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Quinta dopo il martirio 2 ottobre 2022

Duecento anni di scarto

Quando il cardinal Martini rilasciò la famosa intervista 1, che fu anche


l’ultima, come una sorta di testamento spirituale, ebbe un’eco che
ancora continua, per quell’affermazione che non ci si aspettava sulla
bocca di un cardinale, quando disse: La chiesa è indietro di duecento
anni!
Uno pensa che il ritardo cui si riferiva Martini riguardasse
l’organizzazione, la morale, una sorta di ammodernamento esteriore, la
comunicazione o il linguaggio della chiesa… tutte cose vere, ma sarebbe
tremendamente superficiale pensare che Martini avesse in mente –
cosa che non ha mai fatto – una sorta di inseguimento da parte della
Chiesa del successo e della riuscita, del plauso…
Alla luce del Vangelo che abbiamo ascoltato potremmo pensare di
essere indietro di duecento anni, anche per il semplice fatto di avvertire
la nostra poca e scarsa coerenza di fronte alle esigenti parole di Gesù!
Vorrei vedere se ci sia qualcuno che non abbia avvertito un qualche
‘buco di coscienza’ tra lo scorrere delle richieste del Cristo: amare i
nemici, parlare bene di chi parla male di noi, dare a chiunque ci chiede,
prestare senza pretendere che ci venga restituito, non giudicare,
perdonare, donare senza misura…
In questo senso il ritardo, se siamo onesti con noi stessi, non può che
accrescersi e diventare incolmabile!
Credo che il ritardo riguardi piuttosto la nostra insistenza a riproporre
un cristianesimo, una forma di cristianesimo che non ha più niente da
dire né ai giovani né alle persone che sono perlomeno inquiete e alla
ricerca di un senso.
Ha ragione papa Francesco quando insiste sul dato che noi non ci
troviamo a vivere un’epoca di cambiamento: noi stiamo vivendo un
cambiamento d’epoca. Per cui non si tratta semplicemente di
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Corriere della sera, «Chiesa indietro di 200 anni», 1 settembre 2012 
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aggiustare le cose col bilancino, con un occhio ai conservatori e un altro


ai progressisti… i cambiamenti di questi ultimi quattro decenni hanno
modificato così radicalmente l’assetto della vita ordinaria delle persone
che è davvero possibile affermare che c’è molta più differenza tra noi e
i nostri genitori che non tra i nostri genitori e un contadino qualsiasi dei
primi dell’Ottocento!
Indugiare su una gestione della vita della Chiesa che andava
perfettamente bene per i nostri genitori e non impegnarsi per dare vita
a una chiesa all’altezza del cambiamento d’epoca ora in atto, significa
accumulare non solo ritardi rispetto al passato, ma ancora di più
rispetto al futuro.
L’argomento richiederebbe molto più tempo e approfondimento di
quanto non si possa fare in un’omelia. Però ci sono due cose che la
parola di Dio di oggi ci suggerisce e che mi sembra vadano nella
direzione di ridurre il ritardo della chiesa sul cambiamento d’epoca.
La prima viene proprio da questa pagina di Vangelo: se aspettiamo di
essere coerenti su ciascuna di queste esigenze di Luca, possiamo
metterci subito il cuore in pace e guardare il mondo andare per la sua
strada. Dobbiamo avere il coraggio piuttosto di mettere al centro della
nostra vita il Vangelo nella sua paradossalità.
Diceva Martini nell’intervista: Il Concilio Vaticano II ha restituito la
Bibbia ai cattolici. (...) Solo chi percepisce nel suo cuore questa Parola
può far parte di coloro che aiuteranno il rinnovamento della Chiesa e
sapranno rispondere alle domande personali con una giusta scelta. La
Parola di Dio è semplice e cerca come compagno un cuore che ascolti
(...). Né il clero né il Diritto ecclesiale possono sostituirsi all'interiorità
dell'uomo. Tutte le regole esterne, le leggi, i dogmi ci sono dati per
chiarire la voce interna e per il discernimento degli spiriti.
Ecco, rimettiamo al centro il Vangelo, collochiamo il Vangelo al di sopra
di tutto: di ogni tradizione, di ogni processione, di ogni conversione. È la
parola del Vangelo il vero luogo che porta a Gesù. Dobbiamo credere di
più nel Vangelo, non tanto per il fatto di essere più o meno capaci di
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viverlo, ma perché la parola di Cristo ha un potere reale di conversione


e di guarigione dei nostri cuori. È la parola che fa credere.
Osservo con un certo disincanto questo tempo di Sinodo: il rischio è di
voler cambiare tutto, per non modificare nulla e lasciare che l’impianto
pastorale continui come prima: vi sembra normale che un cristiano non
abbia mai letto un Vangelo, tutto un vangelo nella sua vita? Eppure
facciamo quattro anni di catechismo, impostiamo corsi di fidanzati con
gli esperti di turno… e non leggiamo pagine come quella di oggi.
È qui la proposta cristiana alternativa, ma noi per primi siamo disposti
all’ascolto? Gesù oggi inizia proprio così: A voi che ascoltate, io dico…
Gesù oggi trova chi lo ascolti? Lasciamo stare se non riusciamo a vivere
fino in fondo la sua parola, lasciamoci piuttosto inquietare, mettiamo al
centro e al di sopra di tutto il Vangelo e lasciamo che ci converta
dentro, che cambi i nostri cuori e il nostro modo di pensare.
La seconda cosa ci viene suggerita dal profeta Isaia. Un testo che era già
avanti duecento anni quando è stato scritto. È uno dei periodi meno
conosciuti della storia di Israele, i secoli VI e V, dopo il ritorno dall’esilio
in Babilonia, esperienza vissuta come il compimento della giustizia di
Dio verso il suo popolo. Eppure il profeta vede che c’è una nuova
giustizia da compiere, una giustizia frutto di quell’esperienza
drammatica della deportazione, e consiste nel comprendere che la
giustizia di Dio abbraccia tutti i popoli, tutti sono chiamati all’alleanza
con lui. Il profeta Isaia allora invita i suoi contemporanei a fare questo
passaggio: cominciamo noi ad accogliere quelle due categorie che
erano escluse dalla comunità cultuale: gli eunuchi e gli stranieri (Dt
23,2-9)
Se gli eunuchi osservano il sabato saranno benedetti da Dio, se gli
stranieri rispettano il sabato, sono pienamente partecipi del culto al
tempio. Una rivoluzione per quel tempo e la mentalità di allora!
Questa è la giustizia di Dio, la salvezza annunciata dal profeta: vale a
dire l’apertura degli orizzonti, l’allargamento dei paletti, la dimensione
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universale, la coscienza di essere al servizio dell’umanità. Strumenti


della misericordia di Dio e testimoni del suo amore.
Isaia già vedeva il futuro nell’allargamento degli orizzonti, quando tutto
intorno a lui parlava di chiusure, di confini, di esclusioni. Dio non fa così,
Dio ama tutti gli uomini e tutte le donne, senza escludere nessuno.
Perché dobbiamo continuare ad essere al servizio di un cristianesimo
che pretende di dare argini alla misericordia di Dio? Sempre
nell’intervista Martini, riferendosi ai sacramenti, diceva così: I
sacramenti non sono uno strumento per la disciplina, ma un aiuto per
gli uomini nei momenti del cammino e nelle debolezze della vita… La
domanda se i divorziati possano fare la Comunione dovrebbe essere
capovolta. Come può la Chiesa arrivare in aiuto con la forza dei
sacramenti a chi ha situazioni familiari complesse?
Appunto la domanda non è se noi possiamo autorizzare qualcuno alla
misericordia di Dio, ma come noi possiamo essere strumenti dell’amore
di Dio che vuole raggiungere tutti, proprio tutti, anche chi è marginale!
Di questo ha bisogno un mondo che cambia. L’unica certezza è l’amore,
la paradossalità di un amore che scardina le consuetudini, le prassi
consolidate di società che si sono organizzate sulla difesa e sulla paura.
Le parole di Gesù sono fonte di libertà, di vita, di autenticità. Un
cristianesimo felice, una fede gioiosa che nasce dall’ascolto e dallo
sperimentare la bellezza di un Dio che Gesù ci rivela folle nell’amore.
Concludeva così Martini l’intervista da cui siamo partiti: «La Chiesa è
rimasta indietro di 200 anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura?
… Io sono vecchio e malato e dipendo dall'aiuto degli altri. Le persone
buone intorno a me mi fanno sentire l'amore. Questo amore è più forte
del sentimento di sfiducia che ogni tanto percepisco nei confronti della
Chiesa in Europa. Solo l'amore vince la stanchezza. Dio è Amore. Io ho
ancora una domanda per te: che cosa puoi fare tu per la Chiesa?».
Teniamo vivo il Vangelo, questo ci basta.
(Is 56,1-7; Lc 6,27-38)

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