Sei sulla pagina 1di 4

A proposito del bullismo

Il termine “bullismo”deriva dall’inglese “bullyng” con cui si indica la prepotenza che si


esercita sugli altri,con diversi mezzi. Il termine si riferisce alla situazione nel suo insieme e
comprende sia il persecutore che la vittima. E’ un fenomeno sociale da attenzionare e
combattere perché la maggior parte delle volte si sviluppa proprio negli ambienti
educativi:a scuola, nelle ludoteche,nei centri sportivi. I recenti dati sono allarmanti: il
bullismo si manifesta in età sempre più precoce e la fascia a rischio è tra i 6 e i 13 anni.
A volte si confonde il bullismo con il teppismo ma tra i due fenomeni c’è una sostanziale
differenza: il teppismo è evidente, si fa notare e il più delle volte agisce verso le istituzioni
o verso chi, in qualche modo, le rappresenta; il bullismo è invece un fenomeno silenzioso
e nascosto, ed esercita il suo potere sulla psiche della vittima. Il bullo è protetto anche dal
silenzio dei compagni che temono,denunziando,di diventare vittime a loro volta. I primi
studi sul bullismo hanno avuto inizio negli anni 70 nell’area scandinava, successivamente
in Inghilterra e Australia e solo a metà degli anni 90 in Italia. Alcuni atti di bullismo
vengono erroneamente considerati anche da insegnanti e genitori, come normali conflitti
tra coetanei ma in realtà il bullismo è riconoscibile da alcuni tratti distintivi:

 L’intenzionalità: il bullo ha piacere di insultare/aggredire/umiliare e non prova


compassione
 Durata nel tempo: non si tratta di un evento breve e occasionale ma è una violenza
giornaliera e duratura nel tempo
 Potere sociale: il bullo, ad esempio, può essere più grande d’età, più popolare, più
ricco
 Debolezza sociale: la vittima è sensibile al giudizio altrui, non è appoggiato da
nessuno
 Ricaduta sociale: la vittima si vergogna,abbandona la scuola, può arrivare persino ad
ammalarsi di depressione o a deviare.

Nei conflitti normali tra coetanei,  i soggetti in questione chiariscono i motivi del
disaccordo, si scusano, non insistono ad imporre la propria volontà, sono in grado di
cambiare argomento e trovano un compromesso. Ciò non avviene negli atti di bullismo
che, al contrario, sono caratterizzati da un’asimmetria di forze tra persecutore e vittima e
da una certa ripetitività nel tempo. Il prepotente è sicuro di sé e la vittima, ansiosa e
insicura, sente di valere poco. E’ sbagliato pensare che solo chi possiede certe
caratteristiche può diventare vittima di bullismo: in sovrappeso, omosessuale, poco
avvenente, con difficoltà scolastiche, diversamente abile. Non c’è un profilo-tipo della
vittima ma esiste il profilo del persecutore: di solito vive in una famiglia poco solidale,
egoista, “aggressiva” nei modi e nella comunicazione; è possibile che in casa sia succube
dei fratelli o di altre situazioni e cerca la rivincita al di fuori del contesto
familiare,prevaricando gli altri.
Inoltre, il bullismo può presentarsi in tre diversi modi:

 Bullismo diretto: attacchi fisici e verbali


 Bullismo indiretto: calunnie,offese,pettegolezzi che provocano isolamento
 Cyberbullismo: forme di offese sul web e sui social

Per prevenire il bullismo occorre lavorare sulla comunicazione. Dobbiamo educare i


bambini ad esprimere le loro emozioni così da capire ciò che stanno vivendo. A tal
proposito sono stati riscontrati tre diversi stili comunicativi nei bambini: aggressivo
(picchiare, mordere, urlare), passivo (piangere, isolarsi), assertivo (disponibilità, rispetto
delle regole e degli altri).
Lo stile comunicativo più efficace è quello assertivo perché permette di autoaffermarsi
senza prevaricare,difendendo le proprie idee ma rispettando quelle degli altri. E’ proprio
dove lo stile assertivo è poco presente che il bullismo trova terreno fertile ed è lì che si
formano  tre sottogruppi: bulli, vittime e spettatori, ossia la maggioranza silenziosa che è a
conoscenza di ciò che sta accadendo ma che tace.
Non possiamo però analizzare il fenomeno del bullismo senza soffermarci sulle
responsabilità degli adulti di riferimento. Gli insegnanti non sembrano mettere in atto
strategie di intervento dirette a contrastare il bullismo, mentre i genitori, sia del bullo che
della vittima, spesso non conoscono il problema e tanto meno ne parlano con i figli. Le
prepotenze dei ragazzi sono frequentemente sottovalutate dagli adulti per vari motivi:
spesso si svolgono in luoghi nascosti dagli occhi degli insegnanti e nessuno, compresa la
vittima stessa, denuncia l'accaduto;  gli adulti tendono a valutare gli episodi alla stregua di
"ragazzate", scherzi, giochi, sui quali è lecito soprassedere.
Proprio per questa scarsa fiducia nei confronti degli adulti, ben il 50% delle vittime non
parla dell'accaduto all'insegnante o ai familiari; la percentuale aumenta con il passaggio
alle scuole medie e soprattutto tra i maschi. Un fattore che sembra correlarsi con il
manifestarsi di comportamenti prepotenti è l'atmosfera familiare e lo stile educativo messo
in atto dai genitori. Uno stile educativo permissivo e tollerante, poco autorevole e incapace
di porre dei limiti ai comportamenti dei figli.  Per tale ragione gli interventi per combattere il
bullismo devono essere globali, di tipo sistematico e mirati non solo al cambiamento dei
singoli bambini ma anche a quello dell'intera comunità scolastica. Solo così si potranno
ottenere dei risultati consistenti e duraturi come quelli ottenuti in Scandinavia e in
Inghilterra. Possiamo sintetizzare alcuni principi guida per programmare l'intervento anti-
bullismo: nel primo livello, diretto all'intera scuola, si definisce una politica dell'istituto
antibullismo. Tale politica deve basarsi su obiettivi decisi insieme che diano agli alunni e
agli adulti la dimostrazione tangibile che si stia facendo qualcosa contro questi
comportamenti. E' necessario conoscere quale sia l'entità degli episodi di bullismo e
monitorarli. Sempre a livello di scuola si devono prevedere incontri e dibattiti in cui genitori,
insegnanti e personale non docente prendano coscienza del fenomeno. E' importante
supervisionare quegli spazi, come i luoghi dove i ragazzi trascorrono la ricreazione o la
pausa pranzo, in cui si potrebbero verificare tali eventi. Il secondo livello sul quale
intervenire è costituito dal gruppo-classe, al fine di incidere sulle dinamiche interne alla
classe stessa (a tal proposito si possono utilizzare stimoli letterari, cinematografici o il role-
playng). Il terzo ed ultimo livello è quello individuale in cui sono previsti interventi per
cambiare il comportamento dei diretti interessati. Ciò avviene attraverso colloqui
professionali,gestiti da un pedagogista, con i bulli,le vittime e i loro genitori.
Nella modalità di procedere nei confronti del bullismo emerge, inoltre, l'esigenza di non
"scaricare" su una singola figura il problema, ma di prendere posizione ciascuno secondo
il proprio ruolo, contro  il fenomeno. In questo modo si potrà far emergere un
atteggiamento generale della società volto a rifiutare ogni forma di violenza ed
oppressione. E' questo l'unico modo per sviluppare una mentalità antibullismo.
Sobre el acoso escolar

El término “bullying” deriva del inglés “bullyng” que indica la arrogancia que se ejerce
sobre los demás, con diversos medios. El término se refiere a la situación en su conjunto
e incluye tanto al perpetrador como a la víctima. Es un fenómeno social al que hay que
prestar atención y combatir porque la mayoría de las veces se desarrolla precisamente en
entornos educativos: en la escuela, en las ludotecas, en los polideportivos. Los datos
recientes son alarmantes: el bullying se produce a una edad cada vez más temprana y el
rango de riesgo se sitúa entre los 6 y los 13 años.
A veces se confunde el bullying con el gamberrismo pero hay una diferencia sustancial
entre ambos fenómenos: el gamberrismo es evidente, se nota y la mayoría de las veces
actúa hacia las instituciones o hacia quienes, de alguna manera, las representan; el acoso
es, en cambio, un fenómeno silencioso y oculto, y ejerce su poder sobre la psique de la
víctima. El acosador también está protegido por el silencio de sus compañeros que temen,
al denunciar, convertirse a su vez en víctimas. Los primeros estudios sobre el bullying
comenzaron en los años 70 en el área escandinava, luego en Inglaterra y Australia y
recién a mediados de los 90 en Italia. Algunos actos de intimidación también son
considerados erróneamente por maestros y padres como conflictos normales entre
compañeros, pero en realidad la intimidación se reconoce por algunas características
distintivas:
• Intencionalidad: al acosador le gusta insultar/atacar/humillar y no siente compasión
• Duración en el tiempo: no es un hecho breve y ocasional sino una violencia cotidiana y
duradera
• Poder social: el acosador, por ejemplo, puede ser mayor, más popular, más rico
• Debilidad social: la víctima es sensible al juicio de los demás, no es apoyada por nadie
• Fallout social: la víctima se avergüenza, abandona la escuela, incluso puede enfermar
de depresión o desviarse.
En los conflictos normales entre iguales, los sujetos en cuestión aclaran los motivos del
desacuerdo, se disculpan, no insisten en imponer su voluntad, son capaces de cambiar de
tema y llegar a un compromiso. Esto no ocurre en los actos de acoso que, por el contrario,
se caracterizan por una asimetría de fuerzas entre perseguidor y víctima y por una cierta
reiteración en el tiempo. El acosador tiene confianza en sí mismo y la víctima, ansiosa e
insegura, se siente inútil. Es erróneo pensar que solo pueden ser víctimas de acoso
aquellas personas con determinadas características: con sobrepeso, homosexuales, poco
atractivas, con dificultades académicas, con discapacidad. No existe un perfil típico de la
víctima pero sí el perfil del perseguidor: suele vivir en una familia poco solidaria, egoísta,
"agresiva" en los modales y en la comunicación; es posible que en casa sea dominado
por sus hermanos u otras situaciones y busque venganza fuera del contexto familiar,
acosando a los demás.
Además, el bullying puede presentarse de tres formas diferentes:
• Acoso directo: agresiones físicas y verbales
• Bullying indirecto: calumnias, insultos, chismes que provocan aislamiento
• Ciberacoso: tipos de delitos en la web y en las redes sociales
Para prevenir el bullying es necesario trabajar la comunicación. Debemos educar a los
niños a expresar sus emociones para que entiendan lo que están viviendo. En este
sentido, se han encontrado tres estilos de comunicación diferentes en los niños: agresivo
(golpear, morder, gritar), pasivo (llorar, aislarse), asertivo (disponibilidad, respeto por las
normas y por los demás).
El estilo de comunicación más efectivo es el asertivo porque te permite afirmarte sin
prevaricar, defendiendo tus propias ideas pero respetando las de los demás.
Precisamente donde el estilo asertivo es infrecuente es donde el bullying encuentra
terreno fértil y es allí donde se forman tres subgrupos: acosadores, víctimas y
espectadores, es decir, la mayoría silenciosa que es consciente de lo que ocurre pero
calla.
Sin embargo, no podemos analizar el fenómeno del bullying sin detenernos en las
responsabilidades de los adultos de referencia. Los docentes no parecen implementar
estrategias de intervención encaminadas a combatir el bullying, mientras que los padres,
tanto del acosador como de la víctima, muchas veces desconocen el problema y mucho
menos lo hablan con sus hijos. El bullying de los chicos es frecuentemente subestimado
por los adultos por varias razones: a menudo ocurre en lugares ocultos a los ojos de los
profesores y nadie, ni siquiera la propia víctima, informa de lo sucedido; los adultos
tienden a evaluar los episodios como "chicas", bromas, juegos, en los que es legítimo
posponer.
Precisamente por esta falta de confianza en los adultos, hasta el 50% de las víctimas no
hablan con el docente o familiares sobre el incidente; el porcentaje aumenta con la
transición a la secundaria y sobre todo entre los chicos. Un factor que parece
correlacionarse con la aparición de conductas de acoso escolar es el clima familiar y el
estilo educativo implementado por los padres. Un estilo educativo permisivo y tolerante,
poco autoritario e incapaz de poner límites al comportamiento de los niños. Por ello, las
intervenciones para combatir el bullying deben ser globales, sistemáticas y dirigidas no
solo al cambio de cada niño en particular sino también al de toda la comunidad escolar.
Solo así será posible obtener resultados consistentes y duraderos como los obtenidos en
Escandinavia e Inglaterra. Podemos resumir algunos principios rectores para la
planificación de la intervención antibullying: en un primer nivel, dirigido a todo el centro, se
define una política de instituto antibullying. Esta política debe basarse en objetivos
consensuados que den a alumnos y adultos una prueba tangible de que se está haciendo
algo contra estos comportamientos. Es necesario conocer el alcance de los episodios de
acoso y hacer un seguimiento de los mismos. También a nivel escolar se deben prever
encuentros y debates en los que padres, docentes y personal no docente tomen
conciencia del fenómeno. Es importante supervisar aquellos espacios, como los lugares
donde los niños pasan el recreo o la hora del almuerzo, donde podrían ocurrir este tipo de
eventos. El segundo nivel sobre el que intervenir lo constituye el grupo-clase, para incidir
en la dinámica interna de la propia clase (al respecto se pueden utilizar estímulos
literarios, cinematográficos o de rol). El tercer y último nivel es el individual en el que se
prevén intervenciones para modificar el comportamiento de los directamente implicados.
Esto sucede a través de entrevistas profesionales, dirigidas por un pedagogo, con
acosadores, víctimas y sus padres.
Además, en la forma de proceder hacia el bullying surge la necesidad de no “descargar” el
problema en una sola figura, sino de posicionarse según el propio rol, frente al fenómeno.
De esta manera será posible hacer surgir una actitud general de la sociedad encaminada
a rechazar todas las formas de violencia y opresión. Esta es la única manera de
desarrollar una mentalidad anti-bullying.

Potrebbero piacerti anche