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Le radici della violenza, nella

cultura e nelle relazioni

Francesca Giannone

Dipartimento di Scienze Psicologiche, Pedagogiche e della Formazione


Università degli Studi di Palermo
La violenza è ovunque.

“Perché siamo la specie più crudele e più spietata che sia


mai comparsa sulla faccia della terra?”
(Felicity De Zulueta, 2006)
La maggior parte dei lavori sul tema dell’aggressività
umana e della crudeltà
è basata sulla premessa che siamo individui guidati
essenzialmente dai nostri istinti ereditari.

L’altro serve soltanto come strumento per scaricare questi


implusi (Lorenz,1963).
• Il presupposto è che agiamo come individui con pulsioni
innate che devono essere scaricate:
privare l’uomo di questa scarica porta a una maggiore
aggressività, alle guerre e ad altre forme di violenza.

Ne deriva che devono essere trovate vie di sfogo alla nostra


aggressività
(Lorenz, 1963)
• Queste conclusioni sembrano fondate dal punto di vista
scientifico e accettabili, poiché concordano con le
premesse della cultura occidentale sulla centralità
dell’individuo nella società.

Tuttavia è proprio questa premessa che viene sfidata oggi


nel campo della biologia e della psicologia

• Si comincia a capire quanto sia emotivamente


vulnerabile la nostra specie

• Quanto gli esseri umani siano indispensabili gli uni


agli altri
Studi sul comportamento di attaccamento mostrano che
l’uomo non è intrinsecamente distruttivo,
non ha bisogno di uccidere e tormentare

L’essere umano è per natura un animale socialmente


cooperativo.

“I piccoli dell’uomo sono pre-programmati per


svilupparsi in modo socialmente cooperativo, che poi
lo facciano o meno dipende in grande misura da come
vengono trattati” (Bowlby, 1988).
Uno dei risultati più importanti degli studi sul
comportamento di attaccamento
è che da essi emerge

un collegamento tra
il trauma psicologico, causato da perdita, rifiuto o
deprivazione
e il comportamento distruttivo o violento.
La distruttività umana, così come il trauma
psicologico, non possono essere capiti senza passare
attraverso

il riconoscimento dell’importanza intrinseca delle


relazioni umane nel nostro sviluppo e nel nostro
senso di benessere.

Forse perché abbiamo negato tutto ciò così a lungo


la comprensione della violenza
è stata tanto difficile da raggiungere.
Quando iniziamo a occuparci di violenza scopriamo che
non ci troviamo di fronte a un istinto, a una pulsione o a una
predisposizione

La violenza non ha un significato ben definito:

“trattamento o uso che tende a causare danni fisici o che


interferisce in modo forzato con la libertà individuale”
(Oxford English Dictionary).

Implica dunque un certo grado di libertà, di scelta.

Non esiste un substrato cerebrale di ciò che chiamiamo


“scelta” o “libertà” (Stoller, 1975).
E’ difficile dunque studiare la violenza come fenomeno
biologico.
Nella letteratura scientifica, ciò che viene definito come
violenza dall’Oxford English Dictionary , è riportato

come “aggressività”
E dunque come
manifestazione comportamentale “innata” nel nostro
assetto genetico.

Si opera quindi, anche nella letteratura scientifica, una


confusione tra livello biologico e livello culturale
Ma la violenza è l’interpretazione che viene data a una
forma di comportamento sociale,

e dipende essenzialmente dal contesto sociale in cui si


vive.

A volte i due termini possono essere usati in maniera


intercambiabile, ma altre volte no:
un’interazione ritenuta abuso o violenza in una cultura,
può essere considerata abbastanza “normale” in
un’altra
Gli studi sul trauma hanno cominciato a permetterci di
districare le varie componenti delle nostre reazioni
violente
confermando quanto gli psicoanalisti avevano da sempre
indicato e cioè che

“l’essenza della nostra umanità sta nel fatto che


investiamo di significato tutte le nostre esperienze
e che il modo in cui interpretiamo le esperienze ha un
effetto diretto sul modo in cui reagiamo al trauma’’.
Siamo entità psicobiologiche, con tutto ciò che significa
in termini di bisogni fisici,
pattern di comportamento, genetica e biochimica

ma cosa facciamo e cosa non facciamo


è anche intrinsecamente collegato a
come percepiamo noi stessi e il mondo intorno a noi.

Per es. un uomo uccide un altro uomo.


Questo può essere visto come un dato di violenza, un ‘bestiale atto di
brutalità’, ma anche come un ‘atto di autodifesa’, una ‘legittima
aggressione per la difesa della nazione’… ‘un passo necessario per la
lotta per la libertà’ o ‘l’inevitabile manifestazione dei nostri impulsi
istintuali’.
Così il cardine dello studio della violenza

è la comprensione

di come gli esseri umani sviluppino

la percezione di se stessi e dell’altro

e di cosa sentano riguardo a se stessi e all’altro.

è necessario comprendere
i processi psicologici
che esacerbano o riducono il
bisogno di essere violenti
Un contributo importante, in questa direzione sono gli
studi sull’attaccamento,

che hanno mostrato

il nesso tra le condizioni di accudimento nell’infanzia e


gli esiti in età adulta

corroborando le proprie scoperte con una serie di studi


sperimentali
Attaccamento e violenza

Sembra esserci un nesso tra comportamento di attaccamento e


violenza:

questo nesso può essere inverso,

così l’aggressione violenta


può essere la manifestazione opposta
di un sistema di attaccamento danneggiato.
Le connessioni tra il trauma psicologico e la violenza sono
spesso negate o minimizzate, soprattutto in relazione all’abuso
sui bambini.

Ma la ricerca condotta negli ultimi vent’anni


mostra chiaramente che

il trauma psicologico infantile esiste


ed è il fattore eziologico di numerosi disturbi psichiatrici
sia nei bambini, sia negli adulti,
così come un’importante causa di violenza umana.
La ricerca psicologica ha individuato
diverse forme e qualità dell’attaccamento,
connesse a diverse forme di accudimento
e qualità della relazione bambino-caregiver

✓ Attaccamento sicuro
✓ Attaccamento insicuro Ansioso-ambivalente
✓ Attaccamento insicuro Evitante
✓ Attaccamento disorganizzato
E diverse forme

✓ di esperienze sfavorevoli infantili ESI (ACE)

✓ e di esperienze di maltrattamento e abuso…


Focus
sulle diverse forme di
Attaccamento
Attaccamento sicuro

• gruppo B: (63% del campione - bambini di famiglie americane di


classe media)

• i bambini si comportavano in maniera più positiva verso la madre; le


loro interazioni erano più armoniose e collaborative ed essi erano
disponibili ad assecondare le sue richieste.

• le madri erano più sensibili nel rispondere ai segnali e alle


comunicazioni dei figli; esse mostravano tenerezza e cura nel tenere
in braccio e nel toccare i propri bambini.

• Il bambino del gruppo B usava la madre come base sicura dalla quale
esplorare
Attaccamento Insicuro Ansioso-ambivalente
• gruppo C: (12% del campione)
• il bambino era ansioso, appiccicoso fin dall’inizio, aveva paura di esplorare la stanza da
solo.

• Mostrava molta sofferenza alla separazione dalla madre, ma alla riunione sembrava
avere molta ambivalenza rabbiosa: voleva stare vicino a lei, ma contemporaneamente
inarcava la schiena per allontanarsene e resisteva ai suoi tentativi di calmarlo.

• Nelle osservazioni a casa, le madri di questi bambini sembravano essere meno sensibili,
sia al pianto, sia in generale nella comunicazione.

• Tuttavia esse non erano rifiutanti e non mostravano nessuna avversione per il contatto
fisico, né avevano un comportamento compulsivo o mancavano di espressività emotiva

• I bambini del gruppo C piangevano di più e mostravano maggiore angoscia di


separazione, come se non fossero sicuri dell’affidabilità materna.

• Le madri non sembravano fornire loro la base sicura che avevano i bambini del gruppo B.
Attaccamento Insicuro Evitante
• gruppo A: (25%)

• il b. sembrava indifferente al fatto che la madre andasse o venisse, fino al punto di snobbarla alla riunione,
mostrando così di essere molto indipendente.

• Quando non ignorava la madre, il piccolo si avvicinava a lei solo per allontanarsene all’improvviso:
a volte la salutava, ma poi distoglieva lo sguardo, così da scoraggiare qualsiasi ulteriore interazione.

• Se veniva preso in braccio, faceva capire, senza emozione, di voler essere messo giù.
• Generalmente era più amichevole con un estraneo che con la madre. I bambini del gruppo A non mostravano
sofferenza, né paura, né, ancora più importante, rabbia, quando venivano riuniti alla madre.

• Tuttavia era più probabile che i bambini evitanti aggredissero o minacciassero di aggredire chi si occupava di loro.

• Evitavano fisicamente i compagni di gioco e distoglievano lo sguardo da loro, nella stessa misura in cui evitavano la
madre alla riunione (Blanchard e Main, 1979).

• Gli studi fatti a casa sui bambini del gruppo A mostravano che essi erano molto insicuri.

• Il comportamento evitante era correlato a numerosi attacchi aggressivi contro la madre a casa, e a numerosi
episodi di rabbia immotivata, suggerendo che queste emozioni erano state in qualche modo rimosse durante la
Strange Situation.

• I bambini che vengono percossi in un contesto quotidiano di cure, si comportano verso gli altri bambini e verso i
caregivers in maniera parimenti aggressiva.

• Le madri dei bambini evitanti sono descritte come intrusive, trascuranti e rifiutanti, in particolare rispetto al
contatto corporeo stretto. Esse sono anche più colleriche e minacciose con i loro bambini, spesso li deridono o
parlano loro in modo sarcastico (Main et al. 1979).
Attaccamento disorganizzato
• In studi successivi, portati avanti da Main e Solomon (1989), fu identificato un altro gruppo di bambini alla
Strange Situation.

• Questi bambini manifestavano una risposta “disorganizzata”, un misto di comportamento evitante e ansioso-
ambivalente.

• Essi si comportavano in maniera bizzarra e imprevedibile al ritorno della madre:


alcuni all’improvviso si congelavano
altri si ritiravano andando dall’altra parte della stanza
altri cadevano a terra o si tuffavano sotto la sedia della madre.

• Essi sembravano avere genitori che potevano essere molto temibili, che o abusavano dei loro figli o erano stati
loro stessi traumatizzati e continuavano a soffrire di terrificanti flashback o stati dissociativi (Main, Hesse,
1992).

• I bambini di genitori dissociati e spaventati, possono sviluppare incomprensibili fobie legate al trauma del
genitore, o possono temere di avere causato il suo stato di terrore .

• Molti bambini disorganizzati sviluppano stati simili alla trance compatibili con il disturbo post-traumatico da
stress nei bambini.

• La ricerca suggerisce che quando questi bambini diventano adulti è possibile che venga loro diagnosticata una
gamma di disturbi dissociativi che vanno dalla personalità borderline al disturbo dissociativo dell’identità:
l’attaccamento disorganizzato è legato in maniera specifica alla dissociazione patologica” (Ogawa et al., 1997).

• Il comportamento imprevedibile dei bambini disorganizzati deriva dal fatto che sono stati minacciati dai loro
caregiver, le stesse persone che dovrebbero fornire loro sicurezza e conforto.
E’ una paura “senza via d’uscita” in cui il bambino affronta la morte o la perdita della figura parentale vitale, da
cui dipende completamente per la sopravvivenza .
• https://youtu.be/QquZxJhuSg8 Attaccamento sicuro

• https://youtu.be/AGRT6VjnTm8 Attaccamento evitante

• https://youtu.be/8BA8CcEUP84 Risposte incoerenti al disagio

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