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Il corso “storia dell’educazione e della pedagogia” ha come punto focale lo studio dell’educazione che riguarda
tutto l’arco della vita, l’arco evolutivo. E’ un continuo sviluppo per arrivare al perfezionamento di sé stessi. La
storia della pedagogia allude a studiare come si è sviluppata/ trasformata l’educazione da parte di una serie di
personaggi significativi. Ci sono pensatori (teoretici) che hanno creato metodi (Rousseau) e altri (educatori)
che hanno realizzato esperienze e successivamente le hanno teorizzate (Pestalozzi).
Prima di spiegare la struttura del manuale è bene chiarire il significato del titolo. I termini educazione, scuola e
pedagogia si riferiscono a realtà diverse anche se sono strettamente collegate.
riflessione sull’educazione e è teoria per azione educativa. Essa offre criteri e metodi perché
l’educazione favorisca lo sviluppo fisico, affettivo, intellettuale, morale, sociale ecc.
La nuova mentalità illuminista affonda le sue radici nel pensiero critico dell’Umanesimo
rinascimentale che:
dell’autorità ;
Nel XVIII secolo si configura un tipo di governo diverso da quello della monarchia assoluta
(raggiungendo l’apice nel secolo precedente con il Re Sole, Luigi XIV di Francia).
Sovrani illuminati sono: Federico II il Grande di Prussia, Giuseppe II d’Austria, Caterina II di
Russia, Carlo III di Spagna.
Loro non accettano solo le idee dell’illuminismo, ma vogliono metterle in pratica per
ottenere una maggiore efficienza dello Stato a beneficio di questo e dei sudditi.
Oltre all’accennata affermazione del potere assoluto della ragione, vanno ricordati anche
l’esaltazione della natura, la fede nell’uguaglianza, la fiducia nell’uomo, l’affermazione del
diritto a essere felici.
In questa cornice è facile capire perché sia stata grande attenzione alla scuola. E’
documentato il progresso dell’alfabetizzazione in Europa. Aumenta dunque l’interesse per i
problemi educativi, per risolvere i quali bisogna cercare una soluzione che è in contrasto con
la tradizione cristiana precedente.
Nel XVIII secolo ci sono state le condizioni che permisero di far emergere il diritto
all’istruzione, ovvero a imparare a leggere, a scrivere e a saper contare (es. la rivoluzione
industriale ha portato alla conseguenza di istruire gli operai per affiancarli alle macchine).
Deisti-> coloro che ammettono l’esistenza di Dio ma postulano un culto basato sulla ragione naturale, al
margine delle religioni rivelate, le quali vengono escluse dall’ambito dell’insegnamento scolastico pubblico.
Voltaire scrive che l’esistenza di Dio è la cosa più verosimile che gli uomini possono pensare, ma quasi tutto
quello che va oltre l’adorazione e la sottomissione ai suoi ordini è superstizione. Gli illuministi sono convinti
della necessità dell’educazione e della scuola per la “riforma della società e per aprire le vie del progresso”. Le
differenze e i contrasti nascono quando si cerca di capire i destinatari dell’istruzione: mentre i fisiocrati
vogliono un’istruzione generale, gratuita e obbligatoria per promuovere le nuove tecniche agricole negli
ambienti; alcuni filosofi ritengono che le scienze non sono adeguate al popolino e giungono persino ad
affermare la convenienza che esistano “rustici ignoranti”.
La consapevolezza del senso della “nazione”, la convinzione ottimistica della forza dell’educazione fanno
emergere l’esigenza di un sistema di educazione nazionale e della creazione di una scuola pubblica aperta a
tutti i ceti sociali. Lo Stato si fa presente nell’ambito delle accademie ma non con i centri universitari, i quali
sono restii a rinnovare i loro programmi e metodi d’insegnamento (eccetto le università di Halle, Gottinga,
Strasburgo, Oxford, Cambridge, Glasgow.
NB! Va notato che alcuni interventi scolastici rimangono spesso semplici progetti.
Nato a Napoli (1753-1788) d auna famiglia nobile e subito indirizzato alla carriera militare, la abbandona per
dedicarsi agli studi di matematica, economia, amministrazione e giurisprudenza. Occupa diverse cariche nella
corte del re Ferdinando IV di Napoli. Sposatosi si trasferisce in campagna dove stende “La scienza della
legislazione” (opera incompiuta). Importante è il capitolo quarto:” delle leggi che riguardano l’educazione, i
costumi e l’istruzione pubblica” per diverse tematiche:
In prospettiva illuminista Filangieri crede che lo stato debba garantire una educazione
universale ma non uniforme, affermando che il popolo è diviso in due classi principali manovalanti e
intellettuali:
- una formata da quanti servono la società con le braccia (agricoltori, fabbri, artigiani)-> sufficiente
un’istruzione facile e breve;
- una formata da quanti servono la società con la mente (magistrati, militari, medici)-> ampio
programma di educazione
Per i ragazzi poveri dotati di grandi abilità è possibile farli frequentare le scuole destinate alla
classe superiore a spese
dello Stato. (= viene superata una concezione rigidamente classista dell’istruzione pubblica).
Dal dopoguerra fino agli anni ’70 del Novecento, per le superiori vi erano le borse di studio che
permettevano di
pagare i libri, i vocabolari, i trasporti a condizione che l’alunno fosse promosso tutti gli anni, pagato
ovviamente dallo Stato. Poi nel corso del tempo queste agevolazioni allo studio sono diminuite,
fermandosi a incentivi comunali.
Per quanto riguarda i sessi la prospettiva è quella di un’educazione universale e non uniforme:
per le ragazze egli propone un’educazione domestica.
Durante l’illuminismo quindi non vi è la possibilità /mentalità di far istruire anche il sesso femminile, se
non per quelle ragazze che erano benestanti. Durante gli anni 1807/08 viene aperto il “Collegio degli
Angeli” (VR) per istruire ragazze i cui genitori avevano cariche importanti (ufficiali, generali). E’ uno
degli 8 collegi in Italia che ha permesso l’educazione femminile.
La proposta di Filangieri trova forti resistenze (specialmente nei circoli ecclesiastici). Il suo libro viene
messo all’indice dei libri proibiti. Tuttavia l’opera ha notevole fortuna in Francia dove, in un contesto
rivoluzionario, si stanno elaborando nuovi piani di riforma dell’insegnamento.
Perché incontreremo altre figure importanti che si esprimono sull’educazione della donna?
I due autori, Lanfranchi e Prellezo sono due salesiani. Suor Rachele L. insegna all’università delle
salesiane, principalmente composta da ragazze.
Jean Jacques Rousseau (1712-1778) è una figura complessa dal punto di vista personale, delle opere
da lui scritte, dall’influsso del suo pensiero, nonché per le molteplici e a volte contrastanti
interpretazioni cui è stato fatto oggetto.
Il contesto entro il quale Rousseau vive è quello illuminista. Nasce a Ginevra da padre orologiaio e da
madre “ricca, saggia e bella”.
Riferimenti alla Costituzione italiana (entrata in vigore 01.01.1948)-> articoli che sanciscono i diritto allo
studio/istruzione:
Rimane subito dopo il parto orfano di madre e il padre riversa tutto l’affetto per la moglie defunta sul figlio.
Successivamente il padre lo affida ai parenti ma egli fugge, nel 1728 a Savoia, dove è accolto da M.me de
Warens che lo invia a Torino presso l’istituto dei catecumeni qui si converte al cattolicesimo (precedentemente
calvinista). Ritorna a Savoia dove sta 11 mesi da M.me de Warens, studiando letteratura e filosofia.
Nel 1740 è a Lione e poi a Parigi dove entra in contatto con la cultura illuminista, con i Philosophes e in
particolare con Voltaire e Diderot. Nel ’45 conosce Teresa Levasseur dalla quale avrà 5 figli che poi
abbandonerà all’istituto dei trovatelli.
Con non poche divergenze con i philosophes per il modo di giudicare la società e la cultura, Rousseau decide di
rompere i legami che si erano stabiliti, iniziando a farsi odiare dagli amici. Lascia dunque Parigi e si rifugia in
campagna dove scrive le sue opere principali: La nuova Eloisa (1761), il contratto sociale e l’Emilio (1762).
Conosce la fama e anche il disappunti di autorità politiche e ecclesiastiche, fugge da un paese all’altro preso da
mania di persecuzione. Si ritira infine presso Ermenonville, dove muore nel 1778 lavorando ad alcune opere
che resteranno incompiute.
Il pensiero pedagogico di Rousseau è tutto contenuto nell’Emilio, considerato il manifesto della pedagogia
moderna e il cuore della produzione rousseauiana perché in quest’opera si trova una sintesi del pensiero
filosofico, sociale e pedagogico del Ginevrino. Rousseau è un pensatore che cerca di dare le basi della
pedagogia moderna; è il primo che si oppone a una mentalità ottusa e piena di pregiudizi. Non ha avuto una
grandissima incidenza per cambiare la mentalità del tempo, anche perché le idee della società non cambiano
nel giro di alcuni anni, anzi, servono secoli. Partendo dunque dall’Emilio cerchiamo di chiarire:
La genesi, cioè i motivi che hanno condotto il pedagogista a scrivere l’opera;
Ne “Le confessioni” afferma che egli veniva frequentemente consultato su problemi di morale e di pedagogia
da alcune signore che lo raggiungevano all’Hermitage (abitazione offerta da M.me de Warens in campagna).
Per l’autore l’Emilio è un trattato della bontà naturale dell’uomo per cui la motivazione ultima dell’opera è da
ricercare nella volontà dell’autore di indicare una via, un metodo seguendo i quali si possa conservare la bontà
naturale e restare indenni dalla corruzione operata dalla società .
L’educazione è considerata come processo dell’età evolutiva, secondo fasi ben delineate. Ogni tappa non deve
anticipare qualcosa tipico della tappa successiva:
- età della necessità-> comprende infanzia e fanciullezza dove la dipendenza dalle cose è fortemente sentita
e diventa regola di vita;
- età dell’utile-> quando le forze del ragazzo superano i bisogni. E’ il tempo del lavoro, dell’istruzione,
dell’organizzazione, del sapere, in aderenza agli interessi e bisogni della persona. Emerge e si afferma la
ragione. Rousseau è contrario ai libri e ad insegnare fino a quest’età . L’unico libro che egli accetta è R. Cruise
che ha come modello/protagonista un uomo che è capace di arrangiarsi. E’ il tempo che prelude alla “seconda
nascita”, quando cioè l’educando si avvicina alle nozioni morali che distinguono il bene e il male;
- età del buono-> è quella dell’adolescenza e giovinezza; caratterizzata dalla sessualità , dalle passioni, dal
mondo familiare, sociale, politico e dall’insorgere del problema religioso. Il lavoro che Rousseau propone a
Emilio è quello del falegname, il quale permette di guadagnare bene, può essere esercitato anche in altri posti
ed è un’attività artigianale. E’ questa l’età più critica e decisiva perché si ha il passaggio dalla fanciullezza alla
giovinezza, dall’istinto alla ragione, dall’individuale al sociale. E’ questo il momento in cui l’educazione da
prevalentemente negativa si fa positiva, per cui il precettore propone all’educando la sua esperienza e quella
degli altri uomini attraverso lo studio della storia e dei viaggi. Per l’educazione religiosa Rousseau aspetta i 18
ani di Emilio, perché è sicuro che cosi possa comprendere i tre principi su cui si fonda la religione naturale:
esistenza di Dio, esistenza e immortalità dell’anima, legge morale.
il V libro dell’Emilio è dedicato prevalentemente all’educazione della donna, Sofia, che sarà poi la sposa di
Emilio. Colpisce, costatare come l’autore si adegui alla mentalità del suo tempo nei confronti della donna. Egli,
che voleva combattere la diseguaglianza sociale della sua epoca, non arriva a superare il pregiudizio della
superiorità del sesso maschile su quello femminile, confermando ancora una volta lo stereotipo che la donna è
fatta per avere sempre un padrone. La donna è vista in funzione dell’uomo e la sua educazione deve
rispondere a tale scopo. L’educazione dei foglio e la conduzione della casa esigono che la donna riceva
un’educazione adeguata alla funzione di sposa e di madre. Non può dunque essere esclusa dalla formazione
intellettuale. Ma attenzione: essa deve rimanere entro limiti ben precisi perché la donna non è capace di un
“solido ragionamento”. Pertanto bisogna insegnar loro l’amore alla vita ritirata, la dedizione alla casa, in modo
che l’elogio più bello che si possa fare di esse è quello di non dar spunto a chiacchere sul loro conto.
Si attribuisce a Rousseau l’inizio della pedagogia moderna e ci sono sempre giudizi contrastanti sul suo
pensiero e sulla sua persona. La tesi dell’educazione negativa influenza fortemente i maggiori rappresentanti
del movimento attivistico, da Tolstoj a Ferriere, alla Montessori.
Il Romanticismo, come movimento culturale e spirituale che si diffonde in Europa negli ultimi anni del ‘700 e
nei primi decenni dell’’800, non è facilmente definibile. Questo perché i fattori che concorrono a delineare la
sua fisionomia sono molteplici e per di più non hanno un uguale ruolo e peso caratterizzante. Infatti, il
Romanticismo è un fenomeno complesso, che presenta aspetti e sviluppi molto diversi nei singoli paesi
europei. Ciò è dovuto alle particolari situazioni culturali e politiche entro le quali esso nasce e si sviluppa. Per
individuare una modalità che sia comprensiva della ricchezza e diversità del Romanticismo, vi son tre caratteri
essenziali:
Letterario-> designa con esso un mutamento del gusti, che si produce in tutte le nazioni europee
tra la fine del ‘700 e l’inizio dell’’800, come insofferenza verso i modelli e le forme della tradizione e
come esigenza di nuove forme (letteratura romantica);
Storico-culturale-> allude a un particolare stato d’animo che sorge per l’effetto di determinate
condizioni in quell’epoca e che riflette e si alimenta di una cultura antitetica a quella illuminista
(epoca o cultura romantica);
Ideale (o categoriale) -> il Romanticismo appare come espressione di un’esigenza eterna dello
spirito umano.
I tre significati sono strettamente connessi, anche se la sottolineatura di uno di essi rispetto agli altri è
ciò che connota il Romanticismo di un paese nei confronti degli altri paesi europei. Non si può parlare
del Romanticismo tedesco allo stesso modo di quello italiano, francese o inglese, anche se gli
elementi di fondo sono uguali.
Johann Henrich Pestalozzi (1746-1827) vive in un contesto influenzato dal clima romantico, dalla
rivoluzione francese (sbocco naturale della cultura illuministica) e dalla rivoluzione industriale
(diffusasi prima in GB e poi tutta Europa). Anche il vissuto della sua fanciullezza e giovinezza hanno
condizionato fortemente i suoi ideai di vita e di pensiero.
All’età di 5 anni rimane orfano di padre ed è quindi allevato dalla madre e dalla domestica.
L’ambiente in cui vive, sereno e amorevole, incide molto sulla sua personalità , facendolo diventare
una persona con sentimenti profondi e forti, con bontà di cuore, generosa, sensibile e ottimista.
Durante gli anni si reca in campagna presso il nonno o lo zio per trascorrervi le vacanze e qui rimane
colpito dalle condizioni di povertà e di ignoranza (ignorante= non conoscere la lettura, la scrittura e il
contare) dei contadini. Aderisce alla “Società Elvetica”, ovvero un’istituzione cultural-filantropica
fondata con intenti patriottici. Nel 1769 si sposa con Anna
Schulthess e un anno dopo ebbe un figlio, Jacqueli (nome in onore di J.J. Rousseau ed educato secondo i suoi
ideali, tenendo un diario fino ai 4 anni).
Non perdendosi d’animo e sperando di far uscire i bambini dalla loro situazione di povertà e ignoranza, si ritira
dall’attività perché senza fondi e per riflettere. Qui scrive i suoi romanzi dal 1780 al 1797: (1) la veglia di un
solitario, (2) sulla legislazione e l’infanticidio, (3) Leonardo e Gertrude, (4) le mie ricerche sul corso della natura
nello sviluppo del genere umano.
Nel frattempo scoppia la rivoluzione francese. Pestalozzi, favorevole a essa, ottiene la cittadinanza francese e
si trasferisce in Francia. Ma la rivolta scoppiata nel Nidwalden lascia molti bambini orfani.
In questo periodo le sue dottrine metodologiche vengono scritte ne: (1) il metodo; (2) Come Gertrude istruisce
i suoi figli, (3) sillabario, (4) L’ABC dell’intuizione, (5) Libro delle madri, tutti scritti tra il 1800 e il 1803.
Amareggiato e anziano (79 anni) si ritira presso l’azienda agricola del nipote a Neuhof progettando una scuola
professionale con biblioteca e museo d’arte popolare e perfezionando alcuni suoi scritti. Qui scrive il Canto del
cigno, sintesi delle sue esperienze educative e teorie pedagogiche e suo testamento spirituale. Muore a Brugg
dopo essersi speso fino all’ultimo per l’educazione dei poveri. Nel 1846 (100 anni dalla sua nascita) venne
posta un’epigrafe sul suo monumento: “Salvatore dei poveri a Neuhof, predicatore del popolo con Leonardo e
Gertrude, padre dei poveri a Stans, fondatore di suole popolari a Burgdorf e a Munchenbuchsee, educatore
dell’umanità a Yverdon. Uomo, cristiano, cittadino. Tutto per gli altri, nulla per sé. Benedizione al suo nome”.
mostrando le vicende della sua infanzia, giovinezza, sottolineando anche i lati negativi del suo
carattere, quasi a voler convincersi che i fallimenti delle sue azioni educative sono da attribuire
unicamente a lui e alla sua mancanza di spirito pratico;
La riflessione pedagogica nasce dall’intima esigenza di aiutare il popolo nell’unico modo che egli sa e da una
necessità contingente, quella economica. Infatti, secondo Pestalozzi il fallimento di Neuhof è dovuto alla sua
imperizia amministrativa e non ai suoi metodi d’insegnamento.
Attraverso dunque scritti e pensieri, giunge a proporre un modello alternativo di società in “Leonardo e
Gertrude”, romanzo d’ambiente e primo vero libro popolare che ha successo immediato.
Lo scopo del libro è mostrare la vita di un villaggio contadino della sua realtà e la forza positiva
dell’educazione.
La trama narra che, in un borgo feudale, il podestà sia un uomo disonesto e padrone di un’osteria che, per
arricchirsi e sottometterli, spinge i contadini all’alcolismo.
A questa situazione di oppone Gertrude (simbolo dell’educazione familiare), sposa e madre coraggiosa, che
con l’aiuto di Ernst il parroco (simbolo dell’educazione religiosa); Erner il castellano (simbolo dell’autorità dello
stato) e Gluphi il maestro (simbolo dell0educazione popolare), riesce a smascherare le intenzioni di Hummel il
podestà e a farlo dimettere dalla sua carica.
Il problema fondamentale che sta alla base di tutta l’attività pratica e teoretica del Pestalozzi è
L’EDUCAZIONE DEL POVERO E DEL POPOLO, intesa come EDUCAZIONE ELEMENTARE,
formazione professionale strettamente connessa con l’educazione intellettuale e morale mediamente la guida
dell’educatore, il quale è attento ai valori e ai contenuti culturali tipici del popolo.
NB! Se l’educazione del povero e del popolo rimane l’unica meta a cui Pestalozzi tende fin dagli inizi delle sue
esperienze educative, le sue idee circa tale educazione non rimangono sempre uguali, anzi, si modificano
mano a mano che procede nella sue esperienza di educatore e la sua riflessione sul destino dell’uomo e della
società , si fa più approfondita. Se a Neuhof si insiste maggiormente sull’addestramento delle capacità pratico-
professionali connesse alla formazione morale e l’esercizio della pratica religiosa, a Stans l’educazione
elementare verte di più affinché il povero non debba essere educato ad accettare la povertà . Bisogna che egli
riesca a superare la sua condizione mediante un’educazione che tenga presenti le possibilità della natura
umana da sviluppare gradualmente e integralmente attraverso l’insegnamento di saperi teorici e pratico-
professionali.
Nei saggi metodologici, scritti tra il 1805-1807, Pestalozzi riprende il problema della formazione professionale
delle classi più disagiate e lo imposta in chiave di EDUCAZIONE INTEGRALE, secondo il metodo
dell’educazione elementare dell’intelletto, del cuore, della mano.
In Pestalozzi si assiste a un’evoluzione del pensiero pedagogico che si riscontra in quanti sono aperti alla realtà
dinamica della vita e sanno trarre dalla propria esperienza educativa gli elementi per meglio definire la propria
teoria pedagogica. Nelle sue pagine si può trovare la forza evocativa di un amore pedagogico in cui il suo unico
interesse è il bene degli allievi.
Nel testo “Madre e figlia”, scritto a 72 anni, Pestalozzi scrive cos’è l’educazione. Per egli è ABILITARE
L’UOMO ALL’USO INTEGRALE DI TUTTE LE SUE FACOLTA, orientandole al suo
PERFEZIONAMENTO ETICO. In tutte le citazione si fa riferimento alla natura umana che ha precise leggi e
che l’educazione deve rispettare e non sovvertire. Diventa perciò indispensabile e imprescindibile, nell’azione
educativa, riferirsi a una precisa concezione dell’uomo. Pestalozzi, che all’inizio della sua esperienza educativa
ha una concezione ottimistica ed ingenua della natura umana (simile a quella di Rousseau), attraverso
l’esperienza della vita, va maturando una più adeguata comprensione della natura umana, definendola come
uno sviluppo difficile e non lineare che va dallo stato di natura alla vita morale attraverso la fase -sociale dove
l’individuo si arena senza riuscire a raggiungere la sua autonomia etica.
Il fondatore degli scout, R. Baden-Powell (1857-1941) diceva che in ogni ragazzo vi è almeno il 5% di
bontà ; Don Bosco invece (1815-1888), il fondatore dell’ordine dei Salesiani, diceva che in ogni ragazzo c’è
almeno il 95% di bontà . In realtà , le sue posizioni sono identiche, perché in ogni caso è dovere dell’educatore
sviluppare al massimo tutto il bene che c’è da sviluppare.
Passa dunque a una concezione pessimistica della vita sociale, specialmente dell’organizzazione politica del
suo tempo, per cui il problema dello sviluppo della natura umana gli appare sempre più come il passaggio
dall’innocenza della primissima infanzia a quello della moralità , operato dalla famiglia e da una scuola buona. Il
problema dello sviluppo della natura umana si riflette quindi sull’impostazione dell’educazione elementare,
dell’analisi di come si svolge lo spirito dell’individuo e quali siano i mezzi adatti per svilupparlo e portarlo
all’autonomia etica.
Si è detto dunque che l’educazione deve seguire le leggi della natura. L’educazione deve osservare anzitutto
che cosa hanno già in se i fanciulli. Si tratta del METODO NATURALE-> è necessario scoprire l’ordinamento
psicologicamente elementare e graduale dell’educazione cosi da sviluppare in modo armonico tutte le facoltà
del singolo educando, dando all’educazione i caratteri dell’elementarità, gradualità, integralità. Quest’ultimo
principio esige che la formazione dell’educando comprenda l’esercizio:
Il programma educativo è dunque impostato secondo una considerazione psicologica e non tanto su una
considerazione astratta. Sempre nel metodo naturale ha grande importanza l’intuizione perché attraverso essa
il bambino coglie l’oggetto nel suo insieme. In seguito, attraverso l’istruzione e l’attività conoscitiva, imparerà
a distinguere:
Forma-> che trova la sua attuazione della geometria e del disegno; Numero-> che trova la sua
attuazione nell’aritmetica;
Nome-> che trova la sua attuazione nel linguaggio e nel canto.
Un metodo dunque aderente alle esigenze psicologiche del fanciullo, alla vita, alle situazione dell’ambiente. In
consonanza con il metodo naturale, l’ambiente educativo che ha maggior incidenza nell’educazione del
fanciullo è la famiglia. Nell’ambiente familiare la madre ha un ruolo fondamentale in ordine all’educazione
perché attraverso lei si sviluppano nel bambino i germi dell’amore, della fiducia, della riconoscenza e della
socialità . La famiglia dunque è il luogo delle relazione essenziali ed esemplari dell’esistenza, è il luogo dello
sviluppo infantile animato dall’amore, è il luogo dove la vita stessa educa.
Dopo la famiglia, la scuola è un ambiente educativo perché continua il processo iniziato nella casa domestica
e permette al fanciullo di ampliare ed arricchire le sue esperienze di vita. Tuttavia la scuola è educativa solo se
non si contrappone all’educazione familiare.
Se il ruolo della madre occupa un posto rilevante nella prima educazione del bambino se ne deduce che essa
debba ricevere una preparazione adeguata. Pestalozzi, pur affermando che alla madre non sono necessari
grandi studi dal momento che nello svolgimento del suo compito educativo è guidata da un istinto naturale,
tuttavia insiste sulla necessità dell’educazione femminile perché, il linea generale, la donna si sposa e diventa
madre. Pestalozzi dunque, sconfigge il pregiudizio che la donna non debba studiare (vs Rousseau).
Lo si considera come il riformatore o il promotore della scuola popolare. Le sue intuizione educative, le sue
“case”, sono meta di numerosi uomini illustri (Fichte, Herbart, Girard, Frobel). Si vuole conoscere il suo
metodo, si vuole vedere come funziona una scuola dove il maestro è un autentico educatore a cui compete
una preparazione specifica. Gli si rimprovera l’eccessivo spazio dato alla matematica e alla geometria,
l’eccessiva lentezza nel procedere dal semplice al complesso e la debolezza della sua concezione teoretica.
Albertine Necker de Saussure (1766-1841) nasce a Ginevra e muore a Mornay. La sua infanzia e giovinezza è
indirizzata verso lo studio delle discipline umanistiche e scientifiche, nonché alla ricerca e all’approfondimento
culturale, grazie al clima familiare favorevole. Si sposa con un rinomato banchiere di Luigi XVI ed ha quattro
figli. La Necker tiene un diario nel quale annota tutte le osservazioni sulla crescita dei figli. A causa della
rivoluzione francese, la famiglia deve trasferirsi a Coppet. Frequenta Madame de Stael, baronessa famosa e
scrittrice parigina di origini svizzere. Il marito di Albertine viene insignito alla carica di consigliere si Stato e la
Necker apre cosi la sua casa, il “salotto Necker” a uomini di cultura. Segue un periodo molto complicato e
sofferto per la donna in quanto: muoiono il padre, la figlia più giovane, il marito e Madame de Stael, diventa
progressivamente sorda e affronta anche alcuni disguidi economici. La donna però non si lascia abbattere da
tutti questi eventi dolorosi e tenta un dialogo con il mondo circostante attraverso gli scritti. Raccolta nel suo
studio scrive in piedi (i forti dolori non le permettevano di star seduta) il suo capolavoro: “L’educazione
Progressiva”, composta da tre volumi editi a Parigi negli anni 1828-1832-1838.
Il pensiero pedagogico della Necker è esposto nell’opera “L’educazione progressiva”. Bisogna, perciò ,
prenderla in considerazione e vedere:
l’individuo e pertanto questo progresso è da intendere in modo ben diverso da quello naturalistico di Comenio
o da quello psicologico di Rousseau. Ciò che maggiormente conta è sapere che cosa si vuole ottenere da quelle
disponibilità naturali e come si possano mettere a frutto le influenze dell’ambiente e delle persone.
Nel processo educativo, dunque, ciò che è “naturale” diventa mezzo e strumento per i valori, che trovano si
conferma nel profondo della natura di ciascuno, ma la cui giustificazione è in qualcosa d’ altro, di oltre, anche
se non estraneo a ciascun essere. L’idea del progresso nasce da una sostanziale fiducia nella natura umana e
nelle sue capacità di continuo sviluppo quando essa viene posta a contatto con valori autenticamente
umani.
Per la prima volta nella storia, l’educazione viene teorizzata come un continuo progresso, un continuo
perfezionamento, fino alla morte. Il metodo educativo della Necker fa grande affidamento sulla natura
dell’uomo e sulla sua capacità di svilupparsi continuamente. La Necker ha quindi una visione educativa di tipo
positivo, ottimista.
All’interno di un capitolo del terzo volume della sua opera la Necker scrive riguardo all’educazione
della donna, la quale prima ancora di essere moglie, madre ed educatrice, deve essere considerata
per quello che è di per se stessa, ossia per la donna che è ; la donna ha quindi un valore in sé, vale in
quanto donna. La Necker si batte per riuscire a rendere la donna consapevole di se stessa, della sua
dimensione.
Nell’opera “l’educazione dell’uomo” (1826), Frö bel presenta i concetti fondamentali che stanno alla
base dell’attività scolastica ed educativa. E’ una sorta di “credo” filosofico e pedagogico in cui sono
rilevabili elementi della letteratura romantica; delle dottrine idealistiche e dal sistema panenteista di
C. Krause. (Il panteismo, ovvero “tutto in Dio” sottolinea l’unità di tutti gli esseri e la loro dipendenza
dall’unica realtà divina. Dunque, il destino e il compito dell’uomo sono concepiti come presa di
coscienza del divino che è e agisce in lui come realizzazione delle esigenze che tale fatto comporta
nella propria vita). Da tali principi scaturiscono le considerazioni generali che illustrano la teoria
pedagogica Frö beliana, ovvero i concetti fondamentali che sono alla base del kindergarten, o giardino
d’infanzia:
dell’infanzia, l’incidenza di alcuni autori come Comenio e Krause con il suo pensiero
panenteista.
Già nella scelta del nome vengono messi in risalto due aspetti caratteristici della nuova istituzione:
o La libera e spontanea crescita (fiorire)-> dei bambini nell’ambiente sereno del gioco e
del contatto con la natura;
o La presenza dell’educatore (giardiniera)-> capace di guidare i piccoli nel loro sviluppo
mediante l’uso intelligente di doni e
occupazioni.
Il GIOCO-> il grado più alto di sviluppo del bambino. Nella concezione Frö beliana il gioco
non è “semplice trastullo, ma ha grave serietà e profondo significato”. In esso si esprime la
natura attiva del bambino e si riflette la sua forza creatrice divina. L’uomo adulto esprime al
sua attività creatrice nel lavoro, il bambino invece la esprime mediante il gioco, il quale è
libera manifestazione del mondo interiore, per necessità e per bisogno. Attraverso l’attività
ludica il bambino manifesta la propria intimità e prepara il proprio futuro.
I DONI-> palla, sfera, cubo, cilindro. Sono concepiti come strumenti di gioco (esercizi), ma
soprattutto come mezzi di espressione dell’interiorità del bambino e di scoperta delle leggi
naturali. Con essi si vuole rispondere alle esigenze del bambino che sente il bisogno di agire,
di manipolare, di esprimere il suo mondo interiore mediante l’attività e il contatto con la
natura. Essi sono dunque gli strumenti che guidano i fanciulli alla comprensione dei diversi
caratteri della realtà : uno/molteplice; forma; colore; uguaglianza/diversità ecc.
L’intuizione, secondo Frö bel, di questi aspetti elementari della realtà costituisce la chiave con
cui il bambino riesce a capire il “tutto” e ad acquisire una graduale visione del mondo.
Primo dono: una palla elastica-> alla quale si collegano poesie e canzoni. La palla è
osservata, lanciata, passata di mano in mano. Si usano anche altre sei palline di lana di sei
colori diversi; con queste si può apprendere al bimbo l’unità e la pluralità , che sono le due
rappresentazioni astratte a cui lo strumento della pallina rimanda, oltre che a soddisfare la
sua tendenza all’attività .
Secondo dono: una sfera, un cubo ed un cilindro (come figura intermedia) -> questi
corpi hanno lo scopo di risvegliare nel bambino la legge dell’armonia dei contrari: superficie
curva della sfera VS superficie pian del cubo con fusione delle due nel cilindro; instabilità e
movimento nella sfera VS immobilità e riposo nel cubo con sintesi degli opposti nel cilindro;
la sfera rappresenta l’unità VS il cubo la pluralità .
La prima occupazione si esercita per far apprendere ai bambini come si passa dal
punto alla linea, e la seconda invece, come si passa dalla linea alla superficie.
Importanti sono anche le operazioni di giardinaggio: ogni bimbo ha una propria
aiuola da coltivare. Tavole illustrative, poesie, modelli di conversazioni e di esercizi
rendono più facile il compito delle maestre giardiniere.
Dopo il 1860 la nuova istituzione trova ampi consensi anche fuori dalla Germania, i
kindergarten si diffondono in tutti i continenti.
Il Romanticismo incide su molteplici aspetti della vita umana facendo riemergere istanze trascurate nella
cultura dell’Illuminismo. Nel campo pedagogico ed educativo viene valorizzato il mondo dell’infanzia e della
fanciullezza con le sue esigenze di graduale sviluppo nel rispetto delle leggi psicologiche. Si moltiplicano gli
studi e le esperienze per trovare il metodo più conveniente all’educazione, come graduale e completo sviluppo
dell’educando. Nel percorso educativo il ruolo della madre e della famiglia occupa un rilievo importante.
L’educazione popolare diviene aspetto caratterizzante per la pedagogia del tempo.
Nella seconda metà del ‘700 e la prima metà dell’800 vi sono numerose trasformazioni nei diversi settori della
vita e cambiano quindi il volto di alcuni paesi europei. Per designare l’insieme dei fatti che formano qual
complesso fenomeno viene usato il nome di RIVOLUZIONE INDUSTRIALE, ovvero una etichetta che esprime
una rete di eventi rilevanti, che hanno inciso radicalmente nella storia moderna. La prima rivoluzione
industriale si attua in Gran Bretagna tra il 1750 e il 1850. Alcuni elementi decisivi sono:
L’uomo da agricoltore-pastore passa a manipolatore di macchine azionate da energia
inanimata;
L’utilizzo di inusitate fonti di energia, soprattutto carbone; scoperta e assunzione di nuovi
processi di fabbricazione;
Il cambiamento nelle relazioni sociali e negli atteggiamenti mentali che hanno poi conseguente
applicazione nella cultura
e nella scuola, dal momento che creano nuove aspettative e attese nei confronti dell’istruzione;
(La moderna rivoluzione industriale affonda le sue radici nella società medioevale del mercante e
dell’artigiano);
Significative innovazioni tecnologiche: mulino ad acqua (X sec.), a vento (XIV sec.), per la
produzione della carta (XII
Filantropi e uomini di chiesa particolarmente attenti alla situazione negativa in cui versano i ragazzi poveri e i
figli degli operai, sentono il bisogno di dare vita a iniziative culturali nella Gran Bretagna, che trovano seguito in
altri paesi europei e americani.
Negli ultimi decenni del XVIII sec. Le scuole di carità e della domenica affiancate alle parrocchie o alle fabbriche
hanno una apprezzabile diffusione. Il Factory act del 1802 limitava l’orario di lavoro (12 ore max) e obbligava le
fabbriche a dare un’istruzione religiosa agli operai e un insegnamento basilare. Solo pochi però ricevono
l’istruzione minima perché vi era poco controllo. Nel 1833 la Reform act proibisce il lavoro infantile prima dei 9
anni e stabilisce che i ragazzi tra i 9 e i 13 anni, devono frequentare la scuola per almeno due ore al giorno.
Nell’ambito delle iniziative private hanno grande risonanza le “scuole di mutuo insegnamento” di Bell e
Lancaster e le “scuole infantili” promosse da Owen, Buchanan e Wilderspin.
Ma è meglio chiarire perché la rivoluzione industriale prende avvio nel XVII secolo e perché proprio nelle isole
britanniche e non il altre nazioni:
Un primo aspetto che caratterizza il ‘700 nella Gran Bretagna viene denominato “rivoluzione
vitale”-> si verifica un sensibile aumento demografico (crescita del numero delle nascite e riduzione
del tasso di mortalità ). La popolazione passa da 6 milioni del 1750 ai 18 milioni nel 1850. Come
conseguenza vi è un maggior numero di persone e quindi una maggior domanda di beni di consumo e
della loro produzione;
Contemporaneamente vi è il potenziamento dell’agricoltura-> grazie all’impiego di rinnovate
tecniche di coltivazioni e all’applicazione delle Enclosure Act (leggi che consentono di recintare e
concentrare la terra) che aumentano la produzione e che comportano allo stesso tempo l’aumento
della disoccupazione e l’indigenza tra i coloni e i contadini meno favoriti;
Questa situazione l’allargamento degli ambiti commerciali portano alla formazione di capitali
nelle mani di uomini, nobili e borghesi, sensibili al progresso e disposti ad accogliere le nuove idee,
dando vita a imprese private, nelle quali trovano terreno favorevole la ricerca e le scoperte
tecnologiche (macchina filatrice, spoletta volante, telaio idraulico, macchina a vapore).
Il modello inglese trova consensi in altri paesi, nei quali maturano progressivamente lentamente le
condizioni adeguate: sviluppo dell’agricoltura, consolidamento della borghesia, miglioramento dei
trasporti.
1850-> rivoluzione prende piede in Belgio, Francia, Germania, Svizzera e Stati Uniti.
1875-> Italia, Russia, Spagna sono ancora paesi a struttura prevalentemente agricola, per cui
l’industrializzazione comincerà ad affermarsi tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900.
Joseph Lancaster (1778-1838) nell’anno 1797, apre a Southwark (povero sobborgo di Londra) una scuola
elementare. Per rendere più contenuta la spesa delle famiglie e più rapida l’istruzione a un maggior numero di
ragazzi si avvale della collaborazione degli scolari più svegli quali “monitori” e ripetitori agli altri, arrivando a
escogitare un metodo didattico che gli consente di tenere da solo una scuola di mille allievi. I ragazzi più bravi
ripetevano la lezione e la spiegavano agli altri. In seguito il metodo si diffonde ed è noto con nomi diversi:
mutuo insegnamento; sistema monitorale, sistema lancasteriano, sistema inglese, scuole mutue.
Lancaster dà notizia dell’opera avviata nel 1803 con “Miglioramenti della scuola in quanto riguarda la classe
lavoratrice della comunità ”, in cui precisa di aver fatto i suoi iniziali tentativi prima di conoscere un analogo e
precedente “esperimento” realizzato da A. Bell in un asilo e presentato nel suo libro nel 1797.
Andrew Bell (1753-1832) pastore anglicano, era stato nominato direttore di un istituto educativo fondato dalla
Compagnia delle Indie Orientali a Egmore, vicino a Madras per gli orfani dei militari inglesi. Trovandosi con una
scolaresca molto numerosa e non avendo collaboratori, adotta il “metodo mutuo” che aveva visto applicare
dai maestri indù nelle loro scuole all’aria aperta, dopo averlo completato e sistemato personalmente.
Le scuole lancasteriane trovano appoggio negli ambienti liberali. Nel 1811 viene fondata una società con lo
scopo di promuovere la diffusione delle scuole monitorali nella Gran Bretagna e all’estero. Lancaster però
limitava l’insegnamento religioso e ciò porta la chiesa anglicana a promuovere la fondazione di un’altra
società , capitanata da Bell. La rivalità sorta tra le due associazioni contribuisce a farne conoscere le opere e a
diffonderne i metodi, molto vicini negli aspetti organizzativi e didattici.
Le scuole monitorali hanno la massima espansione nelle prime decadi dell’800; vengono chiuse però alla fine
degli anni ’20 a causa di pregiudizi (la scuola viene vista come un luogo di sovversione che invita ad andare
contro l’autorità ), si avverte il problema di una scuola che può formare ed educare: un popolo acculturato ha
un potere maggiore e può ribellarsi per far sentire la propria voce.
Le proposte di Bell e Lancaster rispondono alla necessità di diffusione dell’istruzione elementare; esse però
presentano serie carenze dal punto di vista educativo.
Nel 1818, l’industriale e filantropo R. Owen (1771-1858) invia dalla Scozia uno scritto agli industriali inglesi
sull’impiego dei bambini nelle fabbriche, denunciando il fatto. Quando invia la sua lettera, il suo istituto a New
Lanark, dove egli è comproprietario e direttore di una filanda di cotone, è già funzionante. Nel “campo gioco”
annesso all’istituto, lo stesso aveva iniziato un’esperienza ritenuta la prima scuola infantile inglese (infant
school) alla quale si ispirano molte altre realizzate dentro e fuori dalla GB nella prima metà dell’800.
Nato in una modesta famiglia di commercianti, riceve la breve istruzione di leggere correntemente, scrivere in
scrittura leggibile e capire le quattro regole dell’aritmetica. Dai 6 ai 9 anni viene assunto dal maestro come suo
assistente. Dopo di chè la sua formazione è puramente autodidatta. Nel 1792 è direttore di una filanda a
Manchester, dove inizia ad esercitare i primi tentativi di
istruzione per le classi povere, ideati da Lancaster. Alcuni anni dopo assume la direzione della filanda di cotone
a New Lanark, dove decide di mettere in atto le sue idee riformatrici. La popolazione lavoratrice della cittadina
scozzese si aggirava attorno alle 1300 persone adulte e 400 bambini dai 5 ai 10 anni. Le condizioni contro cui
Owen deve lottare sono:
L’ignoranza;
La superstizione; conseguenza della giornata di lavoro, salari bassi e cattiva sistemazione delle abitazioni.
L’immoralità .
Il miglioramento delle condizioni igieniche, i cambiamenti introdotti nelle tecniche di produzione e i rapporti
più umani con gli operai all’interno della fabbrica danno lentamente risultati positivi. Due delibere sono
considerate particolarmente importanti:
La decisione di non impiegare i ragazzi nel lavoro industriale prima dei 10 anni; La creazione, nel 1809,
di una scuola infantile per bambini dai 2 ai 5 anni.
Nelle riflessioni giovanili Owen era arrivato a formulare delle tesi riguardanti l’educazione. La prima di queste è
del 1812 “l’uomo è essenzialmente la creatura delle circostanze o delle condizioni in cui si trova a vivere”. Le
riflessioni del filantropo inglese sono variazioni attorno al tema centrare dell’influsso delle circostanze sul
modo di essere e di comportarsi, cioè sul carattere dell’individuo. Egli afferma che l’assimilazione di tutte
queste verità sarebbe sufficiente per creare relazioni di carità , tolleranza, giustizia tra industriali e operai nella
nuova società da lui prospettata. Da tale principio egli si discosta da una società che non esita a spendere
milioni per punire i delitti, ma che non fa nulla per prevenire i delitti, eliminando le circostanze che tendono a
generare il malcostume.
Dirigendosi al governo e ai responsabili di diversi paesi, sollecita la creazione di “piani razionali per
l’educazione e la formazione generale del carattere dei loro sudditi”. Se si interviene tempestivamente, i
bambini possono essere educati ad acquisire qualsiasi lingua, sentimento, fede o qualsiasi abitudine di
comportamento, non contrari alla natura umana.
Nel periodo di Manchester, Owen conosce le realizzazioni di Lancaster, se ne fa promotore ma segnala alcuni
limiti del “mutuo insegnamento”. Con la nascita, nel 1816, del “nuovo istituto per la formazione del carattere”
a New Lanark, Owen pone l’accento sull’educazione invece che sulla trasmissione di conoscenze.
L’esame della situazione delle famiglie operaie suscita in lui le prime riflessioni sulla necessità di un asilo
infantile, basato sul principio che il carattere doveva esser formato sin dal primo momento in cui gli infanti
potevano lasciare i genitori:
2-5 anni-> asilo infantile che consiste in un “campo di gioco”, dove i bambini sono accolti e
sorvegliate da persone qualificate;
6-12 anni-> svolto in programma di cultura elementare con alcuni spunti di novità (lettura,
scrittura, cucito, aritmetica, storia naturale, geografia ecc)
Accenna ai due gradi superiori, in cui gli allievi vengono allevati e istruiti senza punizioni.
Il costo dell’insegnamento è modesto, si fa pagare alle famiglie “tre penny” al mese, perché la scuola
non sia considerata un istituto per indigenti. Al centro del suo interesse si colloca però il grado
inferiore, quello dei più piccoli. I due primi collaboratori in questo settore sono J. Buchanan e M.
Joung.
La fama dell’esperienza avviata da Owen si diffonde rapidamente anche fuori dalla Gran Bretagna. Per
iniziativa di J. Mill e H. Broughman, si progetta una seconda scuola sul modello di quella di New
Lanark. I promotori sono convinti che l’iniziativa può dare una risposta alla situazione creatasi a
Londra dopo la rivoluzione industriale e far fronte alla delinquenza giovanile. La nuova scuola si apre a
Westminster nel 1819, diretta da J. Buchanan al quale si deve il successo dell’istituzione. L’incontro
che ebbe poi con Wilderspin (1791-1866) è all’origine della terza scuola infantile inglese, fondata nel
1820 a Spitalfields.
Le due scuole londinesi presentano caratteristiche comuni che riecheggiano nel modello di New
Lanark:
o Wilderspin introduce le punizioni corporali, giustificandone l’uso, non solo in base alle
difficili circostanze di Londra, ma anche perché crede alla valenza educativa di tale tipo di
castighi.
o A Westminster e a Spitalfields il maestro fa ricorso ai monitori, un mezzo
organizzativo-didattico che non era stato introdotto a New Lanark ma che si era ormai
generalizzato nella GB per opera di Bell e Lancaster;
o Owen introduce la religione costretto dalle richieste dei genitori (lui confessa di
aver abbandonato ogni fede religiosa), Wilderspin crede che la religione è parte essenziale
dell’educazione e afferma di “non condividere le opinioni teoriche e religiose” di Owen.
Wilderspin diviene una figura di primo piano all’interno del movimento della scuola infantile inglese. Nel 1824
crea la “infant society”.
Nel 1830 un prete italiano, Ferrante Aporti (1791-1858), scrive a J. Werthimer ringraziandolo per il dono
“dell’aureo libretto –sulla educazione e sulle scuole dei piccoli fanciulli-“ e gli confida che ha concepito l’idea di
farsi promotore di tali scuole grazie all’opera ricevuta. Infatti, il primo esperimento di scuola infantile in Italia
ha inizio a Cremona nel 1828. L’istituzione conosce un rapido sviluppo e Aporti non è solo l’iniziatore, ma
anche l’instancabile propulsore.
Ferrante Aporti nasce in provincia di Mantova e, dopo gli studi letterari, entra in seminario e si fa sacerdote nel
1815. Durante un periodo a Vienna, dal ’16 al ’19, ha l’occasione di partecipare ad alcune lezioni del
pedagogista V.E. Milde e di prendere contatto con J. Werthimer, interessato ai problemi dell’istruzione.
Rientrato in patria ha varie cariche tra cui direttore delle scuole elementari, professore di esegesi biblica e nel
1826 riceve l’incarico dell’insegnamento della metodica per glia spiranti maestri elementari. In questo clima
legge l’opera di Wilderspin sulla “infant School” inglese e nel 1828 crea a Cremona la prima scuola infantile per
“bambini e bambine agiate”. Incoraggiato dalla buona accoglienza organizza, nel 1830, una scuola infantile per
“bambini di famiglie povere” e nel 1832 un’altra per bambine appartenenti a famiglie di umili condizioni.
La scuola infantile di Cremona stimola realizzazioni analoghe in numerose altre città come Livorno, Prato, Pisa,
Firenze, Siena ecc. Questi nuovi istituti sono retti secondo i principi pedagogici proposti da Aporti nel
“Manuale di educazione ed ammaestramento per le scuole infantili” (1833) e nella “Giuda per fondatori e
direttori delle scuole infantili di carità ” (1836). La preoccupazione educativa costituisce il primo tratto che
caratterizza la nuova istituzione nei confronti delle vecchie “scuole di Custodia”.
Dal confronto del Manuale di Aporti e lo scritto di Wilderspin, emergono elementi comuni:
Le scuole infantili o asili aportiani hanno una forte risonanza. Esse cercano di dare una risposta a reali problemi
educativi e sociali. L’impegno di Aporti in Italia rappresenta un contributo significativo al problema della cura e
dell’educazione dei fanciulli in età prescolare, lasciati precocemente dalle mamme impegnate nel lavoro fuori
casa (nelle risaie-fabbriche). Dal punto di vista pedagogico però vi sono alcuni difetti/vizi della scuola infantile,
tra cui la mancanza di concreta aderenza alla psicologia infantile, la macchinosità dei metodi, la
contaminazione della scuola infantile con la scuola elementare a causa di una istruzione eccessivamente
ampia. Questi difetti si trovano all’origine della decadenza che colpisce glia sili aportiano ancora durante la vita
del fondatore. Molto presto essi vengono soppiantati dai più floridi e originali kindergarten di Frö bel.
2.3 La scuola infantile in altri paesi europei: dalla “salle d’Asile” al “kindergarten”
L’istituto fondato dall’inglese Owen nel 1816 viene presentato come la “prima scuola infantile”. E’ veramente
cosi?
Negli ultimi decenni del 1700 prende l’avvio nella Francia orientale una istituzione fondata da J. F. Oberlin
(1740-1826) in cui ai bambini più piccoli vengono offerte cure fisiche, istruzione e educazione.
Oberlin, pastore evangelico e nato a Strasburgo, uomo austero e professore nel ginnasio protestante, inculca
nei figli “abiti di ordine, di economia e di generosità verso i poveri”. Nel 1767 viene nominato pastore di Ban
de la Roche, una località montuosa tra l’Alsazia e la Lorena. Un quei remoti posti avevano trovato rifugio,
durante le guerre di religione, uomini di diverse nazionalità , rimasti abbandonati alla loro sorte. Quando
Oberlin arriva nel paese la popolazione era costituita da rudi contadini, analfabeti, sfruttati dai proprietari,
chiusi ed egoisti per le misere condizioni in cui vivevano.
Impegno educativo.
Preso il primo contatto con la povertà degli abitanti, Oberlin si impegna a migliorare la loro educazione.
Convinto del ruolo fondamentale dell’educazione, tra il 1771 e il 1779 riesce a fornire di scuole quattro dei
cinque villaggi che la parrocchia comprende. (Iniziativa con più risonanza fu quella di Waldersbach).
Oberlin non ha pubblicato nessun saggio sulla sua esperienza. La giovane S. Banzet è la prima “conduttrice
d’infanzia” (maestra). In un secondo momento risulta decisiva la collaborazione di L. Scheppler, che è maestra
e poi direttrice dell’istituto. L’organizzazione scolastica delineata nel “Reglement” riflette il modello della vita
militare alla quale Oberlin si era interessato da giovane. Gli alunni partecipano alla responsabilità
dell’andamento della scuola attraverso l’esercizio di cariche diverse:
- le guardie-> elette per una settimana, responsabili dell’ordine e della pulizia della scuola;
- i comandanti di un plotone-> incaricati di di 6/7 alunni di cui devono promuovere lo spirito di lavoro;
- il giurato-> eletto per sei mesi, capo delle guardie;
- l’anziano-> eletto per sei mesi, responsabile di tutte le cariche, facente capo direttamente al maestro.
Mediante questa gerarchia Oberlin vuole che gli allievi prendano coscienza della propria responsabilità verso
se stessi e verso la comunità .
Agli inizi del XIX secolo nella maggior parte dei paesi latini d’Europa, la presenza dello stato nell’ambito
dell’educazione è praticamente inesistente. Il tasso di analfabetismo è ancora elevato. Le scuole elementari,
promosse dall’iniziativa privata o dalla Chiesa, raggiungono una minoranza di bambini dei ceti popolari in età
scolastica. L’offerta culturale di queste piccole scuole è limitata: leggere, scrivere e far di conto. I collegi, sono
in mano alle istituzioni ecclesiastiche e religiose, e sono riservati ai giovani appartenenti ai ceti aristocratici o
benestanti. Nel programma svolto essi ricevono in particolare nozioni umanistiche. In genere, soltanto
avvocati, medici e teologi ricevono una formazione specialistica. Nell’arco dell’800 la situazione si trasforma
profondamente. Lo stato scopre la scuola anche come strumento di dominio politico e sociale e prende misure
sempre più decise in ordine a un reale controllo dell’educazione. Lo scontro con la Chiesa presenta punte di
grande tensione: il tema della libertà d’insegnamento e quello connesso della secolarizzazione della scuola.
In Francia-> riforme napoleoniche e legge Giuzot (1833);
In Italia-> costituzione della repubblica cisalpina e legge Boncompagni (1848).
In Italia la frammentarietà politica e l’eterogeneità delle tradizioni culturali delle differenti regioni non
facilitano le imprese attuate dalla Francia. I piani elaborati da A. Genovesi e G. Filangieri nella seconda metà
del XVIII secolo non riescono a trasformare la situazione di stallo. Maggiore incidenza hanno invece le riforme
scolastiche (delle scuole popolari all’università ) realizzate nella Lombardia sotto il dominio austriaco.
procedimento intuitivi.
Università -> Bologna, Padova, Pavia; Licei e scuole secondarie, o ginnasi; Scuole primarie.
Nel periodo della restaurazione si avverte nella maggior parte degli stati italiani una più incisiva presenza di
personalità ecclesiastiche nei diversi ambiti e livelli dell’insegnamento. La normalizzazione dei rapporti tra
Stato e Chiesa comporta il ritorno a una posizione di preminenza nell’attività educativa delle forze religiose
(soprattutto nel regno Sardo che eserciterà in seguito un ruolo importante nella promozione e organizzazione
della scuola nell’Italia unita).
Analizziamo due ordinamenti scolastici della prima metà dell’800 che sono significativi benché visti da
prospettive diverse:
- regolamento per le scuole fuori dell’università -> approvata da C. Felice nel 1822, per incarico del Magistrato
della Riforma, organo supremo dell’istruzione pubblica. La nuova normativa si propone di richiamare tutte le
scuole fuori dall’università all’unità di regolato sistema, il quale provveda all’educazione morale, e scientifica
dei giovani, che sono per dar opera agli studi nelle scuole tanto comunali che pubbliche. L’impostazione del
regolamento risulta eccessiva e oppressiva.
2. Legge Boncompagni-> del 1848, legge organica della pubblica istruzione e anche quella che regola i
collegi-convitti nazionali. Queste due leggi sono state firmate da C. Alberto. Il sistema scolastico è articolato in
tre ordini:
NB! Nei collegi nazionali si stabilisce un corso speciale per i giovani che non intendono frequentare gli
studi classici. Malgrado aporie, critiche e pochi consensi, il codice scolastico Boncompagni pone le
basi di tutti i miglioramenti da introdurre nell’istruzione. Successivamente ci sarà la legge Casati,
pubblicata nel 1859 e essa costituisce la prima legge scolastica organica dell’Italia unita, restando in
vigore fino alla riforma di Gentile nel 1923.
Dopo i tumultuosi anni della Rivoluzione francese e l’avvenuta napoleonica, la Chiesa si fa più
attivamente presente nell’ambito dell’educazione e della scuola. Le istituzioni ecclesiastiche
riprendono “elementi positivi tradizionali” (pratica religosa, impegno nel lavoro, formazione nella
virtù ) e accettano istanze nuove:
Diffusione dell’istruzione tra il popolo e della formazione nelle arti e mestieri tra i giovani
bisognosi; Adozione di metodi più benigni e ragionevoli nel trattare i ragazzi in famiglia e a scuola;
Atteggiamentomenosospettosoneiconfrontidelleattività ludicheericreative.
I principali protagonisti di questo vasto impegno sono gli istituti religiosi dediti all’insegnamento e
all’educazione. Nei primi decenni dei XIX secolo sono ripristinati quelli soppressi dalla Rivoluzione e
sorgono nuove congregazioni insegnanti. Complessivamente sono oltre 140 gli istituti maschili e
femminili sorti tra il 1800 e il 1860. La maggior parte, otre 120 erano femminili e circa 2/3 di essi
erano legati con il problema dell’educazione.
2. Opera di Lodovico Pavoni-> fondatore dei Figli di Maria Immacolata per l’educazione e istruzione
scolastica e professionale della gioventù povera. Nell’anno 1843 con un gruppo di collaboratori, sacerdoti e
laici, Pavoni da vita a una nuova congregazione, il cui obiettivo fondamentale è formulato nelle “costituzioni”,
con scritte anche le finalità :
Stabilimenti gratuiti;
Convitti e laboratori per l’insegnamento delle arti e dei mestieri o dell’agricoltura;
Speciale attenzione verso i maestri e le norme metodologiche che devono guidare il loro rapporto con i
ragazzi.
2. Figlie del Sacro Cuore di Gesù-> contributo della nobile Teresa Eustochio Verzeri, fondatrice della
congregazione. Nei suoi scrittoi si avverte l’influsso delle opere di T. d’Avila, F. di Sales, I. di Loyola e di altri
autori gesuiti. La preoccupazione di impedire il male va unita allo sforzo di creare un clima di “santa libertà ”, in
un esplicito orizzonte religioso. Il raggiungimento di questo obiettivo e la riuscita dell’opera educativa, esigono
la conoscenza personale di ogni giovane educanda, per poter applicare in ciascun caso le misure più adeguate.
4. EDUCAZIONE, SCUOLA E PEDAGOGIA NEL PERIODO DEL RISORGIMENTO ITALIANO. (pag. 201)
Il Risorgimento è considerato dalla storiografia di qualsiasi tendenza un evento di grande rilievo nella storia
moderna e contemporanea non sono d’Italia ma anche dell’Europa. Si tratta di un evento complesso un cui
s’intrecciano problemi politico, sociali, culturali e letterari, religiosi, educativi, economici, demografici che tra
la fine del 700 e lungo l’800 portano l’Italia dal secolare frazionamento politico all’unità , all’indipendenza
nazionale, allo stato liberale e costituzionale.
Dei molti problemi affrontati dal Risorgimento italiano, quello educativo non è marginale, ma s’intreccia con gli
altri acquistando sempre più rilevanza perché s’acuisce la consapevolezza che l’educazione popolare è
premessa necessaria e indispensabile alla formazione della coscienza politica, nazionale e sociale.
La pedagogia del Risorgimento va collocata in questo evento complesso. Inoltre essa è aperta alle suggestioni
che provengono dalla pedagogia europea, in particolare da quella svizzera, per cui le teorie di Rousseau,
Pestalozzi, Necker de Saussure, Frö bel trovano ampia accoglienza e sono motivi di dibattito costruttivo. Si
presta inoltre molta attenzione alle esperienze educative che si attuano in Svizzera, Francia, Germania,
Inghilterra: dal mutuo insegnamento alle scuole infantili e a tutto ciò che può contribuire all’educazione
popolare.
Vincenzo Cuoco (1770-1823) è il “primo a porre con chiarezza ed efficacia somme il problema nazionale come
problema essenzialmente educativo e il problema educativo come problema essenzialmente di formazione
della coscienza nazionale. La vita di V. Cuoco si svolge in un periodo che registra significativi eventi storici per
l’Europa:
Rivoluzione francese;
Imperialismo napoleonico;
Congresso di Vienna e Restaurazione; Primi moti insurrezionali italiani.
Nasce in Molise, studia a Napoli, nella quale nel 1799 simpatizza per la sua rivoluzione acconsentendo alle
aspirazioni di libertà, giustizia, progresso che l’animano ma non ai modi che risentono troppo dei metodi
giacobini francesi. Al ritorno dei Borboni è arrestato e condannato all’esilio e alla confisca dei beni. Dopo la
vittoria di Napoleone ritorna in Italia e si stabilisce a Milano dove, nel 1801, scrive “Saggio storico sulla
rivoluzione napoletana” del 1799. Successivamente nel 1804 fonda e dirige il “giornale italiano”. Quando a
Napoli ritornano i Francesi, vi fa rientro anche lui. Gioacchino Murat lo elegge membro di una commissione
incaricata di organizzare un sistema d’istruzione pubblica generale per tutto il Regno. Dopo la restaurazione
borbonica si ritira dalla scena politica.
L’educazione popolare è il problema fondamentale che Cuoco affronta nei suoi scritti di natura pedagogica, e
di natura politica. Per
comprendere come l’educazione popolare sia fondamentale in ordine all’educazione della coscienza
nazionale e civile degli Italiani, l’italiano afferma che è più necessaria delle vicende politiche. Egli
prende le distanze da un’educazione troppo generale, che non fa alcuna differenza tra le esigenze richieste per
educare i fanciulli di città e fanciulli di campagna o che, addirittura, non si pone il problema dell’educazione del
popolo o ne misconosce i caratteri peculiari.
Nel “Rapporto al Re Giacchino Murat, nel Regno di Napoli”, l’opera di Cuoco più conosciuta, afferma che
l’educazione deve essere:
Il “Rapporto” costituisce il primo documento pedagogico nettamente rappresentativo del XIX secolo.
L’influsso del Cuoco è evidente nel giovane Mazzini, che ricopia, riassume e postilla gli articoli
sull’educazione nazionale e popolare scritti per il “Giornale italiano”. Egli infatti, concorda con il
Cuoco nel ritenere il problema politico italiano un problema essenzialmente etico ed educativo.
Nasce a Genova. Nel 1827 si iscrive alla Carboneria e nel 1830 è arrestato e imprigionato. Sceglie
l’esilio al posto del domicilio coatto. Nel ’31 fonda la Giovine Italia, dopo il fallimento dei moti del 31-
34, va in Svizzera e a Berna, dove fonda la Giovine Europa, consapevole che è necessario l’accordo
con quanti lottano in altri paesi per raggiungere gli stessi fini per i quali lottano gli Italiani. Nel ’37 in
Inghilterra fonda “l’unione degli operai italiani”. Dal 1847 al 1857 prende parte attiva agli avvenimenti
italiani. Dopo l’unificazione italiana nel 1861, ritorna in Inghilterra dedicandosi all’organizzazione degli
operai italiani in contrasto con l’organizzazione di Marx. Le sua visite in Italia sono clandestine, tanto
che in una di queste si ammala e a Pisa muore nel 1872.
Per Mazzini l’educazione popolare è fattore prioritario e indispensabile nella costruzione dell’Italia
una, libera, indipendente, repubblicana. Infatti, fin dagli inizi della sua attività politica, rimprovera alla
Carboneria il distacco esistente tra cospiratori e popolo. Durante l’esilio in Inghilterra, Mazzini prende
coscienza dell’impossibilità di giungere all’unità nazionale prescindendo dal popolo, che va riabilitato
attraverso l’educazione. A Londra, negli anni della rivoluzione industriale, egli s’imbatte in molti
Italiani che vivono miseramente. Per loro, nel ’41, apre una scuola gratuita, dove fanciulli e adulti
apprendono a leggere a scrivere e sono avviati allo studio della storia e della geografia. Per questi
alunni fonda il giornale “l’educatore” nel ’43 e per gli operai italiani “l’apostolato popolare” nel ’40,
dove pubblica i “doveri dell’uomo” nel ’60.
C’è da notare che Mazzini insiste più sui doveri che sui diritti dell’uomo, perché sa che la sola
proclamazione dei diritti può portare a devianze e soprusi quando non trovi persone adeguatamente
preparate ad integrare armonicamente diritti e doveri nella vita sociale e personale. Anzi, va tenuta
sempre presente la legge morale universale, che è il progresso di tutti per opera di tutti. In ogni
ambito si deve instaurare, al posto della sovranità dell’individuo, la sovranità della legge, e dunque, di
Dio: si tratta di dare alla libertà dell’individuo un fine superindividuale, di scoprire una sorgente
d’autorità che diriga la libertà come mezzo per raggiungere quel fine. Si tratta, in ultima analisi, di
trovare la sorgente dell’autorità in una fede religiosa che non dev’essere, necessariamente,
confessionale. A tale proposito è nota la religiosità che anima tutta l’azione di Mazzini e le
dichiarazioni esplicite in cui nega di essere cattolico. Di può allora comprendere perché Mazzini ripeta
spesso la formula che il problema dell’epoca è “problema religioso d’educazione”. Mazzini parte
dall’affermazione che Dio ha fatto l’uomo educabile, per cui egli ha il dovere di educarsi e il diritto di
attendere dalla società un aiuto nell’opera di educazione. Distingue tra educazione e istruzione e
mette in guardia da chi vorrebbe inculcare solo diritti e doveri.
Il pensiero e l’opera di Mazzini, anche se sembrano svanire con il fallimento delle sue iniziative
rivoluzionarie e per l’incapacità di tradurre il pensiero in azione, nondimeno hanno un loro influsso
riconosciuto dagli studiosi. Si tratta, innanzitutto, di un influsso etico-politico, che percorre tutta la
storia del Risorgimento e da di Mazzini un educatore della fede incrollabile nella capacità degli italiani,
adeguatamente educati, a iniziare quel processo che porterà l’Italia ad essere una, indipendente,
sovrana. E’ la certezza che gli italiani possono trovare nella loro tradizione la forza necessaria per
iniziare questo processo senza attendere aiuto o consiglio da altri, dalla Francia in particolare.
Gino Capponi (1792-1876) va collocato nel clima culturale e sociopolitico dell’Italia e dell’Europa del XIX
secolo, ma più specificamente in quello toscano. Nasce a Firenze da nobile e antica famiglia fiorentina.
Possiede una vasta cultura che gli viene dalla coscienza delle lingue classiche e moderne, da forti studi, molte
letture e da viaggi in Italia ed Europa. Dal novembre 1818 al giugno 1820 viaggia in Francia, Inghilterra, Olanda,
Germania, Svizzera per studiare istituzioni, costumi e storia di quei popoli. Dà relazione di questi viaggi alla
“società per la diffusione del metodo di reciproco insegnamento” di cui è membro e nell’ampia recensione al
libro del Villevieille. Capponi è tra i fondatori dell’” Antologia, del Giornale Agrario Toscano, dell’Archivio
Storico Italiano”. Per sua iniziativa la società fiorentina per la diffusione del metodo di reciproco insegnamento
bandisce nel 1829, e ripropone nel 1833 e 1834, un concorso per un libro di lettura e istruzione morale per
fanciulli dai 6 ai 12 anni. La commissione, premia A. Parravicini.
Promuove e sostiene gli asili di tipo aportiano, segue con interesse le incede dell’istituto di San Cerbone
dell’amico Lambruschini, dell’istituto agrario di Meleto del cugino C. Redolfi e i dibattiti pedagogici della
“Guida dell’Educatore”, la prima rivista pedagogica fondata dall’amico Lambruschini.
Molti sono gli scritti del Capponi di carattere storico, letterario, economico, politico. Quelli dell’argomento
pedagogico sono: “sull’educazione. Frammento” del 1841: il suo capolavoro. E’ ritenuto lo scritto pedagogico
più originale e profondo non solo della scuola toscana ma di tutta la letteratura nazionale della prima metà del
secolo. Sebbene il Capponi proceda in modo rapsodico, secondo lo stile del suo ingegno, c’è un
concatenamento organico tra i vari problemi che tratta, dato da un’idea centrale: lo sviluppo integrale dello
spirito nel concreto rispetto delle sue forza primigenie, a cui deve adeguarsi la prassi educativa. E lo spirito, è
una forza attiva, potenza intuitiva e riflessiva mossa dall’attività dell’affetto e del volere più che dalla
razionalità e dell’attività teoretica.
Nel suo capolavoro, “sull’educazione, Frammento” vi è il suo pensiero pedagogico. Vi sono paragrafi in cui si
esprime il concetto di fondare la prassi educativa sul ruolo importante degli affetti, sul rispetto e sulla
spontaneità e della personalità , sull’esigenza di esempi buoni, sul ruolo della famiglia, in particolare della
madre, che educa il cuore, perché l’educazione è sviluppo integrale della persona mediante le forze vive dello
spirito, che vanno conosciute e rispettate nelle peculiarità loro proprie. Per questo è fortemente critico nei
confronti di quanti credono di poter educare attendendosi ai soli metodi educativi (arte) o a molti
ragionamenti, illudendosi che l’educazione, avulsa da un principio direttivo posto fuori di noi e che in alto
risiede, possa formare coscienze libere ed autonome.
L’opera del Capponi, come quella del Rousseau, è ricca di tali paradossi e unilateralità , che inducono a pensare.
Molte delle sue critiche e dei suoi giudizi vanno certamente ridimensionati, ma non per questi diminuisce il
valore dello scritto se si guarda all’originalità dei pensieri, al modo con cui sono espressi e all’intenso richiamo
conclusivo per un’educazione non sdolcinata di cui ha bisogno l’Italia del suo tempo.
Il capolavoro del Capponi, sebbene uscito per la prima volta anonimo, ha grande successo. Ciò sta ad indicare
la genialità dello scrittore e la sua capacità di provocare dibattiti e confronti sui principali problemi del suo
tempo.
Raffaello Lambruschini (1788-1873) è definito il Girad italiano. La consonanza di questi due educatori e
pedagogisti è data dal loro interesse per l’educazione del popolo, dal considerare l’educazione fondamento
dell’ordine morale e questo dell’ordine politico, dal ruolo che in essa ha la religione. Ma più ancora la
consonanza è data dal loro stile di educatori, dal loro rapporto con gli allievi, dal dare tutto (tempo, energie,
mente, cuore) alla “difficile opera dell’educazione”.
Il contesto in cui vive Lambruschini è quello descritto per l’ambiente toscano, in particolare fiorentino, dove le
iniziative politiche, culturali, sociali, educative, trovano sincero e concreto appoggio nei liberali. Gli amici del
Capponi sono anche gli amici del Lambruschini e viceversa. Tra i due c’è grande intesa, soprattutto sul
problema della riforma che li vede impegnati in riflessioni, scambi d’idee, progetti, desiderio di rendere il culto
meno formale, più rispondente alle esigenze di una coscienza matura.
Nasce a Genova, compie i primi studi nel capoluogo ligure, li prosegue a Livorno e successivamente a Roma,
dove si trova lo zio paterno Padre Luigi, futuro arcivescovo di Genova, Nunzio apostolico a Parigi, Cardinale e
Segretario di Stato del papa Gregorio XVI. Termina gli studi a Orvieto dove c’è un altro zio paterno, mons.
Giovan Battista, vescovo di quella città dal 1807. Studia lingue classiche, scienze naturali, filosofia, i padri della
chiesa. Dal 1810 al 1812 regge come provicario la diocesi di Orvieto, quando lo zio è deportato in Francia per
non aver giurato fedeltà a Napoleone. In seguito, dal 1812 al 1814 è confinato a Bastia (Corsica) per il suo
atteggiamento antinapoleonico. Liberato nel ’14 lo si ritrova a Roma. L’esperienza del confino, la sensibilità e
rettitudine dicoscienza, l’esigenza di una vita coerentemente evangelica, il distacco che avverte tra le sue
profonde aspirazioni e quelle del clero, lo portano alla decisione di abbandonare ogni carriera ecclesiastica per
ritirarsi nella tenuta di San Cerbone, a Figline Valdarno nel 1816. Nel 1829 inizia, su sollecito dell’amico
Vieusseux, un istituto educativo per ragazzi di famiglie signorili, che dirige fino al 1847. Ma fin dal suo arrivo a
San Cerbone egli si dedica all’educazione dei contadini per cui ogni attività , studio o scritto, va visto in
prospettiva educativa, anche quando, per esempio, s’interessa dell’allevamento dei bachi da seta, della
rotazione delle colture ecc. Nel 1827 fonda con C. Redolfi e L. de Ricci il “giornale agrario toscano” con anche
G. Capponi. Dal 1836 al 1845 dirige e scrive la “giuda dell’educatore”, la prima rivista pedagogica che ha l’Italia
del XIX secolo.
Ricopre incarichi politici e culturali importanti: deputato di Figline al parlamento toscano, ispettore generale
delle scuole in Toscana; senatore...
Lambruschini è l’educatore e il pedagogista del maggior raggio d’azione che abbia avuto il Rinascimento.
Infatti non va dimenticato l’ampia rete di conoscenze ed amicizie che egli instaura con educatori e pedagogisti
italiani ed europei. In tal modo ha l’opportunità di conoscere istituzioni educative e scritti pedagogici del suo
tempo.
Lambruschini è educatore nell’istituto di San Cerbone dove accoglie una dozzina di ragazzi dando loro
un’educazione integrale, chiamando a collaborarvi maestri italiani ed esteri. Lo stile di famiglia è assicurato
dal numero ristretto degli allievi, dalla presenza del Lambruschini, che segue personalmente ogni ragazzo,
condividendo tutto con loro, dalla mensa ai giochi, tanto che i ragazzi lo chiamano semplicemente “signor
Raffaello”.
Don Bosco ricusa di entrare direttamente nell’arena politica. Sente la sua vita “sostanzialmente impegnata
quasi soltanto nel problema educativo”. Per i giovani abbandonati e pericolanti apre il suo oratorio festivo
(riunioni domenicali, con insegnamento del catechismo, formazione religiosa, giochi, musica). Si inserisce
inoltre in un movimento ecclesiastico educativo che presenta realizzazioni valide nella capitale del Piemonte.
Non si limita però ad aspettare i ragazzi all’oratorio, si pone alla loro ricerca, li incontra dove essi si trovano:
carceri, cantieri, botteghe, piazze e contrade. Fonda successivamente i “laboratori” per insegnare i mestieri ai
ragazzi per farlo diventare quindi un uomo autonomo. Egli si preoccupa inoltre di far inserire il giovane nel
mondo del lavoro, si deve a lui il primo contratto di lavoro, ovvero un patto tra datore di lavoro e dipendente
(contratto di apprendistato).
Nel 1859 fonda la “società di San Francesco di Sales” (salesiani), congregazioni che egli fonda per
raggiungere i suoi obiettivi e hanno come obiettivo l’educazione dei giovani. Nel 1872 fonda, grazia a D.
Mazzarello “l’istituto delle figlie di Maria Ausiliatrice” per l’educazione delle ragazze.
Consapevole dell’importanza della stampa per l’istruzione ed educazione del popolo, si dedica a curare la
pubblicazione di libri per la formazione dei giovani. Da questa sua grande premura nasceranno due grandi case
editrici: la SEI e la LDC.
Dal 1875 le sue scuole di diffondono in tutta Italia e nel mondo, a partire dal Sud America. Questa attenzione
per i giovani si concretizza anche nelle università (auxilium salesiano per le ragazze, pontificio ateneo
salesiano per le ragazze).
Don Bosco, non ha elaborato una trattazione pedagogica organica e completa. E’ però significativa la sua
sensibilità a “nuclei dottrinali” di grande pregnanza educativa.
Schietta preoccupazione religiosa-> è al centro dell’intera attività . Il motto scelto in occasione
dell’ordinazione sacerdotale (da mihi animalis coetera tolle) illumina la motivazione profonda
dell’impegno di Don Bosco. In quest’orizzonte d riferimento trova significato l’attività educativa.
L’obiettivo primario che si propone è l’educazione cristiana del giovane, che mette al centro della sua
vita Dio e la salvezza eterna, ben istruito nelle verità cattoliche, figlio devoto della Chiesa, esatto nei
propri dover, impegnato in opere di carità e apostolato. La religione non solo occupa un posto
centrale nelle finalità da raggiungere, ma si colloca nel cuore stesso dell’opera formativa come base e
fondamento di ogni educazione veramente compiuta.
Integralità della proposta-> allorché si sottolineano le esigenze generose e la dimensione
trascendente dell’educazione, non vengono trascurati gli aspetti umani e la realtà storica del giovane:
vitto, vestito, alloggio, cura del corpo, formazione intellettuale, valori etici, preparazione
professionale. Gli obiettivi da raggiungere, espressi con formule semplici alla portata dei ragazzi
“salute, saggezza, santità ”, “allegria, studio, pietà ”, si inseriscono in un programma globale di
impegno umano e cristiano. Don Bosco riconosce l’istanza della felicità radicata nell’uomo e crede
però che questa non è in contrasto con la vita cristiana, anzi è convinto che soltanto la religione possa
dare la vera felicità . In “giovane perduto”, ricorre spesso una formula sintetica che diventerà
espressione classica della finalità educativa di Don Bosco:” onesti cittadini e buoni cristiani”.
Ragione, religione, amorevolezza-> oltre alla considerazione dell’integralità del programma
educativo, Don Bosco ha lasciato saggi orientamenti e indicazioni per metterlo in atto. Nell scritto “il
sistema preventivo dell’educazione della gioventù ” egli rifiuta il sistema repressivo e assume il
sistema preventivo, scrivendo che la pratica del medesimo è poggiata sulle parole si San Paolo:” la
carità è benigna e paziente; soffre tutto, ma spera tutto e sostiene qualunque disturbo”.
Orientamenti, mezzi e interventi si polarizzano attorno ad un trinomio sul quale si fonda tutto il suo
sistema:
- Ragione-> nel rapporto educando-educatore, quest’ultimo non deve imporre, ma far ragionare il
fanciullo nelle sua azioni. Non vi è l’imposizione ma una relazione con lo studente affinché questo
capisca e diventi autonomo attraverso il dialogo;
-Religione-> Don Bosco ritiene importante proporre ai giovani il vangelo. Con questa caratteristica la
religiosità che propone non è quella pietistica, ma egli vuole aiutare il ragazzo ad orientare la sua vita
in relazione a Dio;
Questo capitolo vuole mettere in evidenza la difficoltà che incontra la pedagogia nel trovare il suo statuto
epistemologico. Infatti, il positivismo la riduce a scienza del fatto educativo, che è considerato come un
qualsiasi fatto naturale sottoposto a determinate leggi; l’idealismo di Gentile, invece, riduce la pedagogia a
filosofia.
Il Positivismo è un movimento di pensiero che dalla fine dell’800 agli inizi del 900 domina la cultura nei suoi
vari aspetti: filosofici, politici, letterari, scientifici, religiosi, pedagogici. I fattori che concorrono a far mergere e
a imporre questo muovo modo di pensare e vedere la realtà sotto diverso punto di vista sono:
I grandi progressi compiuti dalle scienze naturali fin dall’inizio del XIX secolo;
L’incremento della rivoluzione industriale, che si avvantaggia delle nuove scoperte scientifiche e le
applica all’industria; L’acuirsi della questione sociale;
L’affievolirsi degli ideali etico-religiosi, che hanno alimentato la prima metà dell’800.
= affermazione del primato della scienza e del suo metodo conoscitivo; negazione di ogni realtà non
osservabile e non sperimentabile; applicazione del metodo induttivo a tutti i fenomeni naturali, culturali,
morali, sociali, religiosi; nascita della sociologia e della psicologia come scienze.
Si tratta di elementi che, intrecciandosi o sovrapponendosi ad altri, incoraggiano l’ottimismo in un progresso
umano e sociale irreversibile. Si è convinti di poter risolvere ogni problema attraverso la scienza e la
tecnica.
Il positivismo, come fenomeno europeo, pur avendo caratteristiche sostanzialmente comuni, si manifesta in
tempi e situazioni socio- politiche diversi dal paese a paese. In Italia, il Positivismo, attraverso Ardigò (1828-
1920) si alimenta alle radici del naturalismo rinascimentale, ma anche al pensiero di Galileo e Beccaria. Il
positivismo, riducendo tutta la realtà a natura regolata da leggi fisse e necessarie, cade inevitabilmente in esiti
materialistici, meccanicistici e deterministici, che non lasciano spazio libero all’agire dell’uomo. Per tutto
questo, a partire dagli anni ’70 e ’80 dell’800, la reazione al positivismo si fa vivace e il sapere si rivolge con
rinnovato interesse ai motivi etici, religiosi, sociali, artistici, senza per altro, trascurare i problemi della natura.
Pertanto si comprende che la filosofia viene ad essere considerata nuovamente uno strumento di conoscenza
e il discorso filosofico riacquista la sua funzione interpretativa del mondo e delle azioni umane. La reazione al
Positivismo dunque sfocia nel neo-idealismo sulla scia di Hegel.
In Italia la crisi del Positivismo è dovuta principalmente al suo processo interno di revisione. La cultura italiana
si apre ai fermenti delle correnti di pensiero che si affermano all’estero:
Si leggono e si discutono i testi di James, Kierkegaard, Bergson, Blondel, Nietzsche, alla ricerca di un nuovo
umanesimo da contrapporre al naturalismo e allo scientismo positivistici.
La filosofia di Croce e Gentile sembra dare risposta a questa ricerca e per tale motivo diventa dominante nella
cultura italiana di fine 800 e primi 900.
1.3. Gabelli: per un’educazione viva e sociale.
Aristide Gabelli (1830-1891) impersona come pochi lo spirito del nostro secondo risorgimento, di quel
risorgimento meno romantico e poetico del primo che ha procurato di innalzare il nostro paese al livello della
già adulta civiltà europea. Nasce a Belluno, la nonna paterna è nipote dei due fratelli C. e G. Gozzi. Forse è da
cercare in quest’ascendenza quello stile di fine e garbata ironia, l’attenzione alla concretezza dei fatti che
caratterizzano i suoi scritti. Compie gli studi a Venezia e successivamente a Padova. E’ chiamato al servizio
militare ma per due volte lo rifiuta, preferendo l’esilio.
Per Gabelli condizione primaria e indispensabile per cambiare la direzione dell’educazione è partire dalla
realtà , dai fatti. Ritroviamo qui uno dei cardini della mentalità positivista.
Il fine dell’educazione non va cercato al di fuori dell’uomo, bensì nel suo essere, per corrispondere alle sue
esigenze personali, storiche e sociali. Partire dunque, dal fatto educativo per riflettere e individuare quali
norme sono da ritenere fondamentali per formare delle persone mature, padrone di sé, utili alla società in cui
vivono, capaci di rispondere alle istanze della storia e del progresso. Egli, attento osservatore dei fatti, nota lo
stacco profondo tra esistente tra le necessità socio-politiche ed economiche dell’Italia post-unitaria e
l’educazione-istruzione data dalle famiglie e nella scuola. E’ suo convincimento che la scuola possa fare molto
per colmare questo stacco. Una scuola però completamente rinnovata, capace di formare uomini di “testa
chiara” e italiani. Scuola rinnovata, dunque, per rinnovare l’educazione e l’istruzione. Una scuola che non può
sentirsi paga di insegnare a leggere, scrivere, far di conto. Oggi le si chiede di più : scuola che non solo istruisce,
ma educa e perciò scuola educativa.
Non è funzionale al maestro, ma all’allievo: bisogna individuare le esigenze del fanciullo, partire
da quanto egli già conosce e che ha appreso attraverso l’esperienza prima di iniziare la scuola;
bisogna tener presente il suo modo fantastico, il suo modo di fare, di muoversi, di conoscersi. Si
tratta, come si vede, del metodo intuitivo o naturale già incontrato con Rousseau, Pestalozzi, Girard e
gli altri pedagogisti del Romanticismo. Con tale metodo la scuola elementare abilita non tanto, o non
solo, a leggere libri, ma a leggere la realtà in modo consapevole.
Ponendo al centro della sua riflessione pedagogica l’atto educativo che si attua nel rapporto
educando-educatore-società , è attento a tutte le espressioni di vita del fanciullo. Ed è proprio per
questo che egli è favorevole all’insegnamento religioso nella scuola pubblica, anche se esso deve
pensarsi in più termini di morale che di religione positiva.
Il problema dell’educazione della donna è legato sia al problema dell’analfabetismo, ancor molto
diffuso dell’Italia post-unita, ma ancor di più al modo con cui l’educazione viene data nella scuola.
Tuttavia Gabelli crede che l’educazione sia data non solo o non tanto dalla scuola, ma da una serie di
fattori che costituiscono la specificità di una determinata cultura e civiltà . Inoltre, per rinnovare o
trasformare un popolo, non bastano leggi, codici, regolamenti, ma è necessario il cambiamento di
mentalità , di usanze, di abitudini e ciò avviene attraverso l’educazione che le madri danno ai figli.
2. Idealismo e pedagogia.
Giovanni Gentile (1875-1944) nasce in provincia di Trapani. Compie gli studi liceali e si iscrive alla
Normale di Pisa. Apprezza molto la filosofia, legge Hegel e Marx.
Gentile è un uomo di scuola non solo perché insegna per molti anni, ma perché crede nel valore
formativo della scuola e non cessa mai d’interessarsi di problemi pedagogici. Nel 1920 fonda e dirige il
“giornale critico della filosofia italiana” e dopo l’adesione al fascismo, il suo pensiero diventa
egemone nella cultura italiana, perché egli occupa i posti nevralgici per la formazione della mentalità .
Infatti è ministro della pubblica istruzione dal 1922 al 1924, membro del gran consiglio del fascismo,
fondatore e presidente dell’istituto G. Treccani e dell’enciclopedia italiana ecc.
La pedagogia di Gentile è strettamente connessa alla sua filosofia. Anzi, egli giunge a indentificarle:
L’atto del pensare -> non esiste una realtà che è data e si pone come oggetto di fronte al
soggetto. Per Gentile questo modo di pensare è tipico del realismo che, se ha ragione nel dire che
esiste una certa indipendenza degli oggetti d’esperienza dal pensiero, tuttavia non può rivendicarne
una totale indipendenza. Tutto, anche la nostra esperienza, non è altro che la stessa realtà del
pensiero, cioè la realtà che viene posta in atto o in essere dall’attività pensante. (attualismo)
Infinità e libertà dell’io -> l’attività pensante non è condizionata da nulla, neppure dallo spazio
ne dal tempo; anzi l’universo diventa immanente al pensiero, che lo pensa e si esaurisce in esso senza
alcun residuo: ogni realismo e intellettualismo è superato; la libertà dell’io è assoluta perché viene
negata l’esistenza di ogni limite esterno.
Nei due volumi del “sommario di pedagogia come scienza filosofica” Gentile riconosce alla pedagogia
la dignità di scienza. Infatti in questo scritto egli sviluppa in modo schematico e dimostrativo le idee
contenute nello scritto “il concetto scientifico di pedagogia”, nel quale l’educazione è definita
“formazione dell’uomo secondo il suo concetto”. E l’uomo, per Gentile, non è anima e corpo, ma,
poiché è anima, è anima sola; e il suo corpo non esiste se non come momento dell’anima, nella quale
non sussiste se non idealmente”. Ciò significa formare l’uomo in quanto spirito, cioè soggetto che
esiste nell’atto stesso che si pensa, cioè che ha conoscenza di se o autocoscienza. Le conseguenze di
tale concezione risultano evidenti. Infatti, se la pedagogia è scienza dell’educazione e se l’educazione
è formazione dell’uomo secondo il suo concetto, ne consegue che la pedagogia è scienza dello spirito
e in quanto tale coincide con la filosofia. Non esiste più distinzione tra filosofia e pedagogia e, qualora
sussista una distinzione, ciò dipende dal non saper individuare correttamente i loro oggetti.
Si ha perciò la riduzione della pedagogia a filosofia o identificazione di filosofia e pedagogia. Ciò solleva molte
perplessità e dubbi:
- essere e dover essere -> la filosofia si è sempre chiesa com’è l’uomo, come dev’essere; per Gentile il
problema viene superato dalla natura dello spirito, che è continuo svolgimento verso il meglio;
- educatore, educando, maestro e scolaro -> Gentile afferma che l’educazione p un’azione spirituale che
lega insieme indissolubilmente due spiriti. Gentile nega la dualità di educatore e di educando perché essi
diventano un unico spirito;
- autorità e libertà -> eliminata la dualità tra maestro e scolaro è pure eliminata la dualità tra autorità e
libertà . Infatti, se la prima è superata nell’atto stesso in cui si fa educazione, cioè nell’atto educativo, va da sé
che nello stesso atto è superata anche l’altra dualità , autorità e libertà ;
- eteroeducazione e autoeducazione -> l’educazione dunque si risolve in autoeducazione. E ciò è la logica
conseguenza della sua filosofia, che pone a fondamento la concezione dell’uomo come spirito in continuo
sviluppo, in continuo farsi; dell’uomo che è tale nel momento in cui ha coscienza di sé, è autoeducazione.
È una riforma organica-> rispondente a un criterio unitario, ancorata a una ben precisa visione
filosofica su cui s’innesca il discorso pedagogico, per rendere operativi quei valori nazionali posti dalla
cultura liberale alla base dello Stato unitario. (non è però mai stata attuata integralmente).
La parte relativa alla scuola elementare con i rispettivi programmi è opera di G. L. Radice;
L’obbligo scolastico viene innalzato fino al 14esimo anno d’età ;
La struttura è fortemente gerarchizzata, la scelta dei presidi compete al Ministero;
Viene introdotto l’esame di Stato;
Viene introdotto l’insegnamento della dottrina cristiana nell’istruzione elementare.
L. Radice ha il merito di credere nei bambini e si fa ararlo di una mentalità nuova nei loro confronti.
Egli riesce ad entrare nel mondo del fanciullo, cosi da vedere e sentire ciò che è importante per ogni
bambino. L’arte dell’attesa è forse quella che maggiormente necessità ai maestri, impazienti di vedere
i frutti della propria attività .
Il discorso teoretico del problema educativo viene affrontato da Radice in diversi scritti. In molti dei
suoi scritti egli risolve il problema educativo come Gentile. Pertanto le maggiori antinomie maestro-
scolaro, autorità -libertà , eteroeducazione- autoeducazione sono risolte alla maniera gentiliana.
Tuttavia, la sua tendenza a verificare la tenuta di un’impostazione teorica attraverso il confronto con
la realtà , lo porta a distanziarsi dalle posizioni del gentile, soprattutto per quanto riguarda l’attività
scolastica e quindi, la didattica.
Il compito della scuola secondo Radice è quello di conoscere l’alunno e il suo mondo. E tale compito
può essere raggiunto se gli insegnanti conoscono l’allievo, soggetto dell’educazione, e il mondo da cui
egli viene e in cui vive.
Tutto ciò porta alla “critica didattica”.
Per Radice l’educazione della donna parte dalla pari dignità della donna e dell’uomo per rivendicare
ad entrambi un’educazione umana. Considerando poi la donna nell’ambito familiare e, in particolare,
in quello della maternità , fa notare i molti requisiti che deve possedere se vuole essere “risvegliatrice
e quasi creatrice di spiriti umani”.
Nell’ultimo scorcio dell’800 e nei primi decenni del 900 si avverte una crescente attenzione
all’educazione e alla scuola: c’è una vera e propria fioritura di proposte e di esperienze. Si è potuto
parlare, al riguardo, di un “movimento di riforma pedagogica”. Tale espressione è utilizzata
soprattutto nella storiografia tedesca, ma l’interesse per un profondo rinnovamento dell’educazione
e della scuola è chiaramente percettibile anche fuori dalla Germania. Anzi, si potrebbe considerare
come un fenomeno planetario, il quale, ha molte note comuni. Troviamo anzitutto nella letteratura
pedagogica e nelle testimonianze degli educatori una critica severa spesso polemica e un po’ ingenua,
contro la cosiddetta “scuola tradizionale”, denunciata come scuola dello sforzo, del castigo, come
scuola passiva, centrata sul programma, lontana dalla vita reale. Questo orientamento di “protesta” è
accompagnato da una proposta di mettere in atto una “scuola nuova”.
Tuttavia non a tutti sembra adeguato il nome di “scuola nuova”, che può certamente dare adito a
facili illusioni. I pionieri del movimento di riforma pedagogica e didattica parlano anche, in contesti
culturali diversi, di scuola attiva, scuola funzionale, scuola progressiva, scuola del lavoro, educazione
nuova. In Italia ha molta fortuna il termine attivismo.
Lev Nicolaevic Tolstoj (1828-1910) dedica intensamente le sue energie all’impegno scolastico dal 1859 al 1863.
Le attività scolastiche si inseriscono nel quadro più ampio dell’impegno sociale di Tolstoj, diretto a cambiare,
anche mediante l’istruzione, l’ingiusta situazione in cui versavano i cittadini russi. Fallito il primo tentativo del
1849 di fondare la propria scuola, lo riprende nel 1857. Nel 1859 apre la scuola per i figli dei contadini delle sue
terre nel paese natale, Jasnaja Poljana. Tolstoj, in una rapida analisi delle “concezioni dei teorici della
pedagogia”, precisa il suo concetto di:
Allorché non ci presenta le sue idee pedagogiche, Tolstoj non ripropone un “modello” da raggiungere,
ma la “descrizione reale” di una esperienza vissuta, mettendo in risalto, in particolare, il
progressivo sviluppo della partecipazione dei ragazzi verso un ordine da loro stessi liberamente
cercato. Al di là dei metodi e sussidi utilizzati (intuizione, libri di lettura, mutuo insegnamento,
laboratori), vanno tenuti presenti altri elementi che sfuggono al controllo dell’intervento del maestro
e della sua preparazione professionale. Tolstoj parla a questo a proposito dello “spirito della scuola”.
Cecil Reddie (1858-1932)-> 1889, fonda nel Derbyshire (GB), la scuola di Abbotsholme.
o - E’ concepita come una “monarchia costituzionale”, in cui: il direttore della scuola è il capo;
i maestri e i capitani sono i magistrati e i ministri; i capitani sono scelti tra gli allievi migliori di
età superiore ai 14. Ogni capitano ha la
lingue classiche e più ampio per ciò che riguarda le lingue moderne. Al pomeriggio invece si
da ampio spazio agli esercizi fisici e alle attività manuali, in particolare al giardinaggio e i
lavori manuali costituiscono una novità negli istituti educativi inglesi
o - A tutti i ragazzi viene offerta inoltre la possibilità di dedicarsi a occupazioni libere: lettura,
canto, musica. Vengono privilegiati il contatto con la natura, le attività pratiche, la ricerca
personale delle conoscenze e la discussione sui problemi e reperti e oggetti raccolti
nell’ambiente.
o - L’educazione religiosa è curata negli incontri tenti nella cappella dell’istituto.
o - Nonostante il rapporti di fiducia che si voleva instaurare tra professori e allievi e
nonostante la partecipazione di
questi ultimi all’andamento della vita scolastica, Abbotsholme fu oggetto di critiche per la
sua impostazione
autoritaria.
J. Haden Badley (1865-1967) -> collaboratore di Reddie, nel 1893, inizia un’esperienza
educativa a Bedales.
o - E’ strutturato e organizzato come il “parlamento inglese”, composto da 31 membri: 13
adulti, 18 allievi (9 ragazzi e 9 ragazze). In esso si discutono i problemi più rilevanti della
scuola.
o - E’ praticata la coeducazione. Secondo il fondatore, Bedales è la prima scuola che ha
cercato, nella Gran Bretagna, l’educazione comune dei due sessi in tutti i gradi, e non è
semplicemente nella classe, ma anche nelle condizioni ordinarie di un internato. Concepita
l’istruzione come “luogo di vita reale”, risulta ovvia e necessaria la presenza di ragazzi e
ragazze nell’ambito scolastico, pur nel rispetto delle caratteristiche specifiche dei due sessi e
la separazione in determinate attività . La coeducazione dovrebbe essere fonte di stimolo
nello studio, di sano cameratismo e di preparazione per la vita.
Robert Baden-Powell (1857-1941) -> la pubblicazione del suo volume “scouting for boys”
segna la nascita dello scautismo nel 1908. Lo scopo dell’educazione per il fondatore è quello di
migliorare la qualità dei cittadini. Egli stesso, segnala quattro punti della formazione dello scout:
o - Carattere;
o - Salute e forza fisica;
o - Abilità manuale;
o - Servizio al prossimo.
E’ un’esperienza che ha diffusione immediata in tutto il mondo, tranne in 4 paesi dove vigeva
il totalitarismo. Le regioni del successo e della straordinaria diffusione vanno individuate
nella rispondenza della proposta di Baden-Powell ad alcuni interessi fondamentali del
ragazzo: gusto per il rischio e l’avventura, bisogno dell’esercizio fisico, di gioco, di attività di
gruppo, ricerca di felicità , amore per la natura e alla vita all’aria aperta, slancio per gli altri.
Hermann Lietz (1868-1919) -> è l’iniziatore delle scuole nuove in Germania. Leitz, nello scritto
“emlohstobba”, critica il sistema scolastico tedesco, abbozza le sue idee pedagogiche e presenta il
piano di un nuovo tipo di scuola sul modello di Abbotsholme. Il piano è messo in atto in tre case o
focolari di educazione in campagna:
o - A Ilsenburg (1898); A Haubinda (1901); A Bieberstein (1904).
o - Le case di educazione in campagna sono, conseguentemente, improntate ad un tenore di
ta sereno, igienico e
sobrio.
o - Le lezioni si alternano con le attività manuali (giardinaggio, lavoro nei campi), i giochi e lo
sport.
o - Dal punto di vista organizzativo, va rilevata l’importanza data agli aspetti comunitari. Leitz
ripete che allievi ed
Le attività riflettono tratti caratteristici del romanticismo tedesco: lunghi viaggi tra i boschi, campeggi
nelle foreste e in riva ai fiumi, scoperta di vecchi monumenti tedeschi, partecipazione a feste
popolari.
Assume successivamente una piega di grande libertà e sfiora quasi l’anarchia. Viene eliminata
l’autorità e esaltata la massima libertà . Anni dopo questo movimento creerà la gioventù hitleriana.
Georg Michael Kerschensteiner (1854-1932) -> le sue opere e idee pedagogiche si collocano
nel contesto tedesco ed appaiono fortemente influenzate dal pensiero del filosofo e pedagogista
nordamericano John Dewey. L’insegnamento e l’attività pratica di organizzare vanno accompagnati da
un progressivo approfondimento teorico dei problemi educativi e scolastici. Scopo fondamentale
dell’educazione è la promozione della libera individualità perché divenga una personalità consapevole
della propria vocazione, moralmente autonoma. L’individuo può giungere a questo traguardo solo
mediante la partecipazione ai valori, storicamente mediati dalla trasmissione dei beni di cultura
(liberi, quadri, opere). D’altra parte, la compiuta realizzazione della personalità etica è possibile nella
misura in cui l’individuo diviene “cittadino utile allo Stato”. Il cittadino da di fatto il suo contributo al
bene dello Stato mediante l’esercizio della professione. In questa cornice viene additato alla scuola
pubblica il compito di preparare gli allievi al lavoro, in modo che posano rendersi utili alla comunità di
cui sono membri attivi. Il nome “scuola di lavoro” (arbeitschule) diventa presto una “parola d’ordine”.
La pubblicazione nel 1912 di “concetto della scuola di lavoro” risponde alla necessità di approfondire
l’esperienza di Monaco e all’esigenza di segnalare interpretazioni non corrette, chiarendo malintesi.
Gli autori delle prime scuole italiane che vengono annoverate comunemente tra le “scuole Nuove”
non utilizzano questo nome per denominare le proprie istituzioni; preferiscono parlare di “scuola
materna” o di “casa dei fanciulli” (Agazzi), di “casa dei bambini” (Montessori). I termini usati
richiamano un ambito educativo, quello infantile, nel quale Aporti ha dato un contributo rilevante.
Ma, negli ultimi decenni dell’ottocento, non solo glia sili aportiani si trovano in situazione precaria,
anche i giardini d’infanzia frobeliani hanno bisogno di rinnovamento e riforma. L’opera delle sorelle
Agazzi e della Montessori, presentano punti di contatto nello sforzo di rispondere ai bisogni che si
fanno sentire in un momento difficile della storia italiana.
Pur riconoscendo glia spetti positivi del “metodo operativo” di Frö bel, le Agazzi preferiscono l’uso di tutto
quello che può capitare nelle mani del bambino. Si trovano infatti, ad operare in un ambiente rurale, con
bambini poveri, figli di contadini e di operai. Non senza contrasti, la loro fama comincia a diffondersi. Nel 1910
si trovano a Trieste, dove ha luogo una vivace polemica tra i maestri frobeliani e quelli che vogliono ispirarsi al
“nuovo metodo” seguito a Mompiano.
Le sorelle Agazzi sono donne d’azione: operano in contatto diretto con i bambini e le loro famiglia, elaborano
sussidi, propongono esercizi-gioco, descrivono materiali e modalità di utilizzazione. Il loro impegno di
riflessione pedagogica è modesto, tuttavia trovano valido supporto e incoraggiamento in P. Pasquali, direttore
generale delle scuole elementari di Brescia e delle sue istituzioni educative per l’infanzia.
Nei libri di Rosa Agazzi, che sono uno scopo prevalentemente pratico, vi si possono individuare alcuni temi e
orientamenti teorico- pratici che costituiscono lo “spirito informatore” del metodo gradualmente attuato
nell’asilo di Mompiano.
Centralità del bambino “germe vitale” -> gli oggetti raccolti nel museo didattico con l’auto
degli stessi bambini sono realtà importanti che si trasformano, nella mani delle educatrici, in mezzi di
informazione e di educazione. Questa contestazione desta, nelle Agazzi, una attenzione sempre più
viva verso il bambino concepito come essere attivo, come “germe vitale” che aspira al suo completo
sviluppo. Anche l’uso dei contrassegni va visto nella prospettiva di favorire nei piccoli l’armonia del
loro sviluppo. Nella strada che porta dalla spontaneità all’ordine, le Agazzi invitano a non perdere mai
di vista tutto il bambino nella sua situazione personale e sociale. L’integralità della proposta educativa
abbraccia tutte le sue componenti: fisica, intellettuale, morale e religiosa. Non manca nei loro scritti
qualche battuta polemica contro chi insiste sull’educazione dei sensi dimenticando la formazione
della volontà ;
Punto di partenza: l’esercizio fisico-> in tutti questi esercizi ritenuti “mezzi sovrani di
educazione” e in particolare negli “esercizi di vita pratica” si può individuare una delle più geniali e
imitate intuizioni agazziane. Qui, qualunque esercizio diventa una esercitazione di intelligenza e di
“logica agita”, non in un modo qualunque, ma nel modo più razionale, logico e correttamente
sintattico. (lavare e lavarsi, rimboccarsi le maniche, soffiarsi il naso, asciugarsi senza imbrattare
l’asciugamani ecc.)
Con il che si entrava nella categoria autentica del “lavoro” come ideazione preconcepita, calata in una
materia per una trasformazione intenzionale o finalizzata: “fosse questa materia una semplice carta
anche usuale, oppure la terra dell’aiuola del giardino o dell’orto”
Il congresso pedagogico di Torino del 1898 costituì un primo trampolino di lancio dell’opera
agazziana. La collaborazione e l’appoggio entusiasta di P. Pasquali che, nel 1902 presenta Mompiano
come “asilo infantile rurale modello”, contribuì a far conoscere l’iniziativa nella cerchia più vasta dei
maestri impegnati nell’educazione dell’infanzia.
Un fattore che spiega la risonanza dell’opera va individuato nel confronto, talvolta polemico, con altre
proposte contemporanee, sia quelle froebeliane, sia quelle montessoriane ispirate al “metodo della
pedagogia scientifica”. Nel 1927 G. L.. Radice chiama il metodo seguito nell’asilo di Mompiano
“metodo italiano”, genuino, modesto, ma geniale e chiaro. Altri critici parlano di “metodo italiano” o
semplicemente, “metodo Agazzi”, anche se Rosa Agazzi (l’unica delle due sorelle che racconta per
scritto l’esperienza realizzata) confessa il proprio disagio di fronte al termine “metodo” perché
incapace di esprimere le istanze più vive ed originali.
Maria Montessori (1870-1952), nata in provincia di Ancona e poi trasferitasi a Roma per trascorrere
fanciullezza e gioventù , è ricordata per aver iniziato un “esperimento pedagogico”, denominato le “case dei
bambini”, diffuse ancora oggi in tutti i continenti. Dopo aver frequentato l’istituto tecnico, si laurea nel 1896 in
medicina e chirurgia, diventando la prima donna italiana laureata in medicina. Nel 1897 diviene assistente alla
clinica psichiatrica dell’ateneo romano e comincia ad interessarsi al ricupero di bambini minorati psichici,
ispirandosi ai metodi di J. M. Itard e E. Seguin.
Nel 1906 il direttore dell’istituto dei beni stabili, E. Talamo, invita Maria a assumere “l’organizzazione di scuole
infantili entro la casa”, cioè le scuole da istruire all’interno di ogni casamento ricostruito o riattato dall’Ente. La
prima scuola dei bambini dai 3 ai 7 anni, con il nome di “casa dei bambini” viene inaugurata il 06/01/1907 nel
“popolare malfamato” quartiere di S. Lorenzo a Roma. Pochi mesi dopo vengono aperte altre nuove case nello
stesso quartiere e in un “casamento moderno per la borghesia romana”.
La fondatrice presenta nel libro “il metodo della pedagogia scientifica applicato all’educazione nelle case dei
bambini (1909)” la sua esperienza, che è accolta con crescente interesse. Si moltiplicano i corsi per la
formazione di “maestre montessoriane”, a livello nazionale e internazionale, e vedono la luce di altri scritti
come “l’autoeducazione nelle scuole elementari”, “manuale di pedagogia scientifica”, “i bambini viventi nella
chiesa. Note di educazione religiosa”, “la pace e l’educazione” (scritti tra il 1916 e il 1933).
Nel clima culturale idealista, la Montessori si trova lentamente emarginata dal regime fascista. Nel 1934 decide
di trasferirsi in Spagna, e successivamente in Inghilterra, Olanda e India.
Di fatto Montessori prende le distanze dalle proposte più radicali di Rousseau e rifiuta decisamente le
espressioni libertarie attuate in determinate esperienze considerate a torto d’avanguardia. Con la stessa
fermezza vengono rifiutate, d’altro canto, le “eccessive cure” che impediscono al bambino l’esercizio delle sue
attività e quindi l’espansione della personalità propria. Si tratta, in pratica, di riuscire a raggiungere una
armonica sintesi tra istanze che possono apparire di difficile composizione.
A nella pratica, il nuovo metodo ideato dalla Montessori rompe con le vecchie concezioni scolastiche:
- vengono aboliti il banco e la cattedra, ritenuti ostacoli ai liberi movimenti infantili;
- tutto l’arrendamento della scuola (sedie, tavoli, quadri) vengono costruiti alla misura del bambino;
- con l’aiuto delle collaboratrici vengono creati i “materiali di sviluppo” per l’educazione intellettuale e dei
sensi: incastri solidi di differenti dimensioni, tavolette con superfici ruvide e lisce, tavolette ricoperte di fili di
diversi colori, forme geometriche piane ecc.
- completano il metodo altri elementi che abbiamo già trovato nella proposta delle sorelle Agazzi: attività di
vita pratica (pulizia ad esempio), ginnastica, giochi all’aria aperta, lavori agricoli.
L’educazione alla pace-> è questo il titolo di un volume che costituisce una raccolta di interventi
sull’argomento nel periodo 1932-39. Montessori pensa che all’origine delle guerre non ci siano solo fatti
economici e politici, anzi, è convinta che esse nascono dall’uomo, a partire dal rapporto adulto-bambino,
impostato in forma sbagliata e conflittuale. L’unico mezzo efficace per costruire la pace andrebbe cercata,
dunque, nell’azione educativa corretta.
L’espressione “scuola attiva” viene rilanciata da Adolphe Ferriè re (1879-1960), professore del citato Istituto J.
J. Rousseau, in una fortunata opera intitolata “l’ecole Active”, del 1921.
A. Ferriere nasce a Ginevra da una famiglia protestante di origine francese. Compiti tutti gli studi, nel 1899
fonda il “bureau international des ecoles nouvelles” con lo scopo di stabilire rapporti di reciproco aiuto fra le
varie scuole nuove, di centralizzare i documenti che le concernono e di valorizzare le esperienze fatte da questi
laboratori della pedagogia dell’avvenire. Recatosi in Germania collabora con Lietz negli istituti di Ilsenburg e
Haubinda. Tornato in Svizzera organizza visite prolungate alle più celebri istituzioni, dirige una scuola propria a
Bex, è nominato professore presso l’istituto J. J. Rousseau ecc.
Nel 1925 partecipa con Bovet e Claparè de alla creazione del “bureau international d’education”, del quale
diviene direttore aggiunto. Nel 1939 scoppiata la seconda guerra mondiale, lancia il movimento “svizzera terra
d’asilo per i fanciulli e le madri”.
Gli interessi giovanili per la biologia e la sociologia non compaiono dopo la scelta pedagogica di Ferriè re. Anzi,
egli è convinto che queste due scienze e la psicologia sperimentale vanno messe a fondamento del
rinnovamento della scuola. Le ricerche di laboratorio e gli studi condotti con preoccupazione scientifica si
aprono ance a istanze d carattere filosofico e si fa sempre chiaro l’orizzonte spiritualista e religioso in cui viene
cercata la soluzione ai problemi educativi. Muovendosi in un quadro culturale piuttosto ecclettico, Ferriè re
individua alcune “leggi psicologiche fondamentali” che costituiscono per lui, la base della “scuola attiva”:
Slancio vitale dello spirito dell’uomo -> il cui dinamismo di crescita è alla radice della vita e si esprime in
forme e ritmi diversi. Ferriè re parla di slancio vitale e anche di slancio spirituale, inteso da un punto di vista
psicologico come centro motore e sorgente di ogni attività dell’individuo. Non si tratta, però , di un impulso
meccanico, ma di un processo il cui orientamento teleologico si vede chiaramente nella volontà dell’essere
vivente di accrescere le sue possibilità di vita. L’esistenza di questa energia spirituale comporta conseguenze
decisive dal punto di vista educativo: la spinta alla vita, la forza che dirige lo spirito del fanciullo, non è soltanto
un fenomeno da studiare o da tener presente, ma deve costituire l’oggetto d’ogni nostra cura in educazione, il
suo sviluppo è un fine da raggiungersi.
“Legge del progresso” -> gli esseri viventi progrediscono grazie a una differenziazione e auna
concentrazione delle loro facoltà e delle loro energie. La legge del progresso abbraccia e spiega i
fenomeni biologici, psicologi e sociali. Dal punto di vista psicologico per esempio, la differenziazione
significa che il bambino, il quale vede in un primo momento il mondo non differenziato e senza nessi,
riesce più tardi a scomporlo nelle sue parti, differenziando le sue idee. La concentrazione invece,
significa il processo di unificazione, a un livello superiore, dei dati precedentemente differenziati e la
conseguente organizzazione unitaria degli elementi corrispondenti a una stessa realtà . L’armonico
svolgimento dei sue processo è indispensabile per la crescita sana dell’individuo. Ma questa legge non
basta a spiegare le “trasformazioni evolutive del bambino”. Interviene “l’eredità ancestrale”, regolata
da una nuova legge.
“Legge biogenetica” -> vi è un chiaro parallelismo tra la vita individuale e l’evoluzione della
specie umana, lo sviluppo dell’individuo e lo sviluppo della specie presentano sostanzialmente le
stesse tappe e gli stessi momenti di maturazione progressiva.
“Tipi psicologici” -> sono noti i tentativi fatti dagli psicologici (Decroly, Jung) per classificare gli
uomini ed i fanciulli in vari tipi. Ferriè re ne mette a fuoco l’importanza per l’organizzazione di una
“scuola su misura in cui ogni tipo di scolaro riceverebbe l’insegnamento più adatto per lui”. Ma, a suo
parere, le classificazioni tentate sono troppo sommarie ed artificiose. Utilizzando queste
classificazioni Ferriè re descrive i tratti fondamentali di 11 “tipi psicologici”, in stretto rapporto con la
legge biogenetica. Egli stesso presenta, nel volume “la scuola attiva” del 1921, il quadro schematico.
Anni più tardi presenta un nuovo quadro, rielaborato e che risente della evoluzione del suo pensiero
dominato da preoccupazioni morali e religiose.
La concezione del Ferriè re muove dal riconoscimento dello slancio vitale e creativo di cui è portatore
il fanciullo. La scuola tradizionale ha mortificato questa creatività inibendo comportamenti e interessi
spontanei e misconoscendo le caratteristiche e i bisogni propri di ogni individuo. La scuola nuova deve
quindi proporsi la piena attivazione delle potenzialità presenti nel fanciullo, rispettandone le
tendenze e promuovendone lo sviluppo psico-fisico secondo modalità e ritmi individuali. La creatività
e gli interessi cosi liberati consentono anche l'emergenza delle abilità e di conseguenza
l'orientamento professionale. Nell'evoluzione della personalità infantile il Ferriè re riconosce poi il
ripetersi delle stesse tappe dell'evoluzione della specie; è questa la legge bio-genetica per la quale
l'ontogenesi ricapitola la filogenesi. Tale legge deve essere tenuta presente dall'educatore, allo scopo
di comprendere pienamente la natura dei processi psichici che si attuano nei diversi stadi dello
sviluppo della mente infantile, e di promuovere nel modo più opportuno la formazione libera della
personalità .
Il termine scuola nuova o attiva, comincia ad essere usato dai primi anni del 1900 per indicare
polemicamente il superamento della scuola tradizionale e negarne il valore educativo. La scuola
tradizionale è una scuola passiva, una scuola, cioè , che obbliga l'allievo a starsene immobile nel suo
banco a subire la lezione cattedratica del maestro che impartisce dall'alto i suoi insegnamenti. Tutto
nella scuola è indice di questa passività : il banco scolastico dove il corpo è rigidamente costretto; gli
orari e i programmi; i libri di testo, conformi a un enciclopedismo di bassa lega; il modo di condurre la
lezione da parte dell'insegnante; l'interrogazione basata sulla pedantesca ripetizione di quanto ha
detto l'insegnante o quanto è scritto sul libro, eccetera.
Nella scuola tradizionale domina la figura dell'insegnante, mentre la scolaresca non deve far altro che
ripetere quanto ascoltato: è una scuola dove prevale l'ETEROEDUCAZIONE. La vecchia scuola è statica
e conservatrice, tendente a riproporre sempre i soliti principi ritenuti validi in assoluto. Non ispira
vitalità ma serve solo a riproporre e conservare la tradizione. Inoltre, la scuola tradizionale è
INDIVIDUALISTICA, perché si basa sul metodo della competizione e dell'emulazione, limitando così lo
spirito di collaborazione e il lavoro in comune. Piuttosto che servire alla formazione di un uomo
sociale, serve soltanto a plasmare individui ubbidienti all'autorità , acritici e passivi.
La scuola nuova invece vuole essere innanzitutto una scuola ATTIVA, una scuola dove l'ordine non
risulti dalla disciplina esteriore, ma dal concorso della volontà degli alunni che attivamente prendono
parte alla formazione, impegnandosi in attività che li interessano. La nuova scuola è PUEROCENTRICA,
cioè si pone dal punto di vista del fanciullo e non dell'adulto; è il fanciullo che educa se stesso, mentre
l'adulto gli porge l'aiuto necessario per quella che deve essere una AUTOEDUCAZIONE. Ciò non
significa che l'insegnante sia assente o poco partecipe: al contrario egli assume un ruolo centrale,
dovendo convogliare gli interessi, esaltare le doti individuali, promuovere attività diversificate,
collaborare con le autonome scelte di ricerca degli allievi. E' una scuola che si basa molto sulle nozioni
di psicologia applicate all'età evolutiva cercando così di adeguare programmi e lezioni alle esigenze di
ogni fascia di età . Inoltre, la scuola attiva accoglie tutte le indicazioni provenienti dalle correnti della
filosofia contemporanea, in special modo quelle che esaltano la spontaneità e la creatività
(neoidealismo e spiritualismo) e che pongono l'accento sul valore pratico e sociale dell'educazione
(pragmatismo anglo-americano e neopositivismo marxista).
L'ideale della scuola deve essere "l'attività spontanea, personale, creativa", idea questa non certo
nuova e riconducibile ai maggiori pedagogisti classici, i quali, però , non avevano ancora gli strumenti
scientifici (psicologia) per poter teorizzare pienamente sull'infanzia. La nuova pedagogia avvalendosi
quindi delle ricerche sulla psicologia del bambino "rende giustizia all'infanzia".
La scuola deve essere ATTIVA anche nel senso che dà importanza al lavoro, inteso non come mero
lavoro manuale, ma come attività di progettazione e realizzazione anche intellettuale. Piuttosto che la
lezione tradizionale, basata sulla passività dell'alunno e il protagonismo dell'insegnante, la scuola
attiva prevede che la lezione si strutturi in tre tempi:
o Raccolta dei documenti -> sono gli alunni che compiono ricerche su svariati argomenti
di loro interesse utilizzando non solo i libri ma anche visite nei luoghi di lavoro o in altre
organizzazioni della società .
o Classificazione -> le notizie raccolte vengono raccolte in schede e raggruppate per
argomenti secondo modalità che consentano la facile consultazione agli altri.
Espressione (francese école sur mesure) introdotta da E. Claparè de per designare il sistema di organizzazione
scolastica che, al fine di promuovere le capacità dell'educando, adegua i suoi metodi alle tendenze, ai bisogni,
al naturale processo di sviluppo dell'individuo da educare, così da riuscire adatta ad ogni singolo studente,
anche in una collettività .
La prima grande novità di molte scuole nuove fu l'abolizione della scuola, intesa come aula banchi e cattedra.
Le quattro pareti che tolgono da ogni lato la visuale al fanciullo, e lo isolano coi compagni dal grande mondo
che egli aspira a conoscere e in cui vorrebbe entrare, sono le complici, e quasi il simbolo di un’educazione che
aveva trascurato per troppo tempo il contatto della scuola con la vita. L'ambiente, quindi, fu l'inizio della
ricerca e dell'applicazione di nuovi metodi.
La prima possibilità e la prima risorsa fu quella di fare del fanciullo il centro della scuola, ponendolo a contatto
con la natura e lasciando che la natura si incaricasse di sviluppare il suo spirito di osservazione, di secondare la
sua tendenza costruttiva, di farne in sperimentatore che trae dalle sue stesse esperienze le lezioni che nella
scuola comune gli furono quasi sempre dettate dal maestro.
Nella scuola attiva vi è la volontà di adeguare la scuola alle mutate condizioni sociali, e, poiché queste sono
principalmente dovute alla rivoluzione operata dalla scienza nei sistemi e nei metodi di lavoro, è naturale che il
lavoro divenga l'occupazione centrale dell'attività scolastica. Qui non ci si limita a mostrare l'oggetto di cui si
parla: bisogna costruirlo; non a far vedere una piantina: si deve coltivarla; non a descrivere per esempio, un
animale domestico, ma ad averne cura e ad occuparsi del suo allevamento. Lo scolaro non dice, bensì «fa», e
fa qualche cosa che realmente serve all'appagamento di un bisogno individuale e sociale. E poiché il lavoro è ,
nell'età presente, il risultato di sforzi collettivi, poiché di ogni singolo lavoro ciascuno non esegue che una
piccola porzione, ebbene, anche il lavoro scolastico sarà il risultato della collaborazione, onde il senso di
responsabilità di tutti e di ciascuno, onde lo spirito di solidarietà e di fratellanza, che preparano il fanciullo alla
vita. In queste scuole di avanguardia il lavoro è considerato non come semplice preparazione ad un mestiere,
ma come mezzo di sviluppo delle energie mentali e morali latenti nel fanciullo; non è una materia di
insegnamento, ma un metodo con cui insegnare tutte le materie d'insegnamento.
Lo psicologo e pedagogista Edouard Claparè de (1873-1940), pur utilizzando l’espressione “scuola attiva”,
ritiene il nome piuttosto ambiguo in quanto può suggerire un’attività meramente manuale ed esterna. Egli
preferisce sostituire il termine “attivo” con quello di “funzionale” e parla di “educazione funzionale”
postulando una “scuola su misura”. Insiste sull’introduzione del metodo scientifico nella pedagogia.
Egli nasce a Ginevra da una famiglia calvinista, originaria della Francia. Assieme a Bovet fonda nel 1912
l’istituto J. J. Rousseau il cui motto, discat a puero magister, esprime l’orientamento fondamentale: portare gli
educatori a un’adeguata conoscenza del bambino, come presupposto per una educazione scientificamente più
valida. Nel saggio “psicologia del fanciullo”, egli delinea i punti fondamentali della sua pedagogia:
Principio generale: sono i metodi e i programmi che devono gravitare attorno al fanciullo e non il
fanciullo attorno a un programma stabilito senza tener conto di lui. E’ questa la rivoluzione
copernicana cui la psicologia invita l’educatore.
Jean Decroly (1871-1932) nasce nelle Fiandre Orientali. L’ambiente domestico costituisce il primo e
più interessante campo di esperienza: la casa paterna è circondata da un ampio giardino dotato di
laboratorio. Dopo aver completato gli studi, e dopo la sollecitazione di alcuni medici amici, fonda nel
1901 un istituto speciale per deficienti. La nomina a ispettore medico gli offre la possibilità di mettersi
in contatto con il mondo scolastico e i problemi degli insegnanti di allargare il proprio campo di
lavoro. Nel 1907 fonda la celebre “Ecole de l’ermitage” per ragazzi normali. Durane il primo conflitto
mondiale egli impegna le sue forze nell’opera di assistenza e di educazione degli orfani di guerra,
collaborano con una fondazione.
Due sono i principi fondamentali che stanno alla base della riforma della scuola:
Lo studio segue poi tre tappe, con tre tipi di esercizi: osservazione, associazione, espressione
attraverso attività manuali o mediante il linguaggio grafico o parlato. Si completa così il ciclo delle
operazioni dell’attività mentale, che va dai sensi stimolati dall’interesse, all’elaborazione di idee più o
meno generali, al controllo e alla traduzione di queste idee per mezzo dell’espressione concreta ed
astratta.
Decroly non ha presentato il suo pensiero in forma sistematica. I saggi su temi educativi e didattici
raccolgono brevi interventi, conversazioni, ragguagli sull’andamento delle sue esperienze. Il
contributo più importante di riscontra nel campo dell’esperienza realizzata nell’ecole de l’ermitage, la
cui fama si diffuse straordinariamente. I critici sono concordi nel sottolineare le grandi qualità
personali di Decroly, quali la serietà e l’impegno nella ricerca, il senso di concretezza, lo spirito fi
finezza ecc.
Negli Stati Uniti dell’America del nord il movimento di riforma pedagogico-didattica viene iniziato
negli ultimi anni dell’ottocento viene denominato comunemente con l’espressione “progressive
school”. Tuttavia, gli esponenti più autorevoli utilizzano spesso i termini “new school” o “new
education”, allorchè intendono riferirsi all’insieme delle relazioni innovative. L’influsso del pensiero
pedagogico e delle esperienze educative nordamericane sulla scuola della prima metà del 900 è stato
molto forte.
John Dewey (1859-1952) è ritenuto il massimo rappresentante e teorico della scuola progressiva. Egli,
cerca di superare contrasti e polemiche, avvertendo che in ciò che si vuol chiamare nuova educazione
e scuole progressive, ci sono certi principi comuni. Alcuni di questi principi, come quello
dell’apprendere attraverso l’esperienza e mediante l’azione (learning by doing) occupano un posto
centrale nella riflessione dell’autore.
Dewey nasce da una famiglia del ceto medio originaria delle Fiandre. Ottenuto il diploma Dewey è per
tre anni insegnante in una scuola media, successivamente si laurea in filosofia nel 1884. Durante
questi anni segue le dottrine filosofiche di Hegel e poi di James. Partendo da premesse pragmatistiche
Dewey giunge più tardi a un sistema originale, che egli chiama “sperimentalismo” o
“strumentalismo”. Nel 1896 fonda la “university of chicago elementary school” sotto gli auspici del
dipartimento pedagogico, nota con il nome di “scuola laboratorio”, e indica anche il corrispettivo
esperimento: la scuola è come un’istituzione sociale, perciò deve riprodurre in maniera ridotta e
semplice le idee e i fatti della società più ampia e complessa.
Nella sua scuola i ragazzi imparano non solo a cuocere le uova, ma a intendere il principio incluso
nella cottura delle uova, mediante il lavoro manuale. Esso trova un punto di giustificazione nei
cambiamenti radicati verificatasi nel contesto sociale del tempo: la concertazione dell’industria e la
divisione del lavoro hanno praticamente eliminato le occupazioni che si svolgevano una volta
nell’ambito della casa e del vicinato, almeno per quanto riguarda gli effetti educativi. Dewey scrive
che nella scuola di Chicago egli ha cercato di attuare certi principi tipici educativi del Frö bel:
Il principale compito della scuola di addestrare i ragazzi a una vita di cooperazione;
La radice principale di ogni attività educativa è posta nelle attitudini e nelle attività istintive e
impulsive del fanciullo; Le conoscenze valide sono quelle a cui si perviene mediante la produzione
e l’impiego creativo.
La “scuola laboratorio” di Chicago ha vita breve, ma diviene modello a cui si ispirano numerose scuole
progressive/attive. Due temi sono da ritenere punti chiave della concezione teorica di Dewey e idee
basilari della sua pedagogia:
L’esperienza-> costituisce il punto di partenza. Dopo ver affermato che c’è un’intima e necessaria
relazione fra il processo dell’esperienza effettiva e l’educazione, Dewey conclude che, se le cose
stanno cosi, lo svolgimento positivo e costruttivo dell’educazione dipende dall’avere una idea esatta
dell’esperienza. L’esperienza non è solo l’elemento da cui ogni conoscenza deriva, nè un fatto
esclusivamente soggettivo. L’esperienza denota tutto ciò che è sperimentato, tutto ciò che è
avvenuto nel mondo, tutto ciò che si prova e si subisce; è una realtà onniinclusiva: comprende quello
che è razionale e logico come quello che è irrazionale e inconscio. Ne scaturiscono in prospettiva
educativa due conclusioni importanti:
o - L’esperienza umana è prima di tutto cosa attiva, non principalmente conoscitiva;
o - L’esperienza è valida e fertile nella misura in cui conduce a percepire le connessioni (il
significato) tra l’attività del
soggetto e le conseguenze che ne risultano. La sola attività non costituisce, di per sé,
esperienza.
Pensiero e ricerca-> Dewey respinge la concezione tradizionale del conoscere, che egli chiama la
dottrina del pensiero come
Attento a dare una risposta alle critiche che gli vengono rivolte, Dewey cerca di precisare il suo
pensiero e denuncia contemporaneamente le ambiguità e le carenze teoriche di molte iniziative in
ambito scolastico ingenuamente proclamatesi all’avanguardia. Di questi temi si occupa “esperienza e
educazione”. Per discernere le esperienze educative da quelle diseducative, vengono individuati due
criteri o principi generali:
Principio della continuità -> ogni esperienza fatta o subita modifica chi agisce o subisce e, allo
stesso tempo, esercita il suo influsso, lo cogliamo o no, sulla qualità delle esperienze seguenti. Da
questo punto di vista, il principio della continuità significa che ogni esperienza riceve qualcosa dalle
esperienze che l’hanno preceduta e modifica, a sua volta, la qualità di quelle che avranno luogo dopo.
Principio dell’interazione-> l’esperienza non si compie unicamente nell’interno della persona.
Ogni esperienza autentica ha un aspetto attivo che modifica in qualche modo le condizioni sotto cui si
compie l’azione stessa. Il principio mette in risalto il legame stretto tra le condizioni obbiettive e
quelle interne.
I due principi non vanno staccati l’uno dall’altro: nella loro attiva unione reciproca esprimono la
misura del significato e del valore educativo di ogni esperienza.
L’argomento sul discernimento delle esperienze educative si chiude con una riaffermazione del
principio secondo cui l’educazione per conseguire i suoi obiettivi, sia nei riguardi dell’alunno e sia in
quello della comunità , deve essere basata sull’esperienza di vita. Anzi, l’esperienza è il mezzo e il fine
dell’educazione.
L’educazione si definisce dunque, come cambiamento qualitativo dell’esperienza dell’individuo,
nell’attuazione non di valori assoluti o trascendenti, ma di valori intesi come scelte fatte all’interno
del mondo dell’esperienza, poiché in realtà , secondo Dewey, non vi è niente a cui la crescita sia
relativa se non una crescita ulteriore; non c’è nulla a cui sia subordinata l’educazione se non a una
educazione già compiuta.
L’influsso di Dewey è determinante nell’opera dei tre pedagogisti nordamericani, noti soprattutto per
aver elaborato tre tecniche o metodi didattici che hanno avuto vasto eco in Europa.
William Heard Kilpatrick (1871-1965) e il “metodo dei progetti” -> esso esprime una corrente
didattica in cui l’idea centrale, il progetto, è interpretata in maniere molto diverse e attuata in
pratiche assai differenziate. I principi fondamentali del metodo sono:
o - Il principio dell’esperienza, dove la scuola deve stimolare esperienze reali, perché siano
veramente educative;
o - Questa esigenza, collegata a Dewey, conduce all’affermazione della scuola come luogo di
vita, perciò suscitatrice di
di superarla.
Kilpatrick distingue quattro tipi di progetti: Progetto del produttore; Progetto del
consumatore; Progetto dei problemi; Progetto di apprendimento specifico.
L’applicazione pratica comprende quattro tappe fondamentali: l’intenzione/proposito di
raggiungere un oggetto o di realizzare una attività cui si riferisce il progetto; la preparazione
e l’organizzazione del progetto stesso; l’esecuzione e la valutazione dei risultati.
come unità di iorganizzazione. Ciascun alunno organizza il lavoro come meglio ritiene, e può scegliere la
materia da affrontare per prima. Non ci sono orari fissi.
Carleton Wolsey Washburne (1889-1968) e le “scuole di Winnetka” -> egli si propone di offrire
alcune tecniche per l’istruzione individuale, senza la pretesa di offrire una proposta originale. Il programma
scolastico è diviso in due parti. La prima comprende le conoscenze e le tecniche necessarie per ottenere un
comune livello fra tutti gli alunni. La seconda consta di stimoli e di occasioni che favoriscono un lavoro creativo
che interessa la collettività . Per evitare il rischio dell’individualismo, viene favorito il lavoro creativo in una
cornice sociale.
Il problema educativo acquista sempre maggior rilevanza, perché si ha coscienza che da esso dipende la
crescita culturale, civile, politica ed economica di un Paese. Il problema interessa gli educatori e pedagogisti,
filosofi e uomini di cultura, Stato e Chiesa. Gli autori si collocano in prospettive teoriche diverse, che sono
espressione di due visioni dell’uomo della storia e della società , il cui influsso è stato ed è ancora considerevole
nella nostra cultura. La “pedagogia del collettivo” e “la pedagogia personalista”. In Italia l’istanza personalista
era già presente in autori dell’Ottocento ma, negli anni centrali del XX secolo, i pensatori più aperti alle
correnti culturali europee ascoltano con interesse la voce della “rivoluzione personalista e comunitaria”
proposta da Mounier.
Antò n Semenovic Makarenko “uno dei grandi educatori del mondo”. Conclusione condivisa dai partecipanti al
Symposium internazionale tenuto, nel 1989.
Il contesto è ricco di eventi storici rilevanti. La “Grande Russia” degli zar, manifesta in modo evidente i
contrasti interni, che esplodono nel 1905, durante la guerra russo-giapponese e ancor più nella prima guerra
mondiale. Con la rivoluzione bolscevica del febbraio 1917 si ha la caduta del regime zarista con la rivoluzione di
ottobre la presa del potere. Il padre è un lavoratore qualificato. E’ un conservatore e monarchico e ciò è
attestato dal “diploma d’onore” del regno russo. Antò n insegna dal 1905 al 1911 nella scuola ferroviaria di
Krjukov e dal 1911 al 1914 nella scuola della stazione di Dolinskaja. Nel 1920 è chiamato per iniziare e dirigere
un istituto per ragazzi sbandati e orfani presso Poltava. Nel 1937, si trasferisce a Mosca, dove svolge un’intensa
attività di conferenziere e di scrittore. Significativa è la serie di lezioni al Narkompros di Mosca.
Makarenko è convinto dell’originalità e della validità della sua pedagogia nell’ambito di una concezione
marxista-leninistica. Questa si oppone alla tradizionale pedagogia religiosa, si rifiuta di assumere teorie che,
segnano negativamente il loro processo educativo. Per l’autore l’uomo si “costruisce” senza alcuna
predeterminazione di sorta. Il rifiuto di Rousseau e delle “Scuole nuove” è categorico. Tutta l’opera educativa
deve tendere a questo: formare un uomo nuovo, l’uomo collettivista, sovietico, comunista. Makarenko è
fondamentalmente ottimista: come educatore, perché ha fiducia nell’uomo, e come sovietico, perché crede
alla “costruzione” dell’uomo nuovo. Il punto di partenza per ogni teoria pedagogica è la riflessione sul fatto
educativo, sulla realtà educativa nel suo farsi. Egli esprime questa certezza nel suo Poema pedagogico. Nella
stessa lettera è indicato il ruolo fondamentale del collettivo. L’importanza del collettivo di lavoro
nell’educazione educativa. E’ questo un tema fondamentale per Makarenko, che fa del collettivo il mezzo, il
metodo, la “forma” e il fine dell’autentica educazione sovietica.” Il collettivo è il vivo organismo sociale che in
tanto è un organismo in quanto possiede organi, cioè pieni poteri e responsabilità , interdipendenza e
correlazione delle parti, e se questa non c’è allora non c’è il collettivo ma semplicemente un assembramento o
una folla. Il collettivo degl’insegnanti e quello dei ragazzi non sono due collettivi ma un collettivo solo, un
collettivo pedagogico. Inoltre non ritengo che si debba educare la singola persona; ritengo che si debba
educare l’intero collettivo. Questa è l’unica via di una corretta educazione”. L’esistenza posta sul collettivo
nell’azione educativa, diventa il centro dell’attenzione dell’educatore. Gli elementi organizzativi del collettivo:
il centro, il direttore, il reparto, i comandanti e il consiglio, l’assemblea generale, l’attivo e i nuclei politici e
culturali, gruppi filodrammatici e sportivi. Lo “stile” del collettivo, cioè la disciplina come osservanza rigorosa di
regole e punizione, ma anche ordine, pulizia, serenità , gioia.
Freinet, figure più rappresentative della “Scuola attiva” francese. Ama utilizzare “Scuola moderna”. Questo
impegno si inserisce in un contesto politico socioculturale in cui è molto vivo il tema dell’istruzione. Negli
ambienti progressisti, accanto alle realizzazioni attiviste, destano entusiasmo le esperienze pedagogiche
sovietiche, specialmente quelle della Krupskaja (moglie di Lenin) tendenti a organizzare la scuola secondo un
modello comunitario e ad instaurare uno stretto rapporto tra la formazione integrale degli allievi e il lavoro
produttivo, tra la cultura e la vita. Freinet individua ed esplicita alcuni “principi generali” che considera
irrinunciabili per dare vita a una “scuola nuova del popolo”. Il discorso di rinnovamento prende il via dalla
critica all’istruzione scolastica del tempo. La scuola “tradizionale” viene accusata inoltre di intellettualismo, di
essere al rimorchio delle forze sociali. Vengono segnalate le insufficienze della “scuola nuova”: ambiente
artificiale, chiusura ai reali bisogni dei ceti più umili. Freinet preferisce parlare di “scuola moderna”. I “principi
generali” racchiudono i motivi fondamentali del pensiero pedagogico-didattico freinetiano. Le invarianti
pedagogiche (1964). Ma già anni prima, nel saggio intitolato La scuola moderna francese (1946). Il bambino va
considerato come “membro della collettività ”. Solo rispettando questa doppia prospettiva, si può raggiungere
il “vero scopo dell’educazione”. La centralità dell’allievo nell’istituzione scolastica non porta a privilegiare
scelte individualistiche, ma a dedicare una cura attenta alle condizioni ambientali in cui l’allievo stesso viene a
trovarsi. Infatti, il tema dell’educazione e del rapporto individuo-ambiente sono strettamente collegati con
quello della “potenza vitale” che, è presente in ogni essere umano, spingendolo in avanti verso il
raggiungimento del suo destino. Questo “slancio vitale” sprona il bambino a salire incessantemente, a
crescere, a perfezionarsi. A questo punto si inserisce un elemento qualificante del programma della “scuola del
popolo”: il lavoro. Freinet conosce il pensiero e le realizzazione di Makarenko, di Dewey, di altri fautori della
“scuola attiva”. Non esita a sostenere che “la scuola di domani sarà la scuola del lavoro”. Adotta, il
procedimento “per tentativo sperimentale”. Freinet, trova “una tavola di salvezza” nelle “lezioni- passeggiate”
sperimentate da alcuni maestri della Federazione dell’Insegnamento, che cercano di far penetrare un po’ di
vita nella pratica didattica. L’attrezzatura tipografica diventa, uno strumento che “cambia i dati pedagogici
della lezione”: riesce, cioè , a tradurre il resoconto vivo in una pagina stampata, che sostituisce il manuale
scolastico e che suscita nei ragazzi, per la lettura a stampa, lo stesso interesse profondo e funzionale sentito
nel preparare il resoconto medesimo. “Corrispondenza interscolastica”. Per facilitare la “Corrispondenza
scolastica” e favorire l’insegnamento individualizzato viene organizzato lo Schedario cooperativo: insieme di
documenti adeguati agli interessi e alla mentalità dei ragazzi, facilmente classificabili e consultabili.
3. Personalismo pedagogico.
La vita di Maritain si svolge in un arco di tempo che vede mutazioni culturali, politiche ed economiche di
rilievo. Per Maritain “l’educazione è un’arte, un’arte particolarmente difficile”. L’educazione, dunque, esige
un’antropologia filosofica, che dia risposta alle domande fondamentali: che cosa è l’uomo, quale è la natura
dell’uomo, quale scala di valori essa implica essenzialmente. La pedagogia maritainiana si fonda su
un’antropologia che richiama la concezione tomista dell’uomo. Maritain insiste sul concetto di uomo perché
esso condiziona l’impostazione della teoria pedagogica. “L’uomo è una persona che possiede per mezzo
dell’intelligenza e dalla volontà ”. Da quanto appena detto, derivano conseguenze. Maritain ritiene che una
corretta definizione del fine dell’educazione, sia la base fondamentale su cui impostare tutto il processo
educativo e tutto ciò che ad esso si riferisce. L’impostazione del rapporto e del metodo educativo, del ruolo
che le istituzioni educative hanno all’interno del processo di maturazione dell’educando. Il fine, strettamente
legato alla concezione dell’uomo per cui i due termini si richiamano reciprocamente. L’impostazione di
un’educazione integrale, ha come scopo la formazione di tutto l’uomo attraverso un’educazione liberale, dove
trovano spazio discipline filosofico-storico-letterarie e matematico-tecnico-scientifiche. Maritain non è per una
cultura elitaria, ma per una cultura che, in quanto umana, deve essere per tutti. Si tratta di un’educazione
orientata alla saggezza. Conoscere il ruolo che questo rapporto compete ai due poli di esso: educando-
educatore, imposta il rapporto educativo in termini di libertà e responsabilità . L’educando è l’agente principale
della sua educazione e l’educatore è colui che, aiuta e guida il fanciullo a raggiungere la vita della ragione e
della libertà . Il fanciullo ha quindi il diritto ad essere educato, perché non è ancora pienamente conscio della
sua totale realtà umana, e l’educatore ha il dovere di guidarlo alla sua libertà di uomo. Il bambino, va
assecondato e promosso in quelle che Maritain chiama “disposizioni fondamentali” della natura umana, che
sono: l’amore alla verità , l’amore al bene e alla giustizia, lo spontaneo impulso a esistere volentieri, il senso del
lavoro ben fatto, il senso sociale di cooperazione. Nell’opera educativa è fondamentale conoscere il fine
dell’educazione, il ruolo che ha l’educando e l’educatore nel processo educativo. Il rapporto educativo si
svolge entro contesti e istituzioni quali famiglia, scuola, Chiesa e Stato. Ogni istituzione ha un ruolo particolare
in vista dell’educazione integrale della persona. La famiglia, viene integrata dall’azione della scuola, dalla
Chiesa, dallo Stato. Egli è per un’educazione liberale, che assicuri a tutti i ragazzi il pieno sviluppo della loro
umanità attraverso le discipline umanistiche, e quelle scientifiche. Maritain parla di “carta democratica”, che è
costituita da “un certo numero di dati fondamentali, sui quali la democrazia presuppone un comune accordo”.
La scuola e lo Stato hanno il compito d’insegnare la carta democratica ai giovani, così da assicurare ad ogni
persona il pieno rispetto della sua dignità , ma al tempo stesso di assicurare alla società l’apporto responsabile
di ogni persona. Maritain, sviluppa alcune considerazioni sul diritto della donna ad avere accesso alle forme
più alte della cultura secondo l’originalità delle sue disposizioni intellettuali e nell’interesse del bene comune.
Egli introduce il concetto della differenza e della reciprocità , così vivo oggi nella coscienza femminile.
Il contesto in cui vive don Lorenzo Milani è caratterizzato dal regime fascista, dalla seconda guerra mondiale,
dall’opera di ricostruzione post bellica e dal boom economico degli anni ’60. Don Milani, fresco di ordinazione
sacerdotale, è mandato a S. Donato, un comune vicino a Prato, che conta 1200-1300 abitanti. Questa è la sua
prima parrocchia, dove getta le basi della sua pratica pastorale e dalla quale parte con la più profonda
convinzione dell’importanza della scuola quale mezzo privilegiato e prioritario per far giungere i giovani di cui
si occupa alla piena maturità umana. La condizione sociale è modesta. La popolazione è formata da contadini e
operai tessili. Non mancano i problemi: sfruttamento minorile, licenziamenti, disoccupazione, abusi nella
proprietà . La comunicazione è impossibile di fronte a tanta ignoranza. A S. Donato manca il possesso della
parola, mancano gli interessi degni di un uomo; ci si rifiuta a chiedersi gli ultimi perché, si prova riluttanza di
fronte alla fatica interiore, c’è “vacuità
intellettuale e culturale”. Il problema della comunicazione e, la prima preoccupazione del giovane don Milani,
che non può restare indifferente di fronte al muro che l’ignoranza pone tra la sua predicazione e quella gente.
A S. Donato, si fa maestro di ragazzi e giovani senza badare se sono comunisti, socialisti o democristiani. Unica
tessera di riconoscimento è un’umanità bisognosa di liberare l’intelligenza e il cuore. Una situazione diversa, è
quella di Barbiana: la seconda e ultima parrocchia di don Milani, divenuta famosa per la sua attività educativa.
Vi giunge il 6 gennaio 1954: ha 31 anni. Il suo trasferimento in questa sperduta canonica è dovuto a diversi
motivi, ma principalmente perché la sua figura è scomoda. La vita a Barbiana è quella dura e faticosa dei
montanari e dei contadini. Di fronte ai ragazzi di Barbiana, incapaci di comunicare, chiusi nel loro mutismo
diffidente di montanari timidi e goffi, don Milani apre una scuola nelle stanze della canonica. Ricreazione,
tempo libero, vacanze, sono un lusso, che non ci si può permettere, perché se un ragazzo non va a scuola è a
lavorare nella stalla, o a tagliar legna, o al pascolo con mucche e capre. La scuola dura tutta la giornata e tutti i
giorni dell’anno. L’attenzione alla persona, che è amore per la sua crescita, è la regola della scuola di Barbiana,
perché “chi era senza basi, lento o svogliato si sentiva il preferito. Veniva accolto come...il primo della classe.
Don Milani, tende a sviluppare tutte le dimensioni della persona: dimensione intellettuale, morale, sociale,
religiosa. La dimensione fisica, trova spazio nelle lezioni all’aperto e nella piscina costruita dagli stessi ragazzi.
Don Milani educa e cresce quei ragazzi per se stessi e per gli altri, sicuro che il mezzo migliore per cambiare la
società è educare l’uomo portandolo alla sua pienezza umana. Egli insiste sulla parola, perché è la parola che
differenzia l’uomo dall’animale.