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Riassunto - libro "Generazione Kalashnikov. Un antropologo


dentro la guerra in Congo" - L. Jourdan

Antropologia culturale (Università degli Studi di Milano-Bicocca)

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GENEERAZIONE KALASHNIKOV

INTRODUZIONE
E’ solo negli ultimi decenni che le aree di conflitto (cioè quelle interessate da guerra) sono
diventate luoghi di ricerca etnografica.
Tra le varie zone del mondo, l’Africa è particolarmente colpita dalla catastrofe della guerra.
Per le generazioni più giovani di paesi come Somalia, Sudan, Angola o Congo la guerra è l’unica
realtà conosciuta sin dalla nascita, una realtà assolutamente normale.
In questi paesi il conflitto si impone come strumento privilegiato di regolazione della sfera politica
ed economica: di fronte, spesso, a un indebolimento dello stato, gruppi ristretti combattono allo
scopo di perseguire i propri interessi e privilegi (che quasi sempre coinvolgono il traffico delle
risorse naturali, di cui paesi africani come il Congo sono ricchissimi).

Questa trattazione sarà particolarmente dedicata al Congo: si mostrerà come la guerra in Congo sia
l’esito di una crisi multidimensionale (sociale, politica, economica) riconducibile a quei processi
storici che hanno portato nella marginalità un’ampia parte della società, in particolare i giovani. Ma
anche come sia l’esito di un drastico impoverimento della popolazione congolese, non solo
materiale ma culturale, e della violenza coloniale e post-coloniale.
Oggi in Congo la violenza è diventata, più che un problema, un’opportunità specialmente per i
giovani. L’arruolamento è divenuto per molti un mezzo di affermazione nella lotta per il proprio
riconoscimento.

Esiste una vera e propria “questione giovani” in Africa, di cui gli antropologi hanno iniziato a
occuparsi da qualche anno a questa parte. In Africa 3\4 della popolazione ha meno di 30 anni, e il
tasso di crescita demografica è tra i più alti del pianeta.
I giovani africani oggi sono al centro di una crisi dei meccanismi d’integrazione che gli dovrebbero
permettere di inserirsi nella società. Una volta i rituali di iniziazione avevano la funzione proprio di
far maturare nei giovani una coscienza critica nei confronti della propria società e della propria
cultura, ma oggi questi meccanismi rituali si sono inceppati o sono stati spazzati via! I ragazzini che
fanno parte delle milizie sono “iniziati” alla loro vita di soldati senza che ci sia una riflessione
critica, ma solo attraverso una manipolazione e un inganno da parte dei leader militari.
Oggi per i giovani africani è proprio il caso di parlare di “generazione perduta”: essi non trovano
lavoro neanche se hanno studiato, non sono in grado di formarsi una famiglia propria e sono
socialmente marginalizzati, nonché frustrati (soprattutto i maschi: per le donne il matrimonio
precoce e la vita domestica costituiscono ancora un’alternativa al prolungamento indefinito della
condizione giovanile).
In più, essi si sentono esclusi dall’opulenza del mondo occidentale e sentono il peso fortissimo di
un benessere desiderato e atteso ma mai raggiunto. Tutto questo rende i giovani un elemento di
“opposizione naturale” nella società e quindi una minaccia, e li trasforma in vittime e al contempo
attori di questa situazione difficile.
Una delle modalità attraverso cui i giovani esternano la loro rabbia è il corpo: essi esasperano la
violenza e la sensualità, cosicché il corpo diviene mezzo e bersaglio nello stesso tempo.

Nelle zone di guerre si assiste anche al fenomeno dell’emergere di soggettività nuove grazie a una
mediazione tra culture globali (per es i film di guerra hollywoodiani ) e culture locali ( per es le
protezioni magiche tradizionali che i soldati portano appesi al collo e ai polsi).

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Così facendo i giovani africani si appropriano di immagini e pratiche corporee globalizzate, fatte di
vestiti e atteggiamenti, e danno vita a nuove estetiche culturali e a nuove forme di disobbedienza
in rottura radicale con la realtà.
Oggi la guerra nell’Africa contemporanea dovrebbe essere ormai concepita come un’esperienza
culturale generale che dà forma a delle identità, come fanno la scuola o la famiglia.

Il problema dei bambini soldato è diventato sistematico in molte aree dell’Africa. Pur non essendo
una novità a livello storico, l’impiego di bambini per fare la guerra non aveva mai assunto
proporzioni paragonabili a quelle di oggi. Essi sono poco o per nulla addestrati, armati perlopiù di
kalashnikov, e praticano la violenza: saccheggiano, stuprano e ammazzano il più delle volte civili
inermi. Spesso sono arruolati tramite processi d’iniziazione alla violenza macabri e spietati:
vengono costretti a torturare o uccidere membri della propria comunità o addirittura della propria
famiglia. Questa rottura violenta dei legami familiari e comunitari li trasforma in vere macchine da
guerra e li priva del legame con il loro passato.
Spesso la milizia rappresenta per i bambini un luogo più sicuro della propria famiglia, dove almeno
riescono a sfamarsi quotidianamente: ecco perché spesso i bambini si arruolano volontariamente.
Inoltre l’esperienza della guerra dà loro un senso di appartenenza a un gruppo, ed esercita su di
loro fascino e attrazione perché imbracciare un fucile vuol dire anche avere una posizione di
potenza rispetto ai civili inermi.

Nel mondo occidentale i bambini soldato suscitano scandalo e sono rappresentati in qualità di
vittime: ciò dipende dal modo in cui la cultura occidentale ha elaborato il concetto di infanzia nel
corso della storia, che oggi è strettamente legato a quello di diritti.
Non ci può essere infanzia senza diritti: il bambino, per noi occidentali, è nettamente distinto
dall’adulto ed è un soggetto da proteggere e tutelare, a cui sono riservate determinate attività
(studio e gioco) mentre altre gli sono proibite (lavoro e guerra). Tutto questo vale dagli 0 fino ai 18
anni.

In Africa la distinzione tra infanzia e mondo adulto non ricalca quella occidentale: spesso è normale
vedere il bambino come un soggetto che lavora per arrotondare il magro bilancio familiare, ad
esempio. Negli ultimi anni poi la condizione dell’infanzia è peggiorata: è sempre più diffuso il
fenomeno degli shege, i bambini di strada, e spesso i bambini vengono anche usati come capri
espiatori delle disgrazie che accadono nelle famiglie e vengono di conseguenza abbandonati a loro
stessi.
Comunque il concetto di infanzia in Africa è ambiguo: da un lato i bambini sono i primi subire le
conseguenze di una crisi multidimensionale che li costringe a vivere ai margini o li trasforma in
soggetti pericolosi, dall’altro essi sono diventati attori di primo piano e riescono a ritagliarsi uno
spazio sociale a partire dalla loro condizione di marginalità!
In Congo è accaduto proprio questo: la crisi ha rimodellato l’esperienza dell’infanzia e bambini
soldato e bambini stregoni sono divenute figure ordinarie del panorama sociale.

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CAPITOLO 1
Dal 1884-85 il Congo divenne colonia privata del re del Belgio, Leopoldo, che adottò nei suoi
confronti uno sfruttamento indiscriminato. Nel 1908 il paese divenne a tutti gli effetti colonia
belga.
Nel 1960 il Congo divenne indipendente: una nuova era priva di sfruttamento sembrava aprirsi,
ma non fu così. Orrori e massacri continuarono, il giovane nuovo leader marxista Lumumba veniva
guardato con sospetto dal mondo occidentale. E infatti il nuovo governo venne subito destituito e
Lumumba ucciso.
Nel 1965 il generale Mobutu prese il potere con un colpo di stato, per mettere fine al caos.
Il suo potere si basava su culto della personalità e su un ritorno all’autenticità africana. Mobutu
piaceva a Usa e Occidente perché lo vedevano come l’unica forza in grado di arrestare l’espansione
del comunismo in Africa centrale.
Con il crollo dell’URSS e il genocidio in Rwanda nel 1994, il potere di Mobutu finì e salì al potere
Kabila, a capo di un’organizzazione ribelle chiamata Afdl.
Kabila si autoproclamò presidente della Repubblica Democratica del Congo, ma la situazione non
rimase tranquilla a lungo: nel 1998 un nuovo movimento ribelle, sostenuto da Rwanda e Uganda,
fece la sua comparsa in Congo e un nuovo conflitto si aprì.
Nel 2001 Kabila venne ucciso e gli successe il figlio, che cambiò politica rispetto al padre e accettò
di liberalizzare i mercati e di concedere libertà di movimento alle truppe Onu. Iniziarono i negoziati
per arrivare a definire i termini della pace, ma i combattimenti andarono avanti, soprattutto nelle
zone del Nord Kivu e dell’Ituri.
Nel 2006 si tennero delle elezioni democratiche e venne confermato il figlio di Kabila al potere, ma
ancora oggi il governo centrale non è in grado di esercitare la propria sovranità sull’intero
territorio congolese, e nell’est gli scontri continuano.

Tra le ragioni principali del conflitto in Congo ci sono la predazione e il contrabbando di risorse
naturali (coltan, diamanti, oro). I generali ribelli hanno come obiettivo quello di perpetrare
all’infinito il conflitto per poter andare avanti a controllare i traffici di materie prime e quindi per
andare avanti nella logica della razzia e dell’economia di saccheggio. La globalizzazione e l’ideologia
neoliberale hanno facilitato il compito di questi signori della guerra e hanno decretato il successo
di questa forma di organizzazione dell’economia, che i congolesi però stanno pagando a caro
prezzo.

Oggi l’epicentro della crisi congolese è il Kivu, una zona dalla realtà assai complessa dove
l’esplosione di conflitti di diversa natura sembra non conoscere sosta. Ci sono due livelli di conflitto:
un livello locale e un livello di scala transnazionale, legati tra di loro.
Il livello transnazionale riguarda gli eventi politici-economici sopra descritti.
Quello locale invece riguarda problematiche come la competizione per la terra: nel Kivu una
situazione di caos legislativo ha portato le elite e le borghesie urbane a prendere possesso di vasti
appezzamenti, mentre la popolazione rurale è rimasta esclusa dal possedere terre (e in alcuni casi
è stata proprio spogliata dalle terre tramite espropriazioni). Questo fa sì che la popolazione oggi si
dilani in conflitti fratricidi per pezzi di terra sempre più piccoli.
Nel Kivu c’è poi il problema della presenza di diversi gruppi etnici, alcuni autoctoni e altri invece di
cultura rwandese: i Banyarwanda e i Banyamulenge (emigrati dal Rwanda in differenti periodi).
Ovviamenti tra i gruppi ci sono molte differenze, per esempio sul modo di concepire il suolo e la
terra, e negli anni Novanta le tensioni sono degenerate nello scontro aperto, intrecciandosi poi con
la guerra transazionale (specie dopo l’ondata di profughi che si riversò in Congo dal Rwanda nel
1994).
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Cap 2. Giovani combattenti e bambini soldato nell’est del Congo

La propensione dei giovani ad arruolarsi è una caratteristica rilevante delle regioni orientali del
Congo.
Le diverse trasformazioni che ha subito il regime terriero, dalla colonizzazione allo stato post-
coloniale, hanno determinato un aumento senza precedenti della disuguaglianza, stravolgendo la
struttura sociale della regione.
A partire dagli anni ’80 questi cambiamenti hanno prodotto degli effetti intergenerazionali e hanno
portato alla nascita di una nuova classe sociale marginale, costituita da giovani senza terra.
Il mercato del lavoro congolese, pressoché privo d’industrie, non era in grado di assorbire l’eccesso
di manodopera. Questi giovani iniziarono così a cercare un’occupazione, lasciando così i loro
villaggi.
Ma con l’esplosione della violenza, all’inizio degli anni ’90, un’ampia fascia della popolazione
giovanile del Kivu si trovava disoccupata.
Si era così costituito uno sterminato bacino di arruolamento per le milizie che iniziavano a
costituirsi su base etnica, unico modo di uscire da una condizione di marginalità.
Come tutte le persone, anche i giovani congolesi hanno il bisogno di sentirsi riconosciuti a vicenda
ed è su questa relazione di reciprocità che si fondano l’autocoscienza e l’esistenza sociale, ma in
questa loro lotta non potevano che ricorrere alla violenza, questo però non era l’unico motivo, in
primo luogo la ricerca di benefici materiali.

Nel conflitto in Congo rappresenta una pratica costante e “normale” il fenomeno del pillage
(saccheggio). Ai militari viene in genere concesso di saccheggiare per tre giorni i villaggi appena
conquistati; il più delle volte sono gli stessi comandanti a guidare i giovani combattenti, a cui fa
seguito una spartizione gerarchica del bottino in base al grado e all’età. È la scarsità e la miseria che
portano i combattenti a saccheggiare e quindi rubare beni materiali di cui si conosce l’esistenza
attraverso i media, ma che sono accessibili solamente a una ristretta cerchia di eletti (i politici e gli
uomini d’affari); il saccheggio, secondo questa logica, non è solo un fenomeno legato alla guerra.
Perché diventare soldati? In Congo la pratica di rapire i bambini per poi arruolarli è meno diffusa
rispetto ad altre zone di guerra. Da alcune testimonianze emerge che arruolarsi significa
innanzitutto sopravvivere (nei casi di bambini orfani), per altri l’arruolarsi è visto come un
esperienza positiva, una fase di ribellione alla figure genitoriali vissuto con uno spirito di avventura
e scoperta (per molti la famiglia non rappresenta più un luogo sicuro); per tanto la milizia diventa
un’alternativa alla sofferenza e alla privazione quotidiana e viene spesso vissuta dai più giovani
come un luogo di libertà e trasgressione dove è possibile, per esempio, fumare tranquillamente
marijuana e rubare.
L’arruolamento permette di sottrarsi a una condizione di esclusione e di pericolosa passività, e di
realizzare al contempo un modello di persona forte: quello del combattente. Il combattente, infatti,
è in grado d’imporre le proprie regole alla popolazione civile. Nel caso dei bambini soldati si assiste
ad un’inversione dei ruoli: è il mondo dell’infanzia che riesce a prevalere su quello degli adulti
stravolgendo gli abituali rapporti di potere fra le generazioni. I genitori e gli anziani perdono ogni
funzione protettiva e di guida e il loro ruolo viene umiliato. I bambini soldato emergono così come
attori sociali nuovi e si collocano in uno spazio sociale interstiziale, fra il mondo degli adulti e quello
dell’infanzia, sovvertendo la basilare gerarchia delle classi di età.
È difficile considerare i combattenti congolesi come attori passivi, sopraffatti da una realtà su cui
non hanno possibilità di intervenire. Questa visione, però, è molto diffusa soprattutto quando si
parla di bambini soldato. Il bambino soldato è una vittima ed è rappresentato come un essere
indifeso, per natura innocente e privo di razionalità, a cui è stato negato il diritto di vivere la
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propria infanzia, considerata come uno stadio della vita che dovrebbe essere caratterizzato da gioia
e spensieratezza. Il bambino non viene ritenuto responsabile dei suoi atti poiché non avrebbe
alcuna capacità di azione autonoma: al contrario egli è sempre considerato vittima della
manipolazione degli adulti. In questa prospettiva il bambino soldato rappresenta uno scandalo:
non si tratta semplicemente di un caso d’infanzia negata e rubata, ma addirittura sarebbe il
risultato di un ribaltamento in cui la gioia e spensieratezza, che dovrebbero caratterizzare
l’infanzia, vengono cancellati e sostituiti dagli orrori della guerra.
L’arma più diffusa al mondo e anche quella più usata dai bambini soldato, è il fucile mitragliatore
AK-47, progettato dall’ingegnere russo Kalashnikov nel 1947. Si tratta di un’arma semplice da
usare, funziona in ogni condizione e non richiede una particolare manutenzione; in Congo è usata
da tutte le formazioni armate ed è reperibile ovunque a un prezzo che varia dai cinquanta ai cento
dollari.
Secondo Alcinda Honwana, un’antropologa che ha lavorato in Mozambico e Angola, i bambini
soldato si collocano in uno spazio interstiziale fra mondo dell’infanzia e mondo degli adulti; in
questo, però, essi detengono una capacità d’azione tattica. Per quanto limitata, i bambini soldato
detengono comunque una capacità d’azione propria e questo fa di loro degli attori sociali, per
quanto deboli, e non delle semplici vittime.
Il combattente si impone come modello forte e attraente nell’immaginario giovanile. Egli si impone
come consumatore, una posizione di assoluto privilegio. Il combattente è anche una super star,
una figura carica di modernità che si manifesta attraverso le metafore del suo corpo e i
comportamenti volti all’ostentazione: indossa le divise più fantasiose, gli occhiali da sole e i
copricapo che vano dalla bandana al cappello da cowboy, e assume pose che rimandano ai film
d’azione. In queste pratiche del corpo è evidente l’influenza della cinematografia hollywoodiana.
Molti giovani militari frequentano assiduamente le sale cinematografiche per poi rimettere in
scena, con i loro corpi, i gesti e le pose visti sullo schermo. Attraverso la violenza e l’adozione di
modelli estetici, i giovani e i bambini si affermano come attori politici; vengono così prodotte nuove
figure di disubbidienza e nuove forme di socialità. A questo proposito, sembra pertinente proporre
un accostamento fra il combattente e la figura del sapeur, studiata da Gondola. Il sapeur è colui
che aderisce alla Sape,un movimento che ha toccato il culmine della sua popolarità nella seconda
metà degli anni ottanta. Il termine indica i giovani congolesi che fondano la propria identità sulla
moda; i sapeurs vestono gli abiti delle migliori griffes internazionali pur appartenendo alle classi
più povere e adottano questo stile di vita per affermare se stessi attraverso l’esasperazione della
propria differenza. Gondola considera la Sape come un movimento carico di significati politici, una
forma di protesta contro l’autorità dello stato africano, ovvero contro tutte quelle forme di potere
che nei loro discorsi e nelle loro pratiche hanno relegato gli africani al ruolo di primitivi e barbari. Il
vestito alla moda e l’ostentazione delle griffes più costose sono quindi gli strumenti di una
ribellione simbolica che ambisce a invertire questa condizione. Anche il combattente, come il
sapeur, mima, addomestica ed esaspera modelli estetici e pratiche consumistiche, ponendosi in
forte rottura con la società poiché assume comportamenti volti alla trasgressione e alla
disobbedienza. Il soldato riproduce la figura di un eroe moderno; attraverso la violenza è in grado
di accedere alla modernità e ai suoi simboli: si impossessa, per esempio, di soldi, cellulari, occhiali
modello Ray- ban e viaggia gratis.
In un contesto di sfascio e distruzione come quello congolese, la guerra ambisce a costruire e
imporre nuove certezze, ma finisce col riprodurre una realtà ancora più incomprensibile e incerta,
dove la violenza raggiunge livelli estremi (i soldati si ritrovano a compiere atti orrendi). In queste
circostanze così critiche spesso vengono messi in atto una serie di rituali che ricalcano la
simbologia e le pratiche dei riti di iniziazione. Un esempio è il fenomeno dei travestimenti: alcuni
soldati avevano combattuto trasvestiti da donna, avevano tinto le labbra con il rossetto,
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indossavano parrucche e portavano dei panni cinti alla vita. I travestimenti si prestano a più di una
interpretazione. In guerra, essi possono avere una funzione tattica, ovvero servono a creare un
profondo senso di disorientamento per atterrire il nemico e coglierlo di sorpresa; allo stesso tempo
possono servire ai combattenti per controllare la paura ed esorcizzare il rischio.
Oltre ai travestimenti, i gruppi armati del Congo praticano e partecipano a culti di possessione. I
rituali di possessione sono denominati godza, un termine che indica sia lo spirito sia il luogo dove
esso risiede (capanna, piccolo villaggio).
Il medium ha poteri divinatori e i combattenti sono soliti partecipare al godza prima di un attacco.
Durante la cerimonia, per mezzo del docteur (il medium), possono comunicare con lo spirito di un
antenato, il quale predirrà loro le possibilità di sopravvivenza.
Nel responso viene utilizzato il termine chance legato a una percentuale: per esempio chance 40%
significa che il combattente avrà il 40% di possibilità di sopravvivere alla battaglia. Il responso è
spesso interpretato secondo l’idioma della stregoneria; la cattiva sorte viene imputata all’azione di
una strega che si muove nel “secondo mondo”, ovvero nel mondo invisibile degli spiriti, con
l’obiettivo di procurare la morte del combattente. I godza e i docteurs non si limitano all’attività
divinatoria, ma possono stabilire le strategie di guerra e impartire ordine ai combattenti. Lo spirito
godza ha dunque il potere di decidere le operazioni sul terreno e rappresenta una sorta di guida
per combattenti.
L’eccesso di violenza e di terrore riscontrabili nella guerra in Congo, caratterizzano anche le guerre
contemporanee. In tutti i casi, gli atti di violenza si presentano come privi di misura e insensati per
questo ci appaiono incomprensibile. Le cosiddette guerre post-moderne sono combattute con armi
leggere e poco sofisticate. In conflitti del genere il terrore svolge un funzione tattica, esso supplisce
alla carenza sia quantitativa sia tecnologica degli armamenti e, data la sua efficacia, il suo utilizzo è
divenuto sistematico. Uno degli effetti più dirompenti del terrore è al produzione di quotidiano
incomprensibile, dove ogni norma sociale viene stravolta. Negli atti terrifici (uccisioni, amputazioni,
atti di cannibalismo) la violenza non è mai casuale, ma viene esercitata su specifiche parti del corpo
e secondo modelli ben precisi. Le forme più eclatanti di questa violenza esplodono spesso fra
persone in stretta relazione sociale: vicini, gruppi di parenti, sono atti di atrocità spettacolare e chi
assiste a un orrore del genere difficilmente è in grado di attribuire un significato all’accaduto. Chi
ne è vittima, anche solo come testimone, viene disumanizzato, poiché non potrà avere più alcuna
certezza su che cosa è un uomo.

Cap. 3
Il rituale “maiy maiy”, significa “acqua acqua” ed è il rituale attraverso cui i giovani combattenti del
Congo si bagnano con un’acqua preparata secondo il metodo segreto che avrebbe il potere di
renderli invulnerabili ai proiettili; questa pratica magica è una ritualità di guerra che connette
l’attuale movimento maiy maiy con i movimenti di resistenza al colonialismo e allo stato post
coloniale nell’Africa orientale.
I maiy maiy non sono guerrieri primitivi bensì sono un prodotto della crisi della modernità che
affonda le sue radici nella storia del Congo, questo movimento esiste dalla prima metà degli anni
’90 e da subito utilizzò la ritualità dell’acqua magica come simbolo.
Questo rituale serviva soprattutto a mobilitare i giovani e a far sì che combattessero con tenacia e
intimorissero i nemici.
Negli anni ’90 la regione del Kivu piombò per l’ennesima volta in una guerra atroce e il rituale
dell’acqua venne ripreso per la necessità di reclutare giovani combattenti che si mostrassero
incuranti della morte di fronte al nemico.
La credenza che l’acqua rende invulnerabili i guerrieri è fortemente radicata nel Congo di oggi e val
di là dei contesti storico politici.
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L’acqua viene preparata dai docteurs denominati con il termine nganga, essi sono degli specialisti
scegli e preparati a questo compito, nella maggior parte sono dei bambini di sesso maschili che
sono iniziati da un altro docteurs anziano, l’acqua è prelevata nei ruscelli, trasportata in taniche,
custodita in una capanna al centro dell’accampamento a cui accedono solo loro, qui viene
preparata la maiy, mischiando l’acqua a erbe e sostanze organiche, i composti ottenuti
acquisirebbero il potere di proteggere dalle pallottole.
Il docteur bagna con la maiy i nuovi combattenti ai quali viene rivelato di essere diventati
invulnerabili, dopo di che ricevono un arma, il che sancisce la loro trasformazione in guerriglieri, di
solito l’arma è o un fucile o un coltello o un machete.
Una volta che divengono maiy maiy i combattenti sono bagnati regolarmente e anche tatuati.
Infine la maiy viene data ai combattenti durante il combattimento, il docteur segue i guerrieri a
distanza di qualche passo e gli spruzza in continuazione, affinché la protezione dell’acqua sia
efficace il maiy maiy deve rispettare una serie di regole: niente rapporti sessuali, divieto di rubare,
divieto di essere toccati, no sapone quando si lavano, etc… queste regole separano i combattenti
dal mondo delle persone comuni.
Il combattente diventa sacro, il suo corpo non deve essere profanato se no perde il suo potere.
In genere è stabilita una connessione tra norma violata e tipo di ferita subita, si tratta di una
relazione biunivoca di causa - effetto o causa e azione.
Negli ultimi anni però i giovani combattenti non trovando più una ragione per la loro lotta si sono
lasciati andare alla violenza e alla prevaricazione: saccheggi, rapimenti di donne e stupri.
Nella maggioranza delle società sono presenti dei dispositivi antropopoietici predisposti a
fabbricare soldati, essi portano a un cambiamento radicale degli individui, per forgiare uomini
pronti a uccidere, è necessaria un’antropopoiesi radicale e traumatica che ricorre alla
disumanizzazione: gli individui vengono ridotti a tabula rasa per poi essere completamente
ricostruiti, la vita militare è un vero e proprio periodo di confine in cui i giovani sono sottoposti
quotidianamente a riti che gli permettano di incorporare i valori del mondo militare.
I riti maiy maiy mirano a trasformare i giovani e bambini in combattenti sulla base di un modello
presente nella cultura locale, il punto chiave del rito è l’idea dell’acqua che rende invulnerabili.
Essi sono visti dalla popolazione come guerrieri tradizionali e quindi godono del consenso
popolare, quindi anche qui ci sono i tre momenti di tutti i riti di passaggio cioè: separazione,
margine e riaggregazione.
L’obiettivo è realizzare un modello di uomo forte, una persona superiore in virtù della maiy, ecco
perché i bambini del Kivu sono estremamente attratti dalla possibilità di diventare guerrieri maiy,
che per loro è la possibilità di ribaltare la propria invisibilità sociale per assumere un ruolo di
prestigio.
Quindi i giovani finiscono con l’essere vittime della manipolazione degli adulti perché nella realtà
essi diventano carne da macello, combattono allo sbaraglio e quasi sempre muoiono nonostante la
convinzione di essere invulnerabili.

Dopo aver indagato le modalità attraverso cui vengono plasmati i giovani combattenti dobbiamo
esplorare la natura del patto sociale che fonda il movimento m-m (koinopoiesi).
La credenza nel potere della mayi era fortemente radicata.
Il bisogno dei giovani è quello di riconoscersi in una collettività solida, ma per costruirne una c’è
bisogno di un accordo fra gli individui.
la natura del loro accordo si basa sulla finzione, fingere che l’acqua li protegga dai proiettli, ecc.
I m-m hanno un rifiuto della modernità per l’esaltazione della tradizione africana. La stregoneria ha
valenza positiba se considerata come forma di potere sopravvissuto alla distruzione coloniale, ma
negativa se usata per scopi malefici.
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Intervista a 2 ragazze del nord Kivu, Pascaline e Kasoki, arruolate nei m-m all’età di 13 anni e al
momento dell’incontro erano rientrate da poco in famiglia, entrambe avevano ucciso un mulagi
(uomo accusato di stregoneria).
Pascalineentrata nei m-m a 13 anni per combattere per il suo paese.
Anche lei aveva un kalashnikov. Ha raccontato che i m-m violentano di nascosto le donne,
altrimenti vengono uccisi. Hanno ucciso lei e un’altra ragazza uno stregone e poi lo hanno gettato
nel fiume.
Kasoki13 anni, per difendere il suo paese. Ha ucciso uno stregone con altre 2 ragazze,
pugnalandolo alla gola.
Spesso è la popolazione ad indicare lo stregone da uccidere, la cui esecuzione è un fatto
socialmente accettato. La dinamica dell’uccisione è simile anche in altri bambini soldato, quindi
dev’essere un rituale d’iniziazione.
I m-m si presentano come difensori del popolo dal nemico interno (stregone) ed esterno (tutsi). M-
m si definiscono come una forza di autodifesa popolare in lotta contro le truppe ugandesi e
rwandesi. Non hanno un vero e proprio progetto politico, ad esclusione della dipartita dei Tutsi.
Nelle considerazioni che Jourdan ha avuto con i combattenti m-m emergeva un “eccesso di
fantasia”, i loro dialoghi erano sempre improntanti all’esagerazione.
intervistaKakule senza un lavoro e alcolizzato, dopo la sua esperienza di combattente non era più
riuscito ad integrarsi. Ricordo il periodo come magico in cui tutto gli era concesso. Sirapportava ai
civili come suoi servi e spaventandoli. Ma nonostante la sua reputazione di “uomo forte” si notava
una solitudine e disperazione per l’impossibilità di ritrovare una posizione nella vita civile.
Racconta del rito d’iniziazione, acqua, docteur, armi, tatuaggi e delle condizioni da rispettare.
Vengono scelti i bambini perché rispettano le condizioni e non rubano.
il suo registro è improntato all’esagerazione.

Cap. 4
Orizzonti di senso
Antropopoiesiconcetto antropologico che indica i vari processi di costruzione e definizione
dell’identità umana. Gli uomini sono il prodotto di forze antropopoietiche (programmate e
implicite). Vi è una distinzione tra antropopoiesi programmata e antropopoiesi implicita. Per
antropopoiesi implicita si intende quell’insieme di fattori che plasmano l’individuo (classe, campo
sociale, i capitali economico e culturale, il sistema politico ed economico della sua società, il
contesto storico della sua vita, e le sue disposizioni personali), ma si tratta di forze che non
agiscono in modo programmato, ma operano nella quotidianità. La soggettività di un individio è il
prodotto della relazione biunivoca tra forze atropopoietiche e agency (termine che sottolinea il
fatto che è vero che gli organismi sono influenzati dal mondo in cui vivono, ma non ne sono mai
pienamente determinati, in quanto alle varie forze possono opporsi, oppure aderire, collaborare
ecc… ossia capacità dei soggeti di relazionarsi col mondo in modo critico), porre l’accento sulla
soggettività ci aiuta dunque a considerare in termini critici categorie come giovani-combattenti e
bambini-soldato, nozioni che NON DEVONO ESSERE GENERALIZZATE. I soggetti vanno considerati
sia come prodotti, che per quello che producono, cioè non possono essere considerati
semplicemente come eroi che tessono la propria vita in un vuoto sociale ma tanto meno come
individui totalmente sovradeterminati da strutture piu ampie (culturali,politiche,economiche ecc).
se prendiamo il caso specifico del bambino soldato, la soggettività di questo bambino è
determinata da un antropopoiesi programmata (nel suo caso molto preponderante nel
determinare la soggettività) e una implicita, che si articolano con l’agency, che spesso si riduce in
agency tattica, ossia pianificazione di corta durata che lo porterà per esempio a tentare di sottrarsi
a compiti piu rischiosi. L’agency può essere piu o meno elevata e determina comportamenti diversi.
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Prendiamo l’esempio di MUHINDO E JACK (due combattendi che l’autore del libro conobbe),
muhindo ha una ridotta capacità critica e la sua agency si traduce in comportamenti di fuga e
opportunismo, mentre jack ha un’elevata capacità critica e un agency piu ampia, entrambi sono
sottoposti alle costrizioni della guerra ma hanno sorprendente capacità di adattamento e di
resilienza.
Storia di MUHINDO, un bambino dottore: Un bambino soldato nato nel Nord Kivu, nel villaggio a
Lukanga, sfacciato e arrogante che dimostrava una gran confidenza e temerarietà di fronte il tema
della morte. La sua esperienza rappresenta una ricerca incessante di uno spazio sociale in cui
collocarsi, a soli 12 anni si arruola volontariamente nei mayi-mayi per seguire i suoi coetanei che
sembrano essere dei piccoli combattenti; oltretutto la defezione non è ammessa, si è perseguitati e
minacciati. Nonostante sia un’azione volontaria, tale scelta avviene in un contesto di grandi
costrizioni, muhindo è sottoposto a forze antropopoiesiche, ma nonostante questo non è privo di
agency tant’è che spesso sfrutta il potere che deriva dalla condizione di soldato e ne approfitta
della possibilità di esercitare violenza. Nonostante dal racconto emerge che inizialmente sia
pervaso dal desiderio di fuga, questo bambino soldato diventa in poco tempo dottore e in seguito
comandante. Il suo racconto è improntato sull’esagerazione e oscilla tra la realtà e il mondo
dell’invisibile,i poteri occulti e le fantasie pervadono ogni discorso, questo è l’emblema di come la
crisi che colpisce il congo è una crisi che produce misera e dove di fronte all’impossibilità di trovare
una spiegazione a 1vita condannata alla sofferenza i due piani (La realtà e il mondo occulto) si
confondono l’unica soluzione a questa vita è perseguire le vie macabre della violenza e dell’occulto.
Nonostante questo, il bambino racconta la sua esperienza da dottore e comandante con
meticolosità dimostrando la di essere fiero di aver rivestito ruoli cosi importanti.
Storia di jack e di una rivoluzione fallita : A differenza di muhindo la cui scelta di arruolarsi è stata
dettata dall’opportunismo e da semplici esigenze di sopravvivere, jack prende parte alla guerra per
ragioni politiche,perché ha degli ideali rivoluzionari da portare avanti. Lui credeva nella filosofia del
panafricaniso per l’unità del continente africano, aveva delle motivazioni vere sia politiche che
ideologiche che l’hanno spinto ad entrare in guerra. Combattenti cosi ce ne sono pochi, e lui è
consapevole del fatto che in congo, la maggioranza delle persone che si arruolano inizialmente lo
fanno per un ideale (forse) ma poi se ne approfittano della situazione saccheggiando e
minacciando la gente, SI ARRUOLANO PER UNA RAGIONE DI PRESTIGIO. Chi rappresenta bene
questa esperienza dei miliziani congolesi, la loro vita, e i loro mondi autoreferenziali è Muhindo
che non è altro che il prodotto di un habitat ristretto, dove i progetti antropopoietici si sono ridotti
e impoveriti. Ormai in congo i programm antropopoietici si sono ridotti perlopiù a plasmare
combattenti e bambini soldato. La soggettività di jack invece è il risultato di un percorso
antropopoietico più vario, caratterizzato dall’incontro con diversi soggetti e visioni del mondo
diverse.
Affinità tra esperienza di jack e muhindo: sono entrambe vite all’insegna del rischio e della prova
continua, vite difficili passate a combattere, e combattere è sempre una questione di vita o di
morte.. quindi in entrambi i casi c’è la mentalità di considerare la vita come facile, senza valore in
quanto conosci la morte, ma soprattutto l’hai vista con i tuoi occhi quindi vivi come se la vita fosse
corta. Come jack ha sottolineato, il senso dell’individualismo e dell’avventura caratterizza la vita dei
combattenti africani,i giovani sono guidati dalla ricerca e dal piacere dell’avventura,
indipendetemente da quanto siano drammatiche le loro esperienze, loro trovano compiacimento
per la capacità di sfidare le difficolta e di lanciarsi in imprese dall’esito incerto dove tutto dipende
dalla CAPACITà E DALL’AUDACIA del combattente. Secondo Bayart il senso dell’individualismo e
dell’avventura sono riconducibili a due repertori culturali tra loro connessi: quello del mito e delle
storie popolari , e quello dell’invisibile che pervade tutta la vita sociale, economica e politica. Il
repertorio del mito e delle storie popolari è una delle forme principali attraverso cui i bambini sono
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socializzati ed educati. Bayart sostiene che in molti racconti e miti africani emerge la figura del
trickster (figura presente nella pedagodia africana), ovvero personaggio che si afferma grazie
all’inganno e alla furbizia, sovverte le regole sociali ma ha una grande capacità di farsi strada ( cosa
che suscita una grande ammirazione ). A oggigiorno alle generazioni sono precluse le vie
d’integrazione sociale “normali”, e quindi è normale che il trickser rappresent un modello d’azione
e affermazione sociale che riscuote successo. Ovviamente questi repertori culturali hanno una
grande importanza ma è importante sottolineare che questi si intrecciao con le condizioni storiche
di esistenza nel senso che la PROPENSIONE AL RISCHIO , CHE SOLITAMENTE NON è VISTA COME
UNA VIRTù, IN CONGO è VISTA COSI PERCHE SIAMO IN SITUAZIONI DI ESTREMO PERICOLO E
POVERTà CHE SI è SPESSO OBBLIGATI A SFIDARE IL RISCHIO, A TENTARE IL TUTTO PER TUTTO,
SFIDANDO LA SORTE. È grazie a questa disposizione alla sfida che riescono a sopravvivere in queste
situazioni di estreme costrizioni e di crisi.
Conclusioni: in questo libro vi è una rappresentazione etnografica della violenza e della guerra, e il
più grande dubbio è se scrivere di guerra comporti un rafforzamento di quelli che sono gli
stereotipi negativi nei confronti dei luoghi e delle popolazioni al centro delle riflessione
antropologica proposta (in questo caso del CONGO). L’africa da sempre rappresenta il luogo in cui
l’occidente proietta i suoi spettri e le sue paure , e il luogo più barbaro e meno civilizzato del resto
del mondo. Questo è vero soprattutto per il Congo, che nell’immaginario occidentale è visto
ancora oggi come un mondo popolato da genti primitive e barbare. La soluzione alla domanda
non esiste, ma l’autore ha deciso di evitare ogni atto di auto-censura e ha lasciato molto spazio nel
suo racconto alle narrazioni dei combattenti. La guerra è ANCHE l’esito dell’affermazione del
capitalismo neoliberale che ha prodotto delle ombre globali e in congo ha prodotto degli effetti
terribili e catastrofici. Il congo è un mondo impoverito sia materialmente che culturalmente, che
costringe i giovani ad arrancare nel vuoto prodotto dalla miseria e dalla violenza,cosi per trovare
un senso alla loro vita si arruolano, anche perché in assenza di opportunità l’arruolamento è una
delle rare possibilità di uscire da una condizione di marginalità in quanto entrando in guerra
ottengono l’accesso a dei beni materiali (telefonini,radio vestiti,automobili ecc..) che sarebbero
altrimenti inarrivabili e che per il giovane tutto questo significa entrare a far parte di una cerchia
di eletti . QUINDI  arruolarsi conferisce cosi ai giovano combattenti la cittadinanza in un mondo
globalizzato, dominato da un’etica consumistica, il cui potere plasma gli individui agendo sul loro
desiderio di possedere e di ostentare beni materiali. I fattori antropopoietici plasmano i giovani
secondo i valori e le necessità della guerra, e il controllo di questi fattori diventa fondamentale in
questo contesto: i leader controllano questi fattori e plasmano gli uomini ai propri fini, li
manipolano in maniera spregiudicata e di questa manipolazione i leader ne hanno fatto la loro
ascesa al potere. In questi anni in congo non abbiamo affatto assistito a una rivoluzione giovanile,
in questa guerra non c’è spazio alcuno per un progetto di cambiamento sociale, anzi l’unica cosa
che prevale sono gli interessi e l’avidità dei leader.Insomma I giovani combattenti e i bambini
soldato sono il prodotto di una società convulsa e disorientata, in cui prevalgono i facinorosi.
In sostanza, la violenza ha funzionato e chi ne ha fatto uso, facendo ricorso alla sopraffazione e
manipolazione è stato in molti casi ricompensato, che conseguenze avrà tutto questo sulla
società congolese del dopoguerra e sulle future generazioni? L’unico cosa/soluzione che può
portare alla rinuncia alla violenza, che come abbiamo visto porta all’ascesa sociale, è che i
vantaggi della pace, in un futuro, prevarranno sulle opportunità generate dalla violenza, allora si
che le nuove generazioni potranno evitare di dedicare la loro vita alla guerra. Secondo l’autore
del libro questa cosa richiede molti sforzi ma la vede come un traguardo possibile in quanto crede
nelle grandi capacità di affrontare i rischi e di accettare le sfide e nelle potenzialità insite nei
giovani africani della nuova generazione. Tutte queste energie in futuro dovranno essere incanalate
in progetti e forme di convivenza positiva, eh si, perché è fondamentale che i bambini del Congo
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sperimentino nuovi modi di stare al mondo del tutto diversi da quelli di cui abbiamo parlato fino ad
ora.

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