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BULLISMO, STALKING, MOBBING

Amalia Escalona 2ªCS


Con il termine BULLISMO s’intende definire un
comportamento aggressivo ripetitivo nei confronti di
chi non è in grado di difendersi. Solitamente, i
ruoli del bullismo sono ben definiti: da una parte c’è
il bullo, colui che attua dei comportamenti violenti
fisicamente e/o psicologicamente e dall’altra parte la
vittima, colui che invece subisce tali atteggiamenti.
La sofferenza psicologica e l’esclusione sociale sono
sperimentate spesso da bambini che, senza
sceglierlo, si ritrovano a vestire il ruolo della vittima
subendo ripetute umiliazioni da coloro che invece
ricoprono il ruolo di bullo.
▪ il bullo: è colui che prende l’iniziativa nel fare prepotenze ai compagni, si
presenta come leader di un gruppo e non è mai da solo. Può essere un
bambino o un ragazzo, sia maschio che femmina, e solitamente sceglie come
vittima qualche compagno/a con caratteristiche diverse, come ad esempio
colore della pelle, orientamento sessuale, forte sensibilità, religione, ecc.
▪ il gruppo di amici o “seguaci” del bullo: sono coloro che solitamente che
hanno poca notorietà tra i compagni, che rinforzano l’azione del bullo
ridendo, applaudendo o incitando e coronandolo come “capo”. Possono
anche partecipare in modo attivo nelle vicende, ma sempre da una posizione
secondaria rispetto al bullo.
▪ la vittima: è colui che solitamente presenta qualche elemento di diversità ed
è più fragile (asimmetria della relazione) dei compagni. Tende ad essere da
solo, non ha amici oppure ha degli amici ma con altre difficoltà simili.
▪ il difensore della vittima: è chi consola e difende, chi chiede aiuto ad un
adulto o comunque chi cerca delle modalità per far cessare le prepotenze.
Questa figura è molto importante, ma purtroppo non sempre presente.
▪ gli osservatori passivi: definiti anche come la massa silenziosa, che non
partecipa delle azioni ma non fa nulla al rispetto. Solitamente sono coscienti
della situazione, ma non agiscono per diverse ragioni, come la paura, il non
sapere che fare o il pensare che non è cosa loro.
▪ SISTEMATICITÀ/RIPETITIVITÀ: la vittima è un soggetto
ricorrente, bersaglio di atteggiamenti
persecutorio/vessatori, che si ripetono nel tempo;
▪ DISEQUILIBRIO/ASIMMETRIA di potere:
Può essere di tipo:
1. Fisico: il bullo è più forte e tende ad attaccare il più
debole fisicamente.
2. Sociale: lo status relazionale del bullo è più alto per cui
ha più influenza nel gruppo.
3. Psicologico: l’utilizzo di abilità socio-cognitive superiori
rispetto alla vittima, tali da permettere al bullo di
maltrattare la vittima.

▪ INTENZIONALITÀ: l'aggressione fisica/verbale si


manifesta con l'intento di offendere o provocare danni alla
vittima
COMPORTAMENTI TIPICI
• Offese, parolacce e insulti
• Minacce
• Furti
• Derisione
• Diffamazione
• Esclusione
• Aggressioni fisiche
▪ Bullismo DIRETTO: caratterizzato dall’interazione faccia a faccia con
la vittima.
▪ Verbale: si attacca con insulti, offese, prese in giro, nomignoli o frasi
cattive di qualsiasi tipo;
▪ Fisico: si colpisce fisicamente con calci, pugni, spinte o qualsiasi atto
violento fisico;
▪ Razzista: il motivo è il colore della pelle, l’etnia, il modo di parlare la
lingua, la religione o le diverse credenze
▪ Sessuale: si tratta di umiliare e ferire la vittima con offese ed
aggressioni di natura sessuale;
▪ Omofobico: sia fisico che verbale, è motivato dalla diversità reale o
presunta nella sessualità della vittima.

▪ Bullismo INDIRETTO: tende a danneggiare la vittima nelle sue


relazioni con le altre persone.
▪ Cyberbullismo: si attacca in modo diretto o indiretto usando mezzi
telematici;
▪ Relazionale: ignorare o escludere la vittima completamente dal
gruppo o mette in giro false voci sul suo conto.
Le ricerche hanno dimostrato che una parte dei bulli presenta uno stile di personalità arrogante e
incline al narcisismo. In alcuni casi il bullismo viene utilizzato per contrastare emozioni spiacevoli come
vergogna o ansia, in altri casi i bulli sono stati essi stessi vittime di bullismo.
Altri fattori di rischio sembrano essere la presenza di disturbi dell’umore o di disregolazione emotiva,
così come la tendenza ad interpretare le azioni degli altri in maniera ostile, avere pensieri negativi nei
confronti delle altre persone e difficoltà ad affrontare e risolvere i problemi.
Altri studi hanno, al contrario, evidenziato come i bulli siano caratterizzati da personalità forti,
socialmente accettate tra i pari, mentre le loro vittime sarebbero tendenzialmente personalità fragili e
socialmente emarginate.
Generalmente i bulli, dietro la loro apparente sicurezza, mostrano dei problemi relazionali destinati a
peggiorare con il trascorrere del tempo se le loro modalità relazionali non cambiano. I bulli hanno
mostrato di essere meno capaci nell’etichettare in modo corretto le espressioni emotive
degli altri, problematica che spiega la tendenza a rispondere in modo aggressivo anche a
comportamenti neutri o persino positivi mostrati da altri bambini e ragazzi. Anche il riconoscimento
delle proprie emozioni appare basso e quest’ultima risulta connotata da reazioni emotive istintive
che prendono il sopravvento su ogni alternativa ragionata.
I dati attuali sono quindi ancora non concordi, evidenziando come il tema del bullismo sia un tema
complesso e variegato e che sia un fenomeno largamente ancora non compreso ed analizzato.
▪ Bullo dominante: ha un forte bisogno di potere, è
impulsivo e irascibile, si arrabbia facilmente in quanto
presenta una bassa tolleranza alla frustrazione. E’
scarsamente empatico e mostra difficoltà a rispettare le
regole, utilizzando la violenza come uno strumento positivo
per raggiungere i propri scopi. È aggressivo sia verso i
coetanei che verso gli adulti, ha un autostima elevata
e presenta uno scarso rendimento scolastico a cui
consegue spesso l’abbandono. È dominante e sicuro di sé
nelle relazioni sociali e tende a manipolare le situazioni a
proprio vantaggio, istigando gli altri e ingannandoli.
Ricerca sempre emozioni forti, estreme, deumanizzando la
vittima.
▪ Bullo gregario: più ansioso, insicuro, poco popolare, cerca
la propria identità e l’affermazione nel gruppo attraverso il
ruolo di aiutante o sostenitore del bullo.
Chiunque può risultare vittima di bullismo ma ci sono alcuni aspetti che aumentano
il rischio.
In genere le vittime sono ragazzi non particolarmente popolari tra i pari, che già
soffrono di alcune forme di isolamento sociale. La maggior parte degli studi condotti
nel settore si trova concorde nel sostenere che i bambini vittime di bullismo soffrono
di scarsa autostima, hanno un’opinione negativa di sé e delle proprie
competenze. Capita infatti molto spesso che i bambini presi di mira dai compagni
mettano in dubbio il proprio valore, precipitando in stati di ansia e frustrazione. Essi
talvolta diventano anche un obiettivo di attrazione per il bullo, in quanto non sanno
come affrontarlo. Tendono a vedere sconfitte temporanee come permanenti e molto
frequentemente accade che qualcun altro (psicologicamente più forte) prenda su di
loro il sopravvento.
Spesso l’apparire fragili e deboli, fisicamente o psicologicamente, aumenta il rischio
di diventare vittime di bullismo. Ci sono alcune caratteristiche fisiche che rendono
più facile essere vittime di bullismo, tra cui l’essere in sovrappeso o avere qualche
forma di deformità fisica.
L’essere, o l’essere stati vittime di bullismo ha una serie di conseguenze psicologiche negative.
Possono presentarsi:
• Stanchezza persistente

• Disturbi del sonno

• Scarsa autostima e svalutazione della propria immagine

• Problemi di concentrazione e di apprendimento

• Calo del rendimento scolastico

• Tendenza all'isolamento

• Stress, aggressività, tristezza.

L’essere stati oggetto di bullismo è inoltre un fattore di rischio per lo sviluppo di una serie di disturbi
psichiatrici tra cui:
• Disturbi alimentari

• Disturbi d’ansia

• Disturbi dell’umore

• Dismorfofobia.
Il miglior amico del bullismo è da sempre il silenzio. Per
questo motivo davanti a questo fenomeno si consiglia di:
▪ mostrarsi sicuro si se stesso: il potere dei bulli si nutre della
fragilità e della sottomissione delle vittime, per cui il
consiglio è di mostrarsi sicuro e non rispondere in modo
aggressivo, ma con un linguaggio che indichi sicurezza e
tranquillità.
▪ comunicare in modo diretto: ovvero essere assertivi e non
aggressivi, rispondere agli insulti e/o alle minacce del bullo
con freddezza e senza accogliere la sfida è il miglior modo
per smontare la sua aggressività.
▪ non affrontare il bullo da solo: il potere del bullo proviene
anche dalla sua alleanza con altre persone, per cui il
consiglio è quello di creare una rete di alleanze con amici o
anche con professori, e in questo modo, spezzare il circolo
di omertà del bullo che si sentirà meno protetto.
▪ non aspettare per agire: l’aggressione deve essere spenta
fin da subito per evitare di assumere il ruolo di vittima. Nel
caso in cui il bullo diventi pericoloso è indispensabile
rivolgersi direttamente ai responsabili della scuola, ai
genitori o alle forze dell’ordine.
il 50% degli 11-17enni sono colpite più le il fenomeno è diffuso più
ha conosciuto almeno un femmine (20,9%) che i al nord (57%) che al sud
caso di bullismo; maschi (18,8%); (43%);

fenomeni di bullismo
il bullismo viene
il fenomeno colpisce più avvengono anche nei
perpetrato soprattutto in
i licei che le scuole di corridoi della scuola
aula (27%) o in autobus
formazione (14%) o in cortile
per recarsi a scuola
professionale; durante la ricreazione
(22,9%);
(16%);
LA STORIA DI NICOLE
Durante il periodo delle scuole medie ho subito atti di bullismo, non fisico ma psicologico. Non sono mai stata una
ragazza molto esuberante, sono piuttosto timida e silenziosa. Ho sempre avuto delle particolarità a livello fisico e
linguistico. Alcune persone, due in particolare, hanno cominciato a prendermi in giro, criticandomi e affibbiandomi
nomignoli. Non mi ricordo precisamente quando è iniziato tutto ma so che i primi problemi sono cominciati in prima
media e finiti al liceo. Non c’è un episodio preciso, è più un insieme di eventi. Mi torna in mente un episodio in
particolare, uno dei primi, che ha coinvolto la mia vecchia classe anche se probabilmente per loro non avrà nessuna
importanza. Durante una lezione il prof. era uscito un attimo dalla classe, due miei compagni hanno iniziato a
lanciarmi delle palline di carta nei capelli. Dopo poco, tutta la classe ha cominciato a tirarmi pezzi di carta,
continuando a ridere. Mi sono sentita piccola, impotente e non sono riuscita a fare niente; successivamente, quando
l’insegnante rientrò nell’aula tutti fecero finta di nulla. I due ragazzi che avevano cominciato a lanciarmi pezzi di
carta non smisero mai di ridere di me. Quando parlavo, loro ridevano. Questi ripetuti eventi hanno condizionato il
mio modo di vivere. Ho sempre avuto una bassa autostima e sentirmi giudicata da persone che non conoscono
niente di me non ha di certo aiutato. Mi hanno fatto sembrare, agli occhi di tutti, un gioco ma dubito che abbiano mai
notato il dolore che mi stavano procurando. I professori nonostante assistessero alle derisioni non facevano niente.
Io, dal mio punto di vista, avevo troppa paura, non solo di cosa sarebbe potuto succedere se mi fossi esposta ma
anche di ammettere quello che stava accadendo perché ammettere qualcosa significa che sta accadendo realmente.
Ho perso completamente fiducia in me stessa …e non l’ho mai più riacquistata. Mi sono chiusa sempre più,
piangevo in silenzio, senza dire niente alla mia famiglia per paura di essere giudicata. Anche adesso preferisco che
nessuno sappia di questa cosa non perché me ne vergogno ma perché è una questione personale. Sono cambiata
molto, per un certo periodo di tempo ho smesso di sorridere. Non volevo più uscire di casa. Ho iniziato ad avere così
tanta paura del giudizio delle persone da sviluppare una paura per le persone stesse. Alcune persone hanno
provato ad aiutarmi e io stessa sto provando ad andare avanti ma non è facile.
Nicole, 16 anni
Il termine stalking, e quindi stalker,
deriva dal verbo to stalk, ossia
"camminare con circospezione",
"camminare furtivamente", e indica
una forma di aggressione messa in
atto da un persecutore che irrompe
in maniera ripetitiva, indesiderata e
distruttiva nella vita privata di un
altro individuo, causando a
quest’ultimo gravi conseguenze
fisiche o psicologiche.
Lo stalking per essere definito tale, deve
comprendere una triade di componenti
necessarie:
- un attore (stalker) che individua una persona
nei confronti della quale agisce la condotta
molesta e persecutoria;
- una serie ripetuta di comportamenti con
carattere di controllo (pedinamenti,
appostamenti, visite a casa o nel luogo di lavoro,
minacce o aggressioni) e/o di
comunicazione (ad es. telefonate, invio di sms,
e-mail, lettere, regali ecc.);
- una vittima (stalking victim) che percepisce
soggettivamente come intrusivi e sgraditi i
comportamenti agiti dall’attore, avvertendoli con
un associato senso di minaccia e di paura.
▪ lo stalker agisce nei confronti di una persona
che è vittima in quanto legata a lui da un
rapporto affettivo basato su una relazione che
può essere reale, ma anche solamente
immaginata;
▪ lo stalking si manifesta in una serie di
comportamenti basati sulla comunicazione e/o
sul contatto e caratterizzati dalla ripetizione,
insistenza e intrusività;
▪ la pressione psicologica legata al
comportamento dello stalker crea nella vittima
uno stato di allerta, emergenza e stress
psicologico, stati d’animo che possono essere
sia percepiti come intrusivi, sgradevoli e
fastidiosi sia legati a sentimenti quali l’angoscia,
la preoccupazione e la paura per la propria
incolumità.
Comunicare continuamente mediante telefono, sms, lettere, mail
a qualsiasi orario;

Lasciare messaggi sui social network, oppure sull’automobile,


porta di casa, luogo di lavoro;

Pedinare la vittima;

Investigare su come la vittima trascorre la giornata;

COMPORTAMENTI Inviare messaggi indesiderati;


TIPICI
Diffamare o oltraggiare direttamente la vittima;

Danneggiare le proprietà della vittima;

Compiere aggressioni fisiche o sessuali nei confronti della


vittima;

Minacciare direttamente la vittima e le persone ad essa vicine.


▪ il risentito: colui che è spinto dal desiderio di vendicarsi
per un danno o un torto che ritiene di aver subito e, per tale
motivo, cerca la vendetta;
▪ il bisognoso d’affetto: è il molestatore motivato dalla
ricerca di attenzioni e di una relazione che possa riguardare
sia l’amicizia che l’amore ed il cui rifiuto dall’altra parte
viene negato e reinterpretato;
▪ il corteggiatore imbranato: risulta imbranato in termini
relazionali e per questo inadeguato all’entrare in relazione
con la vittima, che si sente oppressa, “invasa” e aggredita; in
genere questa tipologia è meno resistente nel tempo ma
tende a cambiare la persona da molestare;
▪ il respinto: colui che diventa persecutore a seguito di un
rifiuto. generalmente è un ex che mira a ristabilire la
relazione o a vendicarsi per l’abbandono;
▪ il predatore: si tratta del molestatore che ambisce ad avere
rapporti sessuali con una vittima pedinandola, inseguendola
e spaventandola. La paura, infatti, eccita questo tipo di
stalker che prova un senso di potere nell’organizzare
l’assalto.
Agli stalkers si associano spesso i disturbi di personalità
(antisociale, borderline, istrionico e narcisistico) e
in alcuni casi, si riscontrano nel molestatore i tratti di
disordini psicotici, quali schizofrenia, disturbo delirante
e psicosi affettive. Comunque, va considerato che lo
stalking non è un fenomeno omogeneo dal punto di vista
psicopatologico, quindi risulta difficile far rientrare i
molestatori in una precisa categoria diagnostica. In ogni
caso, come per la vittima, il disagio e la sofferenza
dello stalker non sono da sottovalutare: agendo
compulsivamente nel seguire i propri bisogni e
negando la realtà, il molestatore danneggia il proprio
equilibrio mentale e la qualità della sua vita sociale. Una
volta denunciato alle autorità competenti, si dovrebbe
offrire la possibilità di accogliere il disagio dello stalker,
consentendo che egli segua un percorso di intervento
psicologico, in modo da evitare la reiterazione dello
stesso comportamento persecutorio con altre persone.
Psicologiche Fisiche

Dal punto di vista psicologico ed emozionale, i Sul piano della salute fisica si riscontrano invece:
sintomi più comunemente riportati dalle vittime
di stalking sono: ▪ Riduzione della libertà

▪ Paura ▪ Riduzione del controllo nell'ambiente

▪ Ansia ▪ Disturbi dell’appetito

▪ Rabbia ▪ Insonnia

▪ Estremo disagio ▪ Abuso di alcool

▪ Vergogna ▪ Aumento nel consumo di sigarette.

▪ Disturbi del sonno

▪ Reazioni depressive con sensazioni di impotenza


(Tuttavia, è bene sottolineare che non sempre le vittime
▪ Disperazione di stalking sviluppano un disturbo psichiatrico. I sintomi
possono delinearsi come subclinici o transitori e
▪ Comparsa di ideazione suicidaria. possono essere compensati dalla resilienza di un
soggetto, ovvero la sua capacità di adattarsi a fronte di
un evento traumatico.)
La legge che tutela le vittime di stalking e punisce gli autori di atti persecutori
è la n. 38, introdotta nell'aprile 2009, derivata dalla conversione del Decreto
legge n. 11/23 febbraio 2009: "Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e
di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori".
Su questa base è stato istituito il reato di stalking, con l'inserimento dell'art.
612-bis nel Codice Penale (CP): prima di quel momento, non esisteva una
norma che condannasse gli atti persecutori commessi nei confronti di una
persona.
Nonostante la legge sullo stalking sia relativamente recente, la sua
applicazione è stata enorme, visti i tantissimi casi che la giurisprudenza si è
trovata ad affrontare.
La legge sullo stalking punisce questo grave delitto con la reclusione da un
anno a sei anni e mezzo.
La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge, da persona che è o è
stata legata da relazione affettiva alla vittima, o se il fatto è commesso
attraverso strumenti informatici o telematici (WhatsApp, Facebook, Instagram,
email, ecc.).
La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un
minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona portatrice di
handicap, o con armi o da persona travisata (cioè, che non può essere
riconosciuta perché nasconde il viso).
LA STORIA DI ERIKA
Ho sopportato i dolori sul mio corpo, mi sono sentita sola da non potercela fare. Tutti i giorni lotto – ha spiegato Erika – contro
le ferite psicologiche; perché si sa, queste cose tolgono sicurezza e sfregiano l’anima.
Dopo aver denunciato è iniziata la vera guerra: i pregiudizi della gente, il sentirsi dire “ma che fai?” “forse è colpa tua?”. No la
colpa non è la nostra, i veri mostri sono loro, la gente accanto a me che ha iniziato a rilevarsi preferendo correre e non
camminare di fianco a me, facendomi capire che se questa storia mi ha tolto tanto mi ha invece dato anche molto perché ho
scoperto di avere un amore e una forza intorno a me e in me che io stessa credevo di non avere: questa è la mia grande
vittoria, che mi fa combattere.
Ho paura che questa storia non abbia mai fine, di sentirmi mancare l’aria per ancora molto tempo. Dopo varie denunce, mi
domando: ho parlato, ho subito, ho sopportato. Cosa altro devo fare per riprendermi in mano la mia vita? Cosa altro serve ai
giudici per fermare queste persone? Forse la nostra vita?
Se oggi ho il coraggio di parlare, di non vergognarmi e di raccontarmi lo devo a molte persone: grazie a tutti coloro che mi
hanno dimostrato di volermi bene. Un grazie va alla mia famiglia, a mia madre per avermi affiancato sempre senza
abbandonarmi mai, anche quando vedeva davanti ai suoi occhi una figlia morire e sentirsi incapace di fare qualcosa ma il suo
amore è la mia unica medicina in questo periodo.
Alle donne che stanno passando la mia stessa situazione dico di denunciare, anche se è su di me che provo una grande
delusione; non so se serve e se averlo fatto porta solo al nulla ma vorrei dire alle forze dell’ordine e alla magistratura che le
donne vittime di violenza hanno bisogno di essere protette, tutelate e salvate.
Vorrei concludere ringraziando anche la mia stalker (eh sì, non è un uomo ma una donna) perché mi ha fatto capire che senza
il male non si può definire con esattezza cos’è il bene.
Erika,33 anni
Mobbing è un termine preso in
prestito dall’inglese to mob,
che significa assalire, aggredire,
affollarsi attorno a
qualcuno, circondarlo.
Con mobbing, dunque, si indica
solitamente una forma di
terrore psicologico esercitata sul
posto di lavoro da parte di colleghi
o superiori ed è caratterizzato da
comportamenti aggressivi e vessatori
ripetuti nei confronti di un collega o
di un sottoposto.
Le condotte in grado di integrare il fenomeno del mobbing possono essere le
più diverse:
• il lavoratore che ne è vittima potrebbe ritrovarsi ad essere isolato
all’interno dell’ambiente lavorativo;
• potrebbe divenire bersaglio di battute, pettegolezzi, insulti e
comportamenti ostili di vario genere, così come ritrovarsi al centro di una
vera e propria campagna diffamatoria portata avanti nei suoi riguardi;
• potrebbe vedersi improvvisamente sottrarre mansioni sino a quel momento
ricoperte oppure essere assegnato a mansioni inferiori e dequalificanti, o
ancora, all’opposto, trovarsi a dover gestire da solo carichi di lavoro
intollerabili;
• potrebbe trovarsi esposto a più intense ed assillanti forme di controllo da
parte del datore di lavoro;
• potrebbe vedersi privare di determinati benefit aziendali sino a quel
momento goduti o vedersi rifiutare sistematicamente permessi, ferie ed
altre richieste;
• potrebbe, nei casi più estremi, essere licenziato senza alcuna motivazione o
addirittura divenire bersaglio di violenze sul piano fisico.
• Mobbing orizzontale. Si parla di Mobbing orizzontale, quando le azioni
vessatorie sono compiute da colleghi di pari grado rispetto alla vittima.
In questo caso, si ricorre al Mobbing per impedire ad uno o più colleghi
di fare carriera, e dunque, di avanzare sulla scala gerarchica.
• Mobbing verticale. Il Mobbing verticale, in genere, è posto in essere da
colleghi di grado superiore rispetto alla vittima.

• Mobbing trasversale. In questo caso, il mobber crea alleanze anche in


ambienti esterni all’ufficio, dove il mobbizzato potrebbe cercare
appoggio o farsi apprezzare.
• Bossing. Si parla di Bossing, quando il Mobbing è attuato dal diretto
superiore od anche dai vertici dell’azienda.
• Mobbing strategico. Il Mobbing strategico si può verificare, perlopiù,
all’interno delle grandi Imprese, delle Industrie, nelle Aziende e nei
grandi Enti. Si tratta, dunque, di luoghi di lavoro, dove per il fatto stesso
che vi sono numerosi dipendenti con gradi e posizioni diverse, esistono
condizioni d’instabilità.
• Mobbing relazionale. Il Mobbing relazionale concerne i rapporti
interpersonali.
• Mobbing diretto e mobbing indiretto. Si parla di Mobbing diretto,
quando le azioni vessatorie sono indirizzate specificatamente verso la
vittima. Si parla invece, di Mobbing indiretto, quando il comportamento
persecutorio è rivolto, non direttamente alla vittima, bensì alla sua
famiglia o agli amici.
• Mobbing leggero. Il Mobbing leggero, si verifica, quando il mobber
agisce attraverso gesti e comportamenti sottili e silenziosi, difficilmente
dimostrabili.
• Mobbing pesante. Il Mobbing pesante, si verifica, quando le azioni
mobbizzanti oltre a risultare evidenti, sono anche violente.
La personalità del mobber è spesso caratterizzata da forte
narcisismo ed egocentrismo o tratti paranoici. Giustifica il male
arrecato agli altri con la presunta superbia o incompetenza della
vittima. Necessita di essere attorniato da persone che lui sente
inferiori e che non gli pongono problemi o domande anche in
presenza di comportamenti potenzialmente illeciti, che
lo assecondano pedissequamente per confermare la sua
convinzione che a lui è permesso tutto, lui può tutto e tutto gli è
dovuto. Molte volte non si rende nemmeno conto delle
conseguenze nefaste del suo operato anche sul piano giuridico:
civile, penale, amministrativo. Spesso poco creativo e conformista,
arrogante, invidioso e geloso dei colleghi di lavoro, che utilizza e
sfrutta a suo piacimento senza alcuno scrupolo. In tutti i casi il
mobber non riesce a vedere mai l’altro come una persona, e non
è in grado di accettare una relazione autentica, ma solo una
parvenza di relazione fondata sul potere, sul dominio e sul
condizionamento e controllo che schiaccia, umilia e degrada
l’altro, e lo rende assolutamente dipendente e passivo,
distorcendone le qualità personali, solo per il suo piacere ed il
gusto di rovinarlo e distruggerlo.
▪ il collerico: è la persona che non riesce a contenere la ▪ l’istigatore: colui/colei che è sempre alla ricerca di nuove
rabbia e far fronte ai suoi problemi e solo prendendosela cattiverie e maldicenze volte a colpire gli altri;
con gli altri riesce a scaricare la forte tensione interna;
▪ il casuale: è colui/colei che diventa mobber per caso,
▪ il megalomane: è colui/colei che ha una visione quando trovandosi all’interno di un conflitto prende il
distorta di se stesso considerandosi sempre al di sopra sopravvento sull’altro;
che lo autorizza a colpire gli altri ritenuti inferiori;
▪ il conformista: è un tipo di mobber spettatore, non prende
▪ il frustrato: è l’individuo insoddisfatto della sua vita che attivamente parte al conflitto attaccando la vittima, però la
scarica il suo malessere sugli altri, alla stregua del sua non-reazione equivale ad un’azione favorente il
collerico; mobbing;
▪ il sadico: è colui/colei che prova piacere nel distruggere ▪ il terrorizzato: è colui/colei che teme la concorrenza e
l’altro e che non è disposto a lasciarsi scappare la inizia a fare azioni di mobbing per difendersi;
vittima;
▪ l’invidioso: è colui/colei che è sempre orientato verso
▪ il criticone: è la persona perennemente insoddisfatta l’esterno e non può accettare l’idea che qualcun altro stia
degli altri che crea un clima di insoddisfazione e di meglio di lui;
tensione;
▪ il carrierista: è la persona che cerca di farsi una posizione
▪ il leccapiedi: è il classico carrierista, che si comporta da con tutti i mezzi possibili, anche non legali;
tiranno coi subalterni ed ossequioso coi superiori;
▪ il criticone: è la persona perennemente insoddisfatta
▪ il tiranno: è simile al sadico, non sente ragione ed i degli altri che crea un clima di insoddisfazione e di
suoi metodi seguono uno stile dittatoriale; tensione;
MOTIVAZIONI
Il conflitto a livello personale è il presupposto essenziale alla nascita del mobbing
ed a riguardo individuiamo sei ambiti nei quali si può sviluppare il conflitto
interpersonale ostracizzante e di conseguenza il mobbing vero e proprio:

1. L’organizzazione del lavoro: una carente organizzazione e distribuzione del


lavoro è causa di stress e di tensioni che vengono scaricate su un colpevole.

2. Le mansioni lavorative: se un lavoratore svolge mansioni ripetitive, monotone


e sottoqualificate è più probabile il ricorso al mobbing per sfuggire alla
monotonia.

3. La direzione del lavoro: una direzione aziendale carente, che non tiene conto
delle esigenze dei lavoratori è più facile che favorisca la nascita del mobbing
all’interno della sua organizzazione: bisogna fare molta attenzione alla catena di
montaggio ed al lavoro a turni che isolano le persone in quanto un ambiente con
una carente socializzazione è più a rischio di mobbing.

4. La dinamica sociale del gruppo di lavoro: riguarda le relazioni intercorrenti


tra i membri del gruppo di lavoro che possono essere più o meno tranquille a
seconda del carico di lavoro che grava sul gruppo: è infatti noto che lavorare
‘sotto-pressione’ porta gli individui a ritrovare l’equilibrio scaricando le tensioni
all’esterno.

5. Le teorie sulla personalità: il mobbing è indipendente dal carattere delle


persone, non è possibile dare alcun credito alle teorie che vogliono identificare
dei gruppi maggiormente a rischio, in quanto sostiene che dipende sempre dalle
circostanze e dall’ambiente.

6. La funzione nascosta della psicologia nella società: Leymann ed altri autori


muovono una critica contro tutti coloro che identificano le vittime come delle
persone con “problemi” o che hanno fragilità caratteriali connaturate. Il mobbing,
piuttosto, è una diretta espressione di una patologia dei processi produttivi e
decisionali all’interno delle aziende e dei luoghi di lavoro.
CONSEGUENZE
L’esposizione ed il protrarsi nel tempo del mobbing comporta:

▪ alterazioni dell’equilibrio socio-emotivo (ansia, depressione,


ossessioni, attacchi di panico, anestesia emozionale);
▪ alterazioni dell’equilibrio psicofisico (cefalea, vertigini,
disturbi gastrointestinali, ipertensione arteriosa, dermatosi, mal di
schiena, disturbi del sonno e della sessualità);
▪ disturbi a livello comportamentale (modificazioni del
comportamento alimentare, reazioni autoaggressive ed
eteroaggressive, passività).

I soggetti mobbizzati possono, inoltre:

▪ diventare reattivamente solitari e taciturni;

▪ perdere interesse verso la propria famiglia e il circolo di amicizie;


▪ possono ricorrere all’alcool, all’uso di sostanze o ad un uso non
pertinente di psicofarmaci.

Sulla base di osservazioni cliniche, nel 1976, Brodsky identificò tre


tipi generali di reazione:
a) alcune vittime svilupparono sintomi fisici vaghi come debolezza,
perdita di forza, fatica cronica, dolori e vari mali.
b) altri reagirono con depressione e sintomi correlati come
impotenza, perdita di autostima e insonnia.

c) altri riportarono vari sintomi psicologici come ostilità,


ipersensibilità, perdita di memoria, vittimizzazione, timidezza e ritiro
sociale.
LA STORIA DI PAOLA
Nel 1991 iniziai a lavorare come operaia presso una piccola azienda. I primi anni, la vita lavorativa era sopportabile, ma con l’ aumento di personale
e la crescita aziendale iniziano a rendermi difficile le mie ore lavorate. Cominciano richiami verbali offensivi e scritti verso me e altro personale.
Verso di me iniziano delle vere e proprie vessazioni, in particolare quando inizio a non sottostare alle richieste disumane che pretende l ‘azienda e
cominciano le offese verbali da parte del mio dirigente sulla mia mancata produttività. A questo seguono tre lettere di richiamo dove attestano la
mia improduttività, ma alla terza con tanto conflitto e paura mi rivolgo ai sindacati e da quel momento vengo assistita. Con gli anni la situazione non
è migliorata, anzi, ci sono stati periodi dove soprattutto io e diverse persone, venivamo maltrattate con offese e umiliazioni, finché queste stesse
persone sono state licenziate. In questi ultimi dieci anni l’azienda ha sostituito il personale solo con persone legate a lei con gradi di parentela o
amicizia per cui sono rimasta solo io come elemento scomodo da eliminare, infatti sono stata oggetto di continue squalificazioni lavorative, e
sottolineando con rimproveri verbali, in pubblico, ogni mio piccolo errore da parte del dirigente, questo a creato intorno a me una serie di
pregiudizi da parte dei miei colleghi sulle mie capacità tanto da sentirmi colpevole e da ledere la mia autostima, arrivando a considerarmi una
incompetente e incapace. Nel corso degli anni gli atteggiamenti arroganti e prepotenti da parte della azienda sono aumentati, trovando sempre
scuse per offendermi ed umiliarmi per motivi futili, sul tempo impiegato alla pausa caffè e di come fossi stata lenta nel camminare per ritornare sul
mio posto di lavoro. Questa situazione mi ha messo in un continuo stato d’ ansia tanto da procurarmi un peggioramento delle mie condizioni di
salute. La situazione è precipitata quando alla fine del 2011, l’ azienda per effettivo calo di lavoro fa richiesta di una procedura mobilità, premetto
che l’azienda ad ogni procedura mobilità ha cercato le mie dimissioni. Fin dall’ inizio della apertura mobilità più volte mi sono sentita dire dai miei
colleghi “ tu sarai la prima ad essere sbattuta fuori, visto che l’azienda già da tempo vuole eliminarti, quindi attenta a quello che fai” , chiaramente
vivevo con timore che questo accadesse anche se seguendo i criteri di legge che sono: la data di assunzione e i carichi familiari, potevo stare
tranquilla. Ma qualche tempo dopo la firma della procedura mobilità, vengo convocata dal dirigente e invitata a firmare le mie dimissioni, ad un mio
ovvio rifiuto lui reagisce urlando e minacciandomi di licenziarmi comunque. Questo episodio ha provocato in me uno stato di grave ansia e
frustrazione , anche perché io vivo da sola con una bambina e la perdita di lavoro comporterebbe per un irreparabile situazione anche per lei.
Successivamente viene convocato tutto il personale per una riunione. In tale occasione, davanti a tutti il dirigente ha dichiarato testualmente che il
reparto chiuderà perché io ho rifiutato la mobilità a ciò alcune mie colleghe, spaventate di perdere il lavoro, hanno inveito contro di me mi hanno
rimproverato della mia scelta dicendomi in maniera aggressiva e offensiva che avrei dovuto firmare le dimissioni perché in qualche meritavo di
essere licenziata, “e oramai ero diventata un peso per l’ azienda e per la salvezza di tutti non dovevo rifiutarmi di firmare”, frasi dette dall’ azienda,
quando io non ero a lavoro, per creare paure infondate su una presunta chiusura. Dopo quell’ episodio, nei giorni successivi mi sono fatta una
violenza nell’ andare a lavorare perché non volevo far vedere di stare male ed avere la compassione altrui, ma sono stata diversi giorni inappetente,
con attacchi di vomito e diarrea, e insonne con attacchi di tachicardia. Questo stato di ansia si è ripercosso anche su mia figlia che avvertendo il mio
stato di malessere ha iniziato, a detta della sua maestra, ad avere problemi a scuola così mi sono trovata problema su problema.
Paola, 51 anni

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