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Psicologia dello Sviluppo – riassunto

Di Sara Giordano SEF

Capitolo 1 – Le persone e il campo di indagine


La psicologia dello sviluppo è la disciplina che studia il ciclo della vita umana.
Essa è fra le ultime discipline ad arrivare nel campo della psicologia. Deriva dalla
psicologia dell’età evoluzionistica, il cui campo di indagine è costituito da infanzia ed
adolescenza. Fu uno dei pionieri della psicologia, G. Stanley Hall, a fondare il primo
istituto scientifico statunitense per lo studio scientifico dello sviluppo del bambino,
verso la fine dell’Ottocento. Soltanto dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, si
inizia a parlare anche di gerontologia, ovvero lo studio scientifico dell’invecchiamento,
strettamente correlata con allo studio dello sviluppo dell’adulto.
Infanzia, adolescenza, età adulta, vecchiaia si riuniscono tutte nello studio della
psicologia dello sviluppo, rendendola una gigantesca megadisciplina.
Lo studio dello sviluppo nell’intero ciclo della vita umana è una scienza
multidisciplinare e per questo abbraccia campi diversi come le neuroscienze, le scienze
infermieristiche, la psicologia e le scienze politiche sociali. Ognuno di questi campi
osserva e studia l’intero ciclo umano da diverse prospettive d’indagine.
Lo studio dello sviluppo esplora le tappe fondamentali lungo l’esistenza umana. Si
focalizza sulle differenze individuali: gli studiosi dello sviluppo si propongono di
scoprire le cause delle differenze tra individui -che si possono riscontrare nei
temperamenti, nei talenti e nei tratti- come quelle nei tempi di maturazione delle
diverse tappe dello sviluppo.
Lo studio dello sviluppo esplora le abitudini di vita (fumare, dormire nello stesso letto
di un figlio piccolo) ed esamina l’impatto delle transizioni da una fase di vita all’altra.
Ovvero, indaga su:
• Transizioni normative (ovvero i cambiamenti prevedibili nello stile di vita, come
il pensionamento, il diventare genitori)
• Transizioni non normative (ovvero i cambiamenti atipici, come la perdita di un
figlio, il divorzio)
Molte delle nostre abitudini e alcune transazioni che noi consideriamo normative, in
realtà sono frutto di contesti dello sviluppo, ovvero fattori fondamentali che vengono
plasmati durante il nostro sviluppo dalla coorte, dalla cultura, dal genere di
appartenenza e dallo status socioeconomico.
➢ In che modo vivere in un determinato periodo storico influenza la nostra
esistenza?
Quando si parla di coorte, si intende il gruppo di età a cui apparteniamo, ovvero le
persone nate nel nostro stesso periodo.
La coorte del baby boom postbellico è come viene chiamato il vasto gruppo di persone
nate tra il 1946 e il 1964 (dopo la fine della guerra, la dimensione della famiglia
arrivava a comprendere circa quattro figli in media).
➢ Com’è cambiato il concetto di infanzia?
Locke riteneva che gli esseri umani alla nascita fossero una sorta di tabula rasa che
venissero plasmati a seconda di come venivano trattati da bambini. Rousseau sosteneva
che i bambini nascono completamente innocenti e che essi dovessero essere riempite
d’amore.
In un passato non troppo lontano, i bambini iniziavano a lavorare fin da piccoli. La
maggior parte dei ragazzi e delle ragazze iniziavano a lavorare subito dopo la pubertà.
Solo durante la Grande Depressione (nel 1930) viene firmata la legge che rendeva
obbligatorie le scuole superiori, riconoscendo così l’adolescenza come una fase
importante della vita.
Oggi, che così tanti ragazzi e ragazze proseguono gli studi dopo l’adolescenza, gli
scienziati dello sviluppo hanno identificato una nuova fase di passaggio verso l’età
adulta: l’adultità emergente (che si estende dai 18 ai 30 anni ed è dedicata alla
costruzione delle aspettative di vita e alla ricerca del proprio posto nel mondo).
➢ Come è cambiato nel tempo il concetto di età avanzata’
Dai secoli meno recenti a quelli più recenti, l’aspettativa media di vita (l’età media
che qualcuno alla nascita può aspettarsi di raggiungere) è mutata notevolmente. Un
tempo l’aspettativa di vita raggiungeva a malapena i 20 anni di vita. Grazie a quella
che viene definita come rivoluzione dell’aspettativa di vita del ventesimo secolo,
avvenne un enorme incremento dell’aspettativa media di vita, verificatosi nei paesi più
sviluppati durante la prima metà del ventesimo secolo. Questo drastico aumento
avvenne grazie al miglioramento della cura della salute pubblica, l’introduzione del
latte pastorizzato che permise di superare la prima infanzia e le conquiste nel campo
della medicina (antibiotici) che hanno sconfitto la morte causata da malattie infettive.
Le malattie che nei nostri anni causano morte spesso sono malattie croniche (cancro,
ictus, cardiopatia), legate quindi al processo stesso di invecchiamento.
Chi nasce in una delle regioni più ricche del mondo, ha più possibilità di raggiungere
la durata massima della vita, ovvero il limite biologico della vita umana.
Il prolungarsi della vita ha cambiato il nostro modo di considerare ogni fase. Ha
posticipato di 10 anni l’età media in cui ci si sposa e si hanno figli. A 50 spesso si
diventa nonni. I 60/70enni sono per la maggior parte attivi e in buona salute. Proprio
in base a ciò, gli studiosi hanno fatto una distinzione tra gli anziani che hanno tra i 60
e i 70 anni, attivi e in buona salute, definendoli anziani giovani, e chi invece ha più o
meno 80 anni e ha più probabilità di soffrire di problemi fisici o mentali, definendoli
anziani anziani.
➢ Com’è cambiato il concetto di età adulta?
Gli anni 60, definiti anche “decennio della protesta”, hanno visto emergere movimenti
per i diritti civili e le donne, la rivoluzione sessuale, la libertà di avere rapporti sessuali
senza essere sposati, la libertà delle donne di poter realizzarsi in una carriera
professionali e il diritto al divorzio. Con l’arrivo dell’adolescenza della coorte del baby
boom, si iniziano ad esplorare le relazioni omossessuali e i cambiamenti sui ruoli
maschili e femminili all’interno della famiglia.
➢ Vita nel cyberspazio
La “cultura della connettività” del ventunesimo secolo è stata istituita grazie ai
telefoni cellulari e i relativi messaggi che ci permettono di essere sempre in contatto
con gli altri.
Quando si parla di Web 2.0, si intendono i progressi in ambito tecnologico avvenuti
negli ultimi anni, che hanno accelerato questa rivoluzione, consentendoci di interagire
24/7 con persone di tutto il mondo. In particolare, il Web 2.0 ha favorito lo sviluppo
dei social network, che a loro volta hanno lo scopo di creare relazioni interpersonali
fra gli utenti.
➢ Crescenti disuguaglianze del reddito
Le crescenti disuguaglianze di reddito, avvenute dopo gli anni 70, furono causate dal
rallentamento del reddito della fascia medio-bassa. Questo divario portò nello stesso
paese ad una piccola percentuale di popolazione molto ricca e una gran massa di
cittadini svantaggiati. Ciò ha impedito a circa il 50% della popolazione ad avere
accesso alla mobilità verticale, ovvero l’opportunità di elevare il proprio status sociale
ed economico rispetto a quello dei genitori.
➢ Influenza dello status socioeconomico
Quando si parla di status socioeconomico (o anche SES), si fa riferimento al livello di
istruzione di una persona ed al suo reddito: esso è attualmente il fattore di maggior
impatto nello sviluppo in tutte le fasi della vita.
La povertà espone gli individui ad una quantità di problemi in più, come la morte per
malattie attualmente curabili, l’istruzione non garantita per tutti (o meno buona) e tanto
altro. Da qui si distinguono due categorie di paesi:
▪ Paesi sviluppati → classificati come paesi benestanti come USA, Canada, gran
parte dell’Europa (occidentale), Giappone, Australia, Nuova Zelanda (forse Cina
ed India potrebbero presto seguire);
▪ Paesi in via di sviluppo → paesi ancora poveri, dove le condizioni umane sono
ai livelli di quelle di più di un secolo fa dei paesi benestanti.

➢ Influenza della cultura e dell’appartenenza etnica


Visitando i paesi in via di sviluppo si può notare come essi abbiano un forte senso di
comunità, il quale è molto più raro trovarlo in occidente.
Le culture collettiviste attribuiscono maggior valore all’armonia sociale. Le varie
generazioni di una famiglia si aspettano di vivere insieme anche dopo il
raggiungimento dell’età adulta. Il rispetto (in particolare quello dei più giovani verso i
più grandi) reciproco è un valore necessario ed è fondamentale che le proprie esigenze
siano un bene per quelle del gruppo (paesi orientali come l’Asia, poi Africa ed America
meridionale).
Le culture individualiste, invece, l’enfasi viene posta soprattutto sull’indipendenza,
la competizione, il successo personale. I bambini vengono incoraggiati a lasciare la
famiglia e diventare adulti indipendenti ed autosufficienti (paesi occidentali).
➢ Influenza dell’appartenenza di genere
I cromosomi sessuali non determinano più le nostre vite: basti ascoltare le
testimonianze di transgender adulti o quelle di chi persino rifiuta il binarismo di genere
che crea distinzione tra maschio e femmina.
Eppure, nel mondo si rilevano differenze di genere anche solo nell’aspettativa di vita:
le donne, in tutti i paesi, in media vivono almeno due anni più degli uomini.
Ma le differenze tra i due generi sono dovute principalmente dall’ambiente circostante
(come le influenze sociali e l’educazione ricevuta) oppure provengono da fattori innati,
biologici?
➢ Le teorie: la lente attraverso cui osservare il ciclo di vita
Le teorie cercano di spiegare le cause che stanno dietro le nostre azioni. Esse possono
permetterci di prevedere il futuro o darci informazioni per migliorare la qualità della
vita. Nella psicologia dello sviluppo, le teorie possono offrire spiegazioni generali del
comportamento applicabili a tutti oppure descrivere i cambiamenti che caratterizzano
età specifiche.
Le varie teorie si domandano in particolare se a determinare il nostro sviluppo sia la
natura, cioè la biologia, o se sia la cultura, ovvero l’ambiente in cui viviamo.
➢ Il comportamentismo: teoria incentrata sulla “cultura”
Per John Watson l’ambiente è la chiave per spiegare il comportamento umano. Watson
e Skinner (altro comportamentista) ritenevano che i sentimenti ed i pensieri non
potessero essere oggetto d’indagine, in quanto le esperienze interiori fossero
impossibili da osservare. Essenziali per loro erano i comportamenti osservabili degli
individui.
➢ Lo studio del rinforzo
Secondo Skinner la legge che può piegare ogni nostro atto volontario è il
condizionamento operante. Le risposte che ottengono una ricompensa vengono
apprese; le risposte che non vengono rinforzate vengono dimenticate e quindi si
estinguono. Per Skinner, un comportamento fuori controllo, come quello dei ladri,
avviene e si ripete perché le azioni vengono rinforzate positivamente, pur se sbagliate.
Uno dei concetti più interessanti di Skinner, dedotti dalle sue ricerche sui piccioni,
riguarda gli schemi di rinforzo variabili: otteniamo rinforzi in modo imprevedibile,
così continuiamo a rispondere producendo una certa azione, sapendo che ad un certo
punto riceveremo una ricompensa.
I rinforzi (e punizioni) valgono per bambini ma anche adulti. Non è forse vero che se
le persone non rinforzano un vostro comportamento ad un certo punto vi ritirate o agite
in modo socialmente inappropriato?
Per i comportamentisti tradizionali, il segreto sta nel rinforzare i comportamenti giusti.
Eppure, le cose non sono così semplici in realtà. Gli esseri umani pensano e ragionano.
Le persone non hanno bisogno di ricevere un rinforzo per apprendere qualcosa.
➢ Una prospettiva diversa: lo studio delle cognizioni
Ritenendo importante sia lo studio dei comportamenti delle persone, sia ciò che
pensano, Bandura introduce il comportamentismo cognitivo negli anni ’70
(esperimento Bobo Doll). I suoi studi dimostrarono l’importanza del modellamento,
ossia l’apprendimento attraverso l’osservazione e l’imitazione di ciò che fanno gli altri.
Essendo una specie sociale, il modellamento, e quindi l’imitazione degli altri, è
costantemente presente nella nostra vita quotidiana.
Bandura ha scoperto che prendiamo a modello le persone che ci allevano. A due anni
si imita qualsiasi cosa, ma crescendo diveniamo più selettivi, scegliendo modelli che
si basano sulla loro comprensione di chi sono.
Un altro concetto molto importante di Bandura è quello di autoefficacia. Per
autoefficacia si intende la convinzione personale delle proprie competenze, la
sensazione di essere in grado di svolgere con successo un compito. L’autoefficacia, per
Bandura, determina gli obiettivi che ci poniamo. Se l’autoefficacia è bassa non ci
misureremo ponendoci obiettivi complessi. Mentre se l’autoefficacia è alta non solo
passeremo all’azione, ma continueremo a provarci anche dopo che, secondo
l’approccio comportamentista tradizionale, dovrebbe essersi instaurato il fenomeno
dell’estinzione.
Eppure, molti psicologi dello sviluppo, hanno trovato il comportamentismo
insoddisfacente essendo che esso non cerca di dare risposta ad una domanda cruciale:
quali sono le nostre reali motivazioni in quanto esseri umani? Per colmare queste
lacune della nostra conoscenza, molti psicologi dello sviluppo si sono rivolti alle
intuizioni di Sigmund Freud.
➢ La teoria psicoanalitica: focus sulla prima infanzia e sulle motivazioni inconsce
Attualmente le idee di Freud (1856-1939) non sono di moda nella psicologia dello
sviluppo, ma ciò non nega che esse abbiano trasformato il modo di guardare l’essere
umano. La sua missione era quella di comprendere perché i suoi pazienti soffrissero
emotivamente.
La teoria di Freud è chiamata psicoanalisi perché analizza la psiche, cioè la nostra vita
interiore. Ascoltando i propri pazienti, Freud si convinse che le nostre azioni sono
dominate da sentimenti di cui non siamo consapevoli. I problemi emotivi affondano le
radici in sentimenti repressi (resi inconsci) fin dalla prima infanzia. Inoltre,
l’atteggiamento materno nei primi cinque anni di vita è determinante per la nostra
salute mentale da adulti. In particolare, Freud ipotizzò tre strutture nell’apparato
psichico:
• L’Es – presente dalla nascita; insieme di istinti, bisogni e sentimenti primitivi
che accompagnano il nostro ingresso nel mondo
• L’Io – la parte conscia e razionale che emerge nei primi anni dell’infanzia;
comprendono il pensiero, il ragionamento, la programmazione e il
soddisfacimento dei bisogni dell’Es in modo realistico.
• Il Super-Io – l’istanza morale della nostra personalità, la cui funzione consiste
nel contrastare gli impulsi dell’Es.
Lo scopo della terapia chiamata psicoanalisi è quello di permettere ai pazienti di
diventare consapevoli delle esperienze represse nei primi anni dell’infanzia che sono
consapevoli dei loro sintomi, aiutando a liberare l’inconscio per poter vivere in modo
razionale.
Quindi… Per Freud l’essere umano è irrazionale; la salute mentale nell’arco della vita
dipende dalle cure ricevute dai nostri genitori durante l’infanzia; l’autoconsapevolezza
è la chiave per vivere una vita adulta soddisfacente.
Un altro pilastro del pensiero di Freud, molto criticato sia oggi che al suo tempo, è
quello della teoria sulle fasi della sessualità.
Freud sostiene che gli impulsi sessuali (che egli chiamò libido) guidino la vita umana
e promosse l’idea che i bambini siano dotati di una loro sessualità. Per Freud, durante
il suo sviluppo gli impulsi sessuali del bambino si focalizzano in varie aree del corpo,
chiamate zone erogene. Nel primo anno di vita, la zona erogena del piccolo è la bocca
(fase orale). Intorno ai due anni, durante il processo di apprendimento del vasino, il
centro delle sensazioni di carattere sessuale si focalizza sull’espulsione (fase anale).
Infine, verso i tre/quattro anni la libido si trasferisce ai genitali (fase fallica). In questo
periodo il bambino sviluppa fantasie sessuali sul genitore di sesso opposto (complesso
di Edipo) mentre il genitore dello stesso sesso viene percepito come un rivale.
Successivamente la sessualità viene repressa, il bambino si identifica con il genitore
del suo stesso sesso, si viene a formare il Super-Io e si entra nel periodo di latenza,
una fase asessuata che caratterizza il periodo della scuola primaria.
Le idee di Freud, che possono sembrare obsolete, hanno comunque in comune con
quelle degli psicologi dello sviluppo attuali qualcosa: ritengono che
l’autoconsapevolezza sia la qualità distintiva della maturità.
Inoltre, dalle idee psicoanalitiche ha preso le basi un’importante teoria moderna
chiamata teoria dell’attaccamento.
➢ La teoria dell’attaccamento: focus su cultura, natura e amore
Lo psichiatra Bowlby formulò la teoria dell’attaccamento verso la metà del ventesimo
secolo. Bowlby, come Freud, era convinto che fossero le nostre esperienze con le
persone che ci accudiscono i primi anni di vita a plasmare la nostra capacità di amare
da adulti, ma concentrò la sua attenzione specificatamente su quella che chiamò
risposta di attaccamento.
Nell’osservare la risposta dei bambini separati dalle madri, Bowlby notò che nel
periodo in cui iniziano a camminare i bambini hanno bisogno della vicinanza fisica di
un genitore o di un caregiver (principale figura che accudisce il bambino). Il
prolungamento di questa lontananza, secondo Bowlby, è causa di gravi problemi nelle
successive fasi della vita. Inoltre, l’impulso di cercare una persona amata è un bisogno
umano fondamentale in ogni stadio della vita.
Bowlby credeva nel potere dell’accudimento che si riceve nei primi anni di vita
(cultura → ambiente) e tuttavia ancorò la sua teoria al concetto di natura (ereditarietà
→ genetica). Quindi la risposta di attaccamento è biologicamente programmata nella
nostra specie per favorire la sopravvivenza (anticipando dunque la psicologia
evoluzionistica).
➢ La psicologia evoluzionistica: le teorie sulla “natura” delle somiglianze umane
Gli psicologi evoluzionisti rappresentano l’immagine speculare dei comportamentisti.
Essi guardano le predisposizioni biologiche, quindi la natura, per spiegare i nostri
comportamenti.
Alla psicologia evoluzionistica manca l’approccio pratico, orientato all’azione, che
caratterizza il comportamentismo, benché sottolinei il fatto che dobbiamo prestare la
massima attenzione ai bisogni umani fondamentali.
La psicologia evoluzionista studia temi molto lontani tra loro, concentrandosi sempre
sul “genoma umano” e ritenendolo il più importante campo di indagine.
➢ La genetica del comportamento: l’indagine scientifica della “natura” delle
differenze umane
Genetica del comportamento è il nome dato all’insieme di metodologie di ricerca
volte ad esaminare i contributi della genetica allo studio delle differenze osservabili fra
gli esseri umani. In che misura certe tendenze (che possono andare dal mangiarsi le
unghie allo sviluppare un disturbo bipolare) possono essere ricondotte ad una
predisposizione genetica? Per rispondere a questo genere di domande i genetisti fanno
ricerche sullo studio di gemelli e soggetti adottati.
Negli studi di gemelli vengono messe a confronto coppie di fratello monozigoti e
dizigoti rispetto ad un particolare carattere di interesse (come suonare uno strumento,
l’obesità, ecc.). I gemelli identici si sviluppano da uno stesso uovo fecondato (lo zigote)
quindi da un punto di vista genetico sono cloni. Invece i gemelli fraterni, sviluppandosi
in due uova diverse, condividono in media il 50% dei geni. I genetisti del
comportamento si servono di uno speciale parametro statistico, l’ereditabilità (che
oscilla tra 1 e 0, dove 1 indica una variabilità dovuta totalmente ai geni e 0 l’assenza di
contributo genetico).
Negli studi di soggetti adottati i ricercatori effettuano confronti tra bambini adottati,
i loro genitori biologici e quelli adottivi. Anche qui si valuta l’influenza dell’eredità su
un dato carattere, studiando le somiglianze dei piccoli con i genitori biologici (con cui
hanno in comune soltanto i geni) e quelli adottivi (con cui hanno in comune soltanto le
condizioni ambientali).
Negli studi di gemelli adottati (dove le prove dell’influenza genetica sono le più forti)
i soggetti sono gemelli identici separati nella prima infanzia e riuniti solo da adulti. In
questi studi è emerso che il tratto geneticamente determinato tra i due soggetti è il
valore complessivo del QI. Questo ci fa capire che tutti i caratteri che si pensava
dovessero essere il prodotto del modo in cui veniamo allevati dai genitori, derivano in
una certa misura da forze di natura genetica.
Appresa l’importanza della nostra natura, non possiamo comunque dire che membri
della stessa famiglia condividano a stessa cultura (ambiente). Infatti, per capire lo
sviluppo umano, gli studiosi devono esplorare la natura e la cultura e come esse
interagiscano tra di loro.
➢ La combinazione di natura e cultura: cosa sappiamo oggi
Due principi che uniscono il concetto di natura e cultura:
• Principio 1 – la nostra natura da forma alla nostra cultura → Le forze evocative
sono i talenti in nostro possesso che sono in grado di suscitare (evocare) reazioni
negli altri. Le reazioni umane sono bidirezionali, essendo che un nostro
comportamento può suscitare una reazione negli altri. Con forze attive si indica
il fatto che scegliamo i nostri ambienti in base alle nostre predisposizioni
genetiche.
• Principio 2 – per esprimere la nostra natura c’è bisogno della giusta cultura →
Un uomo con un altro QI che vive in un paese povero, malnutrito e costretto al
duro lavoro, non avrebbe le possibilità per manifestare le sue predisposizioni
genetiche. Un uomo ritenuto tra i più intelligenti nel 1950, con ogni probabilità
ai giorni nostri non verrebbe considerato tale. Perché? Con il miglioramento
alimentare e una migliore istruzione, l’avanzare delle scoperte nei vari campi
(come quello tecnologico) gli uomini oggi sono in grado di fornire migliori
prestazioni. Questo ci permette di comprendere che per promuovere il nostro
potenziale umano (natura), abbiamo bisogno del miglior ambiente possibile
(cultura). È per questo che uno dei maggiori scopi della psicologia dello
sviluppo è quello di favorire l’adattamento persona-ambiente, facendo in
modo che il mondo porti alla luce il meglio che c’è in noi.
L’epigenetica è lo studio che approfondisce il come il nostro ambiente alteri
l’esterno della struttura del nostro DNA, producendo effetti che durano per tutta la
vita.
➢ Le teorie degli stadi si sviluppo associati all’età
Le idee di due psicologi che hanno interpretato la sviluppo umano come un processo
che si verifica in fasi distinte.
➢ I compiti psicosociali di Erikson
Nato in Germania nel 1904, Erik Erikson aderì come Bowlby aderì ai principi della
teoria psicoanalitica, ma più che concentrandosi sulla sessualità, Erikson si concentrò
sul duplice obiettivo di diventare identità indipendenti e di entrare in relazione con gli
altri. La sua teoria prende il nome di psicosociale e viene definito il padre della
psicologia dello sviluppo, ritenendo (al contrario di Freud) che lo sviluppo umano
continui per l’intera esistenza. Egli si dedicò a identificare gli specifici compiti
evolutivi di ogni stadio della vita.
Ad ogni stadio della vita, Erikson associa dei compiti primari, detti compiti psicosociali
(o sfide). Sosteneva che ogni compito tragga origine dai precedenti (senza aver svolto
le sfide precedenti, non si può proseguire con i compiti successivi).
Prima infanzia (dalla nascita a un anno) Fiducia di base o sfiducia di base

Toddlerhood (da 1 a 2 anni) Autonomia o vergogna e dubbio (stadio


del “no”)
Prima fanciullezza (dai 3 ai 6) Iniziativa o senso di colpa

Media fanciullezza (dai 7 ai 12) Industriosità o senso di inferiorità


(imparare a fare cose)
Adolescenza e adultità emergente (dai 13 Identità e confusione dei ruoli
ai 20)
Giovane adulto (dai 20 ai 40) Intimità o isolamento

Mezza età (dai 40 ai 60) Generatività o stagnazione

Età avanzata (dai 60 in poi) Integrità o disperazione

➢ La teoria di Piaget sullo sviluppo cognitivo


Nato in Svizzera nel 1894, Piaget cominciò a lavorare nel laboratorio di Binet,
impegnato allora a sviluppare la versione originale del test di intelligenza. Invece che
classificare i bambini in base alle loro conoscenze, Piaget restò affascinato da certe
caratteristiche delle loro risposte sbagliate.
Nella sua teoria dello sviluppo cognitivo, Piaget sosteneva che dalla nascita
all’adolescenza, la crescita cognitiva del bambino progredisse attraversando vari stadi
qualitativamente differenti. La crescita mentale avviene attraverso un processo di
assimilazione, con cui adattiamo le nostre conoscenze del mondo alle nostre capacità
o alle strutture cognitive esistenti (chiamate da Piaget schemi). Si verifica il processo
di accomodamento, attraverso il quale cambiamo il nostro modo di pensare per
adattarvi nuove informazioni del mondo.
Jean Piaget concepì l’idea rivoluzionaria che abbiamo bisogno di capire come i
bambini esperiscano la vita dal loro punto di vista.
0-2 anni Stadio sensomotorio Manipolazione degli oggetti
per cogliere le proprietà
della realtà fisica
2-7 anni Stadio preoperatorio Percezione catturata
dall’aspetto immediato
dell’oggetto
8-12 anni Stadio operatorio concreto Comprensione realistica del
mondo. Sono incapaci di
pensare in modo astratto e
scientifico
>12 anni Stadio operatorio formale Raggiungimento del pieno
sviluppo del ragionamento

➢ La teoria ecologica dei sistemi di sviluppo


Urie Bronfenbrenner (1977) è stato il primo psicologo a mettere in evidenza che il
comportamento è causato da molte cause differenti. Bronfenbrenner ha visto ognuno
di noi al centro di una struttura circolare espansiva, un sistema concentrico di fattori
ambientali in grado di influenzare il nostro sviluppo. Nel cerchio interno, lo sviluppo
è plasmato dalle relazioni del bambino e le persone con le quali interagisce nel suo più
immediato contesto come la famiglia, i coetanei, la scuola. Nei cerchi successivi, più
ampi, si trovano influenze più generiche come la comunità appartenente, l’ambiente
mediatico, il sistema scolastico. A livello ancora più ampio, anche la cultura, la
situazione economica e la coorte sono determinanti per plasmare il nostro
comportamento. La prospettiva di Bronfenbrenner ha quindi l’intento di esaminare
l’ecologia e prende dunque il nome di teoria ecologica dei sistemi di sviluppo.
➢ I teorici della teoria ecologica dei sistemi di sviluppo sottolineano la necessità di
utilizzare approcci diversi. Per poter comprendere a fondo lo sviluppo,
dobbiamo rifarci sia ai principi del comportamentismo, sia della teoria
dell’attaccamento, alla psicologia evoluzionistica e anche alla teoria di Piaget.
Dobbiamo quindi guardare il livello sociale, ovvero le nostre azioni; dobbiamo
osservare l’esterno, la nostra cultura e la nostra coorte; all’interno, a livello
molecolare, dobbiamo guardare i nostri geni.
➢ I teorici del modello ecologico dei sistemi di sviluppo pongono particolare enfasi
sulle interazioni tra i processi. Bronfenbrenner ha fatto notare come le nostre
predisposizioni genetiche influenzino la cultura a cui diamo vita e viceversa.

➢ I metodi di ricerca
Le teorie ci forniscono le lenti attraverso cui interpretare il comportamento. La ricerca
è invece lo strumento che utilizziamo per scoprire le verità scientifiche.
➢ Due strategie di ricerca fondamentali: gli esperimenti e gli studi di correlazione
Per rispondere a qualsiasi domanda circa gli effetti che una data condizione od entità
(definita variabile) produce su un’altra, gli studiosi si servono di due strategie di
ricerca: gli studi di correlazione e gli esperimenti.
In uno studio di correlazione si traccia l’andamento delle correlazioni tra le variabili,
indagando su come si verifichino nella realtà. Per procedere alla ricerca è necessario
formare un campione rappresentativo, ovvero un gruppo di soggetti che riflette le
caratteristiche della popolazione complessiva e che in modo volontario aderiscano alla
ricerca. Una possibile tecnica in questo tipo di ricerca è l’osservazione naturalistica,
che permette di osservare i comportamenti dei soggetti partecipanti nel momento stesso
in cui avviene in “natura”, cioè nella vita reale. Tuttavia, questo approccio non è facile
da mettere in pratica, dovendo spostarsi di luogo in luogo per osservare ogni singolo
soggetto e, inoltre, quando le persone vengono osservate cercano sempre di
comportarsi al meglio. Un’altra strategia è quella dell’autodescrizione, ovvero un
questionario autovalutativo da compilare in forma anonima -eppure anche questo
metodo è soggetto ad errori sistematici. Un altro approccio applicabile allo studio di
correlazioni potrebbe dunque essere la valutazione di un osservatore, dove una
persona di competenza classifica le prestazioni del soggetto attraverso scale valutative,
eppure anche qui è possibile ricavare dati non oggettivi, magari a causa di un
preconcetto dell’osservatore.
La correlazione può portarci a confondere le cause con gli effetti. La correlazione può
implicare un’altra variabile alla quale si devono tali effetti.
Per escludere qualsiasi incertezza, la soluzione consiste nel condurre un esperimento.
Dopo aver isolato la variabile che porta ad una data condizione (detta variabile
indipendente), i ricercatori assegnano casualmente le persone selezionate in gruppi
differenti, uno dei quali riceva il trattamento mentre l’altro è sottoposto ad un’azione
di controllo (ovvero non gli viene sottoposto il trattamento). La strategia
dell’assegnazione casuale è fondamentale, assicurandoci l’eliminazione di qualsiasi
differenza che potrebbe intaccare i risultati. Se il gruppo sottoposto al trattamento
differisce da quello di controllo, allora si può dedurre che il trattamento ha causato il
risultato ottenuto.
Gli esperimenti rappresentano il metodo di ricerca ideale per determinare le cause del
comportamento, ma per affrontare questioni riguardanti lo sviluppo spesso è necessario
lo studio di correlazioni.
➢ Gli strumenti per lo studio dello sviluppo: studi trasversali e studi longitudinali
Per scoprire come cambiano le persone nel tempo, i ricercatori utilizzano due tecniche
di ricerca: gli studi trasversali e longitudinali.
➢ Gli studi trasversali
Poiché relativamente facili da condurre, gli studiosi ricorrono spesso all’utilizzo di
questa tecnica per analizzare lunghi periodi di vita. In uno studio trasversale, i
ricercatori mettono a confronto gruppi di età differenti nello stesso momento rispetto
alla caratteristica che interessa esaminare (es. atteggiamento politico, personalità,
salute fisica). Questi studi ci forniscono un’istantanea delle attuali differenze tre coorti,
ma non sono in grado di rilevarci reali cambiamenti che intervengono con
l’invecchiamento. Essi misurano quindi le differenze tra i gruppi, non permettendoci
di rilevare quelle individuali.
Per capire come si sviluppino gli individui è bene condurre uno studio longitudinale.
➢ Gli studi longitudinali
Negli studi longitudinali in genere si seleziona un gruppo di soggetti di una particolare
età e li si sottopone a test ad intervalli regolari nell’arco di molti anni (il termine
“longitudinale” fa riferimento quindi alla lunghezza del tempo).
Gli scienziati hanno scoperto un tratto della personalità chiamato coscienziosità che
misurato durante la fase dell’adultità emergente, indica se le persone adotteranno
abitudini salutari mentre si approssimano alla mezza età.
Gli studi longitudinali non sono comunque esenti dai problemi. In primo luogo,
richiedono un enorme lasso di tempo, energie e fondi. In più è importante sottolineare
la difficoltà di far tornare le persone per sottoporsi ai test. Persone meno motivate, che
magari provano vergogna o qualsiasi altro sentimento verso sé stessi, proveranno meno
desiderio di proseguire la ricerca, confrontati con partecipanti più motivati di loro.
➢ Tendenze emergenti della ricerca
Accanto alla tendenza a divenire più globale, nel campo della psicologia dello sviluppo,
la ricerca sta assumendo anche un taglio più ristretto e personale.
Le tecniche della ricerca quantitativa – ovvero le strategie finora descritte-
costituiscono l’approccio principale usato nella psicologia dello sviluppo per studiare
il comportamento umano. Questo tipo di ricerca ci permette di studiare gruppi di
persone e raccogliere dati in scale numeriche o statistiche, facilmente registrabili e
confrontabili.
Gli studiosi che conducono ricerche qualitative invece vogliono indagare l’unicità della
vita delle persone, sottoponendole ad interviste profonde.
Capitolo 2 – Sviluppo prenatale, gravidanza e nascita
➢ Il primo passo: la fecondazione
Quali sono le strutture anatomiche coinvolte nel concepimento di un bambino? Cosa
avviene al livello genetico quando uno spermatozoo e un uovo si uniscono per dare
origine a un essere umano?
➢ Gli apparati riproduttivi
L’apparato riproduttivo femminile è composto da vari organi:
• Utero – si trova in posizione centrale ed è l’organo muscolare piriforme che
ospita il feto fino al termine dello sviluppo. L’utero è rivestito internamente di
tessuto morbido, l’endometrio, che si inspessisce preparandosi ad una possibile
gravidanza e si sfalda se questa non si verifica durante la mestruazione.
• Cervice uterina – si trova in una posizione inferiore all’utero. Durante la
gravidanza questo collo dell’utero deve ispessirsi per resistere alle pressioni
dell’utero che va espandendosi, per diventare poi flessibile al momento del parto.
• Tube di Falloppio – dalle estremità superiori dell’utero si espandono queste due
strutture, sottili condotti tra utero ed ovaie.
• Ovaie – le estremità sfrangiate delle Tube di Falloppio circondano le ovaie,
organi a forma di mandorla al cui interno si trovano gli ovuli, le cellule uovo
della madre.

➢ Il processo di fecondazione
Il processo che culmina nella fecondazione -l’unione tra uovo e spermatozoo- ha inizio
con l’ovulazione. È questo il momento -che corrisponde alla 14° giorno del ciclo
mestruale- in cui l’ovulo maturo viene espulso dalla parete ovarica. Al momento
dell’ovulazione una delle tube di Falloppio aspirano l’ovulo, contraendosi
vigorosamente, spingendo l’ovulo verso l’utero in un viaggio che dura sui tre giorni.
È a questo punto che entra in gioco il contributo maschile alla creazione di una nuova
vita. Al contrario di quanto accade nelle donne, nei testicoli la produzione di
spermatozoi è continua. Un maschio adulto produce centinaia di milioni di spermatozoi
al giorno. Durante il rapporto sessuale queste cellule vengono espulse nella vagina, ma
solo una piccola parte riesce a entrare nell’utero e risalire le tube.
A questo punto si ha un assalto in massa: gli spermatozoi perforano lo strato esterno
dell’ovulo dirigendosi verso il centro. Quando uno di essi raggiunge la parte più
interna, la composizione chimica della cellula uovo si modifica non permettendo
l’ingresso ad altri spermatozoi. Quando la cellula maschie e femminile si avvicinano
l’una all’altra e si fondono, avviene la fecondazione.
Per facilitare il concepimento, il periodo migliore per avere rapporti è il periodo
dell’ovulazione. Gli spermatozoi sono in grado di sopravvivere una settimana
nell’utero; perciò, un rapporto sessuale avvenuto pochi giorni prima dell’ovulazione
potrebbe comunque portare come risultato la fecondazione.
➢ La genetica della fecondazione
Possiamo scoprire cosa accade, da un punto di vista genetico, quando un ovulo ed uno
spermatozoo si uniscono grazie all’osservazione dei cromosomi, le strutture composte
da proteine e lunghi filamenti di materiale genetico, ovvero il DNA, simili ad una scala
avvolta su se stessa. Disposti lungo ogni cromosoma ci sono i geni, segmenti di DNA
che fungono da stampo per la sintesi delle proteine responsabili di tutti i processi fisici
coinvolti nella vita. Ogni cellula del nostro corpo contiene 46 cromosomi, ad eccezione
degli ovuli e degli spermatozoi che ne contengono solo 23, ovvero la metà. Quando i
nuclei di queste due cellule, detti gameti, si uniscono al momento della fecondazione,
i loro cromosomi si allineano formando delle coppie il cui numero complessivo è
appunto 46.
In ogni coppia cromosomica gli elementi sono perfettamente abbinati. L’unica
eccezione si trova nel cromosoma sessuale, Il cromosoma X è più lungo e pesante di
quello Y. Poiché ogni cellula uovo porta un cromosoma X, è il contributo genetico
paterno a determinare il sesso del nascituro, a seconda del cromosoma portato dallo
spermatozoo. Se viene portato un cromosoma Y, nascerà un maschio (XY), se invece
verrà portato un altro cromosoma X, nascerà una femmina (XX).
Dal punto di vista statistico gli spermatozoi Y sono avvantaggiati (20% in più), ma il
periodo prenatale è particolarmente duro per gli embrioni di sesso maschile (la
differenza alla nascita si riduce al 5%). Il sesso maschile, in più, è meno forte di quello
femminile ed è più soggetto a disturbi del neurosviluppo, dell’autismo e all’ADHD.
➢ Lo sviluppo prenatale
Lo sviluppo prenatale si distingue in tre fasi distinte: periodo germinale, periodo
embrionale, periodo fetale.
➢ Le prime due settimane: il periodo germinale
Il periodo nel quale la massa di cellule non si è ancora completamente impiantata nella
parete dell’utero è definito periodo germinale. A 36 ore dalla fecondazione l’ovulo,
diventata un’unica cellula detta zigote, compie la prima divisione. La massa continua
a dividersi ogni 12-15 ore, mentre scende lungo la tuba di Falloppio; quando entra
nell’utero si differenzia in vari strati di cui alcuni destinati a formare il nascituro. La
piccola massa composta da un centinaio di cellule è detta blastocisti, che deve
affrontare una sfida detta impianto, il processo durante il quale si attacca alle pareti
superiori dell’utero. Dalla zona dell’impianto si sviluppano i vasi sanguigni che
daranno poi origine alla placenta, la struttura attraverso la quale avvengono gli scambi
nutritivi fra madre e bambino.
➢ Dalla terza all’ottava settimana: il periodo embrionale
Benché la durata sia di sole sei settimane, il periodo embrionale è quello in cui lo
sviluppo avviene a ritmo più rapido. In questo periodo avviene la costruzione di tutti
gli organi principali. Al termine di questo periodo, quello che in precedenza appariva
come un semplice ammasso di cellule, prende una forma umana riconoscibile.
Dopo che l’embrione si è collegato al circolo sanguigno materno, i nutrienti devono
raggiungere ogni sua cellula: così nella terza settimana dopo la fecondazione si forma
il sistema circolatorio (il sistema di trasporto dei fluidi del nostro corpo) e la sua pompa,
il cuore, inizia a battere.
Nello stesso tempo iniziano ad apparire i primi cenni del sistema nervoso. Circa venti
giorni dopo la fecondazione, lungo la superficie dorsale dell’embrione si va formandosi
un infossamento, che da origine al tubo neurale. La parte superiore di questa struttura
diventerà il cervello, quella inferiore il midollo spinale. Nonostante la crescita di nuove
cellule cerebrali possa avvenire lungo tutto l’intera esistenza, quasi tutte le strutture
ramificate (dette neuroni) che ci permettono di pensare, rispondere a stimoli ed
elaborare informazioni, prendono origine dalle cellule formatesi nel tubo neurale nei
primissimi mesi dello sviluppo intrauterino.
In questa fase si vanno a sviluppare gli abbozzi delle braccia, delle gambe e poco dopo
un mese dalla fecondazione anche quelli dei piedi, dei gomiti, i polsi e le dita. Al
termine dell’ottava settimana in genere gli organi interni sono già tutti formati.
L’embrione inizia quindi a prendere l’aspetto di un essere umano.
➢ I principi dello sviluppo prenatale
Quella che inizialmente assomiglia ad una struttura cilindrica, ha una crescita che
avviene secondo una sequenza prossimale-distale, cioè a partire dalla parte più
interna del corpo (prossimale) a quella più esterna (distale).
Inoltre, la crescita dell’embrione avviene in una sequenza cefalo-caudale, ovvero
partendo dalla testa (kefalè in greco) alla coda (dal latino cauda).
Infine, il terzo principio della crescita corporea è che essa avviene attraverso una
sequenza grosso-fine, ovvero le strutture più grandi si formano prima delle rifiniture
più minute.
➢ Dalla nona settimana alla nascita: il periodo fetale
Nel periodo fetale lo sviluppo avviene in modo più lento di quello del periodo
embrionale. Ci vogliono sette mesi prima che un embrione si trasformi in un bambino.
Verso la fine del periodo embrionale, una massa di cellule si accumula all’interno del
tubo neurale che finirà per produrre più di 100 miliardi di neuroni di cui si compone il
cervello umano. Verso la metà del periodo fetale, le cellule nervose si raccolgono
all’apice del tubo neurale, allungandosi e sviluppando lunghi collegamenti che gli
permettono di stabilire connessioni reciproche. Questo processo di connessione durerà
per tutto l’arco della vita umana.
Verso il sesto mese il feto è in grado di udire i suoni; al settimo mese è probabile che
abbia sviluppato la capacità di vedere.
L’età gestazionale minima, ovvero l’età minima in cui un bambino può essere partorito
avendo la possibilità di sopravvivere arriva a 22-23 settimane (38 settimane sono le
settimane che in genere un feto trascorre nel grembo materno). È di vitale importanza
che il bambino resti più al lungo possibile nel grembo materno il più allungo possibile,
in modo da minimizzare effetti negativi sulla salute per tutta la vita.
Le principali strutture di supporto di cui il bambino ha bisogno per crescere sono: la
placenta, che permette il passaggio delle sostanze nutritive dalla madre al feto; il
cordone ombelicale, ovvero il condotto attraverso cui passano i nutrienti; il sacco
amniotico, la camera piena di liquido che protegge il feto da infezioni e possibili danni.
➢ La gravidanza
Il periodo di gestazione (gravidanza) è in genere costituito da 266-277 giorni, suddivisi
in tre segmenti detti trimestri, all’incirca di tre mesi ciascuno.
➢ Il primo trimestre: sentirsi spesso stanca e “malata”
Dopo l’impianto della blastocisti nella parete dell’utero, la gravidanza segnala la
propria presenza attraverso alcuni sintomi come lo svenimento, la stanchezza,
l’indolenzimento delle mammelle. Questi sintomi vengono innescati dagli ormoni,
sostanze chimiche che provocano la modificazione di certi tessuti. Dopo l’impianto
avviene un aumento della produzione di progesterone, l’ormone responsabile del
mantenimento della gravidanza. La placenta produce un ormone specifico, la
gonadotropina corionica umana (HCG), che impedisce all’organismo di rigettare
l’embrione come se fosse un corpo esterno.
Le nausee mattutine colpiscono almeno due donne incinte su tre. A volte anche i
compagni sviluppano questo sintomo, entrando in empatia con loro: questo fenomeno
prende il nome di couvade (covata). Gli studiosi evoluzionistici ipotizzano che le
nausee mattutine possano aver avuto in passato la funzione di evitare che la madre
mangiasse carne avariata o piante tossiche durante il periodo embrionale.
Nel primo trimestre circa una gravidanza su dieci termina con un evento
traumatizzante: l’aborto spontaneo. Nelle donne al di sopra dei 35 la percentuale è
più alta. Gli aborti sono tipicamente causati da problemi dello sviluppo embrionale
tanto da non risultare compatibili con la vita.
➢ Il secondo trimestre: sentirsi molto meglio ed entrare emotivamente in contatto
con il bambino
Dalla 14esima settimana la dimensione dell’utero aumenta al punto da rendere
necessario l’acquisto di abito adeguati. Verso la 18esima si manifesta la prima
percezione del movimento fetale (quickening), che segnala che il bambino sta
scalciando dentro il ventre.
A cavallo tra il secondo e il terzo trimestre la donna inizia a rendersi conto che sta
mettere al mondo il proprio bambino, modificando notevolmente l’esperienza
emozionale della gravidanza.
➢ Il terzo trimestre: il corpo si ingrossa tantissimo e si attende con ansia la nascita
Mal di schiena, crampi, formicolii, intorpidimento alle gambe, l’utero che preme
sempre più contro i nervi degli arti inferiori, contrazioni uterine irregolari mentre il feto
si posiziona nel canale del parto e il momento della nascita si fa sempre più vicino. In
questo trimestre è consigliato concedersi momenti di riposo e servirsi dell’auto di
familiari ed amici per assolvere mansioni quotidiane.
➢ La gravidanza non è un evento vissuto in solitaria
Esistono due forse in grado di plasmare la vita emotiva delle donne durante tutto l’arco
della gravidanza.
• Le preoccupazioni per il lavoro → Un fattore destinato a minare la gioia è l’ansia
per le preoccupazioni economiche. Il conflitto famiglia-lavoro è la questione più
importante da affrontare per i genitori che lavorano.
• I problemi relazionali → Il fattore più determinate sono proprio le relazioni
sociali. Se un dei partner sarà infelice durante la gravidanza, si ripercuoterà
anche sull’altro e anche dopo la nascita del bambino. L’atteggiamento di una
donna verso il proprio corpo durante la gravidanza dipende dalle relazioni con il
mondo.

➢ E i papà?
L’altro partner tradizionale della gravidanza, il papà, ha anch’esso un forte legame
con il futuro bambino, e quando la gravidanza non giunge al termine, può sentirsi
devastato al pari della madre.
Spesso gli uomini che vivono questa situazione devono portare un doppio fardello:
possono sentirsi obbligati a mettere da parte i propri sentimenti per concentrarsi
sulla propria compagna. Il mondo esterno stende a marginalizzare il dolore del
padre, ritenendolo solo femminile.
➢ Le minacce allo sviluppo prenatale
I difetti congeniti sono problemi di salute che si manifestano già alla nascita. Non tutti
questi difetti compromettono la capacità del bambino di vivere una vita soddisfacente.
Esistono due ordini di cause per questo genere di problema: le tossine e le malattie
genetiche.
➢ Le minacce dall’esterno: i teratogeni
Un teratogeno è qualsiasi sostanza in grado di attraversare la placenta e danneggiare
il feto. Una malattia infettiva può essere teratogena, come pure un farmaco e una
sostanza stupefacente; oppure un rischio ambientale, come le radiazioni o
l’inquinamento o, addirittura, gli ormoni rilasciati dalla madre in condizioni di stress
estremo.
➢ I principi fondamentali della teratogenicità
In genere le sostanze teratogene causano danni durante il periodo sensibile, quello in
cui un particolare organo o sistema giunge a maturazione.
• I teratogeni hanno maggior possibilità di causare danni gravi durante lo stadio
embrionale. C’è la possibilità che i teratogeni colpiscano la blastocisti prima
dell’impianto, ma è molto più alta la probabilità di un danno durante il periodo
in cui si formano gli organi.
• I teratogeni possono influenzare lo sviluppo del cervello per tutto il periodo della
gravidanza. Durante il secondo e terzo trimestre, nel quale il cervello va
sviluppandosi, la possibilità di un danno causato dai teratogeni può portare
disturbi dello sviluppo, ovvero qualsiasi condizione che compromette il
normale sviluppo, come un ritardo, problemi dell’apprendimento o iperattività.
• Con i teratogeni esiste un livello di guardia oltre il quale si verifica il danno. Per
esempio, assumere quantità eccessive di caffeina può portare ad un’esposizione
maggiore.
• L’azione nociva dei teratogeni è imprevedibile, in quanto dipende da
vulnerabilità insite nella madre e nel figlio.
L’effetto di un teratogeno in genere si manifesta durante l’infanzia, eppure non è detto
che non ci siano possibilità che si manifesti più avanti (anche sotto forma di cancro).
➢ L’impatto teratogeno dei farmaci e delle sostanze stupefacenti
Cosa può accadere al bambino se la madre fuma o consuma alcolici?
• Fumo → La nicotina provoca la costrizione dei vasi sanguigni, riducendo
l’afflusso di sangue al feto e impedendo il passaggio di molti nutrienti. Inoltre, i
bambini nati da madri fumatrici, sono meno capaci di regolare il proprio
comportamento e sono più inclini a sviluppare atteggiamenti antisociali.
• Alcol → Negli anni ’70 si ha la prova dell’esistenza del FAS, la sindrome
alcolica fetale, che prevede diverse caratteristiche presenti nel bambino in gradi
diversi, come una nascita sottopeso fino ad arrivare ai ritardi e alle crisi
epilettiche. Nel momento il cui l’alcol attraversa la placenta provoca alterazioni
genetiche in grado danneggiare lo sviluppo neurale. A seconda dei paesi, però,
il tema dell’alcol durante la gestazione varia notevolmente.

➢ Il problema della misurazione


Secondo i ricercatori, quando il feto è deprivato di sostanze nutritive e/o esposto ad un
forte stress materno (che dà il via ad un’abbondante produzione di cortisolo, ormone
che serve per far fronte allo stress) le anomalie della crescita predispongono il suo
ingresso nel mondo avvertendo uno “stato di deprivazione” che lo induce a mangiare
eccessivamente o ad accumulare grasso corporeo. Questo, quindi, produce un effetto
boomerang, predisponendo il feto all’obesità e ad una durata della vita breve.
➢ Le minacce dall’interno: le anomalie cromosomiche e genetiche
I difetti definiti “genetici” derivano da due cause: un numero anomalo di cromosomi
oppure la presenza di un gene (o più) difettoso.
➢ Le anomalie cromosomiche
Il corredo cromosomico di norma contiene 46 cromosomi divisi a coppie. Eppure, a
volte possono venir concepiti embrioni con un cromosoma in più o in meno. La
maggior parte termina con un aborto spontaneo nel primo trimestre.
A volte, tuttavia, nascono e sopravvivono bambini con un numero anomalo di
cromosomi sessuali. In questi casi in genere i problemi sono rivolti all’apprendimento
o alla sterilità.
La sopravvivenza è possibile anche quando l’anomalia è presente in un’altra specifica
coppia cromosomica. L’esempio più comune è dato dai bambini affetti di sindrome di
Down.
La sindrome di Down è dovuta da un errore detto non-disgiunzione, in cui un viene a
crearsi una copia di un gamete che aderisce alla coppia cromosomica 21, portando il
bambino ad avere 47 cromosomi anziché 46. Il cromosoma soprannumerario causa la
formazione di caratteristiche fisiche comuni. I bambini con sindrome di Down sono
esposti ad un rischio elevato di malattie. Al raggiungimento della mezza età, questi
soggetti in genere sviluppano la malattia di Alzheimer.
Un secolo fa i bambini affetti da sindrome di Down raramente sopravvivevano all’età
adulta, venivano rinchiusi in istituti dove passavano il resto della vita. Oggi c’è
un’aspettativa di vita di 60 anni.
Sopra i 40, le probabilità di avere un bambino affetto da sindrome di Down aumentano:
quanto più l’ovulo invecchia, tanto tende a sviluppare difetti cromosomici.
➢ Le malattie genetiche
Le malattie monogeniche sono dovute alla mutazione di un singolo gene e vengono
ereditate secondo tre modalità di trasmissione: possono essere dominanti, recessive o
legate al sesso.
Ognuno di noi eredita una copia di un dato gene da ognuno dei genitori, così che
vengano a formarsi le coppie cromosomiche.
Un membro di ogni coppia può essere dominante, ovvero si manifesterà sempre nei
figli. Si parla quindi di malattie dominanti, dove il genitore porta nel suo DNA il gene
problematico e il figlio avrà il 50% di probabilità di ammalarsi.
Se entrambi i geni sono recessivi la malattia verrà ereditata solo in caso il figlio ha
ereditato due geni difettosi. Parliamo di malattie recessive, dove a meno che non
erediti due coppie alterate del gene (una dal padre e una dalla madre), il figlio non sarà
ammalato -o avrà meno possibilità di esserlo.
Nelle malattie legate al sesso, in genere è la madre a portare il gene recessivo (non
manifestato nella vita reale) della malattia su uno solo dei due cromosomi X. Poiché
ereditano dal padre un altro cromosoma X, le femmine sono generalmente sane. I figli
maschi invece hanno il 50% di probabilità di ereditare la malattia, a seconda che
ricevano dalla madre la versione normale o alterata del gene X. Eppure, anche le figlie
femmine hanno la possibilità di ricevere la malattia, in particolare quando la madre è
una portatrice e il padre è affetto dalla malattia.
Oggi è possibile intervenire per cercare di “curare” alcune delle malattie dovute a difetti
di un singolo gene. Non vengono però “curate” nel senso tradizionale del termine, non
è possibile cambiare il gene, ma è possibile agire sul versante “cultura”, quindi sulle
condizioni ambientali. I progressi più importanti sono stati fatti nel campo dei test
genetici, dove anche grazie ad un’analisi del sangue è possibile verificare se una
persona possiede i geni di varie malattie.
➢ Gli interventi
Due portatori di gene valutano l’ipotesi di avere figli, come devono muoversi?
➢ Valutare tutte le opzioni: la consulenza genetica
Il primo passo è quello di richiedere una consulenza genetica da un professionista, che
esporrà le probabilità del bambino di contrarre la malattia. Esso informare la coppia
sui trattamenti aggiornati, sui costi che comporta avere un figlio affetto da una certa
malattia. Il suo compito è far comprendere le condizioni alla coppia, in modo che loro
possano prendere autonomamente una decisione.
➢ Gli strumenti diagnostici: i test prenatali
Gli esami del sangue svolti nel primo trimestre sono in grado di rilevare varie anomalie
cromosomiche, come la sindrome di Down. Il più noto test diagnostico del feto è
l’ecografia a ultrasuoni.
Esistono anche tecniche più invasive, che richiedono l’ingresso nell’utero. Per
esempio, durante il primo trimestre, l’analisi dei villi coriali (CVS) permette di
diagnosticare un’apia gamma di malattie genetiche ed anomalie cromosomiche. In
questo test viene prelevato un pezzetto di placenta su cui vengono condotte varie
analisi. Quest’analisi è comunque pericolosa, potendo portare ad aborti e possibili
danni agli arti. Durante il secondo trimestre, esiste un test detto amniocentesi, dove
viene prelevato un po’ del liquido amniotico. Questo test va eseguito in un periodo ben
preciso e anch’esso ha il rischio di portare aborti o infezioni.
➢ Infertilità e nuove tecniche riproduttive
L’infertilità è l’incapacità di concepire un bambino dopo un anno di rapporti sessuali
non protetti. Essa non è causata solo da un problema “femminile”, ma anzi può derivare
anche da problematiche maschili.
L’infertilità può rappresentare un durissimo colpo sia per le donne sia per gli uomini,
in egual misura. Spesso i maschi sono sottoposti a grande pressione per dover provare
la propria virilità tramite la procreazione, per non essere additato come “impotente”.
➢ Le tecniche di fecondazione assistita
Per quanto riguarda le donne esistono vari tipi di trattamenti per aiutare la
fecondazione: dalle terapie farmacologiche che stimolano l’ovulazione alle
somministrazioni di ormoni per favorire l’impianto dell’ovulo fecondato; agli
interventi chirurgici alle tube di Falloppio fino all’inseminazione artificiale
(inserimento sperma nell’utero tramite siringa).
Sul versante maschile gli uomini possono ricorrere a terapie farmacologiche o
interventi chirurgici per migliorare la motilità degli spermatozoi.
Alcune coppie, come ultima risorsa ricorrono alle tecniche di procreazione
medicalmente assistita (PMA). Tra queste la procedura più utilizzata è la
fecondazione in vitro (FIV), dove dopo aver somministrato dei farmaci per stimolare
l’ovulazione, si prelevano gli ovuli e si mettono in un barattolo insieme agli
spermatozoi del partner. Passati alcuni giorni, gli ovuli fecondati vengono inseriti
nell’utero. Questa tecnica permette anche a partner dello stesso sesso di poter avere
figli biologici.
Le tecniche di procreazione assistita possono essere molto costose, soprattutto se in
ballo ci sono terzi.
➢ La nascita
Durante le ultime settimane di gravidanza, la testa del feto si posiziona verso il basso,
l’utero inizia a contrarsi in occasione del parto, la cervice uterina si appiattisce e diventa
più soffice.
Ma cosa innesca il travaglio?
• Fase 1: dilatazione e appiattimento della cervice → È la fase più faticosa. La
cervice deve appiattirsi fino a scomparire e dilatarsi. Ciò avviene mediante
contrazioni, ovvero movimenti muscolari simili ad onde. Queste esercitano una
pressione di 15 chili sulla cervice al fine di espanderla. Inizialmente le
contrazioni sono più distanziate una dall’altra, man mano che la cervice uterina
si dilata, divengono più frequenti e dolorose.
• Fase 2: la nascita → Il feto scende lungo l’utero ed entra nel canale del parto, la
vagina. L’apparizione della testa del bambino prende il nome di affioramento.
• Fase 3: l’espulsione della placenta → La placenta e le altre strutture di supporto
devono essere espulse per evitare infezioni e aiutare l’utero a tornare allo stato
precedente alla gravidanza.

➢ I rischi alla nascita


I rischi alla nascita, come problemi nel meccanismo delle contrazioni, l’insufficienza
della dilatazione, la posizione sbagliata del bambino (parto podalico) e altre difficoltà
ai nostri tempi possono essere superate con facilità grazie a varie tecniche ostetriche,
al contrario di un tempo.
➢ Le diverse opzioni riguardo al parto: passato e presente
In passato la gravidanza e il parto stesso erano visti come un cammino dall’esito
incerto, più causa di morte che felicità. Neanche i medici erano di grande aiuto e, anzi,
spesso peggioravano la situazione con i loro metodi primitivi e le scarse abitudini
igieniche.
Le cose andarono progressivamente migliorando verso la fine del diciannovesimo
secolo, anche se il parto in ospedale per le donne di classe media arrivò verso il 1930,
dove l’ostetricia acquistò lo status di vera scienza e il tasso di mortalità perinatale crollo
a livelli molto bassi. Eppure la donne incominciarono a ribellarsi alle procedure
ospedaliere da catena di montaggio e con l’arrivo del movimento femminista (‘60/’70)
le donne incominciarono ad informarsi di nuovi metodi come il controllo della
respirazione e il coinvolgimento del partner. Fece la sua comparsa il movimento per il
parto naturale.
➢ Il parto naturale
Il parto naturale è oggi una delle possibili opzioni a disposizione delle donne per
quanto riguarda il travaglio e la nascita. Le partorienti possono scegliere di affidarsi a
centri per le nascite che creano atmosfere casalinghe invece che di un ricovero
ospedaliero, o anche di affidarsi ad una doula, una figura che si occupa di dare consigli
per affrontare la gestazione e il parto.
➢ Il taglio cesareo
Il taglio cesareo è un intervento chirurgico dove viene fatta un’incisione nella parete
addominale e nell’utero della donna in modo da poter estrarre manualmente il bambino.
In genere il cesareo è l’estrema soluzione a travagli e parti problematici.
➢ Il neonato
Cosa accade dopo la nascita? Quali sono i pericoli che il bambino deve affrontare?
➢ Gli strumenti diagnostici: i test sul neonato
Il primo passo da compiere è quello di valutare le condizioni generali del piccolo,
mediante un sistema di punteggi chiamato indice di Apgar. La somma dei punteggi
del piccolo (ognuno va da 0 a 2) deve essere superiore a 7: in caso contrario il bambino
deve essere rianimato o comunque monitorato per qualche tempo in ospedale.
➢ Le minacce allo sviluppo nella fase neonatale: nascere troppo piccolo o troppo
presto
I bambini nati prematuri sono quelli con più di tre settimane di anticipo sul termine
previsto. Quelli classificati sottopeso alla nascita pesano meno di 2,5 kg.
Le cause di un parto prematuro possono derivare sia dallo stress e dal fumo, sia da
fattori incontrollabili, come un’infezione che provoca la rottura del sacco amniotico o
la debolezza della cervice.
I neonati che nascono meno di 1,5 kg sono classificati come neonati con un forte
sottopeso alla nascita: essi in genere vengono al mondo molto prematuramente e
vengono portati in centri medici specializzati e accolti in unità di terapia intensiva
neonatale.
➢ L’evento impensabile: la mortalità infantile
La prematurità è la prima causa di mortalità infantile, una definizione con cui si
indicano le morti nel primo anno di vita.
Esiste un forte legame tra le condizioni socioeconomiche e i problemi connessi alla
gestazione e nascita.

Capitolo 3 – La prima infanzia: lo sviluppo fisico e cognitivo


➢ La crescita del cervello
Ciò che provoca enormi cambiamenti nella prima infanzia è lo sviluppo e la
maturazione del cervello.
La corteccia cerebrale, ovvero lo stato esterno del cervello, è la sede di ogni
percezione, azione e pensiero consapevole. A causa della notevole grandezza della
corteccia, la specie umana è l’unica ad avere una crescita considerevole al di fuori del
grembo materno: nei primi quattro anni di vita il volume si quadruplica e ci vogliono
più di vent’anni affinché raggiunga la piena maturazione. La corteccia inizia a dirigere
il nostro comportamento appena qualche mese dopo la nascita.
Durante il periodo fetale e il primo anno di vita le cellule che compongono il cervello
migrano verso la superficie superiore del tubo neurale. In questo punto iniziano a
crescere, dando luogo a lunghi assoni, fibre nervose che hanno il compito di condurre
gli impulsi lontano dal corpo cellulare. Da essi si diramano o i dendriti, numerose
ramificazioni che ricevono l’informazione (l’impulso) e la conducono verso il neurone,
o le sinapsi, che è lo spazio tra l’assone di un neurone e i dendriti di un altro.
La sinaptogenesi, ovvero il processo che dà origine a miriadi di queste connessioni, è
la base di ogni abilità umana. Un altro mutamento cruciale porta il nome di
mielinizzazione, il processo in cui una guaina di sostanza grassa, la mielina, si forma
attorno alle fibre degli assoni. Essa è il lubrificante che permette agli impulsi neurali
di scorrere con flusso costante e veloce.
La sinaptogenesi e la mielinizzazione avvengono a velocità diverse in specifiche aree
cerebrali. Nella corteccia visiva, gli assoni sono completamente mielinizzati durante il
primo anno di età, mentre, per esempio nei lobi frontali la guaina mielinica è ancora in
formazione attorno ai 20 anni. La vista sarà essenziale fin da subito, mentre non c’è
veramente bisogno di possedere particolari competenze prima dell’età adulta. Esiste
quindi un chiaro parallelismo fra sviluppo delle nostre capacità e i tempi di maturazione
del nostro cervello.
➢ Il pruning neurale e la plasticità del cervello
Dopo una fase caratterizzata da un’abbondante produzione di sinapsi, ogni regione
della corteccia è sottoposta a un periodo di pruning (letteralmente “potatura”) delle
sinapsi e morte delle cellule neurali. Questo ricambio di strutture neurali riflette
l’evoluzione delle abilità intellettive. Il fenomeno avviene dunque in periodi differenti,
assecondando lo sviluppo di una certa area cerebrale: esso è di fondamentale
importanza.
La nostra corteccia è malleabile e quindi dotata di una certa plasticità (capacità di
cambiamento), soprattutto durante gli anni di infanzia e fanciullezza. Essa può
adattarsi, cambiare, allo scopo di garantire all’individuo il superamento di un’ipotetica
lacuna (come il rafforzamento dell’udito e del tatto nelle persone nate non vedenti).
Ciò rappresenta una manifestazione evidente dell’interazione tra natura e cultura.
Nonostante il progetto della nostra corteccia cerebrale viene inscritto dai geni fin dal
concepimento, sono gli stimoli ambientali ad avere un ruolo di rafforzare determinate
reti neurali e individuare quali invece saranno sottoposte al pruning. Questo processo,
parallelo al continuo sviluppo individuale sul piano intellettivo, avviene per tutto l’arco
della vita umana.
Quindi i principi che regolano lo sviluppo del cervello sono:
• Non è quindi possibile per un bambino imparare a fare qualcosa prima che l’area
cerebrale deputata sia pienamente matura;
• La stimolazione “modella” i neuroni, quindi le esperienze che facciamo nel
mondo esterno intervengono sulla struttura fisica del nostro cervello;
• Il cervello è in “costruzione” per tutta la vita.

➢ Le attività fondamentali del neonato


Mangiare, piangere e dormire.
➢ La nutrizione: il fondamento della vita
Durante la prima infanzia l’attività del nutrirsi si trasforma notevolmente.
➢ I cambiamenti evolutivi: dai riflessi del neonato alla cautela del bimbo di 2 anni
nella scelta dei cibi
I neonati sembrano riuscire a nutrirsi anche mentre dormono. La ragione sta nel fatto
che alla nascita i bambini sono dotati di un riflesso di suzione. Nel neonato è presente,
inoltre, il riflesso di ricerca del seno materno: il piccolo gira la testa verso qualunque
cosa lo sfiori cercando di succhiare.
I riflessi sono attività automatiche che non dipendono dalla corteccia cerebrale, ma
hanno anzi una funzione chiara, legata alla sopravvivenza del piccolo. Il neonato nei
primi mesi di vita possiede anche il riflesso di prensione (aggrapparsi a tutti ciò che gli
sfiora il palmo) e di deambulazione.
Con la maturazione della corteccia cerebrale i riflessi sono sostituiti dai meccanismi di
risposta volontari. A 4 o 5 mesi i neonati non succhiano più in continuazione, ma la
suzione è regolata dal condizionamento operante: cominciano a succhiare solo alla
vista del seno materno, in risposta a quel delizioso rinforzo. In questa “fase orale”, così
definita da Freud, il bambino ha l’istinto di portarsi tutto alla bocca, per conoscere e
sperimentare.
Verso i due anni i bambini iniziano a divenire più “schizzinosi”, mangiando solo cibi
conosciuti: questo, che appare come qualcosa di negativo, non è altro che un
meccanismo difensivo che riducono il rischio di avvelenarsi nel periodo in cui iniziano
a muovere i primi passi. Questa cautela nei bimbi di due anni nella scelta dei cibi è
assolutamente normale.
➢ Il latte materno: il primo alimento naturale
In passato, le malattie infettive nonché acqua e cibi contaminati erano causa della morte
di molti neonati: l’allattamento al seno rappresentava quindi un vero e proprio gesto
salvavita. Anche oggi, nei paesi poveri, questa scelta ha lo stesso impatto di un tempo.
In uno studio longitudinale, i bambini che erano stati allattati al seno per un periodo
più lungo dimostravano meno comportamenti disturbanti, come aggressività e capricci,
nonostante si trattasse di bambini geneticamente a rischio. Eppure, questa correlazione
tra varabili non implica che l’una sia la causa dell’altra. Forse è semplicemente
l’intenso impegno della madre di accudire il figlio, e quindi anche allattarlo, che
attenua la tendenza temperamentale del bambino a comportarsi male. Importante
sottolineare che le donne che allattano per più mesi, tendono ad appartenere a classi
sociali più benestanti -non avendo il bisogno di tornare subito a lavoro dopo la nascita.
➢ Il dolore fisico
Anche in caso la donna possa permettersi il lusso di allattare per alcuni mesi, può
accadere che sia il suo corpo a deluderla. Questa attività può essere molto dolorosa,
anche se naturale.
➢ La malnutrizione: un grave problema del mondo in via di sviluppo
In torno ai sei mesi, in cui il neonato si è nutrito di latte materno, egli deve incominciare
ad assumere cibi solidi. Nei paesi meno sviluppati la malnutrizione colpisce duramente.
La condizione che caratterizza la malnutrizione è il ritardo della crescita statuale
nei bambini al di sotto dei cinque anni, che hanno un’altezza inferiore al quinto
percentile rispetto alla misura normale della loro età. La statura molto bassa è sintomo
di una carenza nutritiva cronica, che è in grado di compromettere qualunque aspetto
dello sviluppo del bambino.
La carenza di micronutrienti, come il ferro, lo zinco e la vitamina A, nei paesi in via
di sviluppo sono dilanianti. Malattie quali la sindrome di Kwashiorkor possono colpire
anche in presenza di un’ampia scelta di cibo.
Quando si parla di insicurezza alimentare ci si riferisce a quelle situazioni in cui il
nucleo familiare, per ragioni economiche, non riesce a garantire una dieta bilanciata o
teme che i fondi destinati al cibo possano esaurirsi.
➢ Il pianto: il primo segnale comunicativo
Il pianto, che fin dal primo mese di vita è il mezzo di comunicazione utilizzato dal
neonato, attorno al quarto mese di vita si evolve. Con la maturazione della corteccia
cerebrale, il pianto diminuisce e il bambino inizia ad utilizzare il pianto come mezzo
di comunicazione dei suoi bisogni.
Il pianto a volte è visto come qualcosa di negativo, eppure il piangere poco può
significare che il piccolo abbia un problema neurologico. Anche piangere troppo, di
continuo, può voler dire che il bambino stia soffrendo di quel tormento della prima
infanzia che sono le coliche, che derivano dal sistema nervoso non ancora maturato
appieno.
➢ Cosa può calmare il pianto di un neonato?
• Tenere il bambino stretto al proprio corpo, in un contatto pelle a pelle, ha un
evidente effetto fisiologico, poiché riduce nel neonato i livelli di cortisolo,
l’ormone dello stress.
• La marsupioterapia, ovvero la pratica di trasportare il neonato in una sacca o
in una fascia, può aiutare la crescita dei bambini nati prematuri.
• Il massaggio infantile è un’altra strategia per calmare il neonato. Ha efficacia
sia nel favorire l’accrescimento ponderale dei bambini prematuri, sia nel curare
i disturbi del sonno.

➢ Il sonno: lo stato prevalente del neonato


Il sonno è ciò che rappresenta maggiormente ogni neonato. I bambini di circa due
settimane dormono sulle 14 ore al giorno, svegliandosi ogni tre o quattro ore e
iniziando a piangere.
➢ I cambiamenti evolutivi: dalla segnalazione, all’autoconsolazione, alle
variazioni nel sonno REM
Entro i primi 3 mesi di vita, il sonno si sposta prevalentemente alle ore notturne e meno
a quelle diurne. Intorno ai 6 mesi avviene un cambiamento radicale: il neonato dorme,
in genere, sei ore per notte. Ad un anno di età la durata più comune si aggira verso le
12 ore di sonno per notte, a cui si aggiungono pisolini di mattina e pomeriggio. Verso
i due anni il bambino smette di fare i sonnellini e in età prescolare spesso il sonno si
limita alle ore notturne.
Il sonno dei bambini differisce da quello dell’adulto. Quando ci addormentiamo
passiamo attraverso quattro stadi che portano alla fase finale, quella REM,
caratterizzata da rapidi movimenti oculari. Quando un bambino si addormenta entra
immediatamente nella fase REM e passa in questo stadio la maggior parte del tempo
in cui dorme. È solo con l’adolescenza che si stabilisce il ciclo del sonno tipico
dell’adulto.
I bambini, comunque, non dormono mai tutta la notte: intorno ai sei mesi sviluppano
la capacità di autoconsolarsi, cioè di calmarsi da soli e rimettersi a dormire.
➢ Cosa favorisce lo sviluppo della capacità autoconsolatoria in un bambino?
Secondo i comportamentisti tradizionali, la risposta al pianto del bambino al non
riuscire prendere sonno sarebbe ignorarli, in modo da non rinforzare il comportamento.
Al contrario, Bowlby che mette una certa enfasi sul legame di attaccamento ed Erikson
con il suo concetto di fiducia di base, riterrebbero fondamentale una risposta più tenera
e consolatoria al pianto del piccolo.
Alcune ricerche hanno dimostrato che i genitori abituati a seguire sempre la stessa
rassicurante rutine, fatta di gesti tranquilli, sereni ed affettuosi, al momento di mettere
a letto il bambino, tendono ad avere figli con minori problemi di sonno. Quando si
passa molto tempo a far addormentare il piccolo, i livelli di cortisolo calano. La chiave
per favorire il sonno (a qualsiasi età) è il sentirsi avvolti dall’amore.
➢ Dormire insieme o non dormire insieme?
In passato la pratica del co-sleeping, ovvero il dormire insieme al proprio bambino, era
vista in modo negativo. In alcune culture tutt’ora questa pratica è qualificata come un
abuso infantile o come la causa di un matrimonio infelice.
La maggior parte dei genitori adottano una strategia intermedia: dormire nella stessa
stanza ma in letti (o culla) separati. Ciò permette di favorire l’allattamento al seno e
eventualmente di accertarsi che non si verifichi la SIDS, la sindrome della morte in
culla (o sindrome della morte improvvisa del lattante).
➢ La sindrome della morte improvvisa del lattante
Con sindrome della morte in culla (SIDS) si intende la morte inspiegabile, spesso
durante il sonno, di un lattante apparentemente sano nei primi mesi di vita. La SIDS è
la principale causa di morte infantile nel mondo industrializzato.
Mediante le autopsie sono state individuate delle cause di questo fenomeno. I
ricercatori hanno riscontrato delle anomalie in una particolare area del cervello: i
bambini colpiti da SIDS avevano troppi o pochi neuroni in una sezione del tronco
encefalico responsabile della coordinazione dei movimenti della lingua e del
funzionamento delle vie respiratorie durante l’inalazione.
Questa tragica eventualità può dipendere non solo da problemi biologici prenatali, ma
anche da cause ambientali. In particolare, la sindrome è legata alla possibilità di
soffocamento accidentale dovuta alla posizione a pancia in giù del sonno. In questo
caso, per diminuire il rischio di SIDS è consigliato di evitare il co-sleeping in modo
che il piccolo possa dormire supino.
➢ Lo sviluppo sensoriale e motorio
Già prima che il feto lasci il grembo materno è possibile notare come alcuni dei suoi
sensi abbiano già iniziato a svilupparsi: durante l’ecografia a ultrasuoni è possibile
notare come il bambino reagisca ai rumori forti sobbalzando. Oltre l’udito, anche la
vista inizia a svilupparsi intorno al settimo mese di vita intrauterina.
➢ Cosa vedono i neonati?
I ricercatori utilizzano la tecnica del paradigma dello sguardo preferenziale per
studiare le capacità sensoriali e cognitive precoci del bambino, basata sul principio che
siamo attratti dalle novità e preferiamo guardare cose nuove. I neonati sono anche
soggetti all’habituation (abituazione) ovvero la prevedibile riduzione di interesse
verso un oggetto nuovo dopo un po’ di tempo.
I neonati, in alcuni paesi, verrebbero considerati ciechi, avendo un’acuità visiva molto
differente da quella degli adulti. Eppure, il maturamento della vista avviene
velocemente e intorno al primo anno di età i bambini vedono altrettanto bene degli
adulti.
Gli studi sulla percezione dei volti (la capacità di dare un senso a un volto umano) si
fondano proprio sui fenomeni dello sguardo preferenziale e dell’habituation.
➢ La preferenza per i volti umani
I neonati hanno la capacità di operare distinzioni. Per esempio, tendono a preferire la
foto della madre che quella di una sconosciuta. Inoltre, mostrano una preferenza per i
volti più attraenti (in genere quelli più simmetrici).
La preferenza per il volto umano si affina verso i due mesi, dove i piccoli preferiscono
guardare volti che parlano piuttosto che facce immobili o silenziose. A quattro mesi i
bambini sono più affascinati da oggetti colorati che da un volto incolore. I bambini di
otto mesi mostrano una netta preferenza per i volti.
Intorno alla stessa età (8 mesi) i bambini guardano selettivamente le foto che mostrano
espressioni impaurite, piuttosto che felici o arrabbiati. Questo bias della paura -
un’ipersensibilità verso le espressioni facciali di paura- sembra iscritto geneticamente
nella nostra specie allo scopo di proteggerci dai pericoli.
Verso i nove mesi il neonato diventa meno sensibile alle differenze facciali all’interno
di gruppi etnici differenti dal proprio. Mentre i bambini di tre mesi hanno uno sguardo
preferenziale verso i volti nuovi di qualsiasi appartenenza etnica, a dimostrazione di
riconoscere le differenze fra individui di vari gruppi etnici, verso i nove mesi riescono
a compire distinzioni solo tra individui della stessa etnia. Questo fenomeno è dovuto
al pruning.
➢ Il pregiudizio è già parzialmente programmato?
Ricerche condotte in passato suggeriscono che trascorrere il primo anno di vita in un
ambiente omogeneo dal punto di vista etico può favorire il pregiudizio. Dunque,
nascere in una città multiculturale, come per esempio New York, può rendere più
tolleranti verso le altre etnie, essendo che questo tipo di esperienza ci permette di essere
visivamente programmati alle emozioni vissute da chi appartiene ad altre etnie.
➢ La percezione della profondità e della paura delle altezze
La percezione della profondità si sviluppa nei bambini appena iniziano a muoversi in
autonomia, in particolare quando iniziano a gattonare (verso gli 8 mesi). Eleanor
Gibson, per comprendere al meglio la percezione della profondità della prima infanzia,
escogita il precipizio visivo, ovvero un tavolo che a metà sembra interrompersi in un
dislivello: il bambino pur vedendo dall’altro capo del tavolo uno dei genitori,
comunque non riesce a proseguire in quella direzione, pensando di cadere.
➢ L’aumento delle dimensioni corporee
Dalla nascita, il nostro cervello si espande in modo considerevole, ma ciò che aumenta
ancora di più è il nostro corpo. Durante la prima infanzia, come nella crescita nel
grembo materno, lo sviluppo del corpo procede secondo una sequenza cefalo-caudale,
cioè dalla testa verso i piedi.
➢ Le tappe fondamentali dello sviluppo motorio
Tutti e tre i principi applicati durante lo sviluppo del bambino nell’arco della gestazione
si applicano anche alle tappe dello sviluppo motorio di esso. I bambini dapprima
riescono a sollevare la testa, poi a ruotare la parte superiore del corpo, poi a stare seduti
appoggiati e in fine di alzarsi in piedi (sequenza cefalo-caudale). I bambini riescono
prima ad avere il controllo delle spalle e solo dopo delle braccia e delle dita (sequenza
prossimale-distale). Ma il principio più importante che regola lo sviluppo motorio è
quello in cui i movimenti dei bambini, man mano che crescono, da grossolani si
affinano (sequenza grosso-fine).
➢ La variabilità (e le gioie) della mobilità infantile
Fatta eccezione per i bambini con disturbo dello sviluppo, la velocità con cui i bambini
raggiungono le tappe fondamentali dello sviluppo motorio non ha alcun rapporto con
il successivo sviluppo delle capacità intellettive.
➢ La casa a prova di bambino: il primo adattamento persona-ambiente
La casa a prova di bambino è un ambiente reso sicuro per un bambino che ha appena
iniziato a camminare.
➢ La cognizione
Lo schema motorio non è altro che il metodo abituale che abbiamo per farci strada nella
realtà fisica. Come il passo usato sulla Terra non potrebbe andare bene su Marte, anche
i bambini devono riuscire a comprendere e quindi portare continui aggiustamenti ai
loro movimenti, ripetendo ogni azione più e più volte. È proprio su questo che si basa
quello che Piaget definisce stadio sensomotorio dello sviluppo cognitivo.
➢ Lo stadio sensomotorio di Piaget
Piaget sosteneva che durante i primi due anni di vita il nostro compito consiste nel
conoscere la realtà fisica del mondo esplorandola attraverso i nostri sensi. I bambini
attuano un processo di assimilazione -cioè adattano il mondo esterno a ciò che sanno
già fare- e uno di accomodamento. Attraverso l’uso della bocca i bambini fanno uso
dei due processi di assimilazione e accomodamento, che li porta da un utilizzo di atti
riflessi all’uso del ragionamento e del pensiero simbolico.
➢ Le reazioni circolari: abitudini che permettono di capire la realtà
Piaget, osservando i suoi figli, scoprì che i progressi dello sviluppo mentale erano ciò
che egli definì reazioni circolari, cioè abitudini o schemi orientati all’azione, che il
bambino ripete di continuo.
A partire dai primi riflessi, nel corso dei primi quattro mesi si sviluppano le reazioni
circolari primarie, azioni ripetitive incentrate sul corpo del neonato (mettersi il dito
in bocca ripetutamente, sgambettare per ore e così via).
Intorno ai quattro mesi compaiono le reazioni circolari secondarie. Con il rapido
sviluppo della corteccia cerebrale, il bambino acquisisce la capacità di raggiungere
oggetti, quindi gli schemi orientati all’azione si concentrano sull’ambiente esterno. Nei
mesi successivi le reazioni circolari secondarie diventano più coordinate, fino ad
arrivare agli otto mesi, dove il neonato riesce a compire due reazioni circolari
simultaneamente.
Intorno al primo anno di età, compaiono le reazioni circolari terziarie. Ora il bimbo
non è più vincolato, è libero di agire come un piccolo scienziato, pronto a sperimentare
cosa accade lanciando oggetti, facendoli cadere, sputando il cibo e così via.
La prima infanzia è un’età dominata da un desiderio insaziabile di ripetere azioni
interessanti. Il concetto di Piaget sulle reazioni circolari spiega quindi quella che viene
chiamata la fase del piccolo scienziato. Le reazioni circolari permetto al bambino di
riconoscere le proprietà fondamentali del mondo fisico.
➢ I primi segni del pensiero
Secondo Piaget un chiaro segno di pensiero è l’imitazione differita, ossia la ripetizione
di un’azione di cui il bambino è stato testimone tempo prima. Un altro segno di capacità
di ragionamento sta nel giocare a “fare finta”: per fingere di pulire o parlare al telefono
come la mamma, il piccolo deve capire che una certa cosa ne significa (ne rappresenta)
un’altra.
Ma il segno principale dell’emergere del ragionamento sta nella comparsa del
comportamento strategico o consapevolezza di mezzi/fine, in cui il bambino è
capace di compiere un’attività per raggiungere un certo scopo (premere un interruttore
per far accendere la luce, girare la maniglia per far aprire la porta e così via).
➢ La permanenza degli oggetti: la percezione del mondo come stabile
Con il termine permanenza degli oggetti si intende la consapevolezza che gli oggetti
esistano anche quando noi non li vediamo. Piaget riteneva che questa percezione non
sia innata, ma che si sviluppi gradualmente durante lo stadio sensomotorio. Intorno ai
cinque mesi i bambini apprendono quindi che anche se un oggetto cade, non scompare
nel nulla. Eppure, intorno ai nove/dieci mesi, i bimbi commettono un errore detto
errore “A non B”. Mentre il bambino guarda, si nasconde per alcune volte un oggetto
in un nascondiglio, lasciando che il bambino lo trovi e poi, sotto il suo sguardo si sposta
l’oggetto in un nuovo nascondiglio: ma il bambino lo cercherà in quello precedente!
➢ Le critiche alla visione di Piaget
Nonostante le intuizioni di Piaget abbiano trasformato il modo in cui gli scienziati
guardano l’infanzia, le sue tempistiche si sono rivelate scorrette. Non avendo a
disposizione strategie quali lo sguardo preferenziale e l’habituation, Piaget non arrivò
alle scoperte attuali fatte dagli psicologi dello sviluppo. Per mezzo di queste tecniche
abbiamo scoperto che i bambini molto piccoli hanno una conoscenza della vita molto
più ampia di quella teorizzata da Piaget. Ecco con esattezza cosa sanno i ricercatori
attualmente:
• I bambini comprendono i fondamenti della realtà fisica ben prima del primo
anno di vita;
• La comprensione della realtà fisica emerge gradualmente durante la prima
infanzia.
Con teoria dell’elaborazione delle informazioni si intende un approccio alla
spiegazione dei fenomeni cognitivi che suddivide l’abilità di pensare in diversi
passaggi e processi, in analogia ad un computer.
➢ Al cuore di ciò che ci rende umani: la cognizione sociale dei bambini
Con cognizione sociale si intende qualsiasi capacità legata alla gestione e alla
decodifica delle emozioni, e all’interazione con gli altri esseri umani. Un tratto
caratteristico della specie umana consiste nell’inferire i sentimenti e le finalità altrui
sulla base delle loro azioni (ha sbattuto la porta quindi deve essere arrabbiato, sta
correndo quindi deve essere in ritardo).
In un esperimento dove vengono mostrati due video, uno con un pupazzo che cerca di
aiutare un altro e un altro video dove un pupazzo cerca di impedire il compito all’altro
pupazzo, a cinque mesi i bambini, trovandosi difronte ai due peluche, scelgono quello
buono. Eppure, verso gli otto mesi, con gli stessi video, i bambini tendono a scegliere
quello cattivo, con un principio che sembra essere “Mi piacciono le persone che sono
cattive nei confronti di chi è diverso da me”. La paura di qualcuno di diverso appare
proprio ad otto mesi!
➢ Il linguaggio: la tappa finale della prima infanzia
Piaget riteneva che l’acquisizione del linguaggio segnasse la fine dello stadio
sensomotorio, poiché la comparsa di tale abilità richiede che il bambino possa
comprendere che un simbolo è la rappresentazione di qualcos’altro.
➢ Natura, cultura e passione per l’apprendimento del linguaggio
La definizione di LAD, dispositivo per l’acquisizione del linguaggio, è stata coniata
da Chomsky per indicare un’ipotetica struttura cerebrale che permette alla nostra specie
la comprensione e la produzione del linguaggio. Questo concetto viene sviluppato in
relazione alla visione del comportamentista Skinner, che ritiene che ogni suono venga
imparato grazie ad un rinforzo che viene dato dopo averlo prodotto (questa teoria non
è assolutamente possibile). Tuttavia, la visione di Skinner non è del tutto errata: un
italiano nato in Italia impara l’italiano e non il cinese e viceversa. L’interazione fra
natura e cultura offre una spiegazione a qualunque attività della nostra vita.
Gli psicologi dello sviluppo adottano la teoria dell’interazione sociale per spiegare lo
sviluppo del linguaggio che enfatizza la funzione sociale e la passione che bambini e
adulti nutrono per la comunicazione.
➢ Le tappe dello sviluppo del linguaggio
Il percorso che porta allo sviluppo del linguaggio si sviluppa in fasi distinte:
• Cooing – “tubare”, intorno al quarto mese (suoni come uuuh)
• Lallazione – composto da molte vocali, intorno il sesto mese, da qui emerge la
prima parola attorno agli undici mesi (come da da da)
• Olofrase – intorno a un anno di età, unica parola accompagnata da gesti, prima
vera produzione linguistica che con una parola il bambino comunica un’intera
frase
• Discorso telegrafico – tra i diciotto mesi e i due anni, combinazione di più parole
(come “Io succo”)
Le prime cinquanta parole circa vengono immagazzinate molto lentamente, e spesso si
tratta di oggetti più importanti nel loro mondo. Da 1 anno e mezzo e 2 anni, si ha una
crescita esplosiva del vocabolario. La prima fase di combinazione delle parole viene
detta del discorso telegrafico.
Il linguaggio rivolto al bambino, IDS, chiamato anche baby talk o madrese, utilizza
parole semplici, toni esagerati, vocali allungate e toni più acuti: questo stile discorsivo
riesce ad attirare l’attenzione del bambino. L’IDS può promuovere l’acquisizione del
linguaggio, sia nei bambini, sia negli adulti che si trovano a dover imparare una lingua
straniera.

Capitolo 4 – La prima infanzia: lo sviluppo sociale ed emotivo


➢ L’attaccamento: il legame fondamentale della vita
➢ Il contesto: come gli studiosi dello sviluppo si sono (lentamente) “affezionati”
all’idea dell’attaccamento
Per gran parte del ventesimo secolo gli studiosi dello sviluppo sembravano indifferenti
a questo legame. In un’epoca in cui la psicologia era dominata dal comportamentismo
(i bambini cercano le madri perché rinforzati dalla nutrizione), l’amore appariva
qualcosa di estraneo.
Gli psicoanalisti europei la pensavano in modo del tutto differente, ritenendo di
cruciale importanza l’attaccamento nella vita del bambino.
Gli etologi -precursori dei moderni evoluzionisti- avevano notato che ogni specie è
dotata di una risposta di attaccamento innata, cioè geneticamente programmata
(Konrad Lorenz e l’imprinting).
Solo grazie agli esperimenti poco ortodossi di Harlow, gli psicologi si convinsero che
il modello della madre quale semplice dispensatrice di cibo, era sbagliato. Egli separò
alla nascita delle scimmie dalle loro madri e le allevò in una gabbia in cui erano state
istallate una “madre” fatta di fili di ferro (che poteva dispensare cibo) e una “madre”
fatta in tessuto (che offriva un contato confortante). Le scimmie restavano incollate alla
madre di tessuto, protendendosi verso quella di filo di metallo per bere dai biberon.
Nelle situazioni stressanti i piccoli si rifugiavano sulla madre in tessuto per trarne
conforto. Il fatto di ricevere amore si dimostrò vincente sulla gratificazione del ricevere
cibo!
Inoltre, diventate adulte le scimmie non riuscivano ad approcciarsi alle loro coetanee,
avendone paura e dopo essere state fecondate artificialmente e partorito, si
dimostravano madri insensibili e maltrattanti.
Solo negli anni Sessanta, Bowlby mise insieme tutte le esperienze condotte dai
comportamentisti, dagli studi etologi di Lorenz, da Harlow e il suo stesso lavoro clinico
con i bambini separati dalle madri dopo la Seconda guerra mondiale. Egli, in una serie
di libri, sostiene che non esiste “l’eccesso d’amore materno”. Avere un profondo
legame affettivo con una figura primaria di attaccamento è essenziale per il normale
sviluppo del bambino.
➢ La risposta di attaccamento
Bowlby sosteneva l’importanza dell’attaccamento, sottolineando come al pari di ogni
altra specie, esista un periodo critico nel quale si manifesta la risposta di attaccamento.
Nonostante la risposta di attaccamento sia programmata ad emergere durante i primi
due anni dalla nascita, il comportamento di ricerca della vicinanza viene attivato ogni
volta che la nostra sopravvivenza è minacciata, a qualunque età.
Secondo Bowlby, le minacce alla sopravvivenza possono essere di due tipi. Una prima
possibilità è che derivino dalla variazione degli stati fisiologici interni (stanchezza,
malattia come febbre, influenza, ecc.). La seconda è che tali minacce derivino dal
mondo esterno (da piccoli l’incontro con un grosso cane, da più grandi un commento
spiacevole o un’esperienza umiliante, ecc.)
➢ Le tappe fondamentali dello sviluppo dell’attaccamento
Bowlby riteneva che nei primi tre mesi di vita il bambino si trovi nella fase di
preattaccamento. Ma intorno ai due mesi si raggiunge una tappa importante, quella
del sorriso sociale (si tratta solo di un comportamento riflesso, in risposta a qualsiasi
volto umano).
Intorno ai quattro mesi, il bambino entra in un periodo di transizione, in cui avviene la
formazione del legame di attaccamento (periodo delle reazioni circolari secondarie
secondo Piaget)
Intorno ai sette/otto mesi (inizio del periodo del piccolo scienziato) appare
l’attaccamento compiuto (o focalizzato), cioè lo stabilirsi di una risposta di
attaccamento conclamata.
La comparsa dell’angoscia da separazione segnala questa nuova tappa dello sviluppo,
dove il bambino inizia ad agitarsi nel vedere la persona che si prende cura di lui uscire
dalla stanza. Da qui i bambini iniziano ad avere paura degli estranei, il cui apice arriva
tra uno e due anni.
Con il termine riferimento sociale si descrive il comportamento dei bambini di un
anno circa nel voltarsi continuamente a controllare cosa fa la madre: questo
comportamento aiuta i piccoli a capire quali situazioni sono pericolose e quali sicure.
Ciò spiega perché i bambini di otto mesi diventino improvvisamente sensibili alla paura
(bias della paura).
I bambini in genere escono dalla fase dell’attaccamento focalizzato intorno ai tre anni.
Il loro legame affettivo con la figura primaria di attaccamento è forte, ma a questo
punto secondo Bowlby possiedono le capacità cognitive di avere sempre con sé un
modello operativo interno, ovvero una rappresentazione interiore del loro caregiver.
➢ Gli stili di attaccamento
Una collega di Bowlby, Ainsworth, ideò un test ormai classico per la valutazione
dell’attaccamento, la procedura della strange situation. La procedura prevede la
madre e un bambino di un anno dentro una stanza piena di giocattoli. Dopo che il
bambino ha avuto tempo di esplorare, all’interno della stanza entra uno sconosciuto e
la madre va via. Dopo alcuni minuti, la madre entra per consolare il figlio e poi esce
insieme allo sconosciuto, lasciando del tutto solo il bambino. I risultati ottenuti dai vari
bambini vengono divisi in sicuro o insicuro.
Per i bambini con attaccamento sicuro, la madre è una sorta di ancora sicura da cui
partire alla scoperta dei vari giochi. Con l’allontanamento della madre i bambini
possono dimostrarsi angosciati o meno, ma con il suo ritorno i loro occhi si illuminano,
manifestando il legame che li unisce andandole incontro.
I bambini con attaccamento insicuro possono invece reagire in tre modi differenti:
• Bambini che mostrano un attaccamento evitante, dove raramente mostrano
forti emozioni quando la loro figura se ne va o rientra.
• Bambini con attaccamento ansioso-ambivalente, dove si aggrappano alla
madre e sono troppo nervosi o spaventati per esplorare. Sono inconsolabili al
rientro del caregiver.
• Bambini con attaccamento disorganizzato, dove dimostrano un
comportamento bizzarro. Si immobilizzano o corrono qua e là in modo
imprevedibile, oppure appaiono spaventati al rientro della figura genitoriale.
I vari tipi di attaccamento insicuro però non stanno a indicare una debolezza nel legame
fra le due figure.
➢ La danza dell’attaccamento
Il bambino piccolo e il suo caregiver sono completamente immersi nella loro relazione.
Questa sincronia, la sensazione di essere emotivamente in sintonia, è ciò che fa della
relazione madre-figlio il modello del nostro concetto di amore romantico.
Ainsworth e Bowlby ritenevano che fosse proprio la capacità di “danzare”, ovvero la
sensibilità dei genitori ai segnali del piccolo, a produrre un attaccamento sicuro.
➢ Il caregiver
I genitori che interpretano male i segnali del piccolo, o sono respingenti, distaccati o
depressi, tendono ad avere bambini il cui attaccamento è insicuro. Il tipo di
attaccamento rispecchia, in qualche misura, quello della madre. Tuttavia, può esistere
anche una discrepanza tra il legame dei due. Quando ci si trova di fronte ad un
attaccamento insicuro è necessario ricordare che la “danza” deve essere fatta in due.
➢ Il bambino
I bambini differiscono fin dalla nascita grazie al loro temperamento, uno stile innato
con cui ciascun individuo si rapporta con il mondo. È quindi da mettere in conto come
anche la dotazione biologica possa produrre un certo stile di attaccamento. Un bambino
incalmabile può portare un caregiver ad essere più ansioso o depresso, portando a sua
volta un attaccamento insicuro, e viceversa.
➢ Gli altri legami affettivi del caregiver
La relazione con il partner, o la presenza di altre figure di riferimento, sono
fondamentali per il caregiver e per l’attaccamento che instaurerà con il suo bambino.
➢ L’attaccamento infantile è un dato universale?
I bambini in tutto il mondo sviluppano un legame di attaccamento con una figura
primaria. In più i bambini possono avere attaccamento sicuro verso un genitore e
insicuro verso un altro. Anche quando provano un attaccamento insicuro, i bambini
corrono tra le braccia di quella figura primaria in caso di turbamento, essendo essa la
persona con cui trascorrono più tempo. Dunque, è la quantità del tempo prestata alle
cure del bambino a suscitare questo tipo di risposta biologica programmata.
I bambini con un legame di attaccamento insicuro con entrambi i genitori vengono
chiamati “doppi insicuri”. Questi, tramite stuti longitudinali condotti, sono risultati
avere più problemi comportamentali in terza elementare.
➢ Lo stile di attaccamento del bambino è un indicatore della qualità delle sue
reazioni adulte e della sua salute mentale?
I bambini con un attaccamento sicuro hanno migliori relazioni sociali. Uno stile di
attaccamento insicuro presagisce una gestione problematica delle emozioni e difficoltà
nelle relazioni future.
Possono esserci casi di bambini con attaccamenti sicuri che a causa di grandi traumi
anche in età adolescenziale li porti ad un attaccamento di tipo insicuro. Lo stile di
attaccamento può ritornare sicuro, soprattutto grazie all’intervento dell’ossitocina,
“l’ormone dell’amore”, ovvero dunque a coinvolgimenti di tipo genetico.
➢ Il ruolo della genetica nella stabilità del legame di attaccamento
L’ossitocina è conosciuta come l’ormone dell’attaccamento, essendo che promuove il
legame bambino-adulto e la capacità di accudimento e allevamento nella prole nei
mammiferi.
Gli studi di Bowlby risultano quindi incompleti, non essendo destinati per tutta la vita
problemi se abbiamo carenze di cure durante la nostra infanzia.
➢ I contesti dello sviluppo infantile
➢ Quanto è diffusa la povertà durante la prima infanzia?
Una delle ragioni fondamentali della povertà durante la prima infanzia è l’alto numero
di madri single e dagli stipendi molto bassi con cui vengono salariati gli impiegati tra
i 25 e 34 anni.
➢ In che modo la povertà nella prima infanzia influenza il successivo sviluppo?
La povertà nei primi anni di infanzia ha un notevole impatto sulla fisiologia dei
bambini. Questa condizione può causare l’aumento di cortisolo nei bambini oltre che
nei genitori.
L’impatto maggiore della povertà si verifica principalmente in ambito educativo.
➢ Asilo nido e sviluppo
La maggior parte dei bambini che frequentano l’asilo nido continuano a mostrare un
attaccamento sicuro verso i genitori. Il fattore più importante per l’attaccamento si
rivela quindi essere la qualità del tempo trascorso insieme. In più, l’influenza
fondamentale sullo sviluppo dei bambini durante i primi anni di vita proviene da quel
che accade durante fra le mura domestiche, che ha un peso maggiore rispetto alle ore
trascorse al nido.
➢ Il periodo della toddlerhood: l’età dell’autonomia e della vergogna e del dubbio
Erikson ha parlato di autonomia come la prima prova che i bambini devono svolgere
per emergere da quel bozzolo che è la prima infanzia. L’autonomia comprende ogni
cosa, dall’eccitazione e la gioia della prima frase, alle crisi di nervi dei “terribili due
anni”. La difficile condotta e gli scoppi di ira sono normali nel periodo del piccolo
scienziato.
Erikson ha usato le parole vergogna e dubbio per indicare la spinta innata del bambino
alla conquista dell’autonoma che si risolve in un fallimento. Essere vergognosi e
dubbiosi è un passaggio fondamentale per lasciarsi alle spalle l’inconsapevolezza della
prima infanzia e fare il proprio ingresso nel mondo sociale. Durante il primo anno di
vita i bambini provano rabbia, gioia e paura. Al compimento del secondo anno
compaiono emozioni più complicate quali orgoglio e vergogna. La comparsa di queste
emozioni autocoscienti costituisce una tappa fondamentale nello sviluppo evolutivo
del bambino, a dimostrazione che stia diventando consapevole del proprio sé (tra i 2 e
3 anni).
➢ La socializzazione: la sfida dei 2 anni
Vergogna e orgoglio sono essenziali per la socializzazione, il processo con cui
apprendiamo a vivere nella comunità umana.
Grazie ad alcune ricerche condotte si è venuto a scoprire come i bambini nei “terribili
due anni” in modo in atteso, quando un genitore lascia la stanza dopo aver dato un
comando poco piacevole, i piccoli smettono di fare quel che vogliono fare loro,
dimostrando la loro capacità embrionale di coscienza, ovvero ascoltare mentalmente le
istruzioni del genitore.
Il fattore biologico sottolinea come alcuni bambini siano più bravi, portati, di altri a
resistere alle tentazioni. Cont molto anche il ruolo svolto dai genitori. Aiuta a far
comprendere le emozioni ai piccoli il definire ad alta voce cosa stanno provando i
piccoli in quel momento (“Sei molto arrabbiato ora!”).
I bambini timorosi sono più obbedienti, quelli più esuberanti, allegri e spavaldi sono i
più difficili da socializzare.
➢ Bambini esuberanti e bambini timidi
Lo psicologo Kagan ha condotto degli studi longitudinali sui bambini dal
temperamento timido. Ha classificato come inibito un bambino (di un anno) su cinque
tra coloro presi in esame: a loro agio nelle situazioni che conoscono, ma nervosi di
fronte a qualcosa di nuovo. I soggetti inibiti erano intimiditi davanti a giocattoli o
persone sconosciute. Nel test della strange situation impiegavano tempo per
avventurarsi ad esplorare, si agitavano e piangevano.
Una forte timidezza ha anche una base genetica. All’età di 4 mesi si agitano e piangono
eccessivamente. A 8 e 9 mei hanno difficoltà ad ignorare stimoli distraenti. I bambini
inibiti, da giovani adulti mostrano una maggiore attività nelle regioni del cervello che
governano le emozioni negative quando viene mostrato un volto sconosciuto.
➢ La socializzazione di un bambino timido
Con i bambini paurosi bisogna essere molto affettuosi e sensibili, ma anche spingerli
delicatamente a superare le loro paure. Esporre il piccolo a nuove situazioni sociali
incoraggianti è utile per insegnar loro a farvi fronte.
➢ Come allevare un bambino turbolento
Molti genitori che si trovano dinanzi a ad un vivacissimo esploratore che non riesce a
stare fermo ricorrono ad imporre la disciplina dell’affermazione del potere, che
significa urlare, sgridare e persino picchiare il piccolo. Un’altra risposta consiste
nell’arrendersi. Entrambe sono controproducenti.
Se un bambino di due anni fa le bizze, gli strumenti più efficaci consistono nel farlo
ragionare e aiutarlo a comprendere le sue emozioni. Ma in presenza di comportamenti
più gravi, la risposta migliore è quella di fissare dei limiti e mettere immediatamente
in punizione. Il miglior strumento di socializzazione però rimane l’attaccamento sicuro.
➢ Una strategia educativa che tiene conto delle differenze di temperamento
Una buona strategia educativa adottata dai genitori viene chiamata consonanza
ottimale (goodness of fit): i genitori adottano speciali accorgimenti (modificando
l’ambiente e adattandolo a loro temperamento) per ridurre al minimo la vulnerabilità e
i punti deboli dei loro bambini e accentuarne invece i punti di forza, ritrovandosi così
figli senza problemi.
➢ L’inclinazione a donare è inscritta nell’essere umano
Nei bambini di due anni non emerge solo la tendenza al conflitto, ma anche quella di
aiutare qualcuno in una ricerca di un oggetto, il consolare quando qualcuno si fa male,
l’offrire in modo spontaneo qualcosa di loro a qualcun altro.
Questo impulso di aiutare, offrire conforto e condividere nasce nella prima infanzia ed
è presente in tutte le culture del mondo.

Capitolo 5 – La prima fanciullezza


➢ L’età dell’esplorazione
Erikson ha individuato il compito psicosociale della prima fanciullezza nell’iniziativa.
La missione in questa fase, per Erikson, è quindi quella di esercitare con disinvoltura
corpo e mente.
Durante la media fanciullezza, la seconda fase di questo stadio, la sfida sta nello
sviluppare l’industriosità, fondamentale per arrivare al successo. Quindi il periodo di
mezzo, dove il bambino ha già imparato a camminare e parlare ma non ha iniziato a
frequentare la scuola primaria, è contraddistinto da una spinta a mettere alla prova i
propri talenti, prima di dover mettere a freno i desideri primari.
➢ Lo sviluppo fisico
Nei bambini della prima fanciullezza è possibile notare la manifestazione del principio
di crescita cefalo-caudale. La testa risulta grande e il corpo tozzo. Nel crescere poi gli
arti si vanno ad allungare e il corpo si assottiglia. Maschi e femmine si mantengono
delle stesse dimensioni fino alla preadolescenza.
Anche il principio di sviluppo grosso-fine, dove quindi i movimenti da goffi diventano
sempre più rapidi e sicuri, si sviluppa tra i 2 e i 6 anni.
➢ I due tipi di abilità motorie
Gli studiosi distinguono le abilità motorie in due grandi categorie: abilità grosso-
motorie (attività che implicano di grandi muscoli, come corsa, salti, arrampicata) e
abilità motorie fini (movimenti piccoli, coordinati, come disegnare e scrivere).
In genere le abilità grosso-motorie sono superiori nei maschi e quelle più fini sono
superiori nelle femmine. Ciò non esclude che le femmine non possano gareggiare
contro i maschi: questi ultimi sarebbero più veloci e potenti, le femmine avrebbero più
capacità fini di coordinazione, pareggiando la situazione.
Per migliorare le attività accademiche dei bambini è utile la riproduzione delle
immagini, eppure la prima fanciullezza dovrebbe essere coltivare soprattutto quelle
attività verso cui i bambini sono attratti spontaneamente. Ciò permette un buon
adattamento persona-ambiente.
➢ La mancanza di gioco all’aperto
Correre all’aperto è un’attività formativa per la mente del bambino: in uno studio, i
bambini in età prescolare che si dedicano a questi “giochi di esercizio” erano più
apprezzati dai coetanei.
➢ La mancanza di cibo
La malnutrizione, oltre a causare l’arresto della crescita, è dannosa anche per le abilità
motorie, sia grosse che fini, comprendendo lo sviluppo di ossa, muscoli e cervello.
Quando poi la malnutrizione è conica, i bambini sono troppo stanchi per muoversi o
comunicare.
➢ Lo sviluppo cognitivo
➢ Lo stadio preoperatorio teorizzato da Piaget
Lo stadio preoperatorio è definito sulla base della capacità mancante dei bambini
durante la prima fanciullezza di trattenersi dal seguire le proprie percezioni immediate.
Invece lo stadio operatorio concreto è definito sulla base della capacità dei bambini
di ragionare sul mondo in modo logico.
Nello stadio preoperatorio i bambini prendono le cose per quello che sembrano, non
sanno andare oltre le apparenze immediate. Solo verso i 7-8 anni i bambini
acquisiscono la capacità di trascendere mentalmente, entrando nella fase dello stadio
operativo concreto.
➢ Strane idee sulle sostanze
Il fatto che nello stadio preoperatorio il pensiero del bambino si fermi alle immediate
apparenze delle cose è dimostrato dai famosi compiti di conservazione sviluppati di
Piaget. In questo caso, il termine conservazione fa riferimento alla nostra
consapevolezza che la quantità di una sostanza resti tale al cambiare della sua forma.
Dopo aver fatto osservare una palla di creta e cambiatogli la forma, un bicchiere pieno
di succo e cambiatogli i contenitori, viene chiesto ai piccoli se le quantità sono le
medesime, ricevendo una risposta negativa.
Secondo Piaget i bambini non riescono a cogliere il principio di conservazione per due
ragioni. In primo luogo, non sono in grado di cogliere il concetto di reversibilità
(un’operazione può essere ripetuta nella direzione opposta). Una seconda ragione sta
nello stile percettivo generale definito concentrazione, che indica la tendenza dei
bambini ad interpretare le cose come più colpiscono i loro sensi.
Al raggiungimento dello stadio operatorio concreto i bambini riescono ad attuare il
decentramento, cioè a distaccarsi dalle apparenze e a tener conto di tutti gli aspetti
della situazione.
La concentrazione interferisce sul principio di inclusione di classe, ovvero la
consapevolezza che una categoria generale può abbracciare elementi subordinati.
L’idea che “più grande” equivalga a “di più” in senso quantitativo si estende a ogni
aspetto del pensiero preoperatorio.
➢ Modi peculiari di percepire le persone
I bambini piccoli mancano del senso di costanza dell’identità, cioè non capiscono che
le persone rimangono loro stesse anche quando appaiono in maniera differente dal
solito (capelli corti, travestimenti, ecc.). Trovandosi di fronte un uomo vestito da
gorilla, i bambini credono davvero che esso lo sia!
Per animismo si intende l’incapacità dei bambini di distinguere ciò che è davvero
animato, vivo. Con il crescere e diventare adulti questa abitudine ad attribuire
motivazioni umane a fenomeni naturali non va automaticamente perduta: gli esseri
umani hanno fatto ricorso all’animismo per dare un senso ad un mondo che li
spaventava.
Collegato all’animismo, c’è il concetto di artificialismo: i bambini credono che tutto
ciò che esiste in natura sia stato creato dagli esseri umani. Il bambino sa di essere vivo,
quindi applica il suo schema di “essere vivi” a qualsiasi oggetto.
Secondo Piaget, in più, i bambini nello stadio preoperatorio ritengono di essere al
centro dell’universo, il perno intorno a cui gira ogni altra cosa. La loro visione del
mondo è caratterizzata dall’egocentrismo, cioè l’incapacità di comprendere che le altre
persone possono avere punti di vista differenti dal proprio.
➢ Lo stadio operatorio concreto: sintonizzarsi sulla lunghezza d’onda degli adulti
Fra i 5 e i 7 anni, secondo Piaget, il pensiero dei bambini “comincia a sciogliersi”,
diventando meno statico. Lo sviluppo raggiunge il punto in cui il bambino non assimila
più l’esperienza negli schemi preoperatori già esistenti ed è pronto per portare il
ragionamento a un livello cognitivo più alto.
Questo livello superiore viene raggiunto verso gli 8 anni, età in cui il bambino entra
nello stadio operatorio concreto. Poco a poco, fino agli 11-12 anni, i bambini iniziano
ad acquisire il concetto di conservazione del numero, poi della massa e dei liquidi, fino
a quello più complesso della materia.
➢ Una valutazione delle teorie di Piaget
Piaget, oltre a sottovalutare le conoscenze dei bambini molto piccoli, ha dato troppa
importanza all’egocentrismo che scompare molto più precocemente degli 8 anni
previsti da lui. Un’altra concezione errata è quella dell’abbandono completo
dell’animismo verso i 7-8 anni.
Qualcosa di evidentemente trascurato nella sua teoria è stato l’impatto
dell’insegnamento nel promuovere la crescita cognitiva.
➢ Vygotskij e la zona di sviluppo prossimale
Secondo Piaget certe convinzioni dei bambini come l’animismo vengono superate solo
attraverso lo sviluppo di tappe ben precise. Vygotskij invece aveva una visione ben
diversa: era convinto che gli altri possano stimolare la nostra crescita mentale.
Oltre che psicologo fu anche un educatore, ed era convinto che gli adulti potessero
aiutare i bambini a progredire sul piano cognitivo.
Secondo Vygotskij l’apprendimento ha luogo nella cosiddetta zona di sviluppo
prossimale (ZSP), ovvero la distanza tra ciò che il bambino riesce a fare da solo e il
suo livello di sviluppo potenziale, ciò che riesce a fare sotto la guida di un adulto o altri
coetanei più capaci. Gli insegnanti, con il crescere delle competenze del bambino,
dovrebbero lentamente ritirarsi e lasciare sempre di più allo studente la responsabilità
di dirigere un particolare apprendimento. Questo procedere al giusto ritmo, adeguando
l’insegnamento ai tempi del ragazzo, è stato chiamato scaffolding, termine che indica
la costruzione di un’impalcatura di supporto per la crescita delle conoscenze. Una
forma di scaffolding è il IDS.
➢ Il linguaggio
Vygotskij individuò nell’uso del linguaggio il nocciolo della capacità di pensare del
bambino.
➢ Il discorso interiore
Secondo Vygotskij, l’apprendimento ha luogo quando le parole che un bambino sente
pronunciare da persone che hanno funzione di scaffolding, vengono interiorizzate e
diventano elementi di un discorso che il bambino rivolge a se stesso. Il pensiero,
secondo lo psicologo, è in realtà discorso interiore.
➢ Lo sviluppo del discorso
Per parlare come gli adulti, i bambini devono riuscire ad articolare i suoni che formano
le parole. I singoli suoni che compongono le parole sono detti fonemi. Quando non
sono in grado di articolare la sillaba successiva di una parola, possono ripetere suoni
simili (“baba” per biberon). Questi problemi spariscono quasi del tutto all’inizio della
scuola primaria.
La più piccola unità dotata di significato viene detta morfema (due morfemi per la
parola boys – boy e s). Man mano che i bambini crescono cresce il numero medio di
morfemi che compongono una frase, la cosiddetta lunghezza media dell’enunciato
(MLU).
Si apre così la strada verso l’acquisizione della grammatica di una frase, la sintassi.
Ma i cambiamenti più straordinari avvengono nel campo della semantica, ovvero la
comprensione del significato del testo.
Un errore comune commesso dai bambini piccoli è l’ipercorrettismo: verso i 3-4 anni
i bimbi spesso applicano regole generali a parole con forme irregolari, come verbi
(“tenduto” invece di “teso”). Un altro errore è quello di sovraestensione, cioè
estendono il significato di un’etichetta verbale a un campo troppo vasto (“cavalli” sono
tutti gli animali a quattro zampe); oppure di sottoestensione, restringendo troppo il
campo di una categoria verbale.
➢ Lo sviluppo emotivo
➢ La costruzione del nostro passato personale
Per memoria autobiografica si intende il ricordo degli avvenimenti della nostra storia
individuale: dai primi ricordi verso i 3-4 anni di età, fino ad un’esperienza vissuto
qualche giorno fa. La capacità dei bambini di capire che possiedono una memoria
autobiografia è data dalle conversazioni sul passato.
Ponendo enfasi sui modi specifici di pensare, le conversazioni sul passato
contribuiscono allo scaffolding dei valori che sono cari ad una determinata società.
I ricordi autobiografici tendono ad essere più ricchi quando sono in una relazione di
attaccamento sicuro. Gli esempi più terribili del fallimento della memoria
autobiografica (ciò che Freud chiamava repressione) sono stati rinvenuti in bambini
che erano stati portati via da una famiglia abusiva. Questi bambini con attaccamento
insicuro riportavano affermazioni false o negavano di ricordarci alcunché circa gli
eventi traumatici.
➢ Capire la mente degli altri
Solo verso i 4-5 anni i bambini incominciano a relazionarsi davvero con i coetanei, con
discorsi all’insegna della reciprocità (e non monologhi). A questo punto sono arrivati
alla tappa fondamentale dello sviluppo dove viene ad instaurarsi la teoria della mente,
cioè la comprensione che gli altri hanno prospettive diverse dalla propria. Per
dimostrare il raggiungimento di questa tappa è possibile effettuare il test della falsa
credenza. Questo test comprende un adulto e un bambino: nascondete un oggetto in un
punto A facendovi guardare dall’adulto e dal bambino, poi fate uscire l’adulto e sotto
lo sguardo del bambino spostate l’oggetto in un nascondiglio B. Chiedete al bambino
dove l’adulto andrà a cercare l’oggetto al suo rientro. Se il bambino ha meno di 4 anni,
probabilmente risponderà nel posto B, non rendendosi conto del fatto che ciò che lui
ha visto non può essere anche nella testa dell’adulto.
➢ Cosa accade quando i bambini sviluppano una teoria della mente?
La teoria della mente è essenziale per capire che gli altri possono non avere esattamente
a cuore i nostri interessi. Una ricercatrice ha effettuato un test basato su un pupazzo,
chiamato Mean Monkey, controllato da lei stessa. Per prima cosa chiedeva ai bambini
di scegliere l’adesivo che più preferivano, poi faceva in modo che se lo prendesse Mean
Monkey. I bambini di 4 anni comprendevano in fretta come dover giocare, iniziano a
dire al pupazzo che preferivano l’adesivo che in realtà non volevano. I bambini di 3
anni, invece, non riuscivano a comprendere il segreto per vincere.
Da qui si può confermare come la teoria dell’egocentrismo di Piaget sia errata: i
bambini capiscono che esistono altre menti già in età prescolare.
➢ Le differenze individuali nella teoria della mente
Nelle culture collettiviste i bambini impiegano più tempo ad afferrare l’idea che le
persone abbiano idee contrastanti, essendo abituati all’obbedienza.
Al contrario, i bambini occidentali con fratelli maggiori, con l’esperienza pratica a
scontrarsi tra loro comprendono la teoria della mente ad un’età inferiore a quella dei
figli unici. Anche i bambini bilingui raggiungono questo traguardo più velocemente
dei bambini tipici. Un anticipo o un ritardo nello sviluppo della teoria della mente più
avere effetti concreti, come popolarità, condivisione e aiuto, fino all’amicizia.
➢ Lo sviluppo sociale
➢ Il gioco: il lavoro della prima fanciullezza
Nella psicologia dello sviluppo, il “gioco libero” (non uno sport) viene classificato in
diversi modi come gioco di esercizio, ovvero l’attività del rincorrersi rincorrersi, e
gioco turbolento, ovvero i giochi di lotta. Il gioco turbolento è una componente legata
al patrimonio genetico dei maschi.
• Il gioco di finzione
Un tipo diverso è il gioco di fantasia o gioco di finzione, ovvero il “fare finta che…”
dove il bambino costruisce una scena fantastica, dove possono fingersi supereroi o
tanto altro.
• Sviluppo e declino del gioco di finzione
Il gioco di fantasia inizia a emergere verso la fine della prima infanzia. Le madri
favoriscono questa capacità. I bambini iniziano fingendo scene di vita quotidiana come
una telefonata. Intorno ai 3 anni, questa capacità di immaginazione viene condivisa
non più con i genitori ma con i pari. Il gioco collaborativo di fantasia si stabilisce
intorno ai 4 anni. La comparsa di questa forma di gioco, poiché necessita della capacità
di collaborare, dimostra lo sviluppo della teoria della mente nei bambini in età
prescolare. Solo a 4 anni i bambini iniziano a giocare veramente insieme, prima sono
come rette parallele.
Quando i bimbi raggiungono lo stadio delle operazioni concrete il loro interesse si
sposta su giochi strutturati.
• Scopi del gioco di finzione
Perché i piccoli giocano sempre “alla famiglia” e perché quando giocano i ruoli che
assumono devono essere sempre corretti?
Secondo Vygotskij:
• Il gioco permette ai bambini di fare pratica dei ruoli adulti.
Il gioco di finzione permette ai bambini di provare a fare gli adulti e fare pratica
su questo ruolo;
• Il gioco permette ai bambini di esprimere una sensazione di controllo.
I bambini nella prima fanciullezza, quindi, non sono esenti dallo stress.
Vygotskij riteneva che in risposta a queste frustrazioni, i bambini entrino in una
sorta di “ruolo illusorio” in cui hanno il controllo della situazione. Nel gioco
possiamo essere noi la mamma che mette in punizione o la regina del castello,
non sentendoci insignificanti.
Il sociologo Corsaro ho scelto di fare l’infiltrato in una scuola dell’infanzia
spacciandosi per un nuovo compagno (i bambini lo hanno accolto senza
problemi). Egli ha trovato che il gioco dei bambini in età prescolare è spesso
incentrato sugli eventi che più li spaventano e su come affrontarli, come quelli
si separazione e ricongiungimento, quelli di pericolo e salvataggio e a volte
anche sulla morte;
• Il gioco facilita nel bambino la comprensione delle norme sociali.
Corsaro ha rilevato come la morte fosse un argomento di gioco scottante, Ciò
conferma la terza intuizioni di Vygotskij sul gioco infantile: per quanto possa
apparire privo di struttura, esso si sviluppa sempre nell’ambito di limiti e regole
ben definite. Quindi il gioco insegna ai bambini come comportarsi e cosa non
fare.

➢ I modi del gioco separati dei maschi e delle femmine


Come si sviluppa il gioco con segregazione di genere?
➢ Esploriamo le due società separate
Durante la toddlerhood i segni con segregazione di genere sono pochi. Verso i 5-6 anni
si consolidano i giochi con segregazione di genere, anche se occasionalmente i bambini
giocano comunque in gruppi misti.
Il gioco dei maschi e quello delle femmine differiscono in molti aspetti.
• I maschi corrono irruenti avanti e indietro, le femmine chiacchierano tra loro
tranquille;
• I maschi preferiscono giocare in gruppo e in modo competitivo, le femmine
preferiscono giocare in due e in modo collaborativo.
Le differenze sono di dimensione del gruppo, nel modo in cui si relazionano con
il gruppo. I maschi cercano di stabilire una gerarchia di dominanza e competono
per essere il migliore. Le femmine spesso rappresentano ruoli di genere
altamente stereotipati. Un’altra ragione per la divisione di genere nel gioco è la
cattiva accoglienza dei maschi verso le femmine, che a loro volta decidono
quindi di voltargli le spalle;
• I maschi vivono in un mondo più separato ed esclusivo. Le bambine non
allontanano da sé tutti i giochi considerati maschili, mentre i maschi evitano di
giocare con giocattoli etichettati da femmina.

➢ Quali sono le cause del gioco infantile?


Perché i bambini nel gioco assumono ruolo di genere così stereotipati? Varie risposte
conducono all’interazione tre fattori biologici (natura), socializzazione (cultura) e
cognizione (modo di pensare).
• Base biologica → Molte prove suggeriscono che il gioco di ruoli di genere
stereotipati abbia una base biologica innata. I ricercatori hanno osservato la
quantità di testosterone presente nella saliva di bambine e bambini di 3 mesi di
vita, notando che ad alte concentrazioni di questo ormone, i membri di entrambi
i generi mostravano comportamenti di gioco spiccatamente maschili all’età di 2
anni. Inoltre, i feti femminili che nella vita intrauterina sono stati esposti a livelli
elevati di testosterone, da adolescenti mostrano interessi tradizionalmente
maschili.
• Effetto amplificante della socializzazione → L’ambiente rafforza la componente
biologica. Dalle immagini nei libri da colorare in età prescolare, agli approcci
tradizionali dei genitori verso i ruoli di genere e al colore rosa considerato
prettamente femminile, tutto contribuisce a rafforzare il messaggio che maschi
e femmine si comportano in modi diversi. I coetanei hanno un ruolo importante
nell’indirizzare questi comportamenti sessualmente stereotipati. I bambini
respingono i compagni che si comportano in modo atipico per il proprio sesso.
• Impatto della cognizione → Questi messaggi esterni vengono rinforzati da un
processo interno di natura cognitiva. Secondo la teoria dello schema di genere
una volta compresa la categoria di base a cui appartengono, i bambini si
impegnano selettivamente nelle attività tipiche del proprio sesso. Questa
etichetta viene compresa dai bambini verso i 2 anni e mezzo. Intorno ai 5 o 6
anni, quando i bimbi si impadroniscono del concetto di costanza dell’identità
comprendono che un maschio resta tale per tutta la vita e viceversa.

Capitolo 6 – La media fanciullezza


➢ Il contesto
Per Piaget, durante lo stadio operatorio concreto i bambini iniziano per la prima volta
a pensare alla vita in modo logico. Erikson ha poi approfondito le implicazioni di
questo progresso cognitivo. Durante la media fanciullezza (7-12 anni) i bambini si
rendono conto che per avere successo nella vita è necessaria l’industriosità: se vogliono
ottenere ciò che desiderano devono imparare a controllare i propri impulsi e
impegnarsi.
➢ Lo sviluppo fisico
I grandi traguardi della media fanciullezza si cui parlano Erikson e Piaget sono dovuti
ai lobi frontali.
➢ Lo sviluppo del cervello: lobi frontali e crescita lenta
La nostra corteccia cerebrale ci mette più di due decenni a svilupparsi del tutto: la
guaina mielinica, continua a formarsi anche dopo i 20 anni. Anche la sinaptogenesi
prevede tempi molto lunghi per lo sviluppo e il pruning. In particolare, è così per la
parte del nostro cervello che è responsabile sul ragionamento delle nostre azioni e della
gestione delle emozioni: i lobi frontali. In questa parte del cervello il processo di
pruning inizia solo verso i 9 anni, per questo si hanno molte aspettative verso i bambini
al termine delle elementari.
Insieme all’instaurarsi di queste capacità tipiche (responsabilità, cortesia con gli altri),
avviene l’espansione delle capacità motorie.
➢ Capacità motorie, obesità e salute
Rispetto al passato i bambini hanno perso abilità motorie a causa del fatto che i bambini
non giocano più regolarmente all’aperto.
Alcuni studi longitudinale hanno suggerito che i bambini orientati agli sport tendono a
essere più attivi da adulti; tuttavia, è possibile trovare persone che hanno raggiunto una
buona forma fisica in età adulta dopo essersi appassionati ad attività sportive. Il
cambiamento però si fa più difficile per chi soffre di obesità infantile. Già in età
prescolare, un elevato indice di massa corporea (BMI) predice una vita segnata da
problemi di peso.
Se i bambini si sviluppano in maniera normale, comunque, non è importante che
posseggano buone abilità motorie: non c’è alcuna relazione tra abilità grosso-motorie
e il successo accademico. Tuttavia, le abilità fini motorie sono un indicatore delle
future prestazioni scolastiche di natura mnemonica.
➢ Lo sviluppo cognitivo
➢ La teoria dell’elaborazione delle informazioni e la crescita individuale
Secondo i teorici dell’elaborazione delle informazioni, il pensiero indica vari passaggi
distinti. Alla base del pensiero c’è prima di tutto la memoria.
➢ Cos’è la memoria
I sostenitori della teoria dell’elaborazione delle informazioni ritengono che
l’informazione passi attraverso vari stadi, o depositi, differenti. Per prima cosa gli
stimoli provenienti dall’esterno passano nel deposito della memoria sensoriale per un
tempo molto breve; dopodiché gli elementi più importanti passano nel deposito della
memoria di lavoro.
La memoria di lavoro è la sede dove avviene l’azione cognitiva: è qui che
l’informazione raggiunge la nostra coscienza o viene eliminata. La capacità di deposito
della memoria di lavoro corrisponde a sette item, ovvero sette informazioni.
La capacità della memoria di lavoro aumenta enormemente durante la scuola
elementare. Ed è per questo che a 7-8 anni i bambini, raggiungendo lo stadio operatorio
concreto, finalmente possiedono la capacità di memoria necessaria per distaccarsi
dall’impressione immediata e capire ciò che stanno osservando in quel momento.
➢ Cosa sono le funzioni esecutive
Per funzioni esecutive si intendono tutte le abilità di autocontrollo esercitate dai lobi
frontali. Tre esempi connessi alla vita scolastica che mostrano come queste abilità si
sviluppino nei bambini di quarta e quinta primaria:
• I bambini più grandi ricorrono alla ripetizione per memorizzare;
• I bambini più grandi capiscono come utilizzare l’attenzione selettiva;
• I bambini più grandi hanno maggiori capacità di inibizione (ovvero la capacità
di non fare quello che ci viene spontaneo fare) che è anche un obiettivo tipico
della socializzazione.

➢ Il disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD)


L’ADHD è caratterizzato da irrequietudine e difficoltà nel concentrare l’attenzione ed
è il disturbo più diffuso tra i bambini. La capacità di restare seduti e concentrarsi è
fondamentale soprattutto durante la scuola primaria; quindi, la diagnosi viene
tipicamente formulata durante la media fanciullezza. L’ADHD riguarda in prevalenza
i maschi. Può comunque emergere a qualsiasi età e sparire come in dieci anni come in
pochi mesi.
L’ADHD ha una forte componente genetica, oltre che cause epigenetiche, come
l’essere esposti al fumo materno durante il periodo prenatale. Alcuni ricercatori
credono che derivi da un ritardo di maturazione dei lobi frontali, altri da un deficit dei
centri cerebrali inferiori. Tutti concordano però che l’ADHD porti un minor rilascio di
dopamina, un neurotrasmettitore che regola la sensibilità verso le ricompense.
Dato certo è che l’ADHD è associato alle funzioni esecutive. I bambini con questo
disturbo hanno difficoltà a utilizzare la memoria di lavoro e ad inibire i comportamenti.
Hanno problemi ad usare l’attenzione selettiva e svolgere attività sotto pressione del
tempo. Non sembrano influenzati da punizioni o premi, probabilmente a causa del
basso livello di dopamina.
➢ Come aiutare i bambini con ADHD
Il trattamento standard è la somministrazione di farmaci ad azione psicostimolante
insieme alla formazione dei genitori, che può essere molto importante.
I bambini con ADHD apprendono meglio in ambienti rumorosi, quindi si può
impostare un “rumore bianco” di sottofondo, rinforzando frequentemente e suggerendo
la possibilità di esercizio fisico quotidiano.
➢ Lo sviluppo emotivo
Regolazione delle emozioni è il termine utilizzato in psicologia dello sviluppo per
indicare la capacità di controllare e governare i sentimenti, in modo che non ostacolino
le possibilità di una vita produttiva.
I bambini con tendenza a comportamenti esternalizzanti hanno particolare difficoltà
a superare questa sfida, come i bambini con ADHD o quelli con comportamenti
aggressivi o dirompenti. Invece i bambini con tendenza a comportamenti
internalizzanti hanno il problema opposto: tendono a rattristarsi nelle situazioni
sociali, si mostrano timidi ed insicuri, appaiono spaventati o depressi.
➢ L’osservazione e la valutazione di sé
Come cambia durante la media fanciullezza l’autoconsapevolezza di un bambino?
A 3 anni ci si descrive in modo irrealistico (“sono sempre felice”) ed elencando i tratti
esteriori. Durante il periodo della media fanciullezza invece si riportano pregi e difetti
di natura interiore e psicologica. La Harter ritiene che allo stadio delle operazioni
concrete i bambini comincino a valutare realisticamente le loro capacità. L’autostima
inizia a diventare un aspetto molto importante ed è proprio all’inizio della scuola
primaria che essa tende a diminuire.
Quindi possiamo espandere la teoria di Erikson dicendo che per entrare nel mondo
reale il prezzo da pagare è l’industriosità e il senso di inferiorità. Ed è proprio questo
senso di inferiorità a scaturire l’industriosità.
Gli studi di Harter suggeriscono che nei ragazzi l’autostima sia fondata su cinque aree
fondamentali: la competenza scolastica, la condotta, la competenza atletica, il piacere
ai compagni e l’aspetto fisico.
➢ Le due forme di distorsione dell’autostima
Di fronte a gravi difficoltà i bambini con problemi esternalizzanti a volte reagiscono
negando la realtà e incolpando gli altri.
I bambini con tendenza a comportamenti internalizzanti invece hanno il problema
opposto: la loro forte ansia fa sì che interpretino come un fallimento personale
situazioni che in realtà sono neutre. Sono quindi esposti ad un rischio elevato di
sviluppare un senso di impotenza appreso, cioè la sensazione di non avere la
possibilità di cambiare il proprio destino, per cui non tentano neppure di farlo.
Quindi i bambini e gli adulti con queste tendenze opposte sono esposti al pericolo di
fallire, anche se per ragioni diverse.
➢ Come favorire un’autostima realistica
La vera autostima deriva dall’industriosità, ovvero l’impegno verso un obiettivo.
Occorre quindi stimolare il senso di autoefficacia e promuovere percezioni realistiche
di sé.
Accrescere il senso di autoefficacia nei bambini in campo accademico avviene
lodandoli per il loro impegno invece che fare apprezzamenti sulle loro abilità di base.
La tendenza a darsi etichette è una passione negativa tipica dello stadio operatorio
concreto, a seconda dell’etnia, del genere, dell’aspetto e tanto altro, abbassa anch’essa
l’autostima: installando nei bambini il messaggio che è l’impegno che conta, evita i
pregiudizi e salvaguarda l’autostima.
Incoraggiare una percezione di sé accurata, dando dei feedback continui su come si
comportano.
➢ Fare il bene: moralità e comportamento prosociale
La psicologia dello sviluppo usa il termine comportamento prosociale per indicare
atti eccezionali di autosacrificio (aiutare le altre persone prima di sé stessi) ma anche
azioni quotidiane di aiuto e sostegno ad altre persone.
Questi comportamenti non devono essere insegnati ma sono derivano già dai primi due
anni di vita.
➢ Variabilità individuale e di genere
Esistono però propensioni diversi nella natura umana a comportamenti etici e
premurosi.
Un bambino generoso ha molte probabilità di divenire un adulto con spiccati
atteggiamenti prosociali. In più, mentre i maschi tendono più all’azione (magari sfidare
un bullo), le femmine hanno più probabilità di portare conforto (magari ad un
compagno che sta subendo bullismo). La psicologia femminile è maggiormente
sintonizzata alla sofferenza altrui, eppure una maggior sensibilità al dolore emotivo
non per forza porta ad agire in modo prosociale.
➢ Un’interpretazione più approfondita del comportamento prosociale
Empatia è il temine usato per indicare quando una persona prova la stessa emozione
di un’altra.
Simpatia è invece il sentimento che proviamo per un altro essere umano, ci
dispiacciamo, ma non ne siamo angosciati.
I ricercatori ritengono che sia la simpatia ad essere legata al comportamento
prosociale e non l’empatia. Ciò sta nel fatto che provare le stesse emozioni di una
persona potrebbe farci comportare addirittura in maniera tutt’altro che altruistica, per
la paura o per tanto altro. Per comportarsi in modo prosociale si deve trasformare
l’empatia in qualcosa di meno intenso, come la simpatia.
Comportarsi in modo prosociale vuol dire che i bambini devono saper elaborare le
informazioni, capire quando essere generosi, questo spiega perché mentre i bambini di
2 anni sono generosi con tutti, quelli di 5 sono più selettivi. I bambini più grandi
adottano comportamenti prosociali se il loro aiuto può essere efficacie, mentre quelli
ancora nello stadio preoperatorio assumono che anche la loro coperta preferita possa
dar conforto a chiunque. Una motivazione dei bambini in età scolare a non agire in
modo prosociale è la loro mancata capacità di poterlo fare.
I bambini crescendo non divengono maggiormente prosociali. Il processo di
giustificazione delle proprie azioni si innesca con la crescita. Bandura chiamava questa
razionalizzazione della caduta morale ed etica con una giustificazione disimpegno
morale.
➢ Come favorire la socializzazione nei bambini
Necessario è dare il giusto ambiente di socializzazione, favorendo un attaccamento
sicuro e amorevole. Notare a voce gli atti prosociali compiuti dai bambini, attribuendoli
alla loro personalità (“sei davvero gentile a fare questo”).
In uno studio, i bambini di otto anni a cui era stato chiesto di raccontare un episodio in
cui avevano agito in modo generoso, successivamente si comportavano maggiormente
in modo prosociale, forse ricordandosi la bella sensazione provata.
Lo stile educativo ideale per favorire nel bambino lo sviluppo della prosocialità è la
tecnica dell’induzione: consiste nel portare il bambino che si è comportato male a
sentire empaticamente il dolore che ha causato all’altra persona. L’induzione, quindi,
funziona perché stimola il senso di colpa.
➢ Senso di colpa e azioni prosociali
In psicologia si distingue il senso di vergogna e il senso di colpa. La vergogna è il
sentimento che proviamo quando proviamo una forte umiliazione personale, il senso
di colpa è l’emozione che esprimiamo nel sentire di aver violato il nostro stesso codice
morale o aver ferito in qualche modo un’altra persona.
Benché entrambe le emozioni siano legate all’autopercezione, hanno effetti opposti. La
vergogna fa si che ci rifugiamo dal contatto con le altre persone e proviamo anche
rabbia per l’umiliazione subita e desiderio di contrattaccare. Il senso di colpa, invece,
ci porta a sentirci connessi con le altre persone, a volerci scusare e fare ammenda.
➢ Fare il male: l’aggressività
Con aggressività si intende la tendenza a far male, e per aggressione qualunque atto
teso a fare male, dall’umiliare, allo sparlare alle spalle, all’iniziare una guerra.
L’aggressività raggiunge il suo picco verso i 2 anni e mezzo, dove tutte le richieste non
ben accette dei genitori portano alla frustrazione.
Crescendo, le motivazioni ai comportamenti aggressivi infantili cambino. Durante l’età
prescolare al centro dei conflitti c’è un oggetto, mentre nel periodo della media
fanciullezza quando l’autostima è sviluppata, i bambini reagiscono con aggressività
quando vengono feriti nella loro sensibilità da altri.
➢ I diversi tipi di aggressività
Uno dei criteri di classificazione dell’aggressività è in base alle sue motivazioni. Il
termine aggressione strumentale indica un comportamento aggressivo utilizzato per
un fine desiderato (Tizio fa questo, in modo cha poter prendere il posto di Caio).
L’aggressione reattiva avviene in risposta all’essere feriti, minacciati o privati di
qualcosa (Caio, arrabbiato, fa questo a Tizio).
Secondo la teoria della frustrazione-aggressione, ogni volta che subiamo una
frustrazione, siamo biologicamente programmati a reagire o a rispondere con una
ritorsione.
Le reazioni aggressivi si possono distinguere anche in base alla forma. Il prendere a
pugni o urlare sono forme più aperte, mentre una forma più subdola è l’aggressione
relazionale, che comprende qualsiasi azione tesa a colpire le relazioni sociali di una
persona (mettere voci in giro, fare la spia ai danni di qualcuno, non invitare qualcuno
ad una festa dove sono invitati tutti gli altri). Il bersaglio dell’aggressività relazionale
è l’autostima dell’altro: durante la media fanciullezza, al contrario degli altri tipi di
aggressività che vanno diminuendo, quella relazionale aumenta.
Uno studio ha dimostrato che femmine e maschi utilizzano in egual misura
l’aggressività relazionale.
L’aggressività di per sé non è un “male”, aiuta a scalare la gerarchia sociale, ci aiuta a
sopravvivere, però l’aggressività rabbiosa e disorganizzata non è efficace: un eccesso
di aggressività reattiva garantisce che il bambino sarà incline ad avere problemi
relazionali per tutta la vita.
➢ Come interpretare i bambini molto aggressivi
I bambini che in età scolare mantengono una certa aggressività fisica vengono
etichettati come affetti da disturbi esternalizzanti e vengo descritti come insubordinati
e antisociali.
Vari studi longitudinali suggeriscono che esista una sorta di percorso a due fasi che
vede l’intreccio di fattori biologici e culturali che porta i bimbi ad essere etichettati
aggressivi.
• Fase 1 → il temperamento esuberante o difficile del bambino di 2 anni provoca
l’applicazione di una disciplina molto rigida (con una strategia di affermazione
del potere)
• Fase 2 → a scuola il bambino viene rifiutato dagli insegnanti e dai pari

➢ Una visione ostile del mondo


I ragazzi molto aggressivi tendono a sviluppare una differente disposizione cognitiva
che porta a una distorsione attributiva ostile, per cui sono portati a vedere come una
minaccia anche indizi sociali innocui (venire urtati per sbaglio e pensare che lo abbiano
fatto apposta).
➢ Domare un’aggressività eccessiva
La strategia migliore è evitare una disciplina basata su punizioni ed umiliazioni,
cercando invece di favorire i comportamenti prosociali.
Un corretto adattamento persona-ambiente, anche in questo caso, si rivela la strategia
migliore.
➢ Lo sviluppo sociale
➢ L’amicizia: il terreno di prova delle relazioni
L’essenza dell’amicizia sta nella somiglianza: i bambini sono attratti dalle persone
“come loro”, con le quali condividono interessi e attività.
Tuttavia, poiché si trovano dello stadio operatorio concreto, i bambini sviluppano
amicizie per motivi più profondi, come la condivisione di norme morali e il concetto
di lealtà.
Sullivan (importante autore di teorie sulla personalità) riteneva che il “migliore amico”
soddisfi quel bisogno evolutivo di conferme e intimità che emerge intorno ai 9 anni e
che esso sia un trampolino di lancio per le relazioni adulte romantiche.
➢ La funzione protettiva ed educativa degli amici
Gli amici stimolano anche lo sviluppo personale in due modi importanti:
• Hanno funzione protettiva e di rafforzamento del sé che sta evolvendo;
• Ci insegnano a controllare le nostre emozioni e a governare i conflitti.

➢ La popolarità: l’ascesa della gerarchia sociale dei pari


Lo stadio delle operazioni concrete rende i bambini molto sensibili ai confronti sociali,
per questo la popolarità in quel periodo risulta essere molto importante. Con l’età adulta
diventa un carattere più sfumato e siamo liberi di scegliere i nostri gruppi sociali.
➢ Interpretare la popolarità
Mentre nell’età della scuola primaria i bambini più popolari tendono ad avere
comportamenti prosociali, estroversi e gentili, dalla terza elementare la popolarità può
essere connessa a livelli elevati di aggressività relazionale.
L’aggressività relazionale è molto efficace per acquisire popolarità durante la
preadolescenza. Eppure, essere popolari non significa essere più apprezzati a livello
personale.
➢ I bambini rifiutati soffrono di disturbi esternalizzanti (o internalizzanti)
I compagni di scuola emarginano i bambini di scuola che fanno dell’aggressione
reattiva una modalità frequente di comportamento. In particolare, i bambini che
soffrono di ansia sociale tendono ad essere evitati dagli altri molto presto, fin dalla
prima elementare. Quando i bambini timidi iniziano le elementari innescano
un’interazione tra fattori ambientali e biologici: quanto più i bambini si rendono conto
di essere evitati, più la loro timidezza aumenta e di conseguenza il loro grado di
competenza sociale diminuisce, portando gli altri bambini ad evirare maggiormente
questi soggetti a causa dell’imbarazzo e nervosismo.
➢ I bambini che non si conformano al gruppo vengono rifiutati
I bambini che si distinguono dagli altri, in quanto diversi, sono esposti ad un alto rischio
di essere rifiutati. Spesso danno peso agli stereotipi di genere tradizionale, come il
reddito, l’etnia, la disabilità e qualunque altro fattore etichettabile come “diverso”,
“strano”.
➢ Il destino dei rifiutati
L’essere respinto dai compagni può portare a problemi psicologici, eppure all’ stesso
tempo, l’essere rifiutati può portare effetti sorprendentemente positivi. La natura dello
status sociale nell’infanzia è molto effimera.
➢ Il bullismo: il disimpegno morale in azione
I bambini più diversi, deboli, socialmente insicuri e persino “troppo bravi” sono quelli
più vulnerabili al bullismo.
Circa il 10-20% dei bambini che rimane vittima a vessazioni croniche dai pari, si divide
in due categorie. La prima è quella del bullo-vittima, dove il soggetto commette atti
di bullismo per poi riceverne a sua volta e così via, in un ciclo di sofferenza.
I classici bersagli sono i bambini a tendenza internalizzante, troppo ansiosi, tendono a
non reagire.
Un tempo la casa era un rifugio per i ragazzi vittima di bullismo: ora, a causa dei social,
non più. Il cyberbullismo, che comprende aggressioni per mezzi elettronici, è
potenzialmente più tossico del bullismo stesso. Compiere atti di bullismo online è più
facile emotivamente.
La causa di entrambi gli atti sono comunque le medesime: vendetta, svago, ricompense
sociali e rinforzi positivi da parte di pari. Il bullismo ha spesso bisogno di un pubblico
favorevole.

Capitolo 7 – I luoghi di sviluppo: la casa, la scuola e la comunità


➢ Il contesto
Con famiglia nucleare tradizionale si intendono quelle famiglie composte da coniugi
eterosessuali con figli naturali. Le famiglie ricomposte invece sono quelle con genitori
risposati e i cui figli crescono con un genitore e fratelli acquisiti. Esistono famiglie con
genitori mai sposati o con i coniugi omossessuali/bisessuali o con figli allevati
direttamente dai nonni. Il fenomeno più comune, però, è quello della famiglia
monoparentale, che spesso affrontano problematiche economiche.
➢ La casa
I bambini possono vivere felici in qualsiasi tipo di famiglia, l’importante è che i
genitori favoriscano un attaccamento sicuro e che siano sensibili ai bisogni dei piccoli.
➢ Gli stili genitoriali
Classificando i genitori in base all’essere premurosi e centrati sul bambino o il cercare
di dargli una struttura, Baumrind individuò i seguenti stili genitoriali:
• Genitori autorevoli dimostrano capacità elevate sia di offrire attenzione e
sostegno sia nello stabilire limiti e regole. Danno amore e libertà, ma hanno
chiari standard di comportamento.
• Genitori autoritari applicano regole e disciplina in modo inflessibile. Le regole
non sono negoziabili.
• Genitori permissivi non impongono ai bambini delle regole ferree. Sono i
bisogni dei bimbi a comandare.
• Genitori trascuranti/rifiutanti offrono scarso amore e scarsa disciplina. Figli
lasciati in balia di sé stessi.
Una disciplina genitoriale bilanciata (amore e disciplina) è correlata a comportamenti
prosociali nei bambini di diverse nazioni.
➢ Un’interpretazione più approfondita degli stili genitoriali
Il modello migliore è sicuramente dare regole chiare e molto amore, eppure spesso i
genitori non sono classificabili in questi modelli. La soluzione peggiore è proprio
quando i genitori usano le regole in modo incoerente, andando a peggiorare quindi la
saluta mentale del figlio.
Le critiche al modello di classificazione degli stili genitoriali di Baumrind portano a
chiedersi se non sia possibile che esistano occasioni in cui il bambino ha bisogno che
lo stile genitoriale vari, dove sia più autoritario o permissivo.
• Critica 1 → Lo stile genitoriale varia da bambino a bambino, adattandolo alla
personalità specifica del bambino
• Critica 2 → Lo stile genitoriale può riflettere l’ambiente sociale, e in particolare
la visione della Baumrind può risultare molto orientata al mondo occidentale,
non comprendendo paesi dove per via di credenze o necessità si utilizza uno stile
genitoriale diverso da quello ritenuto come migliore.

➢ L’argomentazione secondo cui i genitori non contano


Alcuni studiosi ritengono che contino più i geni del bambino che il comportamento
adottato dai genitori. Altri ritengono che più che i genitori, a contare sia il gruppo dei
pari, che ha una maggiore influenza sui soggetti. Eppure, come suggerito dalla teoria
ecologica dei sistemi di sviluppo di Bronfenbrenner le influenze sul comportamento
dei bambini sono numerose: dal gruppo dei pari a scola, dal quartiere alla nazione di
residenza. I genitori comunque hanno importanza, dovendosi sforzare di farli crescere
nel migliore ambiente possibile affinché sviluppino il loro potenziale genetico.
➢ Il favore dello stile genitoriale di qualità superiore
Esistono bambini resilienti, che nonostante le difficoltà sono in grado di fiorire, eppure
esistono anche i bambini vulnerabili che necessitano di attenzioni speciali e quindi di
uno stile educativo di qualità elevata.
➢ Le sculacciate
Le opinioni sulle punizioni corporali sono molto divise: c’è chi crede che siano
necessarie per imporre una buona disciplina e chi è assolutamente contrario.
Fino al diciannovesimo secolo erano pratica comune, in prigione, nell’esercito e in altri
luoghi. Castigare fisicamente le proprie mogli era legale, mentre oggi nelle democrazie
occidentali sono condannate. Alcuni paesi hanno prolungato questa condanna anche
nei confronti dei bambini.
Oggi la psicologia ritiene che le sculacciate non siano mai appropriate. Anche se
nell’immediato produce obbedienze, con il tempo porta il bambino ad inibire il
comportamento prosociale, perché lo spinge a focalizzarsi su se stesso.
Alcuni psicologi dello sviluppo (come la Baumrind) esprimono un giudizio
leggermente differente, ritenendo che eliminando del tutto le punizioni corporali, il
caregiver possa utilizzare più forme di abuso verbale, molto più dannose di una leggera
punizione fisica. Questi studiosi hanno individuato condizioni ben precise in cui la
punizione corporale è ammessa o meno: mai picchiare un bambino molto piccolo (al
di sotto dei due anni) non essendo in grado di controllare il proprio comportamento;
accompagnare la punizione fisica ad una spiegazione verbale, puntando sulla
punizione corporale come misura di riserva quando le altre strategie disciplinari hanno
fallito.
Molti studi hanno trovato una relazione tra le punizioni corporali e i problemi di salute
mentale.
➢ L’abuso infantile
Il maltrattamento infantile indica qualsiasi atto che minaccia il benessere fisico o
psicologico di un bambino. Si possono distinguere quattro categorie di maltrattamento.
L’abuso fisico, ovvero le azioni violente che lasciano segni sul corpo del bambino che
possono perfino causare la morte del bambino. La trascuratezza (o negligenza) è il
venir meno dei caregiver al loro dovere di fornire al bambino supervisione e cure
adeguate. L’abuso psicologico (o maltrattamento emotivo) indica gli atti di umiliare,
terrorizzare o sfruttare il bambino. L’abuso sessuale indica tutti quegli atti che
coinvolgono i bambini in pratiche sessuali, dallo stupro all’incesto, ai palpeggiamenti,
agli atti di esibizionismo.
Esiste una zona grigia in cui è difficile individuare le attività che vanno oltre i limiti:
queste difficoltà di classificazione spiegano in parte perché le statistiche sui
maltrattamenti varino a seconda di chi viene interpellato: dai risultati forniti da terzi, a
livello mondiale 3 bambini su 1000 hanno subito maltrattamenti fisici, mentre nelle
interviste con i soggetti adulti sulla loro esperienza personale indicavano tassi 10 volte
superiori.
➢ I fattori di rischio
Influenze di natura diversa possono combinarsi e portare i caregiver a commettere
abusi sui bambini.
I problemi di personalità dei genitori come disturbi psicologici (come la depressione)
o problemi esternalizzanti (come l’abuso di sostanze) portano una maggiore probabilità
di abusi sui propri figli.
Stress nella vita quotidiana associato a isolamento sociale, come la violenza domestica
o le condizioni di povertà, il sentirsi isolati dai parenti e amici che li potrebbero aiutare;
quindi, una scarsa efficacia collettiva può portare a comportamenti maltrattanti.
Le vulnerabilità individuali del bambino, come un bimbo piccolo che piange troppo o
che è permaloso possono alimentare questi comportamenti, pur essendo proprio loro
ad aver bisogno di più cure amorevoli da parte del caregiver.
➢ Le conseguenze dell’abuso
I bimbi vittime di abuso tendono a soffrire di disturbi internalizzanti o esternalizzanti.
Possono presentare deficit nelle abilità di teoria della mente, venire rifiutati dai pari e
avere addirittura problemi di sviluppo cerebrale!
Le esperienze traumatiche infantili innescano un deterioramento fisico a livello
epigenetico, portando questi bambini a soffrire maggiori problematiche di salute
nell’età adulta; corrono il rischio di rimanere coinvolti in relazioni amorose violente;
corrono il rischio di maltrattare a loro volta i figli.
Ciò nonostante, la maggior parte dei bambini maltrattati diventa un genitore
sufficientemente amorevole.
➢ Il divorzio
Il divorzio può portare allo svantaggio dei figli in alcune aree (come il rendimento
scolastico, socialità e salute mentale) oltre che problemi di natura economica.
Eppure, in genere i bambini si adattano facilmente a questa transizione, purché i
genitori tengano un atteggiamento autorevole e il divorzio sia privo di conflitti.
Ciò non significa che l’alienazione genitoriale, in cui un genitore inculca l’odio per
l’ex partner, sia rara. La tentazione di intraprendere aggressioni relazionali (mettere i
figli contro l’ex) solleva questioni legate all’affido e al diritto di visita.
Per quasi tutto il ventesimo secolo l’affido è stato regolamento accordato alle madri,
ritenute più abili a curare i figli, limitando ingiustamente la possibilità ai padri di essere
pienamente coinvolti nella vita dei propri figli.
Nei confronti dell’affido e il diritto di visita è necessario adottare un approccio centrato
sulla persona, in linea con la teoria di Bronfenbrenner.
➢ La scuola
➢ Disuguali alla partenza
La grande maggioranza dei bambini delle classi medio-alte riporta prestazioni superiori
alla media alla scuola dell’infanzia, mentre i bambini provenienti da famiglie povere
questa proporzione è nettamente più bassa. Questa partenza svantaggiata, con il tempo
non va a diminuire.
➢ Intelligenza e test del QI
I test di intelligenza tradizionali, detti test del quoziente intellettivo (QI) sono costruiti
in modo da misurare solo le abilità accademiche. I test di intelligenza differiscono dai
test di rendimento, utilizzati per la valutazione annua dell’acquisizione delle
conoscenze.
➢ La scala WISC
La scala WISC, sviluppata nella versione originale da Wechsler e di cui attualmente è
in uso la quinta versione, è lo strumento standard per misurare le abilità intellettive nei
bambini. La scala WISC rileva le abilità del bambino in quattro aree di base
(comprensione verbale, ragionamento fluido, velocità di elaborazione, memoria di
lavoro). Quando il punteggio ricade sul 50% della sua classe d’età, il QI del bambino
è di 100.
I bambini possono essere sottoposti a questo test durante la scuola primari, al
manifestarsi di difficoltà particolari. Lo scopo è determinare se il piccolo ha bisogno
di un aiuto speciale. Se un bambino ottiene un punteggio basso, inferiore a 70 di QI, e
se altri tipi di valutazioni confermano questa etichetta, si può diagnosticare una
disabilità intellettiva. Se il QI è molto più altro dei test di rendimento, si può
diagnosticare un disturbo specifico dell’attenzione (DSA). Questi ultimi soggetti
hanno molta difficoltà a seguire e spesso soffrono di dislessia. Se il bambino supera un
dato valore (di solito 130), il bambino viene classificato come plusdotato.
➢ Come interpretare il significato del test del QI
Fondamentale per i test di misurazione dell’intelligenza è l’affidabilità che stabilisce
l’accuratezza del risultato. Di anno in anno il punteggio non dovrebbe subire variazioni
notevoli o risulterebbe inutile.
Entro la scuola primaria il punteggio del QI tende a rimanere stabile. Il valore del QI
ha più probabilità di modificarsi dopo un evento particolarmente stressante; quindi,
non si dovrebbe sottoporre un bambino a un test del QI in periodi di crisi familiare.
➢ Questi test sono una buona misura della dotazione genetica?
Bambini in famiglie di immigrati o in situazioni di povertà, saranno svantaggiati nel
test WISC al confronto con bambini a cui sono stati offerti più stimoli per ampliare il
proprio vocabolario. Quando la famiglia non può permettersi i libri e giocattoli che
favoriscono l’apprendimento, i bambini affrontano il test con un handicap di partenza.
Nell’ultimo secolo i valori del QI sono aumentati in tutto il mondo, un fenomeno
chiamato effetto Flynn. Un maggior numero di anni di istruzione ha reso i bambini e
gli adulti del ventunesimo secolo molto più abili nel pensiero stratto rispetto ai loro
genitori e nonni.
Per i bambini provenienti da famiglie a basso reddito, il punteggio del Qi riflette
principalmente influenze ambientali. Per i bambini appartenenti alle classi medio-alte
il test riflette la loro dotazione genetica. Quindi il QI, in un bambino che proviene da
una famiglia povera, non è in grado di riflettere il suo vero potenziale intellettuale, a
meno che non sia esposto ai vantaggi educativi offerti dallo stile di vita delle classi
medio-alte.
➢ Il valore del QI è un indicatore del successo della vita reale?
Spearman riteneva che il punteggio del QI riflettesse un fattore intellettivo di base,
generale, che definì fattore “g” o intelligenza generale.
Secondo altri, invece, le persone hanno talenti intellettivi peculiari e non esiste una
qualità unidimensionale come il fattore “g”. Secondo loro è sbagliato pensare che le
persone vadano su una linea continua che va da estremamente intelligente a quelli che
non lo sono affatto.
In ogni caso, punteggi bassi o troppo elevati possono portare ferite interiori alle
persone, portandosi a sminuire ed eliminando i successi di una vita in un caso o
sopravvalutarsi in un altro.
➢ Verso una concezione più ampia dell’intelligenza
Gli psicologi Stenberg e Gardner hanno studiato come andare oltre il test del QI per
delineare una visione più ampia di cosa significhi essere intelligenti.
➢ Stenberg e la teoria dell’intelligenza di successo
Secondo Stenberg i test di intelligenza tradizionali fanno danni in ambito scolastico,
in particolare quando dopo dei punteggi bassi viene fatto seguire un percorso meno
impegnativo ai bambini, facendo calare ancora di più il QI.
Ancora di più, Stenberg ritiene che i test di intelligenza siano troppo limitati non
comprendo l’intera gamma delle capacità intellettive. Secondo lo psicologo il test del
QI misura soltanto l’intelligenza analitica, ovvero l’abilità di risolvere problemi
scolastici, mentre non misurano l’intelligenza creativa, ovvero la capacità di pensare
fuori dagli schemi. I test tradizionali non misurano neanche l’intelligenza pratica,
ovvero il “sapersela cavare” nel mondo vero e proprio di ogni giorno.
Stenberg sostiene che un’intelligenza di successo nella vita sia un’equilibrata
mescolanza di tutti i tipi di intelligenza descritti. (Più avanti viene aggiunto un quarto
tipo di abilità intellettiva: la saggezza).
➢ Gardner e la teoria delle intelligenze multiple
Gardner e la sua teoria delle intelligenze multiple dicono che le capacità umane si
presentano in otto, o forse nove, forme distinte.
Le persone possono essere dotate, oltre che di abilità linguistiche e logico-matematiche
misurate nei test del QI tradizionali, anche di intelligenza interpersonale (capire gli
altri), di intelligenza intrapersonale (comprendere sé stessi), di intelligenza spaziale
(comprendere l’organizzazione degli oggetti nello spazio), intelligenza musicale,
intelligenza cinestetica (la capacità di usare con perizia il proprio corpo), l’intelligenza
naturalistica (saper trattare con gli animali e le piante). Inoltre, è possibile che esista
anche un’intelligenza spirituale.
➢ Una valutazione delle due teorie
Né Gardner né Sternberg hanno elaborato uno strumento che possa sostituire
efficacemente l’attuale test del QI, eppure i loro studi hanno lo scopo di cambiare i
presupposti su cui si fonda l’insegnamento nel sistema scolastico.
➢ Strategie per la didattica
Uno studente può dare ottimi risultati in qualsiasi tipo di scuola, a condizione che le
scuole si impegnino seriamente nella didattica e che gli insegnanti riescano a stimolare
nei ragazzi il desiderio di apprendere.
➢ Esaminiamo le scuole di successo
Il successo di una scuola sta nel proporsi il conseguimento di standard elevati e nella
convinzione che tutti i bambini possano beneficiare di un lavoro concettuale che li
metta alla prova. Potremmo definire l’approccio di queste scuole come autorevole.
➢ Come suscitare nei ragazzi il desiderio di apprendere
L’apprendimento cessa di essere piacevole quando diventa un’imposizione, anziché
un’attività in cui si sceglie liberamente di impegnarsi.
➢ Il problema: l’erosione della motivazione intrinseca
Gli studiosi dello sviluppo distinguono due tipi di motivazione. Per motivazione
intrinseca si intende la spinta generata interiormente ad impegnarsi ad una certa
attività, quindi una spinta generata dal nostro desiderio. Il termine motivazione
estrinseca fa riferimento a tutte quelle attività che vengono intraprese per ricevere un
rinforzo esterno.
In uno studio classico vennero presi dei bambini con uno spontaneo interesse per l’arte.
Dopo che le loro produzioni artistiche furono incominciate ad essere premiate e
riconosciute come una bravura nel disegno, l’interesse di questi bambini a disegnare
solo per piacere di farlo declinò drasticamente. In più l’orientamento competitivo che
nasce durante la scuola primaria è un’ulteriore motivazione del declino della
motivazione intrinseca.
➢ La soluzione: impadronirci di quanto apprendiamo per motivazione estrinseca
L’elemento cruciale per trasformare lo studio da compito ingrato e pesante in un
piacere è mettere in relazione l’attività di apprendimento con gli scopi e i desideri
profondi dello studente. I compiti noiosi assumono rilevanza quando si rivolgono
direttamente alle passioni del bambino.
Deci e Ryan ritengono che l’apprendimento arrivi ad essere sostenuto da motivazioni
intrinseche quando soddisfa il nostro bisogno di relazioni affettive e quando
favoriscono il nostro bisogno di autonomi (o ci danno la possibilità di scegliere come
fare il nostro lavoro). Quindi tre punti fondamentali per portare una motivazione
estrinseca ad essere intrinseca nell’ambito scolastico sono: stimolare l’autonomia,
incoraggiare l’interesse personale e favorire la relazione.
Dagli studi di Chetty sono stati identificati tra i maestri quelli i cui studenti avevano
mostrato notevoli miglioramenti nei test di fine anno, denominandoli insegnanti ad alto
valore aggiunto, confrontandoli con maestri più tipici. Gli alunni di questi insegnati ad
alto valore aggiunto avevano maggiore probabilità di iscriversi all’università ed erano
meno inclini a diventare genitori durante l’adolescenza. Inoltre, all’arrivo della prima
età adulta, di solito guadagnavano più dei loro altri compagni di scuola e portava ad
una mobilità verticale, ovvero un miglioramento dello status sociale.

Capitolo 8 – Lo sviluppo fisico negli adolescenti


➢ La pubertà
La pubertà, ovvero l’insieme dei cambiamenti fisici ed ormonali attraverso cui i
giovani diventano sessualmente maturi ed entrano nell’età adulta, avviene in genere
durante la preadolescenza e nei primi anni dell’adolescenza.
➢ Il contesto: la pubertà nel quadro storico-culturale
In passato, e ancora oggi in alcune zone povere del mondo, la pubertà equivale al segno
per potersi sposare e procreare. In queste zone, al contrario di quelle industrializzate,
lo sviluppo che avviene nei corpi dei bambini viene celebrato con una cerimonia detta
rito della pubertà.
➢ L’abbassamento dell’età puberale
Con trend secolare dell’anticipo puberale si può notare come in passato la pubertà
veniva raggiunta molto più tardivamente. Nel 1860 l’età media del menarca (la prima
mestruazione) in Europa era superiore ai 17 anni. Un secolo dopo, nel mondo
industrializzato, questa media è scesa al di sotto dei 13 anni.
Per analizzare la tendenza secolare all’anticipo della pubertà, i ricercatori utilizzano
come riferimento il menarca in quanto segno della raggiunta della maturità sessuale. Il
segno analogico della maturità maschile, lo spermarca, cioè la prima emissione di
liquido seminale, p un evento molto meno evidente.
Il trend secolare è un riflesso del miglioramento dell’alimentazione: grazie ad una
migliore alimentazione, lo sviluppo avviene più velocemente.
➢ I programmatori ormonali
La pubertà è programmata da due centri di controllo. Un sistema è localizzato nelle
ghiandole surrenali (situate sopra i reni) che iniziano a rilasciare i loro ormoni intorno
ai 6-8 anni. Gli androgeni surrenalici, la cui produzione aumenta fino ai 20 anni,
determina la comparsa del pelo pubico, modificazioni della pigmentazione della pelle,
l’odore del corpo e le prime sensazioni di desiderio sessuale.
Circa due anni più tardi entra in azione l’asse HPG, così chiamato perché coinvolge
l’ipotalamo, la ghiandola pituitaria (o ipofisi) e le gonadi (ovaie nelle femmine e
testicoli nei maschi). L’attività di questo sistema è quello che porta a maggiori
cambiamenti del corpo.
La pubertà è provocata da tre reazioni a catena. Verso i 9 o 10 anni la produzione di
ormoni ipotalamici stimola l’ipofisi e incrementa la sintesi dei propri ormoni. Questo
fa sì che le ovaie inizino a generare estrogeni e i testicoli testosterone. Man mano che
questi ormoni sessuali aumentano nel sangue avviene una trasformazione fisica.
Maschi e femmine producono entrambi sia estrogeni che testosterone e sono gli ormoni
responsabili dell’eccitazione sessuale.
La produzione di ormoni ipotalamici è dovuta a diverse forze, che vanno dai fattori
genetici all’esposizione della luce del sole, alla presenza di certe sostanze chimiche
nell’acqua e nel cibo, allo stress ambientale. Un ruolo essenziale lo ha anche l’ormone
chiamato leptina, legato al grasso corporeo.
➢ I cambiamenti fisici
La pubertà comporta una trasformazione psicologica oltre che fisica. Essa colpisce
varie aree cerebrali, che rendono gli adolescenti emotivi, sensibili e propensi al rischio.
I cambiamenti fisici possono essere distinti in tre categorie:
• I caratteri sessuali primari, ovvero tutti i cambiamenti del corpo coinvolti nel
processo riproduttivo, come la crescita del pene e la comparsa delle
mestruazioni;
• I caratteri sessuali secondari, ovvero altri cambiamenti che accompagnano la
pubertà, come lo sviluppo delle mammelle, la crescita del pelo, alterazione della
voce e modificazione della pelle;
• Lo scatto di crescita corporea, ovvero l’aumento dell’altezza e del peso.
I medici ricorrono ad una scala di valutazione standard per misurare la comparsa dei
principali caratteri sessuali nel bambino in diversi stadi.
➢ Nelle ragazze
Il segno precoce più evidente della pubertà nelle bambine è lo scatto di crescita
corporea. Dopo alcuni mesi da questa forte crescita, incominciano a svilupparsi il seno
e il pelo pubico. Il menarca fa la sua comparsa solitamente fra lo stadio intermedio e
quello finale dello sviluppo del seno.
La pubertà non si manifesta allo stesso modo per tutte le ragazze. La più grande
differenza sta nella velocità con cui si compiono tali cambiamenti. In più, anche nelle
donne la pubertà porta ad un aumento di forza.
➢ Nei ragazzi
I primi cambiamenti avvengono nella misura della crescita del pene, dei testicoli e del
pelo pubico, per questo agli occhi del mondo i ragazzi hanno un aspetto infantile per
almeno un paio d’anni dopo che il loro corpo ha iniziato a modificarsi. I cambiamenti
più visibili sono quelli rispetto alla forma, dimensione e forza fisica. Questi
cambiamenti dono dovuti all’aumento di massa muscolare e all’aumento del peso del
cuore di oltre un terzo: i ragazzi infatti hanno più globuli rossi delle ragazze, quindi
una maggiore capacità di trasportare ossigeno nel sangue.
I cambiamenti fisici, al contrario delle età precedenti, in entrambi i sessi avviene in
senso opposto alla sequenza cefalo-caudale: la crescita nella pubertà riguarda prima le
mani, i piedi e le gambe. Questi cambiamenti portano anche l’aumento di ghiandole
sudoripare e l’allargamento dei pori (acne).
➢ Sovrappeso e pubertà precoce (una questione tutta femminile)
Le bambine che negli anni della scuola primaria hanno un alto BMI sono predisposte
alla pubertà anticipata. Un rapido aumento dei primi 9 mesi di vita, addirittura, è
fortemente correlato alla comparsa precoce del menarca.
Sui maschi, invece, i dati sono divergenti.
Lo stress in famiglia, una dura disciplina di affermazione del potere, una
predisposizione genetica, l’aumento di peso, possono essere tutte motivazioni per un
precoce sviluppo della pubertà.
➢ La pubertà vista dall’interno
La crescita del seno è spesso vissuta con imbarazzo, in particolare con le figure
genitoriali.
➢ Lo sviluppo precoce: per le femmine può essere un problema
Il tempo della maturazione sessuale è molto importante, ma anche qui le cose sono
diverse fra ragazzi e ragazze. I ragazzi con un sviluppo precoce sono più inclini
all’abuso di sostanze stupefacenti e sono più a rischio di sviluppare la depressione se
in precedenza hanno avuto una vita infelice in famiglia. Mentre per i ragazzi avviene
un accrescimento di autostima, per le ragazze, uno sviluppo precoce o tardivo è spesso
motivo di imbarazzo, e può portare a un gran numero di problemi durante
l’adolescenza.
➢ Le ragazze che maturano precocemente sono esposte al rischio di sviluppare
problemi esternanti
Poiché ci scegliamo chi è “come noi”, le ragazze con sviluppo precoce scelgono
compagnie di età maggiore. Perciò tendono ad essere coinvolte in “attività da adulti”
come bere, fumare e assumere droghe in età più giovane. Ciò implica il rafforzamento
della tendenza a prendere decisioni pericolose ed impulsive.
Queste ragazze, in studi longitudinali, risultavano essere meno brave nelle attività
accademiche e avevano molte meno probabilità di aver terminato gli studi superiori
rispetto alle loro compagne con sviluppi pi tardivi.
Il pericolo maggiore è quello di avere rapporti sessuali non protetti.
➢ Le ragazze che maturano precocemente rischiano di sviluppare ansia e
depressione
Le ragazze con sviluppo precoce sono più propense a sviluppare una bassa autostima.
Esse sono anche più propense ad essere vittime di bullismo, perché appaiono molto
diverse dagli altri. Lo sviluppo precoce predispone le ragazze ad essere insoddisfatte
della propria immagine corporea e a sviluppare sintomi depressivi.
Ovviamente è importante considerare la persona nell’intero contesto della sua vita: in
alcuni gruppi etnici hanno un’idea più sana e inclusiva della bellezza del corpo
femminile. Gli effetti negativi si realizzano quando nella vita della bambina sono
presenti altri fattori a rischio, come le cure parentali caratterizzate da durezza ed
insensibilità (autoritarie/trascuranti). I pericoli collegati dipendono anche dal paese in
cui una ragazzina cresce.
➢ La pubertà in sintesi
Le relazioni dei bambini alla pubertà dipendono dall’ambiente in cui avviene la loro
maturazione fisica. Le ragazze che si sviluppano precocemente devono fare
particolarmente attenzione alla creazione del legame corpo-ambiente. È opportuno
migliorare la comunicazione sul fenomeno della pubertà, specialmente con i ragazzi.
➢ I problemi legati all’immagine del proprio corpo
Dalle indagini condotte dalla Harter sulle cinque dimensioni dell’autostima, è saltato
fuori che sentirsi soddisfatti del proprio aspetto fisico è il fattore che più di ogni altro
determina la sicurezza in sé.
In particolare, fino a partire dalla scuola primaria, sono le bambine a diventare sempre
più angosciate del proprio aspetto, a causa dell’imposizione di un modello estetico che
esalta la magrezza.
➢ Le diverse preoccupazioni femminili e maschili riguardo al corpo
Le distorsioni prodotte dall’ideale estetico di magrezza, ossia la pressione che induce
ad essere snelli in modo anormale, sono emerse in alcuni studi. Le ragazze nella media,
spesso si definivano troppo grasse e anche quelle sottopeso avrebbero voluto perdere
qualche chilo. Tra i maschi generalmente prevale la volontà di sviluppare i muscoli e
per questo spesso trascorrono un numero eccessivo di ore in palestra.
L’ossessione riguardo al corpo tende a prendere sopravvento durante la pubertà perché
la sensibilità sociale raggiunge i massimi livelli. Eppure, uno studio condotto
suggerisce che l’ossessione femminile derivi da natura epigenetica.
I mezzi di comunicazione di massa sono fra i principali responsabili di queste
preoccupazioni, suggerendo continuamente l’ideale estetico di magrezza femminile.
➢ I disturbi alimentari
I disturbi alimentari differiscono dal normale “mettersi a dieta”: in questi casi il cibo
diventa la preoccupazione esclusiva nella vita di una persona.
L’anoressia nervosa, il più grave dei disturbi alimentari, può essere definita
un’autocondanna a morte per fame e si verifica quando una persona arriva al punto di
pesare l’85% o meno del proprio peso iniziale. Un altro tratto di questa malattia è un
livello eccessivamente basso di leptina, tale da impedire la fertilità e il ciclo mestruale.
Una delle caratteristiche fondamentali di questo disturbo è il fatto di possedere
un’immagine distorta del proprio corpo (nonostante l’aspetto scheletrico, queste
persone si vedono grasse).
La bulimia nervosa è generalmente un disturbo meno pericoloso, in quanto il peso del
soggetto rimane nei limiti normali. Tuttavia, anche la bulimia può arrecare gravi danni
alla salute, poiché implica periodici eccessi di indigestione di cibo. Nella prima fase,
detta binging, vengono assunte in poche ore molte caloriche che nella fase successiva,
purging, vengono espulse tramite induzione del vomito, lassativo o diuretici oppure
viene fatto un digiuno.
Il disturbo da alimentazione incontrollata (binge eating disorder) implica ricorrenti
ingestioni smodate di cibo per poi provare vergogna, disgusto o colpa.
Queste condizioni patologiche hanno componenti ereditarie!
Un generico fattore di rischio rilevante per l’insorgenza di disturbi alimentari è la
presenza di problemi internalizzanti, quali l’ansia eccessiva, la depressione e la facilità
ad intensi sbalzi d’umore. Gli adolescenti con questi disturbi presentano altri simboli
quali attaccamento insicuro ed estremo bisogno di approvazione, tendenza al
perfezionismo e soggetti ad attacchi di autostima molto bassa. Questi adolescenti hanno
scarsa autoefficacia, cioè la percezione di non avere il controllo della propria vita.
➢ La sessualità
Nella vita degli adolescenti il sesso è come un imbarazzante segreto. Decidere se e
quando incominciare ad avere rapporti sessuali, è una questione in cui gli adolescenti
sono lasciati soli a districarsi fra molteplici messaggi conflittuali.
➢ Il desiderio sessuale
Diversamente da quanto si può pensare inizialmente, le nostre prime sensazioni di
desiderio sessuale sono dovute agli androgeni rilasciati dalle ghiandole surrenali e
compaiono molto prima che di verifichino i cambiamenti visibili della pubertà, quando
ancora siamo in quarta primaria!
➢ Chi ha rapporti sessuali?
Sono molti i fattori della transizione al rapporto sessuale, come la natura biologica
(una precoce pubertà), il gruppo etnico di appartenenza e lo status socioeconomico
(SES), la personalità (con tendenza esternalizzante e incline al rischio), genitori
religiosi.
Un ruolo cruciale è quello del gruppo dei pari. Per capire se un adolescente sia
sessualmente attivo, si deve tener conto dei valori e comportamenti del suo gruppo.
Un’influenza arriva anche dai programmi TV guardati, oltre che i siti visitati e i libri e
riviste lette.
➢ Esiste ancora la doppia morale sessuale?
Alla base dello stereotipo sotteso alla doppia morale sessuale, dove dai ragazzi ci si
aspetta che vogliano fare sesso e dalle ragazze che vogliano trattenersi, c’è l’idea che
le ragazze siano in cerca di relazioni affettive durevoli, mentre i ragazzi desiderino
soprattutto fare sesso. Alcuni studi invece dimostrano che spesso per i ragazzi la
decisione di avere un rapporto è importante quanto per le ragazze, se non di più.
Capitolo 9 – Lo sviluppo cognitivo, emotivo e sociale negli adolescenti
➢ Il contesto
Fu solo nel 1904 che Hall identificò una particolare fase della vita umana caratterizzata
da “tempeste e stress”, dandole il nome di adolescenza. Essa divenne una fase distinta
della vita solo quando la maggioranza dei ragazzi iniziò a frequentare le scuole
secondarie.
L’ingresso dei ragazzi nelle scuole secondarie elevò le capacità intellettive dell’intera
generazione, determinando un profondo gap generazionale tra figli e genitori: nasce
quindi una generazione di giovani riuniti fra loro contro i più vecchi.
➢ Lo sviluppo cognitivo ed emotivo: il mistero della mente adolescente
Riflessivi e introspettivi, ma anche impulsivi e fuori controllo, conformisti condizionati
dalle idee del gruppo e ribelli pronti ad assumere comportamenti rischiosi, capaci di
prendere decisioni mature, ma bisognosi di sentirsi protetti dal mondo esterno:
l’adolescenza.
➢ Tre classiche teorie sullo sviluppo del pensiero nell’adolescenza
Diversamente da un bambino di 10 anni, con cui si può discutere razionalmente su
argomenti riguardanti la vita di tutti i giorni, con un adolescente si può discutere in
modo razionale di idee. Questa capacità di ragionare in modo astratto è la caratteristica
principale della fase dello sviluppo che Piaget definì “stadio operatorio formale”.
➢ Il pensiero operatorio: il picco del ragionamento astratto
Piaget riteneva che quando i bambini raggiungono lo stadio operatorio formale verso
i 12 anni, facciano un vero e proprio salto di qualità dallo stadio precedente. Secondo
Piaget gli adolescenti sono in grado di svolgere un ragionamento logico su un tema
puramente speculativo.
➢ Gli adolescenti sono capaci di ragionare in termini logici intorno a concetti e
possibilità ipotetiche
Chiedere ad un bambino di 10 anni di disporre dei bastoncini in ordine crescente, è lui
saprà farlo, ma porgli un problema simile a voce e lui non ne sarà più in grado. La
ragione è che solo nell’adolescenza impariamo a manipolare mentalmente e in modo
logico i concetti, ragionando anche su quelli che possono non essere realistici (al
contrario dei bambini nello stadio operatorio concreto).
➢ Gli adolescenti sono capaci di vero ragionamento scientifico
Per rivelare la presenza della nuova capacità di ragionamento scientifico, Piaget ideò
un esperimento dove alcuni bambini e adolescenti dovevano stabilire il fattore che
determinava la velocità di oscillazione di un pendolo, avendo cordicelle di varie
lunghezze e cilindri di vario peso (la lunghezza della cordicella, il peso del cilindro
oppure l’altezza da cui si imprime lo slancio del peso?).
Piaget scoprì che per risolvere questo problema i bambini andavano a casaccio, mentre
solo gli adolescenti erano in grado di applicare una strategia “sperimentale” per trovare
la soluzione di compiti basati sul ragionamento logico.
➢ Quali effetti produce sulla vita pratica questo cambiamento del modo di pensare?
Gli adolescenti sono famosi per la capacità di discutere di qualsiasi aspetto della loro
vita.
La particolarità sta nel fatto che non tutti gli adolescenti raggiungano lo stadio
operatorio formale: il pensiero operatorio formale si acquisisce principalmente nelle
culture occidentali di impronta scientifica. In realtà, in qualsiasi tipo di società la
maggior parte delle persone non raggiunge lo stadio finale dello sviluppo teorizzato da
Piaget.
In uno studio risalente al secolo scorso risultò che solo una piccola parte degli adulti
coinvolti era in grado di affrontare in modo scientifico il problema del pendolo. Su
richiesta di dibattere su temi assai controversi, gli adulti non afferravano neanche l’idea
di dover usare argomentazioni logiche per sostenere il proprio punto di vista.
Le capacità di pensiero operatorio formale entrano in funzione nel momento in cui gli
adolescenti più grandi iniziano a fare progetti sulla loro vita futura: quindi questo stadio
ci consente di comportarci da adulti.
➢ Gli stadi dello sviluppo morale postulati da Kohlberg: l’interiorizzazione dei
valori morali
Questa nuova capacità di riflettere sul futuro ci permette di ragionare anche sui nostri
valori etici. Basandosi sulle teorie di Piaget, lo psicologo dello sviluppo Kohlberg, ha
sostenuto che durante l’adolescenza acquisiamo la capacità di sviluppare il codice
morale che poi ci guida per tutta la vita. Al fine di valutare questo codice morale,
Kohlberg costruì dei dilemmi etici, scenari su cui le persone dovevano esprimere la
propria posizione, che poi veniva esaminata e classificata in tre livelli di ragionamento
morale: livello preconvenzionale (quello più basso, riassumibile nella domanda “sarò
punito o ricompensato?”); livello convenzionale (dove la moralità della persona si
concentra sul rispettare le regole), livello postconvenzionale (il più altro, dove la
persona ha un proprio codice morale che trascende dalle regole sociali, ragiona
indipendentemente da quelle).
Kohlberg scoprì che in molte persone lo sviluppo morale si ferma al livello
convenzionale o che, pur raggiungendo un livello postconvenzionale esso non
rimaneva stabile nel tempo.
➢ Quale applicazione trovano i principi di Kohlberg nella vita reale?
L’idea di Kohlberg che i bambini non riescono ad andare oltre la mentalità basata su
ricompensa/punizione (livello preconvenzionale) è sbagliata, essendo che in realtà il
nostro senso morale si manifesta ancor prima della comparsa del linguaggio.
La scala di Kohlberg si può definire non necessariamente valida: anche in adolescenti
particolarmente prosociali, le loro risposte rimanevano sul livello convenzionale,
proprio come quelle di adolescenti che non mostravano alcuna prosocialità.
Tuttavia, quando Kohlberg descrive i progressi del ragionamento morale che
avvengono nel corso dell’adolescenza, coglie un punto fondamentale. Gli adolescenti
sono famosi per mettere in discussione le regole della società, denunciare ingiustizie e
impegnarsi in cause fortemente idealistiche.
➢ La teoria di Elkind sull’egocentrismo adolescenziale: una spiegazione alle
tempeste dell’adolescenza
Elkind riteneva che con la transizione allo stadio operatorio formale, intorno ai 12
anni, i bambini acquisiscano la capacità di capire cosa c’è dietro le regole degli adulti
e comprendere che gli stessi adulti spesso non rispettano quelle stesse regole. Questo
rendersi conto che gli adulti non sono diversi da loro nei bambini, secondo Elkind,
provoca sentimenti di rabbia e ansia oltre che l’impulso di ribellarsi.
Secondo Elkind una volta che i più giovani acquisiscono la capacità di notare le
manchevolezze delle altre persone, esercitano interiormente questa tendenza nei
confronti di loro stessi, fino ad essere ossessionati da quello che gli altri pensano dei
loro difetti. Questo porta all’egocentrismo adolescenziale, cioè la percezione distorta
che le proprie azioni siano al centro dell’interesse di tutti.
Una componente cruciale dell’egocentrismo adolescenziale è la percezione di un
pubblico immaginario, la costante sensazione di avere occhi puntati addosso, in grado
di suscitare immenso imbarazzo. Una seconda componente è la favola personale,
ovvero la sensazione che le loro esperienza siano del tutto speciali ed uniche.
Quest’ultima componente può portare anche a compiere atti dalle conseguenze
tragiche, mettendo a repentagli la propria vita pensando che “tanto a me non può
succedere”.
➢ Gli adolescenti sono estremamente sensibili agli stimoli sociali?
In uno studio dove veniva richiesto di elencare le priorità a dei preadolescenti, loro
hanno posto il successo sociale in cima a ogni altra preoccupazione. Inoltre, alcuni
studi sul cervello basati sulla risonanza magnetica suggeriscono che gli adolescenti
sono particolarmente ipersensibili alle emozioni degli altri. Gli adolescenti agiscono in
modo impulsivo, specialmente in presenza di situazioni eccitanti che coinvolgono i
loro amici. A queste decisioni rischiose corrisponde un picco di attività in alcune zone
della corteccia, ma ciò avviene solo quando gli amici assistono.
➢ Gli adolescenti sono propensi al rischio?
Il secondo stereotipo sull’età adolescenziale, ovvero la propensione al rischio, è
assolutamente vero. A causa di un lento sviluppo puberale (e una lenta maturazione
cerebrale), il periodo pericoloso per i maschi si estende sino alla fine dell’adolescenza.
➢ Gli adolescenti sono più emotivi, più emotivamente disturbati o entrambe le
cose?
Data l’ipersensibilità degli adolescenti, non dovrebbe essere una sorpresa la correttezza
di questo terzo stereotipo. Per arrivare a questa conclusione c’era bisogno di un metodo
che permettesse di individuare minuto per minuto gli alti e bassi che segnano la vita
emotiva degli adolescenti.
Nel 1984 Csikszentmihalyi e Larson riuscirono in quest’impresa mettendo a punto una
nuova procedura chiamata metodo del campionamento dell’esperienza. I due
ricercatori chiesero ad un adolescente di portare con sé un cercapersone per un’intera
settimana, programmato per suonare a intervalli casuali. Quando udiva il segnale
acustico, il ragazzo doveva costruire un grafico che rivelasse la motivazione di una
certa emozione momentanea.
I dati raccolti dimostrarono che gli adolescenti, sul piano emotivo, vivono davvero
intensamente lo loro vita. Rispetto al gruppo di confronto composto da adulti,
risultavano essersi sentiti depressi o euforici molto più spesso. Eppure, i grafici
dimostrano che gli adolescenti non provano emozioni senza una ragione.
Gli adolescenti non per questo sono emotivamente disturbati! Eppure, la propensione
al rischio fa sì che si registrino molti reati commessi proprio dagli adolescenti e una
piccola minoranza coltiva propositi suicidari. Un fenomeno molto diffuso a livello
globale è la pratico del cutting, ovvero delle ferite autoinflitte non letali. Queste
pratiche derivano da un fortissimo stress.
Oltre l’improvvisa manifestazione del cutting e delle intenzioni suicide, i disturbi
esternalizzanti come la propensione ai comportamenti rischiosi, a questa età si registra
anche un tasso di depressione più elevato. Mentre durante l’infanzia la diffusione del
disturbo ha le stesse probabilità tra maschi e femmine, durante l’adolescenza si
scatenano gli schemi di genere, che fanno in modo che le donne siano il doppio più
propense a sviluppare questo disturbo.
I tassi più alti di depressione sono dovuti ai cambiamenti ormonali tipici della pubertà
che rendono il cervello del teenager più suscettibile allo stress. Se una persona è
destinata a combattere qualsiasi grave malattia mentale, tale condizione spesso ha
inizio nella tarda adolescenza o negli anni dell’adultità emergente.
➢ Quali sono gli adolescenti che tendono ad avere problemi seri?
Pur senza negare che a quest’età serie difficoltà possono giungere in modo
imprevedibile, ecco tre condizioni che, come nubi minacciose, indicano il
sopraggiungere di una tempesta.
• Gli adolescenti a rischio tendono ad avere problemi pregressi nella gestione delle
emozioni. Pertanto, i test utilizzati per valutare le funzioni esecutive -
misurazione che registra se essi hanno difficoltà ad analizzare a fondo il loro
comportamento- possono risultare molto efficaci per pronosticare “tempeste” in
età adolescenziale.
• Gli adolescenti a rischio tendono ad avere cattive relazioni familiari. Il sentirsi
alienati, distaccati dai propri genitori può rappresentare un segnale d’allarme per
il successivo insorgere di problemi. Le emozioni di adolescenti che si
autoinfliggono ferite spesso vengono tradotte da loro stessi come una forma di
attaccamento insicuro. Gli adolescenti hanno bisogno di uno stile educativo
autorevole.
• Gli adolescenti a rischio vivono in un ambiente in cui si attuano comportamenti
rischiosi. Vivere in una comunità disorganizzata con scarsa efficacia collettiva,
magari con familiari che fanno uso di droghe porta ad un aumento delle
probabilità di finire nei guai. Per aiutare davvero gli adolescenti a crescere bene
c’è bisogno di un ambiente esterno che sappia allevare e formare i più giovani.

➢ Quali sono gli adolescenti che hanno uno sviluppo positivo?


Gli adolescenti crescono bene quando sono in grado di svolgere le funzioni esecutive
superiori (funzioni di autocontrollo che avvengono grazie ai lobi frontali).
Progrediscono quando i genitori rinforzano le loro qualità e può essere di cruciale
importanza la presenza di un mentore che sia sulla sua stessa lunghezza d’onda.
Ma crescere bene non significa rimanere lontano dai guai: mettere alla prova i propri
limiti è qualcosa di normale per un adolescente, anche fra i ragazzi più felici e sani.
Quello che non si deve fare è abbandonare a sé stessi i ragazzi gravemente deviati. Il
turbamento adolescenziale (cioè quando il comportamento antisociale è limitato agli
anni dell’adolescenza) è molto differente dalle difficoltà che persistono per tutta la
vita (ossia i comportamenti antisociali che continuano anche durante la vita adulta).
Si diventa più maturi durante gli anni dell’adultità emergente.
➢ Offrire la possibilità di svolgere attività di gruppo che sfruttino al meglio i punti
di forza dell’adolescente
I programmi di sviluppo della gioventù realizzano l’obiettivo di favorire il pieno e
positivo sviluppo degli adolescenti. Offrono ai ragazzi un posto sicuro per esprimere e
coltivare le lore passioni nelle ore libere, quando sono a rischi di mettersi nei guai in
compagnia di amici. Questi programmi idealmente tendono a favorire lo sviluppo di
un insieme di qualità quali competenza, sicurezza di sé, carattere, cura degli altri e
relazioni.
Eppure, questi ambiente ideali, possono incoraggiare il bullismo e i comportamenti
antisociali. Quindi è importante una buona strutturazione e una continua supervisione.
Per questo l’intervento più efficace sembra quello di integrare le offerte formative volte
per arricchire i giovani all’interno della scuola.
➢ Il distacco dai genitori
Nel loro studio originale basato sul campionamento dell’esperienza, Csikszentmihalyi
e Larson scoprirono che i teenager vivevano le esperienze più edificante, ma che
comunque gli incontri con i coetanei erano in grado di suscitare molte più emozioni
positive, mentre con le loro famiglie gli adolescenti provavano emozioni negative tali
da superare in un rapporto 10 su 1 quelle positive.
Questa tendenza a scontrarsi con i genitori sembra fare universalmente parte
dell’esperienza adolescenziale.
➢ Il problema: la ricerca dell’autonomia
Se la nostra vita domestica è buona, i genitori sono un porto sicuro. Eppure, nonostante
l’amarci, i genitori possono portare anche sofferenza, essendo loro compito anche porci
dei limiti.
La questione principale di conflitto con i genitori è la conquista dell’indipendenza, in
particolare quando la pressione del gruppo dei pari è al culmine, ovvero nei primi anni
dell’adolescenza.
➢ Il processo: la danza dell’autonomia
Da alcuni studi è emerso che fin dalla prima adolescenza i ragazzi iniziano a fare
pressione per ottenere l’indipendenza diventando molto riservati e distanti, ma bisogna
aspettare dopo i 15 anni affinché i genitori rispondano loro stabilmente una libertà
molto più ampia. A questa età i genitori iniziano a sentire i figli più maturi.
Il processo di distacco dalla famiglia permette di avere con essa un rapporto più
armonioso. Il difficile e delicato compito dei genitori è rispettare l’autonomia dei figli
pur continuando ad essere coinvolti intimamente nelle loro vite.
In genere i maschi mantengono lo schema comunicativo improntato nella prima
adolescenza anche mentre si avviano verso quella tarda, non raccontando nulla alla
madre, mentre le femmine, dopo un allontanamento nella prima adolescenza, tendono
a riavvicinarsi nella media e tarda adolescenza e riallacciare i rapporti con loro.
➢ Variazioni culturali sul tema
Nelle società individualiste cerchiamo di avere con i figli una relazione tra adulti, meno
gerarchica e più simile ad un’amicizia. Le culture che pongono al di sopra di tutto
l’obbedienza ai genitori, invece, hanno idee diverse su come si dovrebbero comportare
gli adolescenti.
In famiglie di immigrati l’impulso a distaccarsi dalla famiglia può dare luogo a forti
conflitti sul piano dell’acculturazione: gli adolescenti possono trovarsi di fronte al
lacerante dilemma posto dalla “scelta” fra i valori dei genitori e le norme della società
in cui vivono.
Eppure, la consapevolezza da parte dei figli dei sacrifici che i genitori hanno fatto per
loro può andare a creare legami stretti. Inoltre, aiutare i genitori che non parlano la
lingua del posto in cui vive ed affrontare una cultura sconosciuta può favorire lo
sviluppo dell’autoefficacia e di una maggiore empatia nei suoi confronti.
Da qui deriva il fenomeno del paradosso dell’immigrato: nonostante debbano
affrontare un sovraccarico di stress, molti figli di immigrati che vivono in povertà
hanno una riuscita scolastica migliore dei loro coetanei.
➢ La definizione del gruppo in base alle dimensioni: il gruppo ristretto e la
compagnia
Gli psicologi dello sviluppo classificano i gruppi di coetanei in base alle loro
dimensioni.
Il gruppo ristretto, sono formati da circa sei ragazzi, è di questo tipo il gruppo più
intimo. Le compagnie sono aggregazioni più numerose: può comprendere i migliori
amici più una serie di persone alle quali si è meno legati e con cui ci si frequenta meno
regolarmente.
La compagnia è il mezzo ideale per gettare un ponte e annullare la distanza venutasi a
creare tra i due sessi a causa dei gruppi ristretti, essendo che il numero dei componenti
garantisce una certa sicurezza.
➢ Qual è lo scopo della compagnia?
Le compagnie hanno anche il ruolo fondamentale di incontrare persone con i nostri
stessi valori.
Per gli adolescenti può essere utile sviluppare un meccanismo di riconoscimento di un
gruppo piccolo di persone affini, all’interno ambienti scolastici con molti volti estranei.
Essi adottano look specifici per inviare messaggi agli altri.
➢ Quali sono i diversi tipi di compagnie?
Alcune compagnie tipiche sono quelle degli intellettuali, i popolari, i devianti, e
gruppetti residui come i dark.
Tendenzialmente un ragazzo del gruppo dei popolari approccia solo persone con il suo
stesso status sociale, evitando rapporti con gruppi ritenuti socialmente ai margini.
Il gruppo di appartenenza ha un grande impatto sulla fiducia in sé stessi, nel bene e nel
male.
➢ Le “cattive” compagnie
Ogni gruppo ha un “leader”, un individuo che ne incarna gli obiettivi. Se un membro
di un gruppo studia, l’adolescente tende a migliorare accademicamente. Stessa cosa se
un membro del gruppo con comportamenti antisociali inizia a vendere droga, anche gli
altri dovranno seguire l’esempio del leader.
La tendenza a commettere rischi più il fatto di essere in un gruppo, spinge gli
adolescenti verso comportamenti pericolosi.
La diffusione della devianza, cioè la diffusione dei comportamenti delinquenziali
attraverso la socializzazione, che si verifica in funzione del semplice parlare con gli
amici del gruppo: ridono, si istigano l’un l’altro, si rinforzano a vicenda parlando del
fatto di commettere azioni antisociali.
La seduzione esercitata dall’ingresso di uno di questi gruppi è molto forte per i
ragazzini a rischi che già hanno la sensazione di essere “soli contro tutti”. La
distorsione attributiva ostile viene poi rinforzata dagli altri ragazzi, che dicono di
andare contro le regole. Per la prima volta questi ragazzini si sentono accettati in un
mondo che è loro avverso.
➢ Le compagnie più temute dalla società: le gang giovanili
La gang è un gruppo di ragazzi uniti da rapporti stretti che commettono atti delinquenti,
incarnando uno die peggiori incubi della società. Gli appartenenti a queste bande
condividono un’identità collettiva, che spesso esprimono attraverso l’adozione di
particolari simboli e la pretesa di controllare un certo territorio. Gruppi tipicamente
maschili accomunati da condizioni economiche avverse, abitanti in comunità con
scarsa efficacia collettiva.
La gang conferisce ai suoi appartenenti uno status sociale, protezione fisica e un senso
di appartenenza a un gruppo coeso
➢ Una riflessione sull’adolescenza
L’adolescenza è una fase della vita molto importante, che è stata ingiustamente
strappata via a milioni di bambini che vivono in aree del mondo devastate dalla guerra
e tormentate dalla fame.

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