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È la mia prima Messa di fronte a voi come comunità che sono


stato chiamato a servire. La circostanza mi porta a condividere
tre riflessioni. La prima, guardando al passato, è una confidenza:
qual è il mio legame con santa Lucia. Le altre due pensando al
futuro: il progetto che vorrei portare avanti con voi e la modalità
con cui viverlo.
Quando il Definitorio provinciale mi ha chiesto di trasferirmi
a Grosseto come parroco, il mio pensiero è andato indietro nel
tempo, ricordando la figura di p. Vittore (Lino) Parri. Per questa
comunità è stato il primo parroco, direi il fondatore, come
l’attesta questo parco a lui dedicato. P. Vittore è stata una persona
significativa anche per la mia vita. Come ministro provinciale è
lui che mi ha ricevuto all’ordine e ha accolto la mia professione
40 anni fa. E soprattutto è stato lui a decidere di mandarmi a
Roma per una specializzazione in teologia, dalla quale è nato
l’incarico di docente in Teologia sacramentaria, che mi
accompagna da 26 anni. Vi confesso come avere fatto luce su
questo legame mi abbia rassicurato di fronte alla complessità che
il servizio di parroco comporta di questi tempi. P. Vittore ha
avuto a cuore la nascita della comunità di santa Lucia, come può
lasciarmi privo della sua preghiera e del suo aiuto?
E vengo ai due punti rivolti al futuro. Pensiamo a un tavolino
a tre gambe. Se le tre gambe sono robuste e ben piazzate, ci si
può costruire sopra … una piramide. Ma se una sola delle gambe
è fragile o viene meno, tutto crolla. Le tre gambe di una
comunità ecclesiale sono la frequentazione della Parola di Dio,
la fedeltà nella vita liturgica e la dedizione sincera verso il
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servizio ai più bisognosi. In sintesi: Parola, Liturgia e Carità da


vivere nelle diverse modalità alle quali si aprono. Tutte e tre
dovranno continuare ad essere un riferimento costante, di anno
in anno, ma credo che sia fecondo provare ad approfondirle, di
anno in anno, una alla volta. Per cui la domanda: da quale
iniziare?
Per sintonia dello spirito, mi è venuto in mente come proprio
l’anno scorso papa Francesco ci abbia consegnato una lettera
sulla formazione liturgica del popolo di Dio (Desiderio
desideravi, riprendendo le parole di Gesù prima della sua cena,
Lc 22,15). Vi afferma che «abbiamo bisogno di una seria e vitale
formazione liturgica» (DD 31). Perché lo scopo della riforma
liturgica non è stato quello di cambiare i riti! Sarebbe stato come
versare «vino nuovo in otri vecchi» (Mc 2,22) … e difatti molti
otri si sono spaccati! Il fine della riforma liturgica è quello di
riformare la chiesa attraverso la riforma dei riti, «vino nuovo in
otri nuovi!» (Mc 2,22). Papa Francesco lo conferma: «La
problematica è anzitutto ecclesiologica» (DD 31), cioè
l’immagine di Chiesa che abbiamo e viviamo. La liturgia non
forma attraverso i discorsi. È vero, ci sono anche le omelie, ma
ci sono anche le cose e come si usano: l’altare, l’ambone, il fonte
battesimale … (già … alla Barbanella non c’è ancora, ma ce lo
metteremo). E poi i colori, i movimenti, i canti, le luci e i fiori.
Tutto dovrebbe condurre a quello che il papa chiama lo «stupore
liturgico». Proveremo a prenderci cura di tutto questo,
lasciandoci trasformare dallo stupore dell’incontro con Cristo,
soprattutto nell’Eucaristia domenicale, da «porre al centro della
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vita della comunità» (DD 37). E così ci inseriamo in modo vitale


nell’invito del vescovo Giovanni, per riscoprire senso e valore
di questo grande dono del Signore Gesù.
Questo è il progetto che vorrei vivere con voi nei prossimi
anni. Ma come? La realtà che ci circonda non è più quella di
quando p. Vittore e gli altri frati cappuccini con lui hanno dato
inizio a questo cammino ecclesiale. Quel mondo non esiste più.
Dobbiamo rendercene conto e accettarlo. Entra qui in gioco il
terzo punto, sulle modalità da porre in atto. È come se fossimo
davanti a un terreno da esplorare, un terreno del quale nessuno
possiede le mappe. Le strategie pastorali di ieri, le trasmissioni
della fede secondo modi tradizionali sono fallimentari: non
hanno alcuna incidenza nella vita delle persone, specialmente le
più giovani. Ed è insipiente addossare ogni responsabilità o
colpa sulle spalle degli altri.
Abbiamo il Vangelo? Certamente, ma non basta perché va
saputo comunicare in parole comprensibili … (e prego Dio che
in questa omelia stia riuscendo a farmi capire). Ci attende un
delicato compito di discernimento, di fronte all’accelerazione
continua, imposta dal mondo contemporaneo. Non è un compito
che si può svolgere da soli. Né esistono veggenti affidabili o
rivelazioni da seguire.
Da tempo ci viene rivolto il ritornello di una Chiesa sinodale.
Si tratta, prima di tutto, di uno stile da assumere. Siamo con-
vocati all’autentico ascolto reciproco, condivendo la trama delle
narrazioni che costituiscono la vita di tutti noi. Siamo con-vocati
a discernere la realtà nella quale siamo immersi, con sapienza
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evangelica, nel rispetto dei carismi e delle assunzioni di


responsabilità di ciascuno. Ognuno con i suoi doni. Nessuno da
solo. Tutti, cercando di non lasciare indietro nessuno.
La sfida fondamentale che dovremo affrontare insieme sarà
nella capacità di tessere relazioni calde e sincere, feconde di
bene e tenerezza. Siamo rinviati al comportamento e alle parole
del Signore Gesù. Di più. Possiamo fare riferimento a
un’espressione particolare che ne illumina lo stile: una santità
ospitale. Proviamo a fare silenzio, lasciando risuonare dentro di
noi queste parole: una santità ospitale. Così ha vissuto Gesù e la
sua «santità ospitale» dovrebbe diventare sia la méta verso la
quale dirigersi a piccoli passi come lo stile del cammino. In una
modalità che la storia di questa parrocchia non può non riferire
all’esperienza francescana. Francesco d’Assisi volle che i suoi
frati si chiamassero minori. Anche la minorità è uno stile di vita.
Vissuto reciprocamente fa sperimentare la bellezza dell’invito di
Gesù perché nessuno si ritenga superiore agli altri, «perché uno
solo è il Padre vostro, quello celeste … uno solo è il vostro
Maestro e voi siete tutti fratelli e sorelle» (cf Mt 23,8-9). Una
santità ospitale da vivere come sorelle e fratelli minori. Da parte
mia è un impegno. Verso ciascuno di voi è una richiesta. Per tutti,
ne sono convinto, sarà una bella avventura da scoprire insieme.
Fr. Valerio, parroco

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