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«LA GUERRA NON HA UN VOLTO DI DONNA.

L'EPOPEA DELLE DONNE


SOVIETICHE NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE»

Nel 1983, Svetlana Aleksievič terminò di scrivere La guerra non ha un volto


di donna, ma la censura la accusò di dissacrazione della figura della donna
sovietica, di essere antisovietica, di essere una giornalista dissidente: il libro
rimase bloccato per ben due anni dall’editore. Poi sopraggiunse Gorbačëv e
finalmente nel 1985 raggiunse i due milioni di copie.
Gli uomini hanno paura che le donne raccontino tutta un’altra guerra.
Senza la tenacia e la voglia di verità dell’autrice non avremmo mai avuto le
preziose testimonianze contenute tra le pagine di questo libro. La Aleksievič per
due anni annotò i racconti delle donne che parteciparono al secondo conflitto
mondiale, combattendo strenuamente per il loro Paese come uomini, al fianco
di uomini, contro altri uomini. Sono storie di ragazze allora sedicenni,
diciassettenni, che come volontarie si arruolarono, per amore di Stalin e del
Partito.
Le donne hanno dovuto affrontare più ostacoli: una storia maschilista e crudele
che le ha volute dimenticare, un regime bieco e ottuso che mai avrebbe voluto
rivelare il loro straordinario impegno e le condizioni in cui furono costrette ad
operare e i mariti stessi che prima delle interviste le indottrinavano o le
inibivano o le mandavano a preparare tè e biscotti per raccontare indisturbati la
loro guerra e le loro medaglie.
“Ma perché, non ci sono abbastanza uomini da intervistare? Che cosa se ne fa di
queste storie che le raccontano le donne? Storie di fantasia…”
Il motivo per cui la Censura fece sì che questo volume rimanesse occultato è
da ricercare nella miopia del Partito stesso, ovvero nella volontà di non
rendere emotiva la guerra finora raccontata dagli uomini. Un sanguinoso
conflitto fatto di calcolate azioni militari e non da morte, dolore, sonno, fame
e miseria.
“Sì, la Vittoria c’è costata molte sofferenze, ma lei deve orientarsi sugli esempi di
eroismo. Ce ne sono centinaia. E invece lei della guerra preferisce mostrare il
sudiciume, la biancheria intima. Nei suoi scritti la nostra Vittoria è orribile… Che
scopo si prefigge esattamente?”
“La verità.”
Non solo racconti di guerra, ma ricordi di vita
Per decine di viaggi, centinaia di cassette registrate e migliaia di metri di nastro
magnetico si tratteneva a lungo in un appartamento. Sorseggiava tè, parlava di
frivolezze, guardava fotografie e solo allora le donne ritrovano loro stesse.
“Cominciavano a rievocare non la guerra ma la propria giovinezza. Un pezzo
della propria vita… Bisogna cogliere quel momento” e il vero peccato era non
avere la possibilità di imprimere nel nastro magnetico la gestualità delle mani,
gli sguardi.
Una guerra diversa in base alla professione: istruttrici sanitarie, tiratrici scelte
oppure fucilieri mitragliatori, a capo di una batteria antiaerea o nel genio,
nonché aviatrici. Tante le infermiere che hanno amputato arti al punto da
chiedersi se mai fosse rimasto un uomo con entrambe le gambe o le braccia.
Donne insignite di medaglie per il Coraggio, per l’Onore, donne cadute
addormentate per la stanchezza mentre camminavano e che pur pesando meno
di cinquanta chili trascinavano feriti di ottanta. Indossavano uniformi maschili,
biancheria maschile e per giunta, dopo aver rischiato la vita e difeso la Patria,
una volta tornate, subivano l’onta di essere state a lungo tempo a contatto con
tanti uomini e chissà chi le avrebbe mai più sposate.
Solo la verità, senza retorica
Un susseguirsi, senza retorica, di testimonianze significative e concrete, di
donne cresciute troppo in fretta. Un intenso resoconto cronachistico della
controffensiva Sovietica, da leggere tutto d’un fiato per perdersi nel vortice di
una guerra che sapeva di cloroformio, tintura di iodio e fango.
Sulla pelle delle donne soldato, abiti intirizziti dal freddo e dal sangue secco, sui
piedi, ferite per gli stivali troppo lunghi.
Lacrime non versate perché non c’era tempo, perché i morti erano troppi e
perché si sarebbe pianto solo alla fine, al momento della Vittoria.
Se la guerra la raccontano le donne, quando prima l'hanno raccontata solo gli
uomini... se a farla raccontare è Svetlana Aleksieviéc... se le sue interlocutrici
avevano in gran parte diciotto o diciannove anni quando, perlopiù volontarie,
sono accorse al fronte per difendere la patria e gli ideali della loro giovinezza
contro uno spietato aggressore... allora nasce un libro come questo. 22
giugno 1941: l'uragano di ferro e fuoco che Hitler ha scatenato verso Oriente
comporta per l'URSS la perdita di milioni di uomini e di vasti territori e il
nemico arriva presto alle porte di
Mosca. Centinaia di migliaia di donne e ragazze, anche molto giovani, vanno a
integrare i vuoti di effettivi e alla fine saranno un milione: infermiere,
radiotelegrafiste, cuciniere e lavandaie, ma anche soldati di fanteria, addette
alla contraerea e carriste, genieri sminatori, aviatrici, tiratrici scelte. La guerra
"al femminile" - dice la scrittrice - "ha i propri colori, odori, una sua
interpretazione dei fatti ed estensione dei sentimenti e anche parole sue". Lei si
è dedicata a raccogliere queste parole, a far rivivere questi fatti e sentimenti,
nel corso di alcuni anni, in centinaia di conversazioni e interviste. Cercava
l'incontro sincero che si instaura tra amiche e quasi sempre l'ha trovato: le ex
combattenti e ausiliarie al fronte avevano serbato troppo a lungo, in silenzio, il
segreto di quella guerra che le aveva per sempre segnate...

Durante la Seconda Guerra mondiale, circa un milione di donne hanno


combattuto nell’Armata Rossa, ma i loro destini non sono mai stati raccontati.
Questo libro raccoglie le memorie di centinaia di loro. Non sono storie di guerra,
né di combattimento, ma di donne in guerra. Per loro c’erano soprattutto ruoli
ausiliari: infermiere, autiste, cuciniere; quando, però, le perdite dei militari si
aggravarono, furono mandate in prima linea: carriste, sminatrici, tiratrici scelte,
pilota d’aereo. La guerra femminile, scrive l’Autrice ha “i propri colori, odori, una
sua interpretazione dei fatti ed estensione dei sentimenti e anche parole sue”.
Queste donne, molte per la prima volta nella loro vita, raccontano qui il lato
meno eroico della guerra, quello che viene generalmente omesso nei racconti
dei veterani. Parlano dello sporco e del freddo, della fame e delle violenze,
della paura e dell’ombra della morte sempre presente.
Un libro pubblicato per la prima volta nel 1985, ma inedito in Italia, che
l’Autrice (Premio Nobel per la Letteratura 2015) ha completamente riscritto,
per questa edizione, reintegrando le parti censurate e aggiungendo nuovi
materiali che non aveva potuto utilizzare a quel tempo.

Voci di donne, le donne sovietiche, che hanno vissuto la seconda guerra


mondiale in prima persona esattamente come gli uomini, una guerra percepita
tuttavia in maniera differente; voci che allo stesso tempo raccontano anche di
uomini forse come gli stessi uomini mai – per pudore – si racconterebbero.
L’orrore del sangue che si alterna con il sapore di una caramella che diviene
quasi un miracolo per la bocca, la bellezza di una lettera scritta o ricevuta, bene
prezioso, e i sorrisi rubati al buio di giorni terribili. La femminilità mai del tutto
mortificata e messa al servizio di chi muore rimpiangendo mogli e madri…
Quanto, e come ti cambia, una guerra? “Dopo la guerra – racconta l’infermiera
Ljubov’ Zacharovna
– tutti mi facevano compassione: le persone, i galli, i cani… Anche adesso non
posso sopportare il dolore altrui. Abbiamo un grande giardino, non ho mai
venduto né una mela, né una bacca. Regalo sempre tutto… Dai giorni della
guerra mi è rimasto questo gran cuore…”
Non sopportare mai più di andare al mercato o in luoghi in cui si vende la
carne, non riuscire a indossare qualcosa di rosso, sentire in tempo di pace
l’odore della morte anche in uno stufato, gonna e vestiti che procurano
disagio dopo aver indossato per così tanto tempo – al fronte – dei
pantaloni…
Ma c’è anche chi dice che la fine della guerra è come il risvegliarsi da un brutto
sogno, e che dopo quell’oceano di lacrime, la vita non poteva che essere
bellissima. E nasce la convinzione che dopo tante atrocità viste e vissute, gli
uomini non potranno che essere solo buoni, fratelli. Si prova un nodo in gola a
leggerle, queste parole, perché si comprende quanto sia facile per l’uomo,
invece, dimenticare e ricadere nell’errore…
Ciò che commuove, tra queste pagine che paiono respirare, è proprio il gran
cuore presente sotto i bombardamenti, nel fango, tra le barelle o gli stenti,
nella paura o tra i mortai: disciplina militare che non impedisce tuttavia
l’inarrestabile nascita di condivisioni, o le manifestazioni di altruismo, di
amicizia, la solidarietà, lo sbocciare inaspettato di sentimenti, e i bigliettini
d’amore… “Per noi l’amore laggiù non si divideva tra un oggi e un domani,
contava solo l’oggi. Ovvero, tu ami in questo istante, ma qualche istante dopo
tu stesso, o la persona amata, potete non esserci più. In guerra tutto si
svolgeva in modo accelerato, la vita come la morte.”
E ancora: “Meglio piuttosto restare uccisi insieme, portati via nello stesso
momento. O morire insieme, o vivere insieme.”
Uomini che vanno a morire, donne che divengono madri nell’ultima carezza che
dà loro conforto, in un bacio, in un sorriso donati a uno sconosciuto. “Finché può
ancora sentirti… Fino all’ultimo gli dici che no, no, è impossibile che lui muoia. Lo
baci, te lo tieni stretto, ma va’ ma va’ gli dici. È già morto, gli occhi vitrei fissano il
soffitto e io continuo a sussurrargli delle parole… Per tranquillizzarlo…”
A rendere ancor più prezioso questo libro, è anche la grande fatica da lui
compiuta per
“nascere”: La guerra non ha un volto di donna fu dato alle stampe per la prima
volta nel 1983, ma venne subito censurato e bloccato per due anni per via del
rifiuto della guerra che ne impregna ogni pagina, e la scrittrice fu accusata –
oltre che di “pacifismo” – anche di “naturalismo”, ovvero di omettere la sua
voce narrante in favore di altre voci scomode, basate sulla realtà dei fatti.
L’autrice, ha invece potuto – in seguito – reintegrare nel testo altri racconti, al
tempo impossibili da pubblicare, che completano un’opera davvero degna di
nota e per la prima volta edita in Italia.

“Scrivo la storia dei sentimenti… La storia dell’anima… Non la storia della


Guerra né delle Stato né le Vite degli eroi, ma la storia del piccolo essere
umano scaraventato, dalla semplice esistenza che conduceva, negli epici abissi
di un evento colossale. Nella grande Storia”.
Il libro è composto da testimonianze di donne che hanno vissuto la seconda
guerra mondiale, si passa da semplici stralci a conversazioni più lunghe,
ognuna vuol dire la sua esperienza, la sua guerra. Questo non è un semplice
libro storico, questa è la loro verità.
L’autrice da spazio a tutte, dalle combattenti in prima linea, ai sanitari, alle
lavandaie, ai partigiani e alle civili. Pagina dopo pagina davanti a noi si presenta il
volto femminile della guerra, quello emozionale, quello ricco di piccoli dettagli,
quello che ti strazia il cuore e ti fa vedere la tua vita sotto un’ottica diversa. Se il
solo leggerle è così toccante, m’immagino l’autrice cosa può aver provato
sentendo le protagoniste raccontare la loro esperienza.
Questa lettura porta “il suo carico”, è impossibile non sentirsi coinvolti ed
emozionati davanti queste vite straordinarie. Donne giovanissime che già a
sedici anni partivano volontarie per la Patria, una Patria che però gli ha
fatto pagare uno scotto troppo caro.

“Anche gli incontri e le conversazioni hanno una propria storia…”  Questa frase
racchiude l’intero senso del libro uscito per Bompiani, dal titolo La guerra non ha
un volto di donna di Svetlana Aleksievič. L’autrice racconta, attraverso la storia di
alcune donne, la guerra: ausiliarie, volontarie, combattenti per difendere la
patria e tutto quello che hanno provato, sono le protagoniste delle interviste
presenti nel testo. Per la scrittrice la guerra “femminile” è nella percezione delle
donne anche più carica di sofferenza di quella “maschile”. Un libro emozionante,
forte e pungente perché il racconto di queste donne colpisce il cuore ed entra
nell’anima di chi lo legge. Si tratta
della guerra combattuta in Russia contro i tedeschi nella seconda guerra
mondiale. La scrittrice ha raccolto singoli ricordi facendo comprendere la guerra
vera quella che nessun vuole raccontare. “Stavamo sedute intere giornate a
scrivere lettere. Ci eravamo distribuite i compiti e i nominativi. Scrivevamo tre
quattro lettere al giorno...”  Svetlana Aleksievic affronta con un libro-inchiesta
la situazione e il ruolo che ha avuto la donna sovietica all’interno della seconda
guerra mondiale.
Libro che svolge appieno il suo compito riuscendo, attraverso interviste alle
protagoniste, a raccontare non solo situazioni e accadimenti ma anche umori e
difficoltà nei rapporti con l’uomo. Una volta tornate a casa le donne
continuavano la vita di sempre ma con qualcosa di importante che avrebbero
sempre portato nel loro cuore e nella loro anima; un trascorso di vita vero e
reale e tutto per la difesa della propria patria. Poi la società del Dopoguerra che
non riesce ancora oggi a distanza di settant’anni a digerire e prendere atto della
presenza della donna in quel contesto. Si racconta di donne guerrigliere,
partigiane, tiratrici scelte, non solo di infermiere, barelliere, cuciniere. Poi si
racconta di madri e di figli, di amori e di incomprensioni. A tratti anche molto
toccante. Sicuramente non facile, ma molto istruttivo, sulla guerra e sullo
stalinismo.

La cronaca della seconda guerra mondiale delle donne sovietiche: un conflitto


non solo osservato, ma combattuto in prima linea al fianco degli uomini,
partecipando a orrori e responsabilità. Quando nel 1976 la scrittrice iniziò le
ricerche per “La guerra non ha un volto di donna” voleva scrivere un libro «tale
da provocare nausea e repulsione» per la guerra. La storia che intendeva
raccontare era la verità scomoda che tutti si erano impegnati a dimenticare e
che fu all’origine delle difficoltà di pubblicazione del volume.
Si calcola che 19 milioni di russi abbiano perso la vita nel conflitto. Soldati,
partigiani, civili ridotti alla fame o arsi vivi nelle loro case durante l’avanzata
tedesca: di tutto questo era rimasta scarsa traccia nella memoria sovietica. Lo
slogan della Vittoria era ossessivamente ripetuto a coprire gli orrori del conflitto,
i sussidiari erano “riscritti tre volte” per tramandare il ricordo di una Grande
Guerra Patriottica.
Nell’infanzia di Aleksievič qualcosa non torna: i «villaggi di sole donne» mal si
conciliano con una retorica della guerra gloriosa e tutta al maschile. Lo
scollamento tra la vita vera e i resoconti ufficiali la spinge, in questo libro come
in quelli che seguiranno, a cercare una prospettiva diversa. La scrittrice rifugge la
finzione tipica della narrativa e contrappone alla Storia delle gesta eroiche una
storia di piccole cose: dettagli, sentimenti, «normali esistenze prese nel vortice
della guerra».
Per anni Aleksievič ha combattuto contro la ritrosia delle reduci, ne ha
raccolto e trascritto le testimonianze: il risultato è una chiacchierata
intima tra amiche, resa con una “scrittura polifonica” e coinvolgente che
le è valsa il premio Nobel per la Letteratura 2015.
La verità di Aleksievič è quella crollata addosso a milioni di uomini e donne in
guerra. «Eravamo pieni di ideali», fedeli alla Patria, sicuri che l’Armata Rossa
avrebbe sconfitto i nazisti in poco tempo. Hanno trovato armamenti obsoleti e
proiettili centellinati, il nemico alle porte di casa, la fame. Il trauma decisivo si
verifica a tu per tu con la natura umana: «solo a contatto con la morte si scopre
che un soldato affamato può mangiare un bambino, che uno assetato di rabbia
può trucidare un nemico e violentare una nemica. Solo di fronte alla morte il
tedesco smette di essere un nazista e recupera la sua fisionomia umana».
Tutto questo non trova spazio nella narrazione ufficiale, ma vive nei ricordi
delle donne; e che donne! Con la Aleksievič incontriamo una realtà diversa:
la prima sorpresa sono le professioni militari delle ragazze russe, le stesse
degli uomini.
La composizione delle testimonianze realizza una cronaca del conflitto: i primi
sentimenti descritti sono l’entusiasmo, la voglia di combattere per la Patria,
stupore, umiliazione e determinazione nell’impatto con la guerra, perché
l’esercito non vuole femmine, ne deride la debolezza e le ridicolizza con
pastrani fuori misura e biancheria da uomo.
«Durante la guerra ho smesso di essere donna, dicono in tante, per molto
tempo non ho potuto avere figli».
Il corpo si ribellava, così da rendere tragicomico il tentativo di riconciliarsi con
la propria natura ricamando fazzolettini di notte, risparmiando una scaglia di
sapone.
«Mi viene da ridere a vedere i film di guerra. Te la immagini un’infermiera in
gonna che striscia sul terreno per recuperare un ferito?»
Sul campo hanno le stesse responsabilità degli uomini, ma una volta tornate a
casa la diversità di ruoli si riafferma con prepotenza. I reduci sono mariti tanto
più ambiti quanto più portano sul corpo i segni del conflitto, veri e propri cantori
di tattiche militari ed eroiche avanzate. Le donne sono relegate a ruoli casalinghi,
costrette a nascondere di essere state al fronte, mutilate di una parte della loro
esistenza e “defraudate della vittoria” sotto la minaccia di essere considerate
cattivi partiti. Il ritorno alle “scarpette col tacco” è una condanna al silenzio, o a
tramandare i resoconti ufficiali inculcati da mariti e fratelli.
Con gli uomini, le testimoni di Aleksievič condividono non solo le battaglie, ma
anche il tradimento della patria. Nessuno le difende dall’accusa di promiscuità
con gli uomini. Chi è stato prigioniero dei tedeschi, se sopravvive alle torture, è
comunque spacciato: per Stalin non è un eroe ma una spia da deportare; sua
moglie condividerà il suo destino di reietto, sopravvivendo ai margini della
società.
«Anche l’epoca è una patria», scrive lucidamente l’autrice: quando il tempo
degli ideali finisce, quando ci si scontra con la realtà della guerra e si viene
ripagati con la vera natura di un regime ingrato e sospettoso, in un attimo si è
apolidi.

Il libro di Aleksievič è una grande lezione di giornalismo – l’operazione verità


spinge l’autrice a inserire in questa edizione anche brani che originariamente
aveva censurato – ma è anche uno strumento potente per leggere l’attualità.
«Totale dedizione alla causa del popolo; non esiste sfera privata. I nostri compiti
sono eguali a quelli degli uomini; facciamo i turni come loro, rischiamo allo
stesso modo. Siamo combattenti a tutti gli effetti»  Queste parole, pronunciate
dalle volontarie delle Unità di autodifesa femminili del popolo curdo in lotta con
l’Isis, ci riportano a uno scenario di guerra non meno atroce di quello
raccontato nel libro. A distanza di 70 anni, altre donne, mentre lottano per
sopravvivere alla violenza fisica e culturale, affermano con le armi la loro
eguaglianza.

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