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MASTER DI I LIVELLO ECM04 IN

“IL BULLISMO E IL CYBERBULLISMO. ANALISI, INTERVENTI E METODOLOGIE DIDATTICO-


EDUCATIVE”

INSEGNAMENTO IV

A cura della Prof.ssa Marianna Ceriello


Introduzione

Il fenomeno del bullismo è preoccupante non tanto per gli effetti immediati che esso
genera, anche se non vanno sottovalutati gli episodi di aggressività che lo
caratterizzano, quanto per gli sviluppi possibili in termini di antisocialità e violenza.
L'approccio educativo a lungo termine costituisce la via più diretta per lo sviluppo e il
consolidamento di atteggiamenti di prosocialità.
Di particolare interesse risultano gli studi effettuati in vari paesi esteri finalizzati a
comprendere le caratteristiche del fenomeno e i suoi correlati.
Le prime ricerche condotte nei paesi scandinavi da Dan Olweus (1978; 1981) hanno
dimostrato che esiste una forte corrispondenza tra il fenomeno del bullismo, che si
manifesta a partire dalla sesta elementare e la terza media e la criminalità che colpisce
gli stessi studenti scandinavi in età adulta.
Altre ricerche sono state condotte in Inghilterra, in Irlanda, in Spagna, in Finlandia, in
Giappone, in Australia. In Italia un gruppo di ricercatori coordinato da Ada Fonzi (1997)
ha dato inizio allo studio del fenomeno, partendo dal presupposto che anche nel nostro
paese, come negli altri paesi industrializzati, esso si presenta con una certa consistenza.
I risultati delle ricerche italiane hanno rilevato che il bullismo in Italia è molto più
elevato che altrove, sia per quanto riguarda la percentuale dei prepotenti che delle
vittime.
Tale fenomeno è riconducibile soprattutto a differenze culturali, in quanto nella nostra
cultura le manifestazioni del conflitto essendo più tollerate, portano meno
frequentemente alla rottura dei rapporti e, di conseguenza, ad una forma di bullismo di
tipo prevalentemente verbale.
Tuttavia, se tale forma "soft" italiana ne ridimensiona in qualche modo gli aspetti critici,
costituisce pur sempre un dato preoccupante da monitorare e contrastare.
1. Il bullismo: dalle prime manifestazioni al fenomeno.

Il termine "bullismo" indica un comportamento sociale di prevaricazione sull'altro


considerato, quest'ultimo, vittima della violenza intenzionale da parte del bullo. Gli
studenti prevaricatori tendono ad avere specifiche caratteristiche; alcuni sono
genericamente più forti dei loro compagni di classe e, in particolare, delle loro vittime,
impegnati nelle attività di gioco, nello sport e nelle lotte con i coetanei. Presentano una
forte tendenza a dominare e sottomettere altri studenti, affermando se stessi con il
potere e la minaccia, imponendo il proprio punto di vista. Da ciò scaturisce una bassa
tolleranza alla frustrazione, in quanto si alterano facilmente e tendono a cedere
sovente alla impulsività.
Tali studenti, inoltre, interpretano le regole come "contrarietà", mostrandosi oppositori,
insolenti ed aggressivi verso gli adulti, (compresi insegnanti e genitori) che invano
tentano di fargliele rispettare.
Ciò si traduce in età piuttosto precoce, in comportamenti antisociali tra cui il furto e il
vandalismo e in un rendimento scolastico che risulta vario nella scuola primaria, ma che
generalmente peggiora nella scuola media e ciò si accompagna al progressivo delinearsi
di un atteggiamento negativo verso la scuola.
Ma chi è il bullo?1
Fare il bullo significa dominare i più deboli con atteggiamenti aggressivi e prepotenti,
sottoporre a continue angherie e soprusi i compagni di classe o di giochi fisicamente e
caratterialmente più indifesi.
Citiamo la definizione di Dan Olweus: "uno studente e1 oggetto di azioni di bullismo,
ovvero e' prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del
tempo, alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o di più compagni" (Olweus,
1996).
Il bullismo può essere considerato una sottocategoria del comportamento aggressivo,
con alcune caratteristiche distintive: l'intenzionalità (mira
deliberatamente a ferire, offendere, arrecare danno o disagio); la persistenza nel
tempo, l'asimmetria di potere (nella relazione, il bullo è più forte e la vittima è più
debole e spesso incapace di difendersi.
1 Vivona M., Il Bullo: quando l'affermazione
di sé nuoce all'altro,
http://www.humantrainer.com/articoli/vivo
na-bullismo.html
Il bullismo può assumere forme differenti:

• fisiche: colpire con pugni o calci, appropriarsi, o rovinare, gli effetti personali di
qualcuno;
• verbali: deridere, insultare, offendere, minacciare, prendere in giro ripetutamente,
fare affermazioni discriminanti;
• indirette: diffondere pettegolezzi e calunnie, diffamare, escludere qualcuno dal
gruppo di aggregazione.
Ci sono diverse tipologie di bullo: il bullo dominante, le cui caratteristiche sono
aggressività generalizzata sia verso gli adulti sia verso i coetanei, impulsività e scarsa
empatia verso gli altri, questi bambini vantano la loro superiorità, vera o presunta, si
arrabbiano facilmente e presentano una bassa tolleranza alla frustrazione, hanno un
atteggiamento positivo verso la violenza, poiché è ritenuta uno strumento positivo per
raggiungere i propri obiettivi. La loro prepotenza non e' dovuta ad insicurezza e scarsa
autostima, al contrario si tratta di bambini sicuri di sé, con elevate abilità sociali, capaci
di istigare gli altri. Hanno buone doti psicologiche utilizzate però al fine di manipolare
la situazione a proprio vantaggio, con forte bisogno di dominare gli altri. Manifestano
grosse difficoltà nel rispettare le regole e nel tollerare contrarietà e frustrazioni.
Tentano, a volte, di trarre vantaggio anche utilizzando l'inganno.
Il bullo, sempre alla ricerca di emozioni forti, estreme, de-umanizza la vittima al fine di
giustificare le sue forme di aggressività e di violenza e stabilisce con gli altri rapporti
interpersonali improntati quasi sempre sulla prevaricazione. Attraverso una ricerca
focalizzata sulla capacità dei soggetti coinvolti in episodi di bullismo (bulli e vittime) di
riconoscere le emozioni altrui, si e' constatato che la condizione di entrambi appare
legata a difficoltà nel riconoscimento delle emozioni. Per i bulli, si riscontra una
generale immaturità nel riconoscere le emozioni, soprattutto la felicità. Entrambi gli
attori risultano "sgrammaticati" in una competenza fondamentale che è quella che
permette di cogliere i segnali emotivi che provengono dagli altri. Il bullo gregario è,
invece, più ansioso, insicuro, poco popolare, cerca la propria identità e l'affermazione
nel gruppo attraverso il ruolo di aiutante o sostenitore del bullo.
Le caratteristiche della vittima sono: scarsa autostima e opinione negativa di sè, i
bambini vittimizzati sono ansiosi e insicuri, spesso cauti, sensibili e calmi. Se attaccati,
reagiscono chiudendosi in se stessi. Queste caratteristiche sono tipiche delle vittime
definite passive o sottomesse, che segnalano agli altri l'incapacità, l'impossibilita' o
difficoltà di reagire di fronte ai soprusi. Esiste, tuttavia, un altro gruppo di vittime: le
vittime provocatrici, caratterizzate da una combinazione di modalità di reazione
ansiose e aggressive. Possono essere iperattivi, inquieti e offensivi. Tendono a
controbattere e hanno la tendenza a prevaricare i compagni più deboli.
Per le vittime si evidenziano deficit nel riconoscimento di specifici segnali emotivi, in
particolare relativi alla rabbia. Da un lato tali difficoltà potrebbero impedire al bambino
di riconoscere l'altro come potenziale aggressore e quindi di difendersi, e dall'altro
lato, l'incapacità di leggere tale emozione potrebbe ostacolare il controllo del proprio
comportamento e favorire l'utilizzo di modalità che finiscono con il provocare
ulteriormente la rabbia dell'altro. Essere vittima o essere prepotente ed esserlo a
lungo nel corso del tempo può rappresentare un fattore di rischio. Gli studi
longitudinali, già messi in atto da Olweus e altri, rivelano che chi rimane a lungo nel
ruolo di prepotente corre più rischi di altri di entrare in quella escalation di violenza
che va da piccoli episodi di vandalismo, furti, piccola criminalità, fino a incorrere in
problemi seri con la legge. Questi bambini hanno quindi più probabilità da adulti di
venire condannati per comportamenti antisociali.
Per contro chi rimane a lungo nel ruolo di vittima rischia di andare incontro a livelli di
autostima sempre più bassi ("non valgo nulla", "non sono capace di far nulla", "gli altri
ce l'hanno tutti con me"), a forme di depressione che possono aggravarsi sempre di
più, fino a diventare forme di autolesionismo con conseguenze estreme come il
suicidio. Nel tempo si sono susseguite varie ipotesi esplicative del bullismo, relative al
sistema familiare, a fattori personologici e al contesto culturale, si può dire che siano
tutte valide e che il fenomeno sia multi- causale:

• contesto familiare: ci sono due diverse prospettive di studio che hanno preso in
considerazione il sistema familiare dei bambini coinvolti, come bulli o vittime, in
episodi di prepotenze.
Una prima prospettiva ha indagato la qualità della relazione affettiva tra genitori e figli,
in particolare ha considerato il legame di attaccamento madre-bambino. Da tali
ricerche e' emerso che i bambini con attaccamento insicuro-evitante esibiscono con
più probabilità comportamenti di attacco e prepotenza verso i compagni (poiché non
sviluppano un atteggiamento di fiducia verso gli altri e si aspettano risposte ostili),
mentre i bambini con attaccamento insicuro-resistente assumono con più probabilità il
ruolo di vittime (poiché hanno poca fiducia e poca stima in sè stessi, sono insicuri e
ansiosi). Una seconda prospettiva indaga gli stili educativi parentali, come contesto di
apprendimento di regole e valori.
Il bambino che vive in una famiglia in cui regnano un'educazione coercitiva, violenza e
sopraffazione ha più probabilità di interiorizzare schemi di comportamento disadattivi,
si sentirà quindi autorizzato ad utilizzare gli stessi modelli di comportamento anche
nelle relazioni al di fuori della famiglia. Al contrario, se la famiglia presenta uno stile
educativo permissivo e tollerante, il bambino sarà incapace di porre adeguati limiti al
proprio comportamento.

• fattori personali, tutti quegli elementi personologici che sono caratteristici del bullo e
della vittima.
contesto culturale in cui si vive: come afferma Olweus, i ragazzi che opprimono

e quelli che subiscono sono il frutto di una società che tollera la sopraffazione. Il
bullismo è quindi figlio di un contesto culturale più ampio, in cui si persegue un
modello di forza e potere, in cui vige la distinzione dell'umanità tra vincenti e perdenti,
l'esaltazione di leader autoritari e di immagini maschili e femminili di successo, in cui la
sconfitta non è ben vista. I mass media, televisione, cinema, videogiochi, ci presentano
modelli di violenza giovanile come espressione di forza e vitalità, risolutrice di conflitti
e depurata da ogni segno di sofferenza o conseguenza per le vittime. In una cultura
fondata sui dis-valori della sopraffazione, dell'arroganza, della furbizia e della
competizione, sarà naturale per il piccolo bullo prevaricare il compagno più debole. I
coetanei hanno un ruolo importante nello sviluppo, mantenimento o modificazione del
comportamento aggressivo nel gruppo.
Il bullo non agisce da solo: alcuni compagni svolgono un ruolo di rinforzo, altri formano
un pubblico che incita e sostiene, altri ancora si disinteressano a quello che accade,
non manca poi chi tenta di opporsi alle prepotenze per proteggere la vittima, in questo
ruolo di difesa si trovano spesso le bambine. Il bullismo è quindi un fenomeno di
gruppo ed è utile per comprenderlo fare riferimento ai meccanismi che caratterizzano
coloro i quali prendono parte all'azione aggressiva.
Innanzitutto alcuni studi hanno dimostrato che l'individuo agisce aggressivamente se
ha osservato qualcun altro agire in tal modo (un modello), soprattutto se questo altro
gode della stima dell'osservatore, ed è riconosciuto come forte e coraggioso. Coloro i
quali sono molto influenzati da tali modelli sono soprattutto i ragazzi più insicuri e
dipendenti, che non hanno un ruolo definito fra i pari e che vorrebbero affermarsi.
Vi è un altro fattore che interviene in tale contesto di gruppo, cioè la diminuzione del
senso di responsabilità individuale. La diffusione di responsabilità all'interno del
gruppo è un meccanismo che rende più facile l'azione aggressiva, poiché il senso di
responsabilità personale nei confronti dell'azione negativa è minore se si partecipa in
tanti. Prendiamo ora in considerazione i meccanismi di disimpegno morale elaborati da
Bandura, cioè le strategie cognitive con cui i ragazzi giustificano le loro aggressioni. Le
forme di disimpegno morale possono strutturarsi, stabilizzarsi e quindi diventare un
modello per il soggetto, che in qualche maniera lo svincolano da regole e norme. Una
tra le forme di disimpegno morale individuata da Bandura è T etichettamento
eufemistico", ed è la modalità attraverso cui il ragazzo definisce positivamente un
comportamento negativo ("stavamo scherzando"), in modo da far capire che non aveva
intenzioni negative.
Ci sono, inoltre, due forme di disimpegno morale legate alla vittima. La prima modalità
è la "deumanizzazione della vittima", la psicologia ha evidenziato come noi abbiamo
una propensione naturale e fisiologica a non esercitare violenza nei confronti dei nostri
simili se li consideriamo tali. Possiamo, però, renderli non più nostri simili (la vittima
quindi "non e' un essere umano, si merita di essere trattata in quel modo"), così si
nega loro il principio di umanità. l'altro viene degradato ad essere non umano, ad
essere inferiore. Nel mondo della scuola questo può avvenire perché ci sono alcuni
soggetti che si prestano ad essere svalutati, perché le loro caratteristiche individuali,
forse problematiche sotto alcuni aspetti, possono favorire e incrementare questi
atteggiamenti da parte dei compagni. La deumanizzazione della vittima favorisce
quindi la violenza e rende meno grave l'atto compiuto.
L'altra modalità molto frequente e diffusa di disimpegno morale è la "colpevolizzazione
della vittima" rispetto al comportamento violento che è stato esercitato nei suoi
confronti ("mi ha provocato"), è una modalità di disimpegno morale molto frequente
perché culturalmente si ritiene che se ad una persona è successo qualcosa di negativo
in qualche modo se lo è meritato.
Infine citiamo la teoria del "capro espiatorio", che sembra adeguata a descrivere il ruolo
della vittima nel fenomeno del bullismo. In questo caso, i comportamenti aggressivi
diretti verso la vittima, sarebbero espressione di meccanismi difensivi come
spostamento e proiezione, così le tendenze aggressive che non possono essere dirette
verso il loro obiettivo naturale, sono spostate su una vittima innocente e meno
pericolosa, alla quale vengono attribuite caratteristiche stereotipate negative.
Perché il bullo ha i suoi fidati gregari e il gruppo facilmente si uniforma e accetta di
diventare complice, in modo passivo o attivo, delle sue prepotenze? Questo
comportamento da parte dei componenti del gruppo risponde a delle finalità auto
protettive sotto due aspetti. Primo, limita la possibilità che quel soggetto diventi
personalmente vittima del bullo. Secondo, l'identificazione con l'aggressore crea
l'illusione di essere personalmente potenti e non indifesi. Non si tratta, quindi, del
riconoscimento della leadership del bullo da parte dei coetanei, ma piuttosto questi
saranno disposti ad accettare i suoi modi, poiché combattuti tra amore e timore per lui.
Questo rappresenta però una grave minaccia per il benessere del gruppo. Godere del
favore dei compagni significa disporre di preziose opportunità sociali, mentre il rifiuto
porta all'esclusione dalle attività collettive.
Diversi studi dimostrano che i bulli hanno una popolarità che rientra nella media, o
poco al di sotto di essa e sono spesso circondati da un gruppo di due o tre coetanei
sostenitori. Spesso i compagni esprimono nei confronti della vittima antipatia e rifiuto,
mentre l'atteggiamento verso il bullo varia in base a diverse circostanze, in particolare i
fattori contestuali e individuali assumono un ruolo cruciale nel determinare
l'atteggiamento dei pari nei confronti del bullo. Tra i fattori contestuali, un elemento
molto importante è l'efficacia delle azioni: il rifiuto viene espresso verso quei compagni
che con le loro condotte aggressive non raggiungono lo scopo.
Tra i fattori individuali, ricordiamo che la popolarità dei bulli è destinata a diminuire
con l'aumentare dell'età, perché con l'età le strategie aggressive cambiano e si passa
da forme di aggressività dirette a modalità indirette e si sviluppa la capacità di
giudicare secondo criteri morali i comportamenti propri e altrui, per cui chi utilizza
condotte aggressive è considerato riprovevole e degno di rifiuto. Il bullismo è una
modalità proattiva, ossia, è un comportamento messo in atto senza provocazione da
parte della vittima ed è agito dall'aggressore al fine di raggiungere il suo scopo, il
dominio e il potere sugli altri. Il bullismo trova la sua motivazione nell'affermazione di
dominanza interpersonale. Il bullo sa affermare se stesso nel gruppo soltanto
attraverso l'uso deliberato della forza. L'aggressività, però, non ha solo una valenza
negativa, può essere prosociale nel momento in cui non mira a infliggere un danno ma
a conquistare un obiettivo socialmente accettabile.
E' inoltre una funzione centrale al servizio dell'autorealizzazione, ci permette di
confrontarci, reagire, difenderci, avere rapporti con gli altri. A differenza del bullo, un
bambino che utilizza una modalità di adgredere in modo funzionale, è un bambino che
gestisce l'aggressività, è capace di mediarla, di sentire le proprie e altrui esigenze, e' in
grado di mettersi nei panni dell'altro e utilizzare costruttivamente l'aggressività in una
dimensione relazionale, mettendo in atto delle azioni in modo commisurato
all'importanza della posta in gioco e ai propri principi morali, senza ricorrere alla
rottura della relazione come soluzione del contrasto.
Appare ora chiaro che il fenomeno del bullismo non risiede soltanto nella relazione
bullo- vittima, ma è un fenomeno collettivo, che coinvolge l'intero gruppo, che può
sostenere e rinforzare il fenomeno.
Il bullo e1 il leader del gruppo? Se pensiamo alle caratteristiche fondamentali del leader,
quali l'empatia, l'abilità a relazionarsi, la valorizzazione e il coinvolgimento degli altri, il
senso della comunità, l'agire efficacemente, l'essere attento al clima del gruppo e ad
arbitrare eventuali conflitti, l'essere assertivo, ci rendiamo conto che queste
caratteristiche non appartengono al bullo. Il bullo non é empatico, non possiede la
facoltà di porsi nei panni altrui, l'identificazione con l'altro da sé è un concetto che non
gli attiene, l'identificazione invece è un concetto fondamentale relativo alla sicurezza e
costituisce un efficace inibitore dell'aggressività. Infatti secondo studi di etologia,
l'essere umano possiede una facoltà di inibizione innata all'aggressività che gli
impedisce di eliminare il proprio simile, facoltà basata sulla possibilità di identità ed
empatia con l'altro percepito come essere uguale a sé.
Il bullo non attua un comportamento per valorizzare e coinvolgere gli altri, le
introiezioni che propone sono rigide e vanno accettate incondizionatamente, i
compagni non sono chiamati ad attivare le proprie capacità e risorse. Una competenza
comunicativa fondamentale per il leader, e di cui il bullo è mancante, è l'assertività.
Questa rappresenta uno stile comunicativo che permette all'individuo di esprimere le
proprie opinioni, le proprie emozioni e di impegnarsi a risolvere positivamente le
situazioni e i problemi. Tale modo di comunicare nasce dall'armonia tra abilità sociali,
emozioni e razionalità: chi è assertivo sa esprimere in modo chiaro e efficace emozioni,
sentimenti, esigenze e convinzioni, riducendo ansia e aggressività. Obiettivo per una
comunicazione assertiva è la capacità di ridurre le proprie componenti aggressive e
passive. Per contro il bullo ha una modalità relazionale improntata sulla prevaricazione
e sulla coercizione.
Il bullo è quindi un leader impostore? Innanzitutto chiariamo cosa intendiamo per
impostore. Nonostante nell'uso comune questo termine abbia una connotazione
negativa (bugiardo, ciarlatano, imbroglione), secondo la Gestalt Psicosociale
rappresenta una parte dell'identità che appartiene a tutti, vuol dire che a volte si
mostra una parte o un solo aspetto di se stessi, si modifica in qualche misura e in
qualche circostanza la percezione che si dà di sé, e questo può avere una valenza
positiva o negativa, a seconda se lo si attua funzionalmente o rigidamente. Il bullo è un
leader impostore e lo è in modo rigido e quindi disfunzionale. Persegue
deliberatamente i propri obiettivi di dominanza e di mantenimento della reputazione
attraverso modalità aggressive e di supremazia, dando nessuna importanza ai
sentimenti altrui per il proprio tornaconto.
Quindi manipola le situazioni per vantaggio personale, ignorando l'infelicità della
vittima e non accettando la responsabilità delle proprie azioni.
Il bullo utilizza l'impostura in modo pervasivo e costante, e ciò non è funzionale al
benessere suo né a quello del gruppo, che è un gruppo dove non c'è tranquillità
emotiva nei rapporti, un gruppo che non può crescere, dove le potenzialità individuali
non sono valorizzate, dove l'espressione dei membri non può essere libera, poiché le
critiche non sono accettate.
In una cultura dove dominano i "Franti" di De Amicis, in cui l'autoaffermazione passa
per la scissione degli individui tra forti e deboli, una cultura lontana dalla valorizzazione
degli aspetti prosociali del comportamento, vale la pena impegnarsi affinché i nostri
ragazzi possano crescere in un clima di educazione affettiva e di promozione di
armoniche relazioni sociali.
Il bullismo può essere sia strumentale che ostile in quanto un bullo si serve dell'impulso
aggressivo, normalmente insito nella natura umana, per affermare un proprio status,
una propria identità, a causa di uno sviluppo sociale non adeguato. Negli ultimi anni
l'attenzione è sempre più rivolta alla ricerca di una soluzione di tale fenomeno, per cui
numerosi sono gli interventi che vengono effettuati nelle scuole. La prevenzione del
bullismo è una delle strategie più efficaci per demolire questo muro che si erge in modo
prepotente diventando spesso "apparentemente" insormontabile, "apparentemente" in
quanto qualunque cosa può essere affrontata, ma bisogna trovare la chiave giusta che
riesca ad aprire alcune porte chiuse da tempo e ormai incastrate.
Nel programma di prevenzione fondamentale è l'azione sul gruppo classe. La scuola in
quanto luogo privilegiato di osservazione, conoscenza, comunicazione e cultura
permette l'insorgenza di dinamiche all'interno del gruppo classe, spesso di difficile
gestione. Per gestire tali dinamiche che possono spesso sfociare in comportamenti
aggressivi e violenti è importante che ci sia un senso di appartenenza, di coesione tra i
vari elementi che costituiscono il gruppo.
È importante per l'individuo guadagnarsi un posto nel gruppo. Questo serve a colmare
quel bisogno e quel desiderio di una valutazione di se stessi, o autostima, e di una stima
da parte degli altri che sia stabile nel tempo. Solo sentendosi parte di un gruppo
l'individuo potrà soddisfare da un lato il desiderio di successo, di adeguatezza,
competenza e padronanza, e dall'altro il desiderio di prestigio e di apprezzamento.
Questa è la dinamica che interviene nel bullismo. Far parte del gruppo dei bulli, visti
come individui di potere e, apparentemente, leader, è essenziale per sentirsi apprezzati.
Per poter creare una coesione all'interno del gruppo classe, gli insegnanti possono
adottare per discutere e trovare insieme una soluzione di fronte ad un episodio che ha
potuto creare un problema nell'ambito della classe, che giochi di gruppo.
Un esempio è quello in cui i ragazzi, in coppia, inscenano una situazione conflittuale che
si presenta spesso nel gruppo. Esempio: Un ragazzo ha delle belle matite colorate e
l'altro le usa senza chiedere il permesso, finendo anche col romperle. Un ragazzo
scavalca la fila e passa avanti senza aspettare il suo turno. Un ragazzo si fa portare i libri
da un altro che diventa a sua volta il suo zerbino, ecc...
I due compagni discutono il problema assumendo l'uno il ruolo di chi viene infastidito o
attaccato, l'altro di chi infastidisce o attacca. Dopo un po' si scambiano i ruoli, se
possibile dovrebbero trovare una soluzione al conflitto. Le soluzioni dei gruppetti, poi,
vengono esposte all'interno dell'intero gruppo classe ed esaminate nella loro possibilità
di realizzazione. Ogni ragazzo ha possibilità di capire le emozioni che si provano
nell'aggredire e nell'essere aggrediti, o nell'avere dei comportamenti provocatori o
prevaricanti. La cooperazione e la coesione sono alla base della prevenzione al bullismo
in quanto fenomeno di gruppo. L'azione va quindi diretta su ogni elemento del gruppo.
Si è osservato che si ha una riduzione dell'aggressività quando i ragazzi collaborano tra
loro. Sia il bullo che la vittima oltre a non avere capacità empatiche mancano anche di
abilità cooperative.
Questa potrebbe essere la conseguenza del fatto che avendo difficoltà nella gestione
dei rapporti non hanno la capacità di collaborare l'uno accanto all'altro. Insegnare ai
ragazzi di un gruppo classe a collaborare è molto importante in quanto essi imparano a
sviluppare le capacità empatiche, interpersonali, sociali e organizzative, mettendo da
parte le ostilità, la competizione, la critica che sono alla base dei fenomeni di bullismo,
e ad esternare le proprie emozioni e opinioni a favore della conoscenza reciproca.
Il miglior soldato non attacca. Il combattente più valido riporta la vittoria senza ricorrere
alla violenza. I massimi conquistatori vincono senza lotta. Il capo di maggior successo
guida senza imporre dettami. È quella che si chiama non aggressività intelligente, ed è
così che si esercita il dominio sugli uomini.

(Lao Tze, Tao Teh King)


2. Benessere a scuola: come prevenire il bullismo

A cura di: Cristiana Butti, Silvia Cagliani, Laura Pozzi


Viviamo in una società pluralista caratterizzata da un alto livello di conflittualità; nella
scuola primaria, oltre a rilevare un aumento di bambini con difficoltà relazionali,
egocentrici, incapaci di ascolto e di tolleranza delle frustrazioni, fragili emotivamente,
cominciano già a manifestarsi casi di bullismo, di mobbing, di prevaricazione e di
aggressività non indifferenti, che diventano sempre più eclatanti nelle scuole medie.
I ragazzi che danno vita a fenomeni di bullismo spesso hanno disturbi nella regolazione
e gestione delle emozioni, da cui deriva l'impulsività. Soffrono di instabilità emotiva,
crisi di umore e di rabbia che tendono a risolvere con comportamenti impulsivi,
distruttivi e prevaricatori. Una delle loro più gravi difficoltà consiste neN'osciNazione tra
l'inibizione delle emozioni e il rimanerne sopraffatti. Agiscono impulsivamente e con
scarsa consapevolezza dei propri stati mentali.
"Il bullismo è una sottocategoria del comportamento aggressivo, ma è un tipo di
comportamento aggressivo particolarmente cattivo, in quanto è diretto, spesso
ripetutamente, verso una vittima particolare che è incapace di difendersi efficacemente,
perché è più giovane, o meno forte o psicologicamente meno sicura" (Fonzi, 2006).
Rispetto ai normali conflitti fra coetanei (anche di età molto giovane), il bullismo si
distingue per la presenza di alcuni fattori essenziali:
• presenza di un persecutore (in posizione up) e di una vittima (in posizione down)
• intenzione, da parte del persecutore, di fare male, e totale mancanza di
compassione verso la vittima
• durata prolungata nel tempo, che fa diminuire l'autostima da parte della vittima,
con conseguenze pesanti, come il disinvestimento verso la scuola
• posizione di potere da parte del bullo (a causa dell'età, della forza fisica, ecc.)
• posizione di vulnerabilità da parte della vittima, che non è in grado di difendersi da
sola ed è in una situazione di totale isolamento e mancanza di sostegno da parte degli
altri membri del gruppo
• mancanza di sostegno: la vittima si sente isolata ed esposta, spesso ha molta paura
di riferire gli episodi di bullismo, perchè teme rappresaglie e vendette
• conseguenze: il danno per l'autostima della vittima si mantiene nel tempo e induce
la persona ad un considerevole disinvestimento dalla scuola oppure alcune vittime
diventano a loro volta aggressive.
Si tratta di una definizione più complessa rispetto a quanto non appaia a prima vista,
poiché non si riferisce ad un singolo atto, ma ad una situazione relazionale considerata
nel suo svolgersi nel tempo.
In tutte le situazioni di prepotenza che prelude al bullismo, si presentano
costantemente gli stessi ruoli:
• il prepotente: di solito si tratta di una persona con deboli capacità empatiche,
preferisce atteggiamenti violenti e sembra essere spinto da un forte desiderio di
dominare l'altro. Se è un maschio si impone con la forza fisica, se è una femmina con la
maldicenza

• la vittima che può essere passiva, cioè isolata o addirittura emarginata dal
gruppo, oppure provocatrice, lasciata da parte perché aggressiva e collerica. La vittima
passiva presenta una bassa autostima e scarsa fiducia nelle proprie possibilità, è
ansiosa ed insicura e piange spesso. La vittima provocatrice, al contrario è iperattiva e
facilmente irritabile
• gli spettatori, che spesso sono indifferenti a quanto accade e, proprio per questo,
corresponsabili.
• Le caratteristiche della vittima2 Dagli studi è emersa una descrizione chiara delle
vittime, riferita sia ai maschi che alle femmine: sono solitamente più ansiose e insicure,
caute, sensibili e calme; se attaccate in genere reagiscono piangendo e chiudendosi in
se stesse; soffrono di scarsa autostima, hanno un 'opinione negativa di sé, si
considerano fallite, stupide, poco attraenti; a scuola sono per lo più isolate e sole, non
hanno un buon amico in classe, non sono soggetti aggressivi e molesti (il bullismo
quindi non può essere spiegato come reazione ad una loro provocazione; se sono
maschi sono più deboli della media dei ragazzi vittima passiva o sottomessa: sono
insicure e incapaci di reagire di fronte agli insulti, hanno un modello reattivo ansioso,
sottomesso e associato alla debolezza fisica per i maschi.
Le interviste con i genitori hanno rilevato che questi ragazzi fin dai primi anni di vita
hanno dimostrato una spiccata sensibilità e prudenza: sono ragazzi che hanno difficoltà
ad affermare se stessi nel gruppo dei coetanei. Queste caratteristiche sembrano
denotarli come preda facile del bullismo, ma d'altra parte i ripetuti attacchi dei bulli
accentuano queste loro caratteristiche (ansia, insicurezza e valutazione negativa di se
stessi). Alcuni dati rivelano che le vittime hanno un rapporto particolarmente intimo e
positivo con i genitori, soprattutto con la madre (percepita dagli insegnanti come
iperprotezione). Vittime provocatrici combinazione del modello ansioso e di quello
aggressivo, questi studenti hanno spesso problemi di concentrazione, si comportano in
modo tale da causare irritazione, alcuni vengono definiti iperattivi; il loro
comportamento spesso provoca reazioni negative nei compagni.
Quello che caratterizza le vittime è dunque un modello reattivo ansioso associato a
debolezza fisica.
Studi condotti hanno rilevato che le vittime di tipo ansioso si sono normalizzate all'età
circa di 23 anni: una volta usciti dalla scuola, hanno avuto maggiore libertà di scelta del
proprio ambiente sociale. Questo tipo di vittima è più esposto alla depressione e
sviluppa una scarsa autostima.

2 Olweus D., Bullismo a scuola. Ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono, Cfr.
sintesi in
www.sociologia.uniroma1.it/.../psicologia%20dello%20sviluppo%20e%20d
ell'educazione
Fra i ragazzi la forza fisica gioca un ruolo importante nel bullismo. Le vittime sono più
spesso soggetti fisicamente più deboli della media, ma questo non vuol dire che tutti i
ragazzi dotati di forza fisica la usino per prevaricare gli altri. La ricerca mostra che non
c'è una correlazione significativa tra forza fisica e aggressività, ma ha rilevato
un'associazione tra forza fisica e popolarità e tra debolezza fisica e impopolarità. La
forza fisica può inoltre consentire ad un ragazzo di difendersi ed è quindi un fattore di
protezione contro il bullismo. Nelle femmine la forza fisica non gioca lo stesso ruolo e
non si conoscono fattori di protezione al femminile contro il bullismo.
In una classe ci sono, di norma, tensioni di vario tipo e interazioni aggressive, che
possono avere come obiettivo il divertimento o l'autoaffermazione. In presenza di un
bullo le interazioni sono più dure, irruente e violente; il bullo ha un temperamento
irascibile e anche le difficoltà di poco conto lo spingono all'uso di mezzi violenti e della
forza fisica; i suoi attacchi sono per gli altri spesso causa di sofferenza. Il bullo preferisce
scontrarsi con i ragazzi più deboli, ma non ha paura di litigare anche con gli altri, si sente
forte e sicuro; se in classe c'è un ragazzo passivo e ansioso, viene prontamente scoperto
dal bullo: non reagisce se attaccato, piange, è incapace di difendersi, si sente ed è
isolato. Il bullo vuole che anche gli altri si uniscano a lui e riesce facilmente a convincere
i suoi amici e gregari ad attaccare il ragazzo frustrato; vi è sempre qualcosa nell'aspetto
esteriore della vittima che fa da catalizzatore degli attacchi. Per il bullo osservare gli
altri che molestano la vittima è altrettanto piacevole.
In genere queste situazioni rimangono per molto tempo sconosciute ai genitori, la
stessa vittima non ne parla per paura e vergogna. Il bersaglio diventa sempre più facile:
nessuno dei ragazzi più forti lo difende, tantomeno quelli deboli per paura di diventare
bersagli anche loro; i molestatori non provano mai sensi di colpa e s'innesca un
processo di de umanizzazione della vittima nonché la sua progressiva emarginazione.

Persecutori e vittime: guida per l'identificazione3

Sono stati individuati indicatori primari e secondari, divisione utile ma non sempre
netta; gli indicatori primari sono più direttamente correlati alla presenza del bullismo,
anche quelli secondari rivelano la presenza del fenomeno ma non in modo altrettanto
forte.
Quando sono presenti in un ragazzo solo i secondari è necessario procedere ad
un'analisi più dettagliata. Un ragazzo è prevaricato quando è esposto ripetutamente
nel tempo alle azioni offensive messe in atto da uno o più compagni; il bullismo
implica inoltre un squilibrio di forza e un rapporto di potere asimmetrico. Per valutare
l'importanza di ogni indicatore è necessario considerare la frequenza con cui si
manifesta. Di seguito si riporta una tabella nella quale si distinguono gli indicatori che
aiutano a misurare la frequenza e l'intensità degli atteggiamenti del bullo e della
vittima e le peculiarità di entrambi gli attori del processo: 3

3 Olweus D., cit.


Indicatori della possibile vittima. Indicatori del possibile bullo.
A scuola

Indicatori primari
Sono ripetutamente presi in giro in modo
pesante e ingiuriati, rimproverati, denigrati e
messi in ridicolo, intimiditi e umiliati, dominati
e sottomessi.
Sono fatti oggetto di derisione non
amichevole.
Sono aggrediti fisicamente e picchiati.
Nei litigi e negli scontri sono indifesi e
reagiscono piangendo.
Le loro cose vengono prese, danneggiate e
sparse in giro.
Indicatori (da considerarsi primari o
secondari in base alla frequenza con cui si
ripetono)
Prendono in giro ed in maniera pesante,
rimproverano, intimidiscono, minacciano,
beffeggiano, mettono in ridicolo,
comandano, spingono, prendono a calci e
pugni, danneggiano le cose degli altri.
Tendono a rivolgere questi
atteggiamenti verso gli studenti più deboli,
ma non solo.
Molti bulli restano dietro le quinte e
spingono altri ad agire (la manodopera").
. Presentano lividi, tagli, graffi e vestiti
stracciati a cui non si può dare una
spiegazione naturale.
Indicatori secondari
• Sono spesso soli ed esclusi dal gruppo
dei pari durante l'intervallo e l'orario
di mensa, e sembrano non avere un
buon amico in classe.
• Vengono scelti per ultimi nei
giochi di gruppo.
• Tendono sempre a stare vicino
l'insegnante o qualche
adulto neN'orario d'intervallo.
• Hanno difficoltà a parlare in
classe, sono ansiosi ed
insicuri.
• Appaiono abbattuti, depressi e
piagnucolosi.
• Mostrano un progressivo
peggioramento del rendimento
scolastico.
A casa
Indicatori primari
• Tornano da scuola con vestiti
stracciati e coi i libri rovinati.
• Presentano lividi, tagli, graffi e
vestiti stracciati a cui non
può dare una spiegazione naturale.
Indicatori secondari
• Non portano a casa compagni di
classe o altri coetanei
dopo la scuola.
• Non hanno amici con cui
trascorrere il tempo libero.
• Raramente sono invitati alle feste.
• Sembrano timorosi e riluttanti ad
andare a scuola, hanno
scarso appetito e accusano malessere.
Scelgono percorsi più lunghi per
andare a scuola o tornare a casa.
Dormono male e fanno brutti sogni.
Perdono interesse nella scuola e
riportano voti bassi.
Sembrano infelici, tristi e depressi.
Chiedono o rubano denaro alla famiglia
per assecondare le richieste dei bulli.
Caratteristiche generali della possibile Caratteristiche generali del possibile

vittima. bullo.
• Sono fisicamente più deboli dei loro • Si sa molto di più del bullismo maschile
coetanei che di quello femminile.
• Hanno paura di farsi male, sono • Possono essere fisicamente più forti
fisicamente poco capaci nelle attività dei loro compagni, ma lo sono senz'altro
sportive o fisiche, hanno uno scarso delle loro vittime.
coordinamento corporeo. • Possono essere più grandi o coetanei
• Sono cauti, sensibili, tranquilli, riservati, delle loro vittime.
passivi, sottomessi, timidi, piangono • Sono fisicamente capaci nelle attività
facilmente. sportive o ludiche.
• Sono ansiosi, insicuri, infelici ed • Hanno un forte bisogno di sottomettere,
abbattuti ed hanno un'opinione negativa di dominare e comandare gli altri, di affermare
se stessi. se stessi con la minaccia, di imporre il
• Hanno difficoltà ad affermare se stessi proprio punto di vista.
nel gruppo dei pari, non sono aggressivi,_
• Hanno un temperamento bollente, si
Vittime provocatrici._
arrabbiano facilmente, sono impulsivi e
• Presentano una combinazione dei
poco tolleranti verso la contrarietà.
modelli reattivi di tipo ansioso e aggressivo.
• Non rispettano le regole e tentano di
• Quando in un gruppo classe è presente
acquisire vantaggi anche con l'inganno.
una vittima provocatrice, viene coinvolta
• Sono oppositivi, insolenti e aggressivi
nell'attività offensiva anche tutta la classe.
verso gli adulti.
• Sono più deboli dei loro coetanei, sono
• Sono considerati duri e non sono per
preoccupati della loro incolumità
nulla empatici con le loro vittime.
fisica, sono ansiosi, insicuri, infelici,
• Non sono ansiosi e insicuri e hanno una
depressi e hanno un'opinione negativa di
buona opinione di se stessi con un livello di
se stessi.
autostima sopra la media.
• In età precoce prendono parte a
comportamenti antisociali
^
• Possono essere sgraditi • Il loro rendimento
anche agli adulti. scolastico è vario alle

elementari, ma si
• Possono tendere a abbassa alle scuole

prevaricare gli studenti medie e si accompagna


più deboli. ad un atteggiamento

sempre più negativo


verso la scuola.
3. Il Bullismo: possibili cause e interventi per affrontarlo

Secondo gli studi effettuati negli ultimi anni, cause e concause del fenomeno
sarebbero diverse, e spesso concatenate fra loro. Fra le principali cause:
- scarsa competenza sociale da parte di entrambi i soggetti, bullo e vittima, che
potrebbe derivare dallo sviluppo di una modalità di attaccamento poco corretta nei
confronti dell'adulto caregiver (di solito, la madre) durante i primi mesi di vita del
bambino
- crisi del ruolo paterno, ormai diventato troppo "amicale". I padri, infatti, non
sarebbero più in grado di mantenere autorevolezza e di insegnare l'esistenza del senso
del dovere e della regola, come "limitatore della libertà personale"
- abbassamento, da parte dei ragazzi, della soglia della violenza e del senso della
giustizia, e totale concentrazione su se stessi, a causa dell'eccessiva tolleranza adottata
nello stile educativo genitoriale
- crisi di valori da parte della società adulta, che non è più in grado di offrire punti di
riferimento sicuri e modelli positivi di confronto per l'espressione del disagio degli
adolescenti
- crisi di valori da parte della famiglia, soprattutto se "allargata" e portatrice di
problemi a livello di relazione, che non sa più aiutare gli adolescenti e i pre-adolescenti
nel processo di costruzione della propria identità. Di conseguenza, i ragazzi si rivolgono
al gruppo dei pari, che diventa la "famiglia - surrogato" all'interno della quale
esprimere bisogni e desideri.
Fra le concause è possibile ritrovare:
- problemi a livello psichico di uno dei genitori (anche non conclamati)
- dinamiche comportamentali non contenute dagli insegnanti che hanno in carico i
bambini.
Il bullismo non è un problema solo per la vittima, è un problema anche per tutte le
persone che sanno che questi comportamenti avvengono nella scuola o che vi
assistono, per il clima di tensione e di insicurezza che si instaura.
4È _ importante che tutti riconoscano la gravità degli atti di bullismo e delle
conseguenze negative per la crescita sia delle vittime, segnate da una profonda
sofferenza, sia dei giovani prevaricatori, che corrono il pericolo di indirizzare il loro
cammino verso la devianza e la delinquenza.
Le cause principali di questo fenomeno sono da ricercarsi non solo nella personalità del
bullo, ma anche nei modelli familiari sottostanti, negli stereotipi imposti dai mass-
media e nella società di oggi, spesso disattenta alle relazioni sociali. Un altro fattore che
può innescare e alimentare i comportamenti dei bulli è l'importanz a che riveste il
gruppo di coetanei. Quest'ultimo spesso supporta la prevaricazione fornendo al
prepotente una platea davanti alla quale esso possa affermare la propria supremazia. 4

4 Calzi V., Il Bullismo: possibili cause e interventi per affrontarlo, in


http://www.centropsicologiainsieme.it/site/index.php?option=com_content&view=a
rticle&id=195:il-bullismo- possibili-cause-e-interventi-per-
affrontarlo&catid=57:2011&Itemid=78
Generalmente i componenti del gruppo partecipano alle prepotenze con ruoli diversi,
una parte sostenendo e aiutando attivamente il prevaricatore, una minoranza
prendendo le difese della vittima e i restanti comportandosi da spettatori neutrali.
Esistono anche delle caratteristiche familiari che possono favorire comportamenti
bullistici, come le modalità di gestione della disciplina eccessivamente rigide o
inesistenti, modelli genitoriali aggressivi che possono portare con maggior facilità il
minore ad emulare i comportamenti osservati in ambito familiare e a riproporli in altri
contesti. Gli interventi possibili per prevenire ed affrontare questo complesso
problema sono molteplici, alcuni individualizzati e altri che possono essere inseriti in
contesti più generalizzati.
Alcune strategie che la scuola può adottare per contrastare questo fenomeno
riguardano la supervisione dei docenti durante gli intervalli e la mensa e una
riorganizzazione degli spazi ricreativi. Inoltre, in base all'età degli alunni, gli insegnanti
possono organizzare attività curriculari ed extracurriculari che
permettano di far lavorare i bulli e le vittime sullo sviluppo della comprensione e sulla
regolazione emotiva, promuovendo l'empatia. È importante ricordare che sia i
prevaricatori, che chi subisce le prepotenze sono accomunati dalla scarsa capacità di
comprensione delle proprie e delle altrui emozioni e da un basso livello di empatia, in
particolare nei prevaricatori.

Interventi sui singoli bulli, che possono riguardare "training di alfabetizzazione socio-
emotiva", volti a migliorare le deficitarie abilità deN'inteNigenz a emotiva e le difficoltà
nelle capacità socio-relazionali che li caratterizzano, promuovendo lo sviluppo della
socialità. Approcci punitivi o sanzionatori risultano poco efficaci,
in quanto lasciano il bullo nella sua incapacità di affrontare la vita relazionale, senza
offrirgli strumenti necessari per mettere in atto un cambiamento positivo. È
importante che sia la famiglia, che la scuola non isolino il bullo, in modo da favorire
comportamenti positivi da premiare, soprattutto attraverso i rinforzi sociali, che lui
ricerca con i suoi comportamenti negativi. Interventi sulle relazioni bullo-vittima, che
possono riguardare tecniche di intervento di tipo riparatorio, volte a mediare il
conflitto tra i due e a favorire la comunicazione.
Interventi sul gruppo-spettatore, che possono riguardare tecniche volte a sviluppare le
capacità del gruppo di reagire ad azioni bullistiche in modo corretto, imparando a non
sostenere le prevaricazioni e le prepotenze e a sviluppare una responsabilità globale.
Interventi sulle singole vittime, che possono riguardare lo sviluppo dell'assertività,
attraverso il potenziamento della
stima di sé, spesso logorata da attacchi e critiche. Interventi sulle famiglie, riguardanti
la prevenzione e il recupero, che forniscono informazioni sui metodi educativi più
efficaci per inibire i comportamenti disadattivi dei propri figli. La vera prevenzione
inizia in famiglia. Lo stile educativo genitoriale è importante e può influenzare la
crescita dei figli, ad esempio quello permissivo, autoritario o iperprotettivo, non
promuovono l'autonomia di pensiero e la comprensione delle regole.
Lo stile migliore è quello autorevole, attraverso il quale vengono fornite regole chiare,
seguite da spiegazioni adeguate all'età, alle capacità di comprensione e alle
caratteristiche individuali del minore. Questi genitori chiedono pareri al proprio figlio,
tenendo in considerazione il suo punto di vista, dialogano e si confrontano con lui, ma
sanno anche dire no in accordo con i valori che cercano
di trasmettere. Generalmente i ragazzi che ricevono questa educazione, appaiono più
fiduciosi nelle proprie capacita, socievoli, più responsabili e maturi. Con minore
probabilità saranno possibili vittime, dal momento che sanno affermare il proprio
punto di vista con assertività, senza mostrarsi passivi.

L'atteggiamento dei genitori può influenzare in modo significativo anche i


comportamenti dei figli che agiscono prepotenza. Spesso le figure genitoriali tendono a
giustificare e a proteggere i propri figli, nonostante mettano in atto comportamenti
sbagliati, da chiunque cerchi di renderli consapevoli delle conseguenze derivanti dalle
loro azioni, impedendo così ai figli di assumersi le responsabilità dei propri
comportamenti. In casi maggiormente complessi, i genitori arrivano a criticare coloro
che cercano di intervenire per risolvere la
problematica, così che tutto ciò tende a rinforzare il comportamento sbagliato e a
permettere il perpetuarsi delle prepotenze nei confronti delle vittime.

Nei casi in cui il genitore assume il proprio ruolo educativo e aiuta il figlio ad assumersi
le responsabilità dei propri comportamenti, spesso si crea una relazione positiva che
permette, attraverso l'accoglimento delle emozioni in gioco, di comprendere le
motivazioni profonde che sono alla base delle prevaricazioni e di individuare strategie
risolutive per contrastare il bullismo. In questi casi è importante che i genitori siano
supportati attraverso esperienze formative, in modo da riuscire ad affrontare la
complessità del problema e le possibili resistenze al cambiamento.
I genitori che hanno figli coinvolti in episodi di bullismo, è importante che: spieghino
che il bullismo è un comportamento sbagliato; ascoltino con
attenzione il proprio figlio, tenendo in considerazione i suoi sentimenti e le sue paure;
facciano sentire il minore adeguato e capace, cercando di non gestire tutto loro; lo
aiutino ad esprimere le sue idee riguardanti la possibilità di cavarsela nelle situazioni
difficili, ad esempio scrivendo le proprie idee, discutendo su queste, analizzando da chi
secondo lui potrebbe essere aiutato e da chi no e, infine, scegliendo una sua proposta
e provandola ad attuare. Inoltre, è importante che i genitori non chiamino i figli con
nomi svalutativi/umilianti, aiutino il bambino a costruire la fiducia in se stesso,
focalizzandosi sulle cose che sa fare bene, lo rassicurino che subire prepotenze non è
una sua colpa e che si può agire per affrontare il problema. Se la prepotenza è solo
verbale, i genitori possono, attraverso esercizi a casa, aiutare il minore ad ignorarla (es.
camminare a testa alta), in modo che il bambino comprenda che ciò permette al bullo
di non ottenere la soddisfazione che si aspetta. In alcuni casi i bambini si sentono
protettiti anche dall'immaginazione di avere un muro speciale che li protegge dalle
offese e dal sapere che non sono gli unici a vivere ciò. Il dialogo con la scuola è
basilare, anche perché spesso gli episodi accadono all'interno del contesto scolastico. Il
genitore dovrebbe fare una lista delle cose accadute al proprio figlio, includendo anche
i nominativi dei prepotenti, così da mettere in luce la sofferenza e la paura della
vittima.
Inoltre, è importante parlare con il dirigente per individuare con quali modalità la
scuola affronta il problema del bullismo e come intende muoversi per proteggere il
minore dalle prepotenze.
Il confronto con l'insegnante permetterà di valutare insieme una strategia di intervento
da parte di entrambi. È consigliato un supporto psicologico di una figura professionale,
nei casi in cui il bambino è spesso coinvolto in episodi di prevaricazione in situazioni e
in contesti differenti. È fondamentale, infatti, che il fanciullo non si senta colpevole di
essere oggetto di prepotenze ed è proprio attraverso una terapia psicologica che potrà
essere data al bambino la possibilità di elaborare e di superare tali sensi di colpa.
3.1 Bullismo che cosa possiamo fare: il programma d'intervento5.

I principali obiettivi del programma sono:

o Prevenire, ridurre e possibilmente estinguere i problemi relativi al bullismo.

o Prevenire l'insorgere di nuovi problemi.

o L'attenzione deve essere orientata sia al bullismo diretto che a quello


indiretto.
o Favorire migliori relazioni tra coetanei (vittimeà acquisire maggiore sicurezza a scuola
e maggiore fiducia in se stessi; bullià far meno ricorso a reazioni aggressive e violente e
proporsi in maniera socialmente più accettabile).

o Gli adulti devono essere consapevoli dell'entità del fenomeno ed è indispensabile il


loro coinvolgimento per risolvere il problema.

o Nessuna scuola può essere considerata a prova di bullo: dove c'è aggregazione c'è
una possibilità d'insorgenza del fenomeno.
i. L'intervento a livello di scuola.

• Somministrazione di un questionario per raccogliere informazioni il piu possibile


dettagliate sull'entità del fenomeno, sulla frequenza con cui gli insegnanti
intervengono o parlano del problema, sul livello di consapevolezza dei genitori circa le
esperienze dei loro figli, sul numero degli studenti coinvolti. 5

5 Olweus D., cit.


• Una giornata di dibattito sul problema del bullismo è opportuno organizzarla con la
partecipazione, oltre che del Preside e degli insegnanti, anche dello psicologo
scolastico, lo psicopedagogista e una rappresentanza di genitori e studenti. Si deve
discutere dei risultati della somministrazione del questionario e proiettare una
videocassetta sul bullismo, si deve programmare un piano d'azione a lungo termine,
specifico e realizzabile a livello operativo. Il dibattito favorisce lo sviluppo di un certo
impegno collettivo e una maggiore responsabilità nella scelta del programma.

• Supervisione durante l'intervallo e nell'orario di mensaà si registra un minor numero


di atti di bullismo n quelle scuole in cui vi è un numero maggiore di adulti impiegati in
attività di controllo sulle attività dei ragazzi durante l'intervallo e l'orario di mensa.
L'efficace supervisione è un'ottima misura di prevenzione.
È necessario che oltre che presenti siano in grado e pronti ad intervenire. Devono
saper riconoscere un'azione di bullismo e contrastarla immediatamente per veicolare
chiaramente il messaggio che il bullismo non è accettato. Ci deve essere
comunicazione tra gli insegnanti.

• Predisposizione di spazi più attrezzati e adeguati per la ricreazioneà la scuola deve


tentare di prevenire il fenomeno del bullismo attraverso una più accurata
organizzazione di spazi e tempi. Il bullismo viene messo in atto in specifici ambienti
condivisi (bagni, zone appartate del giardino e della scuola) dove è necessaria una
supervisione particolarmente attenta. Le aree ricreative vanno riorganizzate anche
perché spesso il bullismo è una conseguenza della noia.

• Contatti telefonici molto spesso quando un ragazzo è vittima di bullismo non si


rivolge subito ai suoi genitori o agli insegnanti, per timore di ritorsioni da parte dei
bulli; può accadere anche che i genitori e la vittima non abbiano avuto adeguata
considerazione dall'insegnante a cui si sono rivolti. Per questo è importante stabilire
dei contatti telefonici tra un esperto e i genitori o gli studenti che sentono il bisogno di
una comunicazione provata. Compito principale è ascoltare e fornire un supporto, per
acquisire un quadro della situazione. Questo sistema può essere d'aiuto anche per i
genitori di bulli che richiedono una qualche forma di aiuto a gestire la situazione.

• Incontri tra insegnanti e genitori la stretta collaborazione tra scuola e famiglie è


auspicabile e deve essere promossa a livello di scuola e di singola classe. La scuola
deve incoraggiare i genitori a segnalare loro qualsiasi segnale e garantire la circolarità
delle informazioni: i genitori devono essere informati con dei resoconti e informazioni
sul programma d'intervento contro il bullismo.

• Gruppi di studio d'insegnanti per lo sviluppo di un buon clima scolasticoà la


partecipazione alle modalità d'intervento non deve essere un'occasione isolata ma
ogni insegnante deve far parte di un gruppo di lavoro per lo sviluppo di un buon
ambiente sociale nella scuola. Questi gruppi dovrebbero costituire dei forum per
discutere dei problemi della scuola e condividere le esperienze.

Questo tipo d'incontri sono importanti anche per quegli insegnanti che registrano
scarsi episodi di bullismo, perché la situazione può cambiare da un anno all'altro e
perché i fenomeni durante l'intervallo sono comunque diffusi. Il gruppo deve essere di
massimo 10-12 insegnanti e i gruppi devono essere in costante contatto tra di loro per
lo scambio d'informazioni. Agire secondo una logica comune aumenta le possibilità di
successo delle policy messe in atto.

• Incontri tra genitori se insegnanti e genitori reagiscono allo stesso modo, la


possibilità di ottenere i risultati auspicati aumentano. È necessario che i genitori siano
in costante contatto tra di loro e organizzino degli incontri per confrontarsi sul
problema del bullismo.

2. L'intervento a livello di classe.

• Regole di classe sul bullismo è fondamentale delineare un insieme di regole per


promuovere un clima di classe migliore, è importante coinvolgere gli studenti nella loro
discussione perché aumenta il senso di responsabilità individuale. Una volta decise le
regole possono essere esposte in spazi ben visibili a tutti:
1) non si devono prevaricare altri studenti.
2) si deve cercare di aiutare chi è stato prevaricato.
3) si deve cercare di coinvolgere chi è stato isolato. I

I tipi di comportamento cui si fa riferimento devono essere resi il più possibile chiari
agli studenti: la proiezione della videocassetta può essere un valido aiuto, la lettura e la
discussione collettiva di brani in classe a per conoscere il problema e promuovere
l'empatia con le vittime, il role playing per ricreare le situazioni concrete, il
significato delle regole deve essere reso più chiaro possibile (cosa particolarmente
importante per i bulli che spesso non si rendono conto dell'effettiva conseguenza delle
loro azioni), la partecipazione passiva ("complici"), denunciare la prevaricazione non
vuol dire "Fare la spia", contrastare l'isolamento e coinvolgere i compagni nelle attività.

o Elogi e ricompense rivolti dagli insegnanti agli studenti sono dei mezzi importanti per
influenzare in senso positivo il clima della classe (riconoscimento positivo verso il
singolo, il gruppo o l'intera classe per il rispetto delle regole); i ragazzi bulli n modo
particolare hanno bisogno di attenzioni e rinforzi positivi.
o Sanzioni le ricerche sull'argomento hanno dimostrato che elogi e ricompense non
sono sufficienti, servono anche le sanzioni, le punizioni, da presentare come
conseguenza negativa delle azioni: la giusta combinazione di rinforzi positivi e negativi
porta a risultati più rapidi. Le sanzioni andrebbero decise mediante una discussione di
classe per aumentare il senso di auto-responsabilità e dovrebbero tenere conto
dell'età, del sesso e della personalità dello studente. È fondamentale che gli studenti
aggressivi imparino a rispettare uno slot di regole.
• Incontri di classe sistematici è importante che la classe abbia periodiche occasioni di
dibattito sull'argomento, i cui esiti potrebbero poi essere ulteriormente discussi da
appositi forum insegnanti-genitori. Questi incontri devono essere ispirati alla
spontaneità: eliminare i banchi e la cattedra e sedere tutti in circolo, l'insegnante è il
leader e il moderatore della discussione, tenuti verso la fine della settimana per fare
un bilancio del lavoro fatto.
• Apprendimento cooperativo è diffuso soprattutto in America, si tratta di un tipo
particolare di lavori di gruppo, le ricerche hanno evidenziato che il metodo ha effetti
positivi sull'apprendimento e sul rendimento, gli studenti che vi partecipano tendono
ad essere più positivi verso gli altri, con meno pregiudizi e offrono più sostegno.

Nell'apprendimento cooperativo gli studenti lavorano in piccoli gruppi (2-6 studenti) su


un compito comune, seduti in circolo, vicini; l'insegnante chiarisce che ciò che conta e
viene valutato è il lavoro del gruppo, ognuno deve essere in grado di presentare il
lavoro ed è responsabile dell'apprendimento dei propri compagni. La formazione del
gruppo deve essere fatta dall'insegnante che deve mettere insieme studenti con
diverso livello di apprendimento, ponendo attenzione agli
atteggiamenti dei ragazzi. Non opportuno inserire nello stesso gruppo vittima e
prevaricatore, piuttosto l'ideale sarebbe inserire ragazzi che vengono isolati in gruppi
formati da studenti socialmente positivi e disponibili. È importante fare in modo che
durante l'anno i gruppi cambino la loro composizione per consentire a tutti di lavorare
con tutti.

• Attività positive comuni possono avere un impatto positivo sul gruppo-classe (feste
gite, campeggio) ma l'insegnante deve vigilare affinché invece proprio queste situazioni
non sortiscano l'effetto contrario: essere emarginati in queste situazioni è più penoso
che esserlo a scuola.
• Incontri tra insegnanti, genitori e alunni le discussioni devono essere condotte in
termini generali e senza far nomi, proposte e suggerimenti devono essere posti nel
modo meno specifico possibile. I genitori devono invitare i figli a prendere parte a
queste discussioni e devono accertarsi che abbiano ben chiaro il problema. Tutto
questo può rendere i genitori più partecipi della vita scolastica dei figli, ma gli
insegnanti devono farsi carico di dare fiducia ai ragazzi e ai loro genitori: non sono stati
rari i casi in cui i genitori venivano rapidamente congedai dagli insegnanti proprio
quando andavano a chiedere aiuto per i loro figli prevaricati.
3. L'intervento a livello individuale.

• Colloqui approfonditi con i ragazzi.

o Con i bulli: prima della sanzione deve esserci il colloquio con il ragazzo, individuale
prima e di gruppo poi.

o Con le vittime: la vittima in genere si isola, non parla con nessuno, nemmeno
con i suoi genitori, su cui anzi preme affinché non parli con gli insegnanti del problema.
La vittima va rassicurata e deve avere fiducia proprio negli adulti per la soluzione del
problema. Prima di sollevare il problema in classe dunque bisogna parlare con il
ragazzo prevaricato.
• Colloqui con i genitori dei ragazzi direttamente coinvolti nel bullismo à scoperto il
problema, l'insegnante deve prendere contatto con i genitori per informarli e
promuovere il cambiamento. Può essere utile organizzare un incontro in cui
partecipino il bullo, la vittima e i rispettivi genitori e mantenersi vicendevolmente in
contatto per decidere insieme come muoversi.
o Cosa possono fare i genitori dei bulli ribadire che il bullismo in famiglia non viene
tollerato; fissare delle regole, scrivere delle regole e affiggerle in un luogo della casa
dove siano ben visibili; premiare ed elogiare i ragazzi quando rispettano le regole;
sanzionarli quando non le rispettano; discutere insieme di quali saranno i
provvedimenti presi nel caso in cui non le rispettino; i genitori devono conoscere gli
amici del figlio e sapere cosa fanno quando sono insieme; sollecitare il figlio ad
intraprendere un'attività sportiva in cui convogliare la propria forza fisica.
o Cosa possono fare i genitori delle vittime contattare gli insegnanti quanto prima se si
accorgono che il figlio è stato prevaricato e la scuola non se n'è accorta; aumentare
l'autostima del ragazzo, incoraggiandolo ad esprimersi e sviluppare le sue abilità, per
potersi affermare nel gruppo dei coetanei; il ragazzo deve irrobustirsi fisicamente,
facendo uno sport adatto; lo sport consente di entrare in contatto con altri coetanei;
esortare il ragazzo a fare amicizia con compagni di classe tranquilli e socievoli; dare
consigli su come fare amicizia e stabilire contatti; sostenere e incoraggiare il figlio ma
senza essere iperprotettivi.
4. Effetti del programma d'intervento
Il programma d'intervento era costituito da un libretto per l'insegnante (il contenuto
era in pratica molto simile ai primi 6 capitoli del libro), una cartella per i genitori, la
videocassetta sul bullismo e il questionario, ed è stato accettato piuttosto
favorevolmente. Si sono evidenziate marcate riduzioni di circa il 50% o più dei problemi
legati al bullismo (per lo più diretto) durante i 2 anni successivi all'introduzione del
programma; gli effetti sono risultati più marcati dopo i 2 anni che dopo 1 anno; è stato
evidenziato un calo dei comportamenti antisociali in genere (risse, vandalismo,
calunnie); è migliorato sensibilmente il clima scolastico; è aumentato il grado di
soddisfazione verso la vita scolastica da parte degli studenti.
Ci sono 3 principi chiave che sottostanno al piano d'intervento: 1) è importante creare
a scuola e a casa un ambiente accogliente, caratterizzato dalla partecipazione attiva e
positiva degli adulti; 2) è importante porre limite a comportamenti inaccettabili; 3) è
necessario punire e sanzionare la trasgressione delle regole. Ci sono 4 sotto-obiettivi al
programma: 1) promuovere la conoscenza e la consapevolezza dei problemi legati al
bullismo; 2) stimolare il coinvolgimento attivo di insegnanti e genitori; 3) sviluppare
chiare regole contro il bullismo; 4) fornire sostegno e protezione alle vittime.
PERCHÉ FERMARE IL BULLISMO?

Gli atti di bullismo e di violenza subiti in età di frequentazione della scuola primaria e
in adolescenza possono essere anche molto gravi.

Per quanto concerne la vittima, molte funzioni possono essere compromesse: la


stabilità psichica, il carattere, la personalità, i rapporti affettivi, i rapporti relazionali. Le
vittime possono mostrare poca autonomia, ansia, insicurezza. Sono maggiormente
esposte a rischio depressione e fallimenti lavorativi e sentimentali. Possono avere
attacchi di panico. A volte, i fallimenti nella vita, associati ad una già fragile personalità
ed ai traumi subiti, possono favorire istinti suicidi.
Molto diverse sono le conseguenze sul bullo. Alcuni studi evidenziano come alcuni bulli
possano da grandi finire nelle maglie della criminalità,in quanto essi possono
commettere errori a causa delle loro personalità che vanno dall'impulsività,
all'indifferenza sociale, all'aggressività, e per soddisfare i propri interessi possono agire"
illegalmente. Di seguito, si riporta una griglia nella quale si evidenziano le
conseguenze positive derivanti da una riduzione del fenomeno del bullismo a scuola:
Contribuisce alla
Migliora lo star bene a Insegna a gestire i
creazione di un clima
scuola conflitto
scolastico favorevole
all apprendimento

Coinvolge i genitori su
Favorisce atteggiamenti LA RIDUZIONE DEL
BULLI SMO aspetti educativi
cooperativi e
co aborativi

Rafforza le vittime e le Contribuisce alla Costituisce il terreno


toglie dall'isolamento prevenzione della sociale per l'educazione
delinquenza alla legalità
4. Un aiuto dalla intelligenza emotiva

Il bullismo è cambiato anche dal punto di vista qualitativo, oggi è un fenomeno


trasversale a qualsiasi classe sociale, non solo appannaggio dei ceti sociali
svantaggiati. E allora quale strategia è più efficace per contrastare questo fenomeno,
che compromette lo sviluppo psicofisico e sociale, di chi ne è coinvolto anche in età
adulta? Sicuramente non esiste una soluzione che punti su un'unica direzione; allo
stesso modo sortiscono pochi effetti gli interventi concentrati solo sul bullo o sulla
vittima.
La valutazione sui risultati di alcuni progetti di prevenzione messi in campo, sia in
Italia che all'estero dimostra che la prevenzione al bullismo, risulta efficace quando
gli interventi abbracciano i vari ambiti di socializzazione in cui è coinvolto il bambino
o l'adolescente, dalla famiglia alla scuola, fino alle associazioni sportive e ricreative.
La domanda da porsi allora è: quale prevenzione? Quale strategia è importante
mettere in atto, quale tecnica occorrerebbe privilegiare?
Sicuramente non si può rispondere a questa domanda in modo univoco. Tuttavia misure
improntate soltanto al rispetto delle regole, di stampo meramente disciplinare e
repressivo, seppur necessarie, non sortiscono molti effetti nel lungo periodo.
Secondo Savigliano, infatti, "se un preadolescente può fermarsi alla fase
dell'eteronomia piagetiana o imparare dai comportamenti in forza di un addestramento
meccanico, un adolescente necessita di un registro più profondo, più di natura
educativa, di evocazione e potenziamento delle sue energie profonde, di scoperta del
particolare (norma) come strada per la totalità (compimento di sé)" (Savigliano, 2010).
Puntare su iniziative di educazione alla legalità è importante, ma affinché non vengano
dimenticate subito dopo, è necessario che le regole vengano interiorizzate, che
coinvolgano la sfera emotiva dei ragazzi. L'educazione alla legalità sarà tanto più
efficace, quanto più sarà affiancata da altrettante iniziative che promuovano lo sviluppo
della cosiddetta intelligenza emotiva.
Secondo la definizione di Goleman, per intelligenza emotiva, s'intende "la capacità di
motivare se stessi e di persistere nel perseguire un obiettivo nonostante le frustrazioni;
di controllare gli impulsi e rimandare la gratificazione; di modulare i propri stati d'animo
evitando che la sofferenza ci impedisca di pensare; e ancora, la capacità di essere
empatici e di sperare (...). La vita emotiva è una sfera che, come sicuramente accade nel
caso della matematica o della letteratura, può essere gestita con maggiore o minore
abilità, e richiede un insieme di competenze esclusive" (Goleman, 1996).
L'intelligenza emotiva, sarebbe quindi alla base dello sviluppo delle cosiddette life skills,
di quelle abilità sociali e di vita, che sono alla base, di un adeguato adattamento nella
relazione con compagni ed insegnanti, oltre che di un proficuo rendimento scolastico.
Aiutare infatti il bambino a prendere consapevolezza delle proprie emozioni, è il punto
da cui partire, affinché possa gestirle, controllarle, ed indirizzarle al raggiungimento dei
propri obiettivi, inoltre prendendo coscienza del proprio mondo emotivo, sarà
maggiormente in grado di provare empatia nei confronti dei suoi coetanei.
Le ricerche dimostrano che, per l'assunzione del ruolo di bullo o di vittima, gioca un
forte peso, lo stile educativo della famiglia di appartenenza. In particolare è forte la
correlazione tra il mettere in atto una condotta da bullo a scuola, e l'aver sperimentato
in famiglia situazioni di maltrattamento fisico e psicologico; soprattutto nel caso in cui il
bambino non ne capisca il motivo, potrebbe sperimentare stati di frustrazione così
forte, che se non elaborati correttamente, potrebbero sfociare in forme di aggressività
esacerbata nei confronti di bersagli più deboli.
Allo stesso modo, la vittima di bullismo, in generale, proviene da una famiglia
iperprotettiva ed invischiata. Ciò non consente di sperimentare un certo grado di
autonomia e di "frustrazione ottimale", che consente di prendere consapevolezza dei
propri punti di forza e di debolezza, di esplorare il mondo esercitando adeguate
capacità sociali e relazionali. Capita a volte che durante l'infanzia e l'adolescenza, i
bambini sperimentino alcune situazioni come un trauma, mentre per gli adulti sono di
poca importanza.
Se il bambino non è aiutato a elaborare queste emozioni correttamente, e a prenderne
consapevolezza, il rischio è quello che si costituisca un substrato di sofferenza, possibile
fonte di comportamenti devianti.
Per questi motivi, è importante il ruolo esercitato dai servizi sociali nella prevenzione al
fenomeno del bullismo. Purtroppo ancora oggi, nella maggior parte dei casi, l'assistente
sociale interviene solo quando il disagio sfocia in casi emergenza conclamata; ad
esempio nell'ambito dell'Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni, quando a seguito
della condotta da bullo, il minore provochi dei danni ascrivibili al codice penale.
Il bullismo non è un problema solo per la vittima, ma si rivela un disagio anche per tutte
le persone che assistono a questi comportamenti, per il clima di tensione e di
insicurezza che si instaura. I possibili interventi di educazione e prevenzione al bullismo
possono essere diversi e riguardare anzitutto la sfera emozionale e comunicativa:
• Educare al "sentimento" che ci consente di distinguere cosa sia il bene e cosa il
male;
• Educare a comportamenti di accettazione, solidarietà e collaborazione;
• Insegnare a comunicare, in un'ottica di educazione alla pace e di prevenzione del
disagio;
• Dare obiettivi di crescita intellettuale, che producano convinzioni sulle proprie
capacità, incoraggiando, valorizzando l'impegno e lo sforzo;
• Educare a comportamenti corretti nei vari ambiti sociali e all'uso di registri
linguistici adeguati;
• Educare alla gestione del conflitto;
• Mettere in atto comportamenti di autonomia, autocontrollo, fiducia in sé;

• Accettare, rispettare, aiutare gli altri e i diversi da sé, comprendendo le ragioni dei
loro comportamenti;
• Attivare atteggiamenti di ascolto, conoscenza di sé e di relazione positiva con i
compagni e con gli adulti;
• Imparare ad esprimere verbalmente e fisicamente la propria emotività ed
affettività.

L'educazione emotiva è fondamentale già a partire dai primissimi anni dell'infanzia. Il


noto filosofo e sociologo Umberto Galimberti si è riferito ai giovani e alle loro capacità
empatiche ed emozionali, come a soggetti divenuti "analfabeti emozionali" in una
a a \ a a l a I a _ \ I - I a a \
a I a a a a

società in cui la razionalità assoluta non lascia più spazio a pulsioni e passioni.
Secondo Galimberti, deve esserci necessariamente un'educazione ai sentimenti che
deve cominciare in tenerissima età, proprio perché i sentimenti non si trasmettono
geneticamente né rientrano nella categoria delle pulsioni biologiche. I sentimenti si
apprendono e questo processo di apprendimento si realizza attraverso la costruzione
di mappe emotive, le quali consentono a loro volta la costruzione di relazioni sane ed
equilibrate.
Quando e chi compone queste mappe emotive? Le mappe emotive si formano
attraverso la cura che i bambini ricevono sostanzialmente nei primi tre anni di vita e
servono a sentire il mondo e a reagire agli eventi in modo proporzionato. Afferma
Galimberti: "Se nei primi tre anni di vita i bambini non sono seguiti, accuditi, ascoltati
allora ci si trova di fronte ad un misconoscimento che crea in loro la sensazione di non
essere interessanti, di non valere niente.
Crescono così senza una formazione delle mappe cognitive, rimanendo a un livello
d'impulso. Gli impulsi sono fisiologici, biologici, naturali. Il passo successivo dovrebbe
essere di passare dagli impulsi alle emozioni ovvero a una forma più emancipata
rispetto all'impulso. L'impulso conosce il gesto, l'emozione conosce la risonanza
emotiva di quello che si compie e di quello che si vede. Poi si arriva al sentimento che è
una forma evoluta, perché non solo è una faccenda emotiva, ma anche cognitiva. Il
sentimento si apprende. Le mamme comprendono i bambini che non parlano perché li
amano. Gli amanti, proprio perché si amano, si capiscano tra loro molto più di quanto i
loro discorsi non dicano e siano comprensibili agli altri. Il sentimento è cognitivo e
consente di percepire il mondo esterno e gli altri in maniera
adeguata, con capacità di accoglienza e di risposta adeguate alle circostanze."6.
Il sentimento, dunque, si acquisisce culturalmente e spesso è stata la letteratura il
luogo metaforico in cui si sviluppava tutta la fenomenologia dei sentimenti umani,
dalla gioia al dolore, dalla disperazione alla noia. Se queste mappe cognitive emotive
non si formano, la maturazione sentimentale dei ragazzi si blocca e rimarranno fermi
ad un livello di pulsione che è ancora inferiore a quello di emozione. A conferma di
quanto detto, la sociologia delle emozioni opera già una distinzione a livello
emozionale:

le emozioni primarie (gioia, tristezza, rabbia, disgusto, interesse, paura) compaiono


presto non presupponendo un'attività cognitiva, non si basano quindi sulla coscienza di
sé;
le emozioni secondarie (vergogna, senso di colpa, orgoglio empatia, simpatia,
rimpianto) implicano un'autocoscienza, presuppongono cioè una riflessione su di sé.
(Cattarinussi, 2006).

I genitori sono i primi a gettare le fondamenta di queste mappe emotive. La famiglia è


definita dalla sociologa Chiara Saraceno come: "lo spazio insieme fisico, relazionale,
simbolico apparentemente più noto e comune, al punto da essere usato come
metafora per tutte quelle situazioni che hanno a che fare con la spontaneità, con la
naturalezza, con la riconoscibilità senza bisogno di mediazioni; la famiglia si rivela uno
di quei luoghi privilegiati di costruzione sociale della realtà"7.
La famiglia varia nel tempo e nelle culture e le relazioni familiari sono variabili nel
tempo e nello spazio, tanto da definirla un gruppo sovrafunzionale perché assolve ad
una molteplicità di funzioni sociali implicando tutte le dimensioni dell'esistenza umana
(biologiche, psicologiche, economiche, religiose, giuridiche) (Di Nicola, 2006). Diversi
studi sociologici hanno fotografato la metamorfosi della tipologia famigliare nella
società postmoderna, evidenziando come la famiglia di oggi appare ridotta
numericamente (famiglie uni-personali, mono-genitore), variegata (famiglie ricostituite,
multietniche, di fatto).

6http://wisesociety.it/incontri/umberto-galimberti-la-nostra-societa-ad-alto-tasso-di-

psicopatia-non-e-adatta-a- fare-figli/
7 Saraceno C., Psicologia della famiglia, Il Mulino, Bologna, 1996.
I bambini sono esposti a continue mutazioni delle situazioni familiari e con la
moltiplicazione di regole e valori, l'istituzione familiare non è più in grado di garantire
una socializzazione primaria universalmente omogenea. Intervengono figure
significative esterne alla famiglia (baby-sitter, educatrici scuola materna), i tempi
diventano frenetici anche per i piccoli impegnati in mille attività e senza avere il tempo
di imparare cos'è l'ozio, la lentezza, la noia. Anche i bambini vengono bombardati da
messaggi pubblicitari che inneggiano al consumo e a modelli standardizzati e inarrivabili
di successo e perfezione, sviluppando narcisismo e competizione. Tutto ciò amplifica un
senso di disorientamento emotivo.
"David Cooper, psichiatra britannico, in una delle sue opere più celebri La morte della
famiglia, decretava la fine della sua funzione tradizionale di supporto, di guida, di
luogo solidaristico, affettivo e formativo per eccellenza (...) generando una crisi
profonda di identità, con fasi di disorientamento e smarrimento che l'hanno resa
instabile, isolata. (...) Questa famiglia postmoderna di impronta individualistica,
presenta il rischio di una maggiore instabilità rispetto al passato. Beck (2000) ha
definito il matrimonio un'impresa rischiosa e Bauman (2006) ha inventato l'espressione
amore liquido per sottolineare la fragilità dei legami affettivi nella società di oggi.
Tuttavia, secondo l'opinione di autorevoli studiosi, questi mutamenti non dimostrano
la fine della famiglia, ma al contrario la sua capacità di
adattarsi ai cambiamenti sociali"8.
La famiglia rimane l'unico baluardo a difesa di una società sempre meno solidale e, per
certi versi, disumanizzante. A maggior ragione, il ruolo dei genitori resta fondamentale
nella costruzione di una sensibilità per la prole, nonostante i ritmi frenetici impongano
una assenza prolungata e la delega dell'educazione a figure esterne.
Col passaggio del bambino in età scolare saranno sempre più la scuola, gli insegnanti e
gli educatori i soggetti a cui è affidato il delicatissimo compito di proseguire nella
corretta costruzione di queste mappe emotive, trasferendo nozioni e conoscenze
stimolando, in primis, la passione per l'apprendimento. Provare gioia nell'imparare
creerà i presupposti per una comprensione profonda. È come se si attraversasse il cuore
per arrivare alle teste, innescando un forte coinvolgimento.
Continua Galimberti: "Se le mappe emotive non si formano abbiamo un rapporto
squilibrato, una risonanza emotiva inadeguata rispetto agli eventi da affrontare.
Prendiamo un esempio tra i casi patologici degli ultimi anni. Il giorno in cui Erika e

Omar9 uccisero la madre e il fratellino, si recarono, come ogni giorno, a bere la birra al
bar del quartiere.

8 Pini G., Genitori nella rete del bullismo, Armando Curcio Editore, Roma 2012.

9 Il delitto di Novi Ligure, Cfr.: https://it.wikipedia.org/wiki/Delitto_di_Novi_Ligure


Questa reazione è la conseguenza della mancata presenza di mappe emotive e di
risonanza di quanto accaduto. Mancanza che non ha consentito loro di riconoscere la
differenza tra bene e male. Il filosofo Immanuel Kant diceva che la definizione di bene e
male possiamo anche non definirla perché ognuno la comprende e la sente da sé. Usa
proprio la parola sentire, e se la differenza tra bene e male non si sente e non si
percepisce rischiamo che un ragazzo non capisca la differenza che c'è tra corteggiare
una ragazza o stuprarla, o tra discutere con il professore e prenderlo a calci. Non sentire
più la differenza tra bene e male, tra il giusto e l'ingiusto, tra ciò che grave e
ciò che non lo è, denota una mappa emotiva non costituita"10
È in questo modo che dalla mancanza di empatia si passa all'apatia, con l'estinzione di
emozioni e desideri.
Tornando ai fenomeni di bullismo, nelle sue forme più gravi o persistenti nel tempo il
bullismo investe fondamentalmente le emozioni di ostilità, di rabbia (emozione
primaria che non passa per un'analisi cognitiva), di violenza, gli atteggiamenti di
dominio nel gruppo; in chi agisce prepotenza la ricerca di identità e di legame affettivo
non può, per varie ragioni, avvenire con modalità propositive, ma avviene attraverso la
prevaricazione.
Risolvere propositivamente i conflitti sociali, comporta il saper affrontare anche le
emozioni di rabbia, di tristezza, di solitudine, il senso di incapacità, il senso di
fallimento; significa affrontarle condividendole con i bambini ed i ragazzi, non tanto e
non solo discuterne razionalmente, ma sentirle insieme, per poterli accompagnare, in
una specie di tutoraggio indiretto, in un percorso che li renda capaci di tollerarle, di
viverle pienamente, di esprimerle in modi propositivi,
senza rinunciare ad esprimere la propria individualità, ma trovando i necessari
compromessi tra le proprie esigenze e quelle degli altri. Il "sentire", dunque, è la
capacità precipua da sviluppare in una società anestetizzata.
Al di là, infatti, delle definizioni tecniche, sociologiche e storiche del bullismo, è
indubbio che esiste una violenza insita nell'essere umano, probabilmente ancestrale,
che nell'attuale società è fin troppo amplificata dai mezzi di comunicazione di massa.
Ricercare il sensazionalismo da parte dei media nelle storie di bullismo, è un altro di
quegli aspetti che conferisce una risonanza immeritata ed equivoca a questo fenomeno
violento e prevaricatore, che mette in ombra i tanti esempi positivi di una
gioventù ricca di virtù e propositiva11.
Ecco, allora, come l'educazione emotiva si rivela un percorso necessario. È importante
avviare i bambini fin dai primi anni della scuola primaria ad un percorso, strutturato in
base all'età, di conoscenza e di scoperta di sé, delle proprie sensazioni, di accettazione
e di rielaborazione delle proprie emozioni, di analisi dei propri comportamenti. Allo
stesso modo, è possibile insegnare a contenere e a tollerare, senza espellere le
emozioni in comportamenti impulsivi; maturare cioè la capacità di guardare le
emozioni dolorose e sopportarle, senza agire necessariamente d'impulso. Secondo
Jung la coscienza di sé è il vero scopo della vita e solo se si è coscienti di sé, si può
pensare di assumere dei comportamenti diversi e delle modalità di comunicazione e di
relazione positive.
La consapevolezza e il riconoscimento di un episodio di prepotenza, nel caso del
bullismo, è il primo passo del lungo cammino verso la soluzione del problema,
imparando ad accettare le proprie debolezze senza mascherarle con atti di forza e
violenza, e instaurando una relazione empatica con l'altro in un mutuo bisogno di
riconoscimento e accettazione.

11 Pini G., op. cit..


Conclusioni

Da questa analisi risulta evidente che sono sicuramente ipotizzabili forme di intervento
che possano prevenire e ridurre i comportamenti tipici del bullismo, anche se le
modalità si presentano molto articolate e complesse. Abbiamo visto come una
qualsiasi azione educativa, in tal senso richiede necessariamente il concorso di più
contesti: famiglia, scuola, comunità sociale. Da tempo la letteratura psicologica si
interessa del comportamento pro sociale. Esso riguarda azioni dirette ad aiutare o
beneficiare un'altra persona o gruppo di persone, senza aspettarsi ricompense
particolari.
"Una gran varietà di comportamenti è compresa in questo termine, includendo
generosità, altruismo, comprensione, aiuto a gente in difficoltà attraverso assistenza
materiale o psicologica, divisioni di beni, donazioni di carità e partecipazione ad attività
destinate a migliorare il benessere generale riducendo le ingiustizie sociali, le
ineguaglianze e le brutalità" (Mussen, Eisenberg-Berg, 1985, p.15). Una condizione che
favorisce l'acquisizione di comportamenti pro sociali nel contesto familiare è costituita
dagli esempi di tali comportamenti offerti al bambino sia dai genitori che da altri
modelli significativi, nonché dal processo di identificazione che spinge il bambino ad
assumere tali esempi come riferimento per il proprio comportamento.
Si è accertato, per esempio, che l'osservazione di un modello impegnato in condotte
pro sociali incide significativamente sui comportamenti di generosità e di aiuto nei
bambini e che tali comportamenti permangono abbastanza stabili nel tempo e
vengono estesi ad altre situazioni. Inoltre quanto più il modello è affettivamente forte
tanto più gli effetti dell'imitazione sono consistenti. Accanto alla proiettività parentale,
manifestata mediante amore, cure, lodi e piacere per gli obiettivi raggiunti dai figli, un
ruolo rilevante è svolto dalla costanza e chiarezza della comunicazione tra genitori e
figli. Dopo la famiglia, la scuola è la seconda più importante agenzia di socializzazione.
In essa l'educazione alla prosocialità trova possibilità di attuazione nell'ambito delle
specifiche attività di apprendimento.
Ai genitori, in particolare, è chiesta una presa di coscienza delle responsabilità
educative mediante seminari, conferenze e focus group organizzati dalle stesse scuole.
È in gioco il rapporto tra le generazioni ed un futuro migliore per tutti. Troppe famiglie
registrano un fallimento nell'educazione dei propri figli che appaiono viziati dal troppo
benessere. Bisogna ripartire dalla comunicazione emotiva e dai legami affettivi per
affrontare il terremoto attuale nella relazione tra genitori e figli. La famiglia di oggi è
troppo fragile. Occorre una politica organica per la famiglia ed un serio progetto di
scuola per genitori.
Obiettivo comune delle agenzie educative non può non essere la crescita del senso di
responsabilità dei giovani. Ad essi vengono riconosciute oggi enormi libertà. Si tratta
però di una evoluzione che anticipa le tappe della crescita. In altri termini la crescita
non corrisponde a maturazione e responsabilità. Aumentano le aspettative nei loro
confronti e diminuiscono le opportunità di inserimento stabile nel mondo del lavoro e
nella vita pubblica. Da qui una gigantesca solitudine che deriva da una grande
sproporzione tra aspettative e quotidianità. Il risultato finale è l'incomunicabilità in un
deserto di relazioni superficiali. Il mondo si è ristretto emotivamente e sullo sfondo
appaiono sempre più adulti egoisti e lontani dalle
giovani generazioni.
Di fronte ai molti ragazzi viziati dobbiamo interrogarci sulle enormi facilitazioni
esistenziali che non incoraggiano l'autonomia e la crescita dei figli. Dobbiamo
comprendere le cause della incomunicabilità emotiva tra le generazioni. Essendo
troppo fragile la comunicazione emotiva in famiglia e nella scuola, dobbiamo avviare
veri e propri percorsi formativi per apprendere a comunicare. All'amore di tipo egoistico
urge sostituire un serio accompagnamento lungo le vie difficili della vita per aiutare
una piccola persona a crescere con i suoi tempi.
Serve una grande iniezione di autorevolezza. Quanto sono patetiche certe figure
genitoriali e di alcuni docenti inesperti! Non c'è progetto educativo senza regole e senza
l'autorevolezza necessaria a declinarle. Essere adulti implica credibilità, coerenza, buon
senso, autorevolezza.
Dobbiamo ricreare spazi per un dialogo educativo: oratori, scuole aperte di pomeriggio
con attività interessanti, aule didattiche decentrate nel territorio. Rimane importante
l'educazione fra pari ma determinante è dare l'esempio nel rispetto delle regole da
parte degli adulti. Contro l'omologazione culturale e degli stili di vita serve poi una
forte educazione al pensiero critico, alla libertà reale, al sogno, alla curiosità,
all'utopia. Troppo appiattimento educativo si può notare con il rischio della
sclerotizzazione della personalità dei ragazzi. Dobbiamo farli uscire dalla
normalizzazione del gruppo, ascoltarli, entrare in sintonia, simpatia, empatia con loro.
La scuola, in particolare, oltre a diventare attraente attraverso cospicui investimenti in
strutture sportive, tecnologiche ed in risorse professionali, deve esigere impegno e
risultati di qualità. Così si aiutano i ragazzi a crescere con personalità forti, capaci di
affrontare le situazioni sfavorevoli della vita e, nello stesso tempo, si aiuta l'Italia a
vincere le sfide della competizione internazionale per riposizionarsi nel mondo
globalizzato. Senza merito e fatica non si ottengono risultati stabili. Questo è un
messaggio educativo elementare.

Esaminiamo ora le linee di indirizzo per la prevenzione e la lotta al bullismo


(Direttiva ministeriale n. 16 del 5 febbraio 2007).
Obiettivo principale è "la valorizzazione della persona, la crescita e lo sviluppo
educativo, cognitivo e sociale del singolo discente mediante percorsi di apprendimento
individualizzati e interconnessi con la realtà sociale del territorio, la cooperazione, la
promozione della cultura della legalità e del benessere dei bambini e degli adolescenti".
L'azione di contrasto al bullismo appare come una tipica azione di sistema in cui è
fondamentale l'alleanza tra le diverse agenzie educative, ma che vede la scuola in
particolare interrogarsi sulla sua proposta educativa verso i giovani. Maturazione degli
adolescenti significa "introiezione lenta e profonda della conoscenza che acquista
significato se diventa contemporaneamente opportunità per l'assunzione di
comportamenti consapevoli e responsabili, dando luogo a quel processo, progressivo e
"faticoso", di assimilazione critica del reale."
Il problema è come calare questo approccio nella proposta didattica quotidiana dei
nostri docenti spesso chiusi in una visione parcellizzata delle loro discipline con
l'assenza della cura degli obiettivi trasversali e senza la consapevolezza del progetto
educativo comune. Ad esempio, l'educazione alla legalità interessa un singolo progetto
o responsabilizza tutti i docenti della classe? Quali strumenti mette concretamente a
disposizione delle scuole il Ministero per una seria azione interistituzionale capace di
sostenere lo sviluppo armonioso delle personalità dei ragazzi e di realizzare il successo
formativo? Sono sufficienti campagne di informazione, numeri verdi, osservatori
regionali ed inasprimento delle sanzioni? È evidente che la risposta efficace al
fenomeno è collocata in alto, al livello di un curricolo di qualità in un ambiente di
apprendimento attraente e significativo.
Questo richiede massicci investimenti per anni come risultato di una chiara volontà
politica tesa a fare dell'educazione e della formazione la vera priorità del Paese.
Il bullismo è un fenomeno complesso che si situa nel gruppo dei pari e che si manifesta
con atti di prepotenza e sopraffazione e di tacita accettazione degli stessi. Il bullo
individua la vittima con il chiaro obiettivo di danneggiarla facendo del male. Si tratta di
prepotenze fisiche e/o verbali oppure di dicerie sul conto della vittima per escluderla
dal gruppo, anche attraverso forme elettroniche.
È difficile sfuggire alla persecuzione pervasiva dei nuovi strumenti tecnologici capaci di
veicolare parole ed immagini in tempo reale.
Le scuole devono interrogarsi inoltre sulle finalità educative delle sanzioni disciplinari.
Sulla base dello Statuto delle studentesse e degli studenti (DPR 249/1998) e del
Regolamento d'Istituto, gli studenti protagonisti di atti di bullismo sono chiamati a
comportamenti attivi tesi a "riparare" il danno arrecato. Quando i fatti sono
particolarmente gravi è inevitabile il ricorso all'autorità giudiziaria. Certezza e
tempestività degli interventi disciplinari sono determinanti per indurre le vittime del
bullismo a superare il timore di denunciare i soprusi subiti. Bene quindi la funzione
educativa delle sanzioni ma anche tolleranza zero verso ogni forma di prepotenza.
Indubbiamente va superato un certo lassismo/buonismo serpeggiante in molte scuole.
Spetta poi ai Regolamenti d'Istituto graduare le sanzioni in modo proporzionale rispetto
alla gravità delle varie forme di bullismo (art. 4 DPR 249 del 1998).
Naturalmente bisogna avere cura della natura personale della responsabilità, del
principio di separazione della condotta dalla valutazione del profitto, della facoltà
dello studente di esporre le proprie ragioni, del principio della riparazione del danno,
della convertibilità delle sanzioni in attività a favore della comunità scolastica, della
collegialità delle sanzioni. Purché viva la certezza della sanzione e la tolleranza zero di
ogni tipo di violenza. Importante è avere un repertorio condiviso di sanzioni a livello
nazionale tra le scuole oltre ad una semplificazione nelle procedure per l'irrogazione
delle sanzioni. Non serve allontanare i ragazzi dalla scuola ma avviare seri percorsi di
recupero e sanzioni esemplari nei casi più gravi.
Quale educazione proporre oggi?
Innanzitutto dobbiamo credere nelle potenzialità dei ragazzi. Ogni allievo ha un talento.
Questo può essere coltivato tra punti di forza e di debolezza in un contesto di libertà,
creatività, autonomia ed autostima. All'interno di una pedagogia della libertà i nostri
ragazzi devono essere aiutati ad osare, a non porsi troppi limiti, per lasciarsi guidare da
una sana ambizione, dalla fantasia e non rimanere prigionieri di una visione
ragionieristica della vita. Quanti studenti vivono nella frustrazione, causa non ultima
della violenza attuale? Da dove scaturisce questa frustrazione se non da una incapacità
di osare?
È il grande vuoto esistenziale in cui vivono immersi gli adolescenti il problema da
risolvere da parte di amministratori locali, genitori e docenti. Quando si confrontano
con gli adulti I nostri ragazzi? Chiusi nella tristezza del loro mondo virtuale, essi
raramente si confrontano con gli adulti. Pertanto è urgente riaprire centri di
aggregazione giovanile in orario pomeridiano, la scuola stessa aperta di pomeriggio con
attività interessanti, gli oratori, i centri comunali con gli animatori. I giovani devono
vivere in spazi aperti e tranquilli, anche attraverso percorsi di educazione ambientale,
campetti di calcio per partite non strutturate, visite guidate. Troppo tempo passano
attualmente in spazi chiusi come le loro camerette, le discoteche rumorose, pub ecc...
Questa è una delle cause della loro aggressività che può sfociare nel bullismo.
Non possiamo trascurare il fatto che ragazzi, anche di ambienti familiari sani, non
riuscendo ad emergere attraverso l'impegno nello studio con giuste ambizioni si
mettono in evidenza con atti di bullismo o di vandalismo con la certezza della visibilità
che l'evento procura nella società della comunicazione. Pur di sfuggire alla noia
quotidiana, scatta il piacere della ribalta, in presenza poi di sanzioni blande e di un
clima permissivo. La trasformazione della violenza in forme sempre più telematiche,
più simboliche e sadiche, rispetto alla pura forza fisica, finisce poi per attrarre sempre
più ragazze.
Che fare?

Una buona pratica potrebbe essere rappresentata da un dialogo aperto, a 360 gradi
con il Dirigente scolastico, almeno una volta a settimana, sulle problematiche giovanili e
sul loro disagio, in modo da disinnescare il potenziale aggressivo e orientarlo verso le
espressioni creative. Chi lo desidera può partecipare a questo confronto profondo con
un adulto, fuori dagli schemi rigidi di una classe. Anche i docenti ovviamente devono
tenere aperto un dialogo educativo dentro le loro ore di lezione, senza lasciarsi
prendere troppo dall'ansia del programma. I politici sono chiamati a risolvere il
problema di come proteggere i nostri adolescenti dalla pedagogia nera dell'orrore via
Internet, playstation e Tv-spazzatura.
È ora di prendere coscienza della necessità di applicare le regole con fermezza. I padri,
gli insegnanti devono riapparire sulla scena dell'educazione, dopo una assenza troppo
prolungata. Famiglie consapevoli dell'essere primariamente gruppo sociale educativo
devono chiedere ai figli impegno domestico, anche manuale, spezzando pericolosi
cordoni ombelicali falsamente protettivi. La famiglia non è una sommatoria di individui
ma gruppo affettivo complesso. È essenziale allora il dialogo, la verbalizzazione dei
sentimenti, delle esperienze e delle emozioni, soprattutto nella ritualità quotidiana
della tavola.
Quale scuola?
È una scuola bella, accogliente, aperta di mattino e di pomeriggio, con docenti esperti e
valutati nelle loro capacità didattiche e relazionali. Quanta responsabilità in più devono
assumere i genitori, anche con riunioni periodiche a casa di qualcuno per discutere di
obiettivi, attività, risultati, problemi, coesione educativa con i docenti! La coesione
docenti- genitori con direttive chiare ai genitori sarà il fulcro della nuova scuola. Il
tempo educativo dovrà essere sempre più coniugato negli spazi della scuola, in
collaborazione con associazioni sportive e culturali (sussidiarietà orizzontale), liberando
i genitori e gli alunni dai ritmi imposti da agenzie a scopo di lucro legittimamente
operanti nel mercato. Genitori- taxisti, figli stressati, scuola sempre meno attraente:
occorre spezzare questa spirale investendo importanti risorse finanziarie ed umane
nella scuola del futuro.
D'altronde l'Italia, povera di materie prime, potrà raggiungere gli obiettivi di Lisbona
solo mettendo la scuola, la formazione e l'educazione in cima all'agenda politica,
investendo massicciamente in capitale umano. Se i governanti non faranno questo (per
ora si limitano a predicarlo) il Paese rischierà una seria retrocessione nel mercato
globale dei processi e dei prodotti, dominato dall'economia della conoscenza e delle
competenze.
La crescita della personalità, della serenità dei nostri ragazzi attraverso un nuovo
modello di scuola più flessibile nel curricolo, più ricca di strumenti tecnologici e di
insegnanti professionisti sarà, accanto alla preparazione disciplinare, l'obiettivo
principale dei prossimi anni. Curare la sfera cognitiva liberando le aule dalla
frantumazione dei progetti, accanto alla sfera emotiva, affettiva, corporea e della
responsabilità civica: questo il compito principale dei docenti e dei dirigenti scolastici.
Vivendo accanto ai suoi allievi, anche durante il pranzo o una gara sportiva, il docente
potrà comprenderne la maturazione e non limitarsi a sentirlo solo se interrogato. Ogni
ragazzo dovrà avere almeno un adulto di riferimento (tutor) che ne segue l'intero
percorso e che segnala le manifestazioni di disagio per dare tempestive risposte.
Cinema, teatro, sport, laboratori e non solo discipline serviranno a rendere attraente lo
stare a scuola, avvalendosi dei migliori esperti presenti in città. Il tempo serale, il sabato
e la domenica serviranno poi a vivere pienamente il rapporto con i genitori. Anche una
diversa articolazione delle vacanze potrebbe consentire di rafforzare il rapporto con le
famiglie armonizzandole con le ferie dei genitori e rendendo possibile la progettazione
di campi estivi di studio e di vacanza. Il ragazzo vivrebbe così in quanto persona gran
parte del suo tempo in un centro unitario di educazione, fondato sulla forte alleanza
tra scuola e famiglie.
La Costituzione attribuisce ai genitori il diritto-dovere di educare ed istruire i figli, ma, a
sessantanni di distanza, non si sono trovate ancora modalità soddisfacenti per
realizzarlo. È ora di uscire da una insufficiente partecipazione con la riforma degli
organi collegiali e con l'assunzione piena di una responsabilità educativa, sanzionabile
in caso di trasgressioni gravi e prepotenze. La scuola da sola non è autosufficiente ma
con il sostegno morale ed operativo dei genitori può farcela come insegnano molte
esperienze positive.
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Rassegna stampa sul fenomeno del bullismo all'interno della scuola, realizzata durante
l'anno scolastico 2006/2007 da Cristiana Butti e conservata presso la Scuola Primaria di
Stato "G. Oberdan" - Lecco, in www.istruzione.bergamo.it

Curricolo di educazione all'emotività e altro materiale prodotto durante 6 anni di


laboratorio condotto nella scuola di Acquate da Cagliani Silvia dalla classe quinta alla
quinta successiva, in www.istruzione.bergamo.it/costituzionecittadinanza/il-
bullismo.doc

"Il bullismo spezza i rami più belli che un ragazzo o una ragazza possiede. Poi il tempo
passa e nasce un fiore nuovo. Chi non si arrende vince sempre. Il futuro che aspetta non
lo si può deludere." (Cit. Ines Sansone, poeta)

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