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L’impegno delle componenti scolastiche e non solo ma anche delle professionalità che offrono ad
esse un supporto (psicologi, educatori, insegnanti) deve essere volto alla prevenzione delle
infrazioni disciplinari nel rispetto della funzione educativa che è propria della società nel suo
complesso e della scuola in particolare (per quanto riguarda la sfera dell’educazione).
Esiste in realtà una disciplina psicologica che si occupa delle problematiche relative al rapporto tra
individui e norme, in particolare si occupa dello studio del rapporto tra individui in età evolutiva e
le norme, ed essa prende il nome di psicologia giuridica. (capacità di coniugare gli aspetti
psicologici con quelli giuridici)
Nel problema del bullismo rientra anche la psicologia della salute che definisce il concetto di salute
come “stato di completo benessere fisico, psicologico, sociale e non semplice assenza di malattia”;
questo libro tratta del bullismo e delle devianze minorili e di un metodo per placarle attraverso
l’utilizzo della psicologia giuridica e della psicologia della salute e in particolare trarre una
soluzione basandosi sul rapporto tra le due.
PRIMA PARTE: bullismo aspetti psicologici ed educativi
1. Bullismo: cos’è il bullismo? (bull in inglese toro)
Il termine bullismo deriva dall’inglese bullying che deriva a sua volta dalla parola bully che
significa intimidire e maltrattare ed indica una persona che usa la propria forza e potere per
intimorire una persona più debole. Il termine bullismo secondo Baldry indica un insieme di
comportamenti verbali, fisici e psicologici reiterati nel tempo posti in essere in un individuo o in un
gruppo di individui verso individui più deboli. La presenza della reiterazione è necessaria affinché
si possa parlare di bullismo, in quanto un caso isolato non può esser considerato tale.
Si parla di bullismo nei casi infantili e adolescenziali soprattutto in ambito scolastico e si parla di
mobbing nei contesti lavorativi e adulti (Lorenz).
I bulli di solito attaccano individui più deboli in base a caratteristiche comportamentali (timidezza,
disabilità) e socioculturali (minoranze etniche). Il bullo può esercitare sia violenza psicologica,
insultando o appropriandosi di oggetti appartenenti alla vittima o può arrivare anche alla violenza
fisica, costringendo anche la vittima a fare qualcosa contro la sua volontà. Persone che hanno un
passato di bullismo in età giovane dai 11 ai 24 è stato in carcere almeno una volta.
2. Variabili legate al sesso e all’età
Prevalenza di bullismo nel sesso maschile
Il bullismo nei maschi si manifesta prevalentemente con violenza fisica quindi un
bullismo diretto, mentre nelle femmine si manifesta con violenza psicologica ovvero un
bullismo indiretto che le femmine esercitano prevalentemente su altre femmine
Si distingue bullismo diretto e indiretto: il primo si riferisce ad un attacco attivo alla
persona mentre il secondo è un bullismo caratterizzato dall’isolamento sociale della vittima
e l’esclusione intenzionale da parte del gruppo.
Negli ultimi anni si stanno diffondendo forme di bullismo diretto e violento anche da parte delle
femmine:
In entrambi i sessi il bullismo diminuisce dalla scuola primaria alla scuola
secondaria superiore mentre invece in questi anni aumenta la violenza psicologica
Rispetto al ceto sociale si vede un aumento della violenza fisica nei ceti sociali bassi
mentre nei ceti sociali medio-alti prevale la violenza psicologica
La gravità dei singoli episodi cresce con l’aumentare dell’età, diminuisce in quantità ma non in
qualità in quanto gli attacchi si fanno più violenti e pericolosi.
2.1 Bullismo al femminile
Giacobbi parla di un nuovo tipo di femmina la cui aggressività è prettamente specifica dei maschi e
che ha uno spiccato senso di interesse per il corpo femminile se pur eterosessuale e questo
fenomeno accade per un processo di identificazione del soggetto femminile in quello maschile che
si sovrappongono, senza annullarsi, ai processi femminili. Le femmine che picchiano usano il loro
corpo come una vera e propria arma contro il mondo e ci si chiede se gli attacchi per esempio ad
una anoressica possono essere una simbolizzazione di un attacco e di un odio verso la madre o un
attacco ad un individuo come un attacco al padre.
3. Bullo e vittima: ruoli complementari
Essi sono accomunati da una stessa piattaforma disadattiva se pur di diversa origine e genere, anche
lo stile educativo famigliare risulta diverso ad esempio nel bullo solitamente la famiglia è molto
autoritaria o al contrario troppo permissiva o una famiglia con molte scene di violenza mentre al
contrario la vittima di solito è cresciuta in un clima iperprotettivo. Il bullo può riuscire benissimo ad
interpretare il punto debole della vittima quindi trovare il suo bersaglio oppure alle volte invece
interpreta male i segnali e reagisce secondo quel che ha recepito, ma nella maggior parte dei casi è
un’interpretazione sbagliata.
Social skills deficit model proposto da Dodge mostra come i bambini aggressivi tendono ad
interpretare eventi ambigui come minacciosi nei loro confronti molto di più rispetto a bambini
invece non aggressivi, questo test però si riferisce solo a situazioni che li riguardano direttamente. Il
bullo in ogni caso è una persona che ha una bassa autostima e scarsa autoefficacia percepita ed è per
questo che esso attacca i più deboli per potersi sentire forte e superiore ma in realtà è il primo a
vedere gli eventi e gli atteggiamenti degli altri come minacciosi nei suoi confronti.
3.1 Caratteristiche del bullo
Il bullo ha una buona capacità di comprensione degli stati emotivi e cognitivi altrui ma anche una
sorta di machiavellismo ovvero la capacità di manipolare e sminuire/strumentalizzare gli altri per i
propri scopi personali ma poca se non nulla empatia nei confronti della vittima. (difficoltà in
entrambi a decodificare l’emozione della felicità)
I bulli hanno un atteggiamento positivo verso la violenza essi sono molto impulsivi hanno buona
autostima e scarsi livelli di ansia e preoccupazione, il bullo maschio è una combinazione di un
modello reattivo aggressivo associato alla forza fisica mentre la vittima è la combinazione di un
modello reattivo ansioso associato alla debolezza fisica. Un aspetto che accomuna bulli e vittime è
il rendimento scolastico infatti entrambi hanno una media più bassa rispetto agli altri, nei bulli si è
visto che i voti si abbassano sempre di più con l’aumentare dell’età. Il bullo si distingue in bullo
dominante/aggressivo e bullo passivo/sobillatore e questo ultimo rappresenta una sorta di seguace
del bullo, simpatizza con lui e lo sostiene nei suoi atti senza però intervenire direttamente.
Il bullo dominante ha sempre un capro espiatorio a cui dare tutte le colpe e sviluppa sempre
violenza nei confronti di questo capro che può essere una violenza sia di tipo fisico che di
tipopsicologico. Esiste anche una terza categoria di bullo che è quella del bullo ansioso, è un bullo
che attacca la vittima come il bullo dominante ma è necessaria un solo rimprovero da parte
dell’adulto per suscitargli il senso di colpa, in questa categoria si fanno rientrare il 20% dei bulli.
3.2 Caratteristiche della vittima
La vittima ha bassa autostima non crede in sé, ha una pessima opinione di sé e della sua situazione e
solitamente in classe non ha un buon amico, solitamente la vittima ad esempio è scelta sempre per
ultima nei giochi a squadre (tipo di vittima passiva, sottomessa). Esiste però anche la vittima
provocatrice che un mix tra vittima passiva e bullo, essa subisce gli attacchi per colpa sua perché
provoca ed è per questo che viene chiamata anche vittima-bullo. Essa sembra affetta da problemi di
iperattività, ha bisogno di sentirsi sempre al centro dell’attenzione e spesso ha comportamenti che
infastidiscono il bullo e ne provoca la reazione violenta.
Negli anni è stato notato una correlazione tra vittimizzazione e depressione all’aumentare della
vittimizzazione aumentava la depressione e viceversa ed inoltre una correlazione positiva tra
vittimizzazione e sintomi psicosomatici a causa dei forti stress che la vittima deve subire dalle
violenze del bullo. Esistono davvero tanti motivi per cui una persona può essere bullizzata:
omofobia, disabilità, diversità etniche, obesità, timidezza ma anche l’essere lo studente modello
della scuola potrebbe portare ad essere vittimizzato.
4. Fattori di rischio e fattori protettivi
Per fattori di rischio si intendono quei fattori che rischiano di portare una persona a diventare
vittima o bullo mentre i fattori protettivi sono fattori che portano a prevenire la nascita di una nuova
vittima o di un nuovo bullo. Il bullismo si inserisce nel crocevia tra educazione alla legalità e alla
convivenza civile (psicologia giuridica) ed educazione alla salute biopsicosociale (psicologia della
salute). Secondo Abruzzese il bullismo è una condotta eteroagressiva mentre la vittimizzazione è
una condotta autoagressiva e ciò rende la relazione tra bullo e vittima non tanto un rapporto
asimmetrico quanto complementare. (!!!! La vittima spesso si fa picchiare pur di non sentirsi
trasparente, e questo è da considerarsi un caso davvero molto grave)
Condotte a rischio di abuso di alcol o di fumo sono correlate positivamente con la condotta del
bullismo (Abruzzese).
Tra i fattori di rischio che predispongono a diventare un bullo si annoverano:
Atteggiamento emotivo dei genitori: come mancanza di affetto o anaffettività portano
il figlio ad avere atteggiamenti aggressivi e ostili verso gli altri;
Uno stile educativo permissivo e troppo tollerante;
Al contrario anche uno stile educativo troppo autoritario e rigido causa la nascita di bulli;
Mancanza di cure o di abusi tra i genitori, conflittualità e aggressività;
Interiorizzazione di una figura materna depressa e immatura che preferisce il figlio
maschio ad un marito reso debole dai suoi attacchi squalificanti;
Disimpegno morale;
Tratto di personalità chiamato sensation seeking: spiega l’atteggiamento antisociale in
adolescenti non provenienti da famiglie problematiche e che quindi diventano bulli per
una situazione di noia e per una voglia di sentimenti forti;
Locus of control: ovvero la capacità dell’individuo di apportare la causa di ciò che gli
accade all’interno o all’esterno di sé, quello interno è un fattore protettivo mentre
quello esterno un fattore di rischio.
Ci sono anche alcuni fattori biologici predittivi come per esempio un temperamento difficile e per
temperamento si intendono le caratteristiche ereditarie che influenzano il modo di reagire di ogni
individuo a situazioni socio emozionali.
Tra i fattori protettivi ci sono invece:
La resilienza ovvero la capacità dell’individuo di sopravvivere a eventi difficili
La permanenza nel circuito scolastico
Il benessere emotivo è la risultante della corretta gestione del proprio comportamento emotivo ed
espressivo.
5. Le reazioni dei pari al bullismo: testimoni, difensori, gregari e spettatori
Nel bullismo il ruolo dei pari purtroppo consolida il ruolo sia di bullo che di vittima quindi viene
considerato un limite. Il bullismo è un fenomeno relazionale non solo a causa della
complementarietà dei ruoli di bullo e vittima ma perché tutto ciò avviene in un teatro dove le
prevaricazioni avvengono in un ambiente composto da una maggioranza silenziosa che danno forza
e potere al bullo. Inoltre questi atteggiamenti sono pericolosi in quanto ce il problema
dell’imitazione e la maggior parte dei bambini sta con il bullo per paura, sono pochi i bambini che
si schierano con la vittima perché poi questo viene visto male dal gruppo che lo considera come
una spia e che lo va a riferire alla maestra. Tanti poi stanno zitti e non hanno il coraggio di sporsi
quindi questo crea una sorta di circolo vizioso che non avrà mai fine finché non arriverà colui che
avrà il coraggio di opporsi.
Spettatori e gregari rafforzano la figura del bullo, esistono diversi tipi di violenza:
Violenza agita (bullo)
Violenza subita (vittima)
Violenza assistita (spettatore)
Violenza partecipata (gregario)
6. Bullismo elettronico
Il bullismo si è sempre bassato su agiti violenti, esclusioni, ecc., ma negli ultimi anni con l’era
tecnologica si è sviluppato un nuovo tipo di bullismo chiamato anche cyber-bullismo “uso delle
nuove tecnologie di comunicazione per attuare comportamenti aggressivi deliberati sia da singoli
che dal gruppo, con l’intento di danneggiare l’altro”. È un tipo di bullismo che si basa su
prevaricazioni che avvengono tramite telefoni, fotocamere e in rete: esistono del chat-line dove
vengono diffusi filmati o foto imbarazzanti della vittima a tutti i compagni o addirittura vengono
postate in rete tramite internet. Questo tipo di bullismo è molto aggressivo perché il bullo può
importunare la vittima a tutte le ore della notte e del giorno e anche in casa, luogo una volta
considerato sicuro. Le telefonate ironiche i messaggi di testo basati su minacce rendono la vittima
impotente e sempre più in trappola. In questo tipo di bullismo ce molto disimpegno sociale e una
vera e propria de umanizzazione della vittima in quanto la distanza fisica e psicologica permettono
al bullo di sentirsi meno in colpa e di percepire la vittima non come una persona dotata di emozioni
e sentimenti ma sollo come un utente.
7. Determinanti psicosociali del bullismo
Il bullismo come appare molte volte scritto nel libro, avviene in gruppo. Si è voluto svolgere un
esperimento in bambini di 10-11 anni per capire alcuni loro comportamenti in situazioni di bullismo
simulato, dove i bambini vengono valutati in base ad alcuni punti prestabiliti: le risposte del
campione sono state misurate sulla base della comprensione del messaggio di testo, percezione della
responsabilità del gruppo il cui membro aveva inviato il messaggio alla vittima,emozioni provate,
tendenza all’azione associate ad una specifica emozione e infine l’identificazione del/la bambino/a
con il suo gruppo.
I risultati della ricerca confermano i processi dell’identità sociale influenzano sia le risposte che le
emozioni provate di fronte ad un episodio di bullismo. I risultati della ricerca rivelano che orgoglio,
vergogna e rabbia sono correlati con il grado di identificazione con il gruppo e con la percezione
della responsabilità del gruppo perpetratore. Queste emozioni sono molto importanti e definiscono
il rapporto che creano con il gruppo di appartenenza e con quello di identificazione. I bambini ad
esempio che erano assegnati alla norma della gentilezza erano più arrabbiati dei bambini assegnati
invece al gruppo la cui norma era la cattiveria. Da ciò consegue che se i fattori di gruppo svolgono
un ruolo nel causare atti di bullismo, sono ancora i fattori di gruppo e di identità sociale a costituire
al contempo la risorsa per combattere e resistere al bullismo.
Capitolo 2: Aggressività: fattori biologici e sociali
1. Basi neurofisiologiche dell’aggressività
Con il termine aggressività si indica uno stato interno o motivazionale che influenza la
predisposizione di un animale all’aggressività. Esiste l’aggressività proattiva (che avviene senza
provocazioni) e l’aggressività reattiva (essa avviene per difesa di un attacco reale o presunto).
L’aggressività si posiziona a vari livelli dell’encefalo, nel livello più basso troviamo la formazione
reticolare che è collegata con l’arousal e che è in grado di regolare i livelli di eccitabilità del sistema
nervoso centrale. L’encefalo umano è costituito da strutture gerarchicamente sovraordinate e ciò ha
portato alla formulazione di una teoria del cervello tripartito ovvero l’individuazione nell’encefalo
umano di una sovrapposizione di tre cervelli: cervello rettili, paleo mammiferi e mammiferi
superiori. Nel cervello dei rettili è presente un forte istinto, in quello dei paleo mammiferi si inizia a
intravedere un’intelligenza emotiva ovvero la capacità di gestire le proprie emozioni e nel cervello
dei mammiferi superiori oltre al paleo encefalo vi è il neo encefalo costituito dalla neocorteccia
cerebrale che si occupa dei comportamenti razionali. Se il sistema reticolare è colui che attiva
l’organismo predisponendolo all’azione sono le strutture del paleo encefalo a determinare i
comportamenti aggressivi.
Le lesioni dell’amigdala inibiscono i comportamenti aggressivi in animali e nell’uomo e celebre è
l’esperimento di Delgado che agendo con un radiocomando su un elettrodo posizionato
sull’amigdala riusciva a fermare la carica di un toro; l’amigdala inibisce il comportamento
aggressivo mentre il nucleo mediale presente nel lobo prefrontale aumenta i comportamenti
aggressivi. Si ricorda una forte correlazione a livello ormonale tra testosterone e aggressività, anche
s e negli ultimi anni sono stati commessi molti reati anche da parte delle donne.
2. Teorie istintualistiche
È Lorenz a proporre questa teoria istintualistica dell’aggressività, infatti secondo lui l’aggressività
segue processi istintualistici come la fame, la sete e l’impulso sessuale, essa è quindi soggetta ad un
accumulo di energia interna che raggiunto un certo livello di aggressività genera un comportamento
appetitivo e un comportamento consumatorio. Lorenz propose addirittura un modello per spiegare
questo concetto: modello psico idraulico, ovvero un serbatoio che si riempie di acqua e si svuota
grazie ad un sistema di valvole e quando il serbatoio è pieno l’acqua esercita pressione sulle valvole
che si aprono da sole senza bisogno di una forza esterna e così allo stesso modo funziona per
l’aggressività. Ma se uno stimolo scatenante esterno è molto forte può far nascere aggressività
anche se l’acqua all’interno del serbatoio è poca o al contrario se non avviene nessun evento esterno
scatenante per molto tempo il serbatoio si riempie e fa nascere aggressività anche senza un atto
scatenante, chiamato anche atto a vuoto. Un utile alleato per svuotare questo serbatoio è l’attività
sportiva.
Freud in questo discorso gioca sicuramente un ruolo importante e introduce il concetto di pulsione
di morte, questo concetto spiega bene perché il bullo canalizza la sua pulsione verso un individuo
considerato altro da lui (ad esempio verso uno straniero che è considerato come minoranza etnica
rispetto a lui).
3. La pseudo speciazione culturale
Si verifica quando un gruppo sociale o culturale, tanto più sente un forte legame all’interno, tanto
più tende a considerare gli appartenenti a un gruppo diverso come se appartenessero, addirittura, ad
un’altra specie. A causa di ciò si tende a considerare un conspecifico come se appartenesse ad
un’altra specie animale, aggredendolo facendo venire meno l’inibizione che di solito lo caratterizza
e che impedisce di aggredire un conspecifico. Su questo concetto si basano molto le politiche in
caso di guerre dove si dipingono gli avversari come infraumani e si inneggia alla lotta,
all’aggressività e all’attacco di propri conspecifici. All’origine della pseudo speciazione ce un
elemento strettamente biologico: popolazioni di specie di animali geograficamente isolati non si
accoppiano più con conspecifici di un’altra popolazione perché non li riconoscono più come
appartenenti alla loro specie. Nell’uomo questo fenomeno accade ad esempio a partite di calcio
dove gli avversari si picchiano e dimenticano di essere tutti conspecifici e si considerano tra loro
come appartenenti ad un’altra specie. Nell’uomo questo fenomeno vien messo da Bandera tra i
fenomeni di disimpegno morale dove avviene una vera deumanizzazione della vittima. Il bullismo
viene fatto rientrare in questo fenomeno della pseudo speciazione culturale.
4. Teorie energetiche e teorie informazionali
Esiste una grande affinità tra le teorie istintualistiche e l’etologia e la psicoanalisi e queste affinità
sono possibili per il fatto che quest’ultime sono delle teorie energetiche del sistema nervoso a cui si
contrappongono le teorie informazionali che ritengono che il comportamento derivi dal risultato
delle informazioni ricevute attraverso la stimolazione ambientale e l’educazione. Inoltre le teorie
informazionali pur possedendo un sistema nervoso predisposto geneticamente per agire in modo
violento la violenza non è subito attivata da stimoli interni o esterni ma dipende dal modo in cui
siamo stati educati.
Da questa convinzione deriva la Dichiarazione di Siviglia sulla violenza, un documento sottoscritto
dall’UNESCO nell’89.
Aggressività considerata da Lorenz un istinto reattivo;
Teoria social cognitivista di Bandura che considera la violenza e l’aggressività come derivante
dall’apprendimento di comportamenti violenti messi in atto da modelli che ognuno di noi trova
nella sua vita e con i quali si identifica. Per agire una violenza non deve per forza compierla lui
stesso e in questo caso si parla di apprendimento vicariante (osservazione di un altro soggetto che
agisce);
Olweus parla di contagio sociale (esempio della Bobo doll, più il modello che agisce violenza sulla
bambola è una figura significativa più il bambino imiterà il modello e farà anche di peggio).
Capitolo 3: la carriera deviante e il ruolo degli adulti
1. Il ruolo della famiglia
Begotti e Bonino pensano che la prevenzione del bullismo passi anche attraverso la promozione del
comportamento pro sociale, e questo obbiettivo si realizza in un tipo di famiglia autorevole che
ascolti il figlio che sia dotata di sensibilità e che educhi il figlio all’espressione dei suoi sentimenti.
Lo stile autorevole si fonda però su regole chiare, certe e condivise il cui rispetto è reso obbligatorio
da punizioni non vendicative ma volte alla riparazione del danno arrecato.
Il ruolo dell’ambiente gioca è estremamente importante e forse è anche uno dei più pericolosi in
quanto l’ambiente sociale potrebbe spingere un individuo ad agire con violenza e aggressività ma
questo non succede se il soggetto ha alle spalle un’educazione da parte dei genitori.In ambienti
poveri, poco sicuri, con mancanze di risorse e relazioni l’aggressività è più facilmente attuabile, in
quanto difficilmente l’individuo ha ricevuto una buona educazione da parte dei genitori e le
circostanze poco piacevoli portano ad un aumento della violenza e dell’aggressività anche per una
questione di sopravvivenza. Il principio di riparazione del danno è contenuto sia nella parte dello
statuto di tutte le studentesse e studenti per quanto riguarda le sanzioni disciplinari sia nel codice di
procedura penale minorile. Bisogna ricordare che uno stile educativo autorevole non è né autoritario
né permissivo, ma presuppone comunque l’esercizio democratico e illuminato, si una forma di
autorità.
Però i genitori di oggi hanno rinunciato all’esercizio dell’autorità per poter essere amici dei propri
figli con i conseguenti effetti negativi dell’identificazione edipica, non apparendo al figlio, il
genitore come una figura forte su cui appoggiarsi e su cui contare. Anche secondo altri autori la
rinuncia alla figura del padre porta i figli a vedere il genitore come debole e a cui egli tenta di
proporre un esempio virile forte.
La violenza è generata dalla mancanza del passaggio tra codice virile e codice paterno, nel quale
ultimo l’aggressività maschile viene messa al servizio della protezione della famiglia e
dell’assunzione della responsabilità, nel bullo la violenza appare come il fallimento del processo di
interiorizzazione della figura paterna. Fornari sottolinea come nella società attuale sia avvenuto un
passaggio da una famiglia normativa (dominata da un’idea di stato forte) a una famiglia affettiva (è
immersa in una società multicentrica e multietnica). Secondo Rosci il persecutore degli adolescenti
di oggi non è più il super-io ma l’ideale dell’io ovvero le troppo grandi aspettative che i genitori
nutrono nei figli.
2. Il ruolo degli insegnanti e della scuola
Per spezzare il circolo vizioso che si è creato tra bulli e vittime, l’intervento degli adulti è
fondamentale. Teoria dell’azione deviante comunicativa, ricordiamo che la devianza è anche una
modalità di comunicazione e il modo in cui questa comunicazione viene presa dagli adulti può
acutizzare o migliorare la situazione.
Come reprimere e diminuire il bullismo nelle scuole?
Innanzi tutto si deve ricordare che il bullismo è un fenomeno di gruppo, in quanto essa è una
patologia relazionale che per comparire ha bisogno della compartecipazione di tutti, ed essendo un
fenomeno di sistema si deve assolutamente intervenire sul sistema. Il cambiamento si può spiegare
proprio attraverso una visione sistemica del problema, non sempre ha buoni risultati ma è un inizio.
L’alunno che in classe si comporta male innesca una reazione a catena che porta i compagni ma
anche i docenti a vederlo e definirlo sempre con il termine bullo, attribuendogli molte volte anche
colpe che non ha e quindi questo soggetto abituandosi a essere definito così finisce per diventare un
vero problema. Inoltre è comodo a tutti a livello inconscio proiettare su di lui le proprie parti
cattive, avere un “capro espiatorio” a cui dirigere tutte le colpe. Di solito i genitori poi incitano
all’allontanamento del “mostro” della classe, quindi si predica tanto il cattolicesimo ma poi
nessuno tiene mai in considerazione la parabola della pecorella smarrita a cui invece che
allontanarla bisognerebbe offrirgli aiuto. Questo sicuramente è il primo passo di cambiamento che
si dovrebbe compiere. Soluzione: intervenire agendo non solo sul bullo ma anche sulla dinamica
relazionale del gruppo-classe. A livello psico-sociale la scuola deve fornire e costituire in sé stessa
una palestra di educazione alla convivenza civile.
3. Le responsabilità degli adulti
Se è vero che alcuni atteggiamenti sono visibili e allarmanti (percosse, violenze ecc.) la scuola deve
occuparsene e intervenire immediatamente dato che i docenti incombono nell’obbligo di vigilare
senza soluzione di continuità sugli alunni. In caso contrario gli insegnanti potrebbero andare
incontro a grossi guai, sia che succeda qualcosa a scuola che in gita scolastica, gli insegnanti hanno
la responsabilità assoluta e devono essere molto attenti. Quindi se per difetto di vigilanza qualcuno
si fa male l’insegnante intercorre in culpa in vigilando con sanzioni in sede civile penale e
amministrativa. Mentre invece per i genitori i cui figli hanno avuto un comportamento scorretto
intercorre un culpa in educando, che però comunque non esime gli insegnanti dalle proprie
responsabilità di vigilanza.
4. La devianza dal determinismo lineare alla logica circolare
Il concetto di responsabilità rimanda a una dimensione psico-sociale: non è possibile infatti parlare
di responsabilità senza citare il contesto sociale in cui viene messa in atto e che retroagisce
sull’individuo restituendogli il significato che gli altri hanno attribuito alla sua azione che può
confermare quel significato che il soggetto gli aveva attribuito o gliene può dare un altro diverso e
che va a modificare l’auto percezione che il soggetto ha di sé e dei suoi comportamenti. È questa
probabilmente la ragione per la quale il concetto di responsabilità coincide con un’epoca nella quale
stava tramontando la concezione deterministica del comportamento deviante. La concezione
deterministica, secondo una logica lineare attribuiva il comportamento criminale a una sola causa
considerata l’unica che portava alla devianza. Successivamente si è fatta strada una logica
multifattoriale che attribuiva le cause del comportamento e della devianza a più fattori, ma anche
essa è considerata deterministica e lineare.
Più recentemente De Leo e Patrizi hanno proposto una logica multifattoriale non lineare ma
circolare del comportamento deviante ispirandosi al costruttivismo e all’interazionismo simbolico.
Si tiene quindi solo in considerazione una logica che sia circolare che multifattoriale in modo che
ogni concetto non si sommi agli altri per produrre linearmente un effetto ma ognuno ha un suo
proprio significato e ognuno produce un effetto sugli altri.
Elementi centrali per capire questo concetto:
Attribuzione di significato all’azione deviante;
Il valore che assumono i processi comunicativi.
Bandura considera il comportamento di un individuo la risultante di tre fattori cosi riassunti:
Human agency: capacità di rielaborare le proprie esperienze a livello simbolico attraverso la
formulazione di modelli regolativi interni, come ad esempio il comportamento di
imitazione;
Autoefficacia percepita;
Disimpegno morale e le strategie di disimpegno morale comprendono:
Giustificazione morale;
Etichettamento eufemistico;
Confronto vantaggioso;
Dislocamento della responsabilità;
Diffusione della responsabilità;
Distorsione delle conseguenze;
La deumanizzazione della vittima;
Attribuzione di colpa alla vittima.
CAPITOLO 9: Perché nessuno si perda: la funzione educativa delle sanzioni per i minori
1. Lo statuto delle studentesse e degli studenti
Questo statuto si applica ali studenti della scuola secondaria di primo grado, e di secondo grado (dai
11 ai 17-18 anni), in questa fascia di età vi sono molti cambiamenti nella maturità e nella
personalità, e quindi di ciò bisogna tenerne bene a mente perché un gesto commesso da un bambino
di 11 anni non ha lo stesso peso dello stesso gesto da parte di uno di 18 anni.
Art.412: verso gli alunni che manchino ai loro doveri, si possono usare come mezzi disciplinari:
L'ammonizione
Censura notata sul registro e firmata dai genitori
Sospensione dalla scuola
Esclusione dagli scrutini o dagli esami
Espulsione dalla scuola con perdita dell'anno scolastico
È vietata qualsiasi altra forma di sanzione diversa da queste sopra riportate.
25 aprile del 1928 nascita del codice penale!
È importante ricordare ciò che diceva De Leo, ovvero che i bambini sono responsabili a ogni età,
ma all'interno dei loro formati di sviluppo.
2. Il significato delle sanzioni
Si evince che il sistema sanzionatorio ha come fine quello di favorire la possibilità per il minore di
confrontarsi con il reato e di cercare strade alternative al percorso deviante. Questa concezione è
coerente con il principio generale della funzione rieducativa della pena che vale per tutti i
condannati, anche gli adulti. Per quanto riguarda i minorenni però fa di più in quanto riconosce ai
minorenni imputabili il diritto a una speciale tutela in ragione della loro condizione di soggetti in età
dello sviluppo, con una personalità non ancora compiuta ma in fase di strutturazione. Lo scopo di
questi principi è quello di porli di fronte alle loro responsabilità ma anche di impedirgli di
intraprendere una carriera criminale. Nel processo penale dei minori, esistono delle pene chiamate
pene alternative, che caratterizzano il sistema processuale minorile rispetto a quello degli adulti.
Zara afferma che la giustizia minorile richiede un avvicinamento tra il mondo scientifico e della
ricerca e quello giurisprudenziale. Inoltre il processo minorile ha una valenza psicologica,
pedagogica, sociale e relazionale.
I principi ispiratori del sistema sanzionatorio penale minorile sono:
minima offensività
attitudine responsabilizzante
de-stigmatizzazione
de-istituzionalizzazione
non interruzione dei processi educativi in atto
riconoscimento del minore come capace di intendere e di volere
necessità di informare il minore su cosa sta succedendo
integrazione della necessità di intervento sul reato
(In riferimento al comma 5) Questo comma fa riferimento alla situazione personale dell'alunno ed è
un esplicito invito a non applicare per la stessa infrazione disciplinare, la stessa sanzione a qualsiasi
alunno, indipendentemente dalle sue condizioni personali, che invece vanno attentamente valutate.
Il codice penale prevede che il giudice, nello stabilire la pena tenga in considerazione vari fattori,
tra i quali i motivi a delinquere e il carattere del reo. Tale discrezionalità che la legge affida al
giudice è segno di viltà giuridica e non di incertezza della pena. Ci sono 3 istituti nel sistema della
giustizia minorile:
perdono giudiziale, consente al giudice di astenersi dal rinviare l'imputato minorenne
a giudizio o al termine di giudizio non pronunciare la condanna tenuto conto dell'età
La sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto, essa può essere emessa in
presenza di due condizioni che devono ricorrere entrambe se il reato è lieve o se il reato è
occasionale.
La sospensione del processo con messa alla prova, ovvero sospensione del processo,
affidamento del minore ai Servizi sociali della giustizia minorile e un'elaborazione da parte
dei SS di un progetto approvato dal giudice.
Un altro istituto: la mediazione penale minorile, che ha lo scopo di riconciliare la vittima con
l'autore di reato, attraverso l'intermediazione di un soggetto terzo scelto dalle parti.
3. Dalla maturità alla responsabilità
De Leo e Patrizi affermano che il concetto di maturità è troppo generico, e Fornari dopo aver
constatato l'assenza di sicuri indicatori sui quali ci si possa basare, distingue 4 modelli di maturità:
biologica, intellettiva, affettiva e sociale. Per maturità intellettiva si intende anche l'intelligenza di
condotta, che definisce come la capacità di utilizzare la dotazione intellettiva per affrontare e
risolvere i problemi dell'esistenza in maniera adattiva e adeguata. Molto importante è anche
l'intelligenza sociale intesa come complesso delle capacità (skills) cognitive emozionali e
comportamentali che utilizza per interpretare gli eventi, pianificare la propria vita.
La valutazione della responsabilità in relazione alla rilevanza sociale del reato commesso,
espressamente prescritta dall'art.9 del DPR 448/1988.
Riassumendo i punti:
Per un soggetto che ha compiuto 18 anni, la capacità di intendere e di volere è presunta
salvo prova contraria, accertata tramite vizio parziale o totale di mente, per essere inteso
incapace deve avere una patologia mentale.
Per un soggetto che abbia compiuto 14 anni ma non ancora 18, la capacità di intendere e di
volere non è presunta, ma deve essere accertata dal giudice in rapporto alla maturità
dell'individuo.
Un soggetto che non abbia ancora compiuto 14 anni non è considerato capace di intendere e di
volere e dunque non imputabile.
4. Ne buonisti ne forcaioli
La responsabilizzazione del minore autore di reato sgombra subito il campo da ogni buonismo ma
anche da ogni tendenza forcaiola. La sanzione oltre che un deterrente e uno strumento di difesa
sociale, deve costituire un'occasione di confronto del minore con le sue responsabilità. Bisogna
sempre ricordare che la sanzione va di pari passo con il reato compiuto ma non deve mai perdere la
sua componente educativa perché la sanzione prima di tutto è un modo di educare una persona a
non farlo più e a non finir per diventare deviante. Bisogna fare un lavoro di prevenzione dei
comportamenti scorretti.
Colpa e dolo sono ciò che il codice penale chiama elemento psicologico del reato.
Dolo è la volontà cosciente di mettere in atto un atto illecito, ed esso è punibile. Altri sono punibili
sia per dolo che per colpa ma hanno una pena attenuata.
Esiste il dolo pieno e il dolo eventuale e la colpa che si divide in cosciente e grave ma anche colpa
lieve o lievissima.
Nello sviluppo del giudizio morale nei bambini la distinzione tra dolo e colpa non è presente fino ad
una certa età (7/8 anni).
Esperimento di Piaget, narrava ai bambini due storielle (nella prima il bimbo rompe 15 bicchieri
accidentalmente, ed essendo i bimbi piccoli incapaci di immedesimarsi nell’altra persona,
consideravano più grave l’aver rotto più bicchieri dell'aver rotto un solo bicchiere quando però il
bimbo aveva il divieto della madre).
Si comportano invece diversamente i bimbi più grandi, i quali, come il codice penale, giudicano il
comportamento in base all'intenzione di compiere un atto proibito.
Oltre a Piaget, un altro psicologo dello sviluppo è Kohlberg che ha elaborato una teoria stadiale
dell'evoluzione del pensiero morale nell'individuo, articolata in 3 livelli detti: pre-convenzionale,
convenzionale e post convenzionale. Solo una minoranza delle persone raggiunge la morale post
convenzionale, che a sua volta si articola nel quinto e sesto sotto stadio.
CAPITOLO 10: Quando l'infrazione disciplinare è anche reato: obblighi del personale della scuola
e del dirigente scolastico.
1. L'imputabilità
Da quanto detto anche negli capitoli l'individuo che ha compiuto 18 anni di età vige la presunzione
di imputabilità salvo prova contraria. Per gli individui che hanno 14 anni di età , nessun individuo
è per legge imputabile.
2. Il reato
Non tutti i comportamenti illeciti sono reati, un esempio ne è il parcheggiare la macchina in divieto
di sosta, è un atto illecito ma non è considerato reato, ed è sanzionato dal codice della strada con
una sanzione amministrativa. Per poter parlare di reato bisogna che il comportamento illecito sia
espressamente previsto dal codice penale vigente. Il codice penale classifica i reati, secondo la loro
gravità, in contravvenzioni e delitti, punibili a seconda della gravità con l'ammenda, l'arresto o la
reclusione. Diversamente dal codice civile che è presente l'analogia nel codice penale invece
l'analogia non è consentita, perché un individuo nello stato di diritto deve sempre sapere prima a
che cosa va incontro se commette un reato. Inoltre bisogna distinguere tra i reati perseguibili
d'ufficio (rapina e omicidio) dai reati perseguibili a querela di parte (ingiuria e diffamazione).
3. Obbligo di denuncia
Gli art. 361, 362, 363 c.p puniscono il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che
omettono o ritardano la denuncia all'autorità giudiziaria quando vengono a conoscenza di un reato.
Basta perché scatti la denuncia che il reato sia presunto, e non anche accertato, in quanto ciò è
compito del giudice.
Art. 361: omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale
Art.362: omessa denuncia da parte di un incaricato di pubblico servizio
Art.363: omessa denuncia aggravata: questo accade quando la denuncia è omessa o ritardata, e ciò
riguarda un delitto contro la personalità dello stato.