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Riassunto libro Bullismo- aspetti giuridici, teorie psicologiche e tecniche di intervento

L’impegno delle componenti scolastiche e non solo ma anche delle professionalità che offrono ad
esse un supporto (psicologi, educatori, insegnanti) deve essere volto alla prevenzione delle
infrazioni disciplinari nel rispetto della funzione educativa che è propria della società nel suo
complesso e della scuola in particolare (per quanto riguarda la sfera dell’educazione).
Esiste in realtà una disciplina psicologica che si occupa delle problematiche relative al rapporto tra
individui e norme, in particolare si occupa dello studio del rapporto tra individui in età evolutiva e
le norme, ed essa prende il nome di psicologia giuridica. (capacità di coniugare gli aspetti
psicologici con quelli giuridici)
Nel problema del bullismo rientra anche la psicologia della salute che definisce il concetto di salute
come “stato di completo benessere fisico, psicologico, sociale e non semplice assenza di malattia”;
questo libro tratta del bullismo e delle devianze minorili e di un metodo per placarle attraverso
l’utilizzo della psicologia giuridica e della psicologia della salute e in particolare trarre una
soluzione basandosi sul rapporto tra le due.
PRIMA PARTE: bullismo aspetti psicologici ed educativi
1. Bullismo: cos’è il bullismo? (bull in inglese toro)
Il termine bullismo deriva dall’inglese bullying che deriva a sua volta dalla parola bully che
significa intimidire e maltrattare ed indica una persona che usa la propria forza e potere per
intimorire una persona più debole. Il termine bullismo secondo Baldry indica un insieme di
comportamenti verbali, fisici e psicologici reiterati nel tempo posti in essere in un individuo o in un
gruppo di individui verso individui più deboli. La presenza della reiterazione è necessaria affinché
si possa parlare di bullismo, in quanto un caso isolato non può esser considerato tale.
Si parla di bullismo nei casi infantili e adolescenziali soprattutto in ambito scolastico e si parla di
mobbing nei contesti lavorativi e adulti (Lorenz).
I bulli di solito attaccano individui più deboli in base a caratteristiche comportamentali (timidezza,
disabilità) e socioculturali (minoranze etniche). Il bullo può esercitare sia violenza psicologica,
insultando o appropriandosi di oggetti appartenenti alla vittima o può arrivare anche alla violenza
fisica, costringendo anche la vittima a fare qualcosa contro la sua volontà. Persone che hanno un
passato di bullismo in età giovane dai 11 ai 24 è stato in carcere almeno una volta.
2. Variabili legate al sesso e all’età
 Prevalenza di bullismo nel sesso maschile
 Il bullismo nei maschi si manifesta prevalentemente con violenza fisica quindi un
bullismo diretto, mentre nelle femmine si manifesta con violenza psicologica ovvero un
bullismo indiretto che le femmine esercitano prevalentemente su altre femmine
 Si distingue bullismo diretto e indiretto: il primo si riferisce ad un attacco attivo alla
persona mentre il secondo è un bullismo caratterizzato dall’isolamento sociale della vittima
e l’esclusione intenzionale da parte del gruppo.
Negli ultimi anni si stanno diffondendo forme di bullismo diretto e violento anche da parte delle
femmine:
 In entrambi i sessi il bullismo diminuisce dalla scuola primaria alla scuola
secondaria superiore mentre invece in questi anni aumenta la violenza psicologica
 Rispetto al ceto sociale si vede un aumento della violenza fisica nei ceti sociali bassi
mentre nei ceti sociali medio-alti prevale la violenza psicologica
La gravità dei singoli episodi cresce con l’aumentare dell’età, diminuisce in quantità ma non in
qualità in quanto gli attacchi si fanno più violenti e pericolosi.
2.1 Bullismo al femminile
Giacobbi parla di un nuovo tipo di femmina la cui aggressività è prettamente specifica dei maschi e
che ha uno spiccato senso di interesse per il corpo femminile se pur eterosessuale e questo
fenomeno accade per un processo di identificazione del soggetto femminile in quello maschile che
si sovrappongono, senza annullarsi, ai processi femminili. Le femmine che picchiano usano il loro
corpo come una vera e propria arma contro il mondo e ci si chiede se gli attacchi per esempio ad
una anoressica possono essere una simbolizzazione di un attacco e di un odio verso la madre o un
attacco ad un individuo come un attacco al padre.
3. Bullo e vittima: ruoli complementari
Essi sono accomunati da una stessa piattaforma disadattiva se pur di diversa origine e genere, anche
lo stile educativo famigliare risulta diverso ad esempio nel bullo solitamente la famiglia è molto
autoritaria o al contrario troppo permissiva o una famiglia con molte scene di violenza mentre al
contrario la vittima di solito è cresciuta in un clima iperprotettivo. Il bullo può riuscire benissimo ad
interpretare il punto debole della vittima quindi trovare il suo bersaglio oppure alle volte invece
interpreta male i segnali e reagisce secondo quel che ha recepito, ma nella maggior parte dei casi è
un’interpretazione sbagliata.
Social skills deficit model proposto da Dodge mostra come i bambini aggressivi tendono ad
interpretare eventi ambigui come minacciosi nei loro confronti molto di più rispetto a bambini
invece non aggressivi, questo test però si riferisce solo a situazioni che li riguardano direttamente. Il
bullo in ogni caso è una persona che ha una bassa autostima e scarsa autoefficacia percepita ed è per
questo che esso attacca i più deboli per potersi sentire forte e superiore ma in realtà è il primo a
vedere gli eventi e gli atteggiamenti degli altri come minacciosi nei suoi confronti.
3.1 Caratteristiche del bullo
Il bullo ha una buona capacità di comprensione degli stati emotivi e cognitivi altrui ma anche una
sorta di machiavellismo ovvero la capacità di manipolare e sminuire/strumentalizzare gli altri per i
propri scopi personali ma poca se non nulla empatia nei confronti della vittima. (difficoltà in
entrambi a decodificare l’emozione della felicità)
I bulli hanno un atteggiamento positivo verso la violenza essi sono molto impulsivi hanno buona
autostima e scarsi livelli di ansia e preoccupazione, il bullo maschio è una combinazione di un
modello reattivo aggressivo associato alla forza fisica mentre la vittima è la combinazione di un
modello reattivo ansioso associato alla debolezza fisica. Un aspetto che accomuna bulli e vittime è
il rendimento scolastico infatti entrambi hanno una media più bassa rispetto agli altri, nei bulli si è
visto che i voti si abbassano sempre di più con l’aumentare dell’età. Il bullo si distingue in bullo
dominante/aggressivo e bullo passivo/sobillatore e questo ultimo rappresenta una sorta di seguace
del bullo, simpatizza con lui e lo sostiene nei suoi atti senza però intervenire direttamente.
Il bullo dominante ha sempre un capro espiatorio a cui dare tutte le colpe e sviluppa sempre
violenza nei confronti di questo capro che può essere una violenza sia di tipo fisico che di
tipopsicologico. Esiste anche una terza categoria di bullo che è quella del bullo ansioso, è un bullo
che attacca la vittima come il bullo dominante ma è necessaria un solo rimprovero da parte
dell’adulto per suscitargli il senso di colpa, in questa categoria si fanno rientrare il 20% dei bulli.
3.2 Caratteristiche della vittima
La vittima ha bassa autostima non crede in sé, ha una pessima opinione di sé e della sua situazione e
solitamente in classe non ha un buon amico, solitamente la vittima ad esempio è scelta sempre per
ultima nei giochi a squadre (tipo di vittima passiva, sottomessa). Esiste però anche la vittima
provocatrice che un mix tra vittima passiva e bullo, essa subisce gli attacchi per colpa sua perché
provoca ed è per questo che viene chiamata anche vittima-bullo. Essa sembra affetta da problemi di
iperattività, ha bisogno di sentirsi sempre al centro dell’attenzione e spesso ha comportamenti che
infastidiscono il bullo e ne provoca la reazione violenta.
Negli anni è stato notato una correlazione tra vittimizzazione e depressione all’aumentare della
vittimizzazione aumentava la depressione e viceversa ed inoltre una correlazione positiva tra
vittimizzazione e sintomi psicosomatici a causa dei forti stress che la vittima deve subire dalle
violenze del bullo. Esistono davvero tanti motivi per cui una persona può essere bullizzata:
omofobia, disabilità, diversità etniche, obesità, timidezza ma anche l’essere lo studente modello
della scuola potrebbe portare ad essere vittimizzato.
4. Fattori di rischio e fattori protettivi
Per fattori di rischio si intendono quei fattori che rischiano di portare una persona a diventare
vittima o bullo mentre i fattori protettivi sono fattori che portano a prevenire la nascita di una nuova
vittima o di un nuovo bullo. Il bullismo si inserisce nel crocevia tra educazione alla legalità e alla
convivenza civile (psicologia giuridica) ed educazione alla salute biopsicosociale (psicologia della
salute). Secondo Abruzzese il bullismo è una condotta eteroagressiva mentre la vittimizzazione è
una condotta autoagressiva e ciò rende la relazione tra bullo e vittima non tanto un rapporto
asimmetrico quanto complementare. (!!!! La vittima spesso si fa picchiare pur di non sentirsi
trasparente, e questo è da considerarsi un caso davvero molto grave)
Condotte a rischio di abuso di alcol o di fumo sono correlate positivamente con la condotta del
bullismo (Abruzzese).
Tra i fattori di rischio che predispongono a diventare un bullo si annoverano:
 Atteggiamento emotivo dei genitori: come mancanza di affetto o anaffettività portano
il figlio ad avere atteggiamenti aggressivi e ostili verso gli altri;
 Uno stile educativo permissivo e troppo tollerante;
 Al contrario anche uno stile educativo troppo autoritario e rigido causa la nascita di bulli;
 Mancanza di cure o di abusi tra i genitori, conflittualità e aggressività;
 Interiorizzazione di una figura materna depressa e immatura che preferisce il figlio
maschio ad un marito reso debole dai suoi attacchi squalificanti;
 Disimpegno morale;
 Tratto di personalità chiamato sensation seeking: spiega l’atteggiamento antisociale in
adolescenti non provenienti da famiglie problematiche e che quindi diventano bulli per
una situazione di noia e per una voglia di sentimenti forti;
 Locus of control: ovvero la capacità dell’individuo di apportare la causa di ciò che gli
accade all’interno o all’esterno di sé, quello interno è un fattore protettivo mentre
quello esterno un fattore di rischio.
Ci sono anche alcuni fattori biologici predittivi come per esempio un temperamento difficile e per
temperamento si intendono le caratteristiche ereditarie che influenzano il modo di reagire di ogni
individuo a situazioni socio emozionali.
Tra i fattori protettivi ci sono invece:
 La resilienza ovvero la capacità dell’individuo di sopravvivere a eventi difficili
 La permanenza nel circuito scolastico
Il benessere emotivo è la risultante della corretta gestione del proprio comportamento emotivo ed
espressivo.
5. Le reazioni dei pari al bullismo: testimoni, difensori, gregari e spettatori
Nel bullismo il ruolo dei pari purtroppo consolida il ruolo sia di bullo che di vittima quindi viene
considerato un limite. Il bullismo è un fenomeno relazionale non solo a causa della
complementarietà dei ruoli di bullo e vittima ma perché tutto ciò avviene in un teatro dove le
prevaricazioni avvengono in un ambiente composto da una maggioranza silenziosa che danno forza
e potere al bullo. Inoltre questi atteggiamenti sono pericolosi in quanto ce il problema
dell’imitazione e la maggior parte dei bambini sta con il bullo per paura, sono pochi i bambini che
si schierano con la vittima perché poi questo viene visto male dal gruppo che lo considera come
una spia e che lo va a riferire alla maestra. Tanti poi stanno zitti e non hanno il coraggio di sporsi
quindi questo crea una sorta di circolo vizioso che non avrà mai fine finché non arriverà colui che
avrà il coraggio di opporsi.
Spettatori e gregari rafforzano la figura del bullo, esistono diversi tipi di violenza:
 Violenza agita (bullo)
 Violenza subita (vittima)
 Violenza assistita (spettatore)
 Violenza partecipata (gregario)

6. Bullismo elettronico
Il bullismo si è sempre bassato su agiti violenti, esclusioni, ecc., ma negli ultimi anni con l’era
tecnologica si è sviluppato un nuovo tipo di bullismo chiamato anche cyber-bullismo “uso delle
nuove tecnologie di comunicazione per attuare comportamenti aggressivi deliberati sia da singoli
che dal gruppo, con l’intento di danneggiare l’altro”. È un tipo di bullismo che si basa su
prevaricazioni che avvengono tramite telefoni, fotocamere e in rete: esistono del chat-line dove
vengono diffusi filmati o foto imbarazzanti della vittima a tutti i compagni o addirittura vengono
postate in rete tramite internet. Questo tipo di bullismo è molto aggressivo perché il bullo può
importunare la vittima a tutte le ore della notte e del giorno e anche in casa, luogo una volta
considerato sicuro. Le telefonate ironiche i messaggi di testo basati su minacce rendono la vittima
impotente e sempre più in trappola. In questo tipo di bullismo ce molto disimpegno sociale e una
vera e propria de umanizzazione della vittima in quanto la distanza fisica e psicologica permettono
al bullo di sentirsi meno in colpa e di percepire la vittima non come una persona dotata di emozioni
e sentimenti ma sollo come un utente.
7. Determinanti psicosociali del bullismo
Il bullismo come appare molte volte scritto nel libro, avviene in gruppo. Si è voluto svolgere un
esperimento in bambini di 10-11 anni per capire alcuni loro comportamenti in situazioni di bullismo
simulato, dove i bambini vengono valutati in base ad alcuni punti prestabiliti: le risposte del
campione sono state misurate sulla base della comprensione del messaggio di testo, percezione della
responsabilità del gruppo il cui membro aveva inviato il messaggio alla vittima,emozioni provate,
tendenza all’azione associate ad una specifica emozione e infine l’identificazione del/la bambino/a
con il suo gruppo.
I risultati della ricerca confermano i processi dell’identità sociale influenzano sia le risposte che le
emozioni provate di fronte ad un episodio di bullismo. I risultati della ricerca rivelano che orgoglio,
vergogna e rabbia sono correlati con il grado di identificazione con il gruppo e con la percezione
della responsabilità del gruppo perpetratore. Queste emozioni sono molto importanti e definiscono
il rapporto che creano con il gruppo di appartenenza e con quello di identificazione. I bambini ad
esempio che erano assegnati alla norma della gentilezza erano più arrabbiati dei bambini assegnati
invece al gruppo la cui norma era la cattiveria. Da ciò consegue che se i fattori di gruppo svolgono
un ruolo nel causare atti di bullismo, sono ancora i fattori di gruppo e di identità sociale a costituire
al contempo la risorsa per combattere e resistere al bullismo.
Capitolo 2: Aggressività: fattori biologici e sociali
1. Basi neurofisiologiche dell’aggressività
Con il termine aggressività si indica uno stato interno o motivazionale che influenza la
predisposizione di un animale all’aggressività. Esiste l’aggressività proattiva (che avviene senza
provocazioni) e l’aggressività reattiva (essa avviene per difesa di un attacco reale o presunto).
L’aggressività si posiziona a vari livelli dell’encefalo, nel livello più basso troviamo la formazione
reticolare che è collegata con l’arousal e che è in grado di regolare i livelli di eccitabilità del sistema
nervoso centrale. L’encefalo umano è costituito da strutture gerarchicamente sovraordinate e ciò ha
portato alla formulazione di una teoria del cervello tripartito ovvero l’individuazione nell’encefalo
umano di una sovrapposizione di tre cervelli: cervello rettili, paleo mammiferi e mammiferi
superiori. Nel cervello dei rettili è presente un forte istinto, in quello dei paleo mammiferi si inizia a
intravedere un’intelligenza emotiva ovvero la capacità di gestire le proprie emozioni e nel cervello
dei mammiferi superiori oltre al paleo encefalo vi è il neo encefalo costituito dalla neocorteccia
cerebrale che si occupa dei comportamenti razionali. Se il sistema reticolare è colui che attiva
l’organismo predisponendolo all’azione sono le strutture del paleo encefalo a determinare i
comportamenti aggressivi.
Le lesioni dell’amigdala inibiscono i comportamenti aggressivi in animali e nell’uomo e celebre è
l’esperimento di Delgado che agendo con un radiocomando su un elettrodo posizionato
sull’amigdala riusciva a fermare la carica di un toro; l’amigdala inibisce il comportamento
aggressivo mentre il nucleo mediale presente nel lobo prefrontale aumenta i comportamenti
aggressivi. Si ricorda una forte correlazione a livello ormonale tra testosterone e aggressività, anche
s e negli ultimi anni sono stati commessi molti reati anche da parte delle donne.
2. Teorie istintualistiche
È Lorenz a proporre questa teoria istintualistica dell’aggressività, infatti secondo lui l’aggressività
segue processi istintualistici come la fame, la sete e l’impulso sessuale, essa è quindi soggetta ad un
accumulo di energia interna che raggiunto un certo livello di aggressività genera un comportamento
appetitivo e un comportamento consumatorio. Lorenz propose addirittura un modello per spiegare
questo concetto: modello psico idraulico, ovvero un serbatoio che si riempie di acqua e si svuota
grazie ad un sistema di valvole e quando il serbatoio è pieno l’acqua esercita pressione sulle valvole
che si aprono da sole senza bisogno di una forza esterna e così allo stesso modo funziona per
l’aggressività. Ma se uno stimolo scatenante esterno è molto forte può far nascere aggressività
anche se l’acqua all’interno del serbatoio è poca o al contrario se non avviene nessun evento esterno
scatenante per molto tempo il serbatoio si riempie e fa nascere aggressività anche senza un atto
scatenante, chiamato anche atto a vuoto. Un utile alleato per svuotare questo serbatoio è l’attività
sportiva.
Freud in questo discorso gioca sicuramente un ruolo importante e introduce il concetto di pulsione
di morte, questo concetto spiega bene perché il bullo canalizza la sua pulsione verso un individuo
considerato altro da lui (ad esempio verso uno straniero che è considerato come minoranza etnica
rispetto a lui).
3. La pseudo speciazione culturale
Si verifica quando un gruppo sociale o culturale, tanto più sente un forte legame all’interno, tanto
più tende a considerare gli appartenenti a un gruppo diverso come se appartenessero, addirittura, ad
un’altra specie. A causa di ciò si tende a considerare un conspecifico come se appartenesse ad
un’altra specie animale, aggredendolo facendo venire meno l’inibizione che di solito lo caratterizza
e che impedisce di aggredire un conspecifico. Su questo concetto si basano molto le politiche in
caso di guerre dove si dipingono gli avversari come infraumani e si inneggia alla lotta,
all’aggressività e all’attacco di propri conspecifici. All’origine della pseudo speciazione ce un
elemento strettamente biologico: popolazioni di specie di animali geograficamente isolati non si
accoppiano più con conspecifici di un’altra popolazione perché non li riconoscono più come
appartenenti alla loro specie. Nell’uomo questo fenomeno accade ad esempio a partite di calcio
dove gli avversari si picchiano e dimenticano di essere tutti conspecifici e si considerano tra loro
come appartenenti ad un’altra specie. Nell’uomo questo fenomeno vien messo da Bandera tra i
fenomeni di disimpegno morale dove avviene una vera deumanizzazione della vittima. Il bullismo
viene fatto rientrare in questo fenomeno della pseudo speciazione culturale.
4. Teorie energetiche e teorie informazionali
Esiste una grande affinità tra le teorie istintualistiche e l’etologia e la psicoanalisi e queste affinità
sono possibili per il fatto che quest’ultime sono delle teorie energetiche del sistema nervoso a cui si
contrappongono le teorie informazionali che ritengono che il comportamento derivi dal risultato
delle informazioni ricevute attraverso la stimolazione ambientale e l’educazione. Inoltre le teorie
informazionali pur possedendo un sistema nervoso predisposto geneticamente per agire in modo
violento la violenza non è subito attivata da stimoli interni o esterni ma dipende dal modo in cui
siamo stati educati.
Da questa convinzione deriva la Dichiarazione di Siviglia sulla violenza, un documento sottoscritto
dall’UNESCO nell’89.
Aggressività considerata da Lorenz un istinto reattivo;
Teoria social cognitivista di Bandura che considera la violenza e l’aggressività come derivante
dall’apprendimento di comportamenti violenti messi in atto da modelli che ognuno di noi trova
nella sua vita e con i quali si identifica. Per agire una violenza non deve per forza compierla lui
stesso e in questo caso si parla di apprendimento vicariante (osservazione di un altro soggetto che
agisce);
Olweus parla di contagio sociale (esempio della Bobo doll, più il modello che agisce violenza sulla
bambola è una figura significativa più il bambino imiterà il modello e farà anche di peggio).
Capitolo 3: la carriera deviante e il ruolo degli adulti
1. Il ruolo della famiglia
Begotti e Bonino pensano che la prevenzione del bullismo passi anche attraverso la promozione del
comportamento pro sociale, e questo obbiettivo si realizza in un tipo di famiglia autorevole che
ascolti il figlio che sia dotata di sensibilità e che educhi il figlio all’espressione dei suoi sentimenti.
Lo stile autorevole si fonda però su regole chiare, certe e condivise il cui rispetto è reso obbligatorio
da punizioni non vendicative ma volte alla riparazione del danno arrecato.
Il ruolo dell’ambiente gioca è estremamente importante e forse è anche uno dei più pericolosi in
quanto l’ambiente sociale potrebbe spingere un individuo ad agire con violenza e aggressività ma
questo non succede se il soggetto ha alle spalle un’educazione da parte dei genitori.In ambienti
poveri, poco sicuri, con mancanze di risorse e relazioni l’aggressività è più facilmente attuabile, in
quanto difficilmente l’individuo ha ricevuto una buona educazione da parte dei genitori e le
circostanze poco piacevoli portano ad un aumento della violenza e dell’aggressività anche per una
questione di sopravvivenza. Il principio di riparazione del danno è contenuto sia nella parte dello
statuto di tutte le studentesse e studenti per quanto riguarda le sanzioni disciplinari sia nel codice di
procedura penale minorile. Bisogna ricordare che uno stile educativo autorevole non è né autoritario
né permissivo, ma presuppone comunque l’esercizio democratico e illuminato, si una forma di
autorità.
Però i genitori di oggi hanno rinunciato all’esercizio dell’autorità per poter essere amici dei propri
figli con i conseguenti effetti negativi dell’identificazione edipica, non apparendo al figlio, il
genitore come una figura forte su cui appoggiarsi e su cui contare. Anche secondo altri autori la
rinuncia alla figura del padre porta i figli a vedere il genitore come debole e a cui egli tenta di
proporre un esempio virile forte.
La violenza è generata dalla mancanza del passaggio tra codice virile e codice paterno, nel quale
ultimo l’aggressività maschile viene messa al servizio della protezione della famiglia e
dell’assunzione della responsabilità, nel bullo la violenza appare come il fallimento del processo di
interiorizzazione della figura paterna. Fornari sottolinea come nella società attuale sia avvenuto un
passaggio da una famiglia normativa (dominata da un’idea di stato forte) a una famiglia affettiva (è
immersa in una società multicentrica e multietnica). Secondo Rosci il persecutore degli adolescenti
di oggi non è più il super-io ma l’ideale dell’io ovvero le troppo grandi aspettative che i genitori
nutrono nei figli.
2. Il ruolo degli insegnanti e della scuola
Per spezzare il circolo vizioso che si è creato tra bulli e vittime, l’intervento degli adulti è
fondamentale. Teoria dell’azione deviante comunicativa, ricordiamo che la devianza è anche una
modalità di comunicazione e il modo in cui questa comunicazione viene presa dagli adulti può
acutizzare o migliorare la situazione.
Come reprimere e diminuire il bullismo nelle scuole?
Innanzi tutto si deve ricordare che il bullismo è un fenomeno di gruppo, in quanto essa è una
patologia relazionale che per comparire ha bisogno della compartecipazione di tutti, ed essendo un
fenomeno di sistema si deve assolutamente intervenire sul sistema. Il cambiamento si può spiegare
proprio attraverso una visione sistemica del problema, non sempre ha buoni risultati ma è un inizio.
L’alunno che in classe si comporta male innesca una reazione a catena che porta i compagni ma
anche i docenti a vederlo e definirlo sempre con il termine bullo, attribuendogli molte volte anche
colpe che non ha e quindi questo soggetto abituandosi a essere definito così finisce per diventare un
vero problema. Inoltre è comodo a tutti a livello inconscio proiettare su di lui le proprie parti
cattive, avere un “capro espiatorio” a cui dirigere tutte le colpe. Di solito i genitori poi incitano
all’allontanamento del “mostro” della classe, quindi si predica tanto il cattolicesimo ma poi
nessuno tiene mai in considerazione la parabola della pecorella smarrita a cui invece che
allontanarla bisognerebbe offrirgli aiuto. Questo sicuramente è il primo passo di cambiamento che
si dovrebbe compiere. Soluzione: intervenire agendo non solo sul bullo ma anche sulla dinamica
relazionale del gruppo-classe. A livello psico-sociale la scuola deve fornire e costituire in sé stessa
una palestra di educazione alla convivenza civile.
3. Le responsabilità degli adulti
Se è vero che alcuni atteggiamenti sono visibili e allarmanti (percosse, violenze ecc.) la scuola deve
occuparsene e intervenire immediatamente dato che i docenti incombono nell’obbligo di vigilare
senza soluzione di continuità sugli alunni. In caso contrario gli insegnanti potrebbero andare
incontro a grossi guai, sia che succeda qualcosa a scuola che in gita scolastica, gli insegnanti hanno
la responsabilità assoluta e devono essere molto attenti. Quindi se per difetto di vigilanza qualcuno
si fa male l’insegnante intercorre in culpa in vigilando con sanzioni in sede civile penale e
amministrativa. Mentre invece per i genitori i cui figli hanno avuto un comportamento scorretto
intercorre un culpa in educando, che però comunque non esime gli insegnanti dalle proprie
responsabilità di vigilanza.
4. La devianza dal determinismo lineare alla logica circolare
Il concetto di responsabilità rimanda a una dimensione psico-sociale: non è possibile infatti parlare
di responsabilità senza citare il contesto sociale in cui viene messa in atto e che retroagisce
sull’individuo restituendogli il significato che gli altri hanno attribuito alla sua azione che può
confermare quel significato che il soggetto gli aveva attribuito o gliene può dare un altro diverso e
che va a modificare l’auto percezione che il soggetto ha di sé e dei suoi comportamenti. È questa
probabilmente la ragione per la quale il concetto di responsabilità coincide con un’epoca nella quale
stava tramontando la concezione deterministica del comportamento deviante. La concezione
deterministica, secondo una logica lineare attribuiva il comportamento criminale a una sola causa
considerata l’unica che portava alla devianza. Successivamente si è fatta strada una logica
multifattoriale che attribuiva le cause del comportamento e della devianza a più fattori, ma anche
essa è considerata deterministica e lineare.
Più recentemente De Leo e Patrizi hanno proposto una logica multifattoriale non lineare ma
circolare del comportamento deviante ispirandosi al costruttivismo e all’interazionismo simbolico.
Si tiene quindi solo in considerazione una logica che sia circolare che multifattoriale in modo che
ogni concetto non si sommi agli altri per produrre linearmente un effetto ma ognuno ha un suo
proprio significato e ognuno produce un effetto sugli altri.
Elementi centrali per capire questo concetto:
 Attribuzione di significato all’azione deviante;
 Il valore che assumono i processi comunicativi.
Bandura considera il comportamento di un individuo la risultante di tre fattori cosi riassunti:
 Human agency: capacità di rielaborare le proprie esperienze a livello simbolico attraverso la
formulazione di modelli regolativi interni, come ad esempio il comportamento di
imitazione;
 Autoefficacia percepita;
 Disimpegno morale e le strategie di disimpegno morale comprendono:
 Giustificazione morale;
 Etichettamento eufemistico;
 Confronto vantaggioso;
 Dislocamento della responsabilità;
 Diffusione della responsabilità;
 Distorsione delle conseguenze;
 La deumanizzazione della vittima;
 Attribuzione di colpa alla vittima.

5. Il triangolo dell’azione deviante


In quest’ambito si colloca anche il modello della GDA ovvero modello dell’azione diretta allo
scopo, formulata da Harrè e Von Cranach, modello poi ripreso da De Leo, De Gregorio e Patrizi
dove mostrano la natura intenzionale dell’azione e la collegano a “sistema dei significati sociali e
delle regole che la dotano di senso e che costituiscono l’imprescindibile legame dell’agente al
sociale cui appartiene”.
Da questo modello De Leo deriva il triangolo dell’azione deviante comunicativa, nuova unità di
analisi nello studio della devianza.
Nel modello dell’azione deviante comunicativa:
 Il comportamento manifesto è rappresentato dalle azioni oggettivabili;
 Le cognizioni consapevoli sono elaborate dalla rappresentazione mentale che è a diretto
contatto in tutte le fasi dell’azione: regole dell’azione e anticipazione degli effetti
dell’azione.
Gli effetti dell’azione possono essere:
 Strumentali
 Espressivo-comunicativi
Si distinguono poi effetti legati al sé, effetti relazionali, effetti dello sviluppo ed effetti normativi e
di controllo. Il modello di Von Cranach e di De Leo si basa completamente sulla comunicazione
attraverso la quale il soggetto trasmette, commettendo reato, un messaggio e contemporaneamente
lancia una sfida a sé stesso e alla sua identità, che l’azione deviante rafforza.
La devianza è il punto di arrivo di un percorso attuato dal soggetto a diversi livelli di
consapevolezza il comportamento può essere considerato quale contenitore esterno e rilevabile di
un rapporto molto più complesso fra soggetto, azione, altri e norma.
6. Azione deviante e ruolo deviante
Una teoria multifattoriale ci pone di fronte a diverse variabili che interagiscono tra loro e che, in una
determinata situazione che fa da catalizzatore, producono un’azione antisociale. Se l’azione
deviante è comunicativa significa che ce un’emittente e un ricevente e dunque le modalità attraverso
le quali gli adulti reagiscono a un’azione deviante restituiscono all’autore dell’azine un’immagine di
sé che può aiutarlo a non commettere più azioni del genere, oppure può confermare definitivamente
la sua immagine di soggetto deviante, inducendolo ad agire di conseguenza secondo l’unico copione
che lui conosce e secondo il ruolo che gli attribuiscono tutti. Ecco perché il legislatore nel codice di
procedura penale minorile emanato dal DPR 448/1988 ha inserito tra i principi ispiratori del sistema
sanzionatorio penale per i minorenni, l’attitudine responsabilizzante, la de-stigmatizzazione e il
riconoscimento del minore come persona in grado di decidere e di prendere decisioni, questi
principi sono stati inseriti per evitare l’inizio di una carriera deviante.
7. La carriera deviante
Il passaggio da una prima azione deviante a una carriera deviante è simbolo che l’individuo riveste
sempre di più la figura di una persona deviante, trasformando il comportamento deviante in un vero
e proprio stile di vita. La carriera criminale inizia, in media, all’età di circa 17 anni e un ruolo
centrale deriverebbe da una prima condanna che va a segnare il futuro del soggetto e della sua vita
sempre più delinquenziale e criminale.
Secondo De Leo e Patrizi le fasi di una carriera deviante sono:
 Antecedenti storici
 Crisi: prima devianza agita
 Si passa a una devianza occasionale (l’individuo se sperimenta soddisfazione tramite la
sua azione deviante sperimenterà autoefficacia e poi inizierà ad attuare comportamenti di
disimpegno morale nel caso in cui si trovi in un contesto giuridico)
 Stabilizzazione
 Consolidamento
Capitolo 4: bullismo e disturbi del comportamento
1. I disturbi della condotta
Nella nosografia psichiatrica esistono i cosiddetti disturbi della condotta che sono caratterizzati da
comportamenti patologici che riguardano la sfera della condotta. Olweus pensa che il bullismo
possa essere considerato come una conseguenza del disturbo della condotta.
Nel DSM-IV-TR vengono citati diversi disturbi che riguardano la condotta, ed individua i disturbi
da deficit di attenzione e di apprendimento: (ad es. disturbo del comportamento dirompente,
disturbo oppositivo provocatorio). Bambini affetti da questi disturbi compresi autistici e psicotici
sono quelli che creano più problemi di disciplina a scuola e ciò è ovvio visto che rientrano nei
disturbi della condotta.
Un soggetto con disturbo da deficit di attenzione e di iperattività tenderà a porre in atto
comportamenti non conformi con le regole scolastiche e famigliari in quanto riesce a porre
un’attenzione molto breve alle cose e ha un assoluto bisogno di continuare a muoversi (iperattività)
e ciò non risulta molto conforme alle regole e alla vita scolastica ed è dunque per questo che avrà
dei problemi di condotta. Invece un soggetto con disturbo di condotta diversamente, tende a negare
i diritti fondamentali degli altri e a violare le norme e le regole e quindi egli può rendersi partecipe
a
aggressioni, distruzione di oggetti, furti, frodi ecc. Questo disturbo di solito compare prima o dopo
dei 10 anni, e può essere di tipo lieve, moderato e grave. È relativamente facile distinguere tra
disturbo da deficit di attenzione e disturbo della condotta, ma invece ce solo una sottile linea di
demarcazione tra disturbo della condotta e disturbo oppositivo provocatorio: questo ultimo va
spesso in collera anche con gli adulti, li sfida e si rifiuta di accettare le loro richieste e accusa gli
altri dei propri errori e dei suoi cattivi comportamenti. Il disturbo oppositivo provocatorio potrebbe
essere considerato il precursore dei disturbi di condotta.
DC: disturbo della condotta
DDAI: disturbo da deficit di attenzione e di iperattività
Secondo Wilmshurst, il disturbo oppositivo provocatorio viene verso o meglio si notano nella
pubertà più nei maschi che nelle femmine. È da ricordare che nel disturbo della condotta il limite tra
normale e patologico è difficilmente definibile, avendo a che fare con la cultura e le norme sociali
del luogo.
2. Il disturbo antisociale di personalità
Nel DSM-IV TR tra i disturbi di personalità emerge il disturbo antisociale di personalità che può
essere fatto coincidere con la psicopatia o personalità psicopatica. Esso rappresenta un quadro
pervasivo di inosservanza e di violazione dei diritti degli altri. Il non rispetto delle regole e delle
norme avvicina questo disturbo a quello dei disturbi di condotta che spesso ne sono il precursore.
L’adolescenza di questi soggetti spesso è segnata da abusi di alcool e droghe, aggressività, violenza
verso animali, cose e persone, mentono truffano e non rispettano le norme e solitamente questi
hanno una storia personale segnata da privazioni ed abusi da parte dei genitori che vengono
percepiti come estranei o come cattivi. Il soggetto con disturbo antisociale di personalità non ha
introiettato una figura materna positiva, capace di contenere i suoi vissuti cattivi, e questa esiste
solo come introietto aggressivo, da cui difendersi perché ostile. Ne consegue dunque che il
soggetto riproporrà questa dinamica anche nelle sue relazioni dove lui vedrà tutti come vittime e
imiterà il rapporto avuto con i genitori. Infine si osserva un Super-io debole che porta il soggetto a
non avere alcun senso di colpa o di rimorso per le cattive azioni che compie (i soggetti che
presentano questo disturbo sono affetti da instabilità relazionale, impulsività, aggressività,
difficoltà nel creare e mantenere legami sociali ecc.). Sul piano psicofisiologico i soggetti con
questo disturbo hanno soglie neurali molto più alte rispetto agli altri e c’è un più basso
funzionamento dei neuroni specchio, questo disturbo si presenta dai 15 anni o dai 18 anni,
preceduto da un episodio di disturbo di condotta avvenuto prima dei 15 anni, tutto ciò porta ad una
maggior possibilità di sviluppare un disturbo antisociale da adulto. Il disturbo antisociale di
personalità è molto grave e di interesse criminologico in quanto chi ne è affetto può arrivare a
commettere anche gravi reati.
Secondo Loeber, gli adolescenti antisociali, sono stati bambini che avevano difficoltà a
internalizzare i controlli, con conseguente scarsa capacità di elaborare gli impulsi e pensare alle
conseguenze delle proprie azioni; in questi bambini si associano fattori cognitivi, fattori etici,
problemi narcisistici e relazionali. Inoltre Sabatello ricorda che questo disturbo può essere collocato
all’estremo dello spettro del disturbo narcisistico, e che esso è caratterizzato da due fattori:
narcisismo aggressivo e stile di vita antisociale che poi si collegano anche con la difficoltà di
simbolizzazione.
Negli ultimi anni per spiegare la psicopatia degli adulti ma nei bambini si è arrivati alla definizione
di una personalità insensibile-anaffettiva e i bambini che presentano questo tipo di personalità sono
molto poco empatici, scarsa reattività affettiva alla paura provocata negli altri e comportamenti
atipici verso punizioni ricevute.
Si accenna anche al disturbo borderline di personalità dove anche questo disturbo presenta accesi
attacchi di ira improvvisi, aggressività ed è un disturbo che risulta pericoloso sia per sé stesso che
per gli altri. Questo tipo di soggetto presenta instabilità esistenziale con oscillazione del giudizio tra
polarità opposte.
Tra i due tipi di disturbo c’è differenza in quanto quello antisociale di personalità è caratterizzato
dall’incapacità di instaurare rapporti con gli altri se non di tipo distruttivo, mentre quello con
disturbo borderline ha sperimentato una inadeguata funzione genitoriale nella fase di separazione,
che lo ha condotto a ritenere che la crescita e l’individuazione portano necessariamente a perdere
l’amore materno. Il soggetto borderline a differenza di quello antisociale non sopporta la
separazione da un soggetto a cui è strettamente legato emotivamente, il soggetto teme di essere
abbandonato dall’oggetto amato e quindi alterna momenti di amore a momenti di disprezzo verso
l’oggetto amato, si creano quindi relazioni che sono molto forti emotivamente ma anche molto
turbolente che terminano bruscamente.
3. Disturbi del comportamento e disciplina scolastica
A livello di disciplina scolastica è indispensabile per meglio comprendere un alunno con una
disabilità diagnosticata proporre al Consiglio di classe il parere dello psicologo che lo segue e che
partecipa attivamente anche ai GDH (gruppi di lavoro sull’handicap).
Prima di qualsiasi punizione o giudizio, bisogna far affidamento alla diagnosi di uno psicologo o
psichiatra e valutare il suo grado di responsabilità nell’azione commessa. È necessario che questi
soggetti, a cui è già stata confermata la diagnosi da psicologi o psichiatri esperti, abbiano un
percorso progettato per un sano e corretto apprendimento anche di tipo sociale. Quindi il parere
dello psicologo serve non solo per misurare il grado di responsabilità ma anche per dare una
valenza “terapeutica” alla sanzione.
Capitolo 5: Il comportamento pro sociale
1. L’animale “altruista”
Le due grandi teorie del comportamento che hanno preso adito tra gli anni ’80 e ’90 sono l’etologia
e la psicoanalisi che hanno trattato del comportamento aggressivo animale e dell’uomo.
La scoperta dell’altruismo e della pro socialità si deve in gran parte proprio agli studiosi del
comportamento sociale che hanno notato gesti di aiuto al prossimo anche in specie animali non
particolarmente evolute, e dunque presumibilmente indotti da fattori biologici di origine genetica.
Nell’alfabeto dell’etologia il termine altruismo significa “atto che promuove la sopravvivenza o/e la
riproduzione dell’altro a discapito di quella che la compie”.
Kin selection: selezione tramite consanguinei, che sacrifica l’individuo per salvare il patrimonio
genetico dei suoi parenti. Un importante contributo è stato offerto da de Waal che ha notato la
presenza di un comportamento altruistico negli animali ma anche un comportamento moralmente
orientato. Secondo de Waal a differenza di molti altri studiosi pensa che sia l’egoismo che
l’altruismo fanno parte dello stesso bagaglio della nostra specie e di specie a noi vicine. Non
mancano altresì comportamenti di origine morale, infatti secondo lui anche la moralità ha
un’origine filogenetica e dunque nell’eredità biologica dell’uomo sono radicati oltre a
comportamenti competitivi e aggressivi anche comportamenti legati all’equità e alla moralità. Egli
ha concentrato la sua attenzione sulla classe dei primati come il bonobo e lo scimpanzé
evidenziando fondamentali differenze comportamentali pur appartenendo alla stessa categoria Pan,
proprio per quanto riguarda il comportamento pro sociale.
Al contrario dello scimpanzé che è molto improntato sull’aggressività, il bonobo invece è molto più
improntato all’altruismo e alla moralità tra i propri membri del gruppo ma non solo.
1.1 l’altruismo verso consanguinei e verso gli estranei
Sicuramente l’esempio più lampante di altruismo tra consanguinei è quello della madre verso il
figlio; ad esempio gli uccelli femmina fingono un comportamento chiamato dell’ala rotta, in modo
tale da attirare l’attenzione del predatore su di sé e distoglierla dai suoi piccoli. Ma per descrivere
l’altruismo tra consanguinei si può anche parlare anche di animali esterni sempre appartenenti alla
stessa specie che prendono il ruolo dei genitori (cure allo parentali). Oppure poi ci sono gli aiutanti
secondari.
Negli animali soprattutto che vivono in gruppo ci sono individui allarmisti, le cosiddette sentinelle
che danno l’allarme esponendosi per primi per dare l’allarme di un imminente arrivo di un
predatore. Esiste poi l’altruismo reciproco, e un esempio ne è il pipistrello che rigurgitano una parte
del sangue della preda per i suoi compagni affamati anche se essi non sono parenti, ma l’individuo a
cui dà il sangue rigurgitato non è scelto a caso ma esso viene dato a un altro che è noto per fare gesti
altruistici.
2. La pro socialità nell’uomo
È molto importante citare Caprara che definisce la pro socialità come tendenza comportamentale
ricorrente o disposizione personale al far del bene agli altri. La pro socialità costituisce per cui un
valido antidoto all’insorgenza di fenomeni di bullismo e rappresenta un tema centrale; per cui la
scuola non deve solo riconoscerla ma anche promuoverla per mezzo di piani mirati di intervento,
attraverso la divulgazione di valide esperienze sperimentali e l’utilizzazione di protocolli e
strumenti educativi.
3. Approcci teorici alla pro socialità
Bierhoff passa in rassegna gli approcci teorici alla pro socialità e li riassume così:
 Approccio biologico-evolutivo: salvaguardare i legami parentali e la
solidarietà intraspecifica
 Approccio individualista: il comportamento pro sociale è legato alla struttura
della personalità di un individuo
 Approccio interpersonale: gli individui si riconoscono come membri di sistemi caratterizzati
da obblighi morali (relazione di condivisione e relazione di scambio)
 Approccio dei sistemi sociali: pone l’accento sul sistema delle norme sociali e giuridiche
che impongono doveri di reciprocità e scambio, obbligando le persone alla pro socialità
anche contro la loro volontà o meglio non per loro volontà.

4. Empatia e pro socialità


Secondo Bonino il termine empatia è stato riferito prevalentemente alla componente cognitiva e
solo dagli anni ’80 è stata rivalutata e presa in considerazione la componente affettiva.
Il contagio emotivo, alla base dell’empatia, si attiva automaticamente senza il bisogno di una
mediazione cognitiva. Migliorare le capacità empatiche di soggetti in età evolutiva può costituire
un’attività di prevenzione dei comportamenti anti sociali. Empatia e pro socialità sono fortemente e
positivamente collegati.
5. Personalità e pro socialità
Le correlazioni tra strutture di personalità e di pro socialità sono state indagate tramite il modello
dei Big Five che comprende 5 dimensioni: amicalità, energia, coscienziosità, stabilità emotiva e
apertura mentale e si è visto come amicalità e pro socialità sono fortemente collegati. Negli ultimi
anni si è notato come l’aumento della pro socialità sia legato con il sentimento di autoefficacia
interpersonale. L’autoefficacia infatti è molto coerente con il possesso di un locus of control interno
che pure caratterizza una personalità pro sociale.
6. Sviluppo della pro socialità e differenze di genere
La tendenza alla pro socialità è innata come quella dell’aggressività. Il bambino già dopo due anni
ha percezione della sofferenza emotiva altrui e fa fronte a comportamenti di consolazione per
poterlo aiutare, questo perché il bimbo piccolo fa fronte al suo egoismo e quindi mette in atto
meccanismi di consolazione per poter aiutare l’altro in quanto a suo parere è quel che farebbe star
bene lui in quella situazione.
Il bambino piccolo attua una consolazione più di tipo fisico con carezze abbracci ecc. mentre verso
i due anni con lo sviluppo anche del linguaggio attua una consolazione anche verbale di distrazione
o di aiuto concreto, anche se ancora molto egocentrico.
Il comportamento pro sociale strumentale, attuato per scopi personali è correlato positivisticamente
con l’aggressività mentre invece il comportamento pro sociale altruistico ovvero per aiutare gli
altri è correlato negativamente con l’aggressività.
Interessanti sono le differenze di genere, che si rilevano nella messa in atto di comportamenti pro
sociali:
le azioni pro sociali sono più sviluppate nelle femmine che nei maschi e le differenze sembrano
dovute alle motivazioni e non alla frequenza. I comportamenti di aiuto sono invece messi in atto
più dai maschi che dalle femmine soprattutto quando assumono una valenza strumentale,
soprattutto quando qualcuno è in serio pericolo. Secondo uno studio compiuto un’adolescenza la
pro socialità è una caratteristica più femminile che maschile. Le femmine in oltre si schierano più
facilmente con la vittima in quanto hanno una maggior capacità di immedesimarsi e comprendere
gli altri.
Capitolo 6: Modelli e tecniche di intervento
1. Strumenti
La dichiarazione di Kandersteg contro il bullismo ci dice che tutti i bambini e ragazzi hanno diritto
al rispetto e di un’esistenza in condizioni di sicurezza ed il bullismo è un fenomeno che distrugge
questa dichiarazione ed è dovere degli adulti far mantenere questo diritto. La responsabilità
dell’adulto è non solo morale ma anche giuridica.
La dichiarazione di Kandersteg prescrive una serie di azioni: prevenzione, formazione per gli adulti,
politiche sociali, programmi di intervento, monitoraggio e valutazione. Questa dichiarazione ha
permesso di migliorare la situazione in Italia prendendo dei provvedimenti e aggiungendo leggi e
miglioramenti anche all’interno delle scuole.
Per prevenire e gestire comportamenti a rischio nelle scuole è necessario creare dei progetti che
impegnino uno psicologo esperto che possa:
 Aiutare gli insegnanti a gestire i conflitti
 Compiere osservazioni nelle classi
 Attivare uno sportello di ascolto per gli alunni che con segreto professionale
potranno parlare con uno psicologo dei loro problemi
Secondo Goleman l’intelligenza emotiva è una vera e propria forma di intelligenza e in quanto tale
educabile. Si deve sviluppare l’alfabetizzazione emotiva in modo tale da comprendere e conoscere
le emozioni degli alunni dalla mimica facciale e dalla postura. Inoltre è anche molto utile la
presenza di interventi all’educazione civica e alla legalità.
Sociogramma di Moreno è uno strumento molto utile allo scopo di individuare i casi isolati o per
caratteristiche personali o per l’isolamento da parte dei compagni.
2. Primo: non-stigmatizzare
I docenti nelle scuole hanno un ruolo molto importante e devono adottare comportamenti rispettosi
dei principi ispiratori del sistema sanzionatorio del codice penale minorile.
In particolare si vuole porre attenzione a:
 De-stigmatizzazione che serve a evitare l’etichettamento dell’alunno come soggetto
negativo, mentre è doveroso andarlo a punire per i suoi comportamenti scorretti
 Attitudine responsabilizzante: ovvero confrontare le proprie azioni con la vittima aiuta
nei processi di responsabilizzazione
 Riconoscimento del minore come persona in grado di prendere decisioni
 La non interruzione dei processi educativi in atto: l’allontanamento dalla scuola deve essere
temporaneo se è proprio necessario
Anna Oliviero Ferraris dice che la sanzione educativa è necessaria in quanto attribuisce a ognuno la
responsabilità dei propri atti stabilendo un risarcimento alla vittima che ristabilisce l’equilibrio
alterato.
3. Il sociogramma di Moreno
È un test che consente di intuire i poli di attrazione di repulsione e di reciprocità all’interno del
gruppo-classe. Il test prevede la somministrazione a ogni alunno di domande, quali “vicino a quale
tuo compagno ti vorresti sedere sul pullman?”,” chi vorresti che fosse il tuo compagno di banco?”.
In base alle scelte dei vari alunni si crea uno schema (sociogramma) dove si possono tracciare dei
collegamenti dando a ogni alunno una lettera e creando delle linee che mostrino i vari gradi di
rapporto tra compagni in modo anche da vedere a prima vista chi è il più popolare. Questo
sociogramma ha una duplice funzione:
 Conoscitiva: in modo da capire le dinamiche di gruppo e nella classe ed individuare
gli alunni isolati
 Costruttiva: gli insegnanti attraverso il sociogramma possono migliorare il rapporto tra gli
alunni all’interno della classe
Una nuova somministrazione del test dopo l’intervento educativo rivelerà o meno l’efficacia
dell’intervento.
4. La promozione delle competenze psicosociali
La validità delle relazioni sociali è quindi condizione necessaria di benessere. Come un armonico
funzionamento tra organi e apparati che è condizione necessaria per il sano funzionamento di un
individuo, così relazioni armoniche e positive tra individuo e mondo sociale organizzato
costituiscono la condizione necessaria per il benessere psicosociale.
Il bullo fa star male gli altri perché non sta bene con sé stesso, e quando il bullismo si manifesta
significa che sia famiglia che scuola han già fallito nel processo di prevenzione.
Si sono rivelati molto efficaci i programmi volti a sviluppare le competenze psicosociali, perché
esse costituiscono i fattori protettivi nei comportamenti a rischio, sia nella salute che in contesto
civile.
Nel 1993 nacque il programma dell’organizzazione mondiale della salute che si chiama Skills for
life, che si prefiggeva l’obbiettivo di promuovere e sviluppare le competenze psicosociali ritenute
necessarie affinché i giovani possano prevenire i comportamenti a rischio. Questo programma si
propone di migliorare il benessere e la salute psicosociale dei bambini tramite l’apprendimento di
abilità utili per la gestione dell’emotività e delle relazioni sociali.
5. life skills
Molto impegno negli ultimi anni nel definire le competenze psicosociali dal punto di vista
scientifico sottolineandone l’importanza dal punto di vista del possesso da parte degli individui.
Le life skills secondo OMS sono innumerevoli e possono variare in base al contesto sociale, ma
l’OMS ha creato una sorta di lista delle caratteristiche assolutamente necessarie che devono avere
tutti gli individui.
Esse sono riassumibili in tre grandi categorie:
 Imparare a sapere: abilità cognitive legate alla presa di decisione
 Imparare a essere: abilità personali per la gestione delle emozioni e dello stress
 Imparare a vivere insieme: abilità sociali che riguardano il rapporto con gli altri
Le Life Skills individuate dall’OMS sono pertanto:
 Decision making, capacità di prendere decisioni
 Problem solving, capacità di risolvere i problemi
 Creatività, capacità di approcciarsi ad eventi e problemi in maniera nuova
 Senso critico, capacità di analizzare informazioni in modo oggettivo
 Comunicazione efficace, sapersi esprimere verbalmente e non verbalmente
 Capacità di relazioni interpersonali, capacità di aver relazioni con gli altri e concluderle
in maniera costruttiva
 Autocoscienza, conoscenza di sé
 Empatia, capacità di comprendere l’altro
 Gestione delle emozioni, capacità di comprensione delle proprie e altrui emozioniGestione
dello stress, capacità di riconoscere la fonte di stress e di farne fronte
Le Life Skills interessano tre aree dell’autocoscienza, ovvero l’area emotiva, relazionale e l’area
cognitiva. Esse sono sviluppate attraverso l’educazione.
6. Life Skills e bullismo
Nella prevenzione del bullismo entrano in gioco le skills in modo coordinato. Boda e Landi ci
dicono che pensando al problem solving esso può essere utilizzato in processi di promozione di
comportamenti morali in ambito educativo alla legalità. Anche il decision making gioca un ruolo
molto importante, esso infatti insieme al problem solving porta a un’autoregolazione cognitiva dei
comportamenti pro sociali.
Sulla base di alcune ricerche si è vista l’esistenza nei bulli di un repertorio ristretto di risposte
alternative a una situazione problematica.
Social Skills Training è uno strumento molto utile per combattere il bullismo, consiste nella
presentazione di situazioni problematiche ad un gruppo di bambini/adolescenti che devono
elaborare una soluzione per queste situazioni proponendo anche vantaggi e svantaggi.
7. Interventi diretti e indiretti
Gli interventi di educazione alla salute nelle scuole per gli adolescenti possono essere divisi in due
categorie/approcci: diretti e indiretti.
Quelli diretti sono quelli che promuovono l’acquisizione di informazioni e la ricerca di nuovi modi
per arrivare a raggiunger egli scopi prefissati, mentre quelli indiretti sono quelli che si basano sul
coinvolgimento di fattori di protezione grazie a tecniche che promuovono e valorizzano l’individuo
e il gruppo. Entrambi i tipi di intervento possono essere usati anche con soggetti con età inferiore e
possono essere utilizzati anche per la promozione della convivenza civile, della legalità e della
cittadinanza democratica.
7.1 interventi diretti: l’information giving model
Esso utilizza una tecnica di tipo informativo, che vede i destinatari principalmente passivi e in
posizione asimmetrica rispetto al conduttore che trasmette conoscenze. L’efficacia del modello
discende dalla convinzione che il destinatario recependo il messaggio agisca di conseguenza. Essa è
una tecnica abbastanza debole ma associata ad altre tecniche per le life skills essa può risultare
efficace.
7.2 Interventi indiretti: le life skills education
È la modalità indiretta più proficua per prevenire l’insorgenza di comportamenti riconducibili al
bullismo o comunque antisociali. L’inquadramento teorico per la promozione del benessere sociale
ed emotivo nei giovani con età compresa tra gli 11 e 19 anni, riporta gli elementi del nucleo teorico
delle life skills education che definisce le life skills come una gamma di abilità cognitive, emotive e
relazionali di base che permettono agli individui di sperimentarsi crescere e agire con competenza
sul piano sia individuale che sociale:
 Abilità cognitive
 Abilità relazionali
 Abilità psicologiche
E queste abilità di vita rappresentano i determinanti da sviluppare per ottenere del benessere sociale
ed emotivo.
Le life skills education si occupano di formare alle conoscenze psicosociali e la scuola è il contesto
più appropriato per le seguenti ragioni:
 Ruolo della scuola nei processi di socializzazione
 L’accesso su larga scala di bambini e adolescenti
 Possibilità di utilizzare infrastrutture già esistenti
 Esperienza degli insegnanti
 Elevata credibilità della scuola per i genitori e per la
comunità Per benessere sociale emotivo si intende:
 Benessere emotivo: felicità e fiducia in sé stessi
 Benessere psicologico: senso di autonomia e controllo della propria vita
 Benessere sociale: abilità di avere buoni rapporti con gli altri
Nello specifico la prevenzione di atti di bullismo tramite la life skills education permette di:
 Rafforzare un’etica che promuova rispetto reciproco
 Creare una cultura di inclusione e comunicazione
 Creare un’ambiente sicuro
 Creare una cultura della prevenzione
 Fornire un programma educativo che promuova comportamenti positivi
 Adattare un’educazione delle abilità sociali ai bisogni di sviluppo dei giovani
 Lavorare in sinergia con i genitori ecc.
 Fornire al giovane informazioni chiare e consistenti circa le sue opportunità

SECONDA PARTE: Bullismo: aspetti psicogiuridici e normativi


CAPITOLO 7: La psicologia giuridica e la psicologia della salute di fronte al bullismo

1. Bullismo e psicologia giuridica


La psicologia giuridica è una disciplina che studia il rapporto uomo-norma e lo applica a tutti i
contesti nel quale esso viene declinato, in particolare nei contesti istituzionali.
Le tre aree applicative della psicologia giuridica sono, secondo la classificazione di Gaetano De
Leo:
 La psicologia del diritto o psicologia legale;
 La psicologia delle situazioni problematiche e a rischio nell’età evolutiva, finalizzata alla
tutela dei minori;
 La psicologia dei comportamenti problematici di tipo deviante e criminale.
1.1 la psicologia del diritto o psicologia legale
il termine psicologia legale si usa per intendere la parte della psicologia giuridica che si occupa
di coordinare le nozioni psicologiche che occorrono per applicare le varie norme penali e civili.
Gulotta introduce anche il concetto di psicologia legislativa che contribuisce a migliorare le
norme vigenti e a proporre nuove norme giuridiche.
La psicologia del diritto non è altro che una psicologia del testo giuridico che consente una lettura
psicologica del testo e una sua modificazione in base alle necessità del testo. Vi èl’esistenza di un
diritto psicologico che può anche essere penale, civile, minorile e addirittura fiscale.
1.2 la psicologia delle situazioni problematiche e a rischio in età evolutiva finalizzata alla tutela
dei minori
il comportamento degli alunni rilevanti da un punto di vista disciplinare si collocano in un
ampio raggio che va da situazioni di lieve entità a situazioni di grave entità.
Devianza: continua infrazione/violazione di norme di un certo livello di gravità.
1.3 la psicologia dei comportamenti problematici di tipo deviante o criminale
Qui si entra nell’ambito dei comportamenti devianti di rilevante gravità, con reati penalmente
perseguibili. Per una definizione di devianza ci si rifà a De Leo e Patrizi che individuano come
contesto dove collocare il termine, il complesso di norme codificate che stabiliscono quali
comportamenti debbano essere considerati delinquenziali o criminali. Il principio di gradualità
riguarda la commisurazione della sanzione in rapporto alla gravità dell’infrazione commessa, sia
dell’applicazione delle attenuanti, e delle aggravanti in caso di recidiva.
2. Bullismo e psicologia della salute
Il vecchio concetto biomedico del termine salute si basava su alcuni principi così riassunti:
 I processi biologici sono separati da quelli psico-sociali e sono gli unici responsabili della
genesi della malattia
 Il corpo è come una macchina e la malattia è una disfunzione causata da un agente esterno
 Esistono semplici cause che hanno effetti patogeni
 L’attenzione è focalizzata sugli agenti patogeni e sugli stati patologici
Il modello biopsicosociale della salute prende in considerazione i fattori biologici,
psicologici/sociali, culturali, individuando nella loro interazione dinamica le cause delle condizioni
di salute e di malattia di un individuo.
Nuova scienza dell’uomo Psiconeuroendocrinoimmunologia (PNEI), che individua nei fattori
psicologici, neuronali, ormonali e immunologici il rapporto salute-malattia in una concezione
olistica della persona e della salute.
CAPITOLO 8: la responsabilità dei minori nell’ordinamento giuridico italiano
1. Imputabilità e responsabilità
Responsabilità e imputabilità sono due cose diverse in quanto la prima viene usata in contesto
psicologico mentre la seconda in contesto giuridico. I bimbi sono responsabili a tutte le età. In
sintesi un alunno può essere sanzionato disciplinarmente anche se non è imputabile secondo
la legge.
2. Il concetto di imputabilità nel codice penale italiano
Il codice penale italiano introduce subito la categoria che consente al giudice di tirare una linea di
demarcazione tra soggetti imputabili e soggetti non imputabili.
Tale categoria è quella della capacità di intendere e di volere introdotta dall’art. 85:”è imputabile
solo chi è capace di intendere e di volere”
Art.88: vizio totale di mente: la persona al momento del reato per infermità non è capace di
intendere e di volereArt.89: vizio parziale di mente: la persona al momento del reato per infermità
era in grado di scemarla grandemente senza escluderla viene considerato reato ma la pena è
diminuita.
L’art. 90 chiarisce poi che uno stato temporaneo emotivo o passionale, non incide per il codice
sull’imputabilità:
Art.90: stati emotivi o passionali non aumentano ne diminuiscono l’imputabilità
La capacità di intendere e di volere è messa in rapporto con un fattore cronologico vale a dire l’età
del soggetto come ci dicono gli articoli 97-98:
Art.97: minore degli anni 14, non è imputabile colui che quando ha commesso il fatto non aveva
ancora 14 anni
Art.98: minore degli anni 18, è imputabile colui che al momento del fatto aveva 14 anni compiuti
ma minore di 18, quindi valutare il grado di intendere e di volere, con una pena diminuita.
Nel minore intendere e volere sono inscindibili in quanto in questo caso non sussistono malattie
mentali come con gli adulti quindi queste vanno di pari passo con lo sviluppo di personalità
dell’individuo.
3. L’imputabilità dei minorenni nell’ordinamento giuridico italiano
Il primo codice penale istituito dopo l’unità di Italia è il codice Zanardelli, oggi giorno invece il
codice vigente è il codice Rocco e sta al giudice giudicare e analizzare la capacità di intendere e di
volere dell’individuo nel caso abbia un’età compresa tra i 14 e i 18 anni, il giudice può anche
decidere in base al proprio istinto anche se ci fossero prove dell’imputabilità o meno dell’individuo
che ha compiuto il fatto. Quindi anche se la difesa o l’accusa avessero la prova di non imputabilità
sta poi al giudice decidere se imputarlo o no. Il giudice deve quindi sempre accertare se la capacità
esista o meno, indipendentemente dalle prove raccolte.
4. L’accertamento dell’imputabilità del minore nel codice di procedura penale minorile (DPR
448/1988)
Nel 1934 vennero istituiti i primi Tribunali per i minorenni, con il RD 1404/1934. L’art. 11 del
Regio Decreto dice che bisogna valutare la personalità del minorenne che ha commesso il reato, che
deve tenere conto delle cause biologiche, psicologiche e sociali del comportamento deviante.
Oggi i giudici laici o onorari dei tribunali per minorenni sono tutti principalmente psicologici o
psichiatri e questo porta a compimento il disegno originario, rendendo a tutti gli effetti il giudice
come una persona sia competente in ambito giuridico che in ambito psicologico.
Il nuovo codice di procedura penale minorile emanato dal DPR 448/1988 stabilisce infatti all’art. 9 i
criteri con cui il giudice deve attenersi per effettuare gli accertamenti sulla personalità del minore.
5. La valutazione psicologica dell’imputabilità nel processo penale minorile
L’art. 9 DPR 448/1988 per minori vieta la perizia psicologica mentre nell’adulto:
art.9 accertamenti sulla personalità del minore
in deroga a quanto stabilito dal cod. 220 c.p.p., la perizia nella minore età è oltre che psichiatrica
anche e soprattutto psicologica, dunque l’imputabilità del minore si sposta da malattia mentale a
questione di maturità e di immaturità.
Imputabile è dunque il minore che abbia compiuto 14 anni ritenuto socialmente e psicologicamente
maturo. Morello Bandini e Lagazzi ci dicono che esistono vari tipi di livelli di sviluppo e che il
processo di maturazione non progredisce allo stesso modo rispetto a tutti i comportamenti dello
stesso individuo nello stesso periodo, potendo progredire rispetto a determinati schemi
comportamentali e ritardare rispetto ad altri, determinando l'esistenza di diversi livelli di maturità
nello stesso individuo e nella stessa fase o stadio di sviluppo. (le teorie stadiali dello sviluppo
umano hanno affermato una differenza qualitativa).
De Leo e Patrizi ricordano che l'orientamento della Corte di Cassazione nella valutazione
dall'imputabilità del minore è quello di accertare la maturità evolutiva raggiunta dal minore sotto il
profilo fisiologico, psicologico e sociale per poter analizzare la consapevolezza dell'azione.

CAPITOLO 9: Perché nessuno si perda: la funzione educativa delle sanzioni per i minori
1. Lo statuto delle studentesse e degli studenti
Questo statuto si applica ali studenti della scuola secondaria di primo grado, e di secondo grado (dai
11 ai 17-18 anni), in questa fascia di età vi sono molti cambiamenti nella maturità e nella
personalità, e quindi di ciò bisogna tenerne bene a mente perché un gesto commesso da un bambino
di 11 anni non ha lo stesso peso dello stesso gesto da parte di uno di 18 anni.
Art.412: verso gli alunni che manchino ai loro doveri, si possono usare come mezzi disciplinari:
 L'ammonizione
 Censura notata sul registro e firmata dai genitori
 Sospensione dalla scuola
 Esclusione dagli scrutini o dagli esami
 Espulsione dalla scuola con perdita dell'anno scolastico
È vietata qualsiasi altra forma di sanzione diversa da queste sopra riportate.
25 aprile del 1928 nascita del codice penale!
È importante ricordare ciò che diceva De Leo, ovvero che i bambini sono responsabili a ogni età,
ma all'interno dei loro formati di sviluppo.
2. Il significato delle sanzioni
Si evince che il sistema sanzionatorio ha come fine quello di favorire la possibilità per il minore di
confrontarsi con il reato e di cercare strade alternative al percorso deviante. Questa concezione è
coerente con il principio generale della funzione rieducativa della pena che vale per tutti i
condannati, anche gli adulti. Per quanto riguarda i minorenni però fa di più in quanto riconosce ai
minorenni imputabili il diritto a una speciale tutela in ragione della loro condizione di soggetti in età
dello sviluppo, con una personalità non ancora compiuta ma in fase di strutturazione. Lo scopo di
questi principi è quello di porli di fronte alle loro responsabilità ma anche di impedirgli di
intraprendere una carriera criminale. Nel processo penale dei minori, esistono delle pene chiamate
pene alternative, che caratterizzano il sistema processuale minorile rispetto a quello degli adulti.
Zara afferma che la giustizia minorile richiede un avvicinamento tra il mondo scientifico e della
ricerca e quello giurisprudenziale. Inoltre il processo minorile ha una valenza psicologica,
pedagogica, sociale e relazionale.
I principi ispiratori del sistema sanzionatorio penale minorile sono:
 minima offensività
 attitudine responsabilizzante
 de-stigmatizzazione
 de-istituzionalizzazione
 non interruzione dei processi educativi in atto
 riconoscimento del minore come capace di intendere e di volere
 necessità di informare il minore su cosa sta succedendo
 integrazione della necessità di intervento sul reato
(In riferimento al comma 5) Questo comma fa riferimento alla situazione personale dell'alunno ed è
un esplicito invito a non applicare per la stessa infrazione disciplinare, la stessa sanzione a qualsiasi
alunno, indipendentemente dalle sue condizioni personali, che invece vanno attentamente valutate.
Il codice penale prevede che il giudice, nello stabilire la pena tenga in considerazione vari fattori,
tra i quali i motivi a delinquere e il carattere del reo. Tale discrezionalità che la legge affida al
giudice è segno di viltà giuridica e non di incertezza della pena. Ci sono 3 istituti nel sistema della
giustizia minorile:
 perdono giudiziale, consente al giudice di astenersi dal rinviare l'imputato minorenne
a giudizio o al termine di giudizio non pronunciare la condanna tenuto conto dell'età
 La sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto, essa può essere emessa in
presenza di due condizioni che devono ricorrere entrambe se il reato è lieve o se il reato è
occasionale.
 La sospensione del processo con messa alla prova, ovvero sospensione del processo,
affidamento del minore ai Servizi sociali della giustizia minorile e un'elaborazione da parte
dei SS di un progetto approvato dal giudice.
Un altro istituto: la mediazione penale minorile, che ha lo scopo di riconciliare la vittima con
l'autore di reato, attraverso l'intermediazione di un soggetto terzo scelto dalle parti.
3. Dalla maturità alla responsabilità
De Leo e Patrizi affermano che il concetto di maturità è troppo generico, e Fornari dopo aver
constatato l'assenza di sicuri indicatori sui quali ci si possa basare, distingue 4 modelli di maturità:
biologica, intellettiva, affettiva e sociale. Per maturità intellettiva si intende anche l'intelligenza di
condotta, che definisce come la capacità di utilizzare la dotazione intellettiva per affrontare e
risolvere i problemi dell'esistenza in maniera adattiva e adeguata. Molto importante è anche
l'intelligenza sociale intesa come complesso delle capacità (skills) cognitive emozionali e
comportamentali che utilizza per interpretare gli eventi, pianificare la propria vita.
La valutazione della responsabilità in relazione alla rilevanza sociale del reato commesso,
espressamente prescritta dall'art.9 del DPR 448/1988.
Riassumendo i punti:
 Per un soggetto che ha compiuto 18 anni, la capacità di intendere e di volere è presunta
salvo prova contraria, accertata tramite vizio parziale o totale di mente, per essere inteso
incapace deve avere una patologia mentale.
 Per un soggetto che abbia compiuto 14 anni ma non ancora 18, la capacità di intendere e di
volere non è presunta, ma deve essere accertata dal giudice in rapporto alla maturità
dell'individuo.
Un soggetto che non abbia ancora compiuto 14 anni non è considerato capace di intendere e di
volere e dunque non imputabile.
4. Ne buonisti ne forcaioli
La responsabilizzazione del minore autore di reato sgombra subito il campo da ogni buonismo ma
anche da ogni tendenza forcaiola. La sanzione oltre che un deterrente e uno strumento di difesa
sociale, deve costituire un'occasione di confronto del minore con le sue responsabilità. Bisogna
sempre ricordare che la sanzione va di pari passo con il reato compiuto ma non deve mai perdere la
sua componente educativa perché la sanzione prima di tutto è un modo di educare una persona a
non farlo più e a non finir per diventare deviante. Bisogna fare un lavoro di prevenzione dei
comportamenti scorretti.
Colpa e dolo sono ciò che il codice penale chiama elemento psicologico del reato.
Dolo è la volontà cosciente di mettere in atto un atto illecito, ed esso è punibile. Altri sono punibili
sia per dolo che per colpa ma hanno una pena attenuata.
Esiste il dolo pieno e il dolo eventuale e la colpa che si divide in cosciente e grave ma anche colpa
lieve o lievissima.
Nello sviluppo del giudizio morale nei bambini la distinzione tra dolo e colpa non è presente fino ad
una certa età (7/8 anni).
Esperimento di Piaget, narrava ai bambini due storielle (nella prima il bimbo rompe 15 bicchieri
accidentalmente, ed essendo i bimbi piccoli incapaci di immedesimarsi nell’altra persona,
consideravano più grave l’aver rotto più bicchieri dell'aver rotto un solo bicchiere quando però il
bimbo aveva il divieto della madre).
Si comportano invece diversamente i bimbi più grandi, i quali, come il codice penale, giudicano il
comportamento in base all'intenzione di compiere un atto proibito.
Oltre a Piaget, un altro psicologo dello sviluppo è Kohlberg che ha elaborato una teoria stadiale
dell'evoluzione del pensiero morale nell'individuo, articolata in 3 livelli detti: pre-convenzionale,
convenzionale e post convenzionale. Solo una minoranza delle persone raggiunge la morale post
convenzionale, che a sua volta si articola nel quinto e sesto sotto stadio.

CAPITOLO 10: Quando l'infrazione disciplinare è anche reato: obblighi del personale della scuola
e del dirigente scolastico.

1. L'imputabilità
Da quanto detto anche negli capitoli l'individuo che ha compiuto 18 anni di età vige la presunzione
di imputabilità salvo prova contraria. Per gli individui che hanno 14 anni di età , nessun individuo
è per legge imputabile.
2. Il reato
Non tutti i comportamenti illeciti sono reati, un esempio ne è il parcheggiare la macchina in divieto
di sosta, è un atto illecito ma non è considerato reato, ed è sanzionato dal codice della strada con
una sanzione amministrativa. Per poter parlare di reato bisogna che il comportamento illecito sia
espressamente previsto dal codice penale vigente. Il codice penale classifica i reati, secondo la loro
gravità, in contravvenzioni e delitti, punibili a seconda della gravità con l'ammenda, l'arresto o la
reclusione. Diversamente dal codice civile che è presente l'analogia nel codice penale invece
l'analogia non è consentita, perché un individuo nello stato di diritto deve sempre sapere prima a
che cosa va incontro se commette un reato. Inoltre bisogna distinguere tra i reati perseguibili
d'ufficio (rapina e omicidio) dai reati perseguibili a querela di parte (ingiuria e diffamazione).
3. Obbligo di denuncia
Gli art. 361, 362, 363 c.p puniscono il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che
omettono o ritardano la denuncia all'autorità giudiziaria quando vengono a conoscenza di un reato.
Basta perché scatti la denuncia che il reato sia presunto, e non anche accertato, in quanto ciò è
compito del giudice.
Art. 361: omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale
Art.362: omessa denuncia da parte di un incaricato di pubblico servizio
Art.363: omessa denuncia aggravata: questo accade quando la denuncia è omessa o ritardata, e ciò
riguarda un delitto contro la personalità dello stato.

4. Quando di deve inoltrare la denuncia?


La denuncia deve essere inoltrata quando il fatto segnalato, qualora accertato dall'Autorità
Giuridica, costituirebbe un reato.
Anche nei minori nonostante sia da controllare la capacità di intendere e di volere da parte di un
giudice, ciò non esime da esporre denuncia, in quanto la denuncia non è una sentenza di condanna
ma solo una segnalazione della possibile avvenuta commissione di un reato da parte di un soggetto
teoricamente imputabile.
5. A chi si deve inoltrare la denuncia?
La denuncia deve essere inoltrata: per i soggetti maggiorenni alla Procura della Repubblica presso il
Tribunale per i minorenni.
6. Che cosa fare se l'alunno non ha compiuto i 14 anni?
In questo caso il minore non è imputabile, ma il giudice può decidere di adottare una misura di
sicurezza, ai sensi dell'art. 37 c.p.p. Min.
La misura di sicurezza può essere la libertà vigilata o addirittura l''internamento all'interno di una
struttura (riformatorio giudiziario), tutto ciò può essere possibile solo se è ritenuto dal giudice come
socialmente pericoloso. La misura di sicurezza può essere impiegata sia ai minori di 14 anni, sia ai
minori di età compresa tra i 14 e 18 anni.
7. Il bullismo è reato?
Non esiste nel codice penale il reato di bullismo. Nel bullismo sono però individuabili diversi reati,
perseguibili d'ufficio o a querela di parte a seconda delle prescrizioni del codice penale. Tali reati
possono essere i più vari (ingiuria, diffamazione, furto, molestie sessuali, violenza privata).
CAPITOLO 11: Le innovazioni della normativa scolastica per arginare il bullismo
1. La riforma dello statuto delle studentesse e degli studenti
Il DPR 24 giugno del 1998, n. 249, regolamento recante lo statuto delle studentesse e degli studenti
della scuola secondaria: è stato riformato proprio per quanto riguarda la materia delle sanzioni
disciplinari, con il DPR 21 novembre del 2007, n. 235. l'art. 4 comma 2 afferma che i
provvedimenti disciplinari hanno finalità educativa e tendono al rafforzamento del senso di
responsabilità e al ripristino di rapporti corretti all'interno della comunità scolastica. Esso sancisce i
principi che abbiamo ampiamente esposto in questo volume relativamente alla responsabilizzazione
dello studente. Il comma 5 dello stesso articolo prevede sanzioni alternative, ed esse dovrebbero
essere proposte anche nell'organo, soprattutto in casi di allontanamento dalla comunità scolastica.
Cuzzocrea crede che il miglior modo per responsabilizzare un ragazzo non è quello della
sospensione ma quella di svolgere attività di volontariato.
2. Il voto in condotta
Nello statuto delle studentesse e degli studenti si afferma che nessuna infrazione disciplinare
connessa al comportamento può influire sulla valutazione del profitto. Ciò però nel corso degli anni
è cambiato ed infatti nelle scuole secondarie di primo e secondo grado, una valutazione inferiore a 6
decimi, attribuita dal Consiglio di classe, determina la non ammissione dello studente alla classe
successiva.
Si aprono questioni di tipo psicopedagogico e docimologico.
Si attribuisce al Ministero dell'Istruzione il compito di stabilire con decreto i criteri per correlare la
particolare oggettiva gravità del comportamento al voto inferiore ai 6 decimi. Inoltre un altro
decreto prescrive di tener conto della maturazione e della crescita dello studente nel corso dell'anno
scolastico, e invita i Consigli di Classe a tenere in debita evidenza e considerazione i processi e i
miglioramenti realizzati dallo studente. Ed infine l'art.4 del decreto circoscrive la possibilità di
attribuire l'insufficienza esclusivamente allo studente che sia stato destinatario di almeno una
sanzione disciplinare che abbia comportato l'allontanamento dello studente temporaneo per un
periodo superiore ai 15 giorni. Inoltre il decreto obbliga altresì i Consigli di Classe a tener conto di
eventuali apprezzabili e concreti cambiamenti nel comportamento dell'alunno.
3. Il patto di corresponsabilità educativa
Esso è previsto dal riformato Statuto delle studentesse e degli studenti e deve essere sottoscritto da
genitori e dagli studenti. Il patto a differenza del regolamento, richiede una sottoscrizione da parte
dei destinatari e ciò permette di far emergere pregi e difetti. I pregi sono rappresentati dal valore
psicopedagogico del patto. Ma esso ha un difetto di tipo procedurale, il genitore non può rifiutarsi di
iscrivere il figlio a scuola se non condivide il patto, e la scuola a sua volta non può certo rifiutare
l'iscrizione a un alunno i cui genitori non abbiano voluto sottoscriverlo. Il patto se non ha un grande
valore giuridico, lo ha invece da un punto di vista psicologico, perché è altamente
responsabilizzante.
4. Cittadinanza e costituzione
La riforma Moratti tolse dal novero delle discipline vere e proprie sia l’educazione civica che gli
studi sociali, sostituendoli con un’attività trasversale, denominata, Educazione alla convivenza
civile, nella quale all’educazione alla cittadinanza si affiancavano altre educazioni: alla salute,
alimentare, ambientale, stradale, dell’affettività. Nella successiva legislatura si eliminò la relativa
educazione riconducendola alla storia. La Gelmini ha introdotto l’insegnamento di Cittadinanza e
Costituzione, questa nuova disciplina è articolata in obiettivi di apprendimento specifico per la
scuola dell’infanzia, primaria e secondaria di primo e secondo grado.
APPENDICE
La valutazione del bullismo. Metodi e strumenti di misura utilizzati nella ricerca sul bullismo
Premessa
Alla luce delle cronache recenti si è andati a indagare e a compiere un'accurata valutazione del
bullismo, in modo da programmare interventi e programmi di prevenzione del fenomeno. Il primo
ad occuparsi del bullismo è Olweus che propose interventi strutturati all'interno delle scuole. Da
questi sui interventi sono nati nuovi metodi di osservazione: diretta, interviste strutturate,
valutazioni degli insegnanti, la peer nomination e i self report. Il primo passo per stabilire un
programma di prevenzione del bullismo è quello di sviluppare un efficace programma di
valutazione.
1. Osservazioni
 Osservazioni non strutturate: questo approccio prevede la presenza di un osservatore in un
tempo e luogo dove ci siano alte probabilità avvenga un episodio di bullismo, per quanto
riguarda i luoghi possono essere parchi giochi, sala mensa, gli autobus, gli spogliatoi ecc.
L'osservatore deve essere il più discreto possibile, questo tipo di osservazione permette la
valutazione di diversi aspetti del processo di vittimizzazione tra pari, quali lo status sociale, il ritiro
sociale e l'isolamento sociale.
 Osservazioni strutturate: essa è un valido elemento per la valutazione dei bulli e delle
loro vittime. Si sono utilizzati anche gruppi di gioco in modo da esaminare i modelli di
comportamento che contribuiscono alla vittimizzazione cronica tra pari.
Il metodo di osservazione diretta è utile per ottenere un'analisi obiettiva del comportamento dei
partecipanti soprattutto quando sono chiaramente definiti i ruoli e le relazioni tra i soggetti
coinvolti. In questo tipo di metodo non c'è correlazione con il tempo quindi per renderlo più forte
vengono fatti campionamenti su ambienti multipli su lunghi periodi di tempo. Le osservazioni
dirette e degli insegnanti spesso riflettono un solo punto di vista e non possono essere condotte nei
luoghi dove si sviluppa di più il bullismo.
2. Interviste
Esse sono utilizzate per stabilire l'incidenza dei comportamenti di bullismo, il loro impatto sullo
sviluppo degli studenti e l'efficacia degli interventi anti bullismo.
 I report qualitativi hanno un ruolo importante per sviluppare un'intervista completa
delle esperienze di vittimizzazione.
Se le interviste vengono fatte da persone esterne alla scuola, gli alunni saranno meno preoccupati e
a loro agio nel discutere la motivazione degli studenti che mostrano comportamenti antisociali ad
esprimere il loro giudizio sull'efficacia delle strategie messe in atto contro il bullismo a scuola. Un
limite delle interviste è che si basa su dati prettamente selettivi, ma questo tipo di misurazioni di
tipo qualitativo può essere integrato con misurazioni quantitative.
3. Peer nomination
Esso è il metodo per determinare lo status sociometrico dei soggetti coinvolti nella vittimizzazione
tra pari. Con essa è possibile distinguere nel gruppo dei pari, oltre ai soggetti popolari e rifiutati,
anche altre tipologie come i controversi. Essa permette inoltre di individuare soggetti trascurati che
non ricevono nomine né di simpatia né di antipatia nel gruppo e costituiscono una possibile
categoria a rischio.
Il metodo della Peer Nomination consiste nel consegnare a ogni allievo un foglietto sul quale deve
scrivere: i nomi dei 3 compagni che hanno più amici/ che sono più simpatici e i nomi di 3
compagni che hanno meno amici/ sono antipatici. Questo metodo è molto simile al sociogramma di
Moreno. Ha alcuni limiti in quanto servono esperienza e pazienza quindi non valida per un’analisi
iniziale del problema.
3.1 Peer nomination inventory
PNI è uno strumento progettato per consentire ai bambini di identificare i compagni di classe che
corrispondono a particolari indici di comportamento. Il bambino deve mettere una X sotto il nome
del compagno a cui corrisponde il comportamento descritto nella voce narrata.
4. Valutazioni degli insegnanti
Le valutazioni degli insegnanti sono molto importanti, ma spesso alcuni sottovalutano la reale entità
del bullismo presente. Inoltre i più sono sottoposti a pregiudizi che potrebbero inficiare sulla
valutazione della questione bullismo e vittime.
5. Self report
Essi sono i metodi di valutazione più comunemente utilizzati nella ricerca sul bullismo, soprattutto
perché sono i metodi più facili da utilizzare per i ricercatori e per gli educatori. Poco personale e
economiche, più usate dai ricercatori e si basano su due approcci metodologici: valutazione self
report basate sulla definizione e valutazioni self report basate sul comportamento.
I self report sono da evitare se c'è una discrepanza tra percezione di sé e la percezione degli altri,
essi pur avendo un buon riscontro e buone caratteristiche hanno anche dei limiti per cui i self report
sono da utilizzare congiuntamente con altri metodi.
6. Strumenti self report basati sulla definizione
Il limite maggiore riconosciuto ai metodi di self- report che si basano sulla definizione, è che
l'utilizzo di un'etichetta per valutare i comportamenti di bullismo potrebbe influenzare le stime di
prevalenza del fenomeno, poiché non tutte le vittime hanno interiorizzato l'immagine di se stessi
come vittime di bullismo.
6.1 Olweus Bully/ Victim Questionnaires
Essi sono gli strumenti più utilizzati nello studio del bullismo e delle vittime del bullismo. Nella
definizione di bullismo da parte di questi questionari vengono considerate come caratteristiche
fondamentali l'intenzionalità, la ripetitività e la differenza di forza tra i soggetti coinvolti nell'atto di
bullismo. Per la valutazione gli studenti devono tener a mente questa definizione e rispondere a
delle domande.
6.2 Multidimensional Peer Victimization
La scala multidimensionale di vittimizzazione tra pari (MPV) è un altro strumento molto utilizzato
dai ricercatori. Qui la definizione di bullismo è “desiderio conscio ed evoluto di ferire e spaventare
gli altri” che può includere la forma fisica, verbale e psicologica di bullismo. L'aspetto comune è
l'uso legittimo del potere da parte di una persona su un'altra.
Il comportamento di bullismo potrebbe includere minacce e violenza o intimidazione fisica e può
essere di tipo verbale o manifestarsi tramite l'ostracismo sociale.
6.3 Bully Survey
La versione rivisitata del questionario sul bullismo fornisce una nuova versione della definizione di
bullismo e dei comportamenti ad esso correlati: “il bullismo si verifica quando qualcuno spaventa o
ferisce altre persone volontariamente e tali vittime hanno difficoltà a difendersi”.
7. Strumenti self report sul comportamento
In questo approccio si chiede agli studenti se han commesso mai questi atti o se ne hanno avuto
esperienza come vittima. Il metodo di valutazione basato sul comportamento divide l'esperienza di
vittimizzazione in specifiche esperienze in modo da evitare distorsioni con il termine bullismo.
Molti sono i limiti legati a questo metodo in particolare esso misura solo l'aspetto descritto nella
definizione di bullismo, che fa riferimento alla natura ripetitiva dell'esperienza.
7.1 Peer Victimization Scale
La scala di vittimizzazione tra pari è un questionario a sei item che utilizza un formato di domanda
a risposta chiusa. Questa scala ampiamente utilizzata per la discriminazione tra bulli e non bulli,
presentando un alto grado di correlazione con le altre misure di valutazione self report e di peer
nomination, oltre a una buona coerenza e attendibilità interna.
7.2 Peer Relation Questionnaire
Esso utilizza una strategia mista per la valutazione del bullismo. Le domande sono specifiche e
personali e le risposte sono composte da 5 opzioni che vanno da mai a 5 volte a settimana.
7.3 Participant Role Questionnaire
Si riferisce ai vari ruoli che si possono ricoprire in un episodio di bullismo.
7.4 Questionario degli atteggiamenti verso il bullismo
Si compone di 16 items relativi a tre fattori: pro-violenza, pro-vittima e anti bullismo. Si riferisce
all'uso della violenza.
7.5 Bullying Behaviour Scale
Valuta i problemi tra bullo/vittima a scuola, incorporandola all'interno dello Harter Self Perception
Profile for Children (SPPC). BBC scala di comportamento sul bullismo.
7.6 Moral Disengagement Scale
Utilizzata per l'esplorazione dei meccanismi di disimpegno morale. Qui grande distorsione dei
comportamenti impiegati dai soggetti.
7.7 Questionario di Adattamento Interpersonale
è uno strumento self report utile a valutare il grado di adattamento/disadattamento nelle relazioni
interpersonali, derivante da una serie di competenze, atteggiamenti e comportamenti che il soggetto
mette in atto quando entra in relazione con altri individui.
7.8 Questionario “La mia vita a scuola”
è un valido strumento di prevenzione nelle scuole e per l'analisi del bullismo e della prosocialità,
esso consente di individuare la qualità e quantità dei comportamenti prepotenti e di quelli pro
sociali, avvenuti nel corso degli ultimi mesi a scuola.
CONCLUSIONI
La definizione di bullismo include 3 componenti: intenzionalità del comportamento, la ripetitività
nel tempo dell'evento e la differenza di forza tra le parti coinvolte ma le valutazioni spesso non
includono tutte e tre le componenti.

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