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Islam. Una nuova introduzione storica - riassunto

Storia dei paesi islamici (Università degli Studi di Torino)

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CAPITOLO PRIMO
MUHAMMAD
Muahmmad è il Profeta dell’islam, scelto da Dio per portare il suo messaggio finale all’umanità. Questo capitolo lo colloca nella storia, nel
luogo e nella cultura, esaminando il suo ruolo, rispetto i musulmani per secoli.
1 . L’A r a b i a p r i m a d e l l ’ i s l a m .
a ) G e o g ra fi a
È necessaria una distinzione tra Arabia meridionale (molto fertile, popolata e fortemente coltivata grazie anche ad un sistema di irrigazione di
Ma’rib) e il resto della penisola (ricca di deserti, con alcune oasi e poco densamente popolata). La distruzione della diga di Ma’rib ha portato ad
una decadenza dell’Arabia meridionale e ad uno spostamento della popolazione verso nord. Gli abitanti delle vaste aree deserte erano spesso
nomadi (beduini) e vivevano principalmente di pastorizia (cammelli, pecore o capre) nei dintorni delle città oasi. Presso le città gli abitanti oltre
che della pastorizia si dedicavano alla coltivazione della palma e del grano. Tra le due “popolazioni” avvenivano molti scambi commerciali. I
popoli marittimi commerciavano con il Mediterraneo, con l’Africa e con l’Oceano Indiano. Le città oasi invece erano luoghi di sosta per le rotte
terrestri dei mercanti di (incenso, spezie, seta e cotone). Il Corano (106: 1-2) menziona il fatto che i Banū Quraysh (la tribù dominante di Mecca,
a cui apparteneva il Profeta) doveva la propria ricchezza al commercio carovaniero che si svolgeva durante l’anno “Per l’intesa dei Quraysh │La
loro intesa e il viaggio d’inverno e d’estate”.
b ) G o v e r n o e s o c i e tà
Gli arabi dell’Arabia settentrionale, centrale e orientale non avevano un governo centralizzato: erano organizzati, secondo una tradizione
atavica, in un modello tribale che si applicava in egual modo a tutti. Clan e tribù potevano variare di dimensione e prestigio. La vita quotidiana
era probabilmente basata sulle attività di piccoli raggruppamenti tribali che condividevano aree di accampamento e fonti d’acqua. La società
beduina era egalitaria, sebbene ogni unità tribale avesse un capo, che si occupava della difesa della tribù, della protezione dei simboli sacri,
della risoluzione delle controversie e dell’ospitalità agli ospiti. La giustizia, era esercitata attraverso un processo di retribuzione equivalente ai
danni ricevuti (occhio per occhio).
c ) C u l to e re l i g i o n e
le pratiche di culto beduine erano animiste (adoravano idoli, sassi e alberi, attraverso la circumambulazione per un numero stabilito di volte).
Erano presenti indovini che svolgevano funzioni sciamaniche, la predizione del futuro, la guarigione e la rabdomanzia. Alcuni spazi di
venerazione erano incustoditi, altri erano amministrati da un’élite religiosa ereditaria. I santuari rappresentavano un luogo neutrale in cui non si
potevano svolgere combattimenti. Alcune divinità pagane erano associate a dei santuari: il dio Hubal alla Ka’ba (costruzione a forma di cubo
con incastonato un meteorite nero), le tre dee, Al-Lāt e al-‘Uzzā (identificate con Venere) e Manāt (la dea del destino) erano venerate intorno la
Mecca. Le tre dee meccane ebbero l’appellativo di -figlie di Allah, il dio creatore riconosciuto in gran parte della penisola-. Dal V sec. la tribù
Quraysh curava l’accoglienza dei pellegrini, che vi giungevano ogni anno al mese sacro per avere il favore delle proprie divinità attraverso la
circumambulazione (7 volte, in uno stato di purezza spirituale) nello spazio sacro intorno alla Ka’ba (luogo di rifugio intorno al quale vigeva la
tregua). Si riteneva che la Ka’ba fosse fondata da Abramo e dal figlio Ismaele. Il pellegrinaggio era fonte di prestigio e ricchezza per i meccani in
epoca preislamica. I nomadi e gli abitanti delle città erano accomunati dalla lingua araba. Nel periodo in cui i combattimenti erano proibiti
erano soliti a riunisti per ascoltare la recitazione di poesie in lingua araba aulica, dimostrando di possedere un’identità comune che superava
l’alleanza tribale. Questo retroterra culturale, permise a Mohammed di avere le basi per costruire una comunità sovra tribale ispirata all’islam,
la nuova rivelazione monoteista.
d ) E b re i e c r i sti a n i i n Ara b i a
Dalla fine del VI sec. ebraismo e cristianesimo penetrarono in Arabia, soprattutto nella zona sud-occidentale e a nord al confine con l’Impero
bizantino. Con la conversione del sovrano dell’Abissinia si era creato un forte stato cristiano nell’Arabia meridionale. Nelle oasi dell’Arabia
centrale e con alcune figure eminenti dell’Arabia meridionale (il sovrano di Himyar, Yūsuf As’ar) si diffuse l’ebraismo in queste aree. La Persia
sassanide -ultimo impero iranico prima dell’ascesa dell’islam- portò lo zoroastrismo sulle sponde dell’Arabia meridionale. Ebraismo e
cristianesimo comunque non erano radicate in modo significativo. I beduini avevano proprie tradizioni religiose, con sacche cristiane ed
ebraiche; e le tribù al confine con l’Iraq sassanide e la Siria bizantina abbracciarono il cristianesimo. Il Corano (20:85) fa cenno ad un samaritano
che induce in tentazione i figli di Israele al tempo di Mosè. È dimostrato quindi che Muhammad predicava a persone che conoscevano la Bibbia.
La tradizione musulmana, desiderosa di distinguersi, fa riferimento all’esistenza di hanīf, monoteisti che praticavano la -pura religione di
Abramo, il fondatore della Ka’ba e padre degli Arabi-.

2 . L a v i ta d i M u h a m m a d : l a n a r r a z i o n e t r a d i z i o n a l e m u s u l m a n a .
Gli avvenimenti della vita del Profeta sono celebrati da secoli di venerazione religiosa. La narrazione che segue si basa solo su fonti della
tradizione musulmana, è ciò che ogni fedele impara sin dalla giovinezza. Come per la biografia di Gesù per i cristiani, la vita di Muhammad
viene vista attraverso un’aura di devozione.
a ) N a s c i ta e p r i m i a n n i
Non si ha una data precisa della nascita, ma si colloca intorno al 570 a Mecca. Era membro dei Banū Hāshim, un clan minore della tribù dei
Qurayash, il cui prestigio venne meno dal 570. Il padre morì due mesi prima della sua nascita e la madre all’età di sei anni. 93:6 “Non ti ha
trovato orfano e poi ti ha raccolto?”; egli fu allevato dal nonno ‘Abd al-Muttalib e poi dallo zio Abū Tālib. In età adulta fu un mercante e compì
con successo diverse spedizioni carovaniere in Siria al servizio della ricca vedova Khadīja, che sposò nel 595. Ebbero due figli maschi, morti
prematuramente e quattro femmine. Fātima divenne moglie di ‘Alī e madre di Hasan e Husayn. Sin da giovane Muhammad ebbe il titolo di Al-
Amīn (il Sincero) ed era invitato a dirimere le contese, prima dell’inizio della sua missione profetica.
b ) V i ta d e l P ro fe ta M u h a m m a d (5 7 0 – 6 3 2 )

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ca. 570 Muhammad nasce a Mecca. Il padre muore due mesi prima della sua nascita.
ca. 576 Rimane orfano: la madre Āmina muore quando lui ha sei anni. È sotto la tutela del nonno e poi dello zio.
ca. 595 Sposa Khadīja, prima moglie, due figli maschi morti prematuramente e quattro figlie femmine.
610 Meditando intorno a Mecca riceve la sua prima rivelazione attraverso l’arcangelo Gabriele (Jibrīl).
613 Inizio della predicazione pubblica a Mecca.
615 I meccani iniziano la persecuzione dei musulmani; alcuni dei quali lasciarono la Mecca per spostarsi in Abissinia.
619 Morte di Khadīja e dello zio Abū Tālib.
620 Accoglienza ostile durante la sua predicazione a Tā’if quindi ritorna a Mecca.
622 Compie la propria emigrazione (hijra) e Medina. Inizio del calendario islamico.
624 Stila il Patto di Medina, documento conosciuto anche come Costituzione di Medina.
624 Cambia la direzione di preghiera da Gerusalemme a Mecca e stabilisce che il nono mese è dedicato al digiuno (ramadān).
624 Battaglia di Badr: prima vittoria musulmana contro i meccani.
624-625 Battaglia di Uhud: sconfitta dei musulmani per mano dei meccani.
626-627 Battaglia del Fossato: i musulmani vincono sui meccani. Muhammad consolida la sua autorità a Medina.
628 Tregue di Hudaybiyya: Muhammad stabilisce i termini di un pellegrinaggio pacifico a Mecca per i musulmani.
628-629 Conquista dell’oasi ebraica di Khaybar. Ebrei e cristiani posso rimanervi a condizione del pagamento di un’imposta (jizya)
629 Guida il suo esercito a Mecca dopo la rottura della tregua di Hudaybiyya da parte dei meccani; concorda con loro nuove condizioni.
629 Entra trionfante a Mecca e ordina la distruzione di tutti gli idoli pagani.
630-632 Consolida la sua politica di espansione della comunità araba in tutta la penisola.
632 effettua il primo pellegrinaggio islamico (hajj) a Mecca – il pellegrinaggio dell’Addio – compiendo i riti che diverranno il modello per la
pratica islamica.
632 A causa di una violenta febbre muore, senza lasciare figli maschi viventi. Viene sepolto nella sua casa a Medina.
c ) R i ve l a z i o n e e p e rs e c u z i o n e
Nella parte centrale della sua vita (40 anni), scontento dell’ambiente pagano di Mecca, iniziò ad allontanandosi per meditare nella grotta Hīra
sul Jabal al-Nūr (Montagna di Luce). Qui ricevette le prime rivelazioni dall’arcangelo Gabriele che gli insegnò a recitare Recita nel nome del tuo
Signore, che ha creato l’uomo da un grumo di sangue (C. 96:1). Rappresentano i primi versetti della rivelazione coranica e con l’incoraggiamento di
Khadīja divenne sicuro di essere stato scelto da Dio come messaggero. Dal 613 iniziò la predicazione pubblica ai meccani.
I primi messaggi profetici formano i primi capitoli meccani (sūra) e trattato dell’imminenza dell’Ultimo Giorno e sulla necessità del pentimento
e del ritorno all’Unico Dio. Però vi era distanza tra i meccani monoteisti e Muhammad, man mano che continuava la predicazione: i meccani
ricavavano grandi profitti dalle cerimonie pagane e dal pellegrinaggio. Per questo i meccani iniziarono a perseguitare i musulmani che
trovarono rifugio presso il sovrano cristiano dell’Abissinia. Nel 619 Khadīja e lo zio Abū Tālib morirono e Abū Lahab prese la guida del clan,
mostrandosi ostile alla predicazione di Muhammad; quindi iniziò a spostarsi per trovare una dimora. Nel 620 a Ta’if venne deriso e colpito con
pietre, quindi lasciò la città; nel 621 delle presone di Yathrib giunte a Mecca, ascoltando il suo messaggio si unirono all’islam e lo invitarono da
loro per risolvere dispute interne. Intanto quasi tutti i meccani musulmani iniziarono a lasciare la città. Muhammad, Abū Bakr e Alī (che si
nascose nel suo letto per permettergli di scappare) rimasero a Mecca. Nel 24/09/622 Muhammad e Abū Bakr giunsero a Yathrib (rinominata
Madīna al-nabī, la città del Profeta). Dall’introduzione del calendario islamico quella data rappresentò l’inizio di una nuova era,
commemorando la hijra (emigrazione) da Mecca a Medina, dove fondò la comunità musulmana (umma).
d ) I p r i m i a n n i a Me d i n a ( 6 2 2 - 6 2 6 )
A Medina gli Arabi presenti erano divisi in due gruppi tribali ostili: gli Aws e i Khazraj. Vi erano inoltre tre clan ebrei: 1. Banū Nadīr, 2. I Banū
Qaynuqā e 3. I Banū Qurayza, che svolgevano attività economiche e rifiutavano il messaggio del Profeta. Dal 622 al 623 Muhammad poté
predicare liberamente e creare una umma (comunità islamica teocratica). Gli aspetti sociali divennero essenziali e i musulmani dovettero
imparare la vita insieme sotto la nuova fede. I musulmani meccani, vennero integrati nella società attraverso il sistema della “fratellanza”
istituita dal Muhammad tra gli Emigranti e i medinesi. Dalla Costituzione, o Trattato di Medina (II-III anno del periodo medinese), si dimostra la
sua abilità come arbitro di controversie e il carattere islamico dell’ethos della umma: la più alta autorità era sovra tribale e apparteneva a Dio e
al Suo profeta Muhammad ma accettava anche cristiani, ebrei e pagani. L’accettazione della rivelazione islamica da parte degli ebrei incontrò un
rifiuto, infatti molti versi coranici medinesi si presentano sotto forma di confutazione per essere usati contro le false dichiarazioni dei nemici.
Riteneva che l’islam fosse la vera fede di Abramo che con il figlio Ismā’īl, aveva edificato la Ka’ba a Mecca. Cambiò la direzione della preghiera
da Gerusalemme alla Ka’ba e istituì il mese di digiuno al nono del calendario islamico.
Oltre alla costruzione della comunità dovette anche fronteggiare gli attacchi esterni dei meccani. Nella battaglia di Badr (624) si ha la prima
importante vittoria musulmana sui meccani, e da qui decise di rimuovere gli elementi che minacciavano la umma dall’interno, come gli ebrei. Il
clan 2 fu costretto a trasferisti a nord. Un anno dopo i meccani vollero vendicare la sconfitta precedente inviando un esercito di 3000 uomini
guidato da Abū Sufyān, che portò le dee meccane Al-Lāt e al-‘Uzzā. Alla voce che il Profeta era morto, molti musulmani abbandonarono la
battaglia; a questo è collegata la rivelazione del versetto 3:144 Muhammad è solo un inviato di Dio, come gli inviati che l’hanno preceduto: se egli troverà
morte o sarà ucciso, vi ritirerete? Il prestigio dei meccani era ripristinato, ma nonostante la sconfitta Muhammad e i suoi Compagni ottennero un
insegnamento: 3:154 Dio ha fatto questo per mettere alla prova quel che avete dentro di voi, per purificare quel che avete nel cuore, il contenuto dei cuori Dio
lo conosce. Gli ebrei furono rallegrati della sua sconfitta ma il clan 1 fu costretto a lasciare la città.

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e ) I l c o n s o l i d a m e nto d e l l a u m m a ( 6 2 6 - 6 3 0 )
Comprendendo che Muhammad non si era indebolito, i meccani e gli ebrei allestirono un esercito con l’obiettivo di occupare Medina.
Muhammad fece scavare dei fossati intorno alla città a scopo difensivo, infatti il nemico alla fine tolse l’assedio. Seguì la Battaglia del Fossato
che sancì la vittoria di Muhammad e la dichiarazione di guerra al clan ebraico rimanente a Medina. Tutti gli uomini facente parte del clan furono
condannati a morte e donne e bambini fatti schiavi. Con l’allontanamento degli ebrei, Muhammad era più vicino ad una base della umma
esclusivamente musulmana. Contattò alcune tribù arabe del deserto per convincerle ad abbracciare l’islam. Nel 628, grazie alla sua abilità di
persuasione, riuscì a stringere delle alleanze con i meccani; in due anni ottenne l’ingresso pacifico nella città e annunciò anche l’intenzione di
voler compiere il pellegrinaggio a Mecca. In questa occasione si accampò a Hudaybiyya, ai margini dell’area sacra, e fece un accordo con i
meccani che stabiliva la possibilità di tornare nella città l’anno successivo per compiere il pellegrinaggio minore (‘umra) e firmò una tregua di
pace della durata di 10 anni. Nel 628-29 conquistò l’oasi ebraica Khaybar, a nord di Medina. Qui consentì agli ebrei – in quanto “Gente del
Libro”, come i cristiani – di rimanere in città previo pagamento di un’imposta; questo comportamento funse da modello per le successive
conquiste musulmane. Si dice che fece anche inviare delle missive ai sovrani maggiori come l’imperatore bizantino e il sovrano sassanide della
persia, per invitarli ad abbracciare l’islam, ma non è riconosciuta l’autenticità di queste missive.
Nel 629, secondo gli accordi presi, i meccani fecero lasciare ai cani la città mentre i musulmani compivano la ‘umra, durante questa occasione,
alcuni personaggi che erano stati ostili a Muhammad, si convertirono. Però alcuni meccani rifiutarono la riconciliazione e ruppero la tregua.
Così nel 629 Muhammad si recò a Mecca con un esercito, ma fu accordata un’amnistia per tutti coloro che deposero le armi. Nel 630 entrò a
Mecca distruggendo tutti gli idoli pagani.
f ) G l i u l ti m i a n n i d i M u h a m m a d ( 6 3 0 - 6 3 2 )
Gli ultimi anni li trascorse a Medina perfezionando la sua politica di controllo delle rotte settentrionali verso la Siria, ad espandere la umma e a
proteggere il mercato carovaniero. Nel 630 firmò accordi con emissari tribali in visita a Medina e nello stesso anno prese parte alla campagna
siriana di Tabūk. Nel 632 compì il primo pellegrinaggio islamico (hijra) a Mecca (Pellegrinaggio dell’Addio). Tutti i riti compiuti durante questo
pellegrinaggio divennero il modello per la futura pratica islamica riconsacrando il santuario della Ka’ba in nome dell’islam. Legato a questo
episodio abbiamo il versetto 5:3 In questo giorno vi ho resa perfetta la vostra religione e ho compiuto su di voi i Miei favori, e Mi è piaciuto darvi come
religione l’islam. Al ritorno a Medina iniziò a programmare una spedizione oltre il Giordano, ma poco prima della partenza, 8 giugno 632 morì di
febbre. Fu seppellito nella sua casa a Medina con una semplice cerimonia, non lasciò eredi maschi e da ciò si aprì la questione su chi dovesse
guidare la comunità musulmana.
3 . Fo nti p e r l a vi ta d i M u h a m m a d .
Le tappe fondamentali della sua missione sulla terra assunsero un significato simbolico e normativo. I detti, le opinioni, le azioni e le campagne
militari furono osservate dai suoi affiliati più intimi divenendo paradigma dell’intera comunità musulmana.
a ) Fo nti t ra d i z i o n a l i m u s u l m a n e
Le tre principali fonti che hanno fornito le basi per la costruzione della vita di Muhammad sono: il Corano, gli ahādīth e la sīra.
Corano. Non è facile da usare come una fonte storica anche se tratta di alcune aspetti della vita e alcune pratiche degli Arabi che il Profeta cercò
di riformare. Però se letto insieme alle altre due fonti consente la comprensione delle fasi dell’evoluzione di Muhammad attraverso le prove cui
era sottoposto e le vittorie. Ove le affermazioni siano di difficile comprensione gli ahādīth possono chiarirle.
Ahādīth. Comprendono detti e fatti riportati del Profeta, trasmessi dai Compagni e oggetto di venerazione dei musulmani successivi. Tra gli
studiosi c’è controversia sulla loro origine apparentemente risalente ai primi anni del VI secolo. Hanno una natura frammentaria che spesso non
permette di riunirli in modo coerente, spesso sono in contraddizione tra loro e alcuni presentano interpolazioni successive. Riflettono
fedelmente la fluidità, la varietà, i rituali della legge islamica delle origini e gli sforzi di tracciare il sentiero del “vero islam”. Nel tempo,
divennero oggetto dal quale sviluppare la legge islamica di ogni aspetto della vita quotidiana. Quattro raccolte di ahādīth, secondo un modello
unificato del IX-X secolo è considerato dai sunniti autentico. Anche gli sciiti hanno le loro raccolte che a volte mostrano un’esposizione
alternativa ai detti e ai fatti del Profeta. Il Profeta qui è mostrato mentre esprime un parere su ciò che i musulmani dovrebbero credere e su
come dovrebbero comportarsi. Il Corano e gli ahādīth si completano. È presentato come un legislatore autorevole e il modello da seguire.
Sīra. Scritta nel VIII sec. da Ibn Ishāq e compilata da Ibn Hishām, è un lavoro basato in gran parte sugli ahādīth e su dettagli personali circa la vita
del Profeta. Si tratta di una narrativa epica, in cui la vita del Profeta è ordinata secondo l’ordine conosciuto dai musulmani. Per integrare la sīra
sono state scritte altre opere su tematiche circoscritte (es. alle spedizioni militari, dizionari con informazioni sui Compagni, opere degli storici
del periodo abbaside). Ahādīth e sīra costituiscono la sunna (il comportamento consuetudinario del Poeta).
4 . Fo nti n o n m u s u l m a n e r i g u a r d a nti l a v i ta d i M u h a m m a d .
Gli studiosi occidentali hanno condotto numerose ricerche per operare una distinzione tra storia e la storia sacra della vita di Muhammad,
compilata in forma canonica dai dotti musulmani intorno al IX sec, che però non sono in grado di fornire una narrazione continua e coerente
della sua vita. Dai testi, Muhammad risulta realmente esistito. La prima narrazione della sua missione risale al 660 da una cronaca armena
anonima. Qui, Muhammad viene definito un mercante che predicava un messaggio sul “Dio vivente che Si è rivelato al loro padre Abramo”.
Dalle fonti non musulmane non emerge il fatto che potesse vivere a Mecca e in Arabia, ma è enfatizzata la Palestina. Gli scrittori cristiani si
soffermano sul danno procurato alla loro immagine, dai conquistatori arabi, descritti con toni apocalittici. Giovanni Demasceno, scrittore
famoso, in un’opera del 730, di polemica contro le eresie definisce i musulmani “Ismaeliti, Agareni o Saraceni” e rivela di aver avuto accesso al
Corano. Del 643 abbiamo un documento datato “anno 22” che fa presupporre che nel 622 sia accaduto qualcosa (hijra e inizio del calendario
musulmano). Al Cairo c’è una lapide con incisa la data del mese di jumādā II anno 31 (gennaio-febbraio 652). Queste due prove dimostrano che
la cornice storica musulmana apparse molto più tardi. Anche le fonti cristiane, ebraiche e delle altre religioni attestano l’avvento dell’islam ma
non sono attendibili per la loro “lettura” ricca di pregiudizi. Per i musulmani la storia sacra non è soggetta ai cambiamenti. In ogni caso i due tipi
di storia non sono conciliabili a causa dei riferimenti frammentari.
5 . R i fl e s s i o n i s u l l a v i ta e s u l l a m i s s i o n e d i M u h a m m a d s e c o n d o l a t r a d i z i o n e m u s u l m a n a .
a ) M u h a m m a d co m e P ro fe ta
Egli era il Profeta di Dio, un veicolo della Sua rivelazione. I primi versetti rivelati mostrano che le rivelazioni che scesero su di lui somigliavano
molto ai messaggi predicati dai primi profeti monoteisti in Medio Oriente. Inizialmente Muhammad non si considerò il fondatore di una nuova

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fede, ma la sua consapevolezza crebbe e incominciò a tentare di restaurare l’originario monoteismo dell’Arabia; anche se continuò a
sperimentare la derisione e l’ostilità anche dopo l’hijra. Prima della sua nascita, gli indovini ebrei e cristiani predissero la sua venuta come fu
con Cristo. Questo riconoscimento di una “missione profetica” è molto importante per l’attendibilità della rivelazione. La sua nascita è
annunciata alla madre Āmina da una voce (si pensa quella di Gabriele). Alla sua nascita la madre vide una luce fuoriuscire da sé e illuminare da
oriente a occidente. In uno dei suoi primi anni di vita Muhammad fu squarciato da due angeli per purificargli il cuore. Da ragazzo, incontrò un
monaco cristiano nella città di Bosra in Siria, il quale riconosce in lui il profeta preannunciato dalla tradizione cristiana. Il racconto della prima
rivelazione attraverso l’arcangelo è narrato da Ibn Ishāq come un fatto straordinario: durante il sonno riceve la visita di un angelo che gli ordina
di recitare le parole scritte su un drappo broccato e più tardi, durante la meditazione nella grotta di Hīra riceve una visita da Gabriele in
sembianze umane con enormi ali. Nell’anno prima della hijra ricevette la certezza del sostegno divino attraverso il Viaggio notturno (isrā’) e
l’Ascesa al Cielo (mi’rāj). Muhammad una notte fu condotto dall’arcangelo da un animale alato (Burāq) che lo condusse a Gerusalemme per
vedere “le meraviglie tra il cielo e la terra”. Si dice che in questa occasione Muhammad negoziò con Dio la preghiera 5 volte al giorno. Secondo
un’altra versione il viaggio si svolse dalla moschea di Mecca al Tempio più remoto dove incontrò Abramo, Mosè e Gesù. Altre versioni
riferiscono che attraverso una scala (come Giacobbe) risalì fino ai cieli e fu portato in ciascuno dei sette livelli del Paradiso, ove incontrò Gesù e
Giovanni nel secondo livello e Abramo nel settimo, dove si presentò dinnanzi al Suo trono e parlò con Lui. Gli eventi miracolosi della sua vita,
narrati, furono importanti per le vite dei sufi (mistici dell’islam), che videro in lui il primo sufi e modellarono la loro vita il più possibile sulla sua.
Il particolare il Viaggio notturno rappresenta in fulcro centrale della meditazione per i sufi che sono alla ricerca di una vicinanza intima con Dio.
b ) M u h a m m a d c o m e g u i d a e co n d o tti e r o
Dovette fondare una comunità che salvaguardasse la fede e la sua solidità anche dopo la sua morte. Fu un brillante condottiero a fianco dei
suoi uomini, ma sin dalla gioventù dimostrò una grande abilità diplomatica. Agì anche come legislatore e giudice: nei dieci anni trascorsi a
Medina affrontò numerosi problemi e espresse decisioni e giudizi. Talvolta è mostrato come un guerriero. I suoi tentativi pacifici di persuadere
con la sua fede la tribù Quraysh a Mecca ebbe limitati successi, quindi dal suo trasferimento a Medina e dalla creazione di una comunità
musulmana il suo obbiettivo fu quello di combattere i meccani. I versetti coranici dimostrano che inizialmente era riluttante ad uno scontro
armato, ma una volta rassicuratogli da Dio che quella era l’unica via la intraprese, anche se fu difficile persuadere i suoi corregionali ad
attaccare i meccani. Un’altra difficoltà fu quella di dover attaccare i meccani nel loro mese sacro per tradizione, ma ancora una volta fu
rassicurato da Dio. Intraprese solo tre importanti azioni militari: le battaglie di Badr e del Fossato (dove vinse) e la battaglia di Uhud (persa, ma
trasformata da Muhammad in una lezione di maggior fede per i musulmani. Come fu per Mosè, l’unico modo di preservare la fede islamica, fu
quella dello scontro armato. Le battaglie combattute da Muhammad, oltre che per scopi religiosi era anche di pura sopravvivenza. Egli fu
sempre presente nel pieno dello scontro per incoraggiare i suoi compagni, si lasciò consigliare in caso di necessità e fu in grado di acquisire
tecniche belliche a lui estranee. Il combattimento fu consentito solo quando tutti gli altri mezzi di persuasione fallirono.
6 . L a v i s i o n e m u s u l m a n a e q u e l l a n o n m u s u l m a n a d e l l a fi g u r a d i M u h a m m a d .
L’immagine che ci emerge di Muhammad è quella di una figura umana. Non è dipinto come figlio di Dio, parte della trinità, come “il figlio
sofferente” o come un essere senza peccato. Egli è un uomo che si affida a Dio per essere guidato. Nelle fonti musulmane sono registrate sia le
sue vittorie che le sue sconfitte. I dotti musulmani credettero che fosse al-nabī al-ummī, il profeta illetterato. Però è stato celebrato dai
musulmani come al di sopra di ogni altro essere umano. In molte parti del mondo, celebrano la sua nascita il 12esimo giorno del terzo mese
musulmano (rabi ‘I), in particolare è una ricorrenza importante per gli sciiti ismailiti. La poesia in sua lode è recitata in turco, in persiano, in
urdu, in swahili e in molte altre, ma la principale è l’arabo con Il poema del Mantello. Qui Al-Būsīsī ringrazia il Profeta per essergli apparso in
sogno e averlo curato dalla paralisi avvolgendolo con il suo mantello. Al poema che glorifica la nascita, il mi ‘rāj e jihād, è attribuito un potere
speciale se letto in occasione di funerali e altre cerimonie; secondo la tradizione se recitata 1001 volta darà una benedizione per tutta la vita; se
recitata una volta una volta al dì garantisce maggior sicurezza al viaggiatore. Questi versi terminano con il riferimento al ruolo cruciale
assegnato al Profeta, quando si adopererà presso Dio in favore della sua comunità.
7 . Re a z i o n i m u s u l m a n e a l l a c r i ti c a s u M u h a m m a d .
Il rispetto e la venerazione che i musulmani nutrono per Muhammad hanno portato a reazioni molto dure quando egli è oggetto di critica. Già
nel IX sec. nella Spagna musulmana, conosciuta per la tolleranza delle tre fedi, un gruppo di cristiano mozarabi denigrando il nome di
Muhammad a Cordova, ricevendo una condanna a morte.
a ) I ve rs i s ata n i c i
I versi satanici di Salman Rushdie, del 1988 suscitò grandi dibattiti e la morte di 38 persone. Il libro fu condannato dai musulmani di tutto il
mondo. Il nome dell’autore è del primo persiano che si convertì all’islam, mentre Rushdie deriva da Rāshidūn, titolo dato ai primi quattro califfi
ben guidati. Dati i nomi illustri di questo scrittore fu considerato particolarmente offensivo un titolo così provocatorio e chiamare Muhammad
Mahound (titolo usato nel Medioevo dai cristiani europei). Egli però sostenne che il suo romanzo trattasse sulla migrazione, sull’io diviso, sul
cambiamento, sull’amore, la morte, Londra e Bombay. Il titolo del romanzo è un’allusione ad un episodio ritenuto inventato dai musulmani
(nonostante nei primi scritti fosse riportato) e considerato vero da alcuni studiosi occidentali. Secondo un ramo della tradizione, egli pronunciò
una rivelazione per cui le tre dee della Ka’ba (al-Uzzā, Al-Lāt e Manāt) potessero intercedere presso Dio a favore dei credenti. Però questa
rivelazione si pensa derivi da Satana, perché mina il concetto di fede nell’unico Dio. Qualsiasi sia la verità questo libro apre un problema
maggiore: come mantenere un equilibrio tra il diritto di parlare liberamente e rispettare le credenze religiose ritenute sacre da ognuno.
b ) L e v i g n e tte d a n e s i
Nel 2006 sul un giornale danese e su uno francese, vennero pubblicate delle vignette che ritraevano il Profeta in modo pesantemente offensivo:
come un attentatore con indosso una bomba a orologeria a forma di turbante con su scritta la professione di fede musulmana “Non vi è altra
divinità all’infuori di Dio”. Le reazioni furono violente e di sdegno da parte dei musulmani di tutto il mondo, e anche numerosi commentatori
occidentali le considerarono inappropriate. Fu considerata inappropriata per l’associazione tra Muhammad e un attentatore suicida e poi
perché nell’islam, come nell’ebraismo, c’è riluttanza a raffigurare immagini sacre; anche nel Tardo Medioevo, ci fu una proliferazione di
immagini sacre musulmane prodotte dal mondo islamico orientale. Sebbene quest’usanza non sia radicata non è scomparsa del tutto. Però nel
film Il messaggero di Mustafa Akkad, del 1976, sulla vita di Muhammad, il suo viso non è mai mostrato. Le vignette quindi non lo
rappresentavano solo graficamente, ma lo ridicolizzavano e lo denigravano, dando origine ad un fenomeno crescente di islamofobia in
Occidente. La reazione della maggior parte dei musulmani fu di sdegno, ma gruppi più radicali (7% della intera comunità) proclamò anche

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minacce di morte per i realizzatori delle vignette. I paesi musulmani agirono attraverso una protesta pacifica di boicottaggio dell’esportazione
dei prodotti danesi.
8 . P r e g i u d i z i e ste r e o ti p i .
I musulmani non mettono in dubbio che Muhammad sia il profeta di Dio, dell’ultima rivelazione monoteista. La fede musulmana è stata esposta
a molti giudizi negativi, in particolar modo dai cristiani, quando le persone erano ancora definite in base alla loro fede. Gli estremisti,
musulmani e non, hanno sempre criticato le reciproche credenze religiose. Dal Medioevo, l’islam fu attaccato da opere cristiane, che si
concentravano sulle differenze dogmatiche piuttosto che sulle credenze condivise. Queste discussioni furono l’argomento di numerosi scontri
politico-religiosi, tenuti a partire dai califfi omayyadi (661-750). Damasceno, definì Muhammad un falso profeta e sfidò i musulmani a
dimostrare la pretesa fatta da Muhammad di aver ricevuto rivelazioni divine. Le controversie tra cristianesimo e islam, furono maggiori rispetto
che con l’ebraismo, in quanto non è una religione proselitistica. Dal XIV (fine delle crociate nel Medioevo), la polemica contro Muhammad e
l’islam divenne più violenta. Una delle rappresentazioni più ostili l’abbiamo con la Divina Commedia, che colloca Muhammad nelle profondità
degli Inferi, posto come capofila delle anime dannate per l’eternità per aver portato lo scisma religioso. Gli stereotipi continuarono a prevalere
anche dal XIX, quando l’Europa iniziò a colonizzare il mondo musulmano, e rimangono saldi ancora oggi.
Il problema principale riguarda il fatto che i cristiani possono accettare la prima parte della fede musulmana -la venerazione di un unico Dio- ma
rifiutano la missione profetica di Muhammad. I musulmani al contrario non hanno difficoltà ad accettare Gesù come profeta, infatti hanno per
lui una profonda venerazione e lo considerano il predecessore di Muhammad nella linea profetica che risale ad Abramo; nonostante l’islam
rifiuti alcuni aspetti del cristianesimo (come la Trinità). Il problema dei cristiani è che la missione di Muhammad non somiglia a quella di Gesù,
considerato “il principe della pace”, ma è un “profeta guerriero”. Tuttavia, i cristiani e gli ebrei hanno figure del Vecchio Testamento, come
Mosè, Giosuè e Davide, che dovettero impegnarsi in guerre contro i pagani per affermare il loro credo. Diversamente da Gesù (il cui regno “non
era di questo mondo”), Muhammad ebbe un grande impegno sociale e politico, infatti divenne la guida dello stato teocratico di Medina.
La divisione della missione profetica in due parti (Mecca e Medina) rappresenta una difficoltà in alcuni studiosi non musulmani: non riescono a
conciliare i capitoli meccani (che parlano dell’imminenza del Giorno del Giudizio e della necessità di pentirsi) con i capitoli medinesi (che
contengono istruzioni dettagliate sul comportamento da seguire). Nella tradizione cristiana Gesù è celibe, al contrario, Muhammad, apprezza i
piaceri della vita ed ebbe numerose mogli. Però bisogna considerare che in Arabia pre-islamica, come nell’antico Israele, non era praticata la
monogamia. Muhammad sposò la prima moglie Khadīja quando era ancora molto giovane (lei aveva 15 anni in più di lui ed era vedova) e non
ebbe altre mogli fino a quando ella rimase in vita. In seguito, sposò dalle 10 alle 12 donne, di cui cinque erano vedove di musulmani uccisi nella
battaglia contro i meccani, e quindi non sarebbero state in grado di sopravvivere senza il sostegno tribale. Nel Medio Oriente, erano frequenti le
alleanze matrimoniali; infatti quattro dei suoi matrimoni erano alleanze politiche per consolidare il potere a Medina. La moglie preferita sembra
essere ‘Ā’isha, la figlia di Abū Bakr (primo califfo dell’islam dopo il 632).
9 . I nte r p r eta r e l a fi g u r a d i M u h a m m a d .
I non musulmani nutrono molti pregiudizi nei suoi confronti e preferiscono Gesù perché fu sostenitore di un sentiero di pace e divise questo e
l’altro mondo. Come Mosè, Muhammad dovette ricorrere alle armi e fu costretto a imporre delle norme dettagliate sui molteplici aspetti della
vita. I musulmani stessi però non vedono Muhammad in maniera obbiettiva: essi lo amano e gli sono rispettosi più che mai (tra i più devoti
quando viene pronunciato il suo nome lo fanno seguire dalla formula “Pace e Benedizione su di Lui”. In ogni caso è impossibile separare la
verità storica da quella religiosa. La sua vita, è stata il fulcro della storia sacra e della tradizione musulmana, anche se ogni generazione l’ha
interpretata in modo differente. Nonostante la grande varietà etnica, tutti i musulmani credono che Muhammad fu l’ultimo di una lunga linea di
profeti monoteisti.
CAPITOLO SECONDO
IL CORANO
In questo capitolo viene analizzato il Corano - testo centrale dell'Islam - per capire il motivo per cui un miliardo e seicentomila musulmani lo
considerano la guida per la vita e per avvicinarsi a Dio. Il Corano è un'entità perfetta rivelata da Dio agli uomini in una forma perfetta e
immutabile. Tratta del motivo dell'esistenza dell'uomo sulla terra, del come avere cura del Suo Creato e di come comportarsi gli uni con gli altri.
Queste condizioni vengono applicate ad ogni epoca e ad ogni uomo o donna. Tratta infatti dei precetti su cui si fonda l'islam, man mano che si
sviluppa in una religione mondiale.
L'essenza del Corano ed il suo significato per i musulmani è trattato nel primo capitolo - al-Fatiha, L'Aprente -. Qui i musulmani sono invitati a
lodare Dio per la misericordia e la grandezza, ad evitare occasioni di peccato e ad aderire alla retta via. La Fatiha è recitata prima di un viaggio,
alla nascita di un bambino e alla morte di una persona.
1 . L a n a t u r a e l a st r u tt u r a d e l C o r a n o .
Corano, significa "recitazione" o "lettura". I musulmani lo considerano unico e inimitabile e vi si rivolgono come il Nobile Corano. Non sono
sopravvissuti testi arabi precedenti al Corano e non sono presenti documenti che contengono un passaggio esteso di prosa o poesia
antecedenti all'islam. Il Corano è un'opera spirituale contenente le rivelazioni mandate da Dio a Muhammad per circa vent'anni - dal 610 al 632
ca.-. In alcuni passi assume una forma rivelatoria contraddittoria mentre in altri è estremamente chiaro.
Al contrario della Bibbia, che è lunga e realizzata da diversi autori, il Corano è breve ed è composto solo da Dio - secondo i musulmani -.
Si ritiene che la rivelazione sia avvenuta oralmente da parte dell'angelo Gabriele; e che confermi e completi la Torah e il Vangelo, riassumendole
e sostituendole.
Il testo è recitato ad alta voce nel mese del ramadan. È suddiviso in trenta parti e un'ulteriore suddivisione in 114 sure – capitoli -. Le sure
presentano lunghezze variabili e il loro ordinamento avviene per lunghezza decrescente. Lo studioso musulmano Ernst afferma che non si
conosce il motivo della disposizione delle sure, ma dimostra che le lettere di San Paolo – cristianesimo - e la Mishnah – ebraismo - presentano
lo stesso ordine. I versetti (sing. aya, pl. ayat) della sura sono organizzati per schema metrico e non per argomenti trattati. Ogni sura presenta
un titolo - es. L'ape, La vacca, Il ragno, La resurrezione, La vittoria -, non originario, ma che tratta di un riferimento del testo.
I musulmani credono che l'ordine attuale (non cronologico) fosse voluto da Dio; si ritiene però che siano suddivisi in due principali gruppi:
i capitoli rivelati a Muhammad alla Mecca (quando iniziava a ricevere le rivelazioni divine - 610 ca.) e quelli rivelati a Medina dopo la hijra.
Secondo i più recenti studi la rivelazione di Muhammad è suddivisa in quattro periodi: i primi tre meccani e l'ultimo medinese.
PERIODO PRIMO: i capitoli trattano del messaggio dell'Unico Dio e l'urgenza di tornare a Lui prima del Giorno del Giudizio.

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PERIODO SECONDO: tematiche relative alla creazione, al Paradiso, all'Inferno e al castigo riservato a coloro che non danno ascolto ai profeti di
Dio.
PERIODO TERZO: i capitoli e i versetti più lunghi, che corrispondono al periodo in cui il Profeta inizia a predicare pubblicamente fino all'hijra
verso Medina. Queste sezioni posso essere considerate dei sermoni e riflettono gli insegnamenti dati dai profeti dei tempi antichi.
PERIODO QUARTO: i capitoli rivelati a Medina trattano sulla condotta sociale e sulla legislazione, perché Muhammad necessitava di una guida
come capo della neonata comunità islamica. Viene posta anche l'attenzione sul deterioramento dei rapporti con gli ebrei e con i cristiani.
Essendo i capitoli più lunghi si trovano all'inizio del libro; mentre e i capitoli meccani, essendo brevi, si trovano alla fine.
Secondo gli studi, si ritiene che la prima rivelazione del Corano corrisponda ai primi versetti della 96esima sūra. Trattano dell'isolamento
condotto da Muhammad nella parte centrale della sua vita, con lunghi periodi di meditazione nella caverna Hira, fuori Mecca. Fu in uno di
questi momenti ce apparve l'angelo Gabriele con la prima rivelazione di Dio:
Recita nel nome del tuo Signore che ha creato:
Ha creato l'uomo da un grumo di sangue.
Recita. Il tuo Signore è il Generosissimo,
ha insegnato l'uso del calamo,
ha insegnato all'uomo quel che non sapeva.

La sūra mette in guardia dai pericoli dell'Inferno nel caso in cui l'uomo non si avvicini a Dio. Si pensa che l'ultima rivelazione del Corano sia
l'affermazione divina riguardo la missione profetica di Muhammad:
“In questo giorno vi ho resa perfetta la vostra religione e ho compiuto su di voi i Miei favori e Mi è piaciuto darvi come religione l'islam.”. Con
questa rivelazione la neonata religione ricevette il suo nome.
2. Il linguaggio del Corano.
Il Corano presenta molteplici stili di linguaggio. A. Arberry (famoso traduttore), lo considera una fusione tra prosa e poesia. Alcune parti
presentano una prosa rimata con allitterazioni e assonanze (es. versetti della 96esima sūra, le parole finali presentano suoni simili).
Le sūre 99 Il terremoto e 81 Il riavvolgimento descrivono cataclismi simili al Giorno del Giudizio e hanno un impatto recitativo molto forte e
potente. I versetti in ogni sūra hanno lunghezze e ritmi diversi per adattarsi al tema trattato (affermazioni estatiche per il Giorno del Giudizio,
stile narrativo per la storia di Giuseppe e linguaggio formale per le prescrizioni giuridiche).
I primi capitoli del Corano paiono oracoli per gli straordinari versetti di apertura e ammonimenti diretti a Muhammad e ai suoi seguaci. Questi
capitoli sono molto intensi e si soffermano sulla bellezza della creazione come segno della benevolenza divina; però l'umanità ha peccato e
deve redimersi prima del Giorno del Giudizio. Inferno e Paradiso sono descritti come una contrapposizione tra il fuoco che arde e malvagio e un
giardino di quiete con fiumi che scorrono.
I capitoli meccani sono brevi, ma contengono risonanze e immagini evocative alla memoria, dando un effetto strabiliante agli ascoltatori. Ne è
un esempio la sūra 82, versetti 1-5 che descrivono i prodomi (avvertimento) di uno tsunami, cataclisma al pari del Giorno del Giudizio.
I capitoli medinesi, più lunghi e con uno stile più chiaro, trattano della condotta da tenere in ogni aspetto della vita: quotidiano, tra musulmani
e non, sul culto e su tutti gli aspetti religiosi. Il loro carattere giuridico, è accomunato alla legge di Mosè nel Vecchio Testamento, dall'Esodo al
Deuteronomio * ricerca su questi passi della Bibbia.
Come l'ebraismo, l'islam è definito una religione della legge, grazie alla quale il musulmano può condurre una vita virtuosa.
3 . I p r i n c i p a l i te m i d el C o r a n o .
Il Corano presenta molti temi affini all'ebraismo e al cristianesimo, collocandosi in questa tradizione. I tre temi principali sono: l'Unico Dio, il Dio
creatore e il Giorno del Giudizio.
a ) L ' U ni c o D i o
Il messaggio centrale del Corano è l'unicità (tawhid) di Dio. Questa dottrina spiega i forti attacchi contro il politeismo arabo del VII sec e contro il
concetto di Trinità del cristianesimo. Dio è indicato anche attraverso i pronomi Io, Noi, Egli e i novantanove "Bei Nomi" che alludono ai suoi
attributi divini. All'inizio di ogni capitolo del Corano (escluso il nono) è presente la formula "Nel nome di Dio il Clemente, il Compassionevole"
che dimostra la sua misericordia verso l'umanità (al-Rahman, il Clemente; al-Rahim, il Compassionevole).
b) Il Dio creatore
Il Corano celebra le meraviglie delle creazioni di Dio (cielo, terra, pianeti, stelle, oceani e le creature), in particolare nel capitolo 55 intitolato Al-
Rahman. Il Corano afferma che gli esseri umani sono stati creati "d'argilla secca di fango impastato" e i jinn da "fuoco ardentissimo".
La massima creazione divina è rappresentata dagli esseri umani, considerati superiori rispetto tutti gli altri spiriti perché Dio soffiò nell'uomo dal
Suo proprio spirito. Dio ordinò agli angeli di prostrarsi e mise Adamo come custode della terra. Satana (Iblis o Shaytan) fu colui che rifiutò di
prostrarsi davanti l'uomo e fu cacciato da Dio e maledetto fino al Giorno del Giudizio e vaga sulla terra come tentatore di esseri umani.
La terra è affidata all'uomo in quanto essere pensante e naturalmente buono; è infatti l'ambiente in cui si trovano a renderli malvagi.
Contrariamente al Nuovo Testamento, non esiste il concetto di peccato originale né di redenzione; ogni essere umano, nel Giorno del Giudizio,
è responsabile delle proprie azioni e l'unica salvezza è la sottomissione a Dio (da questo il significato di muslim). Dio è onnisciente e
onnipresente e la sua collera contro i non credenti è spietata. Il Corano presenta numerose testimonianze del castigo inflitto da Dio alle
comunità che rifiutarono di sottomettersi a lui (es. la tribù araba di Thamud, che ignorò le parole di Salih, profeta inviato per ammonirli).
c) Il Giorno del Giudizio.
Secondo i versi del Corano nel Giorno del Giudizio (l'Ora, il Giorno della Resa dei conti, l'Ultimo Giorno, il Giorno della Decisione, il Giorno della
Resurrezione, il Giorno dell'Assemblea universale) i morti saranno rimossi dalle loro tombe, tutta l'umanità sarà radunata e le azioni di ogni
essere umano saranno pesate su una bilancia. Se le azioni buone sono maggiori saranno collocati alla destra di Dio e saranno ricompensati con
l'ingresso in Paradiso, se le azioni malvage sono maggiori saranno collocate alla sinistra di Dio e saranno trascinati nel fuoco dell'Inferno.
Quando arriverà questo giorno? Il tempo coranico non è cronologico o lineare quindi non si può avere una data precisa, però il messaggio
coranico è focalizzato sull'imminenza del giudizio divino. Questo messaggio suscita timore negli uomini e ammonisce sulla necessità di pentirsi
e rivolgersi a Dio. La salvezza verrà per coloro che si rivolgono a Dio e seguono la retta via obbedendo alle leggi. Come sarà il Giorno del
Giudizio? I numerosi versetti che ne trattano presentano immagini apocalittiche.
Paradiso e Inferno sono raffigurati con forti contrasti. Coloro che credono e compiono buone azioni avranno il diritto di entrare in Paradiso e

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bere dai fiumi di acqua incorruttibile, latte, vino e purissimo miele; ai miscredenti è riservato l'Inferno, in cui berranno acqua bollente che
dilanierà le loro viscere.
4 . P r o f eti e p r o fez i a .
Gli studiosi non musulmani vedono il Corano come una successione cronologica, per l'influenza ebraico-cristiana; ma in realtà sarebbe
necessario sottolineare che le narrazioni di queste religioni sono meno lineari, cronologicamente, di quanto ci vogliano far credere. Il Corano
rappresenta il terzo scritto, dopo il Vecchio e il Nuovo Testamento delle tre religioni monoteiste, originando un confronto tra le tre, soprattutto
per quanto riguarda le storie dei profeti nominati nella Bibbia. Per indicare i profeti, il Corano usa i termini nabi (profeta in senso generale) e
rasul (inviato, apostolo, nel senso di un profeta come porta una scrittura al suo popolo, come Abramo, Mosè e Gesù). Ebrei e cristiani molto
spesso criticano le versioni islamiche delle storie bibliche, considerandole fraintese; in realtà si tratta di leggende comuni a tutte e tre le fedi
abramitiche. Queste narrazioni, provenienti da ebraismo, cristianesimo e da credenze mediorientali, sono definite Isra'iliyyat. Il Corano
presenta moltissime storie dei profeti del Vecchio Testamento, ma in modo differente rispetto la tradizione biblica; però molto dettagli
appartengono alla tradizione ebraica: il Midrash e il Talmud, sono insegnamenti scritti e commentari sacri in cui si ritrovano informazioni di
questo genere. La presenza di figure centrali del cristianesimo (Giovanni Battista, Maria e Gesù) trova origine nei Vangeli del Nuovo Testamento,
nei Vangeli apocrifi e nei dogmi delle sette mistiche gnostiche del Vicino Oriente. Tutti i profeti portano lo stesso messaggio: volgersi all'Unico
Dio per evitare il Suo terribile castigo.
Il Corano, oltre a Muhammad, menziona numerosi profeti noti a ebrei e cristiani: Abramo, Ismaele, Isacco, Giacobbe, Mosè, Giobbe, Giona,
Aronne, Salomone, Davide, etc. Ad eccezione delle narrazioni dedicate a Giuseppe, Mosè e Gesù, gli altri profeti sono nominati in un modo per
cui si debba implicare una certa familiarità con questi personaggi e le loro storie. Per questo il Corano è considerato l'erede delle precedenti
tradizioni monoteiste, in particolar modo quella ebraica.
Il Corano però menziona anche di profeti dell'Arabia pre-islamica che parlarono a tribù allontanatesi dal vero monoteismo, punite
successivamente da Dio.
Abramo è citato in numerosi passi come il fondatore della Ka'ba a Mecca, luogo in cui pregava il figlio di Ismaele. L'islam riprende il
monoteismo abramitico; infatti Abramo è noto nel Corano come hanif, modello di figura che ha raggiunto il vero monoteismo, sostenendo che
è nella natura umana abbracciare dalla nascita un puro monoteismo. La figura dell'hanif è considerata da alcuni studiosi più credibile, mentre
da altri una proiezione retrospettiva dell'Arabia pre-islamica.
a) Giuseppe
Il capitolo 12 è l'unico dedicato ad un solo argomento, in cui si ha una narrazione ininterrotta: la storia di Giuseppe.
La storia riportata nel Corano si differenzia da quella di Vecchio Testamento per alcuni aspetti. Giuseppe viene gettato in un pozzo dai fratelli
invidiosi, e preso da una carovana di passaggio, che in seguito lo vende in un paese ad un sovrano (nella Bibbia Putifarre) e a sua moglie
(Zuleika) i cui nomi non sono specificati. Lei tenta di sedurlo ma Giuseppe tenta di sfuggirle, e mentre corre verso la porta Zuleika gli strappa la
tunica, ma sulla porta è presente il marito. Zuleika incolpa Giuseppe, ma dato che la tunica si presenta strappata sul retro non viene incolpato.
Per questa azione il marito la obbliga a chiedere perdono, ma più tardi in città hanno inizio una serie di pettegolezzi sulla moglie del sovrano e
sulle sue azioni, per questo inviterà le donne ad un banchetto. Giunte al banchetto Zuleika dà un coltello ad ognuna di loro e dopo aver visto
Giuseppe si procurarono dei tagli alle mani, considerandolo non un uomo ma un angelo sublime. Giuseppe, in prigione, interpreta i sogni ed è
descritto come un uomo ricco di virtù che segue la religione dei padri (Abramo, Isacco e Giacobbe). Appare come un uomo timorato di Dio.
b) Mosè
A Mosè è dedicata una particolare attenzione nel Corano, è infatti nominato in 136 punti diversi. La maggior parte dei riferimenti a lui è
presente nei capitoli medinesi, quando Muhammad è in contatto con gli ebrei della città. Nel Corano gli accenni a Mosè presentano rifermenti
al Vecchio Testamento. Il modo in cui egli è aiutato da Dio nella sua missione preannunciano la missione di Muhammad.
La sorella cerca di crescerlo e fa in modo che sia la vera madre a nutrirlo. In seguito, egli si recherà dal Faraone per diffondere in suo messaggio
profetico, ma viene accusato di “magia evidente”, come lo sarà in futuro Muhammad. Mosè trasforma in suo bastone in un serpente e fa
diventare la sua mano bianca. Dio libera Mosè e i Figli di Israele facendoli fuggire attraverso il Mar Rosso, ove annegherà il Faraone con il suo
esercito. Nel deserto Mosè trascorre 40 giorni in solitudine e gli vengono mostrati numerosi miracoli (alla sua richiesta di ricevere dell’acqua
Dio gli ordina di colpire con il suo bastone la roccia, dalla quale sorgono dodici sorgenti d’acqua. Mosè è presentato come un monoteista. La sua
storia è illustrata a Muhammad allo scopo di rassicurarlo.
c) Maria, la madre di Gesù
Maria viene menzionata ogni qualvolta viene nominato Gesù (Isa b. Maryam, Gesù figlio di Maria). Maria è definita al-Adhra (la Vergine), colei
che obbedisce a Dio, l’onesta servitrice di Dio, una severa sostenitrice della verità. Rappresenta l’esempio femminile principale del Corano e
l’unica che viene nominata per nome. I tre episodi cruciali che sono narrati della sua vita sono: la nascita e l’educazione, l’Annunciazione e la
Natività di Gesù.
Maria viene consacrata a Dio dalla madre ancor prima della sua nascita. Alla sua nascita, Dio la accoglie con benevolenza rendendo virtuosa la
sua crescita. Viene affidata alla tutela di Zaccaria, al Tempio di Gerusalemme, il quale resta colpito dal fatto che è sempre rifornita di cibo
direttamente da Dio. Il capitolo 19 (Surat Maryam) tratta dell’Annunciazione. Ella si ritira in una località orientale ove è visitata dallo spirito di
Dio sotto le sembianze di un uomo perfetto, per donarle “un bambino puro”. Ella si chiede come sia possibile avere un bambino senza aver
avuto rapporti; ma l’angelo, mai nominato, la rassicura dicendole che è una questione di facile soluzione. Nel periodo del travaglio, i dolori la
guidano verso una palma e sopraffatta dai dolori grida. Gesù le parla dicendole di non essere triste e le suggerisce di scuotere la palma affinché
cadano i datteri e di abbeverarsi alla fonte indicatale. Tornata dalla sua gente, viene rimproverata di aver commesso un atto mostruoso; ma
Gesù interviene rivelandosi come profeta alla sua gente.
La storia della Natività coranica è differente rispetto quella predicata dai Vangeli e dal Nuovo Testamento. Dal modo in cui la sua storia è
raccontata è chiaro che gli ascoltatori di Muhammad la conoscevano già; infatti non vi è alcun racconto esteso su di lei, ma è detto il minimo
per presentarla come una persona straordinaria e quindi degna di essere la madre di Gesù. Qui è ritratta come una donna straordinaria,
virtuosa e pura; ma non vi sono riferimenti alla stella di Betlemme, all’arrivo dei pastori, all’adorazione di Magi o alla presenta di Giuseppe.
d) Gesù

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Non gli è attribuito un padre terreno, è l’ultimo profeta prima di Muhammad e gli è attribuito il titolo di Messia (al-Masih). È un inviato di Dio,
ma viene deriso dalla gente. Nel Corano conferma la Torah (i cinque libri di Mosè) e porta il Vangelo; attendendo il suo successore, citato nei
versetti come Ahmad. Ahmad, significa Lodato e proviene dalla stessa radice di Muhammad, un’allusione al Profeta. La figura di Gesù è
strettamente legata a quella di Maria; infatti insieme sono considerati un segno divino. Gesù è chiamato anche “La Parola che proviene da Dio”;
poiché a portarlo in vita fu un ordine divino e non l’intervento di un padre terreno. In questa locuzione si trova un riferimento cristiano dal
capitolo primo del Vangelo di san Giovanni nel Nuovo Testamento.
Nonostante la grande venerazione che si ha verso di lui, alcune dottrine cristiane sono fortemente negate: Gesù non è figlio di Dio, non è parte
della Trinità e gli è negata la crocifissione; suscitando un ampio dibattito tra gli studiosi.
Ma [gli ebrei] non lo hanno ucciso, non lo hanno crocifisso, qualcuno è stato reso simile a lui ai loro occhi.

Secondo l’interpretazione comune, Gesù non fu ucciso. Egli era un profeta e qualcuno è stato crocifisso al suo posto. Successivamente si
trovato numerose versioni della sua crocifissione; tra queste notiamo anche quella di Giuda Iscariota.
e) Muhammad
Il Corano è collegato agli avvenimenti della vita di Muhammad, anche se con esso non è possibile impiegarlo come fonte biografica. Egli è
inserito in una linea di profeti, ma rappresenta l’ultimo di Dio, il quale lo annuncia e lo loda. Il Corano è motivo di conforto nei momenti di
dubbio. Egli è un mortale a cui sono associati eventi miracolosi. Nel Corano sono menzionate molte figure vicine al profeta: Zayd (il figlio
adottivo), le sue mogli e gli eventi che accaddero durante la sua vita.
5 . Re c i ta z i o n e e l ett u r a d e l C o r a n o .
La società di Muhammad aveva consolidate tradizioni poetiche e narrative tramandate oralmente, basate sul ricordo delle gesta degli antenati,
davanti ad un pubblico in grado di apprezzare e criticare. Era naturale quindi pensare che il Corano fosse recitato prima di essere trascritto,
durante la vita del Profeta. È dimostrabile da alcuni versetti contenuti nel Corano, in cui Dio ordina frequentemente a Muhammad di recitare le
sue rivelazioni (inizio del cap. 112, cap. 96 -il capitolo che si ritiene rivelato per primo-, cap. 53 che accenna alla prima rivelazione trasmessa a
Muhammad attraverso l’angelo Gabriele).
a ) Re c i ta z i o n e
La recitazione del Corano esercita un forte impatto sui credenti, come attestano le fonti musulmane. Numerose tradizioni (hadith) registrano la
bellezza del suono sacro. La recitazione del Corano è un’abilità molto apprezzata e si ritiene che apporti benefici spirituali e fisici. La sua lettura
porta ad una dimensione fortemente musicale e provoca forti sentimenti. La recitazione è parte fondamentale del culto islamico; per esempio
durante il ramadan e il pellegrinaggio. I più rinomati sono i recitatori dell’Egitto e dell’Indonesia.
Ventinove capitoli iniziano con singole lettere dell’alfabeto, recitate come parte integrante del testo; altri iniziano con una singola lettera; i
capitoli 19 e 42 hanno una serie di cinque lettere. Non si conosce esattamente in significati di queste lettere, alcuni ritengono che siano le
iniziali dello scriba mentre altri gli attribuiscono unicamente un carattere mistico.
Il musulmano comune abitualmente conosce e recita il Corano a memoria. Gli hafiz (coloro che conoscono l’intero testo a memoria) sono molto
rispettati. Nelle prigioni dell’Arabia Saudita e di Dubai, secondo antiche tradizioni, viene riservata una riduzione della pena a coloro che
conoscono integralmente o in parte il testo scaro.
b) Leggere il Corano
Il Corano è un libro breve, ma è di difficile comprensione. Non si tratta di un testo leggibile con superficialità, ma deve prevedere un’accurata
analisi dei singoli versetti per comprendere a fondo il significato. Il testo sacro è stato studiato e commentato da studiosi musulmani, grazie ai
quali dovrebbe essere più semplice evitare preconcetti e opinioni.
6 . S to r i a d e l te sto .
Vi sono numerose teorie riguardo la stesura del Corano:
a ) L a vi s i o n e t r a d i z i o n a l e m u s u l m a n a
La rivelazione di Dio non avvenne in una volta sola ma in forma orale e discontinua. Alcuni tratti vennero scritti durante l’esposizione di
Muhammad ai suoi Compagni e custoditi dalle famiglie. Di altri passi venne mantenuta inizialmente un’esposizione orale, legata alla tradizione
di recitazione delle poesie. Data la forte tradizione orale, è semplice comprendere il motivo per cui i musulmani credano che la tradizione orale
abbia potuto preservare il testo coranico.
La dottrina musulmana, sostiene che Muhammad non sapesse leggere e scrivere e che recitava ciò che udiva nei momenti rivelazione.
Secondo alcune tradizioni, il testo coranico in forma tradizionale fu raccolto dai tempo di Abū Bakr. Una versione più comune, sostiene che il
terzo califfo ‘Uthman riunì varie versioni del Corano e grazie a vari personaggi (lo scriba di Muhammad, Zayd ibn Thabit, e persone vicine al
Profeta) elaborarono un testo definitivo. L’esistenza di una versione canonica rafforzò il sentimento della neonata comunità; e le prime versioni
del Libro Sacro caddero in disuso.
Ci fu un importante dibattito nel Medioevo sull’origine del Corano: è “creato” o “increato”? Nel IX sec. il califfo al-Ma’mun sosteneva la dottrina
del “creato”; altri sostennero l’”increato”. Il punto di vista di questi ultimi fu adottato dai sunniti.
b ) G l i st u d i m o d e r n i
Il più importante monumento dell’islam delle origini è la Cupola della Roccia di Gerusalemme (692 d.C.), costituita da 240 m di iscrizione
coranica. Queste testimonianze vengono citate dallo studioso svizzero M. Van Berchem nel 1927, ma gli studiosi del Corano non le citano,
mentre molti orientalisti le hanno ignorate.
Nel solaio della grande moschea di San’a’ in Yemen, presenta un deposito di migliaia di frammenti coranici databili nel VIII o VII sec. Tuttavia,
dalla loro scoperta nel 1972, tali frammenti hanno fornito rare informazioni pubbliche. Pare che esista una testimonianza (su pagine isolate del
Corano scritte su papiro, monete ed epigrafi su edifici) di un testo coranico risalente a meno di un secolo dalla morte di Muhammad (dati
ottenuti con la misurazione al carbonio-14).
A partire dal periodo di massimo splendore della scuola orientalistica tedesca (XIX sec.), il Corano è stato studiato con lo stesso metodo dei testi

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biblici. Dagli anni settanta, sono stati condotti vari studi (mai accettati dalla comunità musulmana) sulle origini del Corano, sul luogo e il tempo
della sua stesura, impiegando fonti non musulmane. Wansbourgh, fondò una scuola “critica” al Corano, sostenendo che divenne il libro
canonico dalla fine del VIII sec.
Alcuni studiosi musulmani cercarono nuovi metodi di interpretazione del Corano e di studio della sua storia.
L’egiziano Nasr Hamid Abu Zayd, condusse degli studi legati al tempo della rivelazione del Corano, sostenendo che alcuni passi dovessero essere
contestualizzati nella vita di Muhammad. Lo studioso venne dichiarato apostata e costretto a rifugiarsi in Europa
Numerose questioni sollevate dagli studiosi occidentali circa il Corano, non intaccarono il rispetto che i musulmani nutrono per il Libro; tuttavia
la concezione occidentale di sezionare il testo in cerca di una comprensione storica è considerata un insulto da molti musulmani, perché si
concentra sui dettagli e non sul significato integrale.
7 . Tr a d u z i o n e d e l C o r a n o .
Lo studio della Bibbia si protrasse a lungo prima che le versioni originali ebraiche, aramaiche e greche, fossero tradotte in latino, nelle altre
lingue europee e per gli anglofoni. Le traduzioni del Corano sono giunte più lentamente. La prima esistente in Europa fu in latino, tradotta dallo
studioso inglese Roberto di Ketton nel 1142. I musulmani, però, sostengono che il testo sia intraducibile: fu rivelato al mondo in arabo e
qualsiasi traduzione non può essere che interpretazione delle scritture. Questo concetto è trattato da Marmaduke Pickthall nell’introduzione
alla sua traduzione del Corano, sostenendo che “nessuna scrittura è interpretata correttamente a chi non crede nel suo messaggio”.
Questa sua affermazione è valida per le prime traduzioni in latino, poiché i traduttori miravano a dimostrare la falsità del messaggio coranico;
ma non è applicabile alle traduzioni recenti.
Lo studio di Arberry venne criticato per esserci eccessivamente allontanato dalla traduzione letterale, ma comunque comunica la magnificenza
dell’originale.
La traduzione del Corano in lingua contemporanea risulta complessa, perché la maggior parte degli occidentali hanno perso il senso dei
concetti come “proibito” (haram) e “lecito” (halal).
Molti credenti sostengono che le traduzioni non possano essere impiegate nelle liturgie e nelle celebrazioni; il suono della recitazione è sacro,
quindi solo una versione in arabo è valida. Le traduzioni letterali in persiano erano già note dal X, XI sec.; la prima traduzione stampata in turco
ottomano fu realizzata da un tipografo armeno (non musulmano) nel 1726. Per le traduzioni in altre lingue (cinese, urdu, malese) fu necessario
attendere più tempo. La prima traduzione, apprezzabile, in inglese del 1732 rassicurava i lettori di non temere niente da questa manifesta
falsificazione.
Nel 1933 fu presa una decisione di grande rilevanza dall’intellettuale riformista Mahmud Shaltut, il quale affermava che la traduzione del
Corano sarebbe stata utile anche ai non musulmani e che comunque conteneva la parola di Dio. La traduzione attualmente è necessaria perché
nel mondo vi sono numerosi musulmani che non conoscono l’arabo. Le traduzioni realizzate dai musulmani risultano estremamente letterali e
conservano alcuni concetti e parole fondamentali in arabo, per questo motivo sono di difficile comprensione.
Nei paesi scandinavi, ove l’islamismo è un fenomeno innovativo, le traduzioni non sono ancora accurate. Per esempio, la prima edizione del
Corano tradotta in Rumeno risale al 2006.
8. Il Corano oggi.
Rappresenta una guida per ogni aspetto della vita e viene recitato spesso, in particolar modo nei momenti difficili. Si ritiene che alcuni
capitoli abbiano specifici benefici, per esempio il 36 è recitato per coloro che sono in punto di morte e da chi desidera il favore divino. Insegna a
mostrare gentilezza ai genitori, ai bambini e agli orfani. Le numerose regole hanno un carattere spirituale e si colloca in una dimensione
quotidiana. Bisogna obbedire alle proibizioni circa l’assunzione di alcool, carte suina, la purezza spirituale, il matrimonio, il divorzio e l’eredità e
altri importanti aspetti.
a ) L o sta t u s s a c r o d e l C o r a n o
La devozione del Corano, oggi, è di gran lunga superiore rispetto quella che i cristiani hanno nella Bibbia. Il Corano è insegnato nelle scuole con
un metodo di trasmissione orale: l’insegnante dopo aver recitato un passo ascolta i bambini che lo ripetono e corregge gli errori. Questo studio
mnemonico da notevoli risultati nell’apprendimento.
La sacralità del Corano è rispettata quotidianamente: non deve essere poggiato sul pavimento, ma è avvolto in un lembo di stoffa pulito e
collocato i un posto alto della stanza, sopra la testa. Il suo tocco dovrebbe avvenire sono nel caso in cui il musulmano si trova in una condizione
di purezza spirituale.
Essendo un libro spirituale non ha un ordine tematico, presenta varie interpretazioni ma non contiene le risposte ai problemi che i musulmani
devono affrontare (nel mondo contemporaneo: le piante geneticamente modificate, lo studio circa le cellule staminali; nel mondo antico: la
guida della comunità islamica). Riguardo la guida della comunità islamica, vi sono numerose controversie e un profondo disaccordo tra sciiti e
sunniti.
Fin dall’antichità sono stati prodotti numerosi dotti commentari che avevano il compito di esaminare frasi oscure e spiegare specifici versetti.
Tuttavia, alcuni suoi spetti restano sconosciuti.
b ) L i n g u a , s c i e n za e a r te
La lingua impiegata nel Corano divenne la base dell’arabo classico: letterario e parlato. Citazioni del testo sacro sono comuni nella letteratura,
nella lingua quotidiana e nella politica.
Il Corano è considerato come una forza invisibile che accomuna i musulmani di ogni ceto sociale. Questo potere unificatore, ha origine nel XX
sec. quando gli Arabi si trovarono sottoposti ai turchi ottomani. In questa condizione sia Arabi musulmani che cristiani riconobbero il potere
unificante del Corano.
Per la maggior parte dei musulmani è compatibile con la scienza moderna, in quanto si tratta di due esperienze diverse. Altri, invece,
sostengono che le teorie scientifiche moderne sono presenti nel Corano. Sono stati numerosi i tentativi di rendere il Corano la base del
fondamento delle leggi islamiche, come il Malesia.
Le sue citazioni rappresentano un motivo decorativo molto diffuso (su monumenti, muri, pulpiti, moschee, madrasa e mausolei, su tombe es.
India e su armature medievali). Nella moschea il Corano è posto su un leggio accanto al mihrab (nicchia che indica la direzione della Mecca).
Sin dall’antichità assistiamo ad una vasta produzione di manoscritti redatti con calligrafie eleganti, dalla calligrafia angolare kufica e nella
calligrafia corsiva. Nessuna religione usa più la scrittura sacra in maniera così sontuosa e ricca come l’islam.
9 . “ U n ’ i n i m i ta b i l e s i n fo n i a ”.

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È comune per i non musulmani accostare il Corano alla Bibbia. Le tre religioni monoteiste condividono aspetti simili riguardo la fine dei tempi e
molte storie dei profeti. Tra l’islamismo e l’ebraismo ci sono notevoli affinità riguardanti il monoteismo assoluto e l’importanza della purezza
spirituale; tuttavia la missione profetica di Muhammad si allontana dalla fede ebraica, in quanto gli ebrei medinesi lo respinsero. Allo stesso
modo troviamo grandi affinità con il cristianesimo: la Verginità di Maria e la missione profetica di Gesù; però viene rifiutato il credo in Gesù e la
dottrina della Trinità.
Il Corano appare in un preciso momento e luogo, perciò riflette l’Arabia del VII sec., società in cui Muhammad ebbe una fortissima
influenza innovatrice. Al testo si può dare un’interpretazione su numerosi livelli; come considerazioni legate al periodo storico che permette di
avere ulteriori informazioni sulla società araba del VII sec. Il Corano è per i musulmani una guida indispensabile che consente di riflettere su
questa e sulla prossima vita, dandogli un carattere dottrinale, etico e sociale. Che i seguaci dell’islam siano in grado o meno di comprendere la
lingua araba desiderano ascoltare la lettura del loro testo scaro in lingua originale, per la forza che gli trasmette il suono.
CAPITOLO TERZO
IL CREDO
Secondo la tradizione musulmana, dopo la morte di Muhammad, fu dato rilievo agli aspetti fondamentali della vita religiosa, definendo
l’adorazione di Dio e il rafforzamento dell’identità comune.
I doveri (‘ibadat) sono i cinque pilastri (arkan): la professione di fede, la preghiera, l’elemosina, il digiuno e il pellegrinaggio. [In alcuni periodi
venne inclusa la jihad come “sesto pilastro” senza mai radicarsi nella consapevolezza musulmana.] L’osservanza dei pilastri costituisce un
obbligo assoluto; l’adesione rappresenta una gioia e conferisce un profondo significato alla vita. I dettami sulla loro osservanza, sono definiti nei
libri di giurisprudenza islamica scritti nel IX sec.
1 . I l p r i m o p i l a st r o d e l l ’ i sl a m : l a p r o fe s s i o n e d i fe d e . [ S H A H ᾹᾹ DA ]
È il più importante pilastro: “Attesto che non vi è divinità all’infuori di Dio e attesto che Muhammad è l’inviato di Dio” (rasūl Allhāh). Questa formula è
pronunciata tre volte, davanti a testimoni, quando una persona desidera diventare musulmana, sottomettendosi a Dio.
Viene pronunciata la SHAHᾹᾹDA all’inizio delle preghiere quotidiane. È costituita da due parti:
 PRIMA PARTE: “attesto che non vi è divinità all’infuori di Dio”; rappresenta l’assoluto monoteismo. Questo messaggio era diretto ai
corregionali arabi (molti politeisti) e ai cristiani. Lo shirik è il peccato di sostenere che Dio non sia unico. Tale asserzione è riferita agli
arabi pagani, che veneravano le tre dee meccane (“le figlie di Allāh”), onorate presso il santuario della Ka‘ba; e ai cristiani che
sostengono la Trinità e la divinità di Gesù.
 SECONDA PARTE: attesta e conferma la missione profetica di Muhammad. In Arabia, fu ridicolizzato dai connazionali pagani, e solo
alcuni ebrei accettarono il messaggio da lui predicato. Dopo la sua morte, anche i cristiani misero in dubbio la rivendicazione di
Muhammad di essere un profeta.
Dal punto di vista cristiano la prima parte è accettata, in quanto attesta il monoteismo, mentre la seconda parte è ritenuta ostile.
L’unicità di Dio (tawhīd) è di importanza fondamentale. Attribuire a Gesù lo status di divinità è considerato un peccato. L’unicità di Dio è
condivisa dall’ebraismo: è un messaggio rivelato a Mosè sul monte Sinai sotto forma del primo comandamento “non avrai altri dei al di fuori di
me”; mentre nel Corano è espresso nella sūra 112:
Di’: “Egli, Dio, è uno,
Dio l’eterno,
non ha generato, non è generato,
non c’è nessuno pari suo” (112: 1-4)

La frase: “non vi è divinità all’infuori di Dio”, è quella più comune nelle iscrizioni arabe: è presente nelle nicchie che indicano la direzione della
Mecca e fu incisa nelle monete coniate da dinastie musulmane.
Il messaggio della shadāda è stato spiegato, attraverso testi dottrinali, da numerosi studiosi musulmani. La sua importanza è stata
riassunta dallo studioso musulmano Muhammad ibn Yūsuf al-Sanūsī, che sostiene che la seconda parte racchiuda anche la fede nei poeti
precedenti. Lo studioso al-Ghazālī, sostiene che le due parti dello shahāda debbano essere recitate insieme e che non sia valida se “non è
accompagnata dalla testimonianza nei confronti dell’inviato, nella frase “Muhammad è l’inviato di Dio”.
Come si pronuncia la shadāda? Deve essere esercitata al meno una volta nella vita e deve essere memorizzata perfettamente e recitata ad
alta voce, comprendendone a pieno il significato. Rappresenta la forza e la validità perenni, in ogni tempo e luogo e sprona l’umanità a
concentrarsi sull’Unico Dio.
Il monoteismo rappresenta un tema fondamentale dell’islam, ed è racchiuso nella shahāda, dogma che permea tutti gli altri pilastri dell’islam.
2 . I l s ec o n d o p i l a st r o d e l l ’ i s l a m : l a p r e g h i e r a . [ S A L ᾹᾹ T ]
La preghiera è il secondo più importante pilastro dell’islam. I movimenti prescritti (salāt) rappresentano la sottomissione nei confronti di Dio e
le parole recitate ricordano gli obblighi verso di Lui. La frequenza e regolarità garantiscono che non venga dimenticato il significato più profondo
nonostante le preoccupazioni terrene. La preghiera comune rafforza il legame tra i musulmani di tutto il mondo, i quali trovano conforto in un
rituale familiare.
“Pregare ed essere musulmani sono sinonimi” (proverbio musulmano), il numero di volte che i musulmani sono tenuti a pregare ogni giorno, fa si
che la preghiera sia il rituale centrale nella loro adorazione; nell’eseguire la preghiera devono ricordarLo, allontanandosi dai trambusti terreni.
Il rituale della preghiera, viene eseguito a partire dalla pubertà; ma questa pratica è incoraggiata a partire dai sette anni.
Si distinguono due tipi di preghiera: la preghiera intima (du ‘ā’), legata al singolo individuo, può avvenire in qualsiasi momento e non è legata a
movimenti del corpo e la preghiera rituale (salāt) eseguita cinque volte al giorno, in arabo e a precisi movimenti del corpo.
a ) L a p u r i tà r i t u a l e n e l l a s a l ā t
Prima di eseguire la preghiera, per i musulmani è essenziale raggiungere uno stato di purità rituale (tahāra), altrimenti non è considerata valida.
In ogni moschea sono presenti fontane e lavabi per le abluzioni. Secondo le regole prima di pregare devono fare un’abluzione: o minore o
maggiore. L’abluzione minore (wudū) consiste nel lavare il viso, braccia e gambe fino ai gomiti e i piedi con acqua corrente e frizionare i capelli
con acqua. Nel caso siano avvenuti rapporti sessuali o bisogni fisiologici impuri è necessaria l’abluzione maggiore (ghusl). Essa consiste nel
lavaggio dell’intero corpo, compresi l’interno della bocca e il naso. Le donne sono considerate impure durante il ciclo mestruale, al termine del

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quale devono effettuare l’abluzione maggiore; lo stesso vale per le donne, fino a quaranta giorni dopo il parto.
Le condizioni per eseguire la salāt sono: la cura della propria igiene personale e l’attenzione ai propri abiti. Gli uomini devono essere coperti
dall’ombelico alle ginocchia e la donna deve essere interamente coperta tranne viso e mani. Il pavimento su cui si esegue il rituale deve essere
pulito (da qui l’uso frequente di tappeti nelle moschee). Se non è disponibile l’acqua per le abluzioni si sostituisce con la sabbia, in ricordo dei
primi musulmani che vissero nel deserto. La procedura dell’abluzione evidenzia la dimensione spirituale della salāt e permette ai musulmani di
purificare il proprio animo. Il significato spirituale delle abluzioni è sottolineato anche da al-Ghazālī, che sostiene che non debbano essere
azioni superficiali. Egli specifica che debbano essere recitate determinate preghiere nelle singole fasi dell’abluzione.
b) Esecuzione della salāt
L’esecuzione deve avvenire verso la Ka ‘ba a Mecca; questa direzione (qibla) è indicata nelle moschee dalla nicchia chiamata mihrāb. nel caso in
cui per la preghiera non ci si trovasse in moschea e si sbaglia a individuare la corretta direzione, la preghiera sarebbe comunque gradita per la
buona intenzione. I cinque momenti del giorno dedicati alla preghiera sono: alba, mezzogiorno, metà pomeriggio, tramonto e sera; e sono
annunciati alla comunità dal muezzin nel minareto. Le parole di invito alla preghiera (adhān) sono recitate in arabo e udite cinque volte al
giorno ovunque vivano i musulmani.
Dio è più grande [quattro volte]
Attesto che non vi è divinità all’infuori di Dio
Attesto che Muhammad è l’inviato di Dio
Affrettatevi alla preghiera (salāt) [due volte]
Affrettatevi verso la salvezza [due volte]
Dio è più grande [due volte]
Non vi è divinità all’infuori di Dio.

“la preghiera è meglio del sonno” è la frase aggiunta alla quinta riga nella preghiera dell’alba. Tra gli sciiti “ Testimonio che ‘Alī è l’amico di Dio” è recitata due
volte dopo la terza riga; e recitano “affrettatevi alla migliore delle opere” dopo la sesta riga.
È preferibile che le preghiere siano eseguite con altri musulmani in mosche, però da quanto affermato dal profeta tutto il mondo è una
moschea, pertanto si può pregare in qualsiasi luogo. Le donne posso pregare in moschea, in uno speciale loggione separato e destinato alla loro
preghiera o in una parte della moschea dedicata al loro uso esclusivo, altrimenti nella propria abitazione.
Non si può venir meno all’obbligo di preghiera di cinque volte al giorno; nel caso non venga recitata si dovrebbe recuperare successivamente;
nel caso sia in viaggio è consentito unire le preghiere di mezzogiorno e del pomeriggio e quelle della sera. Coloro che vivono in zone in cui le
ore di luce cambiano con le stagioni (Russia settentrionale, Scandinavia), sono autorizzati ad apportare modifiche.
Durante la preghiera il fedele si trova a diretto contatto con Dio. Nell’islam non sono presenti sacerdoti a svolgere le funzioni. Solo la preghiera
del venerdì in moschea (a cui gli uomini sono tenuti a partecipare) è guidata da un imām, dietro al quale sono disposti i fedeli. L’imām è rivolto
verso il mirhāb, ed esegue una serie di movimenti ripetuti dai musulmani dietro di lui. Nel caso il numero dei fedeli sia molto alto altri imām si
trovano su piattaforme rialzate in modo che tutti i fedeli possano seguire i movimenti stabiliti. Questa sincronia nel movimento rituale è
metafora di unità e fratellanza.
c ) L a s e q u e n za d e l l a p r e g h i e r a
I movimenti (rak ‘a, pl. Raka ‘āt) si eseguono distendendo le mani, stando in posizione eretta, inchinandosi, sedendosi sui talloni,
inginocchiandosi e ponendo la fronte a terra. I movimenti che svolgono, rappresentano la fede verso Dio. La posizione eretta, rappresenta una
posa solenne di fronte a Lui, che l’umanità dovrà tenere nell’Ultimo Giorno; l’inchino è per cercare il perdono; la prostrazione è un atto di
adorazione. Il numero di kak ‘a differisce il base al momento della giornata: due all’alba, quattro a mezzogiorno, a metà pomeriggio e al calar
della notte e tre al tramonto. Vi sono delle raka ‘āt obbligatorie e altre omettibili nel caso si sia in viaggio, si sia malati o perché non le si voglia
eseguire. Ogni kak ‘a ha inizio con la formula Allāhu Akbar (Dio è più grande), seguita dalla recitazione del primo capitolo del Corano (Fātiha),
recitata in posizione eretta. Nelle prime due rak’ a sono pronunciati altri versetti seguiti da “Dio è più grande” (takbīr). All’inchino, viene
ripetuto silenziosamente “Sia glorificato il Signore l’Eccelso”; e poi nella posizione eretta “Dio ascolta colui che Lo loda” a cui segue “Nostro
Signore, a Te la lode”. Poi viene pronunciato il takbīr, si prostrano e recitano “Sia glorificato il mio Signore, l’Altissimo”.
Si tratta di una descrizione sintetica che presenta anche numerose varianti, prescritta dalle quattro maggiori scuole sunnite di legge islamica.
L’obiettivo principale è dimostrare che la preghiera sia un rituale costituito da movimenti e invocazioni, la cui ripetizione è essenziale.
d ) G i o r n i s p e c i fi c i d i p r e g h i e r a
Il Profeta scelse il venerdì come giorno di preghiera. Per contrassegnare questo giorno, gli uomini adulti, sani, sono tenuti a partecipare alla
preghiera collettiva di mezzogiorno in moschea. Prima dell’inizio della preghiera, l’imām pronuncia un sermone (khutba)che può contenere
temi politici o sociali, sul gradino più alto del pulpito.
Il calendario religioso, prevede la recitazione di specifiche preghiere in specifiche occasioni, come le due festività annuali: la ‘id al-fitr nel mese
del ramadān e il 10 di dhū l-hijja, il mese del pellegrinaggio. Vi sono preghiere dedicate alle cerimonie per i defunti, preghiere per l’invio della
pioggia e preghiere notturne recitate su base volontaria.
3 . I l te r zo p i l a st r o d e l l ’ i s l a m : l ’e l e m o s i n a [ ZA K ᾹᾹ T ] .
La dottrina distingue due tipi di elemosina: elargizioni volontarie (sadaqa) e obbligatorie (zakāt). L’elemosina pare che sia nata come atto
volontario di compassione, sviluppato successivamente come obbligatorio. Il suo pagamento ricorda ai musulmani che ciò che essi possiedono
è dato in prestito da Dio. Donare parte della loro ricchezza è un modo per ringraziare Dio e per purificarsi dall’avidità. A livello comunitario,
rafforzano la solidarietà sociale. La generosità delle proprie ricchezze è prescritta dal Corano; che raccomanda di eseguire questo atto in
segreto. Chi non esegue il pagamento della zakāt sarà sottoposto a terribili punizioni nel Giorno del Giudizio.
a ) L a p r a ti c a t r a d i z i o n a l e
Nel capitolo 2 viene fatta menzione circa l’obbligo di pagare la zakāt. Ulteriori informazioni riguardo al suo pagamento sono presenti negli
ahādīth, i libri di giurisprudenza islamica. Riguardo coloro che devono ricevere questa elemosina, ci si basa sul versetto 9:60. Il versamento
deve avvenire nei confronti dei bisognosi, da parte dei musulmani adulti, in buona salute e con un’adeguata disponibilità di ricchezza.
Coloro che hanno un reddito superiore alla quota stabilità devono versare una quota fissa in aiuto degli ingenti. Coloro che non ne hanno
disponibilità economica sono esentati da questo pagamento, basando la tassazione su un criterio di equità.

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Il suo pagamento deve avvenire solo se si ha avuto possesso per un bene per un intero anno lunare. Un tempo la donazione dei propri averi alle
condizioni economiche e sociali del tempo: ci si basava infatti sull’agricoltura, sull’allevamento, sull’oro, argento e metalli preziosi.
b ) L a p r a ti c a m o d e r n a
Le disposizioni contenute negli ahādīt non sono più applicabili, in quanto non attinenti alla vita nelle città; nemmeno gli ebrei seguono le
prescrizioni dettagliate circa i sacrifici descritti nel Pentateuco.
Attualmente la quota elargita da un musulmano sunnita deve essere pari al 2,5 % della sua ricchezza per anno lunare. Gli sciiti duodecimali,
pagano il khums, pari a un quinto del proprio reddito. L’obbligo del pagamento è basato sul versetto 8:41 del Corano “E sappiate che, qualunque
sia il vostro bottino, un quinto spetta a Dio e al Suo messaggero e ai parenti di lui, agli orfani, ai poveri, ai viandanti” .
Il pagamento delle tasse (obbligo della legge) e la zakāt (per i bisognosi), sono distinte. Il pagamento della zakāt avviene spesso nel mese del
digiuno, poiché credono che la ricompensa per le buone azioni svolte in questo mese siano maggiori.
Oggi è versata su base volontaria ed è questione di coscienza individuale. Attualmente è raccolta da esattori che provvedono alla ridistribuzione
nel modo più appropriato. Nei paesi a maggioranza islamica (Arabia Saudita, Pakistan) il pagamento è obbligatorio ed è raccolto da un sistema
definito dallo stato. Nei paesi a predominanza islamica (Giordania, Kuwait, Bahrein, Libano) l’erogazione è volontaria ma è regolata dallo stato.
4 . I l q u a r to p i l a st r o d e l l ’ i s l a m : i l di g i u n o [ S AW M ] .
Ogni anno, per il mese del ramadān, il nono del calendario islamico, il digiuno è osservato da tutti i musulmani del mondo. Non è visto come un
obbligo rituale ma come un atto di profondo significato religioso. Si ritiene che le benedizioni siano più vicine che negli altri mesi e che,
nonostante il disagio fisico, si riscontrino grandi benefici. Vivono questo momento con una grande gioia e sentono che i loro corpi sono
purificati. Soffrendo la fame e la sete, si identificano con i milioni di persone che ogni giorno vanno a letto digiuni.
a) Le origini del sawm
La pratica del digiuno era già nota ai politeisti dell’Arabia “ Voi che credete, vi è prescritto il digiuno come è stato prescritto a quelli prima di voi affinché
temiate Dio” (2:183). Muhammad, nel corso dei viaggi a nord di Mecca per la moglie Khadīja, ebbe contatti con eremiti cristiani che tra le pratiche
spirituali inserivano il digiuno. Inoltre, conosceva i racconti sul profeta ebreo Mosè, che rimase sul monte Sinai per quaranta giorni senza acqua
né cibo; e su Gesù, che si ritirò nel deserto per lo stesso periodo. Nella tradizione semitica, il numero quaranta è utilizzato nel significato di
“molti”. Secondo la tradizione, dopo l’emigrazione a Medina, Muhammad stabilì come giorno del digiuno il Giorno ebraico dell’espiazione; in
seguito venne annunciato che sarebbe avvenuto per l’intero nono mese del calendario lunare. La scelta fu lungimirante, perché si trattava del
mese destinato alla tregua nel periodo pre-islamico. Secondo la tradizione, nel 610, fu durante una delle ultime 10 notti che il Corano discese
interamente nell’animo di Muhammad. Attualmente è celebrata il 26 o il 27 ed è considerata la più santa del calendario.
b ) L a p r a ti c a d e l s a w m
Il digiuno è regolato da dettami precisi: ogni persona adulta in buona salute deve digiunare per le ore di luce dell’intero mese. Sono esentati gli
anziani (non è indicato un limite di età), i bambini (fino al raggiungimento della pubertà), coloro che intraprendono un viaggio, coloro che
svolgono un lavoro faticoso, le donne in gravidanza e in allattamento e le donne durante le mestruazioni. Gli adulti che non possono digiunare
devono rimediare in un secondo momento per lo stesso numero di giorni o provvedendo al sostentamento di una persona indigente.
Il digiuno prevede un’astinenza da tutti i piaceri (mangiare, bere, fumare, avere rapporti sessuali e ascoltare musica) dall’alba al tramonto. È
raccomandato interrompere il digiuno al calar della sera, e secondo l’esempio del Profeta dovrebbero mangiare datteri prima di consumare un
vero pasto. L’ultimo pasto dovrebbe essere consumato prima del sorgere del sole. Poiché è una tradizione sacra, si consiglia di astenersi da
pensieri e azioni cattive ma di compiere atti aggiuntivi di devozione, come recitare ogni notte una specifica preghiera. È molto lunga ed è
accompagnata da 20 o 32 rak ‘a ed è eseguita a intervalli regolari durante la notte. Dopo ogni quattro rak ‘a è consentito al musulmano di
recitare una preghiera privata. La salāt al-tarāwīh è una prova di resistenza per gli imam che guidano i fedeli per la scelta lunghi rak ‘a e per
passaggi coranici molto lunghi. Durante il mese del digiuno dovrebbe essere buona norma leggere il Corano, perché è stato diviso il trenta parti
uguali o sette sezioni. Il mese del ramadān termina con la festa ‘id al-fitr in cui i musulmani indossano gli abiti migliori, vanno in moschea e
festeggiano con un pranzo insieme a familiari e amici.
L’obbligo del digiuno ha inizio all’avvistamento della luna nuova o a trenta giorni dal mese di sha ‘bān; nei singoli giorni avviene durante le ore
di luce. Poiché i musulmani seguono il calendario lunare, il ramadān cade ogni anno undici giorni prima dell’anno precedente, e di conseguenza
in stagioni differenti. Il problema sussiste quando cade nei periodi estivi con i climi torridi e nei paesi del nord dove le ore di luce sono molte.
Comprendendo il problema, i dotti se ne sono interessati e hanno cercato di individuare una soluzione: seguire, per il digiuno, lo stesso orario
della Mecca o seguire l’orario del paese più vicino in cui non vi sia troppa differenza tra le ore di luce e di buio.
Ci furono numerosi problemi durante lo svolgimento delle Olimpiadi di Londra 2012, quando alcuni atleti osservarono il digiuno, mentre altri si
avvalsero delle deroghe consentite.
La legge su questa materia è umana e lascia i musulmani liberi di seguire la propria coscienza.
5 . I l q u i nto p i l a st r o d e l l ’ i s l a m : i l p el l e g r i n a g g i o [ H A J J ] .
Il pellegrinaggio avviene a Mecca, luogo di nascita del Profeta e fulcro dell’islam di tutto il mondo. Ogni anno, milioni di musulmani giungono da
ogni dove per compiere il grande pellegrinaggio. La hajj avviene nel mese di dhū l-hijja presso Al-Masjīd al-Harām - la grande moschea -, a
Minā, Muzdalifa e ‘Arafāt. L’obbligo del pellegrinaggio è espresso nel Corano.
a ) I l c o nte sto sto r i c o
Il significato del pellegrinaggio è riconducibile ad Abramo che ha - nella tradizione islamica - un ruolo diverso rispetto la tradizione ebraico-
cristiana. Muhammad è considerato un erede di Abramo, è ciò che riguarda il pellegrinaggio è strettamente collegato a lui. Abramo venerò Dio
da puro monoteista e andò in Arabia per costruire la Ka ‘ba, sotto ordine divino. Come accennato dal Corano, fu Abramo che fondò il hajj.
Nella tradizione islamica, di grande rilevanza è anche la storia di Agar e Ismaele (Ismā ‘īl). Dio disse ad Abramo di portare la sua schiava Agar e il
figlio Ismaele in Arabia per sfuggire alla gelosia di Sara - prima moglie di Abramo -. Ismaele iniziò a soffrire la sete e per cercare acqua Agar
corse per sette volte tra le alture di Safā e Marwa. Come risposta alla preghiera di Agar, l’angelo Gabriele colpì il suolo con l’ala e vi apparve la
sorgente di zamzam.
Nel periodo pre-islamico, gli Arabi compivano un pellegrinaggio alla Ka ‘ba, santuario pagano. Il Corano critica gli idoli che gli arabi del
periodo pre-islamico misero intorno alla Ka ‘ba.

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Il pellegrinaggio venne santificato da Muhammad, durante i suoi due viaggi a Mecca - anno 7 dell’egira (marzo 629) e nell’anno 10 (marzo 632)
– gli atti compiuti divennero il modello che tutti i musulmani avrebbero seguito.
b) Obblighi rituali
Il pellegrinaggio andrebbe compiuto, almeno una volta nella vita, sia da uomini che da donne. Il pellegrinaggio consiste nel compiere speciali
azioni e rituali della durata di alcuni giorni. Il pellegrinaggio non è un’azione che può essere svolta da chiunque: i pellegrini devono essere in
buona salute e dotati di mezzi economici tali da poter affrontare il viaggio e mantenere la famiglia. Coloro che non possono parteciparvi sono:
malati, minori e donne senza accompagnatori.
Nel Medioevo, questo viaggio era lungo e difficoltoso; nel caso in cui vi fossero imprevisti durante esso, i pellegrini erano costretti ad
attendere un altro anno prima di poter compiere il hajj. Pertanto, era necessaria un’attenta pianificazione del viaggio, ed era necessario un
margine di sicurezza.
Data la complessità dei rituali da eseguire, molti musulmani si dedicano al loro studio e alla comprensione del loro significato. All’arrivo a
Mecca, i pellegrini sono pieni di gioia alla vista del santuario, promessa di vedere il volto di Dio nell’altro mondo.
I pellegrini si devono trovare in uno stato di purità (ihrām), per poter eseguire i riti. Il hajj ha inizio con la dichiarazione delle proprie
intenzioni pie, poi gli uomini indossano due pezzi di stoffa non cuciti da avvolgere intorno ai fianchi – dall’ombelico alle ginocchia – e un altro da
gettare sulla spalla sinistra e da annodare sotto quella destra. Le donne devono essere coperte tranne che per il volto, le mani e i piedi.
L’abbigliamento indossato aggiunge una dimensione spirituale al rito. Alcune scuole di giurisprudenza islamica permettono alle donne di
eseguire il pellegrinaggio anche se mestruate.
I pellegrini sono in uno stato di ihrām, devono quindi astenersi da: atti sessuali, taglio di unghie e capelli, rasatura e uso del profumo; non
devono ricorrere alla violenza o litigare. La purità rituale è raggiunta recitando una preghiera formata da due rak ‘a e le parole “Eccomi a Te, o
Dio, eccomi a Te”, recitate ancora durante il pellegrinaggio. I riti che costituiscono il pellegrinaggio devono essere portati a termine, a meno che
non vi siano motivi che non lo permettono.
All’arrivo alla Ka ‘ba, i riti devono essere osservati scrupolosamente, e differiscono in base alle scuole di giurisprudenza islamica.
c) Le procedure giornaliere del hajj
Il 7 del mese di dhū’l-hijja, presso la moschea di Mecca, ha luogo una cerimonia che precede il giorno del pellegrinaggio. L’8 hanno inizio le
procedure giornaliere del hajj. È un giorno dedicato alla riflessione, in cui i fedeli compiono il tawāf – circumambulazione - della Ka ‘ba. Il tawāf
viene ripetuto sette volte in direzione antioraria, in ricordo degli angeli che stanno in cerchio intorno al Trono di Dio. Ad ogni passaggio i fedeli
baciano e toccano la Pietra Nera, come segno di sottomissione a Dio, ma data l’enorme folla il gesto è puramente simbolico. Dopo, si recano nel
“luogo della corsa” dove percorrono per sette volte il tratto tra Fafā e Marwa, in ricordo della leggenda di Agar e Ismaele. Secondo la tradizione
questa corsa è il simbolo del loro spostamento tra buone e cattive azioni, tra punizione e perdono. Dopo la corsa i fedeli bevono l’acqua di
zamzam e si mettono in viaggio per Minā. il 9 – il Giorno della sosta (yawm al-wuqūf) - i fedeli visitano la località di ‘Arafāt, ove rimangono da
mezzogiorno al tramonto. Durante questo giorno le parole “Eccomi a Te, o Dio, eccomi a Te” sono recitate più volte. A fine giornata partono per
Muzdalifa, una spianata tra ‘Arafāt e Minā, ove trascorrono la notte. Secondo la tradizione, le persone riunite nella località di ‘Arafāt,
rappresentano le anime radunate per l’Ultimo Giorno fuori Gerusalemme, in attesa di ricevere il giudizio di Dio. Il 10 – il Giorno del sacrificio
(‘id al-adhā) – è la principale festività del mondo musulmano. I fedeli si recano verso Minā e raccolgono dei sassolini per lanciarli contro tre steli
di granito che rappresentano la lapidazione di Abramo verso Satana. Si fermano per la notte a Muzdalifa e l’ultimo giorno avviene il sacrificio di
animali: cammelli, mucche e montoni. Il pellegrinaggio, ha una durata di cinque, sei giorni. Lo stato iniziale di ihram termina con la rasatura del
capo per gli uomini e il taglio di una piccola ciocca per le donne. A questo punto i fedeli hanno benevolenza agli occhi di Dio.
La hajj non è l’unica forma di pellegrinaggio, ne esiste una forma abbreviata chiamata ‘umra, che può essere compita in altri momenti
dell’anno. Non è ritenuta un pilastro dell’islam, quindi non può sostituire la hajj. Si compie in un’ora e mezza e consiste in sette
circumambulazioni della Ka ‘ba e sette transiti – camminando e correndo – tra safā e Marwa. Può essere compiuta per conto di un’altra persona
malata o deceduta.
Nel Medioevo, la possibilità di effettuare il pellegrinaggio era straordinaria, date le enormi distanze e i pericoli a cui si andava in contro.
Attualmente l’organizzazione del pellegrinaggio è estremamente complessa; ma il governo saudita ha investito ingenti somme di denaro per
dare ospitalità alla maggior parte dei pellegrini. Secondo le statistiche il pellegrinaggio del 2012 è stato compiuto da 3 161 573 persone.
d ) L’ i m p o r ta n za d e l h a j j
La sua importanza è dettata dal quarto pilastro dell’islam; l’usanza di compiere un pellegrinaggio verso una città santa risale dal cristianesimo e
dall’ebraismo. Nel Medioevo e oggi, migliaia di cristiani si misero in viaggio verso i santuari di Canterbury, Assisi, Santiago de Compostela, Roma
e Gerusalemme. Diversamente dai musulmani però, non si recano in gran numero e non hanno dei giorni prestabiliti. La condivisione del
pellegrinaggio, rappresenta un’unità dei credenti di fronte a Dio, senza alcuna distinzione. Al ritorno, i pellegrini sono trattati con grande
rispetto e assumono il titolo di hajjī. Il viaggio li cambia e al loro ritorno hanno un forte senso di spiritualità.
Nelle carte geografiche medievali, di forma circolare, Mecca era rappresentata al centro del mondo per esprimere la sua dimensione
sacra. Sono state numerose le testimonianze e le interpretazioni circa i rituali del hajj; molti pellegrini non approfondiscono il loro significato,
mentre molti altri lo considerano causa di intense emozioni. L’osservanza dei cinque pilastri da maggiori significati ai credenti, dando precise
norme -dettate dal Corano e dai libri di giurisprudenza – circa gli obblighi religiosi.
CAPTOLO QUARTO
LA LEGGE
Sharī ‘a indica un luogo irrigato, un sentiero verso l’acqua, un dono di Dio, una strada donatrice di vita. Gli ebraici usano il termine halakha per
definire la legge e i primi cristiani parlano della “via” per l’intera religione; i musulmani usano sharī ‘a per indicare la via seguita, che proviene
dall’intimo dell’individuo.
La sharī ‘a dà un significato a ogni aspetto della vita religiosa e sociale, dando direttive su ciò che si può e non si può fare.
1 . L’ev o l u z i o n e d e l l a l e g g e n e l m o n d o i s l a m i c o d e l l e o r i gi n i .

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Muhammad, nel periodo medinese fu un legislatore, le cui decisioni furono irrevocabili. Dopo la sua morte, si espresse la necessità di norme
più dettagliate. I primi califfi, dovettero affrontare nuovi problemi, sociali, economici e spirituali, e cercarono di farlo seguendo l’esempio del
Profeta. Era però necessario trovare nuovi fondamenti legali incentrati sui principi islamici, al posto delle precedenti soluzioni pragmatiche.
a) Gli ahādīth
Gli ìulamā furono i primi studiosi di scienze religiose islamiche, che cercarono anche di sviluppare delle linee guida islamiche. La prima fonte a
cui attinsero fu il Corano – un libro rivelato, non un trattato legale – che presenta solo alcune norme specificamente menzionate. La seconda
fonte sono gli ahādīth, la narrazione che riporta le azioni e le parole del Profeta ai suoi Compagni. Queste fonti permisero di ampliare le
affermazioni del Corano su questioni come la preghiera, il pellegrinaggio e la condotta circa la vita religiosa e sociale.
Le due generazioni successive alla morte del Profeta, rimasero fedeli alle sue direttive. Con l’espansione della comunità divenne
necessaria una legislazione più formale per diffonderla a tutto il mondo musulmano. I primi ‘ulamā raccolsero gli ahadīth e ne svilupparono una
scienza critica per stabilirne l’autenticità. Le più importanti raccolte furono quelle di Muslim e di al-Bukhārī, che fornirono una base per un
sistema giuridico. Dal 632 alla caduta della dinastia Omayyade i califfi, con l’aiuto di esperti religiosi, svilupparono le fondamenta della sharī ‘a.
Data la vastità dell’impero e la difficoltà di comunicazione era impossibile ottenere un’uniformità giuridica, perciò si formarono scuole
giuridiche locali – madhhab – nelle maggiori città: Damasco, Kūfa, Basra e Medina.
b ) L’ i n fl u e n za d e l l e c o n s u et u d i n i n o n m u s u l m a n e
L’applicazione della legge islamica era influenzata dai precedenti sistemi giuridici, dalle pratiche e dai costumi locali, dalle leggi ebraiche e dal
diritto romano; fino all’arrivo delle potenze coloniali europee. In numerose aree la legge islamica era affiancata dalle leggi secolari – qānūn – e
dai mazālim, tribunali pre-islamici, di tradizione persiana in cui la giustizia era amministrata dai sovrani. Nel Siyāsatnāma, un trattato sul
governo scritto dal gran visir persiano della dinastia turca dei Selgiuchidi, consiglia al sultano: “ è assolutamente necessario che due giorni la settimana
il sovrano sieda per rimediare agli errori, per incassare quanto dovuto dagli oppressori, per dare giustizia e per ascoltare le parole dei suoi sudditi senza alcun
intermediario.”

2 . L a g i u r i s p r u d e n z a c l a s s i c a s u n n i ta ( fi q h : VI I I - X V I I I s e c . ) .
I principi classici della giurisprudenza islamica sono formulati nel periodo Abbaside, successivo al periodo Omayyade, per dare maggior ordine e
sistematizzazione alla legge islamica.
a) Fiqh e sunna
La parola fiqh significa “comprensione” o “discernimento” e arrivò ad assumere il significato di “giurisprudenza”. Il fine della giurisprudenza,
secondo i musulmani, è quello di stabilire “un’azione giusta”. Il processo di fiqh termina con un hukm che può essere ribaltato o modificato. La
fonte primaria per la giurisprudenza è il Corano, circa temi come il matrimonio, il divorzio, le relazioni sessuali illecite, l’alcool, l’eredità, la
proprietà, il furto e l’omicidio. Visto che il Corano non tratta di tutti i problemi legali sorti all’epoca, i giuristi rielaborarono l’antico concetto di
sunna (moto di agire stabilito dalle precedenti generazioni) nella condotta esemplare del Profeta. Così la sunna, con gli ahādīth (i detti
comprovati dal Profeta) divennero un modello di comportamento.
b ) P r i n c i p i d i g i u r i s p r u d e n za
Al-Shāfi ‘ī è considerato il più importante tra coloro che resero sistematica la giurisprudenza, basata su: Corano, sunna, consenso – ijmā - e
ragionamento analogico – qiyās. I primi due sono fonti giuridiche, mentre gli altri sono fondamenti metodologici o principi d’applicazione della
legge. Il consenso è un accordo tra i dotti in un preciso momento storico; i pareri circa questo tema divergono: per alcuni assume il significato di
consenso dell’intera comunità, per altri era il consenso dei dotti. Un giudice rendeva pubblico un parere su una questione giuridica e ne nessun
dotto esponeva argomentazioni contrarie in consenso era raggiunto. Il principio di analogia, comporta l’applicazione di una legge in una nuova
situazione. Ad esempio, il consumo di alcool e di sostanze inebrianti è considerato dal Corano un’”opera di Satana”; negli ahādīth è vietato il
vino di dattero, ma non sono menzionate altre bevande alcoliche, però gli ‘ulamā ne hanno proibito il consumo.
Le azioni umane sono classificate dalla sharī ‘a in cinque categorie: obbligatorie – fard -, raccomandate – mandūb -, permesse – mubāh -,
riprovevoli – makrūh – e proibite – harām. Le azioni obbligatorie si distinguono in obblighi individuali (abluzione prima della preghiera) e
pubbliche (preghiera collettiva in moschea al venerdì o il jihād minore.
Gli altri principi ammessi nella sharī ‘a erano l’ijtihād – esercizio di ragionamento indipendente di un giurisperito per emettere un parere –
e la maslaha – prendere una decisione nell’interesse pubblico. L’urf – la consuetudine – consentiva ai dotti una certa flessibilità nel
mantenimento dei costumi locali e di tradizioni radicate nel tempo, se non in contrasto con la sharī ‘a.
c) Le scuole giuridiche
Durante i primi secoli gli studenti di giurisprudenza islamica si riunivano nelle principali città, compiendo anche lunghi viaggi per apprendere le
scienze giuridiche. Dal XI sec. si affermarono le quattro maggiori scuole giuridiche sunnite: hanafita, malikita, hanbalita e shafi ‘ita. Il nome di
ognuna è originato dal dotto che contribuì a darne le specifiche caratteristiche: Abū Hanīfa, Mālik ibn Anas, Ahmad Ibn Hanbal e al-Shāfi ‘i. I
discepoli erano fedeli alla metodologia impiegata piuttosto che al un giurisperito. La metodologia proveniva da un’elaborazione da parte di
uomini immersi nello studio di Corano e sunna. La distinzione dei vari gruppi, tutt’oggi esistenti, rappresenta la fase finale di una evoluzione.
La giurisprudenza islamica era dinamica e flessibile, aveva una forte tolleranza verso le reciproche posizioni. Ad esempio, nella
stipulazione di un contratto matrimoniale si pongono punti di vista molto divergenti tra loro. All’epoca occuparsi di problemi intellettuali dava
una grande soddisfazione, come illustra Colin Imber nel testo sul giurisperito ottomano Ebū s-Su ‘ūd. La conoscenza della giurisprudenza era
segno di devozione e prestigio, tanto che i giurisperiti ottomani dibattevano davanti il sultano.
▪ La scuola hanafita fu favorita dagli Abbaside e dai Selgiuchidi (conquistatori di Iran, Iraq e Siria). La dinastia turca dei Mamelucchi
permise a tutte e quattro le scuole di prosperare. All’arrivo dei turchi Ottomani, che posero fine ai Mamelucchi venne posta come scuola
ufficiale quella hanafita, propagandosi nel XVI sec. in Turchia, nei Balcani, in Asia centrale e nel subcontinente indiano.
▪ La scuola malikita si diffuse in occidente, divenendo predominante in Spagna (fino alla conquista cristiana nel 1942) e in Africa
settentrionale e occidentale, dove ancora oggi è la scuola giuridica predominante.
▪ La scuola Hanbalita oggi è predominante nel Golfo persico; svolse un ruolo religioso essenziale nonostante gli esigui aderenti. Assunse
maggior importanza nel XIV sec. ai tempi del dotto Ibn Taymiyya e nel XVIII sec. con l’affermazione del movimento wahhabita.

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▪ La scuola shafi ‘ita si sviluppò in alcune aree della penisola arabica, dell’Africa orientale, in Malesia e Indonesia.
Nonostante la divisione politica, la giurisprudenza islamica fu esercitata per tutto il territorio, fino all’arrivo del colonialismo europeo.
d ) L’a p p l i c a z i o n e d e l l a s h a r ī ‘a
Nella tradizione, l’applicazione e la difesa della sharī ‘a, apparteneva al califfo, quindi i religiosi erano tenuti all’obbedienza nei suoi confronti.
Perfino quando il potere era esercitato da usurpatori militari, i musulmani sunniti vi guardarono come a un capo formale. Il califfo era
necessario ai signori della guerra per legittimare il governo dei territori conquistati.
La giurisprudenza sunnita era gestita dai giurisperiti – fuqahā - che emettevano delle fatwā - pareri giuridici. Corti di sharī ‘a vennero
istituite nei territori e sottoposte ai giurisperiti. Esse esistevano già nel periodo degli Omayyadi ma non operarono in maniera così sistematica.
Tre delle scuole giuridiche (esclusa quella hanafita) proibivano alla donna di assumere la carica di giudice.
Nel Medioevo, i giurisperiti necessitavano della classe regnante e gli usurpatori del potere necessitavano dei giurisperiti per legittimare la
propria posizione.
Dall’XI sec. i giurisperiti studiarono nelle madrase, che non si limitava alla giurisprudenza ma comprendeva le scienze religiose, il Corano,
la teologia, gli ahādīth e la grammatica araba. Sotto il califfo al-Mustansir venne istituita a Baghdad una madrasa per ospitare tutte e quattro le
scuole. Fu la prima madrasa fondata da un califfo, e la prima universale sunnita. Era il simbolo del califfo di creare un’unità musulmana per
contrastare le invasioni mongole. La medesima pratica venne adottata al Cairo nel XIV sec. dai mamelucchi. La giurisprudenza islamica, sin dai
primi secoli, fu un’entità in continua evoluzione che operava in un territorio estremamente vasto.
e) I libri di giurisprudenza
I testi medievali di giurisprudenza hanno tutti strutture molto simili, che comprendono due parti principali: sulle azioni associale all’adorazione
di Dio - ‘ibadāt – e quelle che riguardano le relazioni dei musulmani con gli altri esseri umani – mu ‘amalāt. questi testi danno informazioni
dettagliate sull’adempimento dei doveri prescritti dalla sharī ‘a, connessi ai cinque pilastri, sul come mangiare, sul comportamento da tenere
negli hammam, come esercitare il commercio, raggiungere la felicità nel matrimonio, condurre il jihād e come trattare i non musulmani.
Le differenze tra le scuole riguardano argomenti specifici: se le preghiere debbano essere recitate a bassa o alta voce, quanto in alto
debbano essere sollevate le mani quando si dice Allāh Akbar ecc.
f ) L a fa t w ā
I giurisperiti dovevano esporre le proprie opinioni circa argomenti di interesse pubblico o privato. Il sovrano era solito a interrogarli per
esprimere una fatwā riguardo un argomento specifico. In seguito, la consultazione del Corano e della sunna e aver seguito o principi di
consenso e analogia poteva essere emessa una fatwā, che poteva essere espressa con un “sì – no” oppure comprendere molte pagine. Se
necessario si poteva porre la questione ad una corte di sharī ‘a per decidere se imporre una sanzione. Le fatwā non rappresentavano però un
requisito indispensabile.
Di particolare importanza furono le fatwā emesse da Ibn Taymiyya, in cui ricorda le due invasioni mongole della Siria. Non accetta che i
mongoli siano musulmani, nonostante il sovrano si fosse convertito pubblicamente, perché non applicano la sharī ‘a ma il proprio codice
giuridico – yāsā, sostenendo la necessità di intraprendere il jihad. Ibn Taymiyya fu ostile alle minoranze sciite della Siria, accusandole di
collaborare con i mongoli, prendendo personalmente parte ad un jihad contro di loro.
Con il passare del tempo i giurisperiti dovettero far fronte alla necessità di prendere in considerazione nuovi temi. Di grande rilevanza fu il
dibattito riguardante la legittimità di consumare caffè, in quanto bevanda inebriante. In seguito ad accesi dibattiti, nel XVI sec. caffè e sale da
caffè si diffusero in tutto l’Impero ottomano.
g) Le sanzioni
Gli hudūd sono considerati i “limiti stabiliti da Dio alla libertà umana”. Alcune sanzioni devono essere eseguite in pubblico e certi crimini sono
puniti con particolari sanzioni emesse dal Corano o dalla sunna. Per le relazioni sessuali illecite la pena è di cento frustate, il furto è punito con
l’amputazione della mano, etc. La sharī ‘a prevede una testimonianza precisa, per questo non furono applicate frequentemente. La pratica della
lapidazione deriva dalla società ebraica, in quanto il Corano non la menziona come punizione ma come pratica eseguita dalle precedenti
generazioni di miscredenti. L’esecuzione della punizione per i rapporti sessuali illeciti richiede la testimonianza di quattro uomini di buona
reputazione che abbiano assistito all’atto della penetrazione, sono date ottanta frustrate nel caso in cui l’uomo accusi la donna di questo
crimine senza avere testimoni. Una donna violentata non subisce punizioni. Circa dieci ahādīth menzionano la lapidazione come punizioni per
coloro che sono colti in rapporti sessuali illeciti, ma il requisito dei quattro testimoni è considerato una tutela contro il suo uso troppo
frequente.
Il tema della lapidazione oggi è oggetto di discussione da parte di attiviste e femministe musulmane e di organizzazioni di diritti umani.
Shirin Ebadi, vincitrice del Premio Nobel per la pace del 2003, richiese di abolire la lapidazione come violazione dei diritti umani e perché nei
Corano non è menzionata. La gravidanza è utilizzata come base d’accusa nei confronti delle donne, nonostante non sia menzionata nel Corano.
Il tema della giurisprudenza, prima dell’avvento del colonialismo, era tenuto in maggior considerazione rispetto la teologia o la filosofia,
nonostante spesso vi fosse una sovrapposizione tra i vari ambiti visto che i dotti erano sapienti in più rami delle scienze religiose. Fino al XVIII
sec. era dovere del giurisperito trasmettere la tradizione custodita nel madhhab.
3 . L’ i m p a tto d e l c o l o n i a l i s m o e u r o p e o : l a m o d e r n i z za z i o n e d e l l a g i u r i s p r u d e n za i sl a m i c a ( X VI I I - X X s e c . )
Il rapporto tra sistemi giuridici europei e la sharī ‘a è raccontata solo dal punto di vista dei colonizzatori. Gli europei, giunti nei paesi musulmani,
rimossero le leggi del luogo e le sostituirono con quelle europee, come il Codice napoleonico o la Common Law. I nuovi governatori
considerarono l’esistenza della sharī ‘a e dei giurisperiti un grave problema. Furono costretti però ad adattare i processi giudiziari alla sharī ‘a.
Molti dei cambiamenti che ebbero luogo, comunque, non erano legati al dominio coloniale.
a ) D a l X VI I I a l X I X s ec o l o
I primi paesi che subirono cambiamenti furono l’India nel XVIII sec. e l’Impero ottomano, con l’istituzione di codici commerciali e penali su
modelli europei e corti che si occupavano di casi civili e penali. Con il primo governatore dell’India, Warren Hastings, venne riformata la legge
islamica riguardante l’omicidio: da allora fu lo stato a procedere legalmente e a pronunciare la sentenza adeguata, senza permette vendetta alla
famiglia della vittima. A volte i dotti furono disposti a collaborare. Attingendo al principio di maslaha – interesse pubblico – gli avvocati del
periodo cercarono di armonizzare, nel diritto familiare, i precetti della sharī’a con quelli dello stato moderno. Furono di notevole importanza

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Sayyd Ahmad Khān in India e Muhammad ‘Abduh in Egitto che giudicavano positivamente i sistemi giuridici europei. Le idee di ‘Abduh
esercitarono una grande influenza: divenne gran muftī d’Egitto, attuò importanti riforme alla sharī’a e interpretò il diritto di famiglia in maniera
più libera; grazie a questo è considerato il maggior artefice del riformismo islamico.
b ) I l X X s ec o l o
A partire dalla fine del XIX sec. la giurisprudenza islamica venne applicata solo al diritto di famiglia. Nel 1917, prima della caduta dell’Impero
ottomano fu approvata una legge circa il diritto familiare basata sulla giurisprudenza hanafita e in parte sulle altre tre scuole. Questa legge ebbe
un grande impatti in Egitto, Siria, Iraq, Tunisia, Marocco e Pakistan, ove i giurisperiti con il loro giudizio personale riformarono le leggi su
matrimonio e divorzio. La Repubblica turca – fondata nel 1923 – presentava un sistema giuridico basato sul codice civile svizzero, instaurato da
Kemal Ataturk. Nel 1949, ‘Abd al-Razzāq al-Sanhūrī, introdusse in Egitto un nuovo codice civile basato su modelli francesi e alla sharī’a. In
seguito, fu invitato a redigere i codici giuridici del Kuwait e Iraq. Dagli anni trenta i sistemi giuridici era basati tutti su un modello simile.
Un altro importante autore del cambiamento fu Sobhi Mahmassani, studioso libanese, che ricercava l’adattamento della legge islamica
alle condizioni della società moderna. Pur mantenendo una fede viva, cercò di convincere i suoi corregionali a ricercare la “vera scienza”. Adottò
un atteggiamento dell’Europa post-illuminista, sostenendo che la religione appartiene alla sfera privata e la legge allo stato, soltanto in questo
modo è possibile sconfiggere l’arretratezza. Questo concetto è sostenuto anche dallo studioso indiano Asaf ‘Ali Asghar Fyzee, che ricerca una
separazione tra le questioni religiose è giuridiche.
4. La legge islamica oggi.
A causa della globale diffusione dell’islam, è impossibile generalizzare su come e quanto la sharī ‘a sia applicata presso i vari paesi. Nella
maggior parte degli stati, i cittadini sono sopposti a codici giuridici affini a quelli occidentali, anche se sono utilizzati punti di vista della sharī ‘a
per quanto concerne il matrimonio è il divorzio. Nei paesi in cui la comunità musulmana è in minoranza si stanno elaborando proposte per temi
come l’integrazione, che però rispettino la legge islamica.
a ) L e r e g o l e a l i m e nt a l i
Sin dalle origini era permesso il cibo di ebrei, cristiani e altre comunità che presentassero una scrittura rivelata. La macellazione degli animali
deve avvenire secondo il rito islamico o ebreo del kosher. La maggior parte dei musulmani non assume alcool e carne di maiale.
b ) I l s i ste m a b a n c a r i o
Da sempre gli è vietata la pratica dell’usura – prestito di denaro con interesse. Nel Corano vengono messi in risalto positivamente gli atti
caritatevoli e viene condannata l’usura. Nelle transazioni economiche, sono esortati a essere onesti e a lavorare con non musulmani.
Attualmente le opinioni circa il sistema bancario sono varie. L. Ali Khan e Hisham M. Ramadan spiegano, nella pubblicazione del 2011, che i
prestiti bancari con interesse sono proibiti. Questo principio funziona in maniera opposta rispetto l’economia occidentale basata sul credito. Nei
paesi del Golfo – Quatar, Bahrein, Malesia – sono stati creati dei mercati finanziari basati sulla sharī ‘a e sono accessibili a musulmani e non
musulmani. Sono stati sviluppati mutui che non procurano interesse.
D’altra parte l’economista turco Timur Kuran, lavoratore negli USA, sostiene che il pagamento e ricavo di interessi esiste da molto tempo,
osservando che molti musulmani in Occidente non osservino più le proibizioni in materia finanziaria.
c ) Q u e sti o n i c o nt r o v e r s e s u s h a r ī ‘a e l e g g i d e l l o sta to n e g l i S ta t u U n i ti e n e l Re g n o U n i to
La sharī ‘a è il principale motivo di ostilità tra musulmani e non musulmani. Le nuove entità politiche che sono venute a crearsi con la Primavera
araba creano ulteriori preoccupazioni in materia. I capi di stato ne trattano in maniera fuorviante e analizzando la percezione di due soli aspetti:
la condizione delle donne e le condanne severe – si ricorda il primo ministro USA, Tony Blair, nel 2006.
Nel 2011 venne condotto uno studio sul conflitto tra sistema giuridico e sharī’a, che incoraggiava discussioni più ampie e un maggior
impegno. Le analisi si sono concluse che molte sentenze emesse erano in conflitto con le politiche dello stato. In tutti i casi gli accusati
dichiaravano che le loro azioni erano motivate dalla legge islamica. L’indagine concludeva dicendo che non vi sono problemi nei confronti dei
musulmani che applicano la legge islamica, purché non siano in conflitto con lo stato; ma si era preoccupati per una “sharī’a autoritaria e
istituzionalizzata”.
Nel 2008, l’arcivescovo di Canterbury, Dr Rowan Williams, è stato criticato per ritenere l’adozione della sharī’a nel sistema giudiziario
inglese ineluttabile. Le sue critiche sono state però fraintese dai media, provocandone forti dibattiti e ostilità. Tuttavia, gli ebrei britannici hanno
la possibilità di rivolgersi al Beth Din, il tribunale per la risoluzione di vertenze civili. Non è noto che nel Regno Unito, ebrei, cristiani e
musulmani abbiamo istituzioni religiose a cui rivolgersi e che possano applicare alcuni aspetti religiosi.
L’ostilità nei confronti dei musulmani si è originata dagli attentati dell’11/09/2001 e del 7/07/2005; ed è stata fomentata dai programmi
lanciati da gruppi estremisti che ne rafforzano l’immagine stereotipata.
d ) O p i n i o n i m u s u l m a n e s u l l a s h a r ī ’a
Nel 1960 lo studioso pakistano Falzur Rahman, insegnante negli USA, sosteneva che le leggi dovessero essere elaborate partendo dal Corano e
dalla sunna, tenendo però in considerazione il contesto contemporaneo. Mohammad Hashim Kamali, studioso di legge islamica malese, spiega
che la maggior parte del Corano e della sunna si sviluppano e si interpretano in modi differenti.
Quando i gruppi estremisti assumono il potere, annunciano l’instaurazione della sharī’a e applicano le sanzioni con frequenza, per
suscitare terrore nella popolazione. Attraverso queste azioni si pensa di dare maggior credibilità ad un autentico stato musulmano. I ladri
subiscono l’amputazione delle mani, i colpevoli di adulterio sono lapidati, chi commette fornicazioni viene frustato e alle donne sono imposte
rigide norme di abbigliamento. In questi casi, le regole formulate nel corso dei secoli vengono accantonate in favore di un’ideologia violenta e
respinta dalla maggior parte dei musulmani.
L’equiparazione delle sanzioni inflitte con la sharī’a è alimentata dalle dichiarazioni e dalle azioni di gruppi estremisti. I romanzi dello
scrittore afghano Khaled Hossein sono una condanna agli atti barbarici realizzati nel suo paese. Nei paesi a maggioranza musulmana la sanzioni
non sono imposte; e nei pochi paesi – Arabia Saudita, Pakistan e Iran – che hanno la sharī’a come legge di stato, le sanzioni sono istituite.
Nell’indagine del 2012, Maleiha Malik, afferma che è ragionevole che le minoranze religiose nel Regno Unito richiedano che parte della
loro giurisprudenza sia inserita nel sistema giuridico statale. I rappresentati delle minoranze, comunque, sostengono ci sia un dialogo tra le corti
religiose e il diritto civile.
Attualmente, gli specialisti reinterpretano il Corano e la sunna per i temi etici odierni. Ne è un esempio l’atteggiamento verso i cani.

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Tradizionalmente sono sempre stati considerati animali impuri e solo di recente nel Regno Unito, i proprietari di attività commerciali, hanno
avuto il permesso di ammetterli nei loro negozi e i cani guida possono entrare anche in alcune moschee. Attualmente si sostiene che il hadīth
ostile nei confronti dei cani sia inaffidabile, in quanto il Profeta viene raffigurato con dei cani presenti.
5. Il futuro.
La legge islamica è in continua evoluzione. L’ideologia dogmatica contemporanea ignora che sia ancora in via di sviluppo.
Nel corso dei secoli, coloro che si sono specializzati nel suo studio, hanno cercato di evolverla e adattarla alle varie società del mondo.
Grazie a questi studi, nei paesi a minoranza e a maggioranza musulmana, gli specialisti religiosi hanno numerose opinioni tra la legge islamica e
i sistemi statali. I giurisperiti contemporanei eserciteranno l’ijtihād e cancelleranno gli aspetti anacronistici della legge islamica.
Come verranno affrontati i nuovi temi quali la bioetica, il trapianto, l’aborto, la contraccezione e le tematiche legate a internet?
Nel Merio Oriente, con gli eventi della Primavera araba, ci si sta muovendo verso forme mutevoli di governo e di sistemi giuridici: da quello
secolare attraverso una forma mista di strutture legislative e una forma di governo basata sulla sharī’a. Ad esempio, la Costituzione giordana è
basata su essa ma non trova applicazione per gli hudūd.
Oggi alcuni gruppi jihadisti parlano di califfato, ma è poco plausibile che vi sia l’iniziativa che possa portare alla rinascita di questa
istituzione. Nonostante molti stati moderni siano profondamente legati alla propria identità nazionale, il concetto di umma, la comunità globale
musulmana, è ancora di grande risonanza nei fedeli. Nella quotidianità dei musulmani il rispetto della sharī’a continuerà a guidarli verso l’Unico
Dio e tiene unita la comunità.
CAPITOLO QUINTO
LE DIVERSITÀ
Data la diffusione dei musulmani per tutto il globo, nel corso dei secoli si sono sviluppate differenze nelle dottrine e nei rituali. I media ci
trasmettono l’idea di un'unica monolitica massa di fedeli; e questa visione è anche alimentata da alcuni estremisti che vogliono trasmettere
quest’impressione per motivi politici e religiosi. È pertanto necessario volgere lo sguardo verso la storia islamica, per cercare di comprendere le
complessità del mondo musulmano odierno. Il passato, ai musulmani contemporanei, risulta molto familiare, tanto che vengono richiamati
episodi per risolvere situazioni attuali.
Si stima che nel mondo vi sia circa il 10-15% di musulmani sciiti, nei paesi a maggiorana musulmana – Iran, Iraq, Bahrein, Siria – e nelle
comunità presenti in Europa, America, Asia, Africa e Australia. È importante che vengano distinti dai sunniti. Sunniti e sciiti condividono i
principi basilari dell’Islam, del Corano, del Profeta e dei cinque pilastri. Il principio fondamentale che separa sciiti e sunniti è la dottrina sciita
dell’imamato: l’autorità conferita ai soli membri discendenti dalla famiglia del Profeta, conosciuti come imam. Per gli sciiti l’imam è l’unico ad
avere una dottrina assoluta sulla comunità ed è la fonte della dottrina e della legge musulmana. Lo stesso ruolo è assunto dal califfo per i
sunniti. Gli sciiti hanno anche specifiche cerimonie che commemorano eventi importanti della loro storia come il martirio di Husayn, nipote del
Profeta.
1 . D i ff e r e n z e n e i c o n t e s ti .
Circa il 90% dei musulmani sono sunniti. È importante conoscere la differenza tra sciiti e sunniti per evitare banali generalizzazioni. Lo stesso
bisogna penso però degli stessi stati sunniti: il Marocco e l’Indonesia sono sunniti, però si ha un’enorme differenza nella pratica religiosa tra i
due stati. Gli sciiti in alcuni paesi sono considerati una minoranza, alimentando i dibattiti su cosa significhi essere sunnita e quanto lontano
dovrebbe spingersi la tolleranza della differenza e del pluralismo. Il pensiero sunnita ha sempre dato grande spazio alla diversità, sia ora che nel
Medioevo. Il giurisperito statunitense, Khaled Abou El Fadl è impegnato nel campo dei diritti umani e nell’interpretare l’islam per il mondo
contemporaneo. Questo approccio può essere paragonato con quello dello studioso algerino Mohammad Arkoun che indaga l’islam da un
punto di vista filosofico, della teoria intellettuale e del dibattito culturale francese. Anche molte donne diedero la propria opinione circa questo
tema.
È quindi un errore considerare il sunnismo un’entità unica, anche se comprende moltissime pratiche e credenze.
Nonostante le grandi diversità ci sono concetti e rituali condivisi che danno un forte senso di unità alla comunità. Al centro dell’islam si ha
la fede nell’Unico Dio, la forza vincolante del Corano, la venerazione nei confronti del Profeta e nei cinque pilastri. Il libro sacro ha la funzione di
guida spirituale, che permette a loro di riflettere su questo mondo e sull’altro. Da questo i musulmani ricavano istituzioni dottrinali, etiche e
sociali. Nonostante il Corano dichiari che Muhammad sia solo un uomo, rappresenta il fulcro della venerazione musulmana; egli non
rappresenta solo un profeta ma è “testimone, annunciatore e ammonitore”. I cinque pilastri – shahāda (la professione di fede), salād (la
preghiera, zakāt (l’elemosina), sawm (il digiuno) e hajj (il pellegrinaggio a Mecca) – sono condivisi da sunniti e sciiti. La preghiera, eseguita in
una sequenza sincronizzata, rafforza la comunità; e il pellegrinaggio è simbolo di fratellanza.
2. L ’ e m e r g e r e d e l l ’ i s l a m s u n n i t a .
Le diversità sono attribuite al fatto che dalla morte del Profeta ci sono state diverse interpretazioni circa il corretto modo di interpretare l’islam.
Inoltre, i gruppi religiosi hanno sempre avuto ideali politici, così anche nella comunità musulmana sin dall’inizio ebbe opinioni differenti
riguardo la fede e su come la comunità dovesse essere governata. Con il tempo la divisione si cristallizzò in sciiti, sunniti e altri gruppi minori,
influenzati ulteriormente dalle credenze e dai riti praticati in precedenza; creando notevoli differenze tra la comunità musulmana nel mondo.
Dalla morte di Muhammad, si susseguirono numerosi gruppi, la cui importanza fu solo di breve durata, in quanto incentrati su una sola
persona. La nostra conoscenza di questo periodo è vaga ed è dettata dai testi sunniti, che condannavano queste pratiche come un’eresia.
Nei trent’anni successivi alla morte del Profeta la setta nascente era quella di kharigiti, che ritenevano che la guida della comunità spettasse alla
persona più virtuosa e che non dovesse per forza essere discendente del Profeta o eletto dalla comunità. Chiunque non fosse d’accordo con
loro non era considerato musulmano e la pena era la morte. Questo gruppo settario fu perseguitato dai califfi per i primi due secoli, per questo
si rifugiarono in regioni lontane – Oman e Algeria – dove ora esistono con il nome di ibaditi e non dichiarano guerra gli altri musulmani.
Gradualmente i sunniti divennero la componente principale della comunità musulmana.
Le principali differente tra sunniti e sciiti riguardano chi doveva guidare la comunità, le sue caratteristiche e i compiti da attribuire.
La prima comunità, formata da Mohammad a Medina, era guidata da lui; la sua figura venne idealizzata e divenne il modello da emulare.
Alla sua morte emersero profonde divisioni tra i fedeli: per i sunniti non aveva lasciato una guida per il futuro, quindi cosa avrebbero dovuto
fare? La versione sunnita prevede che alcuni dei più fidati compagni si riunirono e Abū Bakr (suocero e fedele amico) venne nominato suo

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successore con la cerimonia della bay’a (alleanza). Con la sua nomina, nacque l’istituzione sunnita del califfato. Il califfo però non era al pari del
Profeta: doveva preservare la fede, salvaguardare la legge islamica, difendere ed espandere il mondo musulmano e guidare la comunità.
a) I l c a l i ffa to n e l l a sto r i a .
Un secolo dopo l’istaurazione dell’Impero Mondiale Musulmano, si espanse dalla Spagna all’India sett. La sede del califfato fu spostata prima in
Iraq, poi a Damasco e più tardi a Baghdad. A partire dal X sec Baghdad perse parte del suo potere politico e l’autorità religiosa si spostò ai dotti
religiosi. Il califfo rimase come capo religioso e giuridico formale fino al saccheggio della città da parte dei mongoli. In seguito, vi furono
tentativi di istaurazione del califfato: al Cairo dai sultani mamelucchi e poi dei turchi ottomani a Istanbul senza mai raggiungere la gloria di un
tempo. Il califfato venne abolito in Repubblica di Turchia sono nel 1924 da Mustafa Kemal Ataturk.
3. L ’ e m e r g e r e d e l l o s c i i s m o . I l r u o l o d i ‘ A l ī .
La questione dell’imamato per gli sciiti, iniziò quando Mohammad era ancora in vita. Secondo loro, egli nominò ‘Alī ibn Abī Tāib, marito della
figlia Fātima. Nonostante sia una figura di rilievo per tutti i musulmani, per gli sciiti occupa una posizione molto importante. I termini sciita,
sciismo, shī ‘at ‘Alī derivano da “il partito di Alī”. ‘Alī aspettò ventiquattro anni prima di diventare califfo (656). Il periodo del suo califfato fu
molto burrascoso e dominato da battaglie – si ricordano la battaglia del Cammello e di Siffīn – e termina con l’assassinio di ‘Alī (661).
La versione sciita è la morte del Profeta rappresentò un momento duro per la comunità musulmana, anche perché Mohammad non ebbe eredi
maschi; perciò la figura di ‘Alī fu considerata la più adatta a succedergli. Muhammad, rimasto orfano, stette sotto la giurisdizione di Abū Tālib, il
padre di ‘Alī (il primo umo ad accettare l’slam). Nella hijra da Mecca a Medina ‘Alī si mise in pericolo dormendo al posto del Profeta a Mecca e
dopo lo spostamento della comunità a Medina sposò la figlia Fātima. Oltre che una delle prime persone avvicinate all’islam, guidò anche
importanti battaglie per conto del Profeta. Secondo la tradizione sciita, ‘Alī venne nominato successore e capo della comunità da Mohammad
durante il ritorno dal Pellegrinaggio dell’Addio a Mecca. Nella visione sciita ‘Alī è considerato il guardiano della comunità e per questo, secondo
loro, i primi tre califfi – Abū Bakr, ‘Umar e ‘Uthmān – furono degli usurpatori. È considerato l’erede della conoscenza del Profeta, i suoi scritti e
detti sono stati raccolti in una grande opera (Il sentiero dell’eloquenza), gli erano attribuite azioni miracolose e nella calligrafia è mostrato come
il leone. Oltre al pellegrinaggio alla ka ‘ba, per gli sciiti è molto importante recarsi in visita di devozione a Najaf, considerata la terza città santa
in quanto ospita la tomba di ‘Alī. Nonostante sia consigliata una sepoltura sobria, ad ‘Alī è dedicato uno sfarzoso mausoleo. Il pellegrinaggio a
Najaf è consigliato negli anniversari di nascita e morte di ‘Alī e ad altre importanti ricorrenze. Gli sciiti credono che la vera conoscenza sia
trasmessa solo ai discendenti di ‘Alī. In una moschea sciita, alla fine delle preghiere si aggiunge la frase “e ‘Alī è l’amico di Dio”.
4. L ’ i m a m a t o d i H a s a n .
Sin dall’inizio, lo sciismo fu associato a persecuzioni e opposizione. Essi erano convinti di essere i veri credenti, mentre gli altri seguivano la
strada errata. Non riconobbero il diritto al governo alla dinastia Omayyade (famiglia di élite mercantile della Mecca), i cui membri si
convertirono tardi all’islam e governarono dal 661 al 750. Alla morte di ‘Alī gli successe il figlio Hasan, il quale rinunciò al diritto al califfato per
evitare un confronto con il governatore omayyade della Siria che aspirava al potere. Si spostò poi a Medina, dove morì forse avvelenato;
secondo gli sciiti rimase il secondo imam fino alla morte e gli sono attribuiti miracoli. Ci sono varie versione storiche circa l’accaduto; la più
comune è che al momento dell’abdicazione gli venne pagata un’ingente somma di denaro.
5. L ’ i m a m a t o d i H u s a y n .
Nel 680 Husayn, il secondogenito di ‘Alī venne convinto a guidare una ribellione contro il principe omayyade Yazīd. Husayn si ritrovò a
combattere una battaglia in minoranza numerica, fu brutalmente ucciso insieme a tutti i suoi parenti (77 uomini), eccetto il figlio ‘Alī Zayn al –
‘Abidīn. L’esercito avversario saccheggio l’accampamento e imprigionò donne e bambini. da questi eventi, derivano i rituali di lutto ed
espiazione degli sciiti. Husayn divenne il “principe dei martiri” e le sue sofferenze furono paragonate all’ultima settimana di vita di Gesù. Il
sacrario di Husayn a Karbalāvè uno dei luoghi più santi visitati, e in molti desiderano esservici sepolti.
6. D i v i s i o n e t r a g l i s c i i ti .
Gli sciiti non appartengono ad un’unica corrente; oggi il termine indica solo i duodecimani, il gruppo più numeroso. Sono situati soprattutto in
India, Iraq e nella Rep. Islamica dell’Iran (dove è religione di stato). La genealogia sacra degli imam termina con la morte del quarto imam nel
712: Zayn al ‘Abidīn, figlio di Husayn. Da quel momento vi furono spaccature che originarono moltissimi gruppi.
a) G l i s c i i ti za y d i ti .
Il gruppo autonomo degli zayditi (o dei Cinque) nasce dalla contestazione del successore del quarto imam. Il gruppo prende il nome da Zayd ibn
‘Alī, pro-pronipote del Profeta, ucciso nel corso di una ribellione. Secondo loro aveva il diritto di rivendicare l’imamato, perché ormai non
spettava più ad una particolare discendenza dal Profeta ma da ‘Alī. Al contrario degli sciiti, non credono in un imam nascosto o nella sua purezza
e infallibilità. Hanno le proprie tradizioni giuridiche e teologiche, dalle quali si ritengono più vicini ai sunniti.
Nel corso dei primi anni la loro attività era militare: erano convinti che l’imam era colui che si afferma con la spada, attraverso una ribellione
armata, guidato da colui che possiede la scienza religiosa. Alla morte di Zayd, seguirono tentativi di ribellione, ma per evitare persecuzioni si
spostarono in zone remote del mondo musulmano. Dalla morte di Hasan (secondo imam) furono fondati due stati zayditi: nell’area caspica
dell’Iran e in Yemen, a Sa ‘da, dove governarono fino al 1962. Dalla morte dell’ultimo imam nel 1996, gli zayditi non hanno un imam.
b ) G l i s c i i ti i s m a i l i ti .
Gli sciiti ismailiti furono un gruppo nato nel 765 e furono politicamente attivi nell’Alto Medioevo. Il motivo della sua origine è sconosciuto, ma si
pensa che riguardi un dissenso sulla successione del sesto imam. La maggior importanza venne raggiunta nel 899 quando ‘Ubayd Allah al-
Mahdī fondò un contro califfato ismailita nel Nord Africa, dichiarando la sua discendenza dal Profeta. Con il suo successore, il quarto califfo
fatimide al-Mu’izz, la dinastia venne spostata in Egitto, al Cairo, nel 969. A partire da questo periodo si visse lo splendore del dominio fatimide:
erano intenzionati a espandersi su tutto il mondo musulmano per imporre la propria interpretazione. Dominarono il Mediterraneo fino
all’arrivo di Saladino (eroe musulmano del periodo delle crociate) nel 1171, che riportò il controllo dei territori governati dai Fatimidi al califfo
sunnita di Baghdad.
L a d i v e r si tà i s m a i l i ta . Nella corrente ismailita, ci fu una scissione minore già all’inizio della storia fatimide, durante il regno del sesto
califfo al-Hākim (famoso per aver distrutto la chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme nel 1009). Al-Hākim fu deificato quando era ancora in

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vita e dopo la sua scomparsa i seguaci formarono il gruppo estremista dei DRUSI, che si isolarono sulle montagne a nord della Siria e del Libano.

I NIZARITI sono un gruppo stabilitosi nella parte nord-occidentale dell’Iran, separata dalla corrente fatimide nel 1094. Questa setta sciita è nota
con l’appellativo di Assassini, e predicava una nuova forma di islam che attraeva gli intellettuali (per le dottrine esoteriche) e le persone comuni,
promettendo una società più giusta. Dal 1095 al 1124 compirono una serie di delitti (50) che comprendevano i ministri del governo, le figure
militari o religiose. I delitti erano spesso compiuti il venerdì nel cortile della moschea. Dopo la morte del capo Hasan-i Sabbāh il movimento
perse parte del suo clamore, ma la loro fama durò fino al XIII sec quando i mongoli condussero una spedizione al fine di distruggerli. In seguito,
entrarono in clandestinità e non adottarono più posizioni militari restando nell’ombra ancora oggi.
Un’ulteriore divisione avvenuta nel 1095 è quella dei BOHORA, stanziati nello Yemen e poi nel subcontinente indiano (il loro maggiore centro),
in Pakistan e in Africa occidentale e orientale. Si tratta di una comunità poco conosciuta all’estero, che si occupa della sovvenzione di ospedali e
sciole.
C r e d e n ze e p r a ti c h e i s m a i l i te . Sin dall’inizio le credenze sono mantenute segrete; operavano una distinzione tra le interpretazioni
esteriori del Corano e una verità interiore conosciuta solo dagli imam. Alcune delle dottrine interiori esoteriche evidenziano l’influenza di
credenze pre-islamiche, legate allo gnosticismo e il neoplatonismo. Nella visione ismailita, la storia ha un carattere ciclico: ogni settemila anni
inizia con un profeta. Sette rappresenta il numero chiave perché Imā ‘il era il settimo imam. Gli ismailiti praticavano la taqiyya, la dissimulazione
delle loro credenze: per preservarsi gli era consentito di fingere di avere altre credenze. Secondo la dottrina di nass, la scelta del successore
dell’imamato dipendeva dalla designazione dell’imam vivente, poiché era l’unico a possedere la conoscenza da Dio.
Oggi è improbabile che le comunità ismailite nutrano interesse verso le oscure idee filosofiche dei predecessori medievali. Anche nel medioevo,
nonostante le loro dottrine filosofiche, condividevano con altri gruppi sciiti credenze e rituali. Partecipavano ai cerimoniali per la
commemorazione del martirio di Husayn, pregano in venerdì nel jama ‘atkhana (non in moschea), lasciano l’interpretazione della dottrina
all’imam. L’attuale capo degli sciiti nizariti è Karim Agha Khan IV (49esimo imam), l’obbedienza nei suoi confronti è obbligatoria. È un capo
illuminato e tollerante, che ricerca la pace e la comprensione tra le religioni del mondo. Sostiene iniziative educative, culturali e filantropiche ed
è favorevole alla partecipazione delle donne nella comunità; ma la sua voce solitamente è ignorata dai media occidentali.
Gli ismailiti, sono ben integrati nei contesti sociali del mondo. Sono una minoranza in più di 25 paesi tra Medio Oriente, Africa, Asia, Europa e
Nord America. Tra di loro sono molto disponibili (all’arrivo dei primi ismailiti afghani in Canada li aiutarono come ai tempi del profeta). Le
comunità stanziate nel subcontinente indiano organizzarono un’ampia raccolta di poemi a canti sugli imam. La trasmissione avvenne oralmente
e in seguito venne scritta e tradotta in più lingue. I ginan, raccontano storie del passato e forniscono una morale. Messi in musica costituiscono
una parte importante del culto. All’incontro del venerdì, oltre al Corano, viene letta la letteratura devozionale.
c ) G l i s c i i ti d u o d e c i m a n i .
Oggi i duodecimani rappresentano il maggiore gruppo. Tengono un profilo basso ma sono molto impegnati attivamente in Iran e Iraq.
Storia e dottrina. Dopo la divisione di zayditi e ismailiti, gli sciiti restanti (i duodecimani) ebbero una linea di imam ininterrotta fino all’874. Il
califfo sunnita regnante all’epoca, imprigionò l’undicesimo imam, che morì senza un erede. Ciò causò una crisi tra gli sciiti duodecimani, ma si
diffuse la convinzione che ci fosse un erede di nome Mohammad, che sarebbe stato protetto durante la prigionia del padre e nominato
dodicesimo imam. è stato allevato in un posto segreto ed entrava in contatto con i propri discepoli attraverso quattro emissari. Questa fase
della dottrina è chiamata dell’occultamento minore e si riferisce al periodo in cui si credeva nell’esistenza di un dodicesimo imam, però
nascosto da qualche parte sulla terra. Alla morte dell’ultimo emissario, venne annunciata l’esistenza di Muhammad, dicendo però che si trovava
in uno stato di occultamento maggiore. Sarebbe tornato solo alla fine dei tempi in veste di Mahdi, l’Atteso, colui che inaugurerà un’era di
giustizia prima del Giorno del Giudizio (preceduto da cataclismi). L’occultamento del 12esimo imam, rappresenta un problema perché i suoi
seguaci non poterono più rivolgersi a lui per ricevere una guida. Come gli ismailiti, credono che l’imam sia immune all’errore. Per ovviare alla
mancanza di un imam, decisero che la classe colta degli studiosi fosse la più adatta a guidare la comunità. Per la mancanza di un imam, gli sciiti
duodecimani divennero quietisti. Quindi Dio non lasciò la comunità senza una guida, ma l’imam fu colui che possedeva la conoscenza adatta a
interpretare il Corano. Questa conoscenza si ritrova in ‘Alī e negli imam successivi. Erano i capi spirituali e politici della comunità e immuni
dall’errore. I duodecimani credono nella pratica della taqiyya (dissimulazione, vedi sopra). La situazione scambiò per i duodecimani dell’Iran.
Nel 1501 venne fondata una nuova dinastia, i Safavidi, che fecero dello sciismo duodecimano la religione di stato; contraddistinguendolo dalle
potenze sunnite vicine (Turchia, Vicino Oriente e India). A partire dal XIX sec circa dieci dotti religiosi, furono ritenuti i più qualificati a guidare i
fedeli sciiti quotidianamente. A costoro venne conferito il titolo di marja ‘taqlid. Questa situazione permise di creare una guida religiosa
centrale. Però per avere uno stato guidato dai dotti duodecimani bisogna aspettare il 1979.
‘A s h ū r ā ’ . Il X sec è definito il secolo sciita, con l’introduzione delle cerimonie sciite nel califfato sunnita di Baghdad. ‘Ashūrā’ è la più
importante frase sciita commemorata dal 962 fino ad oggi. La morte di Husayn rappresenta una fase importante dell’esperienza religiosa sciita.
Il decimo giorno del primo mese del calendario islamico, rappresenta l’apice dei giorni destinati al lutto del suo martirio. Il rituale ebbe origine a
Medina, al tempo del figlio sopravvissuto di Husayn e comporta la narrazione della tragedia a lui legata e la recitazione delle sue memorie. In
seguito, i mausolei degli imam divennero meta di pellegrinaggi, durante i quali veniva narrato il martirio di Husayn. A Baghdad, del X sec nel
giorno del lutto i negozi erano adornati di drappi neri; con lo sciismo duodecimano come religione di stato la sua celebrazione raggiunse la
piena realizzazione. Era inscenata una rappresentazione della passione, in cui i cattivi vestono di rosso e si esprimono in prosa e gli eroi vestono
di bianco e si esprimono in versi. Questo rituale ha un grande fascino, tanto da essere scritto da coloro che vi assisterono. Ancora oggi questa
rappresentazione è rievocata e per le strade si vedono gruppi di uomini a torso nudo che si strappano i capelli, brandiscono spade o che
trascinano catene dietri di loro, nei nove giorni precedenti all’Ashura’. La morte di Husayn è celebrata anche nelle cerimonie di rūzeh intonando
canti sulla vita e sulla morte. La flagellazione è reale o simbolica? A volte è reale perché i giovani ritengono che riportare atti di penitenza
all’intera comunità sia un privilegio. Le donne non vi partecipano ma osservano tutta la rappresentazione. La morte di Husayn è vista come un
sacrificio volontario a favore della comunità, quindi la commemorazione fornisce una ricompensa spirituale a chi vi partecipa, rappresentando
anche un ricordo della sofferenza sciita nei secoli. ‘Ashura’ e le attività correlate sono state utilizzate di recente anche come movimento contro i
governi tirannici.
Le sacre soglie degli sciiti. Le sacre soglie sono alcune città dell’Iraq che ospitano le tombe dei sei imam. Najaf ospita la tomba di ‘Alī, Karbalā è il
luogo di sepoltura di Husayn, Kāzimayn e Samarra ospitano le tombe degli altri quattro imam. quando gli sciiti si recano presso una di queste
città circumambulano le tombe recitando speciali formule e facendo voti a Dio. Per gli sciiti è consuetudine portare a casa piccole reliquie
commemorative. Si crede che la terra di Karbala miscelata ad acqua ed essiccata a forma di mattoncino sia una cura per i malati. Chi ha la
disponibilità, richiede la sepoltura in una delle sacre soglie. Nonostante la loro centralità per la vita intellettuale, sono stati spesso teatri di

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azione politiche: nel 1991 al tempo del presidente iracheno Saddam Husayn la cupola dorata del santuario di Najaf è stata danneggiata e sono
state uccise molte importanti figure sciite. Nel 20016 il mausoleo di Samarra è stato danneggiato da un’esplosione.
d ) G r u p p i s c i i ti m i n o r i ta r i .
La parola ghulāt (in arabo estremisti), nella fase iniziale della storia islamica si usava in riferimento ai gruppi minoritari, ritenuti eterodossi nelle
loro credenze. Tali gruppi erano influenzato da altre religioni come lo gnosticismo e il cristianesimo, attribuendo caratteri divini a figure
musulmane ritenute sante. Gli sciiti che seguirono questi orientamenti furono condannati e perseguitati dalle correnti maggioritarie. Due di
questi gruppi sono gli ALAWITI e gli ALEVITI.
Gli alawiti. Appartengono alla Siria occidentale, al Libano e alla Turchia sud-orientale. Sono chiamati anche nusayri e si distaccarono dallo
sciismo nel IX sec. Sebbene siano considerati sciiti duodecimani, le loro credenze e i loro riti contengono elementi gnostici, ismailiti e cristiani.
Deificano ‘Alī. Il presidente della Siria Hafiz al-Asad era alawita. Ottenne il potere con un colpo di stato nel 1970 e da allora i compagni alawiti
hanno avuto il monopolio delle posizioni civili e militari più alte, nonostante costituiscano una minoranza. Essi continuano a volgere questi ruoli
sotto la presidenza del figlio Bashashar.
Aleviti. Costituiscono una minoranza della Turchia contemporanea con 7-8 milioni di aleviti. Circa il 20% di loro sono curdi. Fino a poco tempo fa
la conoscenza delle loro tradizioni è stata problematica perché era orale e perché essendo una minoranza erano fortemente cauti. Dal XI sec
entrarono in contatto con diverse culture in seguito agli spostamenti in Asia centrale, in Anatolia e oltre i Balcani. Molti aspetti delle loro
credenze, sono basate sullo sciismo con l’influenza del cristianesimo e dello sciamanesimo. I loro rituali hanno numerosi elementi in comune
con la pratica sufi (v. c. 7). Le loro credenze sono trasmesse attraverso i santi aleviti, che risalgono al santo sufi Hajji Bektash, che si pensa
risalire fino a Muhammad attraverso il sesto imam. Considerano amici solo coloro che amano ‘Alī. In lui vedono il legittimo successore di
Muhammad e maledicono i primi tre califfi e la dinastia Omayyade (assassini di Husayn). Digiunano dodici giorni del mese di muharram per
piangere la morte di Husayn. Non negano l’alcool e non pregano in moschea. La loro cerimonia, il semā, ha luogo in una cem evi (casa
dell’assemblea) ed è condotta dal dede. Prima dell’inizio della cerimonia ricordano Karbala e recitano versetti. Il culto verso Husayn rappresenta
una consapevolezza collettiva di essere una minoranza. Durante la cerimonia, uomini e donne praticano una danza rituale durante la quale si
beve vino o raki. Il sema riprende il rituale sufi e la comunione cristiana. Oggi eseguono le proprie cerimonie in luoghi pubblici e ambiscono che
la loro fede sia insegnata nelle scuole.
7. La giurisprudenza sciita.
Alla separazione dei primi sciiti, le nuove “sette” avevano già sistemi giuridici differenti nonostante condividessero caratteri comuni (hadīth fino
ad ‘Alī o al Profeta). Le scuole giuridiche non si discostarono dai sunniti circa le questioni fondamentali della legge islamica.
a ) D i ffe re nze p r i n c i p a l i t ra g i u r i s p r u d e n za s u n n i ta e s c i i ta
Entrambi considerano il Corano il testo sacro per i principi giuridici imprescindibili, la differenza sta nella seconda fonte utilizzata: la sūnna
(condotta esemplare del Profeta, esposta negli ahādīth). Le raccolte degli hadīth sciiti si distinguono per attribuire ai detti la famiglia del Profeta
e contengono molto più materiale assente nelle raccolte sunnite. Gli sciiti rifiutano i concetti sunniti di analogia (qiyās) e di consenso (della
comunità, ijmā’); ma riconoscono l’autorità dell’imam nel riconoscere cui che è o non è legale. Per gli sciiti duodecimani (una volta che
l’occultamento del 12esimo imam divenne la dottrina ufficiale – non vi erano più imam viventi) divenne necessario delegare la sua autorità alla
classe religiosa (i giurisperiti di altro rango ne erano a capo) per l’interpretazione della legge. Gli ismailiti hanno una linea di imam viventi, con il
titolo di āghā khān, con autorità in questioni di interpretazione della giurisprudenza islamica e passa di generazione in generazione.
b ) S t o r i a d e l l a g i u r i s p r u d e n za s c i i ta
Gli zayditi (più piccola delle correnti sciite sopravvissute) ebbero dotti interessati ad elaborare la giurisprudenza basata sui detti di Zayd ibn ‘Alī
(il fondatore); la loro giurisprudenza è molto simile a quella della scuola sunnita hanafita. La più antica opera di giurisprudenza zaydita fu Al-
majmū’ al-kabīr, composta di detti e sentenze di Zayd e compilata nell’VIII sec. da Abū Khālid al-Wāsitī. Una delle fonti principali dell’ismailismo
è l’opera magistrale di al-Qadī al-Nu’mān, Da’ā’im al-islām (I pilastri dell’islam), che codifica la giurisprudenza ismailita. L’opera è divisa in due
parti: obblighi devozionali e religiosi verso Dio e le relazioni verso la sua società. La storia dello sciismo dudecimano è ben documentata: il sesto
imām è considerato la figura i cui detti e pareri formano la base della giurisprudenza duodecimana (chiamata anche giafarita -ja’farī).
L’esplicazione definitiva della loro giurisprudenza ebbe inizio nel X sec a Qom (Iran), ove due dotti, riunirono e modificarono migliaia di ahādīth
sciiti. La raccolta più prestigiosa di questi è Kāf, contente 16199 ahādīth. Opere di questa importanza giuridica furono scritte anche a Baghdad
sotto la dinastia iraniana sciita dei Buyidi. Tra il XIII e il XIV Hilla (Iraq) divenne un centro di giurisprudenza degli sciiti duodecimani. Lì, dei due
dotti tenuti in grande considerazione (Muhaqqiq al-Hilli e al-‘Allāma al-Hilli) il secondo fu il primo āyatollāh. Da allora questo titolo non viene
conferito ai duodecimani attraverso un certificato, ma dal consenso unanime della comunità dei dotti. Egli convalidò il principio del giudizio
personale (ijtihād) integrandolo nella giurisprudenza duodecimana. Egli sostenne che il mujtahid (dotto che esercita un giudizio personale) non
è infallibile: può cambiare opinione e le sue fatwā sono valide solo fin che è in vita; ciò ha mantenuto il pensiero giuridico duodecimano
flessibile. Come i sunniti, i duodecimani studiavano giurisprudenza nelle madrase sciite (come Najaf e Qom), ottenendo una conoscenza
approfondita del Corano, degli ahādīth e dei principi della giurisprudenza. Alternativamente la potevano studiare nelle hawza (centri
intellettualmente vivaci). In Iran lo sciismo duodecimano divenne religione di stato nel 1501 e con i secoli, la classe religiosa divenne una
potente istituzione clericale.
c ) I l m at r i m o n i o te m p o ra n e o ( m u t ’a )
Sunniti e sciiti, concordano sul fatto che inizialmente Muhammad aveva permesso il mantenimento di questa pratica preislamica, quando i
musulmani erano impegnati in lunghi viaggi o campagne militari. Il matrimonio poteva essere un contratto di un tempo prestabilito, in cui i due
potevano avere relazioni sessuali, al termine si separavano se la donna aveva ottenuto il suo compenso. La sua tribù manteneva i “diritti” su di
lei e nel caso di una nascita, il bambino restava con la madre. Secondo i sunniti però questo matrimonio fu soppresso perché non garantiva
all’uomo una discendenza legittima. Al contrario, secondo gli sciiti duodecimani, vi erano molti detti provenienti dalla famiglia del Profeta che
approvavano questo matrimonio. Le altre due principali correnti sciite, come i sunniti, rigettarono questa pratica considerandola prostituzione.
8 . L a Re p u b b l i c a i s l a m i c a d e l l ’ I r a n . L o s c i i s m o d u o d e c i m a n o c o m e i d e o l o g i a d i sta to m o d e r n o .

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Oggi l’unico paese ad avere lo sciismo come religione di stato è l’Iran. Con la Rivoluzione del ’79 si ebbe un cambio di governo e l’inaugurazione
di una nuova fase dello sciismo duodecimano. Il ritorno dell’āyatollāh Khomeynī dall’esilio, depose la monarchia dallo stato e instaurò una
teocrazia. Con la rivoluzione, da lui guidata, si ebbe un regime militante sciita duodecimano al potere, appoggiato dai dotti religiosi, alleati con i
bāzārī (commercianti). Il nuovo governo, era basato su una rigida interpretazione della sharī’a sciita. la dottrina vilāyat-i faqīh (il governo del
giurisperito), prevedeva che i dotti avessero autorità religiosa e politica; a loro si doveva obbedienza come a Dio. Questa dottrina divenne la
base del nuovo governo evidenziando l’importanza della legge islamica. In ogni caso Khomeynī con la sua dottrina si riferiva al governo del
singolo e che avrebbe garantito il predominio della sharī’a e inaugurato uno stato islamico in cui il clero duodecimano avrebbe avuto
responsabilità esecutiva, legislativa e giuridica. Una volta al potere, impose un regime molto rigido e il hijāb alle donne di ogni età. Con lui la
parola “fatwa” divenne famosa in tutto il mondo dopo che condannò Salman Rushdie a morte per il suo libro I versi satanici. Da allora, il clero
sciita, non essendo composto da semplici studiosi solitari, iniziò ad usare Internet come mezzo di diffusione della propria visione giuridica. Egli
non guidò mai in prima persona nessuna celebrazione dell’Āshūrā e scoraggiò qualsiasi dimostrazione pubblica di devozione. Ciò non cambiò
anche con il suo successore, ‘Ali Husaynī Khāmeneī; tuttavia rimase sempre vivo il culto di ‘Alī.
9. Lo sciismo oggi.
I duodecimani sono la corrente più numerosa tra gli sciiti, ma esistono anche gli zayditi, gli ismailiti e altre correnti minori. Tra queste, spettano
agli alawiti gli onori gli onori della cronaca del 2011, a causa della guerra civile in Siria. L’iniziale divisione tra sciiti e sunniti, inizialmente, fu
causata dalle interpretazioni divergenti su chi avrebbe dovuto mettersi alla guida della comunità musulmana. Però gli sciiti svilupparono anche
proprie storie della salvezza, ricorrenze proprie, propri riti, propri mausolei, propri hadīth e una propria giurisprudenza. Ormai gli sciiti si
vedono come i sostenitori degli oppressi, perché combattono contro i despoti e contro coloro che sfruttano i poveri. L’emotività delle feste
sciite è arricchita dalla consapevolezza delle persecuzioni degli antenati e della tensione ancora esistente tra sciiti e sunniti. Gli sciiti non si
trovano solo in Medio Oriente, ma in più aree del mondo. Ciò è dovuto ai massicci spostamenti causati da problemi politici ed economici. I
legami con la patria sono mantenuti attraverso i marāji’ (autorità supreme della giurisprudenza islamica), che forniscono una guida anche a chi
è lontano. Dopo i primi conflitti settari, sunniti e sciiti, vissero insieme in Medio Oriente, ma con la Primavera araba del XXI sec. sono riemerse
le antiche ostilità, compromettendo pace e armonia.
CAPITOLO SESTO
IL PENSIERO
La giurisprudenza islamica occupa un posto privilegiato, anche se teologia e filosofia contribuirono allo sviluppo dell’islam. Presso le corti di
califfi e sultani i teologi dibattevano circa concetti teologici e vi scrivevano trattati, definendo i principi della fede. Nonostante tendesse ad
essere di un’élite esclusiva, alcune opere raggiunsero la Scuola di traduttori di Tolodeo e furono tradotte in latino e messe in circolazione
nell’Europa medievale. Come per il pensiero politico islamico, anche la filosofia, fu elaborata dai migliori intellettuali e fu un’aria di riflessione
cruciale.
1 . L a te o l o g i a i sl a m i c a .
I musulmani considerano Muhammad il Profeta che ricevette le rivelazioni da Dio, ma non fu un pensatore sistematico che lasciò una struttura
teologica definita. Il messaggio principale che trasmise è che l’umanità deve obbedire a Dio; però con l’allargamento della comunità, i
musulmani avvertirono la necessità di avere risposte alle domande dottrinali dell’islam. Il termine musulmano per “teologia” è kalām, che
significa discorso. Il termine “dialettica” di Aristotele (espressione delle controversie attraverso argomentazioni ragionate); chi prendeva parte a
questi dibattiti, conversava di temi inerenti alla fede. In Siria, nel VII-VIII sec. i dotti dovettero difendere la fede musulmana dai seguaci di altre
religioni. Le questioni teologiche della natura di Dio, del male, del libero arbitrio e della predestinazione, costituirono un problema per i teologi
islamici ma anche ebrei e cristiani. I musulmani rivendicarono il fatto che la propria rivelazione completava quelle cristiane ed ebree, ritenute
incomplete. L’islam era la rivelazione finale e dopo Muhammad non ci sarebbe stato nessun altro profeta. La teologia islamica, emerse nella
seconda metà del VII sec. nella Siria omayyade (661-750) e si sviluppò dal 750 con il dominio abbaside. I contatti con i cristiani d’Oriente, con i
dotti delle religioni iraniche dello zoroastrismo e del manicheismo, affinarono il dibattito e le abilità dialettiche. Le questioni teologiche vennero
analizzate dai dotti musulmani perché sentivano la necessità di presentare il punto di vista islamico, per difendere la propria fede e per
formulare “le risposte musulmane corrette”. I dibattiti di confronto tra musulmani e cristiani erano tenuti presso le corti dei califfi di Damasco e
Baghdad. Damasceno, al servizio della corte omayyade di Damasco come funzionario delle tasse, scrisse un testo (Controversia tra un cristiano
e un saraceno) sugli argomenti di disaccordo tra i due e sulle possibili risposte da dare. Nel 781 il cristiano Timoteo partecipò ad un evento alla
corte di Baghdad. Gli altri temi teologici riguardavano chi era legittimato a far parte della comunità. I dotti individuarono ed espressero i propri
giudizi su ortodossia o eresia islamica.
a ) I p r i m i g r u p p i te o l o g i c i m u s u l m a n i
I qadariti (qadariyya) erano un gruppo di pensatori del VIII sec. e sostenevano il libero arbitrio per tutta la comunità. Dio non comanderebbe di
agire virtuosamente, se essi non potessero decidere da soli cosa vogliono fare. I giabariti (jabariyya) sostenevano che gli umani non hanno
scelta per le loro azioni. Un gruppo influenzato dai qadariti, i mu’taziliti, volevano creare un sistema adeguato alle dottrine metafisiche
musulmane, considerandosi “la gente della giustizia e del tawhīd (credo nell’unico Dio)”. Sostenevano che nella Sua giustizia, dovesse
permettere all’umanità il libero arbitrio, altrimenti avrebbe dovuto punire esseri umani per azioni che sapeva sarebbero accadute. Mentre la
maggior parte considera il Corano coeterno a Dio (quindi increato), nell’827, il califfo al-Ma’mūn stabilì la dottrina del creato come dottrina
ufficiale dell’Impero abbaside sunnita. A tutti i giudici, fu ordinato di accettare questa dottrina e a coloro che si opposero rischiavano la pena di
morte. Questa dottrina, fu contestata da Ahmad Ibn Hanbal, un dotto conservatore che credeva che la verità dell’islam si trovasse
nell’osservanza delle tradizioni antiche. La dottrina del califfo però non venne accolta e venne abolita nel 850 con il califfo al-Mutawakkil che
dichiarò la dottrina del Corano increato. Secondo Ibn Hanbal i credenti non dovrebbero interrogarsi su questioni oltre la comprensione umana. I
mu’taziliti furono la prima vera scuola di teologia islamica, ma non durarono a lungo.
b ) A l - A s h ’a r ī e i s u o i s u c c e s s o r i
Il vero fondatore della teologia islamica fu Al-Ash’arī. Inizialmente sostenne il pensiero dei mu’taziliti, poi divenne un tradizionalista sunnita,
mantenendo la metodologia dei mu’taziliti. Secondo lui, Dio prestabilisce le azioni umane ma gli uomini ne hanno responsabilità prima che
queste siano compiute. Sostiene che gli usi antropomorfi del Corano in riferimento al volto e alle mani di Dio debbano essere accettate senza

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ricerche in merito. Un suo “Credo” sopravvisse: mira a presentare il vero credo musulmano sunnita, ne sintetizza i dogmi ed elenca i principi
che ne costituiscono la fede. È posta in evidenza la fede in Dio, negli angeli, nelle scritture e nei Profeti. Gli angeli sono menzionati molte volte
nel Corano, in quanto creati da Dio. Alcuni nomi degli angeli sono noti anche a cristiani ed ebrei: Gabriele (Jibrīl), Michele (Mīkhā’īl); mentre
altri come Hārūt e Mārūt sono angeli caduti da Babilonia, che insegnarono agli umani la magia. Il Corano annuncia che gli angeli e i profeti di
Dio sono dalla Sua parte. La Sua unicità è enfatizzata dalla certezza del giudizio di Dio e sul fatto che “il Corano è la Parola increata di Dio”. I suoi
successori, soprattutto al-Juwaynī (del XI sec) e l’allievo al-Ghazālī, fornirono alla teologia islamica gli strumenti dell’argomentazione logica
sviluppata da Aristotele e le diedero lo stesso fondamento che Tommaso d’Aquino fornì alla teologia cristiana. Nonostante questo, i due sono
descritti come giurisperiti e non come teologi. Nel libro Dissuasione delle masse dallo studio della scienza del kalām di al-Ghazālī, egli sostiene
che sarebbe dannoso per le persone indulgere in materia degli studi religiosi. Lo studio della teologia continuò fino al tardo Medioevo, ma era
limitato ai commentari di opere precedenti piuttosto che all’approccio nuovo all’argomento.
c ) L e p r i n c i p a l i d o tt r i n e te o l o g i c h e i s l a m i c h e
Il cuore della loro dottrina è il monoteismo assoluto. La trascendenza di Dio esclude la trinità (cristiana) o il dualismo (Dio e Satana).
Un’importante dottrina è quella dei “Bei nomi di Dio”, citati in quattro capitoli del Corano. Il rosario musulmano è composto da 99 grani e
quando pregano in privato, ripetono i 99 nomi, anche se non sono tutti, in quanto alcuni sono ancora celati all’umanità. Al-Ghazālī, circa questi
nomi, scrisse un trattato per spiegarne il significato; essi includono “Il Compassionevole”, “il Potente”, “il Nobile” e “il Santo”. La dottrina che
riguarda il titolo del Sigillo dei Profeti, fu data a Muhammad e significa che egli è l’ultimo inviato da Dio per predicare la Sua rivelazione: egli è
più di un profeta, è il compimento di tutti i precedenti. L’i’jāz (carattere miracoloso del Corano) è una credenza fondamentale dell’islam, che
sostiene che nessuno possa imitare il linguaggio del Corano. L’idea del profeta illetterato rafforzò quindi la natura miracolosa della rivelazione. I
temi della natura di Dio, la profezia e la controversia sulla creazione o increazione del Corano furono questioni importanti, che ebbero anche
riscontri politici a volte.
2 . L a fi l o s o fi a i s l a m i c a .
Falsafa è un prestito greco di philosophia, in quanto non c’è un termine arabo. Ciò sintetizza le difficoltà incontrate dai giurisperiti
nell’accogliere la filosofia nel campo di indagine della religione. Con il governo dell’abbaside al-Ma’mūn a Baghdad fu istituita la “casa della
sapienza”, che portò la città ad una grande fama. Opere classiche greche, alcuni lavori di Platone e Aristotele e i capisaldi della filosofia
occidentale furono tradotti in arabo tramite il siriaco. In seguito in Spagna queste versioni furono tradotte in latino diffondendosi in tutta
Europa e diventando noti ai grandi pensatori rinascimentali. Dal 750 la filosofia islamica emerse come ramo delle scienze religiose. Questi
studiosi interessati alla filosofia non erano specialisti, ma avevano impieghi vari presso le corti.
a ) L’ i n fl u e n za d e l n e o p l a to n i s m o
Il neoplatonismo influì molto sullo sviluppo della filosofia islamica: la figura centrale fu Plotino (di origine egiziana del III sec). con il
neoplatonismo si abbandona l’idea per cui Dio ha creato l’universo in un momento specifico del tempo, ma propone una continua emanazione,
senza che Lui ne sia interessato. Al di sotto dell’Unico c’è la Mente Divina, da cui emana l’Anima del Mondo, che produce le anime umane e la
materia. Il maggior esponente della filosofia neoplatonica fu Abū ‘Alī al-Husayn Ibn Sīnā, conosciuto come Avicenna. Era uno specialista in
medicina e fu così prestigioso che i suoi libri furono usati per lo studio fino al XVII sec. Tuttavia, fu difficile innestare il neoplatonismo in una
religione rivelata, che riteneva che Dio avesse creato il mondo in un momento specifico; per questo i filosofi subirono molti attacchi dai
tradizionalisti. Nonostante la filosofia islamica non trovò posto nelle scienze religiose, lasciò il segno sugli studiosi medievali come al-Ghazālī
che adottò la logica aristotelica per confutare le affermazioni della stessa filosofia. Le idee dei teologi musulmani ebbero un limitato impatto al
di fuori della società d’appartenenza, mentre quelle dei teologi furono apprezzate anche nell’Europa cristiana. La filosofia islamica ebbe miglior
sorte presso i circoli sciiti del tardo Medioevo. Con ‘irfānī (sufismo filosofico) la filosofia fu nascosta nelle tradizioni mistiche dell’Iran. Ciò fu
importante per il pensiero cosmologico di Mullā Sadrā di Isfahān, influenzato dal sufi illuminazionista Suhrawardī. La sua opera fu una
combinazione di credenze sciite e sufismo, in contrasto con la situazione stagnante della filosofia dei paesi sunniti.
3 . I l p e n s i e r o p o l i ti c o .
Nella filosofia politica al-Fārābī, come Aristotele, scrisse un’opera sulla città ideale, in cui è stabilita una gerarchia sociale che funziona come
un’entità compatta, di cui ogni componente occupa il posto giusto nella società. Solo in questo modo tutti raggiungeranno la felicità. Nell’opera
sul come governare, l’autore sostiene che come Dio governa il mondo, il filosofo (l’uomo più perfetto) dovrebbe governare lo stato. Per le
questioni metafisiche egli si basa sui concetti neoplatonici. I termini da lui utilizzati furono tradotti in latino e usati da Tommaso d’Aquino. Gli
Specchi dei principi furono opere sul pensiero politico, popolari alla corte dei califfi e dei principi musulmani; proprio come lo furono le opere di
Macchiavelli. Furono scritte da filosofi, ministri, giuristi ma anche da governanti come suggerimento ai propri eredi.
4 . I l c al i ffa to s u n n i ta .
La filosofia politica sfociava nella giurisprudenza sulla questione dell’istituzione del califfato sunnita. Questa istituzione deriva dal concetto di
successore (khalīfa), figura che risale all’anno della morte del Profeta, il quale non nominò un discendente. Quindi il suocero, Abū Bakr, fu eletto
primo califfo. Il termine califfo venne associato alla comunità dei credenti. I suoi compiti erano: applicare la legge (sharī’a), salvaguardare la
fede e difendere i territori musulmani. Nonostante tutto, il califfo non era al di sopra della legge e doveva rispettarla come chiunque altro. Dal
IX i califfi sunniti di Baghdad, persero qualsiasi potere politico quando finirono nelle mani delle proprie guardie turche. Furono dominati da
gruppi militari persiani e successivamente dai turchi. Il califfo però rimase la massima autorità giuridico-religiosa fino a quando i mongoli non
conquistarono Baghdad nel 1258, distruggendo il califfato abbaside sunnita. La figura del califfo simboleggiava l’unità della comunità e i governi
militari avevano bisogno che qualcuno legittimasse il loro potere. Il dibattito su natura e caratteristiche del califfato divenne comune nel VIII,
con il primo periodo abbaside. II califfo, era la più elevata autorità legislativa ed era infallibile in dottrina e legge (come credevano gli sciiti); o
era soggetto al consenso dei giurisperiti e doveva uniformarsi al Corano, alla sunna e a Dio? Era la politica e la dinastia a determinare chi
dovesse occupare tale carica. Alcuni califfi abbasidi furono assassinati dai propri soldati, che elevarono al potere un altro membro della
famiglia. Con la caduta di Baghdad, il sultano mamelucco Baybars (Egitto, 1260-1277), non accetto la scomparsa del califfo, quindi stabilì il
nuovo centro del califfato al Cario sotto il controllo mamelucco. Con la conquista ottomana di Siria ed Egitto, il nuovo centro venne stabilito a
Istanbul, ove rimase in vigore fino al 1924, quando Kemal Ataturk (presidente della Repubblica turca) lo abolì. Il siriano Muhammad Rashīd
Ridā, nel 1923 scrisse un trattato sulla corruzione dei dotti religiosi che snaturarono il califfato e riteneva la sua abolizione traumatica, per la
mancanza di una rappresentanza centrale. Egli sostenne che era necessario per continuare ad interpretare l’islam e orientare il governo dei

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paesi verso una società moderna. Nel XX molti pensatori pensarono di far rivivere il califfato in veste moderna. Erano d’accordo i Fratelli
Musulmani, Aymān al-Zawāhirī (sostituto di bin Lādin), il quale scrisse che gli attentati dell’11 settembre sarebbero stati solo atti che portavano
scompiglio, se non fosse stato istituito un califfato al centro del mondo islamico. Al-Qā’ida, chiamò i suoi notiziari su internet “la Voce del
califfato”. Però anche molto moderati hanno una visione nostalgica a causa dell’idea di unità. Alcuni pensatori sostengono che sia da ripristinare
per rafforzare la solidarietà e la resistenza di fronte alle nuove calamità come l’islamofobia e la supremazia Occidentale.
5 . Te n d e n ze m o d e r n e d el p e n s i e r o i s l a m i c o .
a ) I p e n s a to r i fo n d a m e nt a l i sti
Fondamentalismo è un fenomeno ricorrente nell’islam. Coloro che lo difendono temono la decadenza della loro società e invocano un ritorno
all’islam “originale” praticato dal Profeta, dai suoi Compagni e dai primi quattro califfi. Essi sostengono che i cambiamenti nella loro fede come
il sufismo o da altre religioni come l’induismo, il cristianesimo, il buddhismo e i culti animistici, hanno inquinato l’islam. Condannano le pratiche
che si sono infiltrate nell’islam come visite alle tombe, preghiere per i santi e costruzioni di monumenti funerari; poiché il Profeta fu sepolto in
una semplice tomba senza contrassegno. Ibn Taymiyya condannò le pratiche ascetiche eccessive, lo sciismo, i miracoli e la musica in contesti
religiosi. Islāh indica la ricostruzione del vero islam e se necessaria va intrapreso il jihād minore. Coloro che sostengono che esiste un puro islam
e unico sono i SALAFITI. Oggi il jihād nell’imporre la loro visione del mondo è vista come una protesta contro il secolarismo, il materialismo,
l’oppressione e la corruzione dell’Occidente. I Talebani in Afghanistan dal XX sec. indica una tipologia estrema di movimento islāh.
Il wahhabismo è un movimento di purificazione della società iniziato in Arabia sotto la guida di Muhammad ibn ‘abd al-Wahhāb che ricercava
un ritorno al Corano e all’insegnamento del Profeta condannando sufismo e sciismo. Con Il libro dell’unicità indica i punti fondamentali che
impediscono a qualcuno di diventare membro della società islamica. In india Shāh Walī Allāh assumeva posizioni simili.
La Fratellanza Musulmana (al-ikhwān al-muslimīn), fondata in Egitto nel 1928 da Hasan al-Bannā, ricercava un ritorno ai principi del Corano e
degli ahādīth. Oggi questa fratellanza è diffusa in tutto il mondo. Una loro fazione armata assassinò il primo ministro egiziano (al-Nuqrāshīnel 9
1948 e nel 1949 al-Bannā. Dopo ciò l’associazione fu costretta alla clandestinità, ma nel mondo islamico la loro influenza continua ad essere
grande, come lo dimostrano le pretese della Primavera araba.
L’egiziano Sayyid Qutb, principale portavoce dei Fratelli Musulmani, invocava il ritorno del puro islam e sosteneva l’istituzione di uno stato
islamico come modello. Fu giustiziato nel 1966 per il ruolo avuto nell’opposizione al governo del presidente egiziano Jamāl ‘Abd al-Nāsir. In
All’ombra del Corano, sostiene la sua posizione nei confronti del materialismo occidentale e sostiene che l’islam è il perfetto sistema di vita in
quanto la legge di dio dovrebbe essere istituita per governare i popoli. Egli visse negli Stati Uniti ed era completamente contrario al modello che
aveva visto. Nel suo libro i personaggi opposti sono il re egiziano Faraone (tiranno che vuole distruggere l’islam) e Mosè (modello di sovrano
musulmano).
Abū’l-‘Alā Mawdūdī, indiano, iniziò a lavorare come giornalista. Nel 1933 divenne l’editore della rivista “Tarjumān al-Qu’rān” (L’interprete del
Corano). Nel 1941 fondò il partito Jamā’at-i Islāmī e sei anni dopo emigrò in Pakistan, che si era appena separato dall’India ed egli desiderava
dare il proprio contributo per la realizzazione di uno stato islamico. Si impegnò con il suo partito e per le proprie opinioni passò del tempo in
carcere. Il suo lavoro più importante è un commentario del Corano in urdu, scritto in un linguaggio comprensibile a tutti.
‘Abd al-‘Azīz ibn ‘Abd Allāh ibn Bāz è un wahhabita saudita che fu il muftī ufficiale dell’Arabia Saudita. Doveva pronunciarsi su questioni di legge
islamica ed emettere fatwā. L’opera Punti che inficiano l’islam o Dieci punti che inficiano l’islam di Ibn Bāz, aggiorna le sue idee adattandole
all’attualità assumendo una posizione chiara su chi possa essere legittimamente dichiarato musulmano o miscredente. Il testo attacca ebre,
cristiani e il sostegno americano ed Europeo a Israele.
b ) Pe n s a to r i m o d e r n i sti
Nel XIX con Sayyid Ahmad Khān, Jamāl al-Dīn al-Afghānī e Muhammad ‘Adbuh abbracciarono il cambiamento e reinterpretarono alcuni aspetti
della fede.
Sayyid Ahmad Khān cercò di far fronte al dominio britannico in India e quale dovesse essere la posizione dell’islam. Si espresse in favore dei
britannici perché riteneva che fosse più vantaggioso per l’islam. Nel suo collegio teologico accettò studenti sunniti, sciiti e indù, dando
comunque una grande importanza allo studio della scienza. E sostenne la necessità di svincolare la legge islamica per adeguare le richieste di
una società moderna.
Jamāl al-Dīn al-Afghānī è considerato il padre del modernismo islamico. Fu un intellettuale visionario al quale si deve il concetto di
panislamismo, come un modo per unificare il mondo musulmano contro le potenze europee. Cercò di modernizzare la società senza perdere di
vista i principi dell’islam. Era antibritannico e antimperialista. In India poté conoscere le idee di Sayyid Ahmad Khān, consigliere dello Shāh di
Persia e del sultano ottomano. Egli voleva costruire una società e una politica che combinasse cultura e tradizione islamica con la scienza e il
pensiero occidentali. Tra i suoi scritti abbiamo una lettera al francese Ernest Renan, come risposta alla conferenza del 1883 a Parigi, in cui Renan
accusava l’islam di essere un ostacolo per scienza e filosofia; e come tutte le religioni intolleranti impediscono il perseguimento di scienza e
filosofia. Però dice anche che il cristianesimo è una religione più antica rispetto l’islam, perciò spera che un giorno essi possano essere
abbastanza aperti da “marciare lungo il sentiero della società occidentale”.
Muhammad ‘Adbuh fu il dotto più influente della scuola modernista d’Egitto del XIX. Nel 1897 divenne il gran muftī e cercò di sviluppare dei
principi su costruire una società musulmana in epoca moderna. Il suo testo Tafsīr al-Manār (Il commentario del Manar), mirava a rendere il
Corano comprensibile per ogni musulmano.
Muhammad Arkoun, modernista berbero-algerino, compì i suoi studi in Francia e sostiene che i musulmani dovrebbero accettare le
metodologie scientifiche e storiche integrandole e interpretandole nella loro fede. Ha opinioni apolitiche e denuncia come troppa parte del
dibattito si è focalizzato sulle ideologie dominanti, invece che concentrarsi sul potere spirituale del Corano di trasformare la propria vita.
Negli ultimi 150anni abbiamo assistito a dibattiti dei pensatori di tutto il mondo musulmano, e in tutti e presente lo stesso urgente desiderio di
un nuovo sentiero per la fede con questi climi politicamente difficili.

CAPITOLO SETTIMO

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IL SUFISMO
Il sufismo è la dimensione intima e mistica dell’islam. Il misticismo, esteriormente, è il sentiero o la scala dell’anima umana mentre s’innalza
verso Dio; interiormente è la ricerca di Dio all’interno del proprio cuore. Queste rappresentazioni simboliche sono collegate ed esprimono
profonde realtà spirituali. Tutte le maggiori fedi hanno avuto figure che avevano un contatto con Dio. Dato che le esperienze mistiche sono
integrate nella singola tradizione religiosa hanno i propri rituali, ideali e sistemi etici. La tradizione mistica dell’islam è tasawwuf, conosciuta
come sufismo (=diventare sufi). La parola deriva dall’arabo sūf (lana) in riferimento agli indumenti di lana grezza indossati dai primi asceti
musulmani. I sufi usano il simbolo della via (tarīqa) verso Dio. La via è radicata nel pensiero islamico, perché la shari’a è la via maestra della
legge che fornisce le regole per ogni aspetto della vita quotidiana; la tariqa è come un sentiero stretto che i credenti devono percorrere per
sperimentare la realtà suprema di Dio. Il misticismo esistette sin dall’inizio e spesso è stato visto al di fuori dell’evoluzione dottrinale dell’islam;
nonostante la maggior parte dei sapienti fossero sufi. I sufi furono i maggiori missionari dell’islam e diffusero il suo messaggio dall’Africa
all’Indonesia. Gli Ottomani favorirono il sufismo ospitando i maestri sufi nelle corti. Essi rappresentavano il conforto religioso per la gente
comune che non comprendeva la complessità dei dibattiti teologici. Oggi il sufismo è bandito da alcuni paesi, ma in altri perdura intensamente
e ha guadagnato molte aderenze anche nell’occidente non musulmano.
1 . L e o r i g i n i d e l l ’a s c eti s m o e d e l m i sti c i s m o n e l l ’ i s l a m .
a ) L’a s c eti s m o
Le prime figure contemplative dell’islam erano asceti che ritenevano i rituali religiosi collettivi della comunità non sufficienti alle loro esigenze
religiose. Ricercavano una più certa salvezza nell’allontanamento dei piaceri materiali, nel timore del Giorno del Giudizio di Dio. Sentendo il
fardello dei peccati digiunavano, pregavano e meditavano in solitudine. Tra di loro gli ‘ulamā non vedevano contraddizione tra la devozione
personale e le pratiche ascetiche e i pronunciamenti pubblici in moschea o presso la corte califfale. Tra il VIII e il X furono scritte decine di opere
sull’ascetismo, concentrandosi sul Muhammad come modello di comportamento, Gesù, i Compagni di Muhammad e del primo califfo
omayyade ‘Umar II. Tra le figure ricordiamo Hasan al-Basrī, importante come asceta, giudice e predicatore. Nei testi sono presenti moltissimi
aneddoti su di lui. Nacque a Medina e incontrò molte persone che ebbero contatti con il Profeta. Nella vita praticò la meditazione, l’astinenza e
l’autocontrollo. Ogni giorno esaminava la propria coscienza e metteva in guardia i suoi seguaci circa i comportamenti terreni e l’attaccamento ai
beni materiali. Era consapevole di essere in un mondo transitorio e che doveva prepararsi per quello successivo. Nonostante non fosse un
mistico, venne considerato tale dai suoi successori i quali citarono i suoi discorsi.
b ) L e o r i g i n i d e l s ufi s m o
Vi è un grande dibattito circa la nascita del sufismo, che si riconduce a testimonianze frammentarie di testi dal X in poi. Si pensa che le
esperienze mistiche fossero comuni sin dalle origini dell’islam, tanto che i rituali ascetici formarono il livello preliminare nel processo di
purificazione dell’anima. Alcuni studiosi occidentali, videro il sufismo come il risultato dell’influenza cristiana e del monachesimo siriano. Dal
632 i musulmani conquistarono i paesi cristiani confinanti, dai quali possono aver copiato gli aspetti esteriori dei monaci cristiani. I primi sufi,
menzionavano il nome di Dio in un crescendo ripetitivo. Il Corano enfatizza il valore della preghiera e del ricordo di Dio. Da ciò si sviluppa l’idea
di una scala tra Dio e l’uomo, con l’anima umana che vi sale su. Essa rappresenta l’ascensione del Profeta al Paradiso, che è simbolo del
movimento estatico dell’anima umana verso Dio.
c ) L’ i m p o r ta n za d e l C o r a n o
La ricerca di una maggiore vicinanza a Dio è espressa nel Corano. Dalla morte del Profeta, alcuni devoti iniziarono a cercare nel Corano i versetti
che incoraggiavano le loro devozioni personali man mano che essi si allontanavano da questo mondo malvagio. La loro vita era in stretto
contatto con il Corano, per questo erano in grado di vedere ogni cosa alla sua luce e cercavano di seguire l’esempio del Profeta. Per i sufi,
Muhammad fu il primo di loro, per questo tutti i sufi vollero modellare la loro vita sulla sua. L’interpretazione dei versetti coranici (esegesi) fu
essenziale per la lettura sufi. Muqātil ibn Sulaymān al-Balkhī, sviluppò il concetto della luce del Profeta dal versetto della Luce (24:35), che
descrive come Dio sia ovunque e onnisciente. Qui, Dio stesso parla nello stesso linguaggio simbolico della Luce. La sua luce è potente come la
natura della conoscenza mistica. Questo versetto richiamò al commentatore la luce che vide il Profeta nella grotta di Hīra, prima della prima
rivelazione. Dati i molteplici significati assegnati dai sufi, dal VIII formularono un linguaggio basato sui termini coranici, per esprimere le proprie
esperienze mistiche. Il Corano invita i credenti ad allontanarsi dal mondo malvagio e rivolgersi a Dio, di riflettere sul Suo nome e menzionarLo
incessantemente. Sono presenti molti incoraggiamenti al digiuno come autodisciplina, alla preghiera notturna e ai vantaggi della povertà.
Attraverso gli ahādīth viene sottolineata l’adesione del Profeta alle pratiche ascetiche.
d ) R ā b i ’a a l - ‘A d a w i y y a
Rābi’a al-‘Adawiyya, fu una donna tra i primi sufi. Si dice che fosse una schiava, liberata da un padrone che aveva visto in lei una santa. Ella
divenne un’asceta, dedita al misticismo e alla castità, nel deserto e a Basra, insieme ad un piccolo gruppo di discepoli. Digiunava e serviva Dio
giorno e notte. Il suo essere donna non fu un ostacolo al suo prestigio, tanto che anche uomini illustri si appellavano a lei. I suoi detti furono
citati da numerosi dotti e sufi successivi. La sua presenza e l’importanza data alla moglie e alla figlia del Profeta dimostrano l’importanza delle
donne nella loro società. Fu la prima a comprendere che il cammino verso Dio doveva essere basato sull’amore, eliminando tutte le
preoccupazioni che potevano distoglierla. Per seguire questo percorso bisognava escludere l’amore per un essere umano, per gli oggetti, per la
Ka’ba e per il Profeta. L’adorazione di Dio doveva essere disinteressata al Giorno del Giudizio.
2 . L o sv i l u p p o d e l s u fi s m o m e d i ev a l e .
Intorno al Novecento molte pratiche sufi si erano sviluppate in tutto l’Impero musulmano. Iniziarono a distinguersi i sufi “sobri” ed “ebbri”. I sufi
“sobri” furono tollerati dall’élite giuridico religiosa e svilupparono concetti che rientrassero esclusivamente nella legge islamica. I sufi “ebbri”
invece pronunciarono affermazioni aberranti secondo le autorità religiose. Le esperienze furono simili, ma i primi ricercarono maggior prudenza
nelle proprie affermazioni.
Junayd era un sufi “sobrio”, consapevole dei pericoli di parlare a proposito dell’unione mistica con Dio. Era profondamente radicato nell’islam
sunnita. Sosteneva che il sufismo consiste nella purificazione del cuore, nell’ascensione attraverso la conoscenza di Dio e seguire il Profeta nella
sharī’a; ritenendo necessaria una coesistenza tra la sharī’a e il sentiero sufi e respingendo gli eccessi di allontanamento alla legge islamica.

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L’interpretazione di alcuni concetti, portò alcune persone a muoversi al di fuori del credo islamico rischiando di compiere il peccato di shirk
(violazione dell’unicità di Dio) e a pensare che Dio possa risiedere in un corpo umano e che possano anche diventare un’unica identità.
a ) B i stā m ī
Abū Yazīd Bistāmī sufi “ebbro”, descrive le proprie esperienze di perdita di sé nel Divino. Il suo maestro era Abū ‘Alī al-Sindī (proveniente
dall’India). Bistāmī non scrisse nulla, e i suoi seguaci trasmisero oralmente i suoi insegnamenti; solo i sufi successivi riunirono i suoi detti e li
tramandarono. Egli sosteneva di possedere una conoscenza mistica di Dio superiore a quella dei giurisperiti musulmani. Egli era accusato di
aver parlato come “se fosse stato Dio” attraverso le sue frasi più celebri “Gloria a me! Quanto è grande la mia maestà!” e “Io sono Lui”, venne
accusato di blasfemia. Egli trascorse la maggior parte della sua vita nella sua casa in Iran orientale o in moschea e andava a fargli visita solo chi
desiderava, perché non si pose mai come un predicatore delle masse.
b) Al-Hallāj
Al-Husayn ibn Mansūr al-Hallāj, fu il più famoso martire del sufismo. Originario dell’Iran meridionale, a Baghdad conobbe il sufismo moderato
di Junayd, ma essendo in disaccordo tornò in Iran. Viaggiando per tutto il mondo musulmano, acquistò un grande seguito e per alcune
affermazioni blasfeme ebbe contrasti con i gruppi di Baghdad. Egli sosteneva che il pellegrinaggio possa essere eseguito nel proprio cuore senza
recarsi a Mecca. Alcuni videro in lui una figura simile a Gesù (anche per la sua affermazione “Io sono il Vero”) per alcune analogie: come Gesù
condotto dal destino a Gerusalemme, egli scelse volontariamente di mettere a repentaglio la propria vita davanti agli oppositori. Tutte le
istituzioni islamiche temevano l’impatto che le sue convinzioni potessero avere sulla gente comune e il tentativo di rendere popolare il sufismo
minacciò la comunità. Alcuni sufi gli si opposero poiché alcuni volevano conservare questa pratica solo per un’élite mentre altri lo accusavano di
eludere la legge. Per questo fu imprigionato, torturato e crocifisso nel 922. I suoi discepoli si dispersero per evitare di essere perseguitati e
coloro che in seguito intrapresero lo stesso sentiero evitarono un profilo pubblico.
c ) A l - M u h ā s i b ī e al - M a k k ī
Hārith al-Muhāsibī e Abū Tālib al-Makkī furono due autori particolarmente importanti ed ebbero un ruolo cruciale nell’integrazione del sufismo
nella società, lasciando alle generazioni successive opere scritte da consultare e praticare. Il nome al-Muhāsibī, significa “qualcuno che esamina
la sua coscienza”, la chiave del pensiero sufi di Baghdad. Basandosi su Corano e ahādīth dimostra la necessità dei credenti di essere scrupolosi
nell’osservanza della propria fede e di esaminare le motivazioni delle proprie azioni e tenere a mente i timori del Giorno del Giudizio e le
promesse del Paradiso per i veri credenti. Solo una disciplina spirituale interiore permetterà ai credenti di ricevere il favore di Dio. Al-Makkī, un
secolo dopo, insegnò che la fede musulmana ha due dimensioni (esteriore e interiore), necessarie, interdipendenti e complementari. Ne Il
nutrimento dei cuori esamina i pilastri dell’islam e cerca di conferire ad ognuno un significato interiore. Nel suo pensiero il cuore da all’uomo la
conoscenza di Dio. La fede in questo modo si basa sulla certezza religiosa.
d ) A l - G h a zā l ī
Al-Ghazālī è il più famoso dotto musulmano dell’islam classico e ancora oggi è tenuto in grande considerazione anche nel sub-continente
indiano, in Malesia e in Indonesia. È famoso nel sufismo perché riuscì a presentare in modo chiaro anche idee precedenti. Il sentiero sufi verso
la vera conoscenza non prevedeva un distacco dalla sharī’a, ma l’osservanza delle pratiche religiose. Ne La rivivificazione delle scienze religiose,
chiarisce che il sufismo è complementare all’islam. Egli riteneva che la fede avesse aspetti interiori ed esteriori, necessari per raggiungere un
equilibrio. L’aspetto interiore sono le “attività del cuore”, la certezza interiore raggiunta attraverso lo svelamento. Egli analizzando i cinque
pilastri cerca di dargli un significato interiore. La salvezza dalla predizione è un’autobiografia che costituisce una difesa al sentiero dei sufi,
utilizzando l’artificio letterario della crisi spirituale, quando all’apice della propria carriera ebbe “un esaurimento nervoso”. Lasciò Baghdad e
vagò per 10 anni attraverso il mondo musulmano per poi fare ritorno in Iran. L’autobiografia fu scritta nei cinque anni precedenti la sua morte
(1111) e dimostra come comprese che tutta la sua conoscenza non era in grado di avvicinarlo a Dio. Dopo la sua crisi, disse che i sufi sono gli
unici che seguono una via che conduce verso Dio. Insieme ai suoi predecessori (paragr. precedente) creò una forma moderata di sufismo.
3 . A l c u n i co n c etti e si m b o l i e s s e nz i a l i d e l s u fi s m o .
I sufi, cercano di spiegare la loro aspirazione dell’unione con Dio attraverso i simboli che mirano a dare un assetto adeguato alle proprie
esperienze spirituali.
a ) I l s e nti e r o s u fi
I teorici sufi cercano di tracciare il viaggio dell’anima nel suo avvicinamento a Dio. Anche se contraddittori i trattati concordano in una sequenza
lungo il percorso e di “stazioni” (maqāmāt). Nel XI ‘Abd al-Karīm al-Qushayrī, nella sua descrizione della dottrina sufi indica 43 stazioni e tre
stati; mentre un altro autore analogo indica 7 stazioni e 10 stati. Nonostante le differenze, i teorici nominarono le stazioni derivati da Corano
con: “pentimento”, “sforzo”, “timore”, “riconoscenza” e “pazienza”. Non si sa se sono da raggiungere in un ordine preciso. Si riteneva che una
stazione potesse essere raggiunta e mantenuta con i propri sforzi personali, mentre lo stato mistico proveniva da Dio e durante questa vita
sarebbe rimasto solo lievemente nel cuore umano. I vari mistici e autori sufi, evidenziarono vari aspetti del cammino verso Dio. Per al-Ghazālī, è
il cuore a fornire all’uomo la conoscenza di Dio. Il cuore, in questo contesto, è l’organo attraverso cui l’uomo può contemplare la bellezza della
divinità. Parlando del cuore e dell’anima, gli autori sufi usano lo specchio, che nel Medioevo spesso era in metallo. Il cuore solitamente è
sporco, arrugginito e macchiato dalle passioni umane e per diventare il recipiente della conoscenza di Dio deve essere purificato. Quando i sufi
raggiungono la tappa finale del sentiero divengono completamente presenti in Dio e persi in sé stessi (fanā), uno stato mistico permanente solo
da morti. Quando i sufi parlano di questo stato, sottolineano che al ritorno alla loro identità terrena, contempleranno Dio da lontano. Per
questo motivo i sufi definirono meticolosamente la fanā’, per rispettare la distinzione tra Dio e l’uomo. Consapevoli dei pericoli avvertiti nel
misticismo, gli autori cercarono di risaltare gli aspetti interiori senza smettere di osservare i rituali.
b ) L a r i c e r c a d e l l a r e a l tà i nte r i o r e : l a te o s o fi a s u fi
La teosofia è una filosofia che professa di raggiungere la conoscenza di Dio attraverso l’estasi spirituale. Il credente del sufismo si muove
dall’esterno all’interno, l’essenza. Secondo i sufi, Dio ha creato il mondo a propria immagine e dietro il mondo dell’apparenza, si trova il reale
fondamento delle cose. Prima di al-Ghazālī era privo di una sistematizzazione teoretica filosofica, ma con l’opera La nicchia delle luci sviluppa la
natura mistica delle luci. È un concetto molto complesso e fluido che combina elementi mistici o filosofici.

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Shihāb al-Suhrawardī, con il titolo al-Maqtūl (Colui che è stato ucciso). Nello scritto La saggezza dell’illuminazione formulò la teoria
dell’illuminazionismo (ishrāqiyya) e suscitò l’ira del suo mecenate, il governatore di Aleppo, che lo accusò di eresia e lo fece giustiziare. Egli
sostiene che Dio, l’essenza della Prima Luce Assoluta, produca una luce costante e ogni cosa di questo mondo deriva dalla Sua luce. La vicinanza
a Dio dipende dal proprio grado di illuminazione. Egli sostiene che attraverso una gerarchia di angeli, la Sua luce si irradia verso il basso e ogni
anima ha il proprio angelo custode. Seguendo Platone, egli ritiene che ogni essere umano abbia avuto un’esistenza precedente nella sfera
angelica: alla nascita metà dell’anima rimane in Paradiso e l’altra discende nell’oscura prigione del corpo umano. Per Suhrawardī l’esistenza è
luce ed è dovere dell’uomo avvicinarsi alla luce esistenziale. Più libera sé stesso dall’oscurità, più si accosta al divino. In uno dei suoi racconti
allegorici, l’anima si trova in un pozzo oscuro in occidente e ha dimenticato la propria abitazione in oriente, ove dimora la pura luce. Quando
ricorda di nuovo si mette sulla via del ritorno e raggiunge lo Yemen, regione della saggezza e degli arcangeli. Il concetto tra oscuro e materiale
occidente e l’oriente illuminato e simboleggiato “dall’esilio illuminato”.
Muhyiddīn Ibn al-‘Arabī, o “il sommo maestro”. Il suo è un percorso simile a quello di altri sufi in cerca di conoscenza e illuminazione. Nacque a
Murcia (Spagna sud-orientale) ove studiò con la guida di due donne sufi e si trasferì in Egitto, in Siria, in Iraq, in Anatolia e si stabilì a Damasco.
Ebbe una grandissima influenza e scrisse numerose opere. Negli anni a Mecca meditò e ricevette visioni e a 40 anni (età emblematica nella
tradizione) vide in sogno la Ka’ba costruita in mattoni d’oro e d’argento alternati tra loro. Solo in un punto aveva un mattone d’oro e uno
d’argento mancanti, poi vide sé stesso inserito ove mancavano i due mattoni. Egli aveva raggiunto il grado più elevato conquistabile da un
uomo: il sigillo della santità muhammadiana. In seguito, compose le Rivelazioni meccane, di 500 capitoli, che sostenne essergli stati trasmessi
da Dio attraverso un angelo. Egli sostiene che Muhammad fosse l’uomo perfetto, che ha raggiunto la piena realizzazione di sé ed è attraverso di
lui che Dio si manifesta. Questi concetti apparvero a molto musulmani contrari agli insegnamenti dell’islam. Sayyed Hossein Nasr, uno studioso
moderno, sostiene che egli si rivolgeva ad un pubblico che ricercava solo l’accettazione della sharī’a e quindi lo invitava ad addentrarsi nelle
realtà interiori della legge islamica. La sua opera, influenzò i sufi successivi e ancora oggi è tenuta in considerazione. Alcuni sostengono che la
parola sufi può essere applicata solo alla visione del mondo da lui sviluppata.
c ) I l l i n g u a g g i o fi g u r a to n e l l a p o e s i a e n e l l a p r o s a s u fi
I primi autori sufi scelsero di scrivere in arabo, garantendo anche un pubblico più ampio. Data la popolarità di queste opere nelle regioni con
lingua persiana, vennero presto tradotte anche in questa lingua. Gli autori scrissero biografie su famosi sufi, e ne spiegarono i concetti e i rituali
in manuali. ‘Umar ibn al-Fārid, famoso poeta arabo adoperò il simbolismo in cui il vino rappresenta l’amore per Dio, la vite è l’universo fisico e
la luna lo spirito luminoso di Muhammad. Un altro simbolo per l’estinzione dell’anima umana in Dio, è l’immagine con cui si dipinge l’amato
come una fiamma, verso cui è attratto irresistibilmente. Al-Ghazālī usa le immagini sufi nelle opere in arabo e in persiano; mettendo in risalto
che questo è un mondo transitorio: solo Dio vi dimora per sempre. Egli sostiene che questo mondo deve essere evitato perché ingannevole. La
bellezza umana è imperfetta e illusoria.
Jalāl al-Dīn Rūmī. XIII, durante la conquista e il dominio mongolo dell’Asia centrale, avvenne la fioritura della poesia persiana. Il più importante
autore della letteratura sufi, Rūmī, fuggì dall’Afghanistan per le invasioni e si stabilì in Turchia. La sua opera più celebre è Mathnawī, di 26660
distici in rima, ed è stata definita “il Corano in lingua persiana”. È un’opera ricca di immagini mistiche e sottolinea una profonda conoscenza
dell’islam. Nell’opera Rūmī, brama l’unione con il suo Amato in un linguaggio simbolico, senza dimenticare la legge. Un’immagine importante è
il flauto di canne (nay): è il ricordo nostalgico dell’unione primordiale con Dio, e il suono malinconico rappresenta il desiderio di tornare nella
dimora con Dio. Quest’opera ha molti livelli di interpretazione, ma presenta un linguaggio figurato molto forte. Nel XIX, furono narrati racconti
miracolosi sull’autore, dal turco Aflākī. Che voleva istruire i fedeli su come seguire il sentiero sufi. Nel corso dei secoli la composizione della
poesia sufi in molte lingue ne permise la diffusione. Anche nel Sud-est asiatico, in turco, urdu, sindhi e malese vennero scritte poesie sufi.
4 . L e c o n f r a te r n i te s u fi ( t u r u q ) .
Tarīqa, significa “sentiero”. Assunse poi il significato di un ordine o confraternita che cammina lungo il sentiero interiore del sufismo. Dal X al
XIII il sufismo divenne maggiormente istituzionalizzato. Durante i periodi di disordine politico, i capi sufi furono figure di riferimento ai quali il
popolo faceva affidamento. Essi svilupparono forme di pratica per i propri discepoli. Le principali scuole dei sufi, si svilupparono in importanti
centri religiosi, come Mecca, Baghdad e Basra. Esistevano ancora circoli sufi raggruppati intorno alle figure dei santi. Nel XII, questi gruppi si
svilupparono in confraternite (turuq) con proprie dottrine e cerimonie. Tra il XIII e il XIV ci furono delle confraternite femminili in Egitto, Siria e
Anatolia. Le confraternite potevano essere accettate dallo stato o proibite; alcune avevano legami con l’islam sunnita, altre con lo sciismo; altre
incorporavano tradizioni di religione vicine (buddismo, induismo, cristianesimo, …). Le confraternite erano diffuse tra tutte le classi sociali e in
tutto il mondo musulmano. I membri delle confraternite furono missionari islamici, che non imposero mai la conversione con la forza.
Seguendo la Via della Seta e le rotte commerciali diffusero l’islam in Oriente, e in Africa, provvedendo ai bisogni della popolazione.
a ) O r g a n i z za z i o n e e i n i z i a z i o n e
Ogni confraternita era presieduta da un successore del fondatore. Vennero edificati appositi edifici, utilizzati per il culto, con un nome diverso in
basse al paese in cui erano. Alcuni dotti disapprovavano i loro edifici, perché i seguaci sufi stavano lì, invece che in moschea con gli altri
musulmani. La maggior parte dei seguaci erano laici che svolgevano abitualmente la propria occupazione e partecipavano ai rituali nella loggia.
Al suo interno venivano studiati libri devozionali, commentari sufi e poesia didattica, si svolgevano preghiere, recitazioni del Corano e di poesia
mistica. Anche le donne potevano essere sufi, ma ricevevano l’insegnamento da altre donne e svolgevano i rituali separati. Il rituale di
iniziazione può essere vario: una stretta di mano, porgere il rosario dello shatkh al novizio, etc. Il rito di iniziazione è un simbolo, che permette
all’iniziato di proseguire il cammino lungo il sentiero spirituale. Una cerimonia di vestizione con un certo numero di nodi, lega l’iniziato alla
tarīqa. Inizialmente venivano indossati indumenti in lana, che simboleggiavano lo stile di vita ascetico, in seguito vennero adottati abiti
rattoppati. La forma e il colore dei copricapi indicava l’appartenenza a una particolare tarīqa. Al termine della cerimonia di iniziazione veniva
consegnato un attestato.
b ) C u l to e p r a ti c a
Dhikr, è il culto collettivo dei membri della tarīqa. Esso comporta il ricordo, la ripetizione costante del nome Allah, il respiro ritmico. La pratica
può avvenire in silenzio o a voce alta, da soli o in gruppo. In gruppo si inizia con la recitazione di versetti e preghiere, lo shaykh è il responsabile
dello svolgimento del rito. Se si pratica da soli, si può usare un rosario, ma in ogni caso egli conta il numero di ripetizioni del nome di Dio. Dalla
conformazione delle confraternite, le cerimonie dhikr divennero formalizzate e i sufi variarono i tipi di sostegno per i fedeli (preghiere rivolte ai
santi, incenso, caffè e altri stimolanti). L’uso del caffè si diffuse dai gruppi sufi dello Yemen, che credevano incoraggiasse esperienze mistiche.

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Essi lo bevevano al momento della recitazione e dell’invocazione ya Qawī (“il Forte”), uno dei 99 Bei Nomi di Dio. La preghiera del venerdì in
moschea, consiste in preghiere, un sermone e nella recitazione del Corano, a differenza delle pratiche svolte nella riunione dei sufi. Per i sufi,
l’ascolto della musica può essere d’aiuto nella loro esperienza, ma comunque l’ascolto “spirituale” deve essere controllato. Gli stati scaturiti
dalla musica devono essere spontanei. Tra gli strumenti più apprezzati abbiamo il flauto, che ricorda un avvicinamento primordiale a Dio.
Presso alcuni gruppi il canto può essere accompagnato dalla danza (es. il roteare dei mevlevī).
c) Cinque turuq
Nel mondo musulmano alcune turuq esistono ancora oggi, mentre altre sono scomparse da secoli.
Qādiriyya. Fu il primo dei grandi ordini sufi, profondamente radicato nell’islam sunnita, si diffuse in tutto il mondo musulmano, istituito nel XII
da ‘Abd al-Qādir al-Jīlānī, un giurista e predicatore di Baghdad, che recitava sermoni mistici in moschea e presso gruppi sufi. Memorizzò il
Corano e svolse regolarmente le pratiche ascetiche fino a 50 anni. Quando fu spiritualmente pronto iniziò a predicare al popolo in un linguaggio
semplice. La sua confraternita ebbe un impatto significativo sulle successive.
Naqshbandiyya. La tarīqa fu fondata da Bahā’ al-Dīn Naqshband, nato in un ambiente di lingua persiana. La sua tomba, nella città in cui divenne
patrono, è diventata un’importante meta di pellegrinaggi. L’ordine da lui fondato si diffuse in tutto il mondo musulmano. I sui appartenenti,
praticano un dhikr silenzioso e solo leali alla sharī’a. fu popolare nell’Impero ottomano; oggi lo è in Pakistan, in India e in Indonesia.
I mevlevī. Ordine conosciuto anche come “i danzanti” o “i roteanti”, fu fondato dopo la morte di Jalāl al-Din Rūmī nel 1273. Il nome turco
dell’ordine, deriva dal titolo arabo dato a Rūmī: mawlānā (“nostro signore”). Il centro di quest’ordine è sito in Turchia, a Konya. Essi fanno
risalire la propria genealogia ad ‘Alī. La funzione di shaykh è ereditaria. La loro musica è il suono del flauto fatto da canna o giunco. La loro
danza è rotatoria e simboleggia i movimenti dei pianeti intorno al sole. Il rituale, con regole stabilite, avviene in una stanza circolare. Ogni
danzatore a turno si avvicina e bacia la mano dello shaykh. Indossano tuniche lunghe, roteano sul piede sinistro spostandosi in tondo con
quello destro e gli occhi chiusi. Durante il movimento ripetono “Allāh”. La danza è accompagnata dal flauto, che esprime l’armonia della Sua
creazione.
Bektāshirra. Il fondatore proveniva dall’India orientale, ma nel 1240 si spostò in Turchia, ove diffuse rapidamente il suo messaggio. Nel XVI, i
primi sultani ottomani erano legati ai bektāshi che costituivano il reggimento dei giannizzeri. Nonstante avessero le stesse credenze, canti
cerimoniali, fede in ‘Alī, dottrina della reincarnazione e simbolismo nelle lettere dell’alfabeto, i bektāshi istruiti si allontanarono dai confratelli
delle aree rurali. Chi viveva in città si associò alla massoneria, e allo scioglimento dell’ordine (1826) furono costretti a operare in segreto. Le
donne erano presenti senza velo ai riti. Quest’ordine fu molto influente in Turchia e nei Balcani.
Rifā’iyya. Oggi è presente soprattutto in Egitto e in Siria. Prese il nome da Ahmad al-Rifā’ī, dell’Iraq meridionale, formatosi come giurisperito. La
tarīqa, a lui associata, pare aver sviluppato rituali non ortodossi non associati a lui. Le loro cerimonie hanno inizio con un anziano che emette
urli vibranti, a cui risponde il resto dell’ordine. In seguito da seduti fanno oscillare la testa. Si dice che durante lo stato estatico abbiano
introdotto ferri ardenti in bocca etc.
d ) Re p re s s i o n e e r i n n o va m e nt o
Per alcuni musulmani queste pratiche sono inaccettabili. Ad es. in Arabia Saudita non sono autorizzati e il sufismo non è trattato nei circoli
accademici. Kemal Atatürk (fondatore della Turchia moderna), le abolì e condannò molti sufi, che opposero resistenza alla sua secolarizzazione
del paese. Solo i mevlevī oggi hanno l’opportunità di esibirsi come compagnia folcloristica e a Konya nell’anniversario della morte di Rūmī. Le
turuq per molto tempo furono una sede alternativa per l’osservanza religiosa, che conforta e aiuta una comunità ampia. Nonostante le critiche,
ancora oggi molte persone cercano la benedizione dei shaykh, pregando sulle tombe dei sufi.
5 . I l s u fi s m o a l d i f u o r i d e l M e d i o O r i e n te .
a) Asia meridionale
Nel VIII l’islam arrivò in Asia meridionale. La prima tarīqa sufi fu la Chishitiyya, proveniente dall’Asia centrale e dall’Afghanistan, divenne
importante con il sultano Delhi. Il messaggio sufi si rivolge principalmente ai membri svantaggiati delle caste indù. Mu’īn al-Dīn Chishtī (che
diede il nome alla confraternita), introdusse la tarīqa a Lahore e a Ajmer nel XII. I discepoli praticavano il qawwālī: una combinazione tra poesia
devozionale e musica indiana, mantenendo sempre una forte adesione alla legge islamica. Il padre della musica qawwālī è Amīr Khusrow.
L’imperatore Akbar fu un grande ammiratore di quest’ordine. Questa venerazione è ammirabile in una miniatura moghul del 1620. Raffigura
l’imperatore Jahāngīr che invecchia in un’aureola dorata, circondato da cherubini alati e seduto su un trono a clessidra, la cui sabbia si sta
esaurendo. Sono presenti quattro uomini, capeggiati da Shaykh Husayn al-Chishtī, con un viso sottile incorniciato da una lunga barba bianca
(simbolo di saggezza). Aldi sotto di lui il sultano ottomano aspetta il suo turno e ancora più giù sono presenti Giacomo I d’Inghilterra e VI di
Scozia, con fattezze estremamente realistiche. Il pittore è inserito nell’angolo in basso a sinistra. La miniatura ha l’iscrizione “Sebbene i sovrani
apparentemente siano di fronte a lui, egli fissa il suo sguardo sui dervisci”.
La musica sufi è ancora eseguita, i santuari ai santi non ancora visitati. Ci sono numerosi rituali e pellegrinaggi ai santuari di Delhi, Ajmer,
Fatehpur Sikri. A Delhi, vi è la tomba del santo chishtī Nizām al-Dīn Awliyī’, è visitato molto e spesso è oggetto a recitazioni coraniche e rituali
musicali. Anche professanti di altre religioni vi pregano.
b ) S u d - e st a s i ati c o
L’islam vi arrivò tramite collegamenti commerciali grazie ai sufi arrivati insieme ai mercanti. Prima del XX l’islam indonesiano era sufi. I dotti di
questa regione si recavano in pellegrinaggio a Mecca, ove acquisirono una profonda conoscenza delle scienze religiose. Tra queste figure,
ricordiamo ‘Abd al-Samad al-Palimbānī, della Sumatra meridionale, attraverso le opere di al-Ghazālī e di Ibn al-‘Arabī insegnò l’islam nel sud-est
asiatico. Oggi la pratica sufi in Indonesia (sia rurale che cittadina) è molto praticata.
c ) A f r i ca
In Africa l’islam arrivò in Etiopia ai tempi del Profeta e in Egitto e nel Nord Africa poco dopo la sua morte. Successivamente si diffuse nell’area
del Sahara con le carovane, perché è probabile che vi fossero dei sufi presenti, o che fossero essi stessi i mercanti. Secondo la leggenda, la città
di Timbuktu (Mali), nata nel 1110, divenne un centro di erudizione islamica e del sufismo. Nel 2012, alcuni islamici radicali distrussero alcune
tombe sufi. Attualmente vi sono numerosi gruppi sufi per l’intero continente. La Tijāniyya è la maggior confraternita dell’Africa occidentale.

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Quest’ordine prende il nome dal sufi algerino Ahmad al-Tijānī, e aveva come obiettivo l’assistenza dei poveri. In Egitto, attualmente una parte
del governo si occupa dei turuq, così che più di 60 ordini hanno uno statuto giuridico. In Somalia abbiamo la Qādiriyya e nell’africa
subsahariana è molto importante la Shādhiliyya. Date le dimensioni del continente è inevitabile che vi sia una grande diversità, anche perché
sono state influenzate dalle pratiche di culto locali, spesso mal viste (come il culto dell’animismo) da coloro che perseguono una forma più
radicale dell’islam.
d ) O c c i d e nte
Sia in Europa che in America sono presenti comunità sufi, ancora molto legate alla tradizione. Impiegano ancora simboli dell’epoca classica e
sono influenzati dalla poesia di Rūmī e dal pensiero di Ibn al-‘Arabi.
La parola sufi spesso è usata in modo impreciso. In passato i sufi si consideravano musulmani praticanti ma oggi si tende ad ammettersi nelle
turuq per non professare nulla. Come può essere sufismo? Come disse Sayyed Hossein Nasr, il guscio è la shari’ā e il gheriglio è la tariqa e l’olio
invisibile ma presente (la realtà) è haqīqa. Sono quindi dipendenti per questo il sufismo non è una scorciatoia all’islam formale. Il sufismo
attasse numerosi intellettuali europei e molte persone famose sono sufi. Vi è però una profonda divisione tra i sufi intellettuali devoti a Ibn
al’Arabī, dai musulmani del Medio Oriente, Indonesia etc. che usano la danza e la musica nei loro culti e usano l’intercessione dei santi.

C A P I T O L O O T TAV O
IL JIHĀD
Il concetto di jihād è stato interpretato in: jihād maggiore (al-jihād al-akbarī) e in jihād minore (al-jihād al-asghar) inteso come guerra. Il jihād
maggiore è più importante dell’altro, è la lotta interiore per sconfiggere l’ego, per condurre una vita virtuosa. Il jihād minore denota un
impegno per difendere la fede. Entrambe queste dimensioni devono coesistere nella vita di una persona.
1. Il jihād maggiore e il jihād minore.
a ) I l j i h ā d m a g g i o re
Il conetto di jihād maggiore si sviluppò dalla devota meditazione sul Corano e sugli ahādīth da parte dei sufi. Per il sufi delle origini, Harīth al-
Mushāsibī, i nove decimi dell’impegno sul sentiero di Dio avvengono entro sé stessi. Abū ‘l-Hasan ‘Alī Hujwīrī, nel suo primo trattato in persiano
sul sufismo, dedica una sezione alla mortificazione dell’anima bassa, dove cita alcuni celebri ahādīth. Il jihad maggiore fornisce un metodo allo
sviluppo interiore e la ricerca di una vita sempre più virtuosa, poiché è una battaglia contro vizi e difetti. La stampa popolare lascia il jihād
maggiore completamente fuori dal dibattito. La rivivificazione delle scienze religiose di al-Ghazālī è un manuale medievale dedicato alla pratica
quotidiana della fede. L’opera, tratta del modo in cui i musulmani dovrebbero comportarsi nei confronti di Dio. L’opera assume l’impianto di un
libro di giurisprudenza con una dimensione spirituale. La prospettiva per una riflessione sul jihād maggiore è costituita dai cinque pilastri
dell’islam: le indicazioni principali per ogni singolo musulmano; e può essere visto come la continua elaborazione delle loro profonde
sfaccettature pratiche e spirituali.
b ) I l j i h ā d m i n o re
Da sempre c’è l’idea che l’islam sia la religione della “spada”. Uno storico militare occidentale, ha affermato che l’islam è la religione più
bellicose al mondo a causa della sua dottrina sulla guerra santa. Secondo un sondaggio svolto nel 2008 però, solo il 7% dei musulmani era
favorevole all’estremismo militare.
2 . I l j i h ā d n e l l e fo nti c a n o n i c h e .
a ) I l C o ra n o
Il Corano menziona il jihād solo in 24 versetti, mettendo in rilievo il significato spirituale. La parola araba che indica il combattimento che porta
alla morte è qitāl, non jihād.
Il jihād durante la vita del Profeta. Nel tentativo di capire il Corano, i commentatori hanno collegato alcuni versetti a specifici eventi della vita
del Profeta. Quando la sua missione si svolgeva a Mecca il jihād era costituito dalla diffusione dell’islam. I primi musulmani affrontarono ostilità
e persecuzioni da parte dei meccani, mettendo anche in pericolo Muhammad stesso. Dall’emigrazione (hijra) a Medina, gli scontri fisici
divennero il problema maggiore: Muhammad stava fondando un nuovo ordine teocratico. I cristiani in particolare, fecero fatica ad accettare un
profeta guerriero, anche se nel Vecchio Testamento Abramo e Mosè sono citati come tali. Muhammad era già consapevole di questa tradizione,
già presente nell’Arabia delle tribù: gli scontri di potere tra tribù erano la normalità. Tuttavia, i musulmani ritengono che la lotta di Muhammad
sia diversa per la componente spirituale.
Conversione degli infedeli. Il Corano enfatizza l’importanza della negoziazione, per preservale l’unità e domare i ribelli. I versetti meccani,
incoraggiano a resistere e non reagire; i versetti medinesi incoraggiano il contrattacco. Tuttavia, vi sono contraddizioni simili anche negli stessi
versetti medinesi: alcuni ordinano il combattimento solo in caso di attacco, altri ordinano un’azione aggressiva. Al contrario di Gesù,
Muhammad e i suoi sostenitori si impegnarono a difendere alla sopravvivenza delle proprie comunità prima dell’islam. Il Corano non sanziona
l’omicidio ma enfatizza la conversione volontaria al contrario di quella forzata.
b) Gli ahādith
Anche gli ahādīth hanno molto da dire sull’jihād. Oltre alle quattro sunnite canoniche, ne furono raccolte anche altre da altri gruppi. Molti
ahādīth lodano i meriti del jihād, enfatizzando che è meglio lottare per Dio che digiunare. Il Corano promette ai martiri caduti il Paradiso come
ricompensa e una bevanda di nettare dal profumo simile al muschio. Il jihād deve essere condotto secondo regole precise, preparativi e la
giusta condotta nei confronti dei prigionieri e degli avversari. I corpi dei caduti durante il jihād non devono essere lavati, pregati e devono
essere seppelliti con gli abiti indossati al momento della morte.
3. il jihād nella legge islamica.

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La teoria giuridica classica del jihād è stata sviluppata dalla codificazione dell’islam sunnita nel IX quando l’impero raggiunse la sua massima
estensione con la dinastia abbaside. Prima di allora dotti e giudici esprimevano i giudizi nello spirito di seguire i principi del Corano. Infatti,
molte città si sottomisero sottoscrivendo degli accordi. Nel caso fosse inevitabile uno scontro armato i califfi stabilivano delle regole.
a ) L a te o r i a c l a s s i ca d e l j i h ā d
Il Corano era il punto di partenza per l’elaborazione del jihād, ma se sorgevano contraddizioni era necessario fare riferimento agli ahādīth. Nel
caso queste due fonti non fossero sufficienti, i dotti usavano l’analogia (qiyās) e il consenso (ijmā’). Se anche questi non erano sufficienti si
impiegava il giudizio personale. Le pagine sul jihād nei libri classici di giurisprudenza (fiqh) seguono uno schema prestabilito, a prescindere
dall’autore. Alcuni libri trattano unicamente di jihād: Il libro del jihād di ‘Abd Allāh ibn al-Mubārak.
Secondo i dotti il mondo era diviso in: la casa dell’islam (dār al-islam) e la casa della guerra (dār al-harb). Esistono molte interpretazioni, la più
comune è che dār al-islam indica i territori sotto il controllo musulmano, comprendendo anche i popoli non musulmani della Gente del Libro,
autorizzati a praticare la propria fede dietro pagamento di un’imposta. Contro di loro non era dichiarato il jihād ma erano comunque di uno
status sociale inferiore. Successivamente queste norme furono applicate anche ai praticanti di altre fedi. Per dār al-harb si intendevano i
territori sotto un governo non musulmano e in cui musulmani erano una minoranza. Solo il califfo può indire e guidare il jihād contro la casa
della guerra. Le regole su cui si basa il jihād sono: gli avversari prima di essere attaccati devono essere invitati all’islam. Nel caso rifiutino
possono passare sotto il governo musulmano e pagare un’imposta, diversamente devono essere attaccati. C’è distinzione tra chi pratica il jihād
e altre forme di violenza: harb è la guerra e qitāl è il combattimento. Coloro che facevano pratiche illegali erano nemici dell’islam.
b ) M o d i fi c h e al l a te o r i a c l a s s i ca
Dall’VIII con la frammentazione dell’impero califfale, i dotti iniziarono ad ampliare i campi di applicazione del jihād, incorporando strategie per
portare la pace piuttosto che la guerra. Alcuni iniziarono a riconoscere un terzo status del territorio: casa della tregua (dār al-‘ahd) o casa della
pace (dār al-sulh), riferendosi ai territori che avevano accettato il dominio musulmano pagando una tassa e a quelli che tramite accordi erano
riusciti a mantenere il proprio governo. Queste pratiche diedero valore giuridico ai contratti commerciali tra stati musulmani e non. Per ragioni
pratiche divenne possibile stabilire tregue, che duravano però solo 10 anni. I musulmani potevano rifiutare una tregua solo se avvisavano il
nemico in anticipo. Nel corso dei secoli spesso la jihād venne usata contro gli stessi musulmani: al-Māwardī scrisse un trattato sul buon governo
del califfo sunnita al potere includendo negli obiettivi del jihād i ribelli, gli apostati e gli sciiti. Il pensatore Ibn Khaldūn presenta 4 tipi di guerra:
le prime due “liti meschine tra nemici in competizione o tribù confinanti” e “guerra derivante dal desiderio di saccheggio tra popoli selvaggi”
sono illegali; le seconde “il jihād” e “la guerra per reprimere una ribellione interna” sono legittime. Tuttavia, non definendo mai con chiarezza il
jihād, rimasero sempre dei dubbi su come comportarsi in alcune circostanze.
4 . I l j i h ā d s ec o n d o g l i s c i i ti d u o d e c i m a n i .
I dotti sciiti duodecimani posero il jihād al centro della loro fede. Ibn Bābawīth (dotto delle origini) scrive che il jihād è un dovere religioso
imposto da Dio. Shaykh al-Mufīd sostiene che preservi la forza delle fondamenta dell’islam. Diverse opinioni in merito sono condivise dai
sunniti: jihād come obbligo collettivo, che può diventare individuale in caso di minaccia alla comunità. Entrambi elencano chi dovrebbe essere
esentato dal combattimento. La differenza risiede nel fatto che i duodecimani credono che la guida appartenga all’autorità legittima designata
da Dio: l’imam nascosto. Dopo l’uccisione di ‘Alī e Husayn, essi adottarono un atteggiamento passivo nei confronti delle autorità sunnite,
nell’attesa del 12esimo imam. Questa visione fu però rettificata: al-Tūsī nel 1067 precisò che il jihād difensivo poteva essere combattuto e la
responsabilità era dei dotti religiosi. Questa divenne la base della loro teoria, tuttavia, quando i safavidi presero il potere in Iran, il sovrano
rivendicò la discendenza dagli imam e dichiarò il jihād contro gli Ottomani sunniti. Con la dinastia dei Qājār i dotti furono essenziali
nell’interpretazione e nella jihād contro la Russia, nel 1803-13 e nel 1826-28. Le fatwā sono raccolte ne Il trattato del jihād e stabiliscono che
l’élite religiosa dovesse governare per conto dell’imam nascosto ed evidenziando l’obbligo del jihād.
a ) L’āy ato l l ā h K h o m e y n ī
Il fondatore della Repubblica islamica dell’Iran, l’āyatollāh Khomeynī guadagnò vasto consenso per l’opposizione allo Shāh e agli USA. Diede
sostegno per un jihād per liberare Gerusalemme. Nella guerra Iran-Iraq, ai soldati iraniani vennero consegnate delle cartine per raggiungere
Gerusalemme. Egli trasformò l’ultimo venerdì del mese di ramadan nella Giornata di Gerusalemme, celebrata in tutto il mondo musulmano
attraverso francobolli recanti la Cupola della Roccia (icona della città) e Saladino a cavallo. Khomeynī considerava il jihād la guerra santa contro
idolatria, deviazione sessuale, saccheggio, repressione e crudeltà. Il conflitto Iran-Iraq ha messo due popolazioni musulmane una contro l’altra,
eppure egli la definì un jihād.
5 . I l j i h ā d p r a ti c a to i n e p o c a p r e m o d e r n a .
a ) L e co n q u i ste a ra b e ( V I I - V I I I )
Fin dalla morte del Profeta alcune campagne militari vennero definite jihād: il primo caso fu la creazione dell’impero arabo islamico tra il 632 e
il 711. Molti cristiani preferirono la vita sotto il dominio musulmano che la persecuzione religiosa da parte di Costantinopoli. Altri sostengono
che il concetto di jihād sia stato usato per motivare le tribù beduine per diffondere l’islam. Le conquiste aumentarono dopo la morte di
Muahmmad, tuttavia è improbabile che i beduini fossero già invasi dal sentimento di jihād, cosa possibile per i fedeli del Profeta. È quindi
improbabile affermare che il jihād abbia avuto un ruolo fondamentale nella creazione del primo Impero; però la piccola élite vicina a
Muhammad spronò la prime conquiste e ispirò le truppe.
b ) I k h a r i g i ti i n I ra q ( V I I - X )
La fragile unità della comunità fu minacciata dai gruppi che interpretavano il jihād in modi diversi. I kharigiti (emersi 30 anni dopo la morte del
Profeta), credevano nella massima teocratica (la sovranità appartiene a Dio) e il compito di guida era assunto dalla persona più virtuosa. Coloro
che rifiutavano le loro credenze non erano musulmani e dovevano essere uccisi. I loro attacchi durarono un paio di secoli, fin a quando non si
ritirarono per sfuggire ai sunniti. Essi provenivano da tribù arabe con una lunga tradizione di poesia; i poeti però ora predicavano jihād. I loro
guerrieri ricercavano una morte violenta, in battaglia, sul sentiero di Dio. La morte rappresentava l’ingresso al Paradiso, dove avrebbero
incontrato di nuovo i fratelli che li avevano preceduti.
c ) I S a m a n i d i d e l l ’A si a c e nt ra l e (8 1 9 - 1 0 0 5 )

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Le aree di frontiera dei territori musulmani attiravano guerrieri del jihād desiderosi di difendere la dār al-islam. Nel X il regno più a Oriente era
governato dai persiani Samanidi (sunniti) e difesero il territorio dai nomadi turchi dell’Asia centrale. Secondo le descrizioni, quel territorio era
ricco di costruzioni di ribāt (strutture: campi militari e conventi sufi), costruiti per ospitare i mujāhidūn o ghuzāt, che affluivano da tutto il
mondo per combattere il jihad.
d ) I G h a z n av i d i i n A fg h a n i sta n e n e l l ’ I n d i a s e tte n t r i o n a l e ( 9 7 7 - 1 1 8 7 )

Le campagne dei Ghaznavidi rappresentano un esempio opposto di jihād. Il potente stato sunnita è stato fondato dal condottiero turco ex
schiavo. Aveva come capitale Ghazana e occupava l’Afghanistan, l’Iran orientale e l’India settentrionale. Di conseguenza Mahmūd Ghazana,
sovrano, attaccò l’India 17 volte. Inizialmente queste razzie vennero considerate di jihād, ma in realtà si pensa che volessero sottrarre le
ricchezze dei principi indù. È poco probabile che i suoi successori invitarono l’India ad abbracciare l’islam.
e ) G l i A l m o v i d i n e l N o rd A f r i ca e i n S p a g n a ( 1 0 6 2 - 1 1 4 7 )
Gli Almoravidi, berberi, conquistarono i territori nordafricani e della Spagna musulmana. La loro ideologia del jihād è evidenziata dal nome
arabo al-Murābitūn (coloro che vivono nei ribāt). Il fondatore, Ibn Yāsīn, abbracciò una rigida forma di islam sunnita malikita e predicò tra
guerrieri velati. Egli invase la regione dal Sahara prima di morire martire. Il suo successore, Yūsuf ibn Tāshfin, conquistò il Nord Africa, fondò
Marrakesh e conquisto la Spagna musulmana. Gli Almoravidi definirono jihād tutte le campagne militari, contro i pagani dell’Africa e i
musulmani già presenti. Egli fu considerato nelle cronache medievali arabe come devoto e austero. Al suo apice il loro territorio si estendeva da
Saragozza al Ghana. Il loro spirito del jihād venne alimentato dalla riconquista cristiana, soprattutto della città musulmana di Toledo nel 1085.
f ) S ay f al - D a w l a , i l s o v ra n o h a m d a n i d e d e l l a S i r i a ( 9 4 4 - 9 6 7 )
Nel X migliaia di combattenti dell’Asia centrale si unirono alle forze del sovrano hamdanide Sayf al-Dawla, che guidava il jihād annuale contro
Bisanzio. Alla sua morte fu seppellito come un martire. Poeti e predicatori scrissero opere in suo onore in lode alle sue conquiste. Il suo
comportamento fu di esempio ai musulmani della Siria e della Palestina per combattere contro i crociati.
g ) I l j i h ā d a l l ’e p o ca d e l l e c ro c i ate ( 1 0 9 8 - 1 2 9 1 )
La minaccia dei crociati era rivolta al cuore delle terre musulmane: Gerusalemme, terza città santa dopo Mecca e Medina. I guerrieri della
prima crociata arrivarono in Siria e Palestina nel 1098, in un momento di debolezza musulmana, riuscendo in una conquista molto semplice nel
1099, anche se con enormi spargimenti di sangue. Tuttavia, il loro comportamento, spinse i musulmani a unirsi sotto il jihād per allontanarli. In
due generazioni e tramite l’alleanza tra i religiosi sunniti siriani e Nūral-Dīn, cacciarono i crociati. Egli succeduto dal curdo Saladino (Salāh al-Dīn)
nel 1187 riconquistò Gerusalemme. Le cronache ritraggono i due condottieri come figure in cui il jihād spirituale e quello pubblico era
congiunto. Nel 1291 i sovrani turchi mamelucchi scacciarono i crociati dal territorio musulmano. Per mantenere alto l’ardore per il jihād i
sovrani fecero scrivere libri e sermoni sul tema e opere in lode alla città Santa. Altre poesie fecero leva sulla necessità di difendere le donne dai
soldati crociati.
h ) U n a fi g u ra e m i n e nte d e l j i h ā d : I b n Tay m i y ya ( 1 2 6 3 - 1 3 2 8 )
Alla cacciata dei crociati, il mondo islamico assunse una nuova consapevolezza: era stato attaccato per duecento anni dall’Europa occidentale, e
nel XIII, orde di mongoli attaccarono a Oriente e distrussero Baghdad nel 1258. Dal 1291 il jihād divenne più introspettivo e il dār al-islam
chiuse le porte al mondo. In questo periodo il jihād fu interpretato come una lotta per difendere il mondo musulmano da possibili invasioni; ma
Ibn Taymiyya sosteneva un cambiamento radicale: era necessario un jihād maggiore per purificare la società dalla contaminazione spirituale
avvenuta con il contatto con altri popoli. Egli fu anche ostile agli sciiti accusandoli di intesa con i mongoli, per questo condannò molte loro
pratiche. A causa della discordanza sui suoi parare, venne imprigionato; anche se i suoi atteggiamenti erano ammirati. Egli definisce l’obiettivo
del jihād in una fatwā affermando che chi si impegna sul sentiero di Dio, fa ciò affinché l’intera religione appartenga a Dio. Egli crede che lo
stato mamelucco sia attaccato da numerosi nemici. Molti dotti furono riluttanti a dichiarare il jihād contro i mongoli perché si erano convertiti
all’islam, però lui non li considerava tali, perché non applicavano la sharī’a e usavano il loro codice legale. Egli sostiene che il jihād era un
obbligo della comunità e nel caso vi sia un’aggressione, è un obbligo per chiunque. Egli sosteneva che il jihād per la riconquista di
Gerusalemme, doveva essere sostituita al jihād per la vera religione, purificandola da tutte le credenze deviate. Egli quindi divenne il modello
per molti movimenti riformisti come il wahhabismo.
i ) G l i O tto m a n i ( 1 3 0 1 - 1 9 2 2 )
Dalle conquiste in Anatolia, divenne imperativo che Costantinopoli non potesse essere più presieduta da un sovrano cristiano. La caduta della
citta nel 1453 rappresenta il livello più alto delle conquiste turche medievali. Dopo questa conquista estesero ulteriormente il loro dominio sui
Balcani e raggiungendo Vienna, per poi essere respinti nel 1683. L’entrata della Turchia nella prima guerra mondiale al fianco della Germania fu
ancora definita jihād dal sultano ottomano.
Questi esempi dimostrano come il jihād minore fosse usato per motivare nuove entità politiche e conquiste militari: questi movimenti erano
considerati come la difesa di territori già musulmani o la loro espansione.
6. Il jihād nel XIX e XX.
Dal 1798 al 1914, il jihād fu inteso in modo diverso perché le potenze coloniali europee tentarono di conquistare i territori musulmani. Il jihād
poteva essere legato al crescente nazionalismo arabo, e alla volontà di tornare ad un islam puro. In questo periodo quindi fu invocato varie
volte: il jihād dei Senussi contro la colonizzazione italiana in Libia, Muhammad Ahmad contro i turchi-egiziani e i britannici in Sudan, e
wahhabiti. Nell’Africa subsahariana Usman dan Fodio, della città-stato di Gobir, si fece eleggere imam e istituì il califfato di Sokoto, modellando
la propria vita su quella del Profeta. Egli condusse un jihād vittorioso contro il sultano di Gobir. I movimenti musulmani tradizionalisti si
opposero alla diffusione della potenza americana dopo la seconda guerra mondiale; lottarono contro i musulmani corrotti nelle loro terre e
cercarono di fondare uno stato unificato. Sayyid Qutb, ideologo dei Fratelli musulmani e giustiziato in Egitto nel 1966, credeva in un jihād
contro tutti i popoli che non fossero musulmani. La dittatura laica di Saddaām Husayn sosteneva la necessità di una grande battaglia contro “la
cospirazione americana-israeliana”, facendo jihād contro l’Occidente.

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a ) A b ū ’ l - ‘A l ā M aw d ū d ī
Un oppositore della penetrazione occidentale fu uno scrittore dell’Asia meridionale, Abū‘l-‘Alā Mawdūdī, che ebbe un’enorme influenza in
Pakistan e tra i Talebani. Il partito idealizzava un modello islamico che promuoveva i valori islamici. Il concetto di jihād svolse un ruolo
fondamentale nel suo pensiero. Egli sottolineava che l’islam era la religione del mondo intero.
b) Il mullā ‘Umar
Mullā ‘Umar fondò i Talebani per liberare l’Afghanistan dalla guerriglia e liberare il paese dalla guerra e ristabilendo la sharī’a. le idee di questo
gruppo sono chiuse e selettive e l’unico islam accettato era il loro. Nel 1996 il mullā si proclamò califfo e ottenne il giuramento da parte dei
fedeli. Il concetto di jihād si ampliò a tutti coloro che rifiutarono la loro idea di islam. Alla conquista di Kabul, impose una rigida interpretazione
della sharī‘a, evocata nei romanzi di Khaled Hossein. ‘Umar fece distruggere le statue monumentali dei Buddha di Bamiyan.
c ) U s ā m a b i n L ā di n
Nel 1997 Usāma bin Lādin dopo esserci distinto nella jihad afghana, si mosse per rovesciare il governo sovietico e l’alleanza occidentale guidato
dagli USA. Sebbene si dipingesse come colui che in grado di emettere fatwā, non possedeva alcuna conoscenza religiosa. Sebbene parlasse con
riferimenti alle battaglie di Muhammad, non prestava alcuna attenzione al jihād classico, distorcendolo ai propri fini. I suoi obiettivi erano
spodestare il regime dell’Arabia Saudita e indebolire il potere americano nel mondo. Ancora prima dell’11 settembre, parlava già di un jihād
contro i crociati, collegandosi a temi antioccidentali. Nel 1998 pubblicò un documento per l’organizzazione Fronte internazionale islamico per il
jihād, contro ebrei e crociati. Il jihādaveva come obiettivo la liberazione della moschea al-Aqsā di Gerusalemme. Egli oltre al Corano e agli
ahādīth, invoca poesie kharigite e le celebri vittorie musulmane delle origini. Per bin Lādin la battaglia doveva essere globale.
d) Al-Qā’ida
Al-Qā’ida significa “regola, base e modello”. Non è una singola organizzazione, ma è lacerata da dispute di potere e su chi debbano essere i
bersagli. Ha una forte influenza nelle madrase del Pakistan e nelle aree dell’Afghanistan occupate dai Talebani. Da queste regioni si solo
generate cellule sparse in tutto il mondo. I gruppi affiliati, condividono il desiderio di in jihād contro l’America, contro le guerre in Iraq e in
Afghanistan e contro la globalizzazione. Le loro armi sono terrore, violenza e paura. Il loro attacchi hanno avuto luogo in spazi pubblici e sono
pubblicizzati dai media. Bin Lādin non è solo un leader terrorista globale, ma è stato un modello da seguire. Anche in seguito alla sua morte, il
gruppo rimane comunque una minaccia per il mondo.
7 . I l j i h ā d c o nte m p o r a n e o .
Cos’è il jihād per i musulmani contemporanei? Ormai per i musulmani “jihād” è poco più di un termine retorico, come per noi “crociata”, e
rappresenta soli un modo di dire. Da tuti i media, questo termine è usato senza riflettere sul vero significato. Le affermazioni coraniche, hanno
permesso che nel corso della storia coesistessero diverse interpretazioni del significato di jihād. Per gli estremisti contemporanei, la loro
interpretazione del jihād ha offuscato persino i cinque pilastri della fede. Anche secondo alcuni jihādisti, gli attacchi terroristici sono da
condannare perché non rappresentano ciò che davvero è il jihād e la fede islamica. Ovviamente il concetto di jihād illustrato nei libri classici,
non include la pianificazione di stragi in luoghi pubblici, ma stabiliscono una protezione per anziani, donne, bambini e malati.
a ) L a v i si o n e d e i p e n s at o r i m u s u l m a n i c o nte m p o ra n e i s u l j i h ā d
Il religioso egiziano Yūsuf al-Qaradāwī, è il principale dotto e predicatore sunnita. La legge del jihād è una monumentale opera in arabo, da lui
scritta in cui cerca di difendere e ripensare l’islam per inserirlo nei tempi moderni. È stato attaccato dai militanti per aver condannato gli
attentati dell’11/09 e del 7/07/05 in UK. Però il sostengo che ha fornito agli attentatori suicidi palestinesi a portato gli USA a negargli l’ingresso
nel paese.
Wahba Zuhaylī, dotto siriano, conferma i precetti evidenziati sopra e sottolinea che i danni materiali sono proibiti, a meno che non sia un luogo
direttamente coinvolto nell’azione militare. La guerra non deve mai essere scatenata per costringere la conversione all’islam e respinge l’idea
che secondo cui le identità religiose e popolari saranno la causa dei conflitti nel mondo, asserendo che il Corano incoraggia la diversità.
Khaled Abou El Fadl, voce contro l’estremismo, è un autore di Kuwait. Sostiene le teorie dei predecessori medievali, secondo cui questi gruppi
estremisti sono hirābī o muhāribūn, cioè combattono una guerra illegale. Nel libro Il jihād dell’islam: comprenderlo e praticarlo, evidenzia che il
jihad non ha nulla a che fare con la guerra ma è uno sforzo personale contro il proprio ego. Sostiene (attraverso la metafora di un albero) che il
jihād maggiore ha bisogno di essere nutrito attraverso una riflessione continua sul Libro di Dio e attacca coloro che menzionando il jihad
pensano solo alla guerra.
b ) S u i c i d i o e “ m a r ti r i o ”
Cos’è il martirio nel contesto contemporaneo? In alcuni casi, gli autori di violenze sono diventati capi legittimi come in Sudafrica o in Irlanda del
Nord. Minoranze come le Tigri Tamil nello Sri Lanka o i Baschi in Spagna hanno usato metodi violenti per cercare di imporre la loro autonomia.
E popoli di molte fedi hanno usato la violenza per perseguire i propri ideali. Numerosi hanno al centro delle loro azioni il concetto di jihād
militante e materiale. I membri sono propensi a uccidere persone innocenti e a sacrificare sé stessi. I primi esempi si sono verificati tra gli sciiti
in Libano, Israele e Iraq. La pratica però si è diffusa anche in Pakistan, in Afghanistan, in Europa, USA e in altre parti del mondo. Un evento
cruciale è stata la morte di Muhammad Fahmida nella guerra Iraq-Iran e si fece esplodere davanti un carro armato iracheno. Fu proclamato
eroe dall’āyatollāh Kohomeynī che incoraggiò altri giovani a seguire il suo esempio.
Può un attentato suicida definirsi islamico? Sebbene alcuni li considerato atti eroici, molti dotti li hanno condannati. Il legame jihād-martirio è
chiaro nel Corano e negli ahādīth. Oggi gli estremisti, cercano di giustificare la pratica tramite la legge islamica, ma non è possibile. Le
“operazioni di martirio” degli attentati sono un’interpretazione distorta della dottrina del martirio: come nel cristianesimo l’uccisione deliberata
di persone innocenti non è permessa, gli attacchi terroristici non rappresentano il modello di martirio dell’islam. L’islam è ricco di figure di
martiri, il primo su tutto Husayn, il nipote del Profeta, ucciso per mano di altri. Gli attentatori muoiono però a seguito delle loro stesse azioni. Il
Corano però dice che il martirio è raggiunto combattendo il jihād sul campo di battaglia e nel caso della morte, gli è promesso il Paradiso.
Quindi gli attacchi terroristici recenti non sono atti eroici ma suicidi e il suicidio è severamente proibito.

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Oggi la parola jihād è abusata: per alcuni ha un appello politico, per altri è una contrapposizione al potere economico e il predominio politico
americano. Oggi abbiamo il cyber jihād: pirateria informatica nei pc di singoli cittadini, dipartimenti e agenzie governative. Attualmente quindi è
un tema molto complesso e dibattuto (della penna, del cuore, civile, non violento, umanitario, ambientale, …), quindi non per forza deve essere
considerato militante o violento. Le analisi del jihād che ignorano la storia, ancorate solo al presente e concepite solo in termini politici sono
errate. Le opinioni della vasta maggioranza dei musulmani sono basate su una dottrina di jihād che è stata perfezionata da molte generazioni di
dotti. Questa dottrina contiene saggezza conquistata con fatica e non può essere emessa da parte dagli ultimi arrivati, signori della guerra,
terroristi e demagoghi.
CAPITOLO NONO
LE DONNE
La posizione delle donne nell’islam è stata per molti anni oggetto di studio e di dibattiti.
1 . L e d o n n e m u s u l m a n e e l ’O c c i d e nte .
In Occidente, si ha un grande stereotipo all’islam, associando pratiche violente, il matrimonio forzato e l’omicidio d’onore e queste immagini
sono alimentate dai media occidentali; tanto che l’islam è giudicato per queste questioni piuttosto che per la religione. In Occidente si crede
che le donne abbiano sempre avuto una posizione inferiore, però anche qui, fino a non molto tempo fa le donne erano escluse dal diritto di
voto, dall’istruzione e dal alcune professioni e diritti. Queste questioni, sono poste in contrasto con i diritti e le libertà delle donne. Dall’epoca
coloniale l’Occidente porta avanti questa missione di “liberazione”, però questo atteggiamento ha provocato reazioni nei gruppi islamisti,
radicando maggiormente i loro paesi attraverso la violenza e le imposizioni. Di recente, gruppi femministi sostenuti anche da uomini musulmani
stanno cercando parità di diritti per le donne musulmane. Tra gli argomenti di maggior attenzione in Occidente abbiamo la questione del velo,
della poligamia e delle condanne per cattiva condotta sessuale fuori dal matrimonio. Tuttavia, è sbagliato generalizzare perché non tutti i paesi
musulmani sono uguali, per questo non bisogna giudicare l’islam attraverso le regole dei Talebani ad esempio.
2. Il Corano e le donne.
Nel Corano ci sono due dimensioni nella visione della donna: inerente alla sfera spirituale (relazione con Dio) e delle precisazioni riguardanti il
comportamento quotidiano.
a) Le dimensioni spirituali
Il Corano, pone uomini e donne sullo stesso piano, anche dal punto di vista spirituale. A entrambi è concesso il Paradiso, ove mariti e mogli
staranno insieme. Però, promette anche agli uomini credenti Donne dagli occhi nerissimi, simili a perle nascoste e che saranno sposati a fanciulle dai
grandi occhi neri.

b) Le dimensioni sociali
Il Corano è soggetto a diverse letture e interpretazioni, per questo è importante la contestualizzazione storica. Il Corano giunse in una società
che aveva già norme consolidate nel trattamento delle donne: infatti alcune affermazioni del Corano si rifanno alla società di Muhammad.
Matrimonio e divorzio. Come le società del Vecchio Testamento, anche l’Arabia del VII presentava varie usane matrimoniali come la poligamia.
Bisogna considerare come la poligamia è intesa nel Corano. Il cap. 4 Le donne diche che nel matrimonio gli uomini sono preposti alle donne e
dovrebbero anche ammonirle e decidere quando avere rapporti sessuali. Un uomo può avere fino a quattro mogli, solo se è in grado di trattarle
tutte allo stesso modo (4:3). Questo versetto fu rivelato in seguito alla sconfitta musulmana da parte dei meccani, in cui furono uccisi più di 70
musulmani. Questa fu un’indicazione per tutelare le donne vedove. Però sottolinea che devono riceve lo stesso trattamento, quindi è
preferibile la monogamia. Il divorzio è permesso solo in occasioni eccezionali, perché deve essere fatto ogni sforzo per placare i contrasti. Il
Corano menziona la procedura da seguire e le responsabilità del marito nei confronti della moglie e dei figli.
Abbigliamento. Questo tema è trattato nei cap. 24 e 33 e intima a entrambi i sessi di abbassare gli occhi e custodire la loro castità. Per le donne è
richiesto che non mostrino le loro bellezze (eccetto quelle visibili) e che coprano il petto con un velo. Sin dall’inizio i commentatori diedero
interpretazioni rigorose a questo riguardo. Tuttavia, un famoso commentatore sostenne che proprio l’indeterminatezza della frase suggerisca la
possibilità di un’evoluzione storica. È presente poi un elenco di figure maschili con cui è permesso allentare queste regole: mariti, fratelli,
suoceri, etc. Un versetto successivo dice a Muhammad di far coprire in pubblico, le proprie donne con mantelli, per distinguerle come donne
rispettabili. Si evince che la modestia nell’abbigliamento e richiesta per ambo i sessi, anche se perle donne le istruzioni sono più specifiche.
3. Le donne e la legge islamica.
I giuristi elaborarono il comportamento e la condizione delle donne in base al Corano e agli ahādīth. I dotti furono generalmente uomini (prassi
comune anche per cristiani ed ebrei), infatti elaborarono i loro concetti sulla base della psiche e dell’esperienza maschile. I dotti quindi
elaborarono questi temi sullo status sociale delle donne e formularono la legge, in sfavore delle donne e in favore agli uomini. Le leggi dei nuovi
territori conquistati, influenzarono notevolmente la condotta e la vita dei musulmani. Ad esempio, in Medio Oriente, prima dell’islam, donne
dell’alta società vivevano già recluse e velate: era la manifestazione di uno status di coloro che non avevano bisogno di lavorare fuori casa.
Questa abitudine era diffusa anche in Grecia e a Roma ed è affermata anche nella Bibbia da san Paolo. Con la conquista dell’impero sasanide
dell’Iran e dell’Impero bizantino, si diffuse l’uso del velo nel mondo musulmano.
a ) M at r i m o n i o e d i v o r z i o
Dal XII opere di giurisprudenza islamica furono dedicate ad argomenti specifici. Nel Libro del matrimonio al-Ghazālī sostiene che la moglie
ideale che avere un buon carattere. Non è consentita l’unione con una miscredente, ma con un’ebrea o una cristiana. Generalmente i
giurisperiti vietano il matrimonio con un uomo non musulmano. Entrambe le parti possono chiedere il divorzio; ma le norme favoriscono gli
uomini. Un uomo può divorziare pronunciando, in presenza di testimoni, per tre volte la formula “divorzio da te”, senza un pretesto. Una donna
invece può chiederlo solo per alcuni motivi approvati da un giudice. Visto che il Corano non chiede un motivo preciso, la legge islamica è stata
fatta in modo che il marito possa divorziare ogni volta che lo desidera. Le donne per divorziare devono aspettare per verificare se sono in stato
di gravidanza prima di risposarsi; gli uomini posso risposarsi immediatamente. La donna conserva il diritto di custodia dei figli maschi fino a
sette anni e per le femmine fino a 9, poi passa al marito.

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a ) E re d i tà
Rispetto all’epoca pre-islamica è prevista maggior equità nella successione. La testimonianza di una donna in tribunale vale metà di quella di un
uomo. La legge islamica prevede alla donna di poter avere e amministrare i propri beni. Lo sposo da una dote alla sposa per uso personale. Le
donne comunque impararono presto le strategie per allentare i vincoli di una società patriarcale. L’islam vede uguaglianza sul piano spirituale,
ma il Corano pone l’uomo al di sopra, riflettendo probabilmente la società in cui si sviluppò.
4 . M a r i a e Fā ti m a : d u e d o n n e p a r ti c o l a r m e nte v e n e r a te .
Il Corano conferisce a Maria una grandissima importanza. Per i sufi e a livello popolare è una figura ispiratrice e in Egitto, cristiani copti e
musulmani ne condivisero le festività. Nel 1968, l’apparizione della Vergine di Zayutuna in Egitto attirò moltissimi cristiani e musulmani. Fātima
(la figlia del Profeta), era detta “la Luminosa” e nella tradizione è ritratta come figlia, madre e moglie amorevole. Curò Muhammad e il marito
‘Alī dopo la battaglia di Uhud, visitò le tombe dei caduti e recitò preghiere per loro. Morì nel 632, due mesi dopo il padre e fu sepolta a Medina.
Divenne “la madre degli imam”, occupando un posto di rilievo nella devozione sciita: la dinastia Fatimide la onorò prendendo il suo nome.
5 . L e d o n n e m u s u l m a n e i n e p o c a p r e- m o d e r n a .
In epoca pre-moderna vi era un divario enorme tra le donne della nobiltà e le donne appartenenti agli strati più poveri.
a ) L e d o n n e d e l l e fa m i g l i e re a l i e d e l l e cl a s s i e l e v ate
Sin dalle origini dell’islam vi sono donne che divennero un modello, come Khadīja, donna indipendente di pensiero e reddito. ‘A’isha, l’ultima
moglie, guidò il movimento di opposizione contro ‘Alī; si narra che ella mondando una cammello, prese parte alla battaglia del Cammello.
Nell’élite le donne erano reggenti, tenevano udienze, recitavano petizioni, firmavano decreti e guidavano eserciti, coniavano monete con i loro
titoli. Alcune avevano una discendenza reale, altre erano schiave salite al potere nell’harem. Spesso le donne appartenenti a famiglie reali si
occupavano di opere caritatevoli come l’edificazione di moschee, tombe e mausolei e spesso i loro nomi sono commemorati nei monumenti.
Potevano avere guardie del corpo e presidiavano i procedimenti legali. Però raramente una donna governò un territorio per diritto personale;
ma spesso erano assunte come reggenti dai figli. Nessuna donna fu mai califfo. Le donne di elevata estrazione sociale sapevano leggere e
scrivere; alcune erano impegnate in attività culturali e religiose: insegnavano il Corano, gli ahādīth e la legge islamica. Lavorarono come
scrivane, calligrafi e bibliotecarie; furono scienziate; furono menzionate nei dizionari biografici ed ebbero loro biografie. Le donne del periodo
abbaside erano colte, versate nella musica e nella poesia.
b ) L e d o n n e pi ù p o v e re
I racconti parlano di ragazze cantanti e danzatrici, schiave, musiciste e donne laboriose degli ambienti rurali e nomadi. Le leggende parlano
anche di donne guerriere, come Dhāt al-Himma, condottiera dell’esercito musulmano contro i bizantini. Un racconto del 1100, narra di una
maldestra schiava che versò una pietanza calda sul padrone e dopo lo pregò di trattenere la sua rabbia e di perdonarla, citando dei passi del
Corano, ottenendo la liberazione. Né Le mille e una notte è descritta la società medievale di Baghdad e del Cairo, ed è piena di figure femminili
sfacciate e intelligenti, coraggiose e intraprendenti, che godono di una grande libertà. Una volta che la comunità musulmana divenne un
impero, incominciarono come i persiani e i bizantini, a segregare le loro donne. Le case erano divise in appartamenti privati per sole donne
(harem) e in stanze pubbliche, dove si intrattenevano gli ospiti maschi. Le donne nomadi godevano di maggior libertà, sebbene lavorassero
duramente. Non si conosce l’effettiva possibilità di viaggi di sole donne, ma erano in ogni caso difficoltosi anche con gli uomini. Erano infatti mal
viste le principesse turche che svolgevano da sole il pellegrinaggio a Mecca.
6 . L e d o n n e m u s u l m a n e n e l l a p r i m a et à m o d e r n a .
Nel XVIII i viaggi europei verso il Medio Oriente, suscitarono un grande interesse, alimentato dall’idea di donne segregate nell’harem e
sorvegliate. L’harem simboleggiava tutto ciò che agli uomini occidentali appariva sbagliato, in quanto evoca prigionia e passività, quindi queste
donne necessitavano di essere salvate dalle potenze coloniali europee. L’harem in realtà fa riferimento alla parte della casa vietata agli uomini
ed era un alveare di attività domestiche. Con l’inizio dell’età moderna, le donne iniziarono a organizzarsi in circoli culturali. Maryāna Marrāsh fu
la prima donna araba a pubblicare un articolo di giornale; nel su salotto culturale indossava abiti secondo l’ultima moda europea e gli invitati
fumavano narghilè. Zaynab Fawwāz, libanese, fu intellettuale e pioniera del femminismo arabo e trasferitasi in Egitto pubblicò numerosi saggi.
Nello stesso periodo Salme Bint Said, figlia del sultano dell’Oman e Zanzibar, scrisse un’autobiografia in tedesco, concentrata sull’harem e sulla
sua giovinezza. A 21 anni si innamorò di un funzionario tedesco del consolato a Zanzibar. Nella sua gravidanza il fratello (divenuto sultano) fu
estremamente comprensivo. Ella fuggì a Aden e nel 1866 partorì. Dopo il matrimonio con Ruete, si convertì al cristianesimo. Si trasferirono in
Germania ma tre anni dopo Ruete morì e lei continuò a vivere in Germania. Nonostante tutto, rifiutò sempre la concezione che il mondo
occidentale aveva della donna araba.
a ) I l X I X s e co l o e g l i i n i z i d e l X X
In questo periodo, con le dichiarazioni di guerra, la vita della donna occidentale fu soggetta a cambiamenti: ebbero maggiori possibilità di
impiego e iniziarono ad indossare abiti informali. Ci fu un’evoluzione simile anche nei paesi medio orientali: le donne eliminarono il velo e
indossarono una versione “casta” degli abiti occidentali. Kemal Ataturk in Turchia e Rezā Shāh Pahlavī in Iran vietarono l’uso del velo, per
modernizzare i propri paesi. Il cambiamento dell’abbigliamento significava un profondo cambiamento della mentalità. Rezā Shāh rimuoveva lui
stesso il velo dalle donne e nel 1936 promulgò una legge che ne vietava l’uso. Molte donne si rifiutarono, preferendo una vita di reclusione
volontaria.
7 . E m i n e nti d o n n e m u s u l m a n e n e l m o n d o o d i e r n o .
a ) D o n n e i m p e g n ate i n p o l i ti ca
Diverse donne furono capi di stato: Benazir Bhutto in Pakistan, Megawati Sukarnoputri in Indonesia, Tansu Ciller in Turchia e Khalida Zia Shaykh
Hasina in Bangladesh. Ci sono donne musulmane di successo impiegate in Nord America e in Europa. In Gran Bretagna si ricorda Sayeeda Warsi,
alla carica di primo ministro e Haleh Afshar, studiosa sciita esperta in studi di genere. In Germania Ekin Deligoz ottenne un seggio nel
parlamento federale nel 2003.
b ) C e l e b r i tà

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Umm Kulthūm, conosciuta come Stella d’Oriente, anche dopo la sua morte fu un patrimonio nazionale. Amata da tutti è considerata la più
grande cantante araba di sempre. Al suo funerale al Cairo, parteciparono tantissime persone.
Shirin Neshat, regista e fotografa iraniana esiliata, trasmette i suoi messaggi in opere come Women of Allah, fotografie che mostrano le
rivoluzionarie islamiche nel 1979. Molte donne ora prendono parte a giochi olimpici, indossando l’abbigliamento loro richiesto per le gare. Alle
olimpiadi di Londra 2012, parteciparono per la prima volta atlete dell’Arabia Saudita, del Qatar, del Brunei, dell’Afghanistan e dell’Oman.
c ) Vo c i p ro g re s s i v e fe m m i n i ste
Amina Wadud, accademica musulmana afroamericana, parla di un’interpretazione dell’islam “da una prospettiva di genere”. Nel 2005 ha
guidato la preghiera del venerdì a New York e ha tenuto il sermone davanti ad un’assemblea di uomini e donne. Ella era consapevole dello
scalpore che questo atto avrebbe creato. Questo evento però ebbe un significato simbolico molto profondo: mise in discussione l’immagine
della donna stereotipata e sottomessa e ha indicato loro la possibilità di assumere il ruolo di guida religiosa, perché niente nel Corano
impedisce alla donna di guidare una funzione religiosa. Dice che nella lettura del Corano, ognuno attraverso il proprio giudizio personale
(concesso dalla sharī’a) decide cosa enfatizzare o no.
Nel 2007 negli USA, una donna per la prima volta tradusse il Corano in inglese.
In Malesia, Sharifah Khasif fu tra le più giovani vincitrici dei recitatori del corano ed è stata inviata in tutto il mondo.
Fatema Mernissi, scrittrice marocchina di Le sultane dimenticate, tratta delle affermazioni fatte in ambiente pakistano, quando Benazir Bhutto
divenne primo ministro. Ella condanna la “misoginia musulmana” fornendo le prove di governi precedenti tenuti da donne musulmane in India,
Egitto, Iran, Maldive, Indonesia e Yemen. Sfidò anche le linee guida autorevoli degli ahadīth per la società musulmana contemporanea.
Nawāl al-Sa’dāwī è un’attivista e scrittrice egiziana. Lavorò come dottore e fu scrittrice e attivista femminista. Nel 1980 fu imprigionata per
crimini contro lo stato e qui scrisse un altro libro. Oggi è un’attivista, combatte contro la pratica della mutilazione femminile. Le mutilazioni
femminili sono praticate in molti stati musulmani, ma non è una pratica risalente a loro: è attestata sin da II sec. a.C. ed è condannata
dall’Organizzazione mondiale della sanità. È molto diffusa in africa subsahariana e anche in alcune comunità presenti in Europa. Il Word
Congress of Muslim nel 2002 ha condannato queste pratiche, nel 2008 il governo egiziano impose una legge per vietarle in seguito alla morte di
una ragazza, dovuta a queste pratiche. Nel 2011 è stata emessa una fatwā in Mauritania, ma si pensa che sia ancora praticata dalla maggior
parte della popolazione. le prime azioni penali nel Regno Unito contro questa pratica risalgono al 2014. Oggi potrebbe rappresentare una
minaccia crescente anche negli stati uniti.
8 . L e d o n n e n e l l a s o c i età c o nte m p o r a n e a .
a ) L a v i ta fa m i l i a re
La vita familiare rimane l’istituzione chiave della società musulmana. Per molti occidentali, la loro concezione della famiglia è superata, al
contrario molti musulmani sono convinti che l’istituzione della famiglia in occidente sia sottovalutata. L’usanza tradizionale prevede di vivere in
famiglie molto estese e l’autorità appartiene alla donna più anziana. La vita comune permette di rafforzare i legami con i membri della famiglia,
ma toglie molta intimità tra le coppie, per questo oggi molte coppie hanno case o appartamenti separati. La poligamia è poso diffusa, al
contrario della monogamia che è norma in quasi tutti gli stati e legge in Tunisia e in Turchia. Tuttavia, i matrimoni combinati spesso sono molto
frequenti perché molti ritengono di sapere cos’è meglio per i propri figli, credendo che n questo modo i matrimoni siano più duraturi. Come in
Occidente, in caso di divorzio, le coppie si sposeranno con qualcun altro. Però il divorzio lascia la donna poco ben vista, infatti spesso le donne
divorziate tornano alla casa paterna.
b ) L’a b b i g l i a m e nt o
Il copricapo non è chiamato allo stesso modo in tutto il mondo musulmano. Il hijāb è il velo che copre la testa in modo approssimativo o preciso
e può essere di diversi colori. Il burqa’ copre tutto il corpo incluso il viso e gli occhi, tramite una rete. Il niqāb copre bocca e naso lasciano
scoperti gli occhi. Il jilbāb, la ‘abāya e lo chādar/chādor) sono abiti lunghi dalla testa ai piedi. Il modo di avvolgerli varia da donna a donna.
Molte donne sostengono l’opinione contraria rispetto gli occidentali: sono essere a scegliere come vestirsi e se indossare o no il velo. Alcune lo
abbandonano, altre lo adottano volontariamente; per cui le ragioni di indossarlo sono molto diverse. Alcune lo indossano perché imposto dalla
società conservatrice, altre per non essere fissate dagli uomini, altre per questioni economiche e altre per dimostrare pubblicamente la propria
fede. Per molte donne il velo rappresenta un accessorio di moda e ne possiedono svariati per adattarsi alle diverse occasioni sociali. Esistono
stilisti che creano delle collezioni.
L’abbigliamento nei diversi paesi. La pratica sociale varia da un paese all’altro. L’uso del velo può suggerire il paese di provenienza, anche se in
uno stesso paese può essere usato in molti modi diversi. In Oman alcune donne coprono i capelli lasciando il viso scoperto, alcune hanno il velo
per metà o su tutto il viso, altre sono coperte dalla testa ai piedi. A Tunisi alcune vestono all’occidentale, altre sono velate. A Beirut e Damasco
giovani donne son e senza velo fumano narghilè con amici e famiglie. Nei paesi del Golfo, in Pakistan e in Afghanistan le donne si coprono dalla
testa ai piedi, spesso in nero e mostrano solo gli occhi. Dal 1979 in Iran i pāsdārān si scagliavano per la strada contro donne che avevano i
capelli visibili da sotto il velo; oggi le giovani tendono a sfidare questa legge. In Indonesia, nuove leggi hanno introdotto restrizioni, nella
convinzione che indossare il jihāb dia maggior sicurezza e moralità alla società. In alcuni territori come Aceh la sharī’a è stata imposta nel 2001
e gli uomini imposero un codice di abbigliamento da seguire. La Universitas Islam Indonesia e l’Iran impongono alle donne di qualsiasi religione
di adattarsi all’abbigliamento islamico.
L’Europa. Le donne musulmane che indossano l’abbigliamento islamico si possono trovare in tutta Europa, perché hanno portato con loro le
proprie usanze e costumi. La reazione dei governi a ciò è stata molto varia. Molti paesi europei si trovano a dover affrontare il problema in un
clima di islamofobia. Dall’11 settembre si svilupparono problemi sulla sicurezza e molti governi insistettero sulla possibilità di riconoscere il
volto delle donne.
c ) L’ i st r u z i o n e
Il livello di istruzione e di alfabetizzazione è molto vario. In Pakistan e in Yemen l’alfabetizzazione femminile è del 28%, in India il 59% delle
donne non ha mai frequentato la scuola. In Arabia Saudita e in Iran l’alfabetizzazione è del 70%; in Giordania e in Indonesia è dell’85%. La
corrispondente maschile in questi paesi è migliore, ma non è ancora sufficiente. In Medio Oriente le donne possono accedere ad un’istruzione

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universitaria molto elevata, studiando con colleghi maschi. In Arabia Saudita l’insegnamento avviene in classi separate, ma le donne ricevono
spesso un’istruzione molto elevata. Nelle scuole femminili spesso insegnano donne che hanno conseguito dottorati in prestigiose università
occidentali. Nel 2009 in Arabia Saudita è stata aperta la King Abdullah University of Science and Technology, in cui le donne possono studiare
con i maschi e non devono indossare il velo. Le materie insegnate sono simili a quelle in Occidente e spesso danno modo alle donne di
raggiungere ottime opportunità lavorative. In India nello Uttar Pradesh le giovani ricevono un’istruzione in madrasa separate, gli sono insegnate
poche materie adeguate al ruolo di mogli, madri. Studiano il Corano, un buon eloquio, le norme di igiene personale e le responsabilità
domestiche.
d ) I l fe m m i n i s m o
Oggi esistono molti gruppi femministi musulmani. Le affiliate analizzano il Corano per interpretare le leggi in chiave moderna. Yvonne Haddad
dice che le femministe non mettono in dubbio la veridicità del Corano ma le interpretazioni patriarcali. Nel mentre di questa battaglia cercano
di tenere stretti i principi della propria religione, piuttosto che subire passivamente norme imposte nei secoli. Molti network femministi
operano tramite social media, come le Sister of Islam della Malesia, BAOBAB for Women’s Human Rights in Nigeria. L’organizzazione Women
Living under Muslim Laws tenta di riformare le leggi degli stati musulmani. L’attivismo aspira ad un cambiamento nel diritto di famiglia, nel
divorzio e nell’eredità. Attualmente per l’enorme diffusione dell’islam è difficile generalizzare sulle loro leggi. È anche importante il tema della
violenza domestica, che come in Occidente, è ancora un tabù. Nel Corano 4:34, è un versetto che le femministe cercano di reinterpretare. La
seconda parte parla di come comportarsi con una moglie disobbediente ed è controverso se il marito è autorizzato a picchiarla o no. La
presenza delle donne in moschea è un altro tema particolare: dalla morte del Profeta iniziò la controversia. Egli permise sempre alle donne di
pregarvi. Il secondo califfo lo vietò, ma il suo successore le autorizzò nuovamente a pregare in apposite sezioni. Questo oggi è diventato un
problema, suscitando proteste nel mondo, sostenendo che il Profeta non voleva che pregassero divisi. Alcune moschee nel mondo in effetti
vietano l’ingresso alle donne, mentre altre si sono aperte a questa possibilità. Ormai le donne richiedono parità di diritti, possibilità di voto
senza pressioni e la possibilità di fare qualsiasi lavoro. Nonostante tutte le proteste e tutti i progressi, c’è ancora molto lavoro da fare per
renderle alla pari. Attualmente attraverso internet, le pensatrici occidentali stanno cercando di mobilitare le colleghe attiviste del Medio
Oriente.
e ) C o nv e rs i o n i a l l ’ i s l a m
Oggi avvengono conversioni in tutto il mondo Occidentale. Alcune conversioni hanno fatto scalpore come la moglie dell’ex primo ministro
inglese, che è stata accolta con scherno. Un rapporto del 2013 dimostra che alle conversioni sono più portate le donne degli uomini, perché
sono alla ricerca di una nuova spiritualità, altre provano maggior autostima nell’indossare il jihab.
f ) L e d o n n e m u s u l m a n e n e l l a P r i m av e ra ara b a
Le donne esercitarono anche un ruolo molto attivo nella Primavera araba -le proteste democratiche scoppiate in Medio Oriente nel 2011- e
continuano ad esercitarlo. La loro partecipazione è documentata, grazie alle numerose foto delle manifestazioni, che sono state diffuse. Sono in
prima fila, mentre sventolano bandiere e urlano slogan, protestato e aggiornano i loro blog, praticano scioperi e parlano in pubblico. In Tunisia,
la voce di Samia, sorella di Mohamed Bouazizi, il cui suicidio ha permesso l’inizio della rivolta tunisina, si fa ancora sentire richiedendo diritti
politici per tutti. Queste donne, spesso pagano un prezzo altissimo per le loro azioni: stupri, molestie, arresti e torture per mano di uomini e
della polizia. Ma ormai le donne hanno iniziato un cammino per prendere una posizione nei loro paesi, per diventare membri a pieno titolo
della società, aprendosi la porta ad un futuro luminoso.
CAPITOLO DECIMO
DOMANI
I problemi da affrontare riguardano la necessità di una maggior importanza nel ruolo delle donne, la mancanza di portavoce musulmani, il
terrorismo in nome di una religione, l’impatto dei cambiamenti della società, le ambizioni dei giovani, la necessità di governi che ricerchino il
sostegno popolare attraverso elezioni libere. Il futuro del nostro mondo sarà influenzato in base al modo in cui ci giudichiamo reciprocamente.
È necessario analizzare un argomento per contrastare i pregiudizi che aleggiano intorno all’islam. È credenza comune associare i musulmani al
terrorismo e alla creazione di una comunità chiusa; la repressione di tutte le donne. Molti sono contrari alla sharī’a, perché convinti che sia la
causa di condanne riprovevoli come l’amputazione e la lapidazione. L’islam spesso è assimilato agli “arabi” senza sapere che “gli arabi”
costituiscono solo il 5% del mondo musulmano.
1 . I d i v e r si v ol ti d e l l ’ i s l a m .
Non esiste un’unica organica comunità musulmana. I musulmani condividono credenze e pratiche: il Corano, la fede in un unico Dio, la
venerazione per Muhammad, la pratica dei cinque pilastri della fede. Tuttavia, è una religione che si estende in uno spazio vastissimo, quindi in
ogni luogo ha le sue espressioni, influenzato dalle pratiche e dai costumi locali. È sbagliato confondere quelle usanze come una dottrina: ad
esempio sono usanze l’uso del velo integrale, i delitti d’onore, le mutilazioni femminili e la lapidazione, ma non sono una dottrina data dal
Corano. L’idea che i musulmani siano un gruppo unitario è data anche dagli estremisti, che desiderano trasmettere queste idee per ragioni
politiche. Ci sono musulmani che hanno la visione di una fede diffusa in tutto il mondo e quindi diversificata, invece altri non andranno oltre la
propria comunità familiare. La natura linguistica ed etnica è molto varia: i musulmani della Gran Bretagna sono originari soprattutto dell’Asia
meridionale, in Francia dal Nord Africa, in Germania dalla Turchia, nei Paesi Bassi dell’Indonesia, in Svezia dalla Somalia, negli USA è
estremamente mista. In Europa l’enfasi si è spostata su un ideale di integrazione civica, quindi paesi come Grecia, Italia, Spagna cercano di
contrastare le nuove ondate di immigrazione. Nel 2001 Angela Merkel definì il fallimento del multiculturalismo, da cui nacque un’opinione
secondo cui la presenza musulmana sfida il secolare stato liberale. Infatti, molti leader europei insinuano che la tradizione cristiana in Europa
debba essere difesa contro l’influenza di questi immigrati. Allo stesso tempo molte figure laiche e antireligiose sostengono la necessità di una
netta divisione tra politica e religione. In Europa quindi si ha un ampio spettro di opinioni circa questo tema, soprattutto dopo gli attacchi
terroristici di Madrid (2004) e Londra (2005). Chi parla in nome dell’islam? Il mondo musulmano è privo di capi religiosi che possono parlare se
non a un numero limitato di fedeli: l’ayatollah iraniano parla agli sciiti duodecimani come l’Agha Khan parla agli ismailiti; il gran mufti di
Gerusalemme ha autorità solo in Palestina e lo Shaykh al-Azhar del Cairo (della più antica università musulmana) nonostante sia una figura
illustre, non rappresenta i sunniti. La tradizione sunnita segue il detto del Profeta per cui “la mia comunità non può sbagliare”, ma ora, in un
mondo di superpotenze e stati nazionali, questo concetto non può funzionare. Perché i leader musulmani non fanno sentire la propria voce

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contro il terrorismo? I media interpretano erratamente questa loro riluttanza di parlare pubblicamente contro il terrorismo. Il califfo
musulmano aveva proprio questo compito: rappresentare la comunità come può fare il papa. Però bisogna anche dire che anche le comunità
cristiane sparse per il pianeta non parlerebbero con una voce sola del papa cattolico, del patriarca ortodosso o dell’arcivescovo anglicano. La
maggior parte dei musulmani si concentra nell’India e nel sud-est asiatico. L’Indonesia, essendo uno dei paesi più popolosi al mondo il più
grande paese sul piano demografico. All’Occidente suscita gelosia l’enorme ricchezza dei pochi stati ricchi di petrolio, influendo
sull’atteggiamento con questi stati. La coltivazione del deserto, va contro il concetto di sviluppo sostenibile. Nonostante tutto molti di questi
paesi stanno portando avanti progetti per avvalersi delle energie rinnovabili.
2 . Re l i gi o n e e p o l i ti c a .
Il Medio Oriente, sta attraversando un periodo di repentini cambiamenti politici e sociali, che hanno ripercussioni sul piano religioso. Uno dei
principali cambiamenti è legato alla crescita demografica, tanto che in alcuni paesi la metà della popolazione ha meno di 25 anni. Un
censimento del 2006 in Egitto, rivela che la maggior parte della popolazione ha meno di 15 anni. Tutto questo causa un problema di costante
disoccupazione e l’essere insoddisfatti e in possesso di rapidi mezzi di comunicazione può provocare focolai di proteste, com’è già successo. Si
imputa anche a questo l’avvicinamento a gruppi estremisti.
I movimenti di protesta dal 2010 sono stati definiti Primavera araba o rivoluzioni arabe; qualunque sia il nome, sono avvenimenti di sviluppo dei
paesi in questione. È impossibile un ritorno al passato ormai, perché il rifiuto dei regimi dispotici ormai si è allargato. La primavera araba ebbe
diversi sviluppi nei vari paesi. Non è ancora chiaro il ruolo della religione, perché da molto tempo, molti paesi hanno programmi politici basati
sulla religione. È ancora da vedere se le nuove entità politiche di Egitto, Tunisia, Libia, Siria, Yemen, Iraq e altri costituiranno i loro governo sulla
legge islamica; in questo caso non sarebbe bel visto dagli stati occidentali che ricercano una separazione del potere religioso da quello politico.
Se la libertà dai regimi dispotici dovesse verificarsi, ci sarebbero libertà di parola e democrazia. In questo caso i cristiani copti d’Egitto avrebbero
maggiori diritti che non quelli di essere una minoranza religiosa.
Abdullahi An-Na’im sostiene che l’islam sia democratico, il problema secondo lui è sociologico, perché il mondo islamico è conservatore. Nei
suoi libri sostiene la convinzione che l’eresia dovrebbe essere magnificata.
3 . Te r r o r i s m o e vi o l e n za .
Gli eventi dell’11 settembre 2001 sono considerati il peggior crimine della storia USA. Gli attentatori provocarono un danno al prestigio che
l’islam era riuscito ad ottenere. Nonostante la morte di bin Lādin, gruppi terroristici come al-Qa’ida sono ancora una minaccia per molti paesi. A
causa di questo evento l’ignoranza e i pregiudizi verso il mondo musulmano aumentarono. Controlli di sicurezza e misure precauzionali hanno
invaso la vita dei cittadini di tutto il mondo e creando notevoli conseguenze nei confronti dei musulmani. L’opinione pubblica occidentale però
generalizzò: il terrorismo va attribuito ad un esiguo gruppo di estremisti, non a tutta la società islamica. Il Gran Bretagna, l’eminente
accademico Tim Winter (‘Abd al-Hakim Murad) espresse la propria distanza dalle azioni terroristiche e si chiese come gli attentatori possano
essere definiti dei veri musulmani. Secondo la sua opinione bin Lādin e al-Zawāhirī non possedevano le capacità di emettere fatwā e fare
appello al jihad. Da un sondaggio del 2007 indosso dalla Georgetown University di Washington, rileva che il 93% della comunità musulmana
condanna la violenza religiosa. Essi sono considerati una maggioranza silenziosa perché i media non si occupano di diffondere la loro voce in
Occidente perché le notizie negative sono più “interessanti”. Quindi è il 7% radicale e fondamentalista ad attirare l’attenzione del mondo,
pretendendo di parlare a nome dell’islam. Eppure, quando si chiede ai musulmani stessi cosa preferiscono di meno della società musulmana
attuale rispondono l’estremismo e il terrorismo. Coloro che sono colpiti dal terrorismo non sono gli occidentali, ma per la maggior parte stessi
musulmani. È responsabilità della comunità musulmana far sentire la sua voce al più presto. Un buon modo sarebbe se i leader dei paesi a
maggioranza musulmana (Indonesia, India, Pakistan, Bangladesh, Nigeria, …) comincino a pronunciarsi, per correggere la poca stima che
l’Occidente ha di loro.
4 . C a m b i a m e nti s o c i a l i .
Gli avvenimenti degli ultimi decenni hanno dimostrato come i nuovi mezzi di comunicazione siano influenti nel cambiare i regimi: soprattutto
nei paesi in cui il flusso dell’informazione era controllato dallo stato. Nel 1979, giravano audiocassette sui discorsi dell’āyatollāh Khomeynī, che
furono uno degli elementi chiave per la rivoluzione che rovesciò lo shāh. Nel 1989, verso la fine dell’URSS il fax fu uno strumento chiave per
contribuire alla caduta del comunismo e all’ascesa del potere di Boris El’cin. Così i social media sono stati uno strumento importante per
mobilitare l’opinione pubblica per gli avvenimenti della Primavera araba. Internet è stato il luogo di molte discussioni (tra sciiti duodecimani e
salafiti) ma potrebbe anche promuovere uno sviluppo comunitario. Il cambiamento però può avvenire soltanto dall’interno. Riguardo la donna
e il funzionamento della legge nella società ormai il cambiamento è inevitabile, anche se in ogni paese richiederà un tempo diverso. Intanto
molti di questi paesi hanno avuto capi di stato donna (citate prima), cosa a cui gli USA non sono ancora pronti. In molti paesi le donne occupano
carichi ministeriali e le università sono aperte a tutti; in Arabia Saudita invece le donne hanno ottenuto il diritto di voto e di partecipare alle
elezioni nel 2012. Nelle aree rurali il cambiamento è inevitabilmente più lento e le donne vivono in condizioni deplorevoli; tuttavia sarà sempre
più complicato escluderle dal cambiamento. Le donne si fanno sentire anche in materia di fede chiedendo di guidare la preghiera del venerdì;
anche nel cristianesimo e nell’ebraismo le donne ottennero “un ruolo religioso” solo alla fine del XXI.
Il loro sistema giuridico comprende elementi secolari e della sharī’a, il codice giuridico secolare è destinato ad aumentare. Questo codice, deve
molto ai modelli occidentali. Nei paesi in cui l’autorità della sharī’a è incisiva, i legislatori hanno numerose questioni problematiche: opinioni
sulla ricerca delle cellule staminali, sugli OGM, sui diritti d’autore e sulla fecondazione artificiale. Questi problemi non possono essere risolti
attraverso le leggi islamiche, che per molti argomenti “moderni” (bere caffè, fumare tabacco, assumere sostanze stupefacenti) non ha risposte,
perché le parole di Muhammad e ciò che è scritto nel Corano non può essere adattato a queste questioni della vita moderna. Sono state quindi
rielaborate in modo frammentario, e diversamente da un paese all’altro.
Anche se vi sono aree del mondo in cui le sanzioni possono avvenire con fustigazioni e amputazioni, costituiscono delle eccezioni, come l’idea
che la loro società sia fossilizzata su sistemi medievali. Le recenti persecuzioni religiose in Egitto e in Iraq non devono far pensare a una scarsa
tolleranza religiosa, sancita dalla legge islamica e manifestava in vari paesi nel corso dei secoli (contrariamente al cristianesimo).
5. Musulmani e non musulmani.
Che relazione tra musulmani e non musulmani? Le ex potenze coloniali (UK e Francia) hanno lasciato un clima ambiguo nelle loro ex-colonie del
Nord Africa e del Medio Oriente. I paesi occidentali hanno scatenato la guerra in Iraq e in Afghanistan, anche se sono intervenuti per fermare il

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genocidio dei musulmani nei Balcani. Gli occidentali, comunque armarono Saddām Husayn e ha aiutato al-Qa’ida e i Talebani a contrastare
l’occupazione sovietica dell’Afghanistan. Le relazioni USA-Iran sono state latenti per più di 30anni, fino alla corsa al riarmo nucleare che ha fatto
iniziare una nuova crisi. La questione più grave resta il coinvolgimento USA nel conflitto israelo-palestinese, ancora aperto dopo più di 60 anni.
Indipendentemente dai giochi di potere, i paesi sono dalla parte dei palestinesi, causando un forte risentimento USA.
L’islam oggi è una religione in rapida espansione anche tra gli occidentali; avendo l’opportunità di lavorare alla definizione di un islam
compatibile con la democrazia e l’uguaglianza di genere. È data una notevole importanza alla lingua inglese, in quanto lingua internazionale.
Oggi le fatwā sono scritte in inglese e in arabo. Internet favorisce l’uso dell’inglese per accedere a testi chiave della fede, permettendo risposte
concrete e immediate.
Come sarà l’islam in futuro? Alcuni ritengono che debba essere solo una questione spirituale, altri credono che debba governare la vita in tutti i
suoi aspetti. È solo evidente che negli ultimi decenni si è venuto a creare un mondo sempre più pluralistico e aperto in materia di fede.
P O ST FA Z I O N E
1 . I nt r o d u z i o n e
Dalla pubblicazione del libro (2015), in Europa sono stati commessi atti terribili: assassini a Parigi, Bruxelles e in altri luoghi; tantissimi rifugiati
hanno abbandonato le loro terre per spostarsi in Italia e in Grecia, sperando di iniziare una nuova vita al sicuro in Europa. Molti stati hanno
concesso asilo, altri sono stati meno disponibili. Con la grandissima presenza di migranti il volto dell’Europa cambierà e andranno fatti enormi
sforzi da ambo le parti. La loro presenza, rende ancora più viva la necessità di conoscere una cultura diversa, invece di parlare e pensare per
pregiudizi. È inoltre necessario, che gli venga permesso di integrarsi nella nostra società e non vengano ghettizzati, perché potrebbe essere una
mossa pericolosa. Nonostante l’islamofobia che aleggia in Europa, sono state moltissime le persone, anche non musulmane, che si sono
occupate di questa causa in modo aperto e positivo.
2 . L’ i s l a m i n E u r o p a .
a ) C o n s i d e ra z i o n i ge n e ra l i
Da secoli in Europa vi sono musulmani, soprattutto nei Balcani (che erano dominati dall’Impero ottomano). Nel XX sono arrivati dai territori
colonizzati dalle potenze coloniali europee. Gruppi di musulmani sono stati accolti in Europa dopo la seconda guerra mondiale per far fronte
alla mancanza di manodopera, e ci vollero varie generazioni prima che venissero integrati pienamente nella società. Dal XXI la migrazione
forzata è la tragedia del Medio Oriente: nel 2015 il 65% del 19,4 milioni di rifugiati, proviene da quella regione. I 7,6 milioni di persone (35%
della popolazione della Siria) sono sfollati. I migranti, vedono l’Europa come un luogo sicuro. I musulmani costituiscono il 10% della
popolazione europea, ponendo l’Europa davanti a problemi e dilemmi. L’aspetto che più preoccupa è la predominanza di uomini giovani: il 20%
dei migranti ha meno di 18 anni e il 90% sono maschi. Questi immigrati comunque sono costituiscono un gruppo confessionale unico, ma c’è
scarsa consapevolezza di questo.
Cosa condividono i musulmani d’Europa con i musulmani di altre parti del mondo? Come si differenziano? Fino a che punto sono integrati?
Quanto le generazioni attuali si distinguono dalle prime? La maggior parte dei musulmani sente di appartenere ad una comunità sparsa nel
mondo, che trova il suo simbolo nel hajj (pellegrinaggio), nell’uso dell’arabo e nella preghiera collettiva del venerdì. Molti condividono anche
l’amarezza della continua interferenza europea in Medio Oriente.
b ) C o n s i d e ra z i o n i s u a l c u n i p a e si s p e c i fi c i
La realtà di ogni comunità musulmana non è collettiva, ma varia da stato a stato anche in Europa, a causa delle appartenenze culturali,
mantenendo forti le loro origini. In alcuni paesi dell’Europa Orientale, il numero di musulmani è insignificante, in altri costituisce delle
minoranze molto importanti. Non è raro trovare persone emigrate dalla loro terra in età adulta, che non parlano ancora la nostra lingua,
creando una nazione all’interno della nazione, per la formazione di comunità di concittadini.
Francia. Ha la popolazione musulmana maggiore, con 5-6 milioni di residenti. La maggior parte di loro sono originari dai paesi del Maghreb, a
causa del dominio coloniale; ma vi sono anche immigrati turchi e dell’Africa subsahariana. In alcune aree metropolitane, si sono formate
comunità molto chiuse. Parigi è stata centro di attacchi terroristici (13/11/2015), in seguito ai quali molti luoghi religiosi musulmani sono stati
profanati. Il presidente della Repubblica però affermò la necessità di intolleranza vero atti contro i musulmani.
Belgio. Il 22 marzo 2016 ci fu il massacro di Bruxelles, in seguito al quale il ministro degli esteri, ha sottolineato la decisione del suo paese di
rifiutare il piano UE per l’accoglienza di migranti. Tuttavia, la comunità turca presente nella città è emigrata negli anni 60 in cerca di lavoro, e
non solo loro gli autori di queste stragi. Nonostante questo, la comunità turca è tenuta sotto stretta sorveglianza dal governo turco. I marocchini
presenti, al contrario dei turchi, spesso conoscono molto bene il francese e il fiammingo, quindi riescono ad integrarsi con meno problemi.
Quindi si ha il paradosso di una comunità innocua turca, non integrata perché non parlano la lingua e una comunità marocchina perfettamente
integrata, i cui giovani sono attirati da attività estremiste e terroristiche.
Italia. Da tempo è la patria di musulmani nordafricani e albanesi. Dagli anni 90 la prima moschea è stata inaugurata a Roma (anche se con
controversie) e con il tempo altri centri culturali e moschee sono state aperte. Nelle scuole italiane i musulmani possono prendere parte alle
lezioni di religione cattolica o frequentare le attività alternative. Nonostante negli ultimi anni l’Italia abbia ospitato molti migranti, il pubblico
sembra ignorare che sul suolo italiano ce ne erano già molti e contribuiscono a mandare avanti l’economia del paese.
Germania. Il gruppo maggiore è quello turco e dimostra gli scambi pacifici avvenuti nel XIX; il secondo gruppo numeroso proviene dal Kosovo e
dalla Bosnia. L’apertura delle frontiere è stata accolta positivamente dalla Merkel, ma ben presto si trasformò in ostilità da parte del popolo. Il
primo ministro ungherese ha eretto del filo spinato contro i rifugiati ai confini del suo paese.
Regno Unito. È la seconda religione diffusa dopo il cristianesimo e presenta una grossa componente sotto i 25 anni. Il 70% dei musulmani
britannici sono del Pakistan, Bangladesh e India. A parte il dominio britannico alle regioni in questione, anno dopo anno divennero parte
integrante della società. Alcune città minori presentano una popolazione a maggioranza musulmana.
Grecia. Le isole, sono state la destinazione per l’UE per migliaia di immigrati, arrivando a ospitare mezzo milione di rifugiati (Lesbo).

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Scandinavia. Al contrario della Danimarca che prese rigide posizioni politiche sin dal 1990, la Scandinavia ha accolto un gran numero di giovani,
specialmente maschi.
Europa orientale. Dai primi secoli, le comunità musulmane presenti hanno tenuto un basso profilo durante l’epoca comunista, rinascendo dopo
la caduta. Negli ultimi decenni c’è stato uno sviluppo di un islam revivalista e numerose conversioni. Tuttavia, durante le recenti crisi migratorie,
si sono dimostrati poco disposti ad accogliere i migranti.
3 . L’ i d e nti t à i s l a m i c a .
Si è parlato di “crisi d’identità dell’Europa” da quando ci è stato questo enorme flusso di migranti.
Fino a che punto l’uso del velo dovrebbe essere consentito? Dovrebbe essere permesso o vietato? Le scuole islamiche meritano di essere
autorizzate? Come può l’idea di libertà europea, conciliarsi con la raffigurazione di Muhammad come terrorista nelle “vignette danesi”?
Tariq Ramadan, svizzero, è un docente di Oxford e ha scritto libri e articoli di giornale di grande interesse sull’islam. Egli evidenzia che tutti
siamo diversi, e che a prescindere dalla nazionalità, uno può professare la religione che vuole. Inoltre, sostiene che è responsabilità di
musulmani e non lottare per una convivenza pacifica. Sostiene che i musulmani stessi non dovrebbero parlare di sé stessi con parole come
integrazione e che i politici non dovrebbero riferirsi a loro (dopo quattro generazioni sempre sullo stesso territorio) ancora come immigrati.
Sono già stati fatti molti progressi con la creazione di moschee sunnite e sciite duodecimane, luoghi di preghiera ismailiti, scuole musulmane e
madrasa, canali televisivi, ristoranti e negozi della loro cultura. Dal punto di vista politico, ci sono membri del parlamento di fede musulmana e
a Londra è stato anche eletto il primo sindaco musulmano. Merkel (Germania), Cameron (UK) e Sarkozy (Francia) hanno espresso l’idea che il
“multiculturalismo” è fallito, dichiarando il loro legame ai valori cristiani e che chi non li accetta non troverà posto in Europa. Sostenne che
dovessero adottare la lingua del paese e che alcune pratiche matrimoniali dovessero essere abbandonate. Recentemente affermarono
nuovamente queste parole, sostenendo che era necessario aumentare l’identità nazionale. Sarkozy ha attribuito il fallimento del
multiculturalismo agli stessi musulmani.
Negli anni in Europa c’è stato un numero sempre maggiore di conversioni all’islam, favorendo un’identità musulmana europea. I convertiti,
dicono che l’islam, fornisca un fondamento spirituale. I convertiti sono persone deluse dalla fede precedente o laiche o cercano l’avvicinamento
al sufismo. Le conversioni, come invece molti pensano, non sono dettate dalla volontà di sposare il coniuge musulmano.
4 . L’ i s l a m o fo b i a n e l l a s o c i età o c c i d e nta l e .
Islamofobia, denota paura e odio nei confronti dell’islam e di chi lo pratica. È alimentata dall’idiosincrasia nei confronti delle differenze rispetto
la nostra cultura e su pratiche che non sono proprie dell’islam, ma che appartengono alla popolazione dall’epoca pre-islamica. Tuttavia, alcune
pratiche, non trovano consenso nemmeno nella maggior parte dei musulmani. L’incessante processo di globalizzazione, porta insicurezza per il
futuro: le persone degli stati più poveri, pensano che gli stranieri stiano strappando il controllo della loro vita, fino a pensare che gli europei
autoctoni sia esclusi dal lavoro e da benefici sociali. Dal momento in cui le risorse per avere un buon tenore di vita in un paese del primo
mondo sono diminuite, l’immigrazione è colpevolizzata e vista con ostilità. Questo atteggiamento potrebbe portare alla richiesta di chiusura
delle frontiere e maggior vigilanza sulle loro comunità. Attualmente, questa minaccia è molto più sentita, per il timore di dover affrontare
attacchi terroristici. Le comunità musulmane del mondo hanno protestato contro l’appropriazione di fede da parte degli estremisti, ma i media
occidentali non gliene hanno dato conto. La corrispondenza occidentale musulmano=terrorista ha messo però sulla difensiva i musulmani
moderati. Una dichiarazione di Trump (che intende negare a tutti i musulmani l’ingresso nel paese) conferma e consolida tali punti di vista. Gran
parte del problema di islamofobia è iniziato con l’11 settembre e si è inasprito con i crimini dello Stato islamico. Lo Stato islamico, rappresenta
solo uno dei movimenti che puntano al ritorno di un islam puro e incontaminato. La storia dell’islam purtroppo è disseminata di questi gruppi,
che dichiarano di permettere solo la loro rigida interpretazione della sharī’a. lo Stato islamico ha conquistato un territorio pari alla Gran
Bretagna, però il suo raggio d’azione è mondiale grazie all’uso dei media e di internet. Essi sostengono di condurre un jihād contri sciiti, yazidi,
cristiani orientali, le popolazioni di Europa e America. Molti musulmani residenti in varie parti del mondo si sono spostati in Medio Oriente per
unirsi alle lotte dello Stato islamico contro i territori degli infedeli; la maggior parte proviene da Albania, Macedonia e Bosnia Erzegovina. Lo
Stato islamico pubblica i propri messaggi sul giornale online “Dābiq Magazine”. Lo Stato islamico prospera grazie alla “pubblicità” dei media
occidentali. I combattenti trattano le donne in modo barbarico, torturandole e schiavizzandole.
Il leader dello Stato islamico è Abū Bakr al-Baghdādī (che rivendica la discendenza dalla tribù del Profeta) ha annunciato il nuovo califfato il
4/07/2014. I suoi seguaci hanno bandiere nere, proprio come gli Abbasidi di Baghdad nel VIII. La capitale del califfato è Raqqa in Siria, e come
Bin Ladīn prima di lui, utilizza termini provenienti dalle crociate contro USA e gli alleati. Gli studiosi sunniti, concordano sul fatto che la
proclamazione di un califfato escluda gli sciiti. Un califfato è difficile da intendere in senso politico dopo che i paesi colonizzati a lungo, nel XX
secolo ottennero l’indipendenza. Nonostante tutto ciò, egli sostiene che il suo califfato universale risuscitato segue il modello dei quattro califfi
ben guidati (Rāshidūn), che assunsero la guida della prima comunità islamica (umma). Il primo califfato, governato dai più stretti collaboratori di
Muhammad ha acquistato la fama di “età dell’oro” dell’unità musulmana. Attualmente lo Stato islamico governa su Siria, parte dell’Iraq e si sta
espandendo verso la Libia. Egli mira a creare uno stato senza confini governato dalla sharī’a. Sono stati fatti grandi sforzi dallo Stato islamico per
attirare dalla loro parte medici e ingegneri, per colmare i vuoti di funzioni specifiche. I responsabili delle questioni militari sono entrati in
possesso di istallazioni petrolifere, armamenti e risorse finanziarie, dimostrando di essere più temibile di al-Qā’ida. I terroristi dello Stato
islamico hanno giustificazioni coraniche per le loro azioni? No, il jihād minore può comportare il combattimento, ma mai contro innocenti.
Purtroppo, i terroristi stanno infangando una fede. Però le affermazioni di uomini musulmani che condannano i terroristi (al-Shehabi “ Coloro che
sono colpevoli di uccisioni, distruzione dell’eredità religiosa e umana, o che partecipano a traffici d’armi e stermini, non possono essere considerati musulmani
nonostante pretendano di agire in nome dell’islam.”) sono oscurate dai media che preferiscono diffondere ulteriormente le atrocità dello Stato
islamico.
5 . O s s e r v az i o n i co n c l u s i v e.
L’islam al momento è la più temuta delle religioni e i non musulmani sono totalmente analfabeti sulla loro conoscenza, che è costituita solo di
pregiudizi. Oggi le azioni dello Stato islamico sono sempre più poste in risalto dai media. Visto che la maggior parte dei musulmani non è
d’accordo, bisognerebbe mostrare maggior sensibilità per la questione, senza generalizzare. Gli europei devono accettare che tutto questo è
anche colpa delle politiche coloniali attuate il secolo scorso, in quanto le ex-colonie vedono sé stesse come vittime dei governi occidentali.
Inoltre, l’Occidente si è inserito nel conflitto israelo-palestinese e ha invaso l’Iraq, generando una rabbia diffusa. È comunque chiaro che i
cittadini musulmani d’Europa devono dimostrare il loro sforzo per diventare cittadini leali del paese in cui vivono. È importante la conclusione

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di un articolo sui musulmani in UK scritto dall’ex presidente della Equality and Human Rights Commission, Trevor Phillips, potrebbe essere utile
a tutti i governi europei in futuro:
Se desideriamo realmente creare una società, in cui i musulmani e in non musulmani condividano gli oneri e i benefici della nostra democrazia,
abbiamo molto lavoro da fare. E quel lavoro deve iniziare ascoltando, e comprendendo, ciò che i musulmani britannici realmente pensano,
valutando come sostenerli dove possibile, e decidendo come affrontare il loro punto di vista quando questo si scontra con i nostri valori fondamentali.

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