenne la funzione del
Parlamento in una sorta di diarchia che tutelava i diritti dei sudditi attraverso la
divisione del potere tra sovrano e Parlamento.
In entrambi questi modelli di società, accanto a questi organi rappresentativi,
acquistarono importanza figure militari che godevano di ampi poteri:
il Lord protettore in Inghilterra che durante gli anni della Repubblica era stato
Cromwell, uno dei capi dell’esercito del Parlamento
lo Stadhouder e il Gran pensionario nelle Province Unite: il primo quasi sempre
un rappresentante della dinastia degli Orange, il secondo il rappresentante
dell’Olanda, la provincia più importante delle Province Unite.
Entrambi questi Stati erano importanti potenze marittime e commerciali.
Gli olandesi venivano chiamati “brokers”, “mediatori dell’universo” perché
trafficavano dappertutto e non solo prodotti di loro produzione.
La sua fortuna mercantile era legata al fatto che l’Olanda è situata sul delta di tre
grandi fiumi che attraversano gli stati tedeschi, il Belgio e il nord della Francia,
dominando i commerci nel Mar Baltico e Mare del Nord.
CAP 16
MODELLO DI SOCIETÀ INGLESE E OLANDESE
CAPITOLO 17
LA MONARCHIA DI LUIGI XIV DI BORBONE

gi Al potere
Con la morte del cardinale Mazzarino nel 1661, il giovane figlio di Luigi XIII
della dinastia dei Borbone, ovvero Luigi XIV, passato alla storia come
Re Sole, dopo un breve periodo di reggenza, all’età di 23 anni decise di
governare personalmente, attuando un’opera di disintermediazione e mettendo
in atto una politica di accentramento dei poteri nelle mani del sovrano senza
precedenti.
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Innanzitutto, maturò l’idea che la pratica governativa diffusasi dalla metà del 600
che vedeva l’affiancamento al sovrano di un favorito nella gestione del patronage
regio, cioè di un primo ministro in grado di influenzare le decisioni del re, di cui
spesso era il suo alter-ego in versione tirannica, risultava una pratica dannosa per la
stabilità politica della monarchia, ragion per cui, dopo la morte di Mazzarino, non
nominò nessun primo ministro.
Non convocò mai gli Stati generali ed esautorò anche i Parlamenti privandoli del
diritto di rimostranza (era un’istituzione giudiziaria e non rappresentativa, cioè
eletta dal popolo)
Per limitare l’influenza della nobiltà, attuò una politica di integrazione trasformandola
l’aristocrazia in un ceto di servizio, offrendo incarichi nell’esercito, nella marina,
nell’amministrazione al fine di “staccare” i nobili dai loro feudi dove erano
riconosciuti come piccoli sovrani.
Il rafforzamento dell’apparato statale fu affidato ad esponenti del ceto borghese o
della nobiltà minore da cui attinse i funzionari che controllavano a livello locale i
territori e rispondevano direttamente alla corona, i cd “intendenti”.
Nei pressi di Parigi fece costruire la famosa Reggia di Versailles che gli storici
hanno paragonato ad una gabbia dorata in cui il sovrano induceva l’aristocrazia ad
affluire. Tuttavia, secondo l’autore del libro, quella di Luigi XIV non fu una politica
di costrizione, quanto piuttosto del consenso:
i nobili ritenevano un privilegio quello di essere ammessi a corte.
Il modello assolutistico del Re Sole non era un modello pianificato, programmato,
ma, secondo l’autore, era spesso il risultato di contrattazioni con forze che cercavano
di contrastare l’affermazione del potere assoluto del sovrano sinteticamente
racchiuso nella famosa frase: “L’Etait c’est moi”.

Il suo intento era quello di sostituire l’egemonia spagnola sull’Europa, ormai in


declino, con quella francese. Per realizzare questo suo ambizioso progetto si dotò di
un forte esercito, stabile e ben equipaggiato, per il quale investì molte risorse
arrivando a pesare sul bilancio statale anche dell’ 80/85% negli anni di guerra.

LA POLITICA ESPANSIONISTICA

In politica estera, le sue mire espansionistiche erano rivolte ad est con l’obiettivo
di allargare i confini fino al fiume Reno e a nord-est verso i Paesi Bassi spagnoli
(l’attuale Belgio) e le Province Unite.
Come pretesto per scatenare la guerra contro la Spagna, egli rivendica il diritto di
successione al trono asburgico per aver sposato Maria Teresa, figlia di Filippo IV che
era deceduto, mentre al trono era successo il fratellastro della donna, Carlo II. Ebbe
così inizio una “guerra di devoluzione”, con riferimento al diritto di successione
riconosciuto per legge ai figli di primo letto, mentre Carlo II era nato da seconde
nozze di Filippo IV.
Come pretesto per attaccare le Province Unite Luigi XIV si appigliò a delle
controversie di natura commerciale. Nonostante molti anni di guerra, la Spagna
intervenne in aiuto alle Province Unite e, per arrestare l’avanzata delle truppe
francesi, allagò il territorio rompendo delle dighe, salvaguardando così
l’indipendenza di queste province.
Alla fine di questi due conflitti la Francia ottenne piccoli territori: la Franca
Contea, Lille, l’Alsazia e Strasburgo. Inoltre, il re francese favorì la rivolta di
Messina contro gli spagnoli e, successivamente, attaccò Genova.
Ogni volta si generava una reazione delle altre potenze che si coalizzavano contro la
Francia.
Nel 1700 con la morte di Carlo II re di Spagna scoppiò una guerra di successione
per mancanza di eredi diretti e Luigi XIV cercò di imporre il nipote Filippo di
Borbone duca d’Angiò, suscitando ancora una volta una reazione internazionale
antifrancese.

LA POLITICA ECONOMICA

La politica economica di Luigi XIV è una politica di potenza che lo indusse ad


investire grosse risorse nel potenziamento dell’esercito, incidendo pesantemente sul
bilancio statale. Proprio per risanare l’enorme debito pubblico delle casse statali e
razionalizzare il sistema fiscale e tributario, egli affidò la gestione e il controllo delle
finanze al ministro Colbert, un ex collaboratore del ministro Mazzarino.
Colbert che era un sostenitore della teoria mercantilistica, secondo la quale la crescita
economica di un Paese era determinata dalla bilancia degli scambi commerciali,
ovvero quando il valore delle esportazioni superava quello delle importazioni, mise in
atto una politica economica che mirava a ridurre le importazioni, soprattutto di
prodotti di lusso, come arazzi, tessuti pregiati, vetro lavorato, aumentando i dazi
doganali per le merci in ingresso in Francia, riducendoli invece sui prodotti
semilavorati e materie prime che venivano lavorati in Francia e poi riesportati come
prodotti finiti.
I dazi doganali rappresentavano un duplice vantaggio: maggioravano il prezzo
delle merci importate scoraggiandone l’acquisto e costituivano un gettito di
denaro per le casse statali.
Per rendere la Francia autosufficiente dal punto di vista economico, Colbert non si
limitò all’adozione di misure protezionistiche.
Nel settore manifatturiero istituì delle manifatture statali per produrre quelle
merci che la Francia importava a caro prezzo (famosi gli arazzi e tappeti pregiati di
Gobelin o i vetri di qualità di Saint Gobain).
Inoltre, egli ambiva a portare la produzione manifatturiera francese a livelli di
eccellenza in Europa, motivo per il quale impose rigidi regolamenti per garantire la
qualità dei prodotti e a tal fine nominò degli Ufficiali regi incaricati di controllare le
fasi di lavorazione e denunciare eventuali inosservanze delle norme vigenti. Tuttavia,
questi regolamenti erano così restrittivi che portarono alla chiusura di molte aziende
manifatturiere.
Nel settore navale e mercantile, Colbert rafforzò le flotte francesi per essere in
grado di competere con quelle inglesi e olandesi.
Anche la Francia istituì la Compagnia delle Indie orientali e occidentali, ma a
differenza delle compagnie europee concorrenti, quelle francesi erano sotto il
controllo statale.

LA POLITICA RELIGIOSA

La politica religiosa di Luigi XIV parte da un principio: la totale identificazione tra


potere politico e potere religioso, motivo per cui egli si pone come Capo della chiesa
francese, promuovendo una Chiesa autonoma da Roma: con la nomina dei vescovi,
esautorò completamente il pontefice.
Ma fu con la convocazione del sinodo gallicano del 1681 e l’approvazione
nell’anno successivo della Dichiarazione dei 4 articoli che fu stabilito la
non subordinazione del sovrano e dei governanti laici all’autorità ecclesiastica negli
affari temporali.
Per garantirsi comunque il sostegno della Chiesa cattolica, piuttosto indispettita dalla
politica religiosa del Re Sole, egli conduce una politica antiprotestante nei confronti
degli ugonotti. Con l’Editto di Fontainebleau del 1685 venne revocato l’Editto
di Nantes con cui a fine 500 Enrico IV aveva messo fine alle guerre di religione
concedendo libertà di culto agli ugonotti.
Vennero emanate una serie di leggi che escludevano gli ugonotti dagli uffici
pubblici. Gli edifici di culto degli ugonotti vennero distrutti e tutti i culti protestanti
vietati.
Circa 200.000 ugonotti fuggirono in Olanda, Svizzera, Germania, Inghilterra.
Questa fuga si tradusse nella perdita di abili artigiani e professionisti, il che andò ad
aggravare ulteriormente la situazione economica già compromessa della Francia
messa in ginocchio dalla politica di potenza del Re Sole.
Nell’intento di riaffermare l’ortodossia cattolica, Luigi XIV iniziò un’azione
repressiva anche nei confronti del movimento religioso francese del gianseismo
che, in realtà, non era un movimento eretico, anche se fu proclamato tale dal papa a
inizi 600: esso si basava su una forma di spiritualità austera e personale, anti-
gerarchica, influenzata dalla letture di Sant’Agostino e invocava il ritorno ad un
cattolicesimo più puro, quello delle origini.

LA PRUSSIA E LA RUSSIA

Il modello assolutistico francese venne presto imitato da altri sovrani, in


particolare dai sovrani di Prussia e Russia.
In Prussia il re Federico I cercò di coinvolgere la forte nobiltà terriera dei Junker
nell’organizzazione dell’esercito con funzioni di comando e nell’apparato statale
per la gestione e il controllo dei territori. Dunque, una nobiltà che anche qui venne
trasformata in ceto di servizio, sull’esempio del modello francese.
In Russia avvenne lo stesso: dopo decenni di conflitti tra pretendenti al trono, salì la
dinastia dei Romanov con lo zar Pietro I il Grande.
Si racconta che da giovane sia andato in Francia per studiare da vicino la società
francese: anche lui potenziò l’esercito e soprattutto la marina; cercò con scarso
successo di coinvolgere la nobiltà nell’organizzazione dell’esercito e nell’apparato
statale.
Sottomise la Chiesa ortodossa governata dal patriarca.
Nel suo intento di portare la Russia verso gli Stati europei spostò la capitale da
Mosca a Pietroburgo, una nuova città affacciata sul Mar Baltico fondata a inizi 700.

CAPITOLO 18
SECONDA RIVOLUZIONE INGLESE O GLORIOSA RIVOLUZIONE
CAP 17
LA MONARCHIA DI LUIGI XIV DI BORBONE

La politica espansionistica e

La politica economica
La politica religiosa

La Russia e la Prussia
(1688/89)

La Seconda rivoluzione inglese è anche definita dagli storici Gloriosa Rivoluzione in


virtù del fatto che il passaggio dinastico che si realizzò negli anni Ottanta del 600
quando la dinastia Stuart del re Giacomo II fu sostituita dalla dinastia d’Orange di
Guglielmo III e sua moglie Maria II Stuart, avvenne senza spargimenti di sangue, ma
in modo consensuale e non violento.
Questo cambio dinastico pacifico segnò l’inizio di una nuova forma di monarchia,
la monarchia parlamentare in cui sostanzialmente il sovrano regna ma non
governa, poiché di fatto al Parlamento vennero riconosciute delle prerogative che
limitavano fortemente l’autorità del sovrano: si abbandonò dunque l’idea di un
potere assolutistico e di una sovranità legittimata per volontà divina.
Dopo la morte del Lord Protettore Cromwell nel 1660 e il suo fallito
tentativo di rendere la sua carica ereditaria a favore del figlio, tentativo che trovò
l’opposizione del Parlamento, si pose fine alla Repubblica e venne ripristinata la
monarchia con Carlo II Stuart.
Con Carlo II ripresero le ostilità tra il Parlamento e il sovrano, ancora una volta
per questioni politiche che si intrecciavano a questioni religiose.
Nel 1673 il Parlamento approvò il Test Act con cui si escludeva la
partecipazione dei cattolici alle cariche pubbliche, civili e militari e, qualche anno
dopo, il divieto di sedere a uno dei due rami del Parlamento (i cattolici erano
considerati la lungamanus degli spagnoli e del Papa).
Lo stesso Papa non nutriva molta fiducia nel re Carlo II, tant’è che chiese il
mantenimento delle garanzie di libertà personale e della norma che vietava gli
arresti arbitrari (ammessi al tempo di Carlo I quando gli avversari politici venivano
giustiziati senza processo).
Nel 1685 alla morte di Carlo II gli succedette il fratello Giacomo II.
Egli era cattolico, per cui abolì il Test Act che limitava la partecipazione dei
cattolici alla vita pubblica, ma dal momento che il Parlamento si rifiutò di ratificare
la sua decisione, Giacomo II decise per il suo scioglimento (non si limitò a
sospenderlo).
I rappresentanti del Parlamento, nonostante le divisioni interne tra Whig e Tory (
rispettivamente tra la parte più dinamica formata dagli esponenti del commercio e
quella più conservatrice formata dall’aristocrazia fondiaria),furono concordi nel
chiedere l’aiuto dello stadholder d’Olanda,

Guglielmo III d’Orange, capo militare delle Province Unite, protestante, il quale
aveva sposato una Stuart, Maria II figlia del re Giacomo, protestante anche lei a
differenza di suo padre.
Il re Giacomo fuggì in Francia mentre il popolo accolse positivamente
Guglielmo e Maria che furono proclamati a pieno titolo sovrani d’Inghilterra, dal
momento che secondo il Parlamento il re aveva violato la Costituzione inglese
fuggendo, infrangendo il patto originario tra il sovrano e il popolo.
Tra il 1688/89 i nuovi sovrani sottoscrissero la Dichiarazione dei Diritti, il
cd Bill of Rights che sanciva i diritti e le prerogative del Parlamento inglese che si
dichiarava organo rappresentativo della nazione, detentore del potere legislativo,
compreso il diritto di imporre tasse, nonché di vigilare sul comportamento del re che
manteneva il diritto di veto sulle leggi votate dalle Camere. Venne garantita la libertà
di parola, di stampa, di culto.
I due nuovi sovrani non ebbero eredi e dal momento che l’Act of Settlement del
1701 approvato dal Parlamento impediva la successione dinastica ai cattolici, fu
designato come erede al trono l’altra figlia di Giacomo II, Anna Stuart, anche lei
protestante e, dopo di lei, la cugina Sofia sposata con il principe tedesco Giorgio I di
Hannover.

Alla morte di Anna Stuart iniziò dunque la dinastia tedesca degli Hannover: il nuovo
re Giorgio I dovette sedare una rivolta in Scozia che voleva separarsi dall’Inghilterra
dopo che nel 1707 con L’Union Act c’era stata l’unione anglo-scozzese con la
nascita della Gran Bretagna.
Egli delegò ampi poteri al Governo composto da ministri scelti nelle fila dei Whig
che iniziarono una lunga egemonia nel Parlamento inglese.
Nasce la figura del moderno primo ministro, quasi sempre il capo della
maggioranza parlamentare, non più solo uomo di fiducia del sovrano.
Il Governo diventò gradualmente un’istituzione autonoma dalla corona che doveva
godere della fiducia del Parlamento, quest’ultimo in carica non più per 3 anni, bensì
per 7 anni.
Al sovrano di fatto rimanevano le decisioni in materia di politica estera e il ruolo
di garante delle istituzioni e simbolo dell’identità nazionale.
Per quanto riguarda il diritto di voto esso era assai ristretto dal momento che era su
base censitaria, cioè solo chi possedeva un certo reddito aveva il diritto di votare.
Inoltre, non c’era alcun criterio di proporzionalità tra il numero degli elettori e quello
dei deputati.

In questo contesto si formò la base della moderna dialettica parlamentare


caratterizzata dalla prevalenza di uno dei due schieramenti parlamentari, il ruolo di
opposizione della minoranza che esercita una funzione di controllo e l’accettazione
da parte di tutti di quelle che sono le regole del gioco.
CAP. 18
SECONDA RIVOLUZIONE INGLESE

(1688/89)
Il fascino del modello inglese
IL FASCINO DEL MODELLO INGLESE

Agli occhi dell’opinione pubblica l’assetto istituzionale inglese era un modello


ammirato poiché con la divisione dei poteri (legislativo-esecutivo-giudiziario) e il
sistema parlamentare bicamerale scongiurava il rischio di tendenze assolutistiche. Si
parla addirittura di “anglomania”.
Secondo lo studioso Locke lo Stato assolutistico proposto da Hobbes
doveva arrestarsi di fronte ai diritti “incomprimibili” dell’individuo (libertà di
pensiero, di stampa, di culto) e, anzi, lo Stato doveva esserne il garante.
Anche la religione non sfuggì ad una riflessione razionalistica che portò a nuove
tendenze come quella del deismo che si opponeva all’idea di una religione rivelata,
imposta dall’alto, a favore dell’idea di una religione naturale, basata sulla ragione.
Cominciò a farsi sentire il peso dell’opinione pubblica in modo indiretto
attraverso le “gazzette”, i libri, i giornali. La discussione politica avveniva
anche nei luoghi informali, nei salotti e nei cafè, in sedi non pubbliche.
E’ in questo contesto che nacquero le società segrete come quella della
Massoneria nata proprio in Inghilterra nel 1717 e ampiamente diffusasi nel corso
del 700.
Essa richiamava le associazioni di mestiere, caratterizzata da una gerarchia interna,
da rituali che richiedevano pratiche di iniziazione, dalla segretezza organizzativa e
da un sapere esoterico rivolto a pochi eletti; ispirata dall’idea di pace, di fratellanza
universale e di tolleranza religiosa, rifiutava le discriminazioni basate sul privilegio
di nascita

CAPITOLO 19
GUERRE DI SUCCESSIONE
IL GIOCO DELLE DINASTIE: I NUOVI ASSETTI EUROPEI
NELLA PRIMA META’ DEL 700

Il 1700 si apre con una serie di conflitti che non hanno alla base una motivazione
religiosa, bensì la necessità di mantenere una condizione di equilibrio tra le diverse
potenze europee. Infatti, ogni qualvolta una potenza europea cerca di accrescere il
proprio potere, le altre intervengono e si coalizzano per ridimensionarlo: da qui il
titolo che l’autore ha scelto per questo capitolo: “il gioco delle dinastie”.
Il Settecento si apre con l’egemonia francese che si sostituisce a quella spagnola,
con l’ascesa di aggressive potenze che vogliono modificare gli equilibri e gli
assetti politico-militari: Inghilterra, Province Unite, ma anche Prussia, Russia,
Svezia che si contendono l’area del Mar Baltico.
Inoltre, un terzo elemento di instabilità politica è rappresentato dal conflitto tra il
principio di legittimità dinastica e una nuova tendenza verso una legittimità
protonazionale, l’idea cioè che un sovrano, anche se non originario dei territori in cui
regna, debba rispettarne le usanze e i costumi.

SUCCESSIONE SPAGNOLA

Il 1° novembre del 1700 muore Carlo II d’Asburgo, da tempo malato. Egli non ha
eredi maschi, motivo per il quale già negli ultimi anni del 1600 vengono siglati
diversi accordi circa la spartizione dell’impero asburgico.
Luigi XIV prepara con abilità la successione borbonica al trono di Spagna del nipote
Filippo d’Angiò e, infatti, poco prima di morire, Carlo II designa lui come proprio
erede, il quale sale al trono prendendo il nome di Filippo V di Spagna, sostenuto
da Francia e Spagna, ma con la clausola di rinunciare all’unione dinastica tra i due
regni.
Si costituisce così un asse franco-spagnolo che minaccia l’intera Europa.
In risposta a questa minaccia, l’imperatore Leopoldo I d’Austria che rivendica il
trono per il figlio, l’arciduca Carlo, organizza la Coalizione dell’Aia (1701) a
cui partecipano l’Inghilterra e le Province Unite e a cui si aggiungono in seguito
anche Prussia, Portogallo, Austria e ducato di Savoia.

Dopo alcuni successi iniziali per l’asse franco-spagnolo, le sorti del conflitto
volgono a sfavore delle truppe francesi; anche la Spagna è impegnata a fronteggiare
una insurrezione in Catalogna che non accetta di riconoscere il sovrano Filippo V
(nipote di Luigi XIV), ma si ribella per sostenere la successione dell’arciduca Carlo
d‘Asburgo.
Anche in Italia gli austriaci hanno la meglio sulla coalizione franco-spagnola,
conquistando Milano e Napoli, mentre la flotta inglese occupa Gibilterra e l’isola di
Minorca e permetterà l’occupazione della Sardegna da parte dell’esercito asburgico.
Ma nel 1711 con la morte del successore al trono di Leopoldo I d’Austria, sale al
trono il figlio minore Carlo che era il pretendente al trono di Spagna e che intanto
diventa imperatore d’Austria con il nome di Carlo VI.
A questo punto cambia radicalmente la situazione perché l’Inghilterra si rende conto
del gran potere che avrebbe avuto Carlo VI se avesse vinto la guerra, e del rischio ben
più grande di vedere unificati i due regni d’Austria e di
Spagna, tanto più che i Tories che hanno l’egemonia parlamentare sono contrari
alla guerra.
A questo punto gli alleati abbandonano Carlo VI, concludendo con i Borbone i
Trattati di Utrecht e di Rastadt (1713-1714) che ridisegnano una nuova mappa
politica europea e segnano la fine dell’egemonia spagnola in Italia e l’inizio di quella
austriaca.
Adesso la dinastia legittima di Spagna è quella dei Borbone, storici nemici della
dinastia degli Asburgo.
- Filippo V di Borbone diventa re di Spagna e delle colonie americane a patto di
non unificare i due regni di Francia e Spagna
- L’Inghilterra, potenza vincitrice, ottiene Gibilterra e Minorca e importanti
territori dell’America settentrionale che con il cd asiento garantiva il
monopolio del commercio degli schiavi nelle colonie d’America
- All’Austria vengono assegnati i territori spagnoli italiani: regno di Napoli, di
Sardegna, Stato di Milano, i Paesi Bassi meridionali
- Ai Savoia la Sicilia, poi ceduta all’Austria in cambio della Sardegna
Pochi anni dopo ci sarà il tentativo da parte della Spagna di riconquistare i territori
che aveva perso nell’Italia meridionale, un tentativo destinato a fallire e che
obbligherà la Spagna a capitolare e a firmare la pace dell’Aia del 1720.

UNIONE E CONQUISTE:
IL CASO DELLA CATALOGNA E DELL’INGHILTERRA

Negli anni della guerra di successione spagnola, continua la rivolta in Catalogna che
aveva sognato con l’arciduca Carlo di riconquistare la sua indipendenza dalla Spagna.
Intanto, Filippo V avvia il processo di unificazione delle due corone di Castiglia e di
Aragona.
Negli stessi anni in Inghilterra la regina Anna Stuart, secondogenita di Giacomo II,
avvia un processo di unificazione delle corone di Inghilterra e Scozia sotto un
unico regno chiamato Gran Bretagna (1707), una unificazione già vagheggiata a
inizi 600 da Giacomo I. La regina dovrà fronteggiare ben due rivolte scozzesi nel
giro di trent’anni durante le quali si formerà una identità del popolo scozzese
separata da quella inglese.
Analoghi episodi di ribellione si verificheranno anche in Irlanda dove, sulla scia delle
rivolte scozzesi, matura una prima consapevolezza protonazionale.
LE GUERRE DEL NORD

Agli inizi del 700, negli stessi anni in cui si combatteva la guerra di successione
spagnola, inizia la lotta tra le potenze europee per il controllo del Mar Baltico e
dell’Europa nord-orientale, importante snodo dei traffici commerciali che dalla
metà del 600 è sotto l’egemonia svedese.
Contro di essa si coalizzano lo zar di Russia, Pietro il Grande, la Danimarca e la
Polonia e inizia così la seconda Guerra del Nord a inizi Settecento che vedrà la
graduale affermazione della Russia.
Le truppe svedesi, dopo la pace ottenuta con la Danimarca e l’invasione della
Polonia, tentano di penetrare nelle pianure russe, ma vengono sconfitte anche a causa
del rigido inverno russo e di un’abile strategia militare
adottata dai russi che bruciano il cammino davanti all’esercito invasore, il quale
non ha così la possibilità di procurarsi il necessario per la sopravvivenza.
La Svezia sarà costretta a cedere i suoi territori tedeschi e polacchi alla Prussia e
alla Danimarca e a riconoscere le conquiste territoriali russe sul Mar Baltico.
La Svezia perde così il controllo sull’area del Baltico mentre la Russia entra a far
parte a pieno titolo delle potenze europee.

GUERRA DI SUCCESSIONE POLACCA


La Polonia è una monarchia elettiva e non ereditaria caratterizzata da
un’estrema situazione di instabilità polacca che genera una guerra di
successione alla morte del re Augusto II di Sassonia nel 1733.
I due contendenti al trono polacco sono:
- Augusto III, figlio del defunto sovrano Augusto II, sostenuto dall’Impero
asburgico e dalla Russia
- Stanislao Lezynski, nobile polacco, suocero del re francese Luigi XV ( ha
sposato sua figlia) successore del Re Sole che è appoggiato dalla Francia
Scoppia la guerra di successione polacca in cui i Borbone di Francia e di Spagna
stringono il “patto di famiglia” e si coalizzano contro gli Asburgo.
Con la Pace di Vienna del 1738 termina la guerra di successione polacca:
- il trono polacco viene assegnato a Augusto III
- a Stanislao viene assegnata la Lorena, ma a condizione che alla sua morte il
territorio passi alla figlia e quindi alla corona francese.
CAP 19
Guerre di successione

Successione spagnola

Unione e conquiste: Catalogna e Inghilterra


Le guerre del nord
. allo spodestato Francesco di Lorena (genero di Carlo VI) viene assegnato il
Granducato di Toscana
- a Carlo di Borbone il Regno di Napoli e di Sicilia
- Milano resta austriaca.

GUERRA DI SUCCESSIONE AUSTRIACA

Dopo due anni dalla Pace di Vienna del 1738 con cui si pose fine alla guerra di
successione polacca, scoppia nel 1740 la guerra di successione austrica
poiché l’imperatore Carlo VI d’Asburgo muore senza eredi maschi. Egli aveva
designato come erede al trono il genero Francesco di Lorena, marito della figlia
Maria Teresa, ma in punto di morte fa modificare le leggi di successione in vigore in
Austria per consentire la successione diretta al trono dei domini asburgici (Austria,
Boemia e Ungheria) della figlia, emanando un editto dalla dubbia legittimità noto
come Prammatica sanzione del 1713.
Alla sua morte i sovrani di Baviera e di Sassonia non riconoscono la
legittimità di tale editto e avanzano pretese sui territori austriaci con
l’appoggio della Francia, Spagna, Prussia e Regno di Sardegna.
La Prussia occupa la Slesia, mentre le truppe francesi invadono la Boemia. Maria
Teresa prende in mano la situazione e cerca di dividere la coalizione avversaria,
trattando la pace con il sovrano di Prussia a cui concede la Slesia, ricca regione
mineraria.
Inoltre, con un’abile manovra politica, si assicura l’appoggio della Gran
Bretagna, delle Province Unite e del Regno di Sardegna.
Con la Pace di Aquisgrana del 1748 si pone fine alla guerra di successione
austrica con cui:

- l’Austria cede la Slesia alla Prussia e assegna al secondogenito di


Filippo V di Spagna il Ducato di Parma e Piacenza
- a Maria Teresa viene riconosciuta la successione ai domini asburgici e il titolo
di imperatore per suo marito Francesco di Lorena.

CAPITOLO 20
ESPANSIONE EUROPEA E LE NUOVE GERARCHIE ECONOMICHE
INTERNAZIONALI

Nella seconda metà del 600 i primi imperi coloniali, quelli del Portogallo e della
Spagna, devono confrontarsi con la concorrenza di nuove potenze che si affacciano
sullo scenario dei traffici con l’Asia, l’Africa e l’America: Province Unite, Francia e
Inghilterra, oltre a farsi concorrenza, cercano infatti di scardinare il monopolio
esercitato da Spagna e Portogallo nei loro imperi coloniali.

I CAMBIAMENTI NEGLI IMPERI COLONIALI DEL PORTOGALLO


Nella seconda metà del 600 il Portogallo conclude un’alleanza politica ed
economica con l’Inghilterra a cui cede l’importante base indiana di Bombay, ma
in compenso sul versante atlantico, il Portogallo acquisisce le basi di Angola e
riprende il controllo del Brasile dove viene fondata la Compagnia generale del
commercio del Brasile e dove la coltivazione della canna da zucchero, importata
nel secolo prima dalle Azzorre, diventa l’attività principale.
Per lavorare nelle piantagioni del Brasile la manodopera indigena è insufficiente per
cui si importano schiavi dall’Africa, in particolare dalla colonia portoghese
dell’Angola. Inoltre, gli schiavi africani vengono sfruttati anche nelle miniere per
estrarre oro e diamanti.
Lo sfruttamento di questi ricchi giacimenti ha due conseguenze importanti: il
decollo della città di Rio de Janeiro e un afflusso di coloni in Brasile che alla fine
del 700 sarà pari al numero di portoghesi residenti nella madrepatria.
Inoltre, grazie all’oro, il Brasile è in grado di acquistare merci europee,
soprattutto manufatti tessili inglesi.

I CAMBIAMENTI NEGLI IMPERI COLONIALI SPAGNOLI


L’Impero coloniale spagnolo si concentra soprattutto nell’America centrale e
meridionale.
Esso incontra difficoltà nella gestione dei traffici con le colonie:
- innanzitutto per le grandi distanze che le navi a vela spagnole devono percorre
salpando dal porto di Siviglia – poi di Cadice – per raggiungere il Nuovo
Mondo, spesso attaccate da corsari e da nemici inglesi e olandesi.
- in secondo luogo, la Spagna non è in grado di produrre i manufatti di cui fanno
domanda le colonie, per cui è costretta ad acquistarli da altri paesi europei,
pagandoli con l’argento americano.
- inoltre, tra 600 e 700 si sviluppa un’intensa attività di contrabbando dei
mercanti olandesi, francesi e soprattutto inglesi nelle colonie americane
spagnole.
- A tutte queste difficoltà, si aggiunge la perdita dell’asiento, una sorta di
appalto con relativo monopolio del commercio degli schiavi nelle colonie
spagnole che passa all’Inghilterra.
Poco a poco, le colonie americane spagnole, così come quelle portoghesi,
diventano colonie commerciali inglesi.

LA GRAN BRETAGNA E LA FRANCIA


Nel corso del 700 l’Inghilterra diventa poco a poco la prima potenza commerciale del
globo detenendo il monopolio mondiale dei traffici marittimi.
Anche la Francia, sua diretta rivale, registra una notevole crescita dei traffici
commerciali legati soprattutto alle piantagioni di zucchero delle colonie francesi
delle Antille e all’importazione di pellicce, pesce, legname dalle colonie canadesi.
In Gran Bretagna sotto il governo di William Pitt si abbandona la linea politica
improntata alla prudenza e si attua una linea di governo orientata all’espansione dei
possedimenti coloniali che porterà a metà 600 alla Guerra dei 7 anni combattuta da
un lato da Prussia e Inghilterra (che saranno le due potenze vincitrici) e dall’altro
dalla Francia alleata con Austria, Russia e Svezia.
All’origine del conflitto due questioni politico-diplomatiche: la rivalità tra
Francia e Spagna che si contendono l’egemonia in India e nelle colonie
americane e quella tra Prussia e l’Austria per il possesso della Slesia, occupata
dalla Prussia durante la guerra di successione austriaca.

Il conflitto termina con la Pace di Parigi del 1763 con cui l’Inghilterra ottiene dai
francesi il Canada e la colonia di New Orleans e dagli spagnoli che erano alleati dei
francesi ottiene la Florida, mentre la Prussia conquista la Slesia.
Il commercio degli schiavi rappresenta un entroito molto vantaggioso, nonché una
delle direttrici del cd “commercio triangolare” tra Europa, Africa e America: basti
pensare che tra il 1700 e il 1800 vengono comprati e venduti come schiavi in
America oltre 6 milioni di africani!
Solo nel 1808 il Parlamento di Londra decreterà l’abolizione della tratta degli
schiavi nelle colonie britanniche.

NUOVI COMMERCI CON L’ASIA


Nel corso del 700 si registrano importanti cambiamenti anche nei rapporti
commerciali tra le compagnie europee e i mercati asiatici.
In conseguenza della crescita demografica nel Nuovo Mondo, dovuta anche
all’arrivo di emigrati europei e schiavi, cresce la domanda di manufatti che devono
essere importati anche perché le madrepatria non hanno alcun interesse ad
incoraggiare il nascere di attività produttive nelle colonie.
Cambiano i traffici tra Europa e Asia: si riduce il volume dei traffici delle spezie e
aumenta quello dei manufatti tessili, in particolare cotone e lino di provenienza
indiana e seta di provenienza cinese.
Cresce quindi la domanda di prodotti di bassa qualità e questo stimola
l’Inghilterra a produrre manufatti di qualità inferiore per cui cresce
l’importazione di cotone grezzo che rappresenta la materia prima della
nascente industria cotoniera.
Nel corso del 700 c’è un altro prodotto che gli inglesi introducono in Europa, il quale
incontra un grande successo: il tè cinese. Poiché l’unica moneta di scambio
accettata in Cina è l’argento, per evitare la continua emorragia di argento europeo
verso l’Asia, si comincia a pagare il tè mediante il contrabbando dell’oppio, merce
proibita e assai richiesta sul mercato cinese, così che la compagnia inglese inizia a
produrre nel Bengala, assicurandosi in tal modo il controllo del lucroso commercio
del tè cinese.
Calcutta diventa la base commerciale della compagnia inglese e l’Agenzia di
Calcutta (EIC) fondata a fine 600, che controllava l’esportazione dei manufatti di
cotone, esercita un’influenza sempre maggiore nella politica indiana e
nell’amministrazione locale, al fine di tutelare meglio i propri interessi economici.

Nel 1773 il Parlamento inglese approva la nomina del primo governatore generale
del Bengala creando le basi del dominio coloniale inglese.

IL RUOLO DEL MEDITERRANEO


CAP 20

I cambiamenti negli imperi coloniali del Portogallo

I cambiamenti negli imperi coloniali spagnoli

La Gran Bretagna e la Francia


Nel 700 le flotte olandesi, francesi e inglesi dominano anche i traffici nel bacino del
Mediterraneo vendendo prodotti coloniali come zucchero, caffè, o prodotti propri
come grano, pesce, bestiame, tessuti, metalli. In cambio, i paesi mediterranei
esportano uva passa, frutta secca, vino e olio.
Per la penisola italiana che vive nel 700 una fase di notevole declino, una voce
importante nella bilancia commerciale è la seta grezza e il filo di seta, grazie alla
diffusione a fine 600 della coltivazione del gelso nelle campagne italiane
(gelsibachicoltura).

CAPITOLO 21
VITA URBANA E MONDO RURALE
ECONOMIA E SOCIETA’ TRA 600 E 700

A partire dall’ultimo decennio del 500 si registra un peggioramento delle


condizioni di vita della maggior parte delle popolazioni europee.
L’incremento demografico aveva portato ad un aumento dell’offerta di manodopera
e, di conseguenza, ad una riduzione dei salari agricoli, mentre erano cresciuti i fitti
e i redditi dei grandi proprietari terrieri che a seguito dell’aumento della domanda
di prodotti agricoli avevano esteso le terre coltivate, pagando bassi salari ai
braccianti agricoli.
Un altro fenomeno che aveva accentuato il divario sociale è stato la progressiva
eliminazione della piccola proprietà contadina, in conseguenza di debiti o di una
graduale parcellizzazione della proprietà di una singola famiglia di contadini tra gli
eredi (l’autore usa il termine “polverizzazione della proprietà” per indicare
appunto i numerosi piccoli poderi che non garantivano nemmeno il fabbisogno
minimo alimentare del nucleo familiare).
Dalla metà del 600 la storia delle campagne e, più in generale, dell’economia
europea si evolve in maniera differenziata a seconda delle aree geografiche, tanto che
l’autore parla di un continente, quello europeo, che corre a due velocità differenti.
In Francia, Spagna e Italia meridionale le esportazioni di prodotti agricoli all’inizio
del 700 sono rese possibili grazie all’estensione delle terre coltivate e alla stagnazione
demografica. In particolare, nel Mezzogiorno si pratica quasi esclusivamente
cerealicoltura estensiva e olivicoltura e ancora si usa il maggese.
Invece, in Catalogna e nell’Italia settentrionale, grazie alla maggiore disponibilità
di acqua e a opere di canalizzazione, si praticano colture intensive, si fanno
investimenti fondiari, si introducono nuove colture, oltre a vigneti e alberi da frutto,
quali il mais; si usa la rotazione continua e si integrano agricoltura e allevamento.
In Russia non si registra nessun processo tecnico, si continua a praticare
un’agricoltura estensiva con tecniche arretrate e la maggiore produttività è legata
semplicemente ad un maggiore sfruttamento della manodopera servile.

Nelle Province Unite il maggese viene abolito e vengono introdotte le piante


foraggiere (erba medica, trifoglio, la rapa, alcune piante leguminose) che
arricchiscono il terreno di azoto e, al contempo, garantiscono la presenza stabile di
bestiame di fondo e quindi la disponibilità tutto l’anno di un concime naturale,
secondo un sistema misto che instaura una sorta di circolo virtuoso. Tuttavia, i
rendimenti agricoli delle Province Unite non sono paragonabili a quelli raggiunti
nell’agricoltura inglese.

RIVOLUZIONE AGRICOLA IN INGHILTERRA: LE “ENCLOSURES”


Anche l’Inghilterra, sull’esempio delle Province Unite, abolisce il maggese e punta
anch’essa sull’introduzione di piante foraggiere secondo il sistema agricolo definito
“Sistema Norfolk”, il quale prevede che il terreno venga diviso in 4 parti in cui si
alternano le colture di: grano, orzo, trifoglio e rapa, le quali, una volta falciate
diventano fieno per il bestiame. La presenza di quest’ultimo, oltre a garantire il
concime naturale, fornisce anche carne e latte. Questa stretta relazione tra agricoltura
e allevamento è noto come “mixed farming” che instaura un circolo virtuoso che
alcuni studiosi hanno definito “rivoluzione agricola”. Talvolta, nella rotazione
quadriennale si introducono anche le cd piante “industriali” come il lino, usato come
materia prima nelle manifatture tessili, o la colza, usato per l’illuminazione.
Il motivo per cui queste nuove tecniche agricole hanno attecchito meglio e più
rapidamente in Inghilterra va ricercato anche nelle più favorevoli condizioni socio-
economiche.
Accanto a queste innovazioni agricole, cambiano infatti le forme di gestione della
terra: nelle campagne inglesi è in atto un processo di enclosures, cioè la
realizzazione di recinzioni o muretti dei terreni, sui quali magari prima gravavano
diritti collettivi. Il processo di enclosures degli open fields, spesso concesso dal
Parlamento su richiesta dei proprietari terrieri, suscita il malcontento delle comunità
rurali inglesi, dal momento che l’uso collettivo dei terreni costituiva anche una forma
di integrazione del reddito, determinando così un peggioramento delle condizioni di
vita dei ceti marginali.
Nel 700 si diffondono anche miglioramenti tecnici negli attrezzi con l’introduzione ad
esempio di un aratro più leggero e maneggevole, a cui fa seguito uno interamente
costruito in ferro; invenzioni come la seminatrice e la mietitrice.
Tutte queste condizioni consentiranno all’Inghilterra di esportare cereali nel resto
d’Europa.

LE NUOVE COLTURE: IL MUTAMENTO DELLE ABITUDINI ALIMENTARI

Il mutamento delle abitudini alimentari europee è un fenomeno legato a una lenta


trasformazione che caratterizza la produzione agricola europea in un arco di tempo
piuttosto lungo che va dalla fine del 600/ inizi 700 fino a 800 inoltrato.
Nel corso del 700 si diffondono colture provenienti dall’America come mais (o
granturco), patata, peperone, zucchina, fagiolo...
Partendo dalla penisola iberica, il mais conosce una rapida diffusione grazie al suo
alto rendimento per unità di superficie rispetto al grano, costando la metà o anche
meno di quest’ultimo: durante il 700 e 800 diventa la base alimentare per buona parte
della popolazione contadina sotto forma di pane o di polenta.
Più lenta è la diffusione della patata, originaria del Sud America, un tubero
altamente calorico con un rendimento assai maggiore rispetto al grano che all’inizio
suscita diffidenza da parte degli europei che temono possa causare malattie e
inizialmente viene usata come alimento per gli animali. Entrerà nell’alimentazione
umana nella seconda metà del 700 nei Paesi Bassi, Inghilterra, Irlanda poi durante
l’800 nel resto d’Europa.
Accanto a queste nuove colture che modificano la dieta alimentare, nel corso del 700
si diffondono in Europa prodotti coloniali che migliorano il tono dell’organismo e lo
sostengono nelle faticose attività lavorative: oltre al tabacco, bevande come cacao,
caffè e tè vengono consumate dai ceti più agiati, mentre tra i ceti meno abbienti
cresce il consumo di bevande alcoliche come rum, gin, vodka e birra.
Cresce anche il consumo di prodotti già presenti in Europa come burro, olio, carne,
anche pesce, soprattutto di aringhe e merluzzo, pescato nell’Oceano Atlantico
settentrionale. Il merluzzo comincia ad essere essiccato o messo sotto sale come
baccalà o stoccafisso e consumato anche dai ceti più poveri.

LA PRODUZIONE MANIFATTURIERA

La produzione manifatturiera si distingue in tre diverse tipologie: industria


domestica, industria artigianale e quella accentrata.
L’industria domestica produce manufatti, soprattutto tessili, destinati
all’autoconsumo, anche come forma di scambio o finalizzato alla dote.
L’industria artigianale che è la più diffusa avviene nelle botteghe ad opera di
CAP 21

Rivoluzione agricola in Inghilterra


Le nuove colture
operai specializzati e dai loro aiutanti apprendisti i cui prodotti sono destinati alla
vendita sul mercato.
Una variante è l’industria a domicilio, prima forma evolutiva dell’attività produttiva
artigianale, in cui la lavorazione del prodotto viene affidata dall’imprenditore a una
famiglia contadina che viene pagata ad esempio per lavorare la lana grezza. A
differenza del Medioevo in cui l’industria a domicilio era prevalentemente urbana, tra
600 e 700 diventa attività svolta nelle aree rurali nei tempi morti del calendario
agricolo.
Le fasi di preparazione della lana grezza prevedono:
filatura, tessitura, rifinitura, tintura
Le fasi di lavorazione prevedono:
la cardatura (la lana viene pulita e pettinata)
la filatura (solitamente affidata a domicilio a donne)
la tessitura (affidata sempre a domicilio a tessitori)
la tintura (che si svolge nelle botteghe artigiane specializzate)
Infine, il prodotto finito viene depositato presso il magazzino del mercante-
imprenditore in attesa di essere venduto.
Nelle Fiandre e in Boemia si può parlare di protoindustrializzazione dal momento
che tra 600 e 700 ¾ degli abitanti delle campagne si dedicano ad attività
industriali: i lavoratori si preparano in qualche modo all’attività manifatturiera e
alla rivoluzione industriale ottocentesca.
La produzione così decentralizzata con lavoratori spesso part-time comporta dei
costi per l’imprenditore-mercante quando essa inizia ad allargarsi, per cui spesso è
spinto ad attuare un accentramento produttivo.
L’industria accentrata, meno diffusa, che precede la vera e propria industria, è
quella in cui la manodopera salariata lavora in un solo luogo sotto un’unica direzione
(ad es. cantieri edili o navali). Spesso è il potere politico a promuovere le manifatture
accentrate come nell’Arsenale di Venezia in cui sono occupati ben 2000 lavoratori.

CAPITOLO 22
FAMIGLIA, GENERE, INDIVIDUO

La famiglia rappresenta la prima area di socialità dell’individuo. Si tratta, tuttavia, di


un termine piuttosto ambiguo, dal momento che può essere inteso in due modi
differenti: per indicare il gruppo di persone che convivono sotto lo stesso tetto o per
indicare l’insieme delle relazioni parentali.
La famiglia è anche il luogo in cui si strutturano le prime differenze fondative per
l’identità individuale, nonché il luogo che riproduce valori gerarchici alla base delle
strutture sociali.
Nella società di Antico Regime la Chiesa cattolica esercitava un notevole
controllo sulla famiglia, mentre nel corso del 700 si registrano alcune importanti
trasformazioni al suo interno.
Le forme di famiglia, intese individui come gruppo di persone coresidenti, sono
varie:
- Famiglia nucleare formata dai genitori e dai figli
- Famiglia allargata se risiede anche uno o più familiari ( es. zio o nipote)
- Famiglia multipla: convivenza di due fratelli con i rispettivi nuclei familiari o
di una coppia con prole che convive con la coppia dei nonni.
A partire dal 700 prevale la famiglia nucleare, anche se, in generale, le famiglie
ricche tendono ad essere più complesse, mentre le famiglie delle classi popolari
più nucleari. Le famiglie comunque mutano nel tempo: una famiglia nucleare può
diventare allargata.
Le famiglie benestanti di solito si mantiene vivo il mito delle origini familiari come
segno di forza e di stabilità per cui si coltivano le relazioni parentali e il matrimonio
è innanzitutto una relazione di alleanza.

IL MATRIMONIO
Nella società di Antico Regime il matrimonio è un sacramento grazie al quale la
Chiesa per secoli ha esercitato una grande influenza sulla vita familiare, imponendo
il modello di matrimonio monogamico, eterosessuale, indissolubile. Inoltre, ha
imposto le nozze esogamiche, cioè contratte al di fuori della sfera dei parenti,
difendendo la libera scelta del proprio partner, anche se tale scelta non incontra il
consenso della famiglia. Tale principio cozzava con la logica familiare tradizionale
che vedeva il matrimonio come un’alleanza parentale, spesso come una strategia per
ottimizzare le risorse familiari attraverso lo scambio delle doti.
La posizione della Chiesa e la logica familiare trova invece un punto in comune
nell’ordine gerarchico e nella divisione di genere dei ruoli sociali che vedono il
dominio maschile, mitigato dalla possibilità della donna di essere soggetto giuridico
positivo.

LA TRANSIZIONE DEMOGRAFICA

L’incremento demografico che si registra nel corso del 700 modifica


inevitabilmente gli assetti familiari europei.
Nel 700 le epidemie sono meno ricorrenti, fino a scomparire progressivamente, in
campo medico si inventa il vaccino contro il vaiolo che costituiva una piaga per la
popolazione infantile.
Si abbassa il tasso di mortalità infantile, si abbassa l’età da matrimonio per cui si
allunga l’età fertile, cresce il numero delle nozze soprattutto nei paesi protestanti
in cui non è più in vigore l’obbligo del celibato per il clero.
Tutte queste condizioni che favoriscono la crescita demografica definiscono la cd
“transizione demografica” che conoscerà più tardi una battuta di arresto, dal
momento che si riduce il tasso di natalità poiché si alza l’età da matrimonio e
soprattutto a causa della diffusione di tecniche anticoncezionali.
Il passaggio da un regime ad alta pressione demografica ad un regime a bassa
pressione demografica si traduce in una maggiore capacità delle famiglie di
accumulare capitali da mettere a disposizione dei membri familiari.
Questa transizione demografica arriverà più tardi nell’Europa meridionale e
orientale dove è alto il tasso di mortalità, mentre la popolazione cresce in misura
maggiore laddove le rese agricole e la produttività sono alte, come in Inghilterra e
nei Paesi Bassi.

INDIVIDUALISMO AFFETTIVO

Nelle trasformazioni che riguardano la vita familiare vi è la tendenza ad


attribuire la scelta del coniuge all’individuo, piuttosto che alle logiche
familiari, posizione avallata anche dalla Chiesa cattolica, tendenza che si
radicalizzerà tra fine 700 e 800.
Nelle aree calviniste l’individuo è visto come un soggetto che ha la responsabilità
morale e materiale delle proprie azioni, una visione che esalta le libertà individuali.
Nell’Inghilterra del 700si sviluppa il romanzo sentimentale, un genere narrativo
che plasma una nuova sensibilità sentimentale, che libera il legame amoroso da ogni
pregiudizio sociale o vincolo, per cui per amore si lotta, si sfidano le convenzioni
sociali e, se necessario, si muore.
Sono le donne le principali fruitrici di questo genere letterario, soprattutto
appartenenti alla gentry, un gruppo sociale ristretto, socialmente influente,
soprattutto borghesi che aspirano ad assumere comportamenti sociali nobiliari.
Si afferma e viene messo in pratica dalla gentry il concetto di privacy, cioè l’idea
di riservatezza assoluta delle libertà familiari.
Si diffondono nuove forme di socialità privata come il riunirsi in club o circoli
dove si consumano le nuove bevande: tè, caffè, cioccolata e in cui le donne sono le
CAP 22

Il matrimonio

La transizione demografica
Individualismo affettivo
protagoniste.

CAPITOLO 23
L’ILLUMINISMO: IL MONDO AL LUME DELLA RAGIONE

Secondo gli autori del libro sarebbe riduttivo definire l’Illuminismo un


movimento culturale che durante il 700 ha coinvolto, sia pure in forme
diverse, tutta l’Europa.
Sarebbe più esatto definirlo come una rottura di una costruzione mentale sino ad
allora dominata dall’autoritarismo, dal dogmatismo religioso, dall‘ignoranza e dalla
superstizione che porta ad un’apertura alla tolleranza, all’indipendenza della morale
dalla religione, incoraggiando il dibattito e la libera ricerca scientifica.
Non è un caso che la nascita di questo movimento culturale sia legata a realtà come
quelle dell’Inghilterra e delle Province Unite in cui vigeva una certa tolleranza
religiosa, in cui si incoraggiavano i dibattiti e la libera ricerca scientifica, nonché la
circolazione di libri e giornali.
E’ da questi due Paesi che provengono infatti i due filoni intellettuali
dell’Illuminismo: il giusnaturalismo e il deismo.
Il giusnaturalismo ha origine dall’idea di un diritto naturale e razionale che è alla
base dei sistemi sociali, Secondo il filosofo Locke, è lo Stato l’istituzione sociale che
garantisce i diritti naturali dell’uomo. Pertanto, esso rappresenta una critica al
fondamento biblico che fa discendere l’autorità politica da una volontà divina.
Il deismo si oppone al concetto di “religione rivelata”, cioè imposta dall’alto, e
afferma l’idea di una religione naturale, etica basata sulla ragione.
Questi due filoni intellettuali che sono fra loro intrecciati affermano
sostanzialmente che la teologia deve essere sostituita dalla filosofia.

LA CRISI DELLA COSCIENZA EUROPEA


Tra la fine del 600 e gli inizi del 700 in Europa si registra un certo fermento
intellettuale.
Lo studioso francese Paul Hazard parla di “crisi della coscienza europea” ad
indicare come, in pochi decenni, una società che si basava essenzialmente sul
principio di autorità politica e religiosa sia stata sostituita da una società fondata sul
diritto, sulla tolleranza, sull’indipendenza della morale dalla religione, sulla libera
ricerca scientifica.
Si afferma il filone intellettuale del libertinismo, che teorizza l’assoluta libertà di
pensiero autonomo, la ricerca di una morale scevra da ogni condizionamento
religioso.
Inizia in Francia un dibattito che prende il nome di querelle des anciens et
des modernes in cui, per la prima volta, il mondo antico cede il primato all’età
moderna, riconosciuta come superiore grazie alla forza dei numeri e alle
conoscenze del passato (come un nano sulle spalle di un gigante).
Cambia la visione della storia, non più basata su uno schema ciclico, bensì su una
concezione dinamica progressiva che procede in modo lineare e che conduce al
progresso.

ILLUMINISMO FRANCESE

Il cuore di questo fermento intellettuale è la Francia dove, durante il regno di Luigi


XV si presta grande attenzione alla società inglese.
L’autore del libro cita tra i vari personaggi importanti: il barone di Montesquieu
che nel suo breve trattato Lettere persiane del 1721, attraverso tre personaggi, dei
viaggiatori persiani in visita a Parigi, denuncia le condizioni di arretratezza della
Francia imputate alla mancanza di libertà, di tolleranza, al dogmatismo religioso. Egli
propone, sul modello della monarchia parlamentare inglese, la divisione dei poteri
quale strumento per progredire.
Dopo una decina d’anni l’intellettuale Voltaire pubblicherà le Lettere inglesi che
rafforzeranno questa convinzione nei francesi, ma esse saranno condannate e bruciate
per cui Voltaire avrà problemi con la giustizia, considerato un sobillatore delle masse;
ma ciò non impedirà la loro diffusione in tutta Europa. Ritiratosi in un castello della
Lorena, egli tesserà una fitta rete di relazioni con altri intellettuali europei, conferendo
così all’Illuminismo le caratteristiche di un movimento culturale che si batte per il
progresso civile

attraverso la capacità dell’opinione pubblica di influenzare le scelte dei


governi.
Voltaire diventa consigliere di Federico II di Prussia, ma disilluso si ritira a
Ginevra dove scriverà altre importanti opere.
Con lui la storia si allarga a comprendere fenomeni sociali complessi.

L’ENCYCLOPEDIE
Manifesto del pensiero illuminista l’Encyclopedie costituisce un’impresa senza
precedenti realizzata da un gruppo di intellettuali, i quali raccolgono tutte le
conoscenze del tempo in un’opera stampata composta da 28 volumi, curata da
Diderot e D’Alambert.
Avviata nel 1751 questa ambiziosa opera viene portata a termine circa 20 anni dopo
a causa di problemi con la censura alla revoca dell’autorizzazione regia e alla
condanna del papa.
Una delle caratteristiche principali dell’Encyclopedie è l’atteggiamento di totale
fiducia verso la scienza e le tecniche, poiché si ritiene che solo il pensiero scientifico-
matematico può scoprire le leggi che regolano la natura e la vita. Da qui i progressi
che si registrano nel campo delle scienze naturali, della chimica e della fisica.
La fiducia della ragione si estende anche al mondo umano e si diffondono nuove
concezioni filosofiche quali il sensismo, cioè la tendenza a ricondurre la
conoscenza umana ai dati sensoriali o all’esperienza, e il materialismo, cioè una
visione meccanicistica della natura che esclude il dogmatismo.

LA NATURA COME VINCOLO SOCIALE

La riflessione illuminista riguarda anche i meccanismi che regolano la società e


l’economia.
Secondo gli esponenti dell’utilitarismo, l’uomo agisce sulla base dell’utilità
individuale, un atteggiamento che va valorizzato e indirizzato a beneficio di tutta
la collettività. Il
Anche secondo Adam Smith, fondatore dell’economia politica moderna, l’agire
egoistico dell’individuo apporta benessere collettivo attraverso l’esistenza del
mercato che agisce come una “mano invisibile” che, attraverso il meccanismo della
domanda e dell’offerta, regola e distribuisce la ricchezza.

Secondo la teoria economica della fisiocrazia, è la natura il motore originario


dell’economia, per cui si attribuisce un ruolo preminente all’agricoltura, dal momento
che le lavorazioni per trasformare le merci in manufatti non aggiungono nulla in
termini di valore. Per i sostenitori della fisiocrazia, l’unica leva legittima nelle mani
del governo è quella fiscale, cioè la tassazione della rendita fondiaria anche per i
nobili.
Ci sono altri pensatori che hanno una visione meno ottimistica come Rousseau,
il quale vede nella divisione del lavoro proposta da Smith, una grave forma di
arretratezza, poiché con la proprietà privata l’uomo non vive più in una condizione
secondo natura. Egli auspica invece una repubblica ideale basata su un vincolo
collettivo.
L’Illuminismo apre anche una critica verso pratiche giudiziarie disumane come la
tortura e la pena di morte, riflessione quest’ultima che va attribuita all’opera “Dei
delitti e delle pene” di Cesare Beccaria, secondo il quale la pena non va concepita
come vendetta, bensì come strumento di correzione.

CAPITOLO 24
DISPOTISMO RIFORMATORE

Nella seconda metà del 700 si registra una marcata tendenza dei sovrani a
modificare gli assetti giuridici, politici e socio-economici dei propri regni.
Questa tendenza riformatrice costituisce una novità dal momento che il sovrano è
stato per secoli visto come il difensore degli equilibri stabiliti, colui che esercita una
funzione restaurativa, ma non riformatrice.
Questa innovazione nel ruolo dei sovrani si spiega innanzitutto con la necessità di
migliorare l’efficienza della macchina statale ai fini bellici; considerando che la
guerra si combatteva essenzialmente arruolando truppe mercenarie, la potenza di un
esercito dipendeva direttamente dal prelievo fiscale imposto in un regno. Ma nella
società di Antico Regime per imporre nuove tasse occorre il consenso delle
assemblee rappresentative, motivo per il quale, a partire dalla metà del 600, si
registra la tendenza dei sovrani europei a non convocare queste istituzioni
rappresentative.
Nei domini asburgici, già a partire dal 600 e più compiutamente nel 700, si diffonde
una corrente di pensiero chiamata cameralismo, che consisteva in un’analisi
economica e fiscale finalizzata al miglioramento dell’efficienza dell’apparato
statale.

IL RUOLO CRESCENTE DELL’OPINIONE PUBBLICA

In questa fase di riforma spesso ci si avvale dell’appoggio dell’opinione pubblica


estendendo il dibattito anche a strati sociali che non avevano mai preso parte alla
discussione politica, dal momento che nella società di Antico Regime la politica era
per pochi, limitata alle classi dirigenti.
Diventa inevitabile guardare con attenzione gli esempi stranieri e confrontare le
diverse linee adottate dagli Stati.
Si afferma una nuova figura di consigliere, non necessariamente reclutato
dall’ambiente di corte, ma spesso proveniente dalle file dell’opinione pubblica colta;
si tratta di intellettuali influenti appartenenti a diversi ceti, : funzionari, sacerdoti,
liberi professionisti.

I SOVRANI ILLUMINATI

Furono sovrani illuminati:


- Maria Teresa d’Asburgo, figlia di Carlo VI, e dopo di lei, suo figlio
Giuseppe II
- Federico II di Prussia, detto “Il grande”
- Caterina II, zarina di Russia, detta “La Grande”

LE RIFORME NELL’IMPERO ASBURGICO DI MARIA TERESA

I più importanti interventi di riforma politica, economica e sociali sono realizzati


nell’Impero asburgico sotto il regno di Maria Teresa d’Asburgo, figlia di Carlo
VI, fervente cattolica, dunque distante dalle idee illuministiche, la quale però
aveva ereditato dal padre l’idea che la crescita economica era un fattore
imprescindibile per il potenziamento di uno Stato. Innanzitutto, cerca di migliorare
la macchina statale, rendendo più efficiente il prelievo fiscale che colpirà anche la
nobiltà non più esentata dal pagamento delle tasse. A tal fine, viene introdotto
l’obbligo di registrare le mappature delle proprietà terriere al catasto.
Nell’ambito dell’istruzione essa viene sottratta alla Chiesa e resa obbligatoria,
prevedendo una scuola per ogni parrocchia, ma anche la scuola superiore e
l’università passano sotto il controllo diretto dello Stato.
Le riforme continuano e si accentuano con il figlio Giuseppe II D’Austria, il quale
smantella l’ordine ecclesiastico sopprimendo interi ordini religiosi ritenuti inutili,
chiudendo molti conventi, aprendo seminari per la formazione del clero sotto il
controllo statale.
I beni ecclesiastici vengono incamerati dalla corona che utilizza il ricavato della
loro vendita per colmare il debito che le spese belliche avevano creato nelle casse
statali e pagare gli stipendi al clero come avveniva nel modello russo.
A garanzia dei diritti della persona, Giuseppe II concede agli ebrei il godimento
degli stessi diritti civili di tutti gli altri sudditi, accorda libertà di culto anche per
cristiani non cattolici, riconosce ai non cattolici il diritto al matrimonio civile e al

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