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PSICOPATOLOGIA GENERALE E DELLO SVILUPPO PROF.

SSA ELISA
DELVECCHIO
Programmazione del corso
1. Introduzione alla psicopatologia (cap. 1 Ammaniti)
2. La diagnosi e l’assessment (cap. 1 Dazzi; cap. 11 Ammaniti)
3. Classificazione dei disturbi (articolo online)
4. Il ruolo dei genitori (cap. 3-4 Ammaniti)
5. Sindromi affettive (cap. 6 Ammaniti)
6. Disturbi della relazione e dell’attaccamento (cap. 9 Ammaniti)
7. Disturbi comportamentali (cap. 8 Ammaniti)
8. Disturbi dello spettro dell’autismo (cap. 10 Ammaniti)
9. DP borderline
10.DP narcisistico

23/02/2021
Ogni individuo non è quella patologia ma ha quella patologia. Ogni soggetto ha sì delle difficoltà ma anche
delle risorse grazie alle quali può affrontare in maniera diversa le sue problematiche.
INTRODUZIONE ALLA PSICOPATOLOGIA
La psicopatologia fa riferimento a origini e percorsi dei pattern individuali dei comportamenti disadattivi.
Un concetto errato è sicuramente quello di causa: non esistono cause ed effetti nell’eziologia
psicopatologica. Si parla invece di fattori di rischio e di protezione.
Queste patologie vengono studiate nella loro dimensione evolutiva (come si evolvono individui e
patologie) usando come punto di riferimento il cosiddetto sviluppo “normale”: solo partendo da questo
è possibile capire le modalità di allontanamento da questo percorso. Questo sviluppo normale può essere
“intralciato” da vari fattori, per cui ogni patologia è strettamente connessa a vari fattori di rischio, è
dunque multideterminata.

Psicologia vs. psicopatologia


La psicologia è la scienza che studia il comportamento degli individui e i loro processi mentali. Si occupa
di dinamiche interne dell’individuo, dei suoi rapporti con l’ambiente, del comportamento umano e dei
processi mentali che intercorrono tra gli stimoli sensoriali e le relative risposte.

Psiche: spirito vitale, anima. Pathos: passione, logos: discorso, = studio dei disturbi dell’anima, dello spirito

La psicopatologia è una disciplina psicologica che studia i disturbi dell’anima, il funzionamento anormale
dei processi psichici, mirando a indagarne le cause specifiche. Per essa il sintomo è un segno che indica
uno dei modi di elaborare l’esperienza, dunque normale e patologico sono solo due diversi modi di
elaborare l’esperienza, il primo adattivo e funzionale il secondo disadattivo e disfunzionale.

La psicopatologia dello sviluppo (Developmental Psychopatology) è una disciplina che enfatizza la


dimensione evolutiva nell’emergere e nello stabilizzarsi dei comportamenti disadattivi o patologici
mettendone in luce processi e dinamiche alla base del disadattamento.

Sroufe-Cicchetti: “studia le origini e i percorsi dei pattern individuali dei comportamenti disadattivi”
indipendentemente da età di insorgenza, cause e quadri psicopatologici. In questo approccio viene messo
in evidenza lo stretto rapporto tra comportamenti adattivi (tipici), a rischio e disadattivi atipici).

L’eziologia di ogni psicopatologia è multi-determinata, non c’è una singola causa. Viene inoltre
riconosciuta la reciproca influenza tra fattori genetici, ambientali e psicologici.

Parole chiave

Segno: manifestazione oggettivabile, reperto obiettivo verificabile ( es.la febbre);

Sintomo: manifestazione soggettiva di una condizione patologica alla quale può corrispondere o meno un
segno rilevabile obiettivamente;

Sindrome: insieme di segni e sintomi che spesso si presentano contemporaneamente ma dei quali non è
nota l’origine eziologica e patogenetica (meccanismo di sviluppo), se ne parla in ambito per lo più
psicologico;

Malattia: insieme di segni e sintomi che spesso si presentano contemporaneamente e dei quali è noto il
meccanismo eziopatogenetico e fisiopatologico, se ne parla più in ambito medico;

Esempio Tom e luca: cresciuti nello stesso quartiere, violento, dove c’è droga e crimine, hanno 8 anni
entrambi vivono con la madre ed un fratello più grande, subiscono violenze domestiche, il padre con loro
non vive e lo vedono raramente, all’età di 10 anni saltano frequentemente la scuola e vengono segnalati
per furti e atti vandalici

Tom: con molta fatica si diploma alle scuole, ha un contratto di praticantato ed è operaio in una fabbrica
vive con la moglie e ha 2 figli, definisce la sua vita come un percorso ad ostacoli per raggiungere la meta
finale, tuttavia felice di vivere in un quartiere migliore e avere la speranza di poter mandare i propri figli
all’università
Luca: mai diplomato, espulso per essere stato trovato con un coltello, dentro e fuori la prigione, 30 anni
e beve molto non riesce a conservare nessun lavoro, ha avuto molte relazioni di breve durata dalle quali
a avuto 2 figli, li vede raramente e non è sposato. Ha vissuto on molti posti ma attualmente vive nel suo
vecchio quartiere.

Com’è possibile una tale differenza tra due percorsi di carattere traumatico così simili?
- Autostima
- Relazione
- Resilienza
- Aspetti personali
- Aspettative
In questa situazione ci possono essere numerosi fattori che entrano in gioco per deviare lo sviluppo del
bambino. Il contesto familiare è fondamentale, ma se questo dovesse essere negativo per varie ragioni?
Sarebbe giusto o meno separarlo dalla famiglia, considerando che anche tale separazione è molto
probabile che conduca a sviluppi traumatici. È da tenere in considerazione anche l’individualità del
bambino e come esso si approccia alle varie situazioni.

24/02/2021
Perché uno stesso evento traumatico ha esiti diversi in bambini che avevano condizioni nell’infanzia
pressoché identiche?

- Equifinalità: un ampio ventaglio di traiettorie di sviluppo può condurre ad un medesimo risultato


(diverse cause= stesso esito). Per equifinalità intendiamo quelle situazioni in cui partiamo da
fattori da rischio diversi che però conducono al medesimo esito. Ad esempio la sintomatologia
depressiva può arrivare da molteplici situazioni, anche molto diverse tra di loro.

- Multifinalità: un particolare evento non conduce necessariamente al medesimo esito in ogni


individuo (stessa causa =diverso esito). La multifinalità illustra come un particolare evento possa
condurre a sviluppi psicopatologici (e non) molto diversi. Questo concetto è particolarmente
legato al modo che ha l’individuo di approcciarsi al contesto in termini ampi: aspettative,
possibilità, competenze, obiettivi ecc. Stessi fattori di rischio possono dunque condurre a esiti
molto diversi. Molto importante è il concetto di periodo sensibile, nel corso del quale un impatto
traumatico può essere molto più “pesante” rispetto al caso in cui quello stesso trauma si attui in
un momento diverso. Possibili traumi possono tracciare traiettorie di sviluppo tra le più varie e
diverse (negative e non) secondo una prospettiva ampia e complessa. Per questo non possiamo
parlare di cause ma dobbiamo parlare di fattori.

Questi due concetti ci aiutano a capire come il legame tra malattia e “cause” non sia lineare ma complesso
e unicamente probabile.
I fattori di rischio sono condizioni o situazioni che rendono più probabile una forma di disadattamento.
Un fattore di rischio fondamentale è la povertà ad esempio. Quindi non costituisce una causa ma influisce
sulla probabilità (tabella di Holmes-Rahe). I fattori di rischio sono elementi “collettivizzanti” poiché
possono essere condivisi da molti pur non conducendo necessariamente ai medesimi risultati.

Gli eventi illustrati nella tabella costituiscono delle situazioni potenzialmente stressanti collocate in
momenti particolari dell’esperienza di vita. Ovviamente le caratteristiche specifiche individuali
influenzano sul peso che hanno questi eventi sull’esperienza particolare. Nella tabella viene riportata una
media statistica del “peso” di questi eventi in termini di stress.

Una scala analoga è presente anche per i bambini.


Un altro aspetto fondamentale è quello della vulnerabilità. Questa è l’aumento della probabilità che un
individuo specifico possa essere afflitto da un disturbo specifico qualora esposto a fattori di rischio. Il
temperamento può costituire un elemento di vulnerabilità. Possiamo dire che intensifichi la risposta dei
fattori di rischio che l’individuo può condividere con molti altri simili. La vulnerabilità è, al contrario dei
fattori di rischio, un concetto individualizzante.

Temperamento è caratteristico della vulnerabilità, la povertà è definito invece un fattore di rischio

Potenziali fattori di vulnerabilità:


- etnia;
- temperamento del bambino;
- mancanza di una relazione positiva tra genitori e bambino;
- mancanza di esperienza scolastiche positive;
- scarse competenze sociali.

Ci sono senza dubbio periodi critici in cui sale la vulnerabilità quindi il peso dei fattori di rischio si
intensifica.

I Fattori di protezione sono fattori che favoriscono un positivo adattamento dell’individuo anche in
situazioni difficili/stressanti

• individuali ed ambientali (intelligenza pronta);

• relazione positiva con almeno una figura di riferimento;

• supporto esterno (chiesa, gruppi, insegnanti).


Tra i fattori di protezione va ricordata anche la resilience, ossia la flessibilità psicologica individuale. Essa
costituisce un processo dinamico-evolutivo che promuove un adattamento positivo nonostante avversità
significative. Si riscontra in individui che pur trovandosi in condizioni di elevato rischio non manifestano
alcun disturbo.
Soggetti che pur attraversando un periodo di disadattamento, riescano a recuperare un positivo
adattamento (film precious 2009 da vedere; unbroken 2015) (articolo: ordinary magic, su unistudium)

PER RIASSUMERE

Moderatori → caratteristiche del soggetto o del suo network sociale esistenti prima dell’evento
stressante. Indicano per chi e sotto quali circostante il trattamento funziona/la vulnerabilità è maggiore
(ad esempio nella depressione il fatto di essere femmina).

Mediatori → caratteristiche del soggetto o del suo network sociale che non sono presenti prima
dell’evento stressante ma che si presentano in risposta ad evento stressante. agiscono tra variabile
indipendente e dipendente.

Il principio di relazione illustra come ogni percorso disadattivo debba essere sempre letto “in relazione
a” tutti gli aspetti variabili e individuali (configurazione, periodo di tempo, individuo, contesto ecologico),
tuttavia cercando di ricavare da questo caso specifico un modello generale che ci permetta di fare ipotesi,
confronti e proporre percorsi.
Spesso si scopre che il momento specifico in cui si arriva in terapia emerge da una situazione di
disadattamento prolungata. Bisogna dunque chiedersi perché il paziente abbia scelto quel momento per
muoversi nella direzione di una risoluzione.

Ipotizziamo la situazione di genitori che si vedano convocati da un’insegnante per una situazione di
disadattamento del proprio figlio. Cosa devono raggiungere dal punto di vista individuale per poter iniziare
un percorso?
- Consapevolezza
- Motivazione
- Alleanza col professionista
Il disturbo va letto dunque in un’ottica relazionale che si concentri non solo sull’origine della patologia
ma sul suo sviluppo nel contesto di riferimento. I disturbi d’ansia, pur avendo un importante substrato
genetico, possono variare a seconda della risposta ambientale che si esperisce magari nelle prime
esperienze.

Il principio di continuità illustra come gli elementi che si susseguono nell’esperienza assumono una
configurazione, almeno parzialmente cumulativa. Si può ad esempio osservare un elemento di ciclicità
(esperienze che si ripetono con le medesime configurazioni) che non viene interrotta finché non è
riconosciuta e corretta (se negativa). Lo stesso principio non è però solo temporale ma si applica anche
alla patologia: è raro che le malattie si mettano in una configurazione on-off (tra le poche la schizofrenia
che presenta una sintomatologia ben precisa), solitamente si situano in una gamma d’intensità. Bisogna
poi chiedersi come queste intensità siano vissute dall’individuo: è impossibile stabilire un criterio di
normalità o patologia.

Ricerca longitudinale → Va lungo il tempo. Un individuo viene seguito nel corso di un’ampia fetta della
sua esperienza. Ci torna utile per stabilire dei legami precisi tra fattori di rischio e sintomatologia, per
capire come siano correlati (cosa viene prima e cosa dopo). È tuttavia esposto a diversi rischi sperimentali.

Ricerca retrospettiva → Si chiede ai soggetti di raccogliere delle informazioni personali rispetto a


esperienze passate. In questo modo si potrebbero stabilire legami causali, ma ovviamente ci sono vari
fattori che rischiano di distorcere l’attendibilità

Ricerca cross-sectional → Viene svolta in unico momento. Non ha quindi un carattere temporale ma è più
simile a una “fotografia”, è più facile ma meno accurata perché non è in grado di stabilire dei legami
causali.

Per continuità omotipica intendiamo la costanza delle caratteristiche che nel tempo rimangono stabili.
Ad esempio i ritardi cognitivi si mantengono con caratteristiche simili in tutto il percorso.

Parliamo di continuità eterotipica quando il quadro clinico si modifica nel tempo. Ad esempio le
correlazioni tra disturbi diversi come il legame tra i disturbi d’ansia in giovane età e lo sviluppo di disturbi
depressivi.

Riflettere sulla continuità di una patologia ci permette anche di capire in quali declinazioni si possa poi
pensare a una remissione della malattia.

25/02/2021
Vedere la patologia come clinici, leggerla in chiave psicologica. Dare attenzione alla dimensione umana,
avvicinarsi al paziente senza oggettivare completamente la sua esperienza. (possiamo curare solo se ci
sentiamo vicini ai nostri pazienti)

Non c’è solo il vissuto del paziente ma è un co-vissuto. è l’atteggiamento del clinico che informa il vissuto
del paziente. Non ci si deve fermare alle apparenze, ma bisogna andare oltre, guardare al contesto. Non
bisogna fermarci al suo vissuto.
I MODELLI EVOLUTIVI
Lewis (2000) distingue diversi modelli evolutivi per comprendere la genesi dei comportamenti disadattivi.

- Modello del tratto;


- Modello ambientale o contestuale;
- Modello interazionale.

1. Modello del tratto


Modello più semplice o semplicistico, non considera alcuni aspetti.

Caratteri principali
a) Ipotizza che un certo tratto di personalità (condizione) che si evidenzia durante l’infanzia e si
caratterizza per uno specifico modo di percepire, pensare o rapportarsi con gli altri, a un certo momento
influenzi o predica un’altra condizione (tratto) in un momento successivo della vita.

b) Tratti possono essere caratteristiche innate (comportamento aggressivo) o acquisite tramite


apprendimento e interazioni sociali (attaccamento).

c) Ci aiuta a comprendere come un determinato tratto che si registra in un determinato momento


influenzi l’emergenza futura di tratti associati, non tiene dunque particolarmente in considerazione la
possibile modificazione delle strutture dell’individuo in rapporto con l’ambiente. Pensiamo alla teoria
dell’attaccamento: una volta che si concretizza come tratto non viene più messo in discussione.

d) Per questo modello non c’è interattività tra individuo e ambiente, modello che non ci spiega in maniera
completa quelle che sono le interazioni tra fattori di una determinata patologia.

Tremblay → Ricerca sulle origini infantili dei comportamenti antisociali: comportamenti maggiormente
aggressivi osservati durante l’infanzia rappresentano un tratto in quanto hanno un valore predittivo
riguardo all’emergere di comportamenti antisociali. Per Tremblay non si tratta di comportamenti appresi
ma di risposte aggressive automatiche (tratti appunto), facenti parte del repertorio comportamentale
umano, che durante lo sviluppo si imparano a tenere sotto controllo. Se non viene acquisita una
competenza iniziale in età precoce questa si riverbera nello sviluppo successivo.

Tra le possibili concause vi potrebbero essere deficit neuropsicologici che interferiscono con lo sviluppo
del linguaggio, della memoria e dell’autocontrollo. Altre ipotesi affermano che questi tipi di deficit
possano avere un impatto ancora più diretto sul comportamento antisociale. Può insomma
rappresentare un fattore di rischio.

e) Il modello del tratto impedisce di riconoscere un legame causale tra un determinato tratto e un esito
psicopatologico. Infatti tra i due eventi vi sono troppi fattori che operano interagendo fra di loro perché
sia possibile.

f) Questo modello è particolarmente utile per indagare su casi di continuità omotipica tra tratti ed esiti.

Secondo vari studiosi l’ADHD può essere il precursore del Disturbo della Condotta (CD) o del Disturbo
Antisociale in adolescenza (queste ricerche potrebbero essere falsate dal fatto che il CD non era stato
indagato a sufficienza e poteva presentare livelli di comorbidità).
Altre ricerche tuttavia ritengono che sia invece il Disturbo Oppositivo Provocatorio, spesso associato
all’ADHD, a precorrere il CD.
Tratti acquisiti (Attaccamento)
I tratti non sono però esclusivamente innati, ma è possibile prendere in considerazione anche caratteri
acquisiti attraverso l’apprendimento o scambi interattivi.

Un esempio è quello del modello di attaccamento. Studi accertano una sostanziale stabilità dei modelli
di attaccamenti tra i 12 mesi e i 5 (o addirittura 11) anni di vita. L’attaccamento, in quanto organizzazione
rappresentazionale interna,
rappresenterebbe un tratto
sufficientemente stabile. Nel caso in cui
l’attaccamento sia positivo il bambino può
guadagnare una sorta di invulnerabilità
evolutiva (fattore protettivo). In pratica
questa “invulnerabilità” può essere
descritta come un innalzamento nella
soglia di tolleranza dello stress che, se
troppo alto, può comunque influenzare lo
sviluppo.

La resilienza può essere considerata un tratto positivo, essa è promossa dalla capacità della madre di
mantenere una certa disponibilità emozionale anche in un contesto di separazione.

Generalizzabilità/Situazionalità
Sulla base di uno studio dell’attaccamento ci si potrebbe chiedere quando sia generalizzabile o
situazionale questo tratto acquisito. In altre parole se ci sia concordanza tra i modelli osservabili
nell’attaccamento materno e altre relazioni di contorno (col padre ad esempio). Certi studi affermano che
l’attaccamento abbia un carattere monotropico dunque l’attaccamento principale influenza quelli
secondari, altri invece sostengono che l’attaccamento rimanga vincolato alla relazione in cui si crea.

Critiche
In definitiva possiamo sostenere che il modello del tratto nella sua formulazione originaria (modello
innatistico) venga smentito dai dati di ricerca. Un peso importante e imprescindibile ha l’ambiente che
agisce continuamente sui tratti, specialmente in alcuni periodi sensibili dello sviluppo del bambino. Posto
questo bisogna ricordare che anche tratti acquisiti in periodi sensibili non sono immodificabili ma la loro
influenza sul comportamento del soggetto dipende in larga parte dalle esperienze successive.

Questo modello è particolarmente criticato dagli autori che mettono in evidenza il carattere adattivo e
interattivo, specialmente in riferimento alle numerose variabili. Questo modello sarebbe dunque
eccessivamente deterministico e reale. Un’altra pecca è che questo modello è troppo limitato e specifico.

Dove viene utilizzato


Il modello del tratto ha un’utilità parziale e circoscritta utilizzata soprattutto per indagare sulle
predisposizioni genetiche che possono favorire (rendere più probabile) l’emergenza di una serie di
patologie correlate.

2. Modello ambientale
Ogni comportamento (adattivo o disadattivo) è funzione delle forze ambientali che agiscono
sull’organismo in ogni momento della vita. Compito primario dell’individuo è adattarsi all’ambiente.

Rischi distali/prossimali (Brofenbrenner)


Per capire i meccanismi attraverso i quali l’ambiente agisce su di noi distinguiamo tra:
• Rischi prossimali → Si riferiscono ai meccanismi direttamente implicati (es. dinamiche familiari);
• Rischi distali → Aumentano la possibilità della presenza di rischi prossimali (es. fattori sociali).

Continuità ambientale
Il comportamento del bambino è un epifenomeno dell’ambiente. Ma ci si può chiedere se ciò che il
bambino acquisisce dall’ambiente in un determinato momento influisce di per sé sullo sviluppo successivo
o non sia invece l’ambiente in un tempo successivo a giocare un ruolo più importante. La domanda è: ha
più influenza la stabilità di un tratto (anche se acquisito), la continuità ambientale o entrambi?

Pensiamo all’influenza depressione post partum della madre sullo sviluppo infantile. Studi affermano che alla
componente ambientale prodotta da questa situazione è legata una difficoltà di tipo cognitivo, un più alto tasso di
disturbi psichiatrici. Tuttavia il rischio di depressione era più alto se la madre presentava episodi depressivi
continuativi nel tempo.

Periodi critici/sensibili
La continuità ambientale giocherebbe dunque un ruolo fondamentale. Anche se senza dubbio esistono
periodi sensibili in cui l’esposizione a influenze ambientali negative, anche di breve durata, possa da sola
costituire un pericolo: pensiamo all’esposizione a sostanze nel periodo prenatale. È dunque considerevole
l’importanza dei periodi critici o sensibili (attaccamento 12 mesi). Pensiamo al concetto di imprinting di
Lorenz: se in quel momento specifico l’ambiente non dà gli stimoli necessari si inceppa il meccanismo di
adattamento.

Expectant e Dependent Experiences


L’ambiente interviene dunque sulla maturazione cerebrale:
• Expectant experiences → Sono iscritte nel nostro patrimonio genetico e corrispondono a
potenziali circuiti cerebrali stabilizzati dalle esperienze ambientali;
• Dependent experiences → Corrispondono a situazioni nuove e impreviste che portano alla
creazione di nuovi circuiti cerebrali.

Interazione dinamica ambiente-geni


C’è dunque un rapporto piuttosto complesso tra ambiente e dotazione genetica individuale.

Una variazione nel gene responsabile della codifica dell’enzima che interviene nel metabolismo della monoammino
ossidasi A può avere un ruolo nel moderare l’effetto del maltrattamento. Dunque ad alti livelli di neurotrasmettitore
MAOA e a parità di condizioni ambientali (maltrattamento corrisponde una minore probabilità di sviluppare
comportamenti antisociali.

il comportamento è frutto di un’interazione dinamica tra molteplici sistemi a livello individuale e


ambientale.

Esperienze condivise/non condivise


Bisogna tuttavia considerare le differenze tra esperienze condivise e non condivise. Pensiamo agli studi
tra fratelli: non tutti i tratti si formano all’interno di contesti condivisi. Dobbiamo dunque anche fare
riferimento a caratteri individuali per capire come il soggetto risponde a un determinato ambiente,
costruendolo a sua volta. L’ambiente è dunque una struttura complessa la cui analisi non si può fermare
a un livello superficiale.
Ricerche genetiche recenti hanno evidenziato l’importanza delle esperienze non condivise per lo sviluppo
delle caratteristiche psicologiche individuali. Per questo molti fratelli, anche entrambi adottati,
presentano caratteristiche e personalità molto diverse.

Influenze familiari condivise


Anche le influenze familiari condivise possono condurre a esiti comportamentali differenti.
Un fratello può vivere con una maggiore vergogna una situazione di basso livello economico della famiglia.
Pensiamo poi se tra due fratelli vi è un trattamento particolarmente diverso da parte dei genitori.

Contesti anormali portano dunque a comportamenti maladattivi. Le problematicità dei rapporti con
l’ambiente possono essere declinate in vari modi (ambiente negativo o semplice difficoltà di match con
l’ambiente).

Teoria dell’attaccamento
la teoria dell’attaccamento ci aiuta a comprendere i caratteri principali anche del modello ambientale. Il
ruolo della responsiveness genitoriale, l’eventuale presenza di una depressione post-partum (i bambini
che verso 3 mesi vivono con una madre affetta da depressione post partum, quando diventano
adolescenti hanno una maggiore probabilità di soffrire di depressione) l’ambiente circostante in cui è
inserito un individuo influisce tantissimo.
Pensiamo al peso della risposta ambientale nei primi momenti di esperienza del bambino come nel primo
sorriso dell’infante.

In conclusione
Esordio, mantenimento, remissione della sintomatologia psicopatologica non possono essere ricercati
all’interno dell’individuo in assenza dell’indagine sulla struttura e sulle caratteristiche del contesto in cui
questi si sviluppa.

3. Modello interazionale (o transazionale)


Nella determinazione dello sviluppo (normale o patologico) sia individuo sia ambiente hanno un ruolo
fondamentale e fondamentale è la loro interazione che determina l’insorgenza, mantenimento di una
patologia.
Il bambino ha dunque un comportamento attivo nei confronti dell’ambiente che a sua volta agisce
influenzando il comportamento infantile.

Sottomodelli
Possiamo distinguerlo in 2 sottomodelli

a) Modello della bontà dell’adattamento → Tratti e ambiente interagiscono e producono nuovi


comportamenti.

L’attaccamento insicuro interagisce con un ambiente positivo dando luogo a un esito positivo:
-ATT x A+ → +0

L’ambiente svolgerebbe una funzione compensativa, ma se no ci riuscisse l’attaccamento insicuro


potrebbe prenderne il sopravvento.
Il disagio emerge nel momento in cui le caratteristiche del bambino non si adattano a quelle dell’ambiente
o viceversa. Il disadattamento è una conseguenza delle difficoltà ad interagire o dell’incapacità ad
adattarsi (es. temperamento del bambino e caratteristiche contesto familiare. Es. due genitori molto
sportivi con un bambino con un temperamento tranquillo, che mangia e dorme e basta, immaginiamo
quanto sia difficile per i genitori adattarsi a questo bambino).
Tratti e ambiente interagiscono e producono nuovi comportamenti (es. funzione compensativa
dell’ambiente). Ad esempio l’attaccamento insicuro di base influenzato dall’ambiente può non condurre
all’insorgenza di esiti patologici.

b) Modello trasformazionale: caratteristiche dell’individuo e dell’ambiente interagiscono e si


trasformano a vicenda. Le organizzazioni dei comportamenti precedenti vengono modificate stabilmente.

-ATT x A+ → +ATT → +0

Vi è un pattern relazionale circolare individuo-ambiente in cui varie caratteristiche si modificano a


vicenda. Si tratta di un modello dinamico.

Ad esempio un percorso di terapia o l’esperienza con una persona significativa possono portare alla trasformazione
di caratteri comportamentali sviluppati precedentemente.

Nella relazione madre-figlio, secondo questo modello, non è solo l’uno ad adattarsi all’altro ma avviene
un processo di co-regolazione e reciproca stabilizzazione dei pattern.

Co-regolazione diadica
Il processo di co-regolazione diadica crea pattern di azione condivisa che tendono a divenire
relativamente stabili e acquisiscono cornici di significato condivise, i frame, definiti da varie
caratteristiche dell’interazione. La qualità dell’esperienza soggettiva è in funzione della flessibilità di
questi frame, al contrario una loro rigidità condurrà a difficoltà nell’adattamento.

Poniamo l’ambito del frame “comunicazione faccia a faccia”. Se il bambino rivolge lo sguardo verso un giocattolo
la madre può rifarsi a un frame pregresso per riconquistare la sua attenzione o riconoscere e promuovere questo
nuovo comportamento, dando origine a un nuovo pattern interattivo (nuovo frame).

In questo modo ne avrà un guadagno l’esperienza intersoggettiva del bambino.

Disruption and repair


Non sempre le interazioni dinamiche sono armoniche ma prevedono necessariamente conflitti,
incomprensioni e distacchi. Il principio del disruption and repair sottolinea le violazioni di aspettative
che si verificano fa due partner, con conseguenti fallimenti interattivi che possono essere risolti tramite
una riparazione interattiva.

Forme di interazione disturbate o fallimentari si manifestano nei pattern che comprendono madri depresse.
Aspettative filiali caratterizzate da distress e protesta incontrano comportamenti materni o iper-intrusivi o iper-
isolati. Il figlio interiorizza così un sentimento di rifiuto.

Queste interazioni possono essere sia di carattere verbale, quindi esplicito, che non verbale, andando a
caratterizzarsi come un tipo di conoscenza implicita e procedurale (azioni dirette a scopi che diventano
abitudini).
Analizzando videotape di sedute psichiatriche con aspiranti suicidi si notò che la maggiore propensione dei pazienti
a questo tipo di problema era compresa a un livello implicito non consapevole dallo psichiatra.

Visione sistemica delle relazioni interpersonali


Il bambino non può essere isolato dall’insieme delle sue relazioni interpersonali che la ricerca colloca in
una visione sistemica. Parliamo, per essere corretti, di forme di intersoggettività,

Incorporando questa visione col funzionamento biologico e comportamentale si ottiene un modello


sistemico generale dell’organizzazione evolutiva. In quest’ottica nessuna entità strutturale esiste
indipendentemente dall’organizzazione evolutiva. L’obiettivo è quello di spiegare come l’individuo e
l’ambiente interagiscano per dar luogo a pattern di funzionamento adattivi o disadattivi: come passato e
presente influenzino il futuro.

Scambi regolatori
Fenotipo, environtype e genotipo producono insieme il comportamento del bambino. Lo sviluppo
dell’individuo è rappresentato da un continuo “avanzamento” del suo percorso promosso dagli scambi
regolatori tra questi 3 ambiti.

Il risultato è l’ampliamento delle abilità individuali e dell’autoregolazione comportamentale.

Sincronia genitore/figlio
Feldman ha lavorato su questo basandosi sulla sincronia genitore-figlio e sulla costruzione del tempo condiviso.

La sincronia genitore-figlio descrive l’esperienza reciproca collegata al tempo, basata sulla regolazione
reciproca nell’ambito della relazione di attaccamento. Il neonato è dipendente dalla madre, ancor prima
che a livello psichico, al livello fisico-biologico: la sua semplice presenza fisica funziona da sistema
regolatorio esterno. Proprio in questo ambito avviene in primis la sincronizzazione reciproca.

Secondo Condon e Sander bambini che non sperimentano interazioni coordinate durante le prime settimane di
vita vanno incontro, durante la loro vita, a difficoltà nello sviluppo sociale, emozionale, regolatorio e simbolico.

Goodness of Fit Model


Secondo il Goodness of Fit Model (Adeguatezza del modello delle corrispondenze) il mismatch (conflitto)
sorge quando le caratteristiche del bambino non si incontrano con le richieste ambientali.
Disadattamento e psicopatologia sono conseguenze di questo mismatch, vanno dunque studiati da un
punto di vista sia individuale che ambientale.
Nel New York Longitudinal Study, assumendo il goodness of fit da un punto di vista critico, si è riusciti a rilevare le
differenze tra esperienze che, pur condividendo il medesimo, erano protagoniste di un matching ambientale
diversificato (es. differenze etniche).

Secondo il modello di Sameroff e Emde le turbe si possono instaurare in vari modi: violazione delle
aspettative, difficoltà a fronteggiare i comportamenti, patologie genitoriali ecc.

Flessibilità vs Inflessibilità
Le famiglie che riescono a fronteggiare al meglio i mismatch con l’ambiente sono caratterizzate da una
spiccata flessibilità adattiva, al contrario una certa inflessibilità rischia di aggravare i conflitti e
promuovere risvolti patologici.

STUDI LONGITUDINALI E IL VALORE DEL PERIODO ADOLESCENZIALE


La ricerca della Psicopatologia dello sviluppo ha privilegiato i periodi della prima e seconda infanzia, solo
più recentemente ci si è concentrati sull’adolescenza, in particolare per il suo ruolo nella strutturazione
della personalità.

Personalità e studi longitudinali


Per comprendere come si costruisce la personalità non si può prescindere da studi di carattere
longitudinale che documentino l’evoluzione di capacità e comportamenti nel tempo, questo, metodi di
ricerca alternativi, non sono in grado di farlo.
In uno studio longitudinale è possibile scoprire quale carattere compare per primo in un legame di
correlazione, si può scoprire il peso delle varie influenze e come interagiscono tra loro.

Uno studio di Sroufe ha messo in luce una forte tendenza all’equifinalità e multifinalità in questa fase dello
sviluppo.

L’adolescenza è uno dei tanti momenti critici dello sviluppo che rappresentano momenti di sfida e nuove
opportunità di cambiamento.

Sviluppo in adolescenza
Sono ormai classici gli studi di Offer sui percorsi evolutivi in adolescenza:
• Sviluppo continuo → Interessa il 23% degli adolescenti. Si verificano progressi graduali con una
buona stabilità personale. Si è in grado di stabilire buoni rapporti, si hanno degli amici con cui
confidarsi e si è in grado di rapportarsi con l’altro sesso e quindi di mantenere un rapporto intimo.
Si è in grado di posporre la gratificazione, tenere sotto controllo gli impulsi e indirizzare le proprie
risorse verso un compito. Il rapporto coi genitori risulta sufficientemente positivo;

• Sviluppo a ondate → Interessa il 35% degli adolescenti. Pur avendo buone capacità adattive si
notano conflitti emozionali caratterizzate da fasi di progressione e regressione. Si ricorre più
frequentemente a rabbia e proiezione come difese. Si hanno meno capacità di indirizzare le
proprie risorse verso obiettivi e si risponde più frequentemente in senso depressivo e ansioso.
L’autostima è oscillante e nei rapporti interpersonali vi è una discreta capacità, anche se questa
implica un maggiore impegno personale. Più frequenti conflitti e divergenze coi genitori.
• Sviluppo tumultuoso → Interessa il 21% degli adolescenti. Mostrano difficoltà comportamentali
in vari contesti. Spesso hanno attraversato traumi, perdite e aspri conflitti. Sono presenti
oscillazioni dell’umore, reazioni ansiose accentuate e scarsa capacità di controllare gli impulsi. C’è
una forte conflittualità in famiglia e dipendenza/complicità coi pari.

Queste ricerche sono state comunque criticate in quanto limitate solo all’adolescenza. I primi due gruppi,
secondo Offer, sono in grado di fronteggiare la crisi adolescenziale in maniera adeguata senza riscontrare
problemi di salute mentale.

Rischio e resilienza
I meccanismi di rischio e resilienza sono fondamentali per comprendere i percorsi adolescenziali. Questi
riguardano sia la sfera individuale che i vari contesti ambientali. Un modello evolutivo dell’adolescenza
ragiona necessariamente su vari livelli di analisi.

Il rischio di sviluppare un disturbo depressivo in adolescenza può crescere in relazione alle caratteristiche
individuali, ai fattori familiari, sociali e scolastici. Queste componenti ovviamente si intersecano.

Vulnerabilità e resilienza (vedi supra) sono altre due componenti fondamentali.

Processi
Nelle ricerche longitudinali, oltre ai fattori di rischio e protezione, è possibile mettere in luce i processi
che si compongono dei fattori di moderazione o mediazione (vedi supra) del rischio e della resilienza.

Stress
Lo stress implica le circostanze e le condizioni ambientali che minacciano, mettono alla prova e sovrastano
le capacità psicologiche e biologiche individuali. Una prima distinzione necessaria è quella tra la
percezione individuale delle situazioni stressanti e ilo carattere oggettivamente stressante. Ovvio che in
adolescenza i medesimi stressor possono venire percepiti secondo intensità maggiori rispetto ad altri
periodi dello sviluppo.

SINDROMI PSICOPATOLOGICHE NELL’INFANZIA e NELL’ADOLESCENZA


Un modo frequente di trattare le sindromi psicopatologiche è quello di metterle in rapporto con i modelli
di sviluppo normale. È infatti proprio in riferimento ai compiti specifici delle fasi di sviluppo che si possono
comprendere i percorsi di rischio.

Distinzione tra sindromi cliniche e disturbi di personalità


Ammaniti sceglie di non prendere in considerazione in modo specifico i disturbi di personalità con
l’obiettivo di superare la loro distinzione del DSM-IV-TR dalle altre sindromi cliniche. La tradizione
psicoanalitica, a cui si affida, preferisce inquadrare le sindromi all’interno dell’organizzazione della
personalità (PDM).

Krueger analizza i presupposti di questa distinzione nel DSM:


1) Diversa stabilità;
2) Diversa età di insorgenza (disturbi di personalità sono specifici del periodo tra l’adolescenza e l’età
adulta);
3) Diversa risposta al trattamento;
4) Diverso grado di consapevolezza (più limitata per i disturbi di personalità);
Krueger dimostra però la fragilità concettuale di queste distinzioni.

LA DIAGNOSI PSICOLOGICA E L’ASSESSMENT


La diagnosi è:

- il processo per mezzo del quale (dia-) cerchiamo di conoscere (gnosis) il funzionamento
psichico di un soggetto;

- prodotto del processo (terminologia condivisa), denominazione data dal fenomeno


(etichetta).

La diagnosi è dunque una mappatura del funzionamento psichico che si traduce in una descrizione
narrativa il più possibile sistematica (formulazione del caso). Non si può far riferimento al prodotto senza
aver attraversato il percorso processuale. Altrimenti si rischia di fraintendere la situazione del paziente.
Importante considerare che questo processo si struttura in vari livelli di conoscenza. Non sempre, ad
esempio, è necessario rendere esplicita o produrre un’etichetta pur rimanendo la necessità del processo
di diagnosi.

Es: Invio un p. con disturbo ossessivo-compulsivo:


1. possibilità di delineare delle caratteristiche cliniche della situazione che incontrerò;
2. nessuna info su come quel paziente declinerà il suo modo di essere ossessivo-compulsivo.

La valutazione clinica è sempre il conoscere una persona: il disturbo si conosce attraverso la persona,
indagandola passando per vari livelli, e non semplicemente attraverso i sintomi. L’interlocutore è sempre
la persona, essa ha delle difficoltà, che si presentano nei sintomi, ma oltre questo c’è altro. Altrimenti
sarebbe semplicemente un approccio medico-psichiatrico.

Bisogna chiedersi come una persona vive quel sintomo, il significato che gli assegna all’interno di una
specifica storia di vita. Le persone possono declinare in modo diverso un medesimo disturbo attraverso
vari comportamenti. La diagnosi parte dai paletti teorici (le etichette) ma deve necessariamente
emanciparsi da questi man mano che il processo (ad esempio terapeutico) continuo.

La formulazione del caso è la mappatura del funzionamento psichico di quella persona che viene tradotta
in un linguaggio il più possibile sistematico e oggettivo.
L’abilità sta nel conciliare due poli:

- Specificità/unicità → considerare la specificità del singolo soggetto, non assimilarlo a tutti gli
altri, diagnosi ideografica. lo psicologo non può confrontarsi con la comunità scientifica; si
perdono verificabilità e falsificabilità, il terapeuta va talmente tanto nello specifico che
“perde” il paziente, non guarda alla globalità.

- Generalizzabilità → diagnosi nomotetica che ci permette di stabilire confronti con altri


pazienti e con le conoscenze di altri esperti. Aspetti negativi: persona diviene oggetto
(inanimato) di studio.
Bisogna riuscire a tenere uniti questi due livelli per ottenere un modello di diagnosi ottimale.

(tavole di Rorschach = strumento proiettivo)

POSSIBILI PROBLEMATICHE

a) Deformazione personale → un clinico tende a formulare una diagnosi implicita anche quando non
ne struttura una formulazione specifica. In effetti tutte le relazioni intime durature si basano sulla
formulazione di una ipotesi di teoria mentale del funzionamento altrui, anche se non producono
denominazioni. In quanto professionisti a maggior ragione siamo portati a categorizzare e
classificare l’altro in base alle nostre conoscenze ed è pericoloso nel momento in cui va a costituire
il nostro unico modus operandi. Tuttavia il clinico si differenzia da questa pratica quotidiana in
quanto tenuto a esplicitare strumenti, informazioni, inferenze e teorie alla base delle ipotesi.

b) Ricerca e clinica [SWAP (elenco di 200 domande che descrivono 200 tratti possibili di ogni
individuo), R-PAS (Rorschach strumento fondamentale per studiare la persona, e c’è bisogno di
una certa regolarità scientifica)] → Una buona diagnosi deve tenere conto di ricerche (solidità
empirica) e letteratura clinica e applicativa (dimostra i contesti e le condizioni di applicabilità). È
inoltre fondamentale che ci si tenga costantemente aggiornati sulle nuove ricerche interessanti e
affidabili.

c) Operazione di riduzione (sintomo : malattia=impronta : animale)→ se ci fermiamo alla diagnosi


vediamo solo quella, e non più la persona di fronte a noi, non ci dobbiamo limitare solo a quello.

d) Spesso la diagnosi può ostacolare il processo conoscitivo → bisogna rimanere sempre aperti
anche verso nuove diagnosi senza limitare il nostro campo di indagine durante un processo
conoscitivo che è sempre rivolto alla persona.

e) Non è per sempre → Quasi tutte le diagnosi, almeno in una certa misura, cambiano nel tempo.
La diagnosi deve venir inserita in un processo conoscitivo dell’intera persona, la cui vita psichica è
in continua evoluzione e maturazione. Per questo stabilità, per assicurare una coerenza alla
diagnosi, e flessibilità, per permettere il mutamento, devono coesistere. La diagnosi è il punto di
partenza, la terapia dovrebbe contemplare in linea di principio, la possibilità di modificare una
condizione iniziale.

f) La diagnosi “cade” all’interno di una relazione (alleanza diagnostica) → tale relazione è tra lo
specialista e un individuo o un gruppo di individui. Il primo incontro non è quasi mai facile poiché
qui si mettono a nudo le debolezze e le difficoltà. Bisogna quindi cercare di impostare un contesto
il più possibile protetto, da giudizi prima di tutto.

g) Multidimensionale e multisensoriale → La diagnosi è un’entità complessa che deve tener conto


di molteplici dimensioni. Tanto più si riuscirà ad approfondire la situazione del paziente, tanto più
l’analisi sarà accurata. Questo si può fare solo se si riuscirà ad usare un’ampia gamma di strumenti.
Il colloquio clinico è il primo degli strumenti ma non è l’unico, sono utili i test ma anche la semplice
osservazione. Vi sono poi tutta una serie di strumenti trasversali che permettono di mettere in
luce aspetti della persona che a lui stesso possono essere sconosciuti (multiple informant),
l’interpellare punti vista diversi sul paziente fa parte di questi metodi.

h) Non può prescindere dal giudizio che la persona ha di sé (senso soggettivo) e delle sue difficoltà.
Tutto parte dal paziente e da come avverte su di sé questi sintomi, come si sente. Bisogna capire
quali problematiche abbiano un peso nella loro esperienza e quanto effettivamente pesino. Una
via è anche quella di rendere il paziente consapevole di possibili problematiche di cui non vede il
collegamento.

i) Ponte tra conoscenza ideografica (peculiarità, specificità e irripetibilità del singolo) e nomotetica
(leggi generali sul funzionamento) → inserire l’esperienza del singolo all’interno di una esperienza
generale che è stata già “codificata” da un punto di vista clinico.

j) Non reificare la diagnosi → non fare della diagnosi il nostro Re (conoscere la diagnosi non significa
conoscere il paziente).

k) È intrisa dai nostri giudizi di valore (cosa noi riteniamo normale o patologico) → ciascuna diagnosi
rischia di partire dalla base di valori culturali che impongono un giudizio su certi comportamenti.

l) Approccio clinico vs approccio cinico → è importante riuscire ad avere un ascolto attivo cercando
di mettere tra parentesi i nostri preconcetti. Bisogna capire come quell’individuo specifico viva un
problema, anche se a noi quel fenomeno non appare ad esempio problematico.

APPROFONDIMENTO SU ROSSI MONTI

TIPOLOGIE DI DIAGNOSI
Distinguiamo ora le varie tipologie di diagnosi. Una prima caratteristica che ci permette di differenziare i
tipi di diagnosi è il livello di inferenza:
• Diagnosi descrittiva o nosografica →Descrizione dettagliata (come nel DSM) dei fenomeni clinici
(esperienze e comportamenti). È una lista delle componenti disadattive come vengono riportate
dall’individuo (le “cose che non vanno”) o che sono direttamente osservabili. Si raccolgono i
sintomi allo scopo di verificare il numero dei sintomi presenti per soddisfare criteri diagnostici.
Non c’è nessun interrogativo sulla relazione tra questi sintomi, una check-list. C’è poca inferenza
(ci mettiamo poco del nostro), il suo obiettivo è quello di arrivare quindi ad una diagnosi molto
condivisibile, classificazione ateoretica, utilizzabile in contesti con orientamenti diversi.
Utilizziamo, ad esempio, il DSM per vedere quale disturbo accoglie quei sintomi.

• Diagnosi strutturale → è la teoria che permette di passare a un livello superiore alla pura
sintomatologia: grazie a questa possiamo fare ipotesi sulla presenza/intensità di un disturbo. Il
principale modello diagnostico è di matrice psicodinamica basata su rappresentazioni e processi
impliciti. Dunque gli strumenti utilizzati per carpirli saranno necessariamente di versi, strumenti
“di profondità”. Ruolo del clinico, modello di riferimento [diagnosi strutturale di Kernberg (gravi
disturbi di personalità), OPD]:
o Diagnosi strutturale di Kernberg à si tratta di
un’intervista semi-strutturata che si compone in 3 assi che non
possono essere né osservati direttamente né autoriferiti
(identità, operazioni difensive ed esame di realtà):

a) Diffusione (psicotico) vs. Integrità (nevrotico) del


soggetto che abbiamo davanti meccanismi di difesa
prevalenti. Nella prima il paziente non riesce a distinguere il sé
dall’esterno;

b) Integrità vs. Compromissione EdR (esame di realtà;


quanto il soggetto riesce a raccontarmi la quotidianità).

c) Meccanismi di difesa prevalenti.

Queste si vanno a comporre in tre diversi tipi di funzionamento traducibili in diagnosi dell’organizzazione
di personalità: nevrosi, psicosi e borderline. Per fare questo tipo di diagnosi è fondamentale conoscere a
fondo il modello di riferimento e saper cogliere i punti cruciali

• Diagnosi psicopatologica-fenomenologica → cerca di mettere insieme i sintomi elencati primi e


dare un significato, vedere se hanno una connessione tra di loro. Cerca di capire come il soggetto
vive alcuni elementi chiave dal punto di vista fenomenologico (spazio, tempo, altri, corpo proprio
ecc.). si cerca di capire il significato che i sintomi hanno nell’esperienza dell’individuo. In questa
diagnosi si possono indagare “creativamente” i sintomi per cercare di carpirne il senso generale.
Ad esempio come vive l’esperienza spaziale e temporale un soggetto depresso? Lo spazio appare
insignificante e indifferente; il tempo è invece centrato principalmente sul presente e sul passato,
manca di progettualità, lo scorrere del tempo è percepito come un peso: non si vive nel tempo ma
si sta in esso. Il corpo è percepito come pesante, si fa fatica a sostenerlo, è utilizzato per riempire.
La cura del corpo è probabilmente bassa, un aspetto trasandato di cui magari sono consapevoli,
ma non se ne interessano. Tantissimi di questi elementi li possiamo già osservare in un primo
contatto col paziente e ci possono orientare su come impostare il percorso. Le relazioni con le
altre persone saranno ridotte, magari anche venute meno da poco. Si tratta di individui che piano
piano tendono a ritirarsi, diciamo che la responsabilità del mantenimento è devoluta all’altro
(disinvestimento). La descrizione di queste altre persone sarà perlopiù piatta. Si può cercare di
indagare riguardo al significato delle varie relazioni importanti.

• Diagnosi psicodinamica → è impossibile arrivare a questa se non si è concentrati sulle prime due.
I sintomi vengono collocati all’interno della storia del paziente. Si cerca di capire come i punti che
abbiamo osservato nelle precedenti diagnosi si connettano, in una prospettiva sia passata che
futura. La diagnosi si può fare nel momento in cui si è con qualcuno (vicinanza) e si ha qualcosa di
fronte (distanza).
o Essere con qualcuno o avere qualcosa di fronte: valorizzare e conoscere l’altro nella
relazione e il considerare ciò che si osserva in termini più distaccati e oggettivi;
o Gabbard: ponte tra avere qualcosa di fronte (DSM) ed essere con qualcuno.

Nel percorso terapeutico non possiamo prendere in considerazione solo il vissuto del paziente: si
fonda un co-vissuto che accomuna paziente ed esperto. Il paziente porta nel colloquio sempre
qualcosa in più rispetto a quello di cui è consapevole, compito del terapeuta è dunque anche
quello di informare il paziente riguardo a ciò che non riesce a capire della sua esperienza.
La nostra diagnosi può focalizzarsi sulla valutazione di processi e funzioni o sui contenuti psichici. Questa
polarità ci permette di differenziare gli strumenti diagnostici.

• Diagnosi funzionale → A partire dal 1950 nel panorama statunitense la grande influenza della
psicologia dell’Io contribuì a ritagliare uno spazio dominato da approcci diagnostici di tipo
funzionale. Questa mira a individuare le costanti funzionali nel modo di percepire la realtà,
regolare gli affetti, articolare i pensieri o relazionarsi con gli altri (la SWAP è qui uno strumento
fondamentale). Si tratta degli schemi mentali che un soggetto utilizza per approcciarsi
all’esperienza della realtà. La SWAP ci permette di prendere informazioni riguardo a 4 domini
funzionali:

❖ Motivazioni, bisogni, valori morali, ideali, conflitti;


❖ Risorse e caratteristiche affettive e cognitive;
❖ Esperienza di sé, altri e delle relazioni tra sé e gli altri;
❖ Esperienze evolutive significative (che hanno influito sulla vita psichica).

Questa diagnosi funzionale è associata a una concezione condizionale e dimanesionale dei tratti
di personalità che rappresentano tendenze più o meno intense a regire in modo specifico a
condizioni date. Si possono valutare da qui le costanti nella “condotta” funzionale dell’individuo.
Queste sono le lenti attraverso cui per la maggior parte il soggetto percepisce il mondo. In questo
modo si ottiene una diagnosi equilibrata tra l’etichettatura e la formulazione del caso specifico.
(APPROFONDISCI COME FUNZIONA SWAP)

Anche il modello del PDM ci propone una buona esemplificazione dell’approccio funzionale che
chiarisce il livello di organizzazione della personalità e il funzionamento mentale complessivo in
base alla valutazione di 9 macrofunzioni:

d) Capacità di regolazione
e) Attenzione e apprendimento
f) Capacità di relazione e intimità
g) Autostima e rispetto per gli altri
h) Espressione e comunicazione degli affetti
i) Pattern difensivo
j) Capacità di auto-osservazione
k) Capacità di creare e ricorrere a ideali interni
l) Capacità di rappresentazioni interne

Rappresenta un tentativo di leggere in un’ottica psicodinamica quello che è il disturbo mentale.


Spetta comunque al singolo clinico la scelta se focalizzarsi sulle funzioni o sui contenuti psichici

• Diagnosi categoriale (presente/assente) e dimensionale (continuum) → La scelta tra questi due


tipi di diagnosi dipende da delle scelte teoriche di fondo riguardo al modo di concepire il
funzionamento mentale. Da una parte c’è l’idea che le strutture mentali, e con esse le patologie,
vadano concepite secondo una logica di presenza/assenza, dall’altra c’è invece l’idea che le
variazioni negli stili di personalità si collochino invece in un continuum, uno spettro dove, di
conseguenza, non si è mai completamente sani o completamente malati.

Tra gli strumenti più importanti che sottintendono un approccio categoriale c’è il DSM (Nel DSM-
5 c’è stato un accenno di avvicinamento alla dimensionalità), il Five Factor Model predilige una
logica dimensionale invece il modello di Kernberg, SWAP e PDM offrono una prospettiva mista
che si serve di una logica dimensionale di fondo offrendo la possibilità di categorialità. Sembra che
l’orientamento prediletto si quello di stampo dimensionale o misto.

Ecco i vantaggi dei due approcci:

o Diagnosi categoriale→
Differenze qualitative;
Chiarezza concettuale e comunicativa;
Semplicità di comprensione e applicazione delle nosografie (logica diagnostica biomedica);

o Diagnosi dimensionale (soprattutto nelle diagnosi di personalità)→


Differenze quantitative;
Evidenze empiriche (es. correlati neuronali);
Modelli psicodinamici congruenti;
Bassi livelli di comorbilità;
Questa diagnosi permette maggiore libertà e aderenza nella descrizione del paziente.

In sintesi seppur risulti più semplice affermare che un soggetto abbia o non abbia un disturbo,
numerosi studi sembrano confermare che questo approccio sia eccessivamente parziale in quanto
sacrifica sfumature e complessità della persona. Tra i modelli misti particolarmente riusciti c’è lo
SWAP-2000 che applica alla diagnosi di personalità una logica dimensionale ma stabilisce
punteggi/soglia nelle varie dimensioni per permettere di elaborare diagnosi categoriali. La SWAP
utilizza quindi un approccio del tipo matching prototype che permette di descrivere il
funzionamento individuale di un paziente “paragonandolo” a un insieme di prototipi (tra cui sono
compresi anche quelli sani) empiricamente derivati: il livello di somiglianza ha una logica
dimensionale ma la presenza di cut-off permette di tradurla in categoriale.
La scelta di queste diagnosi dipende dal testo clinico che si prende come riferimento.

• La diagnosi si differenzia inoltre per il modo che ha di considerare i criteri sulla cui base si può
diagnosticare o meno un disturbo.
o Diagnosi monotetica (Kraepelin)→ identifica un gruppo di criteri specifici per disturbo e
implica che per fare diagnosi tutti i criteri siano soddisfatti, il suo limite è infatti quello della
rigidità. Molte patologie funzionano in questo modo in ambito medico, ma quasi nessuno tra
le patologie mentali. Il disturbo è qui inteso come un insieme specifico di tratti o
caratteristiche;

o Diagnosi politetica (Schneider)→ per diagnosticare un determinato disturbo devono essere


presenti X criteri di N (stessa etichetta a diverse patologie, può creare confusione), non tutti
ma una parte di quelli possibili. Questa ci lascia più possibilità di cogliere sfumature più
precise ma a livello macro crea confusione: 2 o più persone possono essere diagnosticate con
lo stesso disturbo presentando sintomi diversi. Il disturbo viene inteso come un insieme
specifico tuttavia suscettibile di varie manifestazioni;

o Diagnosi prototipica (Freud)→ la manifestazione tout court di un disturbo è rara, i disturbi


descritti sono “tipi ideali”: prototipi di pensieri, emozioni, cognizioni, comportamenti a cui
fare riferimento (SWAP; PDM). C’è però un alto grado di soggettività, dipende tanto
dall’analista. Qua dobbiamo ragionare principalmente in un’ottica dimensionale. Il criterio è
dunque quello del grado di sovrapposizione tra la presentazione del paziente e i prototipi di
riferimento.

• Un altro tema riguarda la natura dei tratti di personalità, ovvero gli elementi costitutivi dei diversi
stili di personalità, che si possono intendere in due modi. Parliamo di una concezione
essenzialistica secondo cui le diverse personalità possono essere descritte per mezzo di
caratteristiche stabili e in buona parte acontestuali. La concezione condizionale, come quella
della SWAP, che intendeva i tratti come tendenze a reagire in un modo specifico a determinati
stimoli (“condizioni attivanti”) vissuti in modo soggettivamente analogo.

OBIETTIVI DELLA DIAGNOSI PSICOLOGICA

A cosa serve la diagnosi psicologica?

• Condividere le informazioni raccolte sul funzionamento psichico del paziente tramite un


linguaggio sintetico e condivisibile, anche per clinici che prediligono approcci diversi. Le etichette
diagnostiche servono dunque a dare un senso univoco a un insieme di sintomi.

• Confrontare le proprie ipotesi con teorie/ricerche di riferimento, senza le quali andrebbero perse
le fondamentali scoperte nel campo della ricerca psicologica e psicopatologica;

• Elaborare un piano di trattamento adeguatamente fondato sulla ricerca empirica;

• Oltre che “nutrirsi” di ricerca le diagnosi sono fondamentali per fare ricerca, senza di esse non ci
sarebbe progresso nelle conoscenze psicologiche.

• Utile comunicare la diagnosi al paziente? (la riferisco solo se ha senso, se può aiutarlo, senza
spaventarlo) → la diagnosi come etichetta serve poco al paziente a cui interessa di più scoprire le
caratteristiche di difficoltà particolari su cui deve lavorare. Bisogna dunque trovare parole il più
possibile vicine alla sua esperienza e comprensibili per comunicarla (Traduzione dell’etichetta).
Comunicare la diagnosi può essere, in certi casi, un modo per valutarne la validità e le eventuali
reazioni-risposte nel paziente. In questo modo il paziente viene responsabilizzato del suo
percorso sottolineando il carattere processuale e collaborativo dell’impresa diagnostica;

• Risorse vs. difficoltà → per riuscire a capire la persona che soffre bisogna anche individuare le
risorse che ha a disposizione;

• Aspetti culturali, neuroscienze → non tutte le diagnosi hanno lo stesso valore in tutte le culture
(etnopsichiatria).

Una tassonomia diagnostica che voglia favorire il dialogo esterno e interno alla comunità terapeutica deve
essere comprensiva. attendibile e valida, anche se questi obiettivi sono stati spesso in contrasto tra loro.
Possiamo rilevare 3 principali tradizioni diagnostiche:

❖ Psichiatrica → Molto attenta a classificazioni e descrizioni sindromiche ma meno versata


nella comprensione delle specificità del funzionamento individuale;

❖ Psicodinamica → Spostata sul versante idiografico, meno attenta al problema della


classificazione e alla raccolta dei dati;

❖ Psicometrica → Concentrata su caratteristiche metodologiche e statistiche di nosografie e


strumenti.

Per tirare le somme delle prospettive future possiamo aspettarci che:

o L’ottica categoriale subirà sempre più un’integrazione con quella dimensionale;

o La specificità e la componente soggettiva della diade paziente-clinico riceverà una maggiore


attenzione;

o La valutazione delle risorse avrà un ruolo fondamentale;

o Maggiore attenzione per le variabili culturali;

o Contributo delle neuroscienze.

DOMANDA: Come scegliere la diagnosi? Dipende da molti elementi. Il primo è sicuramente la finalità per
cui elaboriamo la nostra diagnosi. Altri fattori riguardano l’orientamento prediletto che si valuta essere
più funzionale ad essere applicato in quel caso. Infine bisogna sempre valutare la possibilità di costruire
una valutazione globale integrando più strade diagnostiche.
Un’altra discriminante riguarda però anche gli strumenti che vogliamo utilizzare.

(Il professionista dedito in prima battuta a formulare la diagnosi è lo psicologo e non lo psicoterapeuta!)
(28 min)

COME RACCOGLIERE I DATI NECESSARI A FARE DIAGNOSI

Informatori e format di raccolta delle informazioni


Altre due scelte davanti a cui si trova il clinico riguarda le modalità di raccolta di informazioni per formulare
la diagnosi. In particolare bisogna capire a) quali sono i potenziali informatori e b) qual è il format ideale
di raccolta dei dati. Per informazioni direttamente osservabili sono sufficienti check-list compilate dal
paziente (self-report) o da un osservatore esterno, per informazioni più approfondite si rende necessaria
la conoscenza del clinico e il colloquio in questo caso diventa lo strumento più efficiente poiché il soggetto
fornisce informazioni su di sé in modo diretto. Dalle informazioni ricavate il clinico potrà elaborare ipotesi
di funzionamento che cercano di portare alla luce elementi impliciti e inconsci. Il colloquio permette
inoltre di fornire gli strumenti per una valutazione globale che non si limiti unicamente a tracciare i
caratteri descrittivi del disturbo ma permetta di fare ipotesi su come il paziente viva quella situazione.

Ecco alcune linee guida sulla cui base scegliere informatori e format. Rispetto agli informatori bisogna
capire se le fonti più affidabili sono il paziente (self-report), il clinico (clinician-report) o informatori “terzi”
(informant report). Altri dati fondamentali sono quelli oggettivi di tipo neuroscientifico. La soluzione
migliore sta solitamente nell’integrazione dei vari informatori. Ecco alcuni criteri su cui basare la scelta:

m) In base al tipo di diagnosi;

n) In base all’età del paziente → ad esempio parenti e insegnanti rappresentano informatori


privilegiati se il paziente è un bambino, insieme al suo punto di vista se questo è in grado di
darcelo (>6). Questo verrebbe definito un approccio multiple informant. Un esempio di
questo tipo di diagnosi è quello di Achenbach (disturbi internalizzanti ed esternalizzanti),
dove i disturbi vengono letti e compresi secondo gradi diversi dai vari osservatori.

o) In base alla patologia del paziente;

p) Paziente/parente/clinico;

q) Colloquio/intervista, osservazioni, testistica (self-report, proiettivi, performance-based,


narrativi), dati neuro-scientifici → il Rorshach, prima considerato proiettivo, è ora
considerato performance-based in quanto viene riconosciuta, oltre l’elemento proiettivo,
anche la componente percettiva e cognitiva. Questo passo avanti ha permesso un maggiore
grado di generalizzabilità di questi test: se la componente proiettiva mette in luce il carattere
soggettivo, ora si riconoscono componenti più oggettive.

Assessment
Una volta scelto l’informatore bisogna valutare quale tipologia di colloquio sia la più appropriata.
Possiamo collocare le tipologie in un continuum di sistematicità e formalizzazione che va dal colloquio
libero all’intervista semistrutturata a quella strutturata fino all’utilizzo della testistica.

Il colloquio libero è il format più utilizzato in ambito clinico in virtù della sua flessibilità. Prima del
colloquio, abbiamo la segnalazione, molto breve, ma che richiede un grande sforzo da parte del paziente,
che deve avere abbastanza coraggio di contattare il terapeuta. La fase dell’assessment va generalmente
dai 3 ai 5 colloqui e lascia una grande libertà alle peculiarità delle coppie valutatore/valutato può essere
diviso in 3 fasi:

o Apertura → sintomi/priorità/funzionamento. Questa fase ha inizio di solito con una


domanda volta a indagare sul motivo per cui il paziente si è voluto sottoporre a una
valutazione diagnostica. In questo modo si possono raccogliere le prime informazioni su
sintomatologia, problemi prevalenti, approccio interpersonale ecc. ma anche sulle risorse
del soggetto, le sue capacità introspettive, il suo eloquio e le motivazioni consapevoli.

o Centrale → approfondimento/storia personale. Finalizzata alla raccolta e


all’approfondimento delle informazioni che sembrano più rilevanti per elaborare una
rappresentazione complessiva, il “modo di essere” del paziente e la sua storia di vita. Si
può fare anche una valutazione di prova di come il paziente risponde agli interventi.

o Chiusura → restituzione/indicazioni trattamento. Si restituisce il quadro elaborato insieme


a indicazioni sul lavoro da svolgere. Si può usare per chiedere riguardo a temi non toccati
o su come il paziente ha vissuto il percorso.

Possiamo calare questo modello triadico in piccolo in ogni singolo colloquio in modo da dargli
un’accezione di autoconclusività. C’è comunque da dire che anche la costruzione di questi momenti si
modifica a seconda dei modelli teorici di riferimento.

Quando incontriamo un paziente è importante riuscire a comprendere come il paziente vive il suo
disturbo. Disporsi a conoscere come vive ciò che sta vivendo il paziente;

❖ Come si sente?
❖ Che cosa le è successo?
❖ Da quanto tempo accade?
❖ Che relazione ha questo suo modo di sentirsi con ciò che le è accaduto in precedenza?
❖ Ha già vissuto simili esperienze?
❖ Perché proprio ora?
❖ In che modo e in che misura quello che sta vivendo ora richiama qualcosa che ha già vissuto nel
suo passato?

Nel momento in cui arriva il paziente, come possiamo accoglierlo? Dopo aver spiegato come funzionano
gli incontri si lascia qualche secondo di silenzio. Questo sempre nella parte iniziale dell’apertura.

Le interviste semistrutturate servono a stabilire una serie di ambiti rispetto ai quali indagare. Lascia
tuttavia libertà alle diadi di procedere tra questi ambiti secondo percorsi peculiari approfondendo ora uno
ora l’altro.

Le interviste strutturate stabiliscono, oltre alle aree da indagare, anche le domande specifiche e l’ordine
attraverso cui avanzarle. Rappresentano il format più standardizzato e oggettivo, ideale per i progetti di
ricerca, ma forse troppo rigido per l’ambito clinico.

STRATEGIE DI VALUTAZIONE E INTERVENTI PREVENTIVI NELLA PSICOPATOLOGIA DELLO


SVILUPPO

La valutazione e la diagnosi in età evolutiva espongono a numerosi problemi di carattere teorico e


metodologico.

Aspetti temporali della psicopatologia


La psicopatologia va intesa come deviazione dal percorso normativo, dunque come un processo esteso
nel tempo. I singoli sintomi subiti in età evolutiva sono soggetti a continui cambiamenti e non è possibile
attribuirgli significati se non inserendoli nell’ambito di una valutazione globale del funzionamento e
dell’adattamento.

Relazione dinamica individuo-contesto


La psicopatologia contemporanea colloca i disturbi nella relazione dinamica contesto-individuo
considerandoli come prodotti dell’interazione tra vari aspetti tenendo sempre a mente la storia pregressa
e i compiti specifici dell’individuo.

Adattamento e compiti evolutivi


Ogni periodo della vita ha il suo programma evolutivo. L’adattamento individuale va dunque sempre
considerato alla luce delle capacità di quell’individuo ad affrontare gli specifici compiti evolutivi. Questo
adattamento costituirà un vincolo per l’organizzazione dei successivi percorsi adattivi.

Fattori di rischio-protezione (vedi supra)


Equifinalità-multifinalità (vedi supra)

Modello evolutivo ecologico-transazionale


Il rapporto tra fattori di rischio-protezione vanno inquadrati in un modello evolutivo ecologico-
transazionale. A ogni livello l’influenza individuo-ambiente è reciproca e a ogni livello e momento
intervengono fattori sia di rischio che di protezione: la psicopatologia è dunque l’esito di molteplici
processi e non di una singola causa. La prospettiva della psicopatologia è non deterministica bensì
probabilistica. C’è comunque una certa possibilità di inferenza dato che i fattori agiscono effettivamente
imprimendo determinate traiettorie e limitandone altre.

1. STRATEGIE DI VALUTAZIONE IN ETÀ EVOLUTIVA

Fluidità e instabilità dei quadri diagnostici


Tenere conto della fluidità e dell’instabilità dei quadri diagnostici è fondamentale in età evolutiva.
Infanzia e adolescenza sono periodi di grandi cambiamenti fisici e psicologici, il pericolo principale è quello
di interpretare un’espressione della transizione evolutiva per il segno di un’emergente psicopatologia.
Si rende dunque necessario distinguere quadri nosografici specifici con criteri diagnostici definiti per ogni
fascia d’età.
È inoltre importante tenere conto che una discontinuità evolutiva della sintomatologia potrebbe
nascondere una continuità eterotipica del processo psicopatologico sottostante.

Compiti adattivi
È impossibile comprendere le traiettorie di sintomi patologici in età evolutiva senza tener conto della
specificità delle fasi e i relativi compiti di sviluppo. La sfida degli studiosi in questo campo è quella di
riuscire a tenere insieme i vari aspetti della sintomatologia patologica che permettono di individuare e
diagnosticare i disturbi senza dimenticare che le strutture del soggetto preso in considerazione sono
ancora in via di formazione dunque fattori di rischio/protezione, vulnerabilità e risorse vanno pensate in
maniera diversa.

Assessment in età evolutiva


È particolarmente difficile capire se certi risultati che possiamo ottenere in questa fase abbiano a che fare
con una reale disfunzione o con dei normali cambiamenti collegati a certi periodi critici. In questa fase in
effetti la struttura è ancora in piena formazione, è quindi molto difficile formulare diagnosi
sufficientemente solide. La psicopatologia dell’età evolutiva è dunque anche interessata al
funzionamento normale oltre che a quello patologico.

È fondamentale avere un quadro dei fattori di rischio e protettivi che caratterizzano l’esperienza del
bambino insieme alla resilienza, agli eventuali stressors e alle specifiche vulnerabilità. Sulla base di questo
ci è possibile spiegare alcuni “sintomi” e magari ridimensionarli senza necessariamente proporre una
diagnosi psicopatologica. Importante non dimenticare il ruolo delle risorse che, nel momento in cui siano
abbastanza solide, possono costituire un punto di partenza fondamentale per un eventuale percorso
terapeutico.

Contesto relazionale
Insieme a queste è necessario anche indagare il contesto relazionale e interpersonale (famiglia, scuola,
amicizie ecc.) in cui il bambino cresce. Caratteristiche dell’interazione, modello di regolazione, tonalità
affettiva e fase evolutiva della relazione ci permettono di comprendere le varie potenzialità del bambino
e ci possono aiutare a predire problemi nel funzionamento a breve e a lungo termine.

Fondamentale per «diagnosticare»:


❖ livello di sviluppo;
❖ fattori di rischio, protettivi, resilience, stressors;
❖ il sistema e le sue relazioni: famiglia, scuola, amici.

Classificazione di Anders
La classificazione di Anders è un sistema di riferimento diagnostico che ci aiuta a valutare le
caratteristiche relazionali in rapporto alla durata e alla pervasività della sintomatologia:

❖ Turbe relazionali → Caratterizzate da sintomi di breve durata e alterazioni passeggere


nell’ambiente o in relazione ai compiti di sviluppo. La qualità della relazione rimane intatta;

❖ Perturbazioni relazionali → Sintomi con durata di 1-3 mesi. Presenta un modello di regolazione
dell’interazione inappropriato o insensibile. La difficoltà è limitata in un’area di sviluppo e
modelli interattivi non rigidamente fissati;

❖ Disturbi relazionali → Sintomi che durano da più di 3 mesi. Caratterizzati da interazioni


disfunzionali, rigide e difficilmente modificabili. Non vengono portati a termini i compiti
evolutivi e il disturbo interessa più ambiti.

Anders valuta principalmente la durata e l’impatto del cambiamento in un contesto relazionale specifico.
È nei disturbi relazionali che il pattern si configura più specificamente come disadattivo poiché diventa
un’abitudine indipendente a situazioni stressanti.

Sistemi diagnostici per l’infanzia e l’adolescenza


Per affrontare la specificità della diagnosi in età evolutiva sono stati elaborati alcuni sistemi diagnostici
specifici:
a) Classificazione diagnostica della salute mentale e dei disturbi di sviluppo nell’infanzia (CD: 0-3R);
b) Manuale diagnostico psicodinamico (PDM).

Si tratta di classificazione multiassiali in grado di individuare criteri soglia specifici per la fascia d’età. Tra
le altre cose vengono valutati parametri relazionali, funzionamento psichico, esperienza soggettiva e
formazione della personalità.
CD: 0-3R
È applicabile fino ai 3 anni e presenta 5 assi:
▪ Asse I → disturbi clinici, aspetto psicologico. Prevede un albero decisionale che permette di
raggruppare i sintomi per fattori di rischio.

▪ Asse II → qualità della relazione (tra bambino e agenti del suo ambiente), ambito sociale,
relazionale. Pone attenzione sulle dinamiche relazionali, i pattern interattivi e l’esperienza
soggettiva delle relazioni coi genitori (non solo come fattore eziologico ma anche come
risorsa).

▪ Asse III → condizioni mediche, la salute;

▪ Asse IV → agenti psicosociali di stress, ambiente situazionale, potenziali fattori stressanti, di


rischio;

▪ Asse V → funzionamento emotivo e sociale.

PDM
Copre teoricamente tutto l’arco evolutivo con 2 specificazioni:

A. Neonati e Bambini piccoli (prima infanzia) → La diagnosi primaria (asse I) viene definita in base
alle capacità evolutive funzionali ed emotive (asse II), alle capacità di regolazione
dell’elaborazione sensoriale (asse III), ai pattern relazionali (asse IV) e ad altre diagnosi mediche
e neurologiche (asse V). l’asse I considera 3 categorie di disturbi:
1) Disturbi interattivi;
2) Disturbi regolatori dell’elaborazione sensoriale;
3) Disturbi neuroevolutivi della relazione e della comunicazione.

La qualità dei pattern interattivi rappresenta anche qua un fattore eziopatogenetico. Per valutarle
è necessario tenere in considerazione, oltre alle strutture del bambino, anche quelle del caregiver
di riferimento.

B. Bambini e Adolescenti → Questo sistema è più simile a quello degli adulti, ma ne inverte la
priorità. Prende in considerazione 3 assi:

1) Profilo del funzionamento mentale (Asse MCA) → descrive le modalità di fare esperienza
delle relazioni e delle emozioni: modalità difensive, rappresentazioni interne e auto-
osservazione;

2) Pattern e disturbi di personalità (Asse PCA) → colloca la struttura di personalità lungo un


continuum che va dal normale al patologico. Parliamo però in questo caso di personalità
in formazione. Al contrario del DSM il PDM ammette la possibilità di diagnosticare disturbi
di personalità anche quando quest’ultima è in formazione (prima dell’adolescenza);

3) Pattern sintomatici ed esperienza soggettiva (Asse SCA) → possono essere valutati solo
nel contesto più ampio del funzionamento mentale e dello sviluppo della personalità.

La valutazione della personalità in età evolutiva


Secondo Ammaniti è possibile anche durante l’età evolutiva fare diagnosi di Disturbi di Personalità,
sarebbe tuttavia più corretto parlare di organizzazione di personalità per sottolinearne il carattere ancora
in formazione. Da questo punto di vista, il modo migliore per comprendere i disturbi di personalità in età
evolutiva, è quello di valutarla nel quadro di dinamiche e conflitti generali (modello PDM).

Separazione tra sintomi e organizzazione della personalità


La separazione tra aspetti sintomatici e l’organizzazione della personalità appare, in effetti, piuttosto
aleatoria. È stata ratificata dal DSM e si basa su questi presupposti:
1) Diversa stabilità (più stabili i disturbi di personalità);
2) Diversa età di insorgenza (disturbi di personalità sono specifici del periodo tra l’adolescenza e l’età
adulta);
3) Diversa risposta al trattamento (disturbi della personalità più difficili da trattare);
4) Diverso grado di consapevolezza (più limitata per i disturbi di personalità);
5) Diversa comorbilità;
6) Differenti sintomi specifici.

Queste differenze non sono mai state accertate dalla ricerca.

Diagnosticabilità del Disturbo della Personalità in fanciullezza


Paulina Kernberg era convinta che i bambini fossero effettivamente in grado di manifestare
un’organizzazione della personalità sufficientemente strutturata da produrre, con un suo eventuale
irrigidimento, esiti disadattivi provocando una certa sofferenza soggettiva e una disabilità personale.
Tra le manifestazioni di questo irrigidimento Vela annovera: disturbi nelle relazioni interpersonali, disturbi
del senso di realtà, livelli eccessivi di ansia, impulsività, sintomi pseudonevrotici e in generale uno sviluppo
distorto e disarmonico.
Rutter con studi più recenti ha confermato la possibilità di una determinazione precoce di queste
distorsioni rigide e disadattive del funzionamento. Tra i criteri di valutazione annovera la capacità di
costruire relazioni affettive stabili e provare preoccupazione per gli altri.

Modelli di Attaccamento (relazione)


Per Bleiberg un punto di partenza per comprendere questi disturbi è il legame di attaccamento, in virtù
della stabilità dei modelli che genera. Questi, dal momento in cui si formano nei primi anni di vita,
costituiscono una sorta di baricentro vita psichica.
Secondo Stern sono queste relazioni a contribuire allo sviluppo del senso di sé per mezzo di schemi
comunicativi reciproci. Tali schemi relazionali non si possono ridurre ai segnali di attaccamento,
funzionali principalmente a ottenere protezione, ma si riferiscono ad una capacità intersoggettiva.

Emozioni e linguaggio emotivo


Le capacità di regolazione interna e di comunicazione delle emozioni appaiono già nel primo anno di vita.
Le emozioni positive giocano un ruolo cruciale nella formazione della personalità infantile, ad esse è
connessa la costruzione del linguaggio emotivo. La regolazione delle emozioni negative è invece un
indicatore dello sviluppo emotivo-relazionale.
È con la fine del secondo anno che si sviluppa una capacità più prettamente autoregolativa (da diadica
com’era prima) che assume caratteristiche individuali e va a costituire i nuclei della personalità e del Sé.
Tale regolazione riguarda anche l’umore di fondo come guida della continuità comportamentale infantile
che può predire le esperienze future.
Pertanto l’organizzazione emotiva costituisce un pilastro della personalità in quanto struttura stabile.
Funzione riflessiva
Per funzione riflessiva intendiamo la capacità di interpretare comportamenti propri e altrui in termini di
stati mentali (teoria della mente). La prima tappa di questa abilità riguarda la possibilità di attribuire un
significato alle proprie esperienze personali. Questa capacità è una determinante delle dimensioni della
coscienza e della responsabilità.

Conclusioni
Possiamo pertanto concludere che le componenti relazionale, emotiva e cognitiva, fondamentali nella
costituzione della personalità, sono interessate da uno sviluppo precoce esposto fin dall’inizio a possibili
distorsioni potenzialmente patologiche.

Disturbi dell’adattamento
❖ Caratterizzati per sintomatologia che si verifica in risposta a stressor situazionali presenti nella
vita di una persona;
❖ Stressor non più di 3 mesi prima;
❖ 6 mesi dalla cessazione dello stressor.

Funziona come una diagnosi di una situazione di pre-allarme: ci permette di valutare il funzionamento di
un bambino in relazione ad una situazione critica/stressante. Se il comportamento disadattivo si protrae
anche molto tempo dopo la cessione dello stressor allora non è più considerabile come un problema
dell’adattamento.

2. LA VALUTAZIONE E IL PROCESSO DIAGNOSTICO IN ETÀ EVOLUTIVA


Diagnosi in età evolutiva
In età evolutiva il processo diagnostico deve prendere in considerazione diverse fonti di informazione e
contesti di valutazione. Tale processo considerare due aspetti paralleli e interdipendenti:
a) La classificazione dei disturbi, che è guidata teoricamente dai sistemi di classificazione;
b) La valutazione degli individui, che deve tenere conto della parte attiva del bambino nel suo
sviluppo e i suoi caratteri specifici.

STRUMENTI DI VALUTAZIONE
1. Children Apperception Test (C.A.T.)
2. Object relations Technique (O.R.T.)
3. Rorschach
4. Adult Attachment Projective Picture test (A.A.P)
5. Thematic Apperception Test (T.A.T.)
6. Le avventure di Blacky
7. Affect in Play Scale (6-10) (A.P.S.)

1) Children Apperception Test → è un test proiettivo sviluppato da Leopold Bellak nel 1949 e pubblicato
in Italia nel 1957 dalla casa editrice Giunti OS – Organizzazioni Speciali.
Ispirandosi al Thematic Apperception Test (TAT) di Henry Murray (uscito nel 1943), il CAT indaga la
personalità dei bambini dai 3 ai 10 anni attraverso lo studio delle differenze individuali nella percezione
di stimoli standardizzati. Il test è costituito da dieci tavole che riproducono dei disegni con animali. Il
bambino è chiamato a osservarle e a inventare, per ognuna, una storia a partire dagli elementi che vede
raffigurati. Dall'interpretazione di queste storie emergono elementi significativi come la struttura affettiva
del bimbo, le funzioni dell'Io, il rapporto con gli adulti, le reazioni di fronte ai conflitti o alle difficoltà dello
sviluppo, le sue reazioni all'interno del gruppo di amici o a scuola.
All'occorrenza, alla somministrazione del CAT si può aggiungere (o sostituire) quella del suo supplemento,
il CAT-S. Questo è, a sua volta composto da dieci immagini di animali stampate su cartoncini più resistenti,
ed è pensato per l'intervento in situazioni o temi particolarmente critici. Molto utile come materiale per
tecniche di gioco e libera manipolazione, in genere vi si ricorre quando il bambino fa più fatica a raccontare
storie.

2) Object relations Technique → valuta le relazioni e fa riferimento alla teoria delle relazioni oggettuali
di Klein. Si chiede all’oggetto di raccontarci una storia per capire come il soggetto interagisce in vari
contesti relazionali (solitudine, diadica, triadica ecc…). si cerca di capire quanto una persona sia in grado
di coinvolgere più persone in questa storia ad esempio.

3) Rorschach → è composto da 10 tavole con immagini speculari. L’autore non ci ha lasciato un netto
sistema di scoring e per questo negli anni si susseguiti vari metodi di valutazione basati su questo
strumento. In questo test non ci sono risposte prestabilite ed è preferibile somministrarlo in
preadolescenza, adolescenza ed età adulta.

Dove l’abbiamo visto?


Perché ci è sembrato così?

Il contenuto della percezione è solo una delle variabili interessanti. Ma attraverso le risposte a queste
domande si possono ottenere molte più informazioni interessanti. Ci interessa dunque particolarmente il
perché si vede una determinata cosa. Questo è il metodo R-Pass che ci permette di formulare una diagnosi
strutturale del funzionamento dell’individuo.
Questo test è stato pensato per soggetti con disturbi gravi, tuttavia recenti studi mostrano come pazienti
schizofrenici spesso non siano in grado di vederci qualcosa.
Altri problemi possono essere collegati a manipolazioni in ambito di perizia forense.
Il Rorshach può essere usato in maniera fruttuosa per capire cosa ci sia che non va in un periodo confuso
più che dare risposte effettive e specifiche. Anche per questo motivo non possiamo più interpretarlo
principalmente come un proiettivo ma dobbiamo considerarlo, più correttamente, un performance
based.

4) Adult Attachment Projective Picture test → è una prova che riguarda il legame di attaccamento (Adult
Attachment). È il “corrispettivo” della strange situation per adolescenti e adulti. Dobbiamo distinguere
pattern di attaccamento e stili di attaccamento. In questo test parliamo di pattern quindi dei MOI,
viaggiamo quindi a un livello maggiormente inconscio e inconsapevole. Lo stile infatti lo possiamo valutare
tramite un questionario.

Ci sono due metodi: l’AAI e l’AAP che attivando i modelli di attaccamento ci permettono di riprodurre le
situazioni che indaghiamo in situazioni più “fisiche” come quelle della strange situation.

5) Thematic Apperception Test → Fa riferimento al tematical affection test e viene utilizzato sempre
come elicitante di narrazioni.

6) Blacky → è uno strumento che aiuta il bambino a parlare di tematiche critiche per i bambini. Blacky è
un cane che vive in una famiglia essendo “diverso” dal resto dei familiari.

7) Affect in Play Scale → è basato sul gioco simbolico e cerca di stimolare la creatività del bambino per
capire come procede. Ci permette inoltre di mostrare i temi che mette in scena più spesso il bambino. È
adattato per bambini dai 4 ai 6 (toys) e dai 6 ai 10 anni (puppets). In Italia tuttavia si è notato che la
tipologia di gioco (le marionette) non fosse adeguato come stimolo alla generazione dei bambini di oggi e
si usano i giochi anche per età più avanzate. Gli strumenti di gioco ci permettono di indagare sul livello di
gioco funzionale e simbolico. I giochi offrono degli input che il bambino può o meno cogliere.

Tutti questi strumenti per essere utilizzati necessitano di un training e di una grossa preparazione per
poter essere somministrati e ci permettono ad un tempo di fornire valutazioni strutturate ma allo stesso
tempo di dirci qualcosa sull’individuo.
Gli strumenti vanno utilizzati con discrezione, questi strumenti sono infatti molto stressanti e devono
essere utilizzati per “rispondere” a domande che ci siamo fatti a monte di un colloquio.
Una volta che somministriamo e organizziamo lo scoring dobbiamo ovviamente costruire
un’interpretazione che metta insieme tutti i risultati, consapevoli del fatto che dovremo anche
“comunicare i risultati” in un determinato modo, traducendolo.
Più o meno libero, utilizzando o meno gli strumenti. Il colloquio non è mai unico, consideriamo anche gli
aspetti non verbali ma che trasmettono qualcosa.

a) Test Tesistici

b) Test Proiettivi = con uno stimolo chiediamo al soggetto di raccontarci qualcosa

c) Play Task

d) Usare il disegno

e) Usare stimoli vari

f) Test che hanno l’obiettivo di dare indicazioni al clinico in base alle sue osservazioni.

g) La Wechsler: si hanno versioni differenti in base all’età. Abbiamo 4 sottodivisioni:

o Indici competenze verbale


o Percettivo
o Memoria di lavoro

Prima infanzia ed età scolare


1) Colloqui clinici e/o interviste coi genitori

a) In questo ambito va raccolta in primis l’anamnesi relativa alle tappe di sviluppo motorio,
cognitivo, affettivo, relazionale in relazione all’insorgenza del sintomo (esplorare vissuto
dei genitori rispetto al sintomo). Grazie a questa possiamo contestualizzare l’emergere
della sintomatologia e definire le traiettorie evolutive che tengano conto di risorse e
vulnerabilità del bambino.

b) La qualità rappresentazioni che i genitori hanno costruito relativamente al bambino e


all’essere genitori (e all’essere genitori di quel bambino specifico) è particolarmente
rilevante. Attraverso colloquio libero e interviste semistrutturate è possibile esplorare
l’esperienza soggettiva della genitorialità e la qualità della loro funzione riflessiva
(riconoscere gli stati mentali del bambino);

c) Infine la qualità delle dinamiche familiari e di coppia che può aver impattato sullo
sviluppo.

2) Valutazione e funzionamento psicologico bambino


A seconda dell’età e delle competenze lo sviluppo del bambino può essere valutato secondo varie
tecniche di osservazione, quali sedute di gioco, colloqui clinici, scale di valutazione e test (proiettivi
grafici e tematici).

Prima infanzia → importante valutare reattività, elaborazione info sensoriale, tono motorio e capacità
di pianificazione motoria.

Seconda infanzia → approfondire qualità delle relazioni e tecniche narrative/proiettive.


3) Osservazione dinamiche familiari e interazioni
L’osservazione della relazione e dei pattern d’interazione può essere valutata attraverso la qualità
generale dell’interazione, il tono affettivo e il coinvolgimento psicologico. Per questo possono essere
utilizzate procedure più o meno strutturate che valutino i modelli di attaccamento.

Adolescenza
1) 2 Setting
Questa specifica fase evolutiva vede contrapposte le spinte verso l’autonomia (ricercata) e la
dipendenza (dalla famiglia). Si rende dunque necessaria un’impostazione fondata su 2
setting: uno che consideri l’intero nucleo familiare e uno che permetta al paziente di
sperimentare uno spazio personale e privato (più vicino a quello pienamente adulto).

2) Dinamiche familiari
Importante indagare l’impatto che l’adolescenza ha avuto sulle dinamiche familiari: come si
è riorganizzato il nucleo, come vengono affrontati i conflitti qual è la qualità dei legami
interni?

3) Colloquio
È necessario esplorare il funzionamento scolastico, relazionale (genitori, amici, partner), le
rappresentazioni di sé e dell’altro, le modalità difensive e la qualità degli affetti.

4) Nuove esperienze e emergenti competenze


Possono essere considerate una significativa fonte di informazione.

Quadro diagnostico globale


La valutazione del singolo bambino/adolescente deve includere un numero ampio di aree e funzioni che
vanno poi riorganizzate in un quadro diagnostico globale che tenga conto di risorse, vulnerabilità e
capacità emergenti. Bisogna fare un lavoro di integrazione tra sintomatologia e funzionamento generale.

Sistemi di classificazione
(vedi sistemi diagnostici) Il clinico deve valutare quanto ciascuna capacità e area di funzionamento pesa
sul funzionamento generale del soggetto.

3. LA PREVENZIONE GLI INTERVENTI IN ETÀ EVOLUTIVA


Gli interventi preventivi in prima infanzia rappresentano una risorsa fondamentale nell’ottica della
promozione della salute e la riduzione dei rischi. Possiamo distinguere:

A. Prevenzione primaria → Ridurre probabilità di insorgenza di psicopatologia infantile attraverso


programmi che sostengono fattori protettivi e riducono fattori di rischio (sostegno alla
genitorialità, corso pre-parto ecc.). Rappresentano degli interventi che possono essere applicati
ad ampio spettro laddove non c’è ancora la patologia;

B. Prevenzione secondaria → Identificano precocemente patologie o fattori di rischio specifici e


intervengono per prevenirne la progressione o ridurne gli effetti (sostegno alla genitorialità,
mamme con depressione post-partum, home visiting). Dunque ci sono già dei presupposti che
possono portare alla patologia pur non essendoci ancora;
C. Prevenzione terziaria → La patologia è già presente, è finalizzata a ridurre l’impatto negativo a
lungo termine ripristinando aspetti funzionali (terapia madre/bambino) (casa mamma-bambino,
spazi dove si accolgono le mamme con i bambini piccoli 6-24 mesi; stanze che si offrono per le
mamme coi bambini, e ci sono psicologi presenti che aiutano). C’è inoltre il pericolo che i genitori
possano sentirsi “colpevoli” della situazione patologica in cui versa il bambino.

Deviazione dal percorso normativo


Le patologie in età evolutiva vanno lette come deviazioni da un percorso normativo dovuta a cause di
varia natura. Bisogna considerare che queste deviazioni rappresentano comunque una forma di
adattamento che riflette l’organizzazione precedente e il compito evolutivo corrente.

Risorse
Il clinico dev’essere in grado di lavorare sulle risorse del soggetto e della famiglia.

Competenze genitoriali
Fattori di personalità e contestuali determinano le competenze genitoriali come l’accudimento che
rappresenta un ambito di spiccata continuità nell’esperienza di un bambino.

Doppia opportunità della prevenzione


La prevenzione offre una doppia opportunità nel senso che non solo promuove una situazione salutare
nell’immediato ma promuove uno sviluppo adattivo nel lungo termine.

Home visiting
In questo senso l’home visiting rappresenta uno strumento significativo: si tratta di un programma di
prevenzione estremamente diversificato svolto direttamente nelle abitazioni delle famiglie. Ha giocato un
ruolo fondamentale nel passaggio dalla famiglia tradizionale a quella contemporanea. Sia negli Stati Uniti
che in Italia ha prodotto risultati incoraggianti per quanto riguarda la riduzione di comportamenti
genitoriali problematici associati alla maternità a rischio psicosociale e depressivo.
Tra gli obiettivi principali ricordiamo:
o Riduzione dei fattori di rischio in contesti socioambientali svantaggiati;
o Riduzione dei fattori di rischio in condizioni di depressione;
o Riduzione dei fattori di rischio legati al funzionamento familiare;
o Promozione di fattori protettivi quali sensibilità materna e attaccamento sicuro.

Non si agisce dunque direttamente sulla patologia ma sulle variabili che possono condurre ad essa.
Sono principalmente due gli aspetti che caratterizzano l’home visiting:

A. La relazione tra home visitor e genitore, messa in evidenza negli orientamenti psicodinamici e della
teoria dell’attaccamento. L’home visitor funziona come una base sicura per la madre fornendogli
sostegno e ascolto che promuoveranno un’interazione migliore tra madre e figlio;

B. Informazioni e conoscenze che vengono trasmesse, evidenziati dai programmi psicoeducativi che
fanno riferimento alla teoria dell’apprendimento sociale. L’obiettivo è quello di educare alla
genitorialità attraverso conoscenze e strategie.

Queste funzioni possono essere svolte sia da figure professionali che da paraprofessionisti.
Va inoltre ricordato che l’azione si colloca in un continuum che va da considerare solo la relazione
genitore-bambino a una gamma molto ampia di variabili. Anche l’intensità dell’aiuto è variabile.

CLASSIFICAZIONE NEL CICLO VITALE

All’interno di questi manuali, pur incentrati sulle patologie dell’età adulta (specialmente il DSM), sono
contenute le patologie caratteristiche del ciclo vitale con inserti specifici anche sull’età dello sviluppo e di
vecchiaia.

a. DSM (Diagnostic Statistic Manual)

b. PDM (Psychodynamic Diagnostic Manual)

c. ICD (International Classification of Disorders)

DSM (Manuale diagnostico statistico dei disturbi mentali)


Nel maggio 2013 è uscito il DSM-5, la quinta edizione del Diagnostic and Statistical Manual (DSM) of
Mental Disorders dell’American Psychiatric Association (APA), circa vent’anni dopo la quarta edizione
(DSM-IV) e tredici anni dopo la sua Text Revision (DSM-IV-TR).

Storia
Il DSM (Manuale diagnostico statistico dei disturbi mentali) presenta, comprese le revisioni, 7 edizioni
dal 1952. Raccoglie i disturbi che possono essere diagnosticati da uno specialista su basi statistiche. Le
prime due hanno suscitato poco interesse e rappresentavano solo elenchi di disturbi con una breve
descrizione. La vera novità si ha col DSM-III a cura di Bob Spitzer che introduce 5 aspetti fondamentali:

1) Approccio ateorico → Questo manuale nasce per contrastare il crescente disagio nato dalla
frammentazione della teoria diagnostica dovuta alle differenze tra le varie scuole. Si rese dunque
necessario un punto di riferimento che, mettendo da parte le teorie eziopatogenetiche, si basasse
solo sull’aspetto descrittivo della sintomatologia derivato da dati certi dell’esperienza. Anni dopo
possiamo sostenere che questo esperimento sia fallito in quanto è difficile ottenere validità
prescindendo da una teoria.
A tale scopo si individuarono alcuni criteri diagnostici al più basso livello di inferenza possibile.
Questo strumento è utile ma non è sufficiente per portare avanti una diagnosi e una relativa
terapia, ma è necessario integrare con un colloquio.

2) Modello politetico → Per ogni disturbo mentale viene specificato un numero minimo di criteri la
cui presenza è necessaria per la diagnosi. Se in un modello monotetico vi sono uno o più criteri
che devono essere obbligatoriamente presenti in quello politetico (adottato dal DSM-III) i criteri
diagnostici hanno tutti un ugual valore ponderale, non c’è dunque uno che dev’essere per forza
presente.
Viene definita una democrazia dei sintomi (connessa all’approccio ateorico), ad esempio vi sono
93 combinazioni di sintomi che formano diversi tipi di border. Tale sistema è quindi caratterizzato
da un’estrema eterogeneità: due soggetti, certi casi, potevano venir diagnosticati col medesimo
disturbo senza avere in comune neanche un sintomo.
Un altro paradosso è che, seppur l’obiettivo fosse quello di avvicinare la pratica psichiatrica alla
medicina, quest’ultima predilige da sempre un approccio monotetico.
3) Validità/attendibilità → Il concetto di validità può essere di vari tipi, la più importante è quella di
costrutto che si riferisce alla capacità di rappresentare o misurare realmente il costrutto
sottostante. L’attendibilità si riferisce al grado con cui operatori diversi concordano sulle diagnosi
fatte indipendentemente sullo stesso paziente. Il fatto che una diagnosi sia molto attendibile non
vuol dire necessariamente che sia valida, ovvero corretta.
Il DSM-III ha sollevato il coefficiente di accordo (attendibilità) tra le diagnosi di molte patologie ma
non ne ha modificato la validità: si tratta comunque di convenzioni. La prova di questo è la
frequente alta comorbilità.

4) Modello categoriale dei disturbi → Se DSM-III e IV hanno sposavano un modello prettamente


categoriale il DSM-5 ha introdotto aspetti dimensionali.
Secondo un modello categoriale lo stato di malattia viene considerato qualitativamente diverso
da quello di non malattia (il disturbo c’è o non c’è) e i disturbi (categorie diagnostiche) sono
nettamente separate.
Nell’approccio dimensionale i disturbi mentali sono considerati variazioni quantitative poste in
un continuum che va dal normale al patologico.
Si può dire che il modello categoriale è molto più astratto e pratico a livello clinico rispetto a
quello dimensionale che risulta invece più rispondente alla realtà e quindi più adatto alla ricerca.
Va poi menzionata la ricerca di Westen che rivela l’efficienza di un approccio prototipico basato
sulla comparazione (categoriale ma non politetico) per cui i disturbi della personalità sono delle
configurazioni globali (pattern) non “smontabili” in criteri. Tali ricerche sono state fatte sulla base
della SWAP.

5) Sistema multiassiale → Presente nel DSM-III e IV ma eliminato nel DSM-5 per avvicinarsi all’ ICD.
Prevede che il paziente venisse valutato in determinati ambiti, ovvero i 5 assi indipendenti e
paralleli tra loro:

a. ASSE I → Disturbi clinici e altre condizioni che possono essere oggetto di attenzione clinica
(depressione, schizofrenia) [temporanei];

b. ASSE II → Disturbi di personalità (10) e ritardo mentale [per tutta la vita];

c. ASSE III → Condizioni mediche generali (polmonite, diabete);

d. ASSE IV → Problemi psicosociali e ambientali (stressors);


e. ASSE V → Valutazione globale del funzionamento (0-100).

Concepire questi assi indipendenti permetteva di indagare il soggetto in prospettive differenti per
integrarle in un momento successivo della diagnosi, come una declinazione del modello
biopsicosociale.
Risulta interessante soffermarsi sulla distinzione tra Asse I (disturbi clinici) e II disturbi della
personalità) fondata sul carattere temporaneo dei primi, che sarebbero considerabili stati, e di
quello stabile (almeno a partire dall’adolescenza) dei secondi, da considerare invece tratti. Questa
distinzione si fonda sulla concezione strutturale della personalità: un paziente privo di disturbi
nell’asse II, di norma, risponde meglio ai trattamenti in quanto presenta una personalità non
irrigidita in comportamenti disadattivi.
Gli assi III e IV sono stati sostituiti con strumenti più vicini all’ICD, l’asse V è stato scartato perché
giudicato poco chiaro.

- Soglia diagnostica (cut-off=soglie);

- Approccio statistico.

Il dibattito critico sul DSM-5


Il DSM-5 rappresenta un punto di rottura piuttosto importante con le edizioni precedenti. La task force è
stata formata nel 1999. Ecco alcune delle novità più importanti:

o Abolizione del sistema multiassiale e distinzione disturbi dell’infanzia e età adulta;

o Il sistema rimane categoriale ma con attenzione dimensionale (gradiente di gravità);

o Abbassamento della soglia di molti disturbi (medicalizzazione vs studiare i disturbi lievi


per prevenzione);

o Accorpamento della Sindrome di Asperger all’interno dei “Disturbi dello spettro


autistico” (l’introduzione del concetto di “spettro” è un’altra importante novità del DSM-
5, coerente con una logica dimensionale);

o Inclusione del lutto all’interno della Depressione maggiore;

o Introduzione di una “Sindrome da rischio psicotico” (ritirata per le polemiche);

o Poca armonia tra DSM-5 e ICD-11;

o Eliminazione di 5 disturbi di personalità (paranoide, schizoide, narcisistico, istrionico e


dipendente, sostituiti dalla specificazione di tratti di personalità secondo una logica
dimensionale; il disturbo narcisistico fu poi reintrodotto perché la sua eliminazione aveva
suscitato troppe polemiche).

Tra le critiche metodologiche c’è da segnalare la scarsa possibilità di dibattito che si è potuta creare
intorno a questa edizione, considerando che i membri della task force hanno dovuto firmare un contratto
di riservatezza. In particolare sono stati Spitzer e Allen Frances ad essere particolarmente critici.
Abbassamento soglie diagnostiche
L’abbassamento generale delle soglie diagnostiche è una tendenza problematica da vari punti vista. In
primis facendo salire i dati epidemiologici si rischia che anche le normali difficoltà della vita vengano fatte
passare per malattie mentali (autismo e ADHD sono esempi frequenti).
Questo è ovviamente funzionale ai profitti delle industrie farmaceutiche che lucrano sul maggiore tasso
di diagnosi di disturbi. Il rischio è quello di una iperpsichiatrizzazione di massa. La Sindrome da rischio
psicotico, nata con motivazione preventiva, rischiava di promuovere una medicalizzazione eccessiva su
pazienti che non ne avevano bisogno.
Uno dei rischi principali è quello dell’impoverimento di significato della vita a causa della medicalizzazione
di difficoltà e tristezza quotidiane, spesso di carattere adattivo.
Migone rileva che da una motivazione tutto sommato giustificabile come quella di studiare con più
attenzione e intervenire sui principi del disturbo (l’introduzione del concetto di spettro è funzionale
anche a questo) si è passati a questi paradossi rischiosi.

Movimenti di critica
Accanto alle azioni dei professionisti si sono levate anche le voci di movimenti esistenzialisti, associazioni
di familiari e pazienti, gruppi antipsichiatrici e così via, che hanno opposto posizioni antidiagnostiche tout
court, facendo scadere le proposte iniziali dei critici del DSM.

Research Domain Criteria


Metodi di classificazione diagnostica più innovativi si basano sullo studio dei circuiti neurali. Sono già stati
identificati 5 dominii, che corrispondono ad altrettante regioni cerebrali e vie neurochimiche (emotività
negativa, emotività positiva, processi cognitivi, processi sociali, sistemi di regolazione/ arousal), ciascuna
delle quali si suddivide in altri sotto-dominii a seconda di particolari circuiti neurali.

Disturbo borderline
Lo statuto teorico e clinico di questo fondamentale paradigma è massimamente incerto tanto che, ad
esempio, il PDM e la SWAP hanno espunto questa categoria diagnostica. Il DSM-5 l’ha invece mantenuta,
anche se con reticenza, in virtù delle pressioni degli interessi che erano legati a questa diagnosi

Dimensionale/categoriale
Il tentativo di rendere l’approccio dimensionale il principale del DSM-5 è stato bocciato in quanto troppo
complesso. Al suo posto nella sez. III c’è un tentativo (Modello alternativo per i disturbi di personalità),
molto criticato, di avvicinarsi verso un approccio dimensionale per comprendere come le situazioni
empiriche rispondono a questa variazione.

Alcuni collaboratori hanno individuato delle problematiche presenti nel DSM-5 che dovranno essere
modificati:

Diagnosi problematiche (Frances, 2012)

1) Disturbo di disregolazione dirompente dell’umore → gli scatti di rabbia diventeranno un


disturbo mentale;

2) Il normale lutto diventerà Depressione maggiore;

3) Le normali dimenticanze e debolezze cognitive della vecchiaia possono essere diagnosticate


come Disturbo neurocognitivo lieve;
4) La diagnosi di Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività (ADHD) dell’adulto subirà
un’ulteriore ascesa;

5) Abbuffarsi di cibo dodici volte in tre mesi non sarà più segno di golosità o disponibilità di
buon cibo, ma di malattia mentale (Disturbo da alimentazione incontrollata);

6) I criteri diagnostici dell’autismo abbasseranno il tasso di questo disturbo, il che potrebbe


portare a una minore assistenza laddove necessaria;

7) Le persone che abusano per la prima volta di sostanze avranno una diagnosi parificata
rispetto ai tossicodipendenti di lunga data;

8) È stato introdotto il concetto di dipendenza comportamentali, che favorisce subdolamente


una cultura per cui tutto ciò che piace molto diventa disturbo mentale (quella dal sesso è
stata scartata, ma il gioco d’azzardo è rimasto trai disturbi da approfondire);

9) Il confine tra il Disturbo d’ansia generalizzato e la normale ansia quotidiana, che è già poco
chiaro, lo sarà ancor meno, col risultato che vi saranno molti nuovi “pazienti” ansiosi i quali
prenderanno i farmaci ansiolitici;

10) Aumento della diagnosi di Disturbo da Stress Post-Traumatico (PTSD);

11) Basterà essere seriamente preoccupati per una malattia fisica per ricadere nei Disturbi da
sintomi somatici.

Tra i pericoli maggiori c’è quello della diluizione delle risorse già scarse per l’intervento sui nuovi pazienti
affetti da disturbi lievi.
Proposta di Frances
La proposta di Frances è radicale: all’APA non dovrebbe più essere assegnato il compito di formulare i
futuri DSM, perché si è rivelata un organismo “di parte”, incapace di vedere le implicazioni più vaste che
può avere un sistema diagnostico di tale portata; a prendere le decisioni dovrebbe essere un comitato
formato da esperti di varie discipline, come politici, sociologi, filosofi e così via.
In generale si auspica un superamento del paradigma “tecnologico” della psichiatria, in cui viene
privilegiato l’uso dei farmaci, a favore di una rimessa al centro della relazione tra medico e paziente.

STRUTTURA DEL MANUALE


Il DSM-5 si apre con la classificazione generale delle diagnosi, corredata dai codici dell’ICD-9-CM. Vi sono
poi 3 sezioni e un’appendice.

• Sezione I → Presentazione, introduzione, uso del manuale e dichiarazione cautelativa per uso
forense;

• Sezione 2 → descrizione dei criteri diagnostici di tutti i disturbi (22 categorie) (800 pg). Sono i
seguenti:
o Disturbi neurologici dello sviluppo;
o Disturbi dello spettro schizofrenico e altri disturbi psicotici;
o Disturbi bipolari e disturbi correlati;
o Disturbi depressivi;
o Disturbi d’ansia;
o Disturbi ossessivo-compulsivi e disturbi correlati;
o Disturbi correlati a traumi e fattori stressanti;
o Disturbi dissociativi;
o Disturbi da sintomi somatici e disturbi correlati;
o Disturbi della nutrizione e dell’alimentazione;
o Disturbi dell’eliminazione;
o Disturbi del ciclo sonno-veglia;
o Disfunzioni sessuali;
o Disforia di genere (gender);
o Disturbi dirompenti, del controllo degli impulsi e della condotta;
o Disturbi correlati a sostanze e da dipendenza;
o Disturbi neurocognitivi;
o Disturbi di personalità;
o Disturbi parafilici;
o Altri disturbi mentali;
o Disturbi del movimento indotti da sostanze e altri effetti negativi dei farmaci;
o Altre condizioni che possono essere oggetto di attenzione clinica.

• Sezione 3 → s’intitola Misurazioni e modelli emergenti. Contiene proposte di nuovi modelli e


strumenti di valutazione (questionari, interviste background culturale, nuovo modello di
personalità, disturbi che necessitano di ulteriori studi).

• Appendice → esposizione delle maggiori differenze col DSM-IV, glossari di termini tecnici e
concetti culturali di stress ed altri elenchi.

I cambiamenti più vistosi dal DSM-IV

❖ Spettro schizofrenico → I 5 sottotipi di schizofrenia scompaiono e vengono fatti rientrare nel


concetto di spettro. Viene proposta nella sezione III una tipizzazione che indaga su 8 aspetti
valutabili con un punteggio da 0 a 4 (allucinazione, deliri, linguaggio disorganizzato,
comportamento anormale, sintomi negativi, deficit cognitivi, depressione e maniacalità);

❖ Disturbi depressivi e bipolari → Scompaio i disturbi dell’umore divisi in bipolari e correlati e


depressivi. Per i bambini viene proposta la diagnosi di Disturbo di disregolazione dirompente
dell’umore e viene introdotto il Disturbo disforico premestruale.

❖ Disturbi d’ansia, ossessivo compulsivi e post-traumatici → Vengono smembrati anche i disturbi


d’ansia. DOC e PTSD vengono considerati categorie a sé stanti, e al DOC vengono aggiunte nuove
diagnosi. Panico e agorafobia vengono separati. Ansia da separazione e mutismo selettivo
vengono fatti rientrare tra i disturbi d’ansia;

❖ Spettro autistico (ex autismo e asperger);

❖ Disforia di genere (ex disturbi sessuali) → Introdotta la diagnosi di disforia di genere (ex
Disturbo dell’identità di genere) e viene dunque depatologizzata. Si è deciso di mantenerla
perché permettesse un accesso più facilitato alle cure;
❖ Modello alternativo (dimensionale) per i disturbi di personalità (sez. III) → Pur rimanendo
identica alla formulazione del DSM-IV viene introdotto il modello dimensionale nella sezione III.
In questo modello vengono drasticamente modificati i criteri A e B riguardanti funzionamento
e tratti di personalità:
o Criterio A → Valutazione di 4 elementi di funzionamento della personalità (da 0=adattivo
a 4=estrema compromissione): i primi due riguardano il Sé (identità e auto-direzionalità)
e i secondi il funzionamento interpersonale (empatia e intimità);
o Criterio B à I tratti vengono posti in un continuum dimensionale che va dalla salute alla
patologia tramite il Personality Inventory for DSM-5 (simile al Five Factor Model e al
Personality Psychopathology Five) che descrive 5 dimensioni generali di personalità
(generalizzabili nella polarità Internalizzazione-Esternalizzazione) con ulteriori
sottodimensioni:

Questo modello individua 6 disturbi categoriali di personalità specifici: Antisociale,


Evitante, Borderline, Narcisistico, Ossessivo-Compulsivo e Schizotipico (2/4 del Criterio A
e un numero variabile di tratti dal Criterio B). In certi casi ci si avvicina a un criterio
monotetico (presenza obbligata di certi criteri.
Scompaiono i disturbi Paranoide, Schizoide, Istrionico e Dipendente che ricompaiono
nella diagnosi di Disturbo di personalità specificato dai tratti (la differenza è che qui il
Criterio B è usato secondo la linea dimensionale).

❖ Schede di valutazione e formulazione culturale → le scale standardizzate del DSM-5 sono 64 e


vi è anche un’intervista volta a indagare sulla definizione culturale del problema preso in esame.

DEFINIZIONE DI DISTURBO MENTALE (DSM-5)


«Una sindrome caratterizzata da un’alterazione clinicamente significativa della sfera cognitiva, della
regolazione delle emozioni o del comportamento di un individuo, che riflette una disfunzione nei processi
psicologici, biologici o evolutivi che sottendono il funzionamento mentale. I disturbi mentali sono
solitamente associati a un livello significativo di disagio o disabilità in ambito sociale, lavorativo o in altre
aree importanti. Una reazione prevedibile o culturalmente approvata a un fattore
stressante o a una perdita comuni, come la morte di una persona cara, non è un disturbo mentale.
Comportamenti socialmente devianti (per es. politici, religiosi o sessuali) e conflitti che insorgono
primariamente tra l’individuo e la società non sono disturbi mentali (…) (APA, 2013, trad.it. p.22)»

Modello PDM
• Manuale Diagnostico Psicodinamico (2006; 2017): associazioni psicoanalitiche internazionali;

• Multiassiale, multidimensionale e prototipico;

• Dati clinici e di ricerca;

• Valori soglia per bambini (partire da asse M) e adulti (partire da asse P);

• Concepisce la diagnosi in senso dimensionale ed è volto a comprendere la singolarità del paziente,


la sua soggettività, la sua psicopatologia ma anche le sue risorse.

La Diagnosi per gli Adulti si articola su tre assi:

1. Asse P (pattern e disturbi di personalità) → collocazione della persona lungo un continuum di


funzionamento e modalità con cui l’individuo organizza il proprio funzionamento mentale e si
mette in relazione con il mondo. Continuum di gravità (personalità sana, nevrotica, borderline);

2. Asse M (funzionamento mentale) → è dedicato alla valutazione del funzionamento emotivo e si


basa sull’assessment di 9 funzioni;

3. Asse S (sintomi e preoccupazioni manifeste) → è dedicato alla valutazione dell’esperienza


soggettiva dei sintomi connessi alle diverse sindromi dell'Asse P.

ICD-10, Classificazione Internazionale delle Malattie

* Non sempre l’uscita del figlio dalla famiglia si correla ad una maggiore soddisfazione coniugale.
* Non è detto che genitori schizofrenici non siano in grado di generare/prendersi cura dei figli.
* esperimento del pupazzo Bobo

FATTORI DI RISCHIO DELLA GENITORIALITA’

Il mondo rappresentazionale del genitore, insieme al suo sistema comportamentale, è condizionato da


condizioni ambientali. La tempestività nell’individuare la presenza di rischi psicosociali ed emotivi può
dunque fare la differenza nel favorire uno sviluppo normale del bambino.

Stress ed eventi di vita


I life events sono stati indagati come indici dello stress ambientale. La ricerca ha mostrato che basso
livello socio-economico, situazioni di maltrattamento (abuso e trascuratezza), eventi traumatici,
tossicodipendenza e condizioni di vita instabili, si associano ad un elevato tasso di attaccamenti
disorganizzati nei bambini provenienti da queste tipologie di famiglie.
Un problema non da poco riguarda il atto che spesso i fattori di rischio si presentano in associazione
“rinforzandosi” a vicenda.

Vediamo ora alcuni fattori di rischio.


1. RISCHIO DEPRESSIVO
La depressione materna, in gravidanza e nel primo anno di vita del figlio, è un importante fattore di rischio
per lo sviluppo di anomalie psicopatologiche nel figlio, con un tasso da 2 a 5 volte superiore rispetto ai
bambini nati da madri non depresse.

Modelli interpretativi diversi


La trasmissione intergenerazionale del rischio psicopatologico ha stimolato la ricerca a ideare vari modelli
interpretativi che cercano di rispondere a quesiti sostanziali come l’inquadramento dell’intensità, della
durata o delle associazioni correlate nella depressione materna.

Rapporto col comportamento materno


Il comportamento delle madri depresse è piuttosto eterogeneo (da comportamenti ed emozioni normali
a fortemente compromessi). Gli stati della mente delle madri depresse, rispetto all’attaccamento, in
alcuni studi sembrano essere prevalentemente preoccupati, in altri prevalentemente distanzianti.
Le madri depresse nel rapporto diadico col figlio presentano più affetti negativi e appaiono più
disimpegnate delle madri non depresse (difficoltà di regolazione). Si coinvolgono meno nel gioco e
ricorrono meno a un linguaggio infantile. Alcune madri depresse sono più intrusive e mostrano espressioni
del volto arrabbiate, altre esprimono maggiore tristezza e sono ritirate.

2 Modelli
Da questi emergono 2 modelli per spiegare il rapporto tra rischio depressivo e capacità di accudimento:
a) Modello forte (a soglia degli effetti) → viene definito una soglia critica del livello depressivo al di
sopra della quale il comportamento materno viene influenzato negativamente;
b) Modello correlato → la depressione viene considerata come uno dei possibili aspetti correlati ai
fattori di stress. Questi fattori sarebbero quelli primari responsabili della mediazione col
comportamento ostile: dunque anche una madre che non mostra sintomi depressivi può produrre
comportamenti negativi in quanto collegati a questi fattori primari.

L’ipotesi b) sembra essere quella più verosimile specialmente nella sua versione particolare fondata su un
modello relazionale: il comportamento di cura è appreso nelle relazioni precoci, i sintomi depressivi
andrebbero ad intaccare, come fattori di rischio, questo processo.

2 Pattern
Tronick e Weinberg hanno distinto gli effetti sul neonato di due diversi pattern di interazione del genitore.
Entrambi interagiscono col processo di regolazione costituendo una rottura dell’intersoggettività

1) INTRUSIVITÀ.
Le madri intrusive si rivolgono al bambino con un tono di voce arrabbiato e interferiscono attivamente
con le sue attività.
I bambini delle madri intrusive evitano lo sguardo della madre, prestano raramente attenzione agli
oggetti, il pianto è molto infrequente.

Questi bambini inizialmente provano rabbia, si allontanano dalla madre, la respingono. Siccome solo
occasionalmente riescono a limitare l’intrusività della madre, loro sperimentano la riparazione in maniera
irregolare e internalizzano uno stato di rabbia, facile irritabilità e frustrazione, che in età successive si
mostra in comportamenti aggressivi diretti ad anticipare il comportamento intrusivo dell’altro.
Le femmine, che già a 6 mesi sembrano concentrarsi significativamente di più sugli oggetti rispetto ai
maschi, sembrano essere più sensibili alle mamme depresse intrusive, che interferiscono precocemente
con lo svolgimento delle loro attività.

2) ALLONTANAMENTO.
Le madri isolate non interagiscono, sono affettivamente piatte, non reattive, fanno poco per aiutare le
attività dei propri figli.
I figli delle madri isolate protestano e mostrano il loro stato di stress, possono arrabbiarsi, si disregolano,
diventano irritabili e piangono.

In caso di situazione cronica, sviluppano uno stile distaccato e diretto verso se stessi, con comportamenti
autoconsolatori e autoregolatori, passivi e di isolamento. Tale pattern va a costituire per il bambino uno
stile di difesa sistematico. Sviluppano così un nucleo affettivo negativo (tristezza e rabbia), la madre è
vista come non affidabile o responsiva, e le autorappresentazioni si presentano come inefficienti e
indifesi.

I maschi sembrano avere più bisogno di aiuto nella regolazione del loro stato emotivo e quindi subiscono
maggiormente gli effetti del comportamento delle mamme depresse allontananti/isolate.

Negligenza e Abuso
• Abuso → porta ad uno stato difensivo cronico di rabbia, a un aumento della vigilanza e della paura.
• Negligenza → porta il bambino a doversi continuamente autoregolare da solo, con conseguente
ritardo nella crescita, comportamento asociale, mancanza di motivazioni.

I genitori che sono stati cronicamente assenti o intrusivi probabilmente non saranno in grado di aiutare i
figli in adolescenza. I figli di questi genitori avranno molto probabilmente bassa autostima e
autoefficacia, difficoltà nel gestire le relazioni e i cambiamenti richiesti in adolescenza.

2. GENITORIALITÀ IN ADOLESCENZA.
Da un punto di vista statistico la gravidanza adolescenziale è un fenomeno molto più diffuso negli USA
anche se, con la crescita economica degli anni ’70, si è osservata un’impennata anche in Europa. La ricerca
si muove soprattutto per individuare fattori di rischio e possibili programmi di prevenzione e supporto.
Sole recentemente le ricerche si sono indirizzate sugli antecedenti del comportamento e della personalità
delle madri adolescenti, scorgendo in essi dei potenziali fattori di rischio.

Possibili traiettorie negative


Le madri adolescenti rispetto alle madri adulte presentano una maggiore correlazione con quei fattori che
si correlano a uno sviluppo negativo del bambino:

• Sono molto più frequentemente soggette a sintomi depressivi;


• Abusano maggiormente di sostanze;
• Attuano maggiori episodi di maltrattamento nei confronti dei figli;

Immagine di sé in adolescenza
La gravidanza può interferire con l’integrazione nell’immagine di sé delle trasformazioni somato-sessuali
(pubertà). Se da una parte una gravidanza adolescenziale può rispondere al desiderio di dimostrare che
il proprio corpo “funzioni” da adulta (narcisismo materno), dall’altra può rappresentare un tentativo di
sfuggire alle dinamiche di separazione/individuazione dalla propria madre (si cerca un avvicinamento a
questa).

Identità femminile
La gravidanza in adolescenza interferisce nel processo di costituzione della propria identità femminile. La
ragazza è ancora coinvolta nei suoi conflitti di figlia e allo stesso tempo è costretta ad assumere compiti
materni (sovrapposizione di identità diverse).
I conflitti tipici dell’adolescenza (maggiore diffusione dell’identità, bisogno di autonomia, difficoltà ad
acquisire un senso di responsabilità) si ripercuotono sulle competenze genitoriali, impedendo l’emergere
di un senso del Sé genitoriale funzionale ed adeguato.

Ripercussioni sul bambino


Le relazioni col bambino sono caratterizzate da limitate comunicazioni verbali, tendenze punitive,
frequente svalutazione delle competenze cognitive e comunicative del bambino, poiché:
• Esprimono un maggior numero di emozioni negative;
• Hanno più bassa autostima.

I figli delle madri adolescenti (in modo simile ai figli di madri adulte depresse), rispetto ai figli di madri
adulte non depresse:
• Manifestano scarse capacità di controllo e autoregolazione;
• In situazioni di disagio piangono meno e mostrano una minore quantità di rabbia, sono più passivi e
meno responsivi dal punto di vista emotivo;
• Hanno stili di attaccamento maggiormente evitanti e disorganizzati;
• Mostrano un maggior numero di deficit cognitivi e socio-emotivi nel corso dello sviluppo (età
scolare).

Molte madri adolescenti riescono comunque a fronteggiare queste sfide con successo specialmente a
monte di una solida salute mentale.

3. ABORTI E PERDITA PERINATALE.


La perdita perinatale (morte del bambino tra la ventesima settimana di gestazione fino ad un mese dal
post-partum) può avere diverse conseguenze sullo sviluppo di un eventuale nuovo nascituro.

Madre dopo l’interruzione di gravidanza


Le donne che subiscono un’interruzione di gravidanza sperimentano:

• Stati emotivi tipici del lutto;


• Sensazione di aver fallito come moglie/compagna e madre;
• Percezione di inadempimento delle attese del partner e della famiglia;
• Pensare che ci sia qualcosa di sbagliato nella propria femminilità;
• Avvertire l’evento come un tradimento del proprio corpo;

Spesso, un’altra reazione è desiderare un altro bambino il prima possibile, nonostante la paura di
perderlo nuovamente. Il 59-86 % di donne che hanno avuto un’interruzione di gravidanza o una perdita
perinatale rimane incinta dopo poco tempo, Ma quali sono le conseguenze?

• Può in alcuni casi ridurre il dolore del lutto precedente, in altri riaccenderlo/aumentarlo;
• Esiste comunque una vulnerabilità significativa a sviluppare sintomi del PTSD (soprattutto entro un
anno post-loss) e difficoltà nel costruire una nuova relazione;

Conclusioni
La perdita perinatale può richiedere una lunga elaborazione per essere superata dai genitori. Una
gravidanza eccessivamente vicina può non avere l’effetto riparatore sperato e peggiorare l’esperienza
genitoriale col nuovo bambino.
È stato rilevato un significativo aumento di indici di attaccamento disorganizzato nei figli, dovuto non
tanto alla depressione o all’ansia della madre, quanto piuttosto alla presenza di un lutto non risolto
conseguente a una morte prenatale.
Tra i pericoli più importanti c’è quello dell’idealizzazione del bambino morto con conseguente confronto
del nuovo nato a un’immagine di perfezione irrealistica.
A questo è inoltre associata una iperprotettività.

4. ALTRE VARIABILI CONSIDERATE IN LETTERATURA.

Qualità della relazione coniugale


La qualità della relazione coniugale sembra essere un fattore essenziale per lo sviluppo delle competenze
genitoriali.
Nell’ottica del developing family sistem la famiglia viene vsta come frutto di un’intersezione di s
subsistemi (genitoriale e coniugale). Vi sono 3 ipotesi generali sul rapporto di questi sistemi:
a) L’ipotesi Spill-over sostiene che i genitori che sperimentano relazioni di coppi soddisfacenti sono
più disponibili e sensibili nei confronti dei figli;
b) La Compensatory sostiene che vi sia una relazione inversa tra qualità dei rapporti coniugale e
genitoriale;
c) La Common factor vede nella personalità dei genitori il fattore comune che collega i due sistemi.

La prima sembrerebbe l’ipotesi più confermata, dunque il legame di coppia non soddisfa solamente
bisogni di intimità, ma fornisce anche il supporto emotivo indispensabile per l’educazione dei figli.

Ruolo del padre e co-parenting


Una buona comunicazione tra i due partner e la soddisfazione di coppia sono indici di buona e intensa
interazione padre-bambino. E la soddisfazione coniugale delle madri è un valido supporto per il padre.
La percezione del coparenting o negoziazione tra i genitori, ha una positiva influenza sulla sensazione di
sicurezza sperimentata dal bambino all’interno dello spazio familiare ed è un’opportunità di
apprendimento sotto il profilo delle acquisizioni sociali.

Effetti della nascita sulla relazione coniugale


La conflittualità di coppia aumenta lungo il primo anno di vita del bambino. Il rapporto tende poi a
rinsaldarsi nelle coppie con legame solido, a restare disfunzionante o a disorganizzarsi ulteriormente in
quelle originariamente meno sicure.
La soddisfazione coniugale tende a diminuire durante gli anni di allevamento della prole e ad una ripresa
significativa solamente in relazione all’uscita dalla famiglia da parte del figlio già adulto.

Ciò è dovuto soprattutto alla distanza tra aspettative sviluppate durante la gravidanza e situazione dopo
il parto:
• ritorno a casa dopo il parto;
• vita quotidiana particolarmente faticosa;
• ambivalenza nei confronti degli aiuti familiari disponibili;
• accorgersi che la coppia non funge da supporto;
• cambia l’immagine e la rappresentazione del partner;
• cambiano le esperienze di intimità;
• essere coppia davanti al bambino;
• doppia dimensione di partner e genitore.

In più si presenta una sorta di “sdoppiamento” della figura del partner che non può essere più
sperimentato unicamente come tale ma emerge anche in quanto genitore.

PSICOPATOLOGIA GENITORIALE E IMPLICAZIONI PER LO SVILUPPO

I bambini esposti a condizioni psicopatologiche genitoriali sono a rischio di esiti di sviluppo disadattivi.
Principalmente in relazione a:
• Psicosi (particolare riferimento alla schizofrenia);
• Depressione e disturbo bipolare;
• Dipendenza o abuso di sostanze.

Oltre al più alto rischio per i bambini di sviluppare la stessa condizione psicopatologica del genitore
aumenta anche il rischio di sviluppare condizioni disadattive e/o psicopatologiche diverse.

1. PSICOSI
Per quanto la modalità di trasmissione ereditaria sia piuttosto complessa, senza dubbio si osserva una
notevole familiarità. Il rischio schizofrenia è 1% nella popolazione generale; 4% per i parenti di secondo
grado; 10% se figli di un genitore schizofrenico (madre o padre); 40% se figli di due genitori schizofrenici;
48% per i gemelli monozigoti.

Falsi stereotipi
È falso che gli adulti affetti da condizioni psicotiche presentino un tasso di fertilità inferiore ed è falso che
i figli sia automaticamente affidata ai servizi sociali. È tuttavia vero che una minima parte delle madri
affette da disturbi psicotici abbia fatto almeno una volta affidamento alle cure istituzionali.

Familiarità schizofrenica
Non si tratta di una trasmissione ereditaria semplice, ma vi sono fattori e variabili che moderano il rischio
di schizofrenia nella prole, fattori ambientali che entrano in combinazione con quelli biologici nel
determinare l’esito psicopatologico. Nonostante i diversi dati che confermano il modello neuroevolutivo
che pone l’accento sui fattori genetici, è impossibile prescindere da variabili ambientali e relazionali

Sono due i principali studi longitudinali che hanno cercato di mettere chiarezza sulla natura del processo
schizofrenogenetico.

Finnish Adoptive Family Study.


Prende in considerazione 185 bambini ad alto rischio (figli di madri schizofreniche adottati entro il quarto
anno di età da famiglie che non avevano rapporti di parentela con le madri biologiche). Il gruppo di
controllo era costituito da 185 bambini adottati ma senza alcun genitore biologico ospedalizzato per
problemi psicotici.

Risultati → in entrambi i gruppi, i bambini adottati all’interno di famiglie sane mostravano livelli di
psicopatologia trascurabili. Maggiore psicopatologia è stata riscontrata nei bambini adottati in famiglie
disturbate. I livelli di psicopatologia più alti in assoluto sono stati riscontrati nelle famiglie con entrambe i
genitori adottivi disturbati.

Follow-up a più di 20 anni → 35 soggetti francamente schizofrenici (di cui 32 adottati e cresciuti
all’interno di famiglie gravemente disturbate). La famiglia adottiva sana è un forte fattore di protezione
per i bambini ad alto rischio di trasmissione genetica.

In conclusione l’ipotesi che poneva i fattori ambientali come fondamentali sia in quanto fattori di rischio
che di protezione è stata confermata.

Rochester Longitudinal Study.


Vengono presi in considerazione bambini nella primissima e prima infanzia (dalla nascita all’età
prescolare).
Le madri sono state selezionate con diverse condizioni psicopatologiche (gruppo schizofrenico, gruppo
depressivo, gruppo con disturbi di personalità, gruppo non clinico). Il campione materno è stato poi
stratificato e selezionato in base a status socio-economico e etnia di provenienza.

Questo studio ha confermato ulteriormente l’inadeguatezza di un modello eziologico che prenda in


considerazione solamente la trasmissione biologica che va invece combinata con fattori sociali e familiari.

Lo studio longitudinale è durato 4 anni. Le madri sono state valutate in gravidanza e madri e bambini a 4,
12, 30, 48 mesi dalla nascita del bambino.

Risultati
• Nelle mamme schizofreniche è stata rilevata elevata ansia e scarsa competenza sociale nel
periodo gravidico;
• Nessuna differenza statisticamente significativa nel funzionamento cognitivo e socio-emotivo tra
figli del gruppo di madri schizofreniche e figli di madri del gruppo di controllo;
• Difficoltà di sviluppo maggiori e costanti nei 4 anni nei figli delle madri depresse;
• L’impatto della madre schizo diminuiva con la crescita del bambino invece quello della madre
depressa rimaneva costante.

Il comportamento disadattivo/psicopatologico del bambino era correlato non tanto con il tipo di
psicopatologia materna, quanto con l’intensità e la cronicità della condizione.

Indipendentemente dal livello psicopatologico delle madri, più bassi livelli di capacità materne e minore
comportamenti adattivi dei figli nelle madri con condizioni socio-economiche svantaggiate che si rivela
essere un fattore di rischio più potente della variabile della salute mentale.

Studio longitudinale dell’isola di Wight (Rutter)


In questo studio il concetto di status economico è stato scomposto in 6 fattori di base in modo da isolare
le particolarità di queste condizioni che promuovono lo sviluppo disadattivo.

2. DEPRESSIONE E DISTURBO BIPOLARE


Le stime indicano la depressione come la condizione psicopatologica genitoriale a più alto rischio per la
salute mentale dei figli.

Familiarità
Sembra essere alta la familiarità (x3 rispetto a figli di genitori sani e x2 rispetto a genitori con altre
condizioni) di questo disturbo soprattutto per la depressione a esordio precoce.

Disturbo bipolare genitoriale


Circa il 50% dei bambini figli di genitori bipolari, presenta quadri depressivi, ansiosi, comportamenti
dirompenti e può sviluppare un disturbo bipolare in età adulta.
Però, studi su adolescenti figli di genitori bipolari mostrano dati meno significativi rispetto alla fascia
infantile. Le condizioni psicopatologiche sono meno accentuate e quando presenti non sono a prevalenza
affettiva.

Comorbilità
In caso di depressione genitoriale in comorbilità con disturbi di personalità, i rischi per i figli sono
maggiori, a causa della maggiore permanenza nel tempo dei sintomi depressivi, con conseguente
prolungata esposizione del bambino a modalità di interazione caratterizzate da scarso coinvolgimento o
da intrusività da parte della madre.

Enviromental Risk Longitudinal Twin Study (E-Risk)


In questo studio longitudinale su 15.000 gemelli è emerso che i rischi sono diversi a seconda della comorbilità della
depressione.
Figli di madri depresse con caratteristiche antisociali di personalità rischiano maggiormente di crescere in
condizioni socioeconomiche svantaggiate, alta dipendenza da alcolici e più alto rischio di suicidio della madre,
ricevono meno calore materno, più ostilità e maltrattamento fisico, partner della madre/padre del bambino a sua
volta antisociale. Circa il 20% di questi bambini presentava un disturbo della condotta entro i 7 anni. Tali rischi sono
associati allo sviluppo di un disturbo della condotta da parte del bambino.

Ambiente di cura e comportamento genitoriale


Il rischio patologico è collegato in buona parte con l’inadeguatezza dell’ambiente di cura promosso dal
comportamento genitoriale. I sintomi depressivi genitoriali correlano fortemente con inconsistenza nella
disciplina, criticismo, ostilità e rifiuto verso i bambini. In particolare, si osserva che la depressione è indice
non semplicemente di un deficit di comportamenti positivi, ma di un’emergenza di comportamenti di
rifiuto e ostilità.
Gli studi rivelano l’esistenza di 3 dimensioni problematiche nel comportamente genitoriale che predicono
difficoltà evolutive nei bambini:
1) mancanza di accudimento e coinvolgimento positivo;
2) ostilità e rifiuto;
3) scarso interesse e supervisione delle attività del bambino.

Doppio rinforzo negativo


Scoraggiando l’interazione del figlio il genitore depresso crea un circolo vizioso in cui la risposta mancante
del figlio, già di per sé collegata a effetti negativi sulla personalità, rinforza il sentimento di
inefficacia/indesiderabilità del genitore depresso.

Depressione paterna
Anche gli uomini che diventano padri sono suscettibili a situazioni depressive post-partum come pure
negli anni successivi dell’accudimento del bambino. Una storia depressiva precedente, sintomi ansioso-
depressivi prenatali, correlano fortemente con depressione paterna post-partum e tale condizione è
influenzata dalla presenza di depressione nella donna (effetti additivi delle due condizioni).
Il rischio evolutivo associato ai sintomi depressivi materni è sostanzialmente comparabile a quello
associato ai sintomi depressivi paterni.
• Le interazioni tra madre depressa e bambino sembrano avere un maggior impatto su autostima e
benessere emotivo del bambino;
• Le interazioni tra padre depresso e bambino sulle sue competenze sociali e problemi
comportamentali.

Avon logitudinal Study of Parents and Children


Questo studio longitudinale su 10.000 nascituri e i loro genitori, durato 7 anni, ha mostrato che la depressione
paterna a 8 settimane di vita del bambino, prediceva fortemente la presenza di disturbi psichiatrici nei bambini
all’età di 7 anni (12% contro 6% dei bambini di padri non depressi). In particolare l’associazione era forte per disturbi
oppositivi (umore collerico/irritabile, comportamento polemico/provocatorio, vendicatività) e della condotta (vedi
slide precedente), comportamento esternalizzante (antisociale), difficoltà negli aspetti prosociali e nel rapporto
con i pari.
3. ABUSO DI SOSTANZE
Esposizione in utero
Le variabili dell’esposizione in utero a sostanze stupefacenti sono molteplici. Principalmente la sostanza
e il momento di gestazione hanno un grosso peso sugli effetti negativi sul feto.

Sindrome alcolico fetale (FAS) e Sindrome fetale da abuso di sostanze (FDS)


Bambini che nascono da madri che fanno uso di sostanze durante la gravidanza possono essere affetti da
sindrome alcolico fetale e da sindrome fetale da abuso di sostanze (circa 375.000 ogni anno in USA; 3,7-
7,4/1000).

Abuso di alcol in gravidanza → ritardo mentale, dimorfismi facciali, disturbi cardiaci, renali, uditivi e allo
scheletro, deficit attentivi, iperattività, impulsività, antisocialità, disturbi del linguaggio e
dell’apprendimento.

Abuso di alcol da parte di familiari (2) → nei bambini alto rischio di ADHD, disturbi ossessivo-compulsivi,
disturbi della condotta. Negli adolescenti aumento significativo di disturbi depressivi.

Deficit neurocomportamentali
Un abuso di sostanze durante la gravidanza è correlato nel bambino a deficit neuro-comportamentali
(livello di attivazione, regolazione emotiva, capacità di focalizzare e mantenere l’attenzione) che evolvono
in adolescenza come difficoltà nell’interazione sociale e nell’apprendimento.
Nello specifico, la quantità di cocaina assunta in gravidanza correla con deficit cognitivi del bambino a 8 e
18 mesi (più evidenti) dalla nascita. Tali deficit sono correlabili alla quantità di sostanza assunta.

Effetti di tipo ambientale


Agli effetti “biologici” dell’esposizione in utero si sommano spesso quelli collegati a comportamenti
genitoriali inadeguati. Le madri che abusano di sostanze di solito non abdicano al proprio ruolo materno
a differenza dei padri che fanno uso di sostanze, che tendono a non restare col bambino ed ad
occuparsene saltuariamente.
Le mamme anzi riconoscono di aver bisogno di aiuto e di un trattamento, ma generalmente nei fatti lo
evitano, soprattutto per paura che ciò comporti la perdita della custodia e/o della podestà genitoriale del
proprio figlio.

Disturbi di personalità associati


All’abuso di sostanze nei genitori si associano fortemente sintomatologia depressiva nelle madri e
disturbo antisociale di personalità nei padri. In uno studio italiano, sia in madri che padri presentavano
preponderanza di disturbi di personalità del cluster B del DSM-IV (borderline, narcisista, antisociale,
isterico e istrionico).
4. ABUSO E MALTRATTAMENTO
In passato si riteneva che singole e specifiche condizioni di rischio (psicopatologia genitoriale, povertà,
basso status socio-economico, storia personale di abuso e maltrattamento nel genitore) potessero quasi
deterministicamente condurre ad abuso e maltrattamento all’infanzia.
Le ricerche più recenti riportano invece che fenomeni di abuso e maltrattamento siano invece trasversali.
Ciò non toglie che esista una costellazione di fattori di rischio che si correlano con più facilità a questi
fenomeni.

Secondo una ricerca specifici fattori di rischio per l’abuso sessuale intrafamiliare: presenza di un patrigno;
separazione temporanea dalla madre; mancanza di vicinanza con la madre; aspetti punitivi circa la sessualità da
parte della madre; assenza di affetto da parte del padre, basso status socio-economico.

Caratteristiche personali dell’abusato


A partire dalla metà degli anni Ottanta, attenzione alla interrelazione tra evento (maltrattamento, abuso)
e caratteristiche del bambino.
È risultato utile analizzare l’evento dell’abuso secondo dimensioni quali il tempo, la frequenza e la
tipologia. Tali studi non considerano predittori fondamentali la psicopatologia genitoriale e/o fattori
socio-economici, ma studiano l’interazione tra aspetti familiari e caratteristiche dell’abusato (età,
condizioni fisiche di salute, comportamento) (Belsky, 1993), secondo una prospettiva ecologica e
transazionale.

Eziologia multideterminata
Oggi sappiamo che l’eziologia dell’abuso e del maltrattamento infantile è multideterminata a diversi livelli
dell’ecologia individuale, familiare e sociale del bambino abusato. Per esempio, supporto sociale o meno
dei genitori, contesto socio-culturale, ecc.
Si è quindi assistito a un superamento dell’impostazione riduttiva secondo cui la psicopatologia
genitoriale avrebbe un rilievo eziologico preminente e tendenzialmente esclusivo.

5. CONSEGUENZE DELL’ABUSO E DEL MALTRATTAMENTO INFANTILE


Abuso e maltrattamento hanno ripercussioni sulle traiettorie di sviluppo a breve e a lungo termine (fino
in età adulta).

Possibili conseguenze
Tra le conseguenze a lungo termine annoveriamo rishi di:
• Modificazioni sostanziali sul piano neurobiologico;
• Ritardi cognitivi;
• Comportamenti disfunzionali (aggressività, disturbi della condotta, abuso di sostanze);
• Quadri psicopatologici e disturbi di personalità in età adulta;

Oltre il rischio della patologia


Il rischio collegato all’aver subito abusi e maltrattamenti non si limita tuttavia solo al quadro clinico ma
può lasciare segni che possono influenzare comportamento e funzionamento psicologico globale. In
particolare il comportamento genitoriale può risentire di queste esperienze traumatiche.

Dinamiche relazionali traumatiche


In generale è quasi impossibile isolare una specifica tipologia di abuso con le sue relative conseguenze
(specie in un quadro intrafamiliare). Sembra invece più corretto parlare di dinamiche relazionali
traumatiche in cui si concretizzano episodi specifici di abuso.
Nella maggior parte dei casi si fa esperienza di una co-occorrenza di varie tipologie di abuso secondo il
modello del child multi-type maltreatment (CMM). Si genera così una sorta di effetto cumulativo delle
molteplici tipologie di maltrattamento.

Forte variabilità
Va poi sottolineata la forte variabilità negli effetti dei traumi: bambini che hanno subito diverse tipologie
di abusi continuativamente possono manifestare uno sviluppo nella norma, di converso bambini che
subiscono episodi apparentemente meno intensi e isolati possono manifestare uno sviluppo gravemente
perturbato.

Manifestazioni improvvise
Non è inoltre raro che glie effetti traumatici si manifestino molti anni dopo l’esperienza vissuta, sia
secondo il meccanismo dei “ricordi recuperati di abuso” che, in assenza di memorie specifiche,
sperimentando stati di sofferenza psicologica (Delayed PTSD)

“Asintomatici”
C’è comunque un’alta percentuale di persone abusate e/o maltrattate (40-50 % circa) può non mostrare
alcun sintomo o difficoltà psicologiche evidenti, può essere ben adattata, mostrando dunque resilienza.
Non è comunque detto che, anche a fronte di una buona resilienza (“riuscire a cavarsela nella vita”), gli
abusati non presentino sintomatologia. I soggetti abusati hanno spesso difese psicologiche immature,
lieve ansia e depressione, difficoltà nel funzionamento di personalità (soprattutto in ambito lavorativo) e
MOI insicuri/disorganizzati. La resilienza, in quanto processo dinamico, non è una proprietà che si ha o
meno ma può subire oscillazioni nel corso dell’esperienza. C’è inoltre il pericolo che la resilienza possa
tradursi in meccanismi di difesa eccessivamente rigidi, come strutture di personalità coartate, che
possono apparire funzionanti se viste da prospettive limitate.

6. L’ABUSO INTRAFAMILIARE COME TRAUMA CUMULATIVO NELLA PROSPETTIVA


INTERGENERAZIONALE
La maggior parte degli abusi avviene in un quadro intrafamiliare dove è ricorrente la presenza di
perturbazioni nella relazione primaria che preesistono e codeterminano l’abuso.

Attaccamento
Già nelle ricerche relative all’attaccamento si possono notare elementi disfunzionali. È soprattutto merito
della psicologia dinamica l’inquadramento dell’abuso come epifenomeno di un trauma perdurante della
relazione primaria con conseguenze che prescindono da una manifestazione sintomatologica.

Teoria freudiana
Il concetto di trauma, come punto di intersezione complesso tra eventi esterni pericoloso e “pericoli
interni” (angoscia), sta al centro della teoria freudiana. I meccanismi di difesa mossi dal soggetto pe
rispondere a questa situazione di pericoli possono avere effetti profondi sulla struttura della personalità.

Effetto “sommatoria”
Quando si tratta l’abuso bisogna tenere a mente tanto le caratteristiche oggettive del trauma quanto le
caratteristiche individuali che ne filtrano l’esperienza soggettiva.
Per helplessness (sopraffazione psichica) intendiamo il sentimento di impotenza davanti a questo tipo di
eventi.
Ancora un ambito da tenere in considerazione è quello che lega i meccanismi di difesa del soggetto allo
sviluppo dell’angoscia legato alle specifiche fasi di sviluppo.
Trauma singolo e traumi ripetuti
La distinzione tra trauma singolo e ripetuti inaugurata da Breuer e Freud si è evoluta in quella tra shock
trauma e strain trauma (trauma tensivo). Lo strain trauma ha come conseguenza la paralisi e la
disorganizzazione delle funzioni dell’Io, caratterizzandosi come una sorta di trauma “cumulativo” che
intacca il profilo di personalità.

Psicologia del Sé
Secondo la psicologia del Sé il trauma avviene quando il contesto affettivo non è in grado di fornire
un’adeguata risposta a reazioni emotive dolorose. Secondo questa concezione le relazioni primarie (e
successive) sono più indispensabili, per comprendere gli effetti dell’abuso, dell’abuso stesso.

Trasmissione intergenerazionale dell’abuso

La percentuale di abusanti che denunciano di essere stati abusati sessualmente nell’infanzia va dal 20 al
30%. Tuttavia non esiste quella relazione deterministica supposta dal senso comune per cui un abusante
“replica” l’abuso di cui era stato vittima. Il subire abusi sessuali nell’infanzia aumenta il rischio di mettere
in atto abusi sessuali ai danni di bambini, ma non bisogna dimenticare come vi sia una fitta rete di
comportamenti correlati all’abuso che possono rappresentare fattori di rischio

Ciclo del maltrattamento


Ciò che sembra contribuire al rischio suddetto e ad essere trasmesso non è il comportamento
maltrattante in sé quanto i sistemi disfunzionali della relazione di caregiving (incapacità di cogliere la
dimensione psicologica del bambino con i propri bisogni, desideri, stati intenzionali, problemi, difficoltà,
specificità delle fasi dello sviluppo). Questo ci fa pensare a un ruolo fondamentale della mediazione
intrapsichica tra abuso e riproposizione.

Secondo uno studio longitudinale le madri che sono state vittime di abusi mostravano maggiori difficoltà nel
cogliere gli aspetti problematici dei loro figli.

Lo stato della mente del genitore (all’AAI) sicuro/insicuro, media la trasmissione intergenerazionale del
trauma, perché include/esclude nell’ambito esperienziale e relazionale primario ricordi e percezioni legati
a esperienze disfunzionali e traumatiche.

L’insicurezza incide sia sulle capacità di monitoraggio e mentalizzazione del genitore (vedere/non vedere
il bambino nella sua interezza psicologica), sia sulla disorganizzazione dell’attaccamento nel bambino, a
causa dell’esistenza di stati dissociati nella mente del genitore.

DISTURBI DELLA RELAZIONE E DELL’ATTACCAMENTO

Le relazioni affettive rappresentano la base su cui andrà a costruirsi la personalità. La predisposizione


del bambino a entrare in relazione con la figura del caregiver è stata descritta da Bowlby: essa è una
componente fondamentale della natura umana con importanti funzioni biologiche, la prima è quella della
protezione. Tra i sistemi comportamentali influenzati in questo equilibrio dinamico vi sono:
• L’attaccamento;
• L’esplorazione;
• Il sistema paura/diffidenza;
• Le capacità sociali.

Il ruolo dell’attaccamento
L’attaccamento è un sistema comportamentale finalizzato a mantenere la vicinanza fisica del caregiver.
Esso implica due sistemi comportamentali interdipendenti:
• Manifestazioni esterne;
• Organizzazione interna che influenza le manifestazioni nel loro variare nel tempo.

Le relazioni di attaccamento vanno distinte dagli altri legami affettivi che non presentano i caratteri di
quella relazione spiccatamente preferenziale in cui l’individuo ricerca sicurezza e conforto, esso è infatti
lo scopo principale dell’attaccamento. Hanno tuttavia in comune queste caratteristiche (Ainsworth):
– Persistenti vs. transitori
– Persone specifiche vs. intercambiabili
– Relazioni emotivamente significativa
– Desiderio di presenza e vicinanza della persona
– Angoscia in seguito a separazione
– Ricerca di sicurezza e conforto in tale relazione
(Chiedi alla prof)

All’inizio l’attaccamento sarà vincolato a una vicinanza fisica che favorirà un’interiorizzazione di questa
sicurezza (MOI).

9.1 I MECCANISMI DELLA RELAZIONALITÀ E DELL’ATTACCAMENTO E LE DINAMICHE EVOLUTIVE


Relazioni d’attaccamento
Il neonato presenta un’indubbia predisposizione all’interazione sociale, il suo repertorio
comportamentale costituisce la base per lo sviluppo dell’attaccamento. Bowlby parla di un sistema
motivazionale primario che, insieme a quello intersoggettivo di Stern, coniugandosi alla predisposizione
materna permettono di apprendere specifici stili di regolazione che col tempo diventano di
autoregolazione.

Approccio neurobiologico
L’emisfero destro del bambino, dominante nella prima infanzia e deputato alla regolazione emotiva, è
sintonizzato con quello della madre. Hofer, teorico evoluzionista, ritiene che oltre al bisogno di protezione
l’attaccamento risponda a bisogni di natura fisiologico-comportamentale (meccanismi regolatori
nascosti).

Comportamenti relativi all’attaccamento


Tra i comportamenti collegati all’attaccamento ricordiamo:
1. I comportamenti di segnalazione sono presenti fin dalla nascita, servono per far avvicinare il
caregiver;
2. Dopo i tre mesi questi comportamenti entrano sotto controllo, vengono quindi rivolti a figure
specifiche;
3. Dopo i 6 mesi la locomozione, le nuove capacità cognitive e più complessi segnali modificano la
relazione;
4. Dopo il comportamento diviene corretto secondo lo scopo;
5. Alla fine del primo anno l’attaccamento avviene verso una figura discriminata e preferita.
Dall’ottavo mese si osserva il comportamento dell’angoscia dell’estraneo della protesta
all’allontanamento del caregiver. Oramai un attaccamento sicuro dovrebbe aver prodotto
l’effetto della base sicura.
6. Tra i 12 e i 15 mesi si inizia ad assistere al funzionamento dei MOI consolidati: il bambino possiede
una storia delle risposte affettive della disponibilità del caregiver da cui ha maturato un modello
del Sé (degno/non degno di cura o, nei casi peggiori, totalmente disorganizzato).

Effetti successivi dei MOI


I MOI tendono a influenzare la fiducia in se stessi, l'adattamento a scuola, la dipendenza dagli insegnanti,
la competenza sociale e affettiva. I bambini insicuri tendono a essere più aggressivi, lamentosi e meno
competenti nel problem solving. I bambini sicuri riescono a intessere relazioni più strette anche in periodi
successivi, in adolescenza ad esempio.
Queste conclusioni sono utili in virtù di una significativa stabilità dei MOI che gioca un ruolo fondamentale
nella continuità di tutto il processo di sviluppo. I MOI funzionano infatti come delle regole inconsapevoli
attraverso cui si percepisce dunque tutte le esperienze future vengono “filtrate” da queste. Le deviazioni
dei MOI sono riconducibile perlopiù a eventi o contesti psicosociali problematici.
In adolescenza rimane pervasiva la funzione dell’attaccamento in tutte le sue declinazioni

9.2 SPETTRO DEI DISTURBI DELLA RELAZIONE E DELL’ATTACCAMENTO


Le relazioni interpersonali rappresentano un parametro fondamentale per valutare l’equilibrio e il
funzionamento psichico fino all’età adulta. Per questo è molto importante declinare i disturbi infantili
anche in un senso relazionale (CD: 0-3; PDM).

Diagnosi in chiave relazionale


La valutazione di questo parametro ci permette di collocare in un continuum le alterazioni delle relazioni
primarie:
o Situazioni di perturbazioni o turbe passeggere che possono determinare una sintomatologia
transitoria;
o Situazioni d’interazione stabilmente disfunzionali come avviene per modelli di attaccamento
insicuri o disturbi relazionali che sono accompagnate da rischio evolutivo;
o Situazioni di contesto altamente problematico che conducono a veri e propri disturbi
dell’attaccamento.

9.3 ATTACCAMENTO INSICURO E DISORGANIZZATO COME FATTORI DI RISCHIO PER LA


PSICOPATOLOGIA
Valutando la qualità delle relazioni di attaccamento si è notato come un attaccamento insicuro debba
essere risultato sia come l’esito di specifici fattori di rischio (genitorialità singola, depressione materna
ecc.), sia come un fattore di rischio a sua volta per lo sviluppo del bambino. Questo fattore si manifesta
come una strategia regolativa-relazionale a minor grado di adattamento che rende più vulnerabile il
bambino.
Insicuro-evitante
Queste madri mostrano un rifiuto del contatto fisico, rigidità e mancanza espressiva. Questi
comportamenti possono mascherare sentimenti di rabbia repressa ma possono anche esprimersi sotto
forma di irritazione o derisione.
Il bambino risponderà dunque evitando lo sguardo, imparerà a non ricercare il contatto spostando
l’attenzione verso un’esplorazione fittizia e “forzata” (strategia evitante). Per conservare la relazione il
bambino reagirà riducendo l’espressione di comportamenti di attaccamento (ad esempio i segnali di
rabbia e angoscia). Questa strategia psichica gli permette di ottenere una minima regolazione.

Esiti
A lungo andare tuttavia queste strategie cementificano un processo di regolazione affettiva disfunzionale:
emozioni e comportamenti di attaccamento vengono ridotti, repressi o falsificati. L’autonomia del
bambino evitante è infatti solo apparente, esso prova le stesse emozioni degli altri bambini (arousal), solo
che ha appreso a non esprimerle adeguatamente.
Il bambino costruisce quindi dei MOI finalizzati a escludere dalla consapevolezza conscia le emozioni
negative. Si creano così forti contraddizioni nella sua psiche: la memoria implicita lo fa sentire rifiutato,
ma quella esplicita (epurata) gli riporta alla mente una madre affettuosa (idealizzazione).

Queste strutture concorrono a creare una predisposizione per disturbi esternalizzanti: aggressività,
oppositivo-provocatorio, condotta. In età più avanzata si correla poi a un disturbo antisociale.

Insicuro-ambivalente (resistente)
Il comportamento manifesto dei bambini, al contrario dell’evitante, è finalizzato a massimizzare la
risposta del genitore. Questi mostrano una preoccupazione eccessiva verso la figura di attaccamento che
si si traduce in una forte, e spesso inconsolabile, angoscia alla separazione. Questa angoscia si manifesta
sia in comportamenti rabbiosi che passivi (strategie amplificanti).
Le madri rispondono ai segnali in maniera inconsistente e imprevedibile: esse non rifiutano il bambino
ma nella cura si mostrano eccessivamente ansiose e insicure.

Esiti
Questa relazione crea uno strettissimo legame di dipendenza che diviene un ostacolo al bambino per il
raggiungimento dell’autonomia e della fiducia in se stesso. Il risultato è quello di un sentimento di scarsa
competenza e difficoltà di regolazione. Soffrono particolarmente la separazione dalle figure di
riferimento.

Queste strategie predispongono a disturbi internalizzanti: disturbi d’ansia, depressione e ritiro. Alcuni
hanno rilevato un’associazione col disturbo di personalità borderline.

Disorganizzato
Questa strategia è più delle altre, comunque problematiche, associata all’insorgenza di psicopatologia. I
bambini con questo stile di attaccamento mostrano una mancanza di strategia coerente. Espressioni e
movimenti incompleti, stereotipie e immobilità possono essere indici di paura nei confronti del caregiver.
Questi bambini non riescono a trovare soluzione alla propria preoccupazione.
Generalmente sono due i tipi di caregiving associati:
• Madri con lutti o traumi irrisolti (basso rischio);
• Madri maltrattanti e abusanti (alto rischio).

In entrambi casi il risultato è in sentimento di paura trasmesso al bambino, sia per il pericolo reale del
maltrattamento che per un “trasferimento” dei traumi irrisolti. Tale paura attiva il comportamento di
attaccamento che però non trova conforto nel genitore, causa esso stesso della paura, attivando così un
circolo vizioso.
Il risultato è il crollo di qualsiasi strategia correlato a una disregolazione affettiva prolungata. È stato
notato in questi bambini un livello eccessivo di cortisolo, come se fossero costantemente sotto stress. Vi
sono poi alterazioni nella serotonina che conducono a una minore capacità di controllo degli impulsi.
Un ulteriore aspetto rilevante è che la stessa sincronizzazione, fondamentale nella relazione madre-figlio,
rappresenta qui la base per una trasmissione intergenerazionale del trauma.

Esiti
I MOI risultano contraddittori e frammentati: spaventati ma spaventanti, caotici ma assenti, abusanti ma
impotenti. Egli ha sperimentato momenti altalenanti di un genitore impaurito, confortante e aggressivo.
L’esito più frequente è quello della dissociazione patologica. Man mano nella maturazione i bambini
assumono l’atteggiamento cosiddetto controllante, attraverso cui assumono il ruolo del genitore al posto
del genitore stesso mostrando atteggiamenti altalenanti che vanno dal punitivo al protettivo. I ruoli di
attaccamento si invertono che, secondo alcuni può portare un equilibrio più coerente, ma secondo molti
non risolve la disorganizzazione delle rappresentazioni.

Anche qua la predisposizione è verso disturbi esternalizzanti: condotte oppositive e comportamenti


aggressivi. In adolescenza ed età adulta si fa più forte la componente dissociativa. Tuttavia va specificato
che la disorganizzazione delle rappresentazioni conduce all’insorgenza di disturbi dissociativi o di
personalità borderline solo se sommata a componenti fortemente traumatiche (si correla infatti anche al
PTSD).

Legami coi disturbi di personalità


La correlazione coi disturbi di personalità è legata soprattutto all’importante stabilità delle strutture
(regolazione emotiva, rappresentazioni, controllo degli impulsi, relazioni ecc.) prese in esame. È tuttavia
da specificare che un disturbo emerge solo in associazione con altri fattori.
Il disturbo borderline sembra correlato ai pattern disorganizzati e ambivalenti: questo è legato in
particolare al carattere incoerente dei comportamenti ad essi relativi, le rappresentazioni del Sé e degli
altri non possono che risultare contraddittorie.
Le personalità dipendente e istrionica sembrano correlarsi al pattern ambivalente.
Le personalità schizoide e narcisistica invece al pattern distanziante.

9.4 I DISTURBI DELL’ATTACCAMENTO


Nei casi in cui le modalità relazionali sono altamente alterate si assiste all’insorgenza di disturbi
psichiatrici già nell’infanzia. Contesti di accudimento fortemente deprivati (neglect) conducono a disturbi
dell’attaccamento. Le classificazioni diagnostiche riconoscono principalmente 2 pattern:

1. Inibito o emotivamente ritirato → Assenza di comportamenti di attaccamento, difficoltà nella


responsività sociale e nella regolazione emozionale;

2. Indiscriminato o disinibito → Eccessiva e indiscriminata socievolezza, incapacità di attaccamento


selettivo, nessuna reticenza verso adulti non familiari.

La CD: 0-3 individua nella deprivazione e nel maltrattamento le cause principali, esse sono sì necessarie
ma non sufficienti

Possibili esiti patologici


Le conseguenze a lungo termine sono: mancanza di regolazione affettiva, scarso controllo degli impulsi e
autoregolazione, iperattività, bassa tolleranza alla frustrazione, comportamenti violenti, disturbi di
personalità, difficoltà scolastiche e relazionali.

SINDROMI AFFETTIVE

Sviluppo affettivo
L’Affetto è un segnale sociale e l’espressione delle emozioni che permette di percepire gli stati della
mente dell’altro, ha come scopo principale la comunicazione interpersonale. I comportamenti
comunicativi sono fondamentali come componenti affettive ed emozionali:
• Le espressioni emotive di varia natura compongono le relazioni precoci del bambino (es. mamme
depresse; funzione riflessiva);
• I fenomeni psicosomatici (sistema limbico, nervoso autonomo ecc.) sono influenzati
dall’espressione emotiva;
• Influenzano l’attività cognitiva (stimoli, interpretazione, percezione ecc.).

Gli affetti vengono differenziati in positivi e negativi. Ovviamente sono questi ultimi, che comprendono
ansia, preoccupazione, tristezza, rabbia e colpa, ad essere più rilevanti nella psicopatologia.
L’interpretazione di questi affetti si collega all’arousal, ovvero all’attivazione oltre il livello di
calma/riposo: una incapacità a tenere sotto controllo (regolazione) questa attivazione in relazione ad
affetti negativi può essere rilevante per l’insorgenza di patologie.

Una difficoltà nella regolazione degli affetti è quindi correlata a:


o 0-10 anni → umore irritabile, ansia, paura e rabbia;
o Preadolescenza/Adolescenza → senso di noia, vuoto, helplessness, hopelessness e angoscia.

6.1 AFFETTI E SVILUPPO


Vi è una predisposizione bio-sociale alla comunicazione delle emozioni. Lo sviluppo affettivo, inteso come
sistema semantico-motivazionale dev’essere studiato in relazione allo sviluppo cognitivo, sociale ma
anche fisico, linguistico.

L’Asse V della CD: 0-3 fornisce una definizione dello sviluppo emotivo tipico (figura).

In queste dinamiche evolutive un


ruolo fondamentale è giocato dalla
sintonizzazione empatica che
permette ai genitori di cogliere,
insieme alle emozioni, anche
desideri e intenzioni del bambino.

La comunicazione affettiva
madre/bambino funge da matrice
intersoggettiva su cui, tramite un
processo di rispecchiamento inizia a
svilupparsi il senso del Sé.

• 0-3 m→ una regolazione basata


sull’interazione sociale sostituisce i
ritmi endogeni;

• 3-6 m→ si apre al sociale


(sorriso), inizia a usare
comportamenti di
impegno/disimpegno attentivo per
inibire affetti negativi (arousal);

• 6 m→ co-orientamento visivo,
shared meanings e social
referencing;

• 9-14 m→ emerge la
consapevolezza di io e altro,
possibilità di condivisione con l’altro.
Primi cenni di autoregolazione
assistita;

Osserviamo una transizione da una intersoggettività primaria a una secondaria derivata dalla maturazione
cognitiva e dalla sensibilità e mind-mindedness materna.
La costruzione di uno stile di attaccamento sicuro sembra essere fortemente correlata alla qualità della
funzione riflessiva, ovvero la capacità del genitore di riflettere sulla propria esperienza mentale interna e
su quella del bambino. Questo processo favorisce l’interiorizzazione dell’esperienze sintonizzate, il
bambino impara così a riconoscere, differenziare e nominare stati emotivi ed affettivi, rendendoli quindi
gradualmente fruibili.

Strutture interne fondamentali


Queste sono state oggetto di studio di numerosi modelli, esse influenzano la nostra esperienza creando
un’aspettativa su di essa (fattori protettivi), tra le più importanti:
• Difese/strategie cognitive → modulano diversi aspetti dell’esperienza e possono produrre effetti più
o meno flessibili nella personalità;
• Autostima e Autoefficacia → permettono di fronteggiare con maggiore facilità esperienze stressanti;
• Insight → la capacità di essere consapevole, cogliere ed elaborare connessioni tra strutture.

Adolescenza
Questo è un periodo caratterizzato dalla revisione delle strutture pregresse. Il suo cambiamento cognitivo
e neurale gli permette di incrementare capacità di elaborazione delle informazioni, metacognizione,
autovalutazione e autoregolazione. Il cambiamento dell’adolescente si muove su diverse direzioni:
▪ Manifesta preferenze personali nella regolazione fisiologica;
▪ Afferma la propria indipendenza emotiva e cognitiva dai genitori;
▪ Sperimenta nuove vie di espressione.
Entra poi in gioco il ruolo della sessualità. Gli adolescenti sono scissi tra il bisogno di individuazione e
quello di sostegno, un equilibrio positivo è dato dal riconoscimento di un nuovo ruolo del genitore come
una base sicura con diverse funzioni

6.2 REGOLAZIONE E DISREGOLAZIONE AFFETTIVA


L’emozione ha il duplice compito di gestire ed esprimere l’affetto. Nello studio del loro ruolo è possibile
osservare un’intersezione tra teorie neuroscientifiche (sistemi neurali implicati nella regolazione) e
psicodinamiche (ruolo di esperienze ambientali come l’attaccamento).

Temperamento
La differenza tra un temperamento inibito/molto reattivo e uno disinibito/poco reattivo (Kagan) ci
permette di spiegare reazioni di un bambino alla paura (l’emergenza e il numero di fobie, 4/5 volte
maggiori nei bambini inibiti, ad esempio). Vi sono correlazioni tra il loro funzionamento cerebrale e la loro
risposta fisiologica a situazioni stressanti in vari periodi dello sviluppo.
Tuttavia anche l’ambiente gioca un ruolo chiave in questi processi che sono sì in parte programmati
geneticamente, ma anche esperienza-dipendenti.

Problemi di regolazione emotiva


Vengono divisi in 2 categorie principali:
1) Difficoltà nella modulazione/espressione dell’esperienza emotiva, in quanto troppo intensa;
2) Tentativi di controllo/repressione dell’esperienza emotiva.

Vi sono poi alcuni comportamenti ricorrenti nella disregolazione emotiva delle sindromi affettive:
a) Responisività emotiva eccessiva;
b) Comprensione emotiva povera;
c) Difficoltà a modulare le esperienze emotive in riferimento a contest, scopi e desideri;
d) Emozioni sperimentate come avverse.

Secondo le neuroscienze questi sintomi possono essere riconducibili ad anomalie a livello dell’amigdala,
dell’ippocampo e della corteccia prefrontale e cingolare.

Rapporto con l’attaccamento


Ansia da separazione e paura della perdita attivano la funzione regolativa degli affetti: conforto e
rassicurazione disattivano i comportamenti di attaccamento e regolano il senso di sicurezza del bambino.
Per questo un attaccamento sicuro rappresenta un fattore protettivo per lo sviluppo affettivo. Questi
mostrano infatti una migliore capacità autoriflessiva sui propri stati mentali.
Al contrario i bambini con attaccamento insicuro-ansioso mostrano MOI e strategie disfunzionali
riconducibili a due pattern:
▪ Iperattivazione (ambivalente) → eccessiva dipendenza che si riflette in un’ipersensibilità emotiva
ai segnali di rifiuto/abbandono. Questi bambini appaiono come ansiosi, paurosi e passivi;
▪ Deattivazione (evitante) → inibizione della ricerca di prossimità con un’eccessiva autonomia e
distanza dal partner. Questi bambini appaiono ostili, aggressivi e distaccati. A sua volta in queste
situazioni è possibile distinguere un pattern più specificamente evitante da uno con tratti
oppositivi.

Adolescenza
Nella relazione coi genitori, i ragazzi sicuri sono in grado di integrare il bisogno di autonomia con quella
di mantenere la relazione con queste figure di riferimento. Al contrario gli adolescenti insicuri tendono a
opporre ai problemi strategie di evitamento, disinvestimento oppure eccessivo coinvolgimento con una
rabbia disfunzionale.
Questi aspetti si ripercuotono poi sulla strutturazione della personalità, andando a concretizzarsi in
schemi maladattivi. Da un punto di vista patologico possiamo parlare di una multifinalità poiché da questi
problemi nella regolazione affettiva possono discendere problemi sia internalizzanti che esternalizzanti.

6.3 SINDROMI ANSIOSE NELL’INFANZIA E NELL’ADOLESCENZA


6.3.1 Manifestazioni, terminologie e sintomi
L’ansia rappresenta un’esperienza intrinseca dell’individuo, presente nell’intero arco del ciclo vitale. Si
tratta di una normale risposta a una minaccia alla propria persona, alle idee o all’autostima. Le sue
manifestazioni possono essere sia soggettive (vigilanza-senso di catastrofe) che oggettive (attivazione-
modificazioni neurovegetative) con diversi gradi di intensità.

L’ansia ha un valore adattivo per cui non tutte le sue manifestazioni vanno considerate sintomi di un
disturbo, anzi una sua assenza totale può lo stesso risultare problematica. Nel corso della vita queste
ansie adattive si presentano in diversi modi:
• Le paure del lattante in seguito a stimolazioni sensoriali forti e improvvise;
• L’ansia per l’estraneo o di separazione nel primo anno di vita;
• Le paure specifiche (buio, mostri ecc.) in età prescolare;
• Ansia sociale, di prestazione o per le relazioni in adolescenza.

Concetti chiave
Ansia → condizione di generale attivazione delle risorse fisiche e mentali, attivata in presenza di qualcosa
che non è immediatamente identificabile. Favorisce i processi di attenzione ma sopra certi limiti intacca il
funzionamento globale; (Pericolo interno)
Ansia acuta → Senso travolgente di paura che rende il soggetto inabile per un certo periodo, può essere
attivata in seguito a esperienze di fobia;
Ansia generalizzata → Modalità di apprensione diffusa, il soggetto è in tensione, ovvero in uno stato
costante di vigilanza e attivazione del SNA.

Angoscia → Stadio più grave dell’ansia, provoca sensazioni intense di malessere, associate a
manifestazioni somatiche di tipo neurovegetativo.

Paura → reazione che predispone l’organismo a una situazione d’emergenza e lo dispone ad


atteggiamenti di attacco o fuga. (Pericolo reale o meno)

Preoccupazione → Simile alla paura in quanto si riferisce a reazioni circoscritte, pericoli legati a specifici
avvenimenti futuri.
Interpretazione di Freud, 1925
Con il termine Angst ci si riferisce sia all’angoscia che alla paura, egli distingueva:

• Angoscia reale o automatica → Paura di fronte a una situazione reale, risposta innata e involontaria
a un pericolo esterno o interno;
• Angoscia segnale → Paura senza oggetto, risposta di paura appresa in previsione di un pericolo
interno o esterno che funziona da «segnale d’allarme» rispetto a situazioni traumatiche o conflittuali.

Klein, 1981 e Sheenan 1982)


Studi successivi hanno poi identificato l’angoscia segnale come un’ansia appresa, suddivisa in:
o Attacchi di panico → Brevi episodi di terrore in assenza di causa manifesta e identificabile;
caratterizzati da senso di catastrofe imminente e reazioni del SNS;
o Ansia anticipatoria → Breve durata, scatenata da un segnale preciso associato al pericolo (reale o
immaginario);
o Ansia cronica → Stato di ansia persistente non riconducibile a minacce esterne evidenti.

Sindromi ansiose
L’ansia rappresenta un fenomeno patologico quando diventa troppo intensa e persistente e non serve a
segnalare un pericolo. Nella psicopatologia dello sviluppo è difficile distinguere un’ansia normale da una
clinicamente significativa. Nell’età evolutiva sembra esistere un continuum di ansie e paure con variazioni
di caratteristiche che rendono difficile il riconoscimento di un quadro problematico.
Per questo un criterio valutativo prezioso è quello dell’impairment, ovvero dello stress e della sofferenza
soggettiva e interpersonale del bambino. A questo si aggiunge il fatto che per il bambino è difficile
percepire e verbalizzare il suo stato soggettivo, qui entra in gioco il clinico.
Considerando poi che al superamento delle tappe evolutive è connesso un certo grado di stress, è bene
considerare il quadro clinico globale da un punto di vista più processuale che statuale. Quello che può
fare il clinico è valutare gli eventuali fallimenti adattivi e partire da questo per una diagnosi.

Sottotipi di disturbi d’ansia dal DSM-IV-TR


Classificazione DSM-IV Tr
Attacco di Panico
Agorafobia
Disturbo di Panico senza Agorafobia
Agorafobia senza anamnesi di Disturbo di Panico
Fobia Specifica
Fobia Sociale
Disturbo Ossessivo-Compulsivo
Disturbo Post-traumatico da Stress
Disturbo d’Ansia Generalizzato

Caratteristiche discriminanti usate dal DSM-IV


1. Frequenza
2. Durata
3. Intensità
4. Ragionevolezza del pericolo previsto
5. Inferenza nel funzionamento globale dell’individuo

Vi sono tuttavia diversi problemi nell’applicazione di questi criteri in età evolutiva. Ad esempio, per quanto
riguarda la durata, non sono sufficienti le prove empiriche. Anche il criterio della limitazione del
funzionamento è relativo, considerando che può essere “falsato” dalla cura del genitore che limita
l’esposizione del bambino. Due criteri alternativi possono essere:
a) Impatto dell’ansia sulle traiettorie di sviluppo;
b) Impatto dell’ansia sul funzionamento familiare.

Critiche al DSM-IV sulla diagnosi in età evolutiva


a) Difficoltà a distinguere tra temperamento inibito e disturbi d’ansia;
b) Difficile valutare l’ansia a causa delle scarse capacità cognitive e verbali;
c) Difficoltà a distinguere ansia/paura appropriata da una evolutivamente eccessiva.

Diagnosi nei bambini piccoli


Criteri guida per il clinico:
1. Causare angoscia nel bambino o portarlo a evitare attività o situazioni associate all’ansia o paura;
2. Verificarsi durante 2 o + attività della vita quotidiana;
3. Essere incontrollabili;
4. Limitare il funzionamento del bambino e del nucleo familiare e/o il livello di sviluppo atteso;
5. Essere persistente (min 4 m).

«Sintomi» ansiosi
1. Fisici:
battiti cardiaci, pressione, tensione muscolare, diminuzione temperatura cutanea alle estremità,
sudorazione, dispnea e senso di soffocamento, dolore al petto, nausea (condizionamento classico);

2. Comportamentali:
fuga o evitamento (comportamenti messi in atto per evitare uno stimolo con conseguenze
aversive) → vantaggi secondari;

3. Cognitivi:
pensieri negativi (irrealistici o esagerati), anticipatori, interpretazioni distorte della realtà.

• Spesso l'ansia si manifesta con lamentele somatiche (lamentele fisiche), attraverso irritabilità più
spiccata, aggressività.
• Ricadute sull'apprendimento.

es. bambino di 8 anni, nei primi 10 minuti di colloquio la mamma si notava che aveva molta ansia nel raccontare
che il proprio bambino brillante non voleva più andare a scuola perché il bambino diceva di stare male, poi dopo
un paio di ore il bambino stava bene di nuovo; il papà molto in disparte si preoccupava solo di volerlo rimandare a
scuola; questa situazione, ovvero questi capricci si erano manifestati anche nel momento in cui il papà disse che
doveva andare via per lavoro per un giorno, il bambino era preoccupatissimo, aveva paura che succedesse qualcosa
nel viaggio. Per aiutare quel bambino non bisognava forzarlo nel suo rientro a scuola, quel bambino aveva disturbo
da ansia di separazione, quindi anche se sembrava avere fobia scolastica, vedere la sua ansia quando doveva
rimanere solo permise di comprendere che si trattava di ansia di separazione. Il problema di tornare a scuola non
era prioritario. Si provò quindi a chiedere alla mamma di andare a scuola insieme al bambino, prima un'ora, poi due
ore, il bambino rimaneva nell'atrio scolastico così il bambino sapeva che la mamma era là, infatti ogni tanto si
affacciava a vedere se la mamma c'era, ed infatti il bambino non ebbe più difficoltà nello stare a scuola, questo
perché il bambino non aveva fobia scolastica ma aveva problemi con separazione. N.B. La mamma è stata brava
perché non si è mai allontanata, se si fosse allontanata e il bambino uscendo non l'avrebbe vista si sarebbe generata
un'ansia ancora peggiore di quella di prima, è importante quindi accordarsi con i genitori quando si svolgono queste
pratiche di cura.

6.3.2 Epidemiologia: età e differenze di genere


Ci si è recentemente interrogati sulla relazione tra inibizione comportamentale (15% con eccessiva
timidezza, paura intensa e persistente) e i disturbi d’ansia. Le femmine sono generalmente più paurose.

In età prescolare sembra comunque possibile identificare sintomi d’ansia clinicamente significativi: 4-10%
ne sono affetti. Si rileva una bassa percentuale (9,9%) di bambini con disturbi d’ansia effettivamente
riferiti.
In adolescenza si rileva un incremento per i disturbi d’ansia tranne che per il DAS.
Da considerare inoltre un’elevata comorbilità in particolare con: disturbi depressivi, della condotta, del
sonno, DOC, DDAI e altri disturbi d’ansia

• Diagnosi molto
frequente in età evolutiva (>
10%; SAD -prepubere- 4%;
fobia specifica 12%);

• Differenze di genere
(F=2M bni, F>M adol);

• Differenze d’età

• Differenze culturali

SAD
309.21 (F93.0) Disturbo d’Ansia da Separazione
A. Da un punto di vista evolutivo, paura o ansia inadeguata ed eccessiva relativa alla separazione da
coloro ai quali l'individuo è attaccato, come evidenziato da almeno tre dei seguenti:
1. Malessere eccessivo ricorrente quando si anticipa o vive la separazione da casa o dalle principali
figure di attaccamento
2. Persistente ed eccessiva preoccupazione di perdere le principali figure di attaccamento o in caso
di possibile rischio per loro (malattia, infortuni, calamità o morte)
3. Persistente ed eccessiva preoccupazione di sperimentare un evento avverso (perdite, essere rapiti,
avere un incidente, ammalarsi) che causa la separazione da una grande figura di attaccamento
4. Persistente riluttanza o rifiuto uscire, allontanarsi da casa, a scuola, al lavoro o altrove per la paura
della separazione
5. Paura persistente ed eccessiva di stare soli o senza le principali figure di attaccamento a casa o in
altri ambienti
6. Persistente riluttanza o rifiuto di dormire lontano da casa o di andare a dormire senza essere vicino
ad un’importante figura di attaccamento
7. Incubi ripetuti che implicano il tema della separazione
8. Ripetute lamentele di sintomi fisici (mal di testa, dolori di stomaco, nausea, vomito) quando si
verifica o si prevede la separazione dalle principali figure di attaccamento
B. La paura, l'ansia o l'evitamento sono persistenti, per un periodo di almeno 4 settimane nei bambini
e adolescenti e in genere 6 mesi o più negli adulti;

C. Il disturbo causa disagio clinicamente significativo o menomazione nel funzionamento sociale,


scolastico, lavorativo o di altre aree importanti del funzionamento;

D. Il disturbo non è meglio spiegato da un altro disturbo mentale, come il rifiuto di uscire di casa a causa
di un'eccessiva resistenza al cambiamento nel Disturbo dello Spettro Autistico; deliri o allucinazioni
relativi la separazione nei disturbi psicotici; rifiuto di uscire senza un compagno fidato
nell’Agorafobia; preoccupazioni per la cattiva salute o altro danno degli altri significativi nel Disturbo
d‘Ansia Generalizzato.

Diagnosi differenziale
• SAD → sintomi connessi a situazioni di allontanamento dalle figure di attaccamento;
• Ansia Sociale → paura del giudizio degli altri (soprattutto coetanei); non devono esserci problemi con
le figure di riferimento;
• GAD → ansia in assenza di stimoli specifici;
• Fobia specifica → paura esagerata e irragionevole per un’unica classe di stimoli.

• Disturbi dell’adattamento → reazione di disadattamento che si manifesta entro 3 mesi dall’esordio


di un evento stressante (es. separazione dei genitori, malattia). Durata più breve (< 6 mesi) rispetto ai
disturbi più strutturati e migliore prognosi:
- Con ansia
- Con umore depresso
- Con alterazione della condotta

6.3.3 Fattori di rischio e di vulnerabilità nelle sindromi ansiose


Bisogna tenere presente la differenza tra fattori di rischio (ampio spettro di variabili) e di vulnerabilità
(compreso tra i f. di rischio, riferito ai meccanismi interni dello sviluppo), per cui: questi ultimi sono di
natura sia endogena che ambientale.

Biologia e attaccamento
Avere dei genitori ansiosi rappresenta un fattore di vulnerabilità biologica poiché è correlata al tipo di
temperamento del bambino. Ma, in questo caso, anche la relazione di attaccamento può giocare un ruolo
importante. Ricordiamo che uno stile di attaccamento insicuro non è, di per sé, un esito patologico ma vi
è comunque una forma di continuità negativa dovuta alle sedimentazioni dei modelli operativi.
In generale sono gli stili di parenting caratterizzati da intrusività, criticismo, catastrofismo, poco calore
emotivo, inibizione dei comportamenti di indipendenza, a essere correlati a questi disturbi.

Stili cognitivi
Anche i teorici cognitivisti confermano questa ipotesi per cui comportamenti genitoriali iperprotettivi
sono più facilmente associati ai disturbi d’ansia in quanto riproducono il medesimo stile cognitivo. Anche
gli adolescenti risentono di questi contesti genitoriali mostrando forme di fobia sociale, ansia
generalizzata, eccessiva autocritica e, con lo sviluppo cognitivo, attacchi di panico, agorafobia, sentimenti
di separatezza e paura di perdere relazioni significative.

Rischio e vulnerabilità
• Percorsi evolutivi multipli (equifinalità)
• Fattori biologici (temperamento inibito/molto reattivo, predisposizione genetica); ambientali (vita
stressante, eventi traumatici); familiari (caregiving, abuso, genitori ansiosi, iperprotettivi, attaccamento
ansioso-ambivalente, eccessiva dipendenza)
• Figli di ansiosi 3/5 volte > probabilità

6.3.4 Studi longitudinali: continuità omotipica ed eterotipica


Un interrogativo importante riguarda il decorso di questi disturbi nelle fasi successive dello sviluppo. Il
dubbio è dunque se seguano una continuità omotipica o eterotipica o vadano in remissione.
Le ricerche affermano che i tassi medi di questi disturbi tendono ad incrementare con l’età, ma con una
continuità eterotipica soprattutto per quanto riguarda il DAS che caratterizza più l’età infantile. Il periodo
adolescenziale è invece caratterizzato da forme d’ansia sociale. C’è invece una continuità omotipica o la
remissione parziale dall’adolescenza all’età adulta, la continuità si ha soprattutto il comorbilità con la
depressione.

SPECIFICAZIONI SUL DSM-5


Nel DSM-5 i disturbi d’ansia vengono presentati in ordine di età d’esordio:
• Disturbo d’Ansia da Separazione
• Mutismo Selettivo
• Fobia Specifica
• Disturbo d’Ansia Sociale (Fobia Sociale)
• Disturbo di Panico
• Agorafobia
• Disturbo d’Ansia Generalizzata
• Disturbo d’Ansia dovuto a un’altra Condizione Medica
• Disturbo d’Ansia con altra Specificazione
• Disturbo d’Ansia senza Specificazione

Differenze tra DSM-IV-Tr e DSM-5


• Esclusione DOC, PTSD, Disturbo Acuto da Stress;
• I criteri per la Fobia Specifica e Fobia Sociale non includono la condizione che gli individui maggiori
di 18 anni riconoscano la propria ansia come eccessiva e irragionevole;
• La durata di 6 mesi è estesa a tutte le età;
• L’Attacco di Panico può essere riportato come specificatore per tutti i disturbi del DSM-5;

Strumenti per la valutazione


• Spence children anxiety scale (scaswebsite.com)
• State-Trait Anxiety Inventory (STAI-C/STAI)
• Separation Anxiety Scale for Children
• Separation Anxiety Assessment Scale for Children
• Depression, anxiety, stress scale

6.4 SINDROMI DEPRESSIVE NELL’INFANZIA E NELL’ADOLESCENZA


Come l’ansia anche la depressione è un’esperienza soggettiva universale. Condivide poi con l’ansia un
distress generale o affetto negativo, il suo aspetto peculiare è però la riduzione/assenza di affetto
positivo (anedonia, perdita di interesse, tristezza importante).

Ansia-depressione per Bowlby


Secondo Bowlby una differenza fondamentale tra queste esperienze sta nelle risposte d’attaccamento.
• All’ansia si collega elevato arousal connesso a separazione (evoca protesta e intensificazione dei
comportamenti d’attaccamento/ricerca di prossimità);
• Alla depressione è correlato un disinvestimento dalla relazione (separazione prolungata
determina disperazione e distacco emotivo).

Interpretazione del PDM


Il PDM distingue 2 orientamenti emotivi:
o Pattern anaclitici (Spitz) → spesso associati alla rottura della relazione col caregiver, caratterizzati
da helplessness e svuotamento, paura di essere abbandonati, non amati, difficoltà nel tollerare
l’attesa e esprimere odio e rabbia;
o Pattern introiettivi → continue autocritiche, bassa autostima, paura di perdere approvazione,
sentimenti di inferiorità.

Depressione anaclitica
• Queste persone manifestano disagio e disorganizzazione quando subiscono perdite o separazioni;
• Il loro funzionamento è organizzato intorno ai temi della relazione, degli affetti, della fiducia,
dell’intimità, del calore;
• Si sentono vuoti, incompleti, soli, deboli, senza aiuto anziché moralmente perfezionisti ed
eccessivamente autocritici;
• Spesso mostrano una disperazione esistenziale, il sentimento che la loro vita sia vuota e priva di
significato.

Depressione introiettiva
• Queste persone cercano dentro di sé la spiegazione delle loro esperienze dolorose;
• Quando sono maltrattati, rifiutati o abbandonati, tendono ad assumersi il torto. Può essere un
residuo della tendenza tipica dei bambini con famiglie difficili a:
– negare che i loro genitori li trascurano, sono abusanti o fragili, idee troppo spaventose;
– attribuire la sofferenza alla propria cattiveria, che possono provare a cambiare.
• Fanno di tutto per essere buoni, ma raramente si sentono soddisfatte;
• Sono preoccupati da problemi legati al senso del proprio valore invece che da problemi relazionali.

Vulnerabilità (secondo la psicoanalisi)


La vulnerabilità alla depressione deriva dall’incapacità di superare le tappe evolutive connesse al dover
abbandonare oggetti, cambiare investimenti e di distaccarsi dagli ideali infantili. Anche in adolescenza
si determinano fenomeni riconducibili alla perdita «dell’oggetto»;
In una situazione non problematica l’adolescenza dovrebbe costituire un momento di riorganizzazione in
cui le figure di attaccamento vengono via via sostituite da nuovi legami, pur mantenendo quelli come base
sicura.

6.4.1 Manifestazioni, terminologie e sintomi


La definizione della depressione in età evolutiva è discussa, sono infatti insufficienti gli adattamenti dei
criteri degli adulti sui bambini.
La CD: 0-3 la definisce come una marcata diminuzione del piacere o dell’interesse (anedonia, specifica
dell’età prescolare) in quasi o tutte le attività e la presenza di temi negativi nel gioco.
Vi sono discussioni anche sulla durata dell’episodio depressivo che si prolunga per almeno 2 settimane.

Altre manifestazioni riguardano un umore irritabile con lamentele somatiche, ritiro sociale (psiche e
soma, più uniti: conversione del sintomo da psichico a somatico).

Reazione Prolungata a Perdita/Dolore


Si tratta di un quadro clinico seguente alla perdita di una persona cara. Essa è riprodotta dalle fasi del
lutto infantile di Bowlby ma è distinta dal PTSD che ha componenti principalmente ansiose.

DSM-IV
I Disturbi Depressivi vengono classificati tra i Disturbi dell’Umore insieme agli Episodi di alterazione
dell’umore e ai Disturbi Bipolari. I Disturbi Depressivi si scompongono poi in:
o Disturbo Depressivo Maggiore → Episodio di almeno 2 sett. con: umore depresso,
anedonia e almeno 4 sintomi di natura vegetativa/psicomotoria/cognitiva;
o Disturbo Distimico → Meno intensa ma più prolungata del DDM (almeno 1 anno per
bambini e adolescenti).

Questi si distinguono dai disturbi bipolari per l’assenza di episodi maniacali (umore elevato, irritabilità,
agitazione ecc.)

Annovera poi, in adolescenza e nell’infanzia, l’irritabilità come segnale di un umore disforico. Dunque
lamentele, irritabilità e ritiro sociale, ma anche iperattività, noia ed esibizionismo, possono essere sintomi
di depressione in quest’età. Un’ipotesi è che solo con le capacità cognitive acquisite in età adulta si affermi
quel sentimento di inutilità e mancanza di valore tipico della depressione “matura”.

Novità del DSM-5


• Disturbo bipolare e disturbi correlati e disturbi depressivi;
• Viene inserito Disturbo da disregolazione dell’umore dirompente in disturbi depressivi;
• Caratteristica comune → umore triste, vuoto o irritabile, modificazioni somatiche e cognitive che
incidono in modo significativo sulla capacità di funzionamento;
• Caratteristiche diverse → durata, distribuzione temporale e presunta eziologia.

DSM-5
• Disturbo da disregolazione dell’umore dirompente (grave irritabilità che sfocia in gravi e
periodiche crisi di rabbia);

• Disturbo depressivo maggiore;


• Disturbo depressivo persistente (distimia) → umore depresso quasi tutto il giorno, quasi tutti i
giorni per 1 anno (età evolutiva) o 2 anni (età adulta);

• Disturbo disforico premestruale;

• Disturbo depressivo indotto da sostanze/farmaci;

• Disturbo depressivo dovuto ad un’altra condizione medica.

Il paziente depresso
• Quando c’è una sospetta depressione bisogna dare attenzione al non verbale;
• È importante chiedere rispetto ad episodi passati, proprio perché in molte occasioni non è il
primo episodio di depressione che il paziente incontra magari è il più forte. (di solito non è
l'unico episodio di depressione ma molto probabilmente ce ne sono stati altri, può aiutarci a
trovare soluzioni a livello eziologico).

6.4.2 Epidemiologia: età e differenze di genere


Anche il Disturbo depressivo subisce un incremento con l’età (1-2,5% in età prepuberale; 4,3-18,5% in
adolescenza). Per quanto riguarda il genere:
• M≥F (età prepuberale);
• M<F (adolescenza).

Per quanto riguarda la comorbilità:


– Bambini → SAD, DC;
– Adolescenti → ADHD, disturbi d’ansia, alimentazione, abuso di alcol e sostanza.

Alcuni fattori che potrebbero spiegare l’incremento sono:


1) Cambiamenti ormonali puberali;
2) Processi di regolazione su base genetica;
3) Maggiori stressors ambientali;
4) Cambiamenti nei fattori di vulnerabilità;
5) Produzione di stili cognitivi depressi;
6) Cambiamenti evolutivi nella regolazione/espressione emotiva.

6.4.3 Fattori di rischio e di vulnerabilità nelle sindromi depressive


Non esiste una causa della depressione che è piuttosto frutto dell’intersezione di vari fattori con il modello
di adattamento individuale. Tra i principali modelli vi sono quello dell’attaccamento, il cognitivo-
comportamentale e quello dei life -events.

Influenza genetica e fattori ambientali


L’ereditarietà genetica è maggiore se parenti di I e II grado, soprattutto se F, rilevante anche se si è figli
di madri depresse (che a sua volta rappresenta anche un fattore ambientale).
I fattori ambientali possono essere gli stili genitoriali disfunzionali. La bassa autostima, l’atteggiamento
ipercritico e poca fiducia come genitore manifestate da un genitore depresso conducono a un minore
calore emotivo e sensibilità, questi genitori entrano meno in contatto e hanno meno attività condivise.

Per far fronte a queste mancanze il bambino sviluppa un nucleo affettivo negativo di sé, caratterizzato
da rabbia e tristezza e stile difensivo in cui manca la fiducia nella propria capacità di segnalare i bisogni e
nel prossimo di fornire le cure.
Esperienze affettive poco responsive → MOI insicuri (non valgo, nessuno si cura di me) → impotenza,
disperazione

Eventi di vita
Anche degli eventi stressanti possono stare alla base. Sia eventi stressanti prossimali all’emergere dei
sintomi depressivi che eventi distali (come abusi, perdite e traumi) possono incrementare la vulnerabilità
individuale.

Vulnerabilità neurobiologica
Sistemi neuroendocrini → secrezione del cortisolo;
Sistemi neurochimici → serotonina, norepinefrina e acetilcolina.

6.4.4 Studi longitudinali: continuità omotipica ed eterotipica delle sindromi depressive


Si evidenzia una continuità omotipica dei disturbi dell’umore. Alcuni studi affermano che a un esordio
precoce è correlata una minore probabilità di DDM in età adulta piuttosto che con un esordio in
adolescenza. È infatti lo status puberale a rappresentare il miglior predittore. Va comunque sottolineato
che ci sono varie differenze evolutive nella manifestazione di questi disturbi.
6.5 ANSIA E DEPRESSIONE: DUE COSTRUTTI O UN’UNICA DIMENSIONE?
Gli importanti tassi di comorbilità tra ansia e depressione (8-16% comorbilità campione non clinico; 28-
75% comorbilità campione clinico) fanno pensare che questi costrutti rappresentino in realtà un’unica
dimensione. Il legame più forte sembrerebbe essere quello tra DAG e DDM si è dunque ipotizzato che il
primo sia una versione prodromica del secondo.

Tuttavia altri autori sostengono l’importanza di differenziare questi disturbi, specialmente nel caso degli
adulti. È stato ipotizzato che può essere l’esposizione a determinati fattori ambientali a differenziare la
manifestazione di un costrutto piuttosto che dell’altro.

• Tuttavia 2 costrutti: si differenziano con la crescita

*Cosa elicita l’ansia secondo Freud (PDM)? 4 possibilità:


*Studio sull’ansia Cina (1°), Italia (2°) e Costa Rica (3°) → componente culturale
*Disturbo da Stress Post-Traumatico NON Disturbo Post-Traumatico da Stress
*Ricordati di aggiornare il libro col DSM-5

DISTURBI PERVASIVI DELLO SVILUPPO E DELLO SPETTRO DELL’AUTISMO

10.1 INTRODUZIONE
Nonostante le numerose ricerche in merito non si è ancora riuscito comprendere nella loro completezza
tutti i caratteri fondamentali di questo disturbo anche se, a partire dal DSM-IV la sua diagnosi è divenuta
maggiormente agevole. Definiamo il DSA come un disturbo caratterizzato dalla difficoltà nello sviluppo
sociale, nella comunicazione e nel gioco e da comportamenti e interessi ristretti.
È importante conoscere le differenze col DSM-5:

Tra il DSM-IV e 5 ci sono grosse differenze: le 4 declinazioni sono state sostituite dal concetto di spettro
per evitare difficoltà nella diagnosi. Ovviamente sullo sfondo c’è un avvicinamento all’ottica
dimensionale. Nel DSM-5 il DSA è contenuto tra i Disturbi del Neurosviluppo.

Un’altra differenza riguarda l’organizzazione sintomatologica (vedi slide):


Secondo Kanner I bambini affetti da autismo non sono in grado né di apprendere un linguaggio né di
sviluppare il normale interesse per le persone, compensano dunque sviluppando comportamenti
autostimolatori.

CD: 0-3
Il Disturbo Multistemico dello Sviluppo (DMSS) si sovrappone in parte al DSA pur essendo maggiormente
caratterizzato da un disturbo della regolazione. Nella nuova versione si è però affermata la categoria del
DSA almeno per i bambini più grandi.

Prevalenza
• 1% popolazione (+ casi vs. + accurata diagnosi?)
• 10 casi ogni 10000 bambini
• M:F = 4:1

10.2 IL SISTEMA DELL’INTERSOGGETTIVITÀ


L’area più compromessa è quella delle relazioni sociali e della comunicazione, raggruppate da Stern nel
sistema motivazionale intersoggettivo, ha a che fare con l’intimità, la condivisione psicologica e la
reciproca comunicazione.

I bambini possiedono una predisposizione precoce ad entrare in relazione con emozioni altrui e
condividere le proprie sin dalla nascita (2 m. risponde espressioni madre), collegata probabilmente a una
capacità imitativa. Beebe la definisce, riassumendo varie definizioni, come forme di intersoggettività.
Possiamo distinguere due caratterizzazioni:
• Funzionamento implicito (automatico; scambio emozionale, non verbale)→ ha una base
neurobiologica sia nel sistema limbico che nei neuroni-specchio;

• Funzionamento esplicito (consapevole; scambio verbale)

Secondo Trevarthen si passa da un’intersoggettività innata a forme via via più complesse, in particolare
intorno ai 9-10 m, diventa cooperativa.

Attenzione condivisa (Tomasello et al., 2005)


L’intersoggettività condivisa si manifesta nell’attenzione condivisa secondo 3 step:
– 3 m → altri come agenti animati, interagire in modo diadico, condividere stati emotivi;
– 9 m → altri come agenti guidati da un obiettivo, condivisione dell’obiettivo;
– 14 m → altri hanno intenzioni, possibile condividere interagire e instaurare una collaborazione.
L’attenzione di un bambino viene dunque attirata dalla voce di una persona che lo chiama e da lì il
bambino sceglie se mantenere lì l’attenzione o riportarla al principio. Non è così per il DSA che manifesta
sin dai primi mesi uno scarso interesse per gli stimoli sociali.

10.3 Acquisizioni rispetto alle fasi precoci dell’autismo


L’area dei comportamenti e interessi ristretti (avversione al contatto, ipersensibilità) è più difficile da
individuare nei bambini piccoli. Ecco alcuni comportamenti tipici:

• I anno → atipie nel dialogo tonico, sguardo sfuggente, assenza di sorriso sociale, mancanza
atteggiamenti anticipatori, assenza di attenzione congiunta.
• II-VI anno → tendenza all’isolamento, “non risponde se chiamato”, non richiede partecipazione
dell’altro, utilizza l’altro in maniera strumentale, assenza di pointing, ecolalia.

Il rapporto con l’altro non è mai completamente assente, ma limitato a richiedere e non a condividere. È
dunque piuttosto difficile diagnosticarlo prima dei 2 anni.
Nei casi più importanti vi è una possibile assenza di linguaggio e compromissione cognitiva.

10.4 Modelli psicologici dell’autismo


La variabilità delle manifestazioni cliniche di questo disturbo ha contribuito alla creazione, intorno agli
anni 90, di numerosi modelli volti a spiegare diversi aspetti della sintomatologia autistica.

Teoria della mente


Sottolinea che la disfunzione è conseguenza del fallimento nell’acquisizione della capacità di concepire e
comprendere stati mentali propri o altrui. Questi non sono in grado di costruire un mondo sociale di
intenzioni, desideri e convinzioni, sono quindi incapaci di orientarsi socialmente.
Mancanza di empatia (Hobson)
I deficit socioaffettivi che caratterizzano il DSA non gli permettono di dare risposte coerenti alle
espressioni emotive altrui. Hobson pone questo deficit direttamente ai meccanismi innati per cui i DSA
avrebbero difficoltà a riconoscere espressioni mimiche e aspetti prosodici della comunicazione.

Le nuove prospettive hanno condotto a un superamento della dicotomia tra cognitivo e affettivo,
producendo modelli che sottolineano entrambi gli aspetti.

Contributo di Meltzoff (deficit imitativo e orientamento sociale)


I DSA non dispongono della specifica e iniziale teoria della persona che permette di garantire legami
interpersonali e orientarsi verso la figura umana. Questo sarebbe osservabile da un deficit precoce nella
capacità imitative e nell’orientamento sociale.

Tappe evolutive della ToM


La ToM prende in esame le rappresentazioni degli stati mentali che un individuo è in grado di elaborare.
Nei soggetti DSA si notano disfunzioni precoci nell’attenzione condivisa che non sono in grado, ad esepio,
di sviluppare l’abilità del pointing.
Secondo Baron-Cohen si verifica una dissociazione fra gestualità imperativa (“voglio quell’oggetto”) e
protodichiarativa (“guarda quell’oggetto”).
Alcuni ritengono che l’attivazione del modulo dell’attenzione condivisa sia distinto rispetto a quello più
evoluto della ToM, tant’è che alcuni autistici ad alto funzionamento sarebbero capaci di acquisire una
capacità metarappresentativa senza far ricorso a quei meccanismi primitivi-automatici.

Altri modelli psicologici ASD


• Coerenza centrale debole → mondo psichico caratterizzato da aspetti frammentari e separati, senza
coerenza globale che definisca senso personale e contesto sociale. L’attenzione si concentra alle
singole parti e poco all’insieme, ad esempio nel linguaggio: c’è comprensione delle singole parole,
ma non della frase;

• Disfunzione esecutiva → apprendimento caratterizzato da perseverazione e inadeguata capacità


autoregolativa, che emerge negativamente nei momenti di cambiamento, nella pianificazione e nel
problem solving (deficit lobi frontali).
Tuttavia questo modello concentrando si sul carattere generale di abilità risulta poco specifico per
l’autismo.

• Deficit imitativo e all’orientamento sociale → difficoltà a sviluppare i processi intersoggettivi.

• Ipotesi dell’ipermascolinizzazione → introdotta da Asperger per cui i cervelli autistici sarebbero un


modello tipicamente maschile portato all’estremo. A questa tendenza meno relazionale e
maggiormente analitica sarebbero collegati i cosiddetti talenti insoliti.

Modello unico?
Ma è dunque possibile riconoscere in tutti questi modelli un nucleo comune per l’autismo? Sono state
ipotizzate basate sulla presenza di anomalie nella connettività neurale.
Ci sarebbe un deficit connesso a un eccesso/insufficienza di connettività con relativa funzionalità
cerebrale anomala dei processi inibitori ed eccitatori.
Nello specifico le colonne di cellule neuronali sono più numerose, più piccole, meno compatte. Il risultato
è uno stato permanente di ipereccitazione a cui reagiscono con comportamenti anomali che servono a
ridurre tale eccitazione. L’ipereccitazione rende difficile discriminare i vari input sensoriali.
I pattern connessionistici sono geneticamente condizionati, ma influenzati dall’esperienza e si sviluppano
nei primi 12 m, per questo il primo anno è di difficile diagnosi.
Tutto ciò si tradurrebbe in un disturbo primario dell’intersoggettività che non consente ai primi
comportamenti sociali di evolvere verso comportamenti sociali più complessi, pertanto anche i primi
comportamenti sociali tendono a scomparire.

Relazione genitore-bambino
Importante ricordare come

COMPORTAMENTI E DSM-5
Il bambino con ASD
• Isolamento
• Mancanza di attenzione condivisa
• Evitamento/rifiuto dello sguardo
• Difficoltà di riconoscere emozioni e stati mentali altrui
• Linguaggio non adeguato all’età (Ritardo delle tappe)
• Non vi è tentativo di mimica
• Ecolalia immediata o differita
• Prosodia monotona
• Non vi è il gioco del far finta
• Mutismo
• Mancanza di risposte alle richieste altrui
• Difficoltà a condurre e iniziare una normale conversazione
• Anormalità nella comunicazione gestuale e mimica-stereotipie motorie
• Frequente inversione pronominale (parla di sé usando “tu”; e della persona alla quale si riferisce
usando “io”)
• Non capisce l’ironia e lo scherzo
• Reazioni di angoscia o collera in occasione di cambiamenti di ambiente, di imprevisti
• Reazioni di frustrazioni a tentativi dell’adulto di entrare in contatto
• Scelta di oggetti insoliti (sassi, fili etc.)
• Manierismi motori (torsioni delle dita, movimenti a trottola)
• Indifferenza ai richiami
• Ipo o iperattività motoria
• Interesse per stimoli sonori (es. aspirapolvere, acqua, ruote etc.)
• Comportamenti auto ed eteroaggressivi
• Buona capacità mnesica
• Alterazione del comportamento alimentare
• Disturbi del sonno (per esempio risvegli notturni)

Spettro dell’autismo (ASD)


DSM-5
A. Deficit persistente nella comunicazione sociale e nell’interazione sociale in diversi contesti, presenti
attualmente o nel passato:
1. Deficit della reciprocità socio-emotiva (approccio sociale anomalo e insuccesso nella
normale conversazione -botta e risposta-; ridotta condivisione di interessi, emozioni,
sentimenti; totale mancanza d’iniziativa nell’interazione sociale);
2. Deficit nei comportamenti comunicativi non verbali usati per l’interazione sociale (scarsa
integrazione della comunicazione verbale e non verbale; anomalie nel contatto visivo e nel
linguaggio del corpo, o deficit nella comprensione e nell’uso dei gesti; totale mancanza di
espressività facciale e gestualità;
3. Deficit dello sviluppo, gestione e comprensione delle relazioni (difficoltà nell’adottare il
comportamento ai diversi contesti sociali; difficoltà nella condivisione del gioco
immaginativo o nel fare amicizie; assenza di interesse verso i coetanei).
B. Pattern comportamentali, interessi o attività ristretti e ripetitivi come manifestato da almeno due
dei seguenti punti:
1. Movimenti, uso di oggetti o eloquio stereotipati o ripetitivi (mettere in fila oggetti,
capovolgere oggetti, ecolalie, uso ripetitivo di oggetti o frasi idiosincratiche);
2. Insistenza nella sameness (immodificabilità), eccessiva fedeltà alle routine, comportamenti
verbali o non verbali riutilizzati o eccessiva riluttanza ai cambiamenti (rituali motori,
insistenza nel fare la stessa strada o mangiare lo stesso cibo, domande incessanti o estremo
stress a seguito di piccoli cambiamenti);
3. Interessi limitati, fissi che sono anomali per intensità o argomenti (forte attaccamento o
interesse per oggetti insoliti, interessi eccessivamente persistenti e circostanziati);
4. Iper o ipoattività agli stimoli sensoriali o interessi insoliti verso aspetti sensoriali
dell’ambiente (apparente indifferenza a temperatura/dolore, risposta avversa a suoni o
consistenze tattili specifiche, eccessivo annusare o toccare oggetti, attrazione per luci o
oggetti).
C. I sintomi devono essere presenti nella prima infanzia (ma possono non diventare completamenti
manifesti finché le esigenze sociali non oltrepassino il limite delle capacità).
D. L’insieme dei sintomi deve limitare e compromettere il funzionamento quotidiano in ambito
sociale, lavorativo o altri ambiti importanti.
E. Alterazioni non meglio spiegate da disabilità intellettive o da ritardo dello sviluppo.

Specificatori di gravità

Comorbilità
• Compromissione intellettiva;
• Disturbo struttura linguaggio (incapacità comprendere e costruire frasi grammaticalmente corrette);
• Disturbi ansia;
• Disturbi depressivi;
• DSA;
• Disturbo evitante/restrittivo di assunzione di cibo.

10.5 Basi neurobiologiche


Evidenze scientifiche affermano la presenza di anomalie ampiamente distribuite. Si osserva:
• Aumento dimensioni del cranio (+10% volume àeccessiva produzione sinapsi, mancato pruning);
• Ipoattivazione amigdala (= reazione viso mamma e tazza);
• Neuroni specchio alla base di lettura della mente, apprendimento imitativo, empatia (esperimento
imitazione: sistema NS non attivato). Per compensare utilizzano strategie alternative, ma
probabilmente non sperimentano il significato soggettivo delle emozioni;
• Bassi livelli serotonina e vitamina D

Influenze genetiche
• Shank3 → gene che interviene nell’organizzazione delle spine dendritiche dei neuroni per
connessioni (non in tutti ASD, 15%);
• Ereditarietà tra 37 e 90%.
Quando sopravviveva l’ipotesi della triade sintomatologica si era propensi a pensare che le varie aree
avessero una certa indipendenza nella compromissione.

Il fenotipo allargato
Si è notato nei genitori dei bambini autistici tratti inusuali che ricordano a loro volta l’autismo (difficoltà
nell’interazione sociale e nella comunicazione). Si è quindi avanzato l’ipotesi che un soggetto francamente
autistico non fosse che la manifestazione più chiara di un fenotipo allargato, riscontrabile in misura minore
nei parenti più vicini.

Influenze ambientali
• Madre frigorifero
• Età avanzata dei genitori
• Basso peso alla nascita
• Rosolia materna
• Convulsioni nei primi mesi di vita
• Esposizione del feto a valproato

Le relazioni positive rappresentano senza dubbio un fattore protettivo ma risulta senza dubbio difficile
entrare in una relazione affettiva per i genitori di questi bambini. Questi genitori tendono dunque a
disinvestire nella relazione coi bambini autistici, tant’è che si è pensato che alcuni dei sintomi tipici
dell’autismo fossero riconducibili a l pattern relazionale distaccato che si instaurava col caregiver.

DISTURBI COMPORTAMENTALI

Classificazione
Sono molto studiati in ambito evolutivo a causa della:
• Elevata frequenza;
• Gravità degli esiti a lungo termine;
• Difficoltà di trattamento.

8.1 I MECCANISMI DEL CONTROLLO COMPORTAMENTALE E LE DINAMICHE EVOLUTIVE


I meccanismi di controllo comportamentale connessi con competenze precoci quali:
➢ Sistema regolativo delle emozioni;
➢ Attenzione;
➢ Funzioni esecutive.

Temperamento
Le differenze individuali, su base biologica, influiscono sulla reattività del sistema nervoso centrale e
nell’autoregolazione relativamente alle emozioni, all’attenzione e all’attività motoria (Rothbart e Bates,
1998)
o Predisposizione a reagire a eventi ambientali ed esperienze affettive in modo peculiare
(integrando anche le esperienze sensoriali);
o Influenzato da esperienze interattive precoci;
o Caratterizza la reattività individuale e influisce sullo sviluppo di modelli stabili di
comportamento.

Evoluzione regolazione controllo degli impulsi e dell’attenzione


Sia il controllo degli impulsi che l’attenzione sono influenzati dalle risposte riflesse su base sensoriale:
Fino alla metà del 1° anno di vita l’attenzione e la risposta motoria si basano sulla risposta riflessa. Sia
l’attenzione che il controllo degli impulsi sono moderati dallo “stato energetico” del bambino (arousal o
tendenza all’eccitabilità).
Dalla fine del 1° anno di vita i sistemi neurali e quelli che controllano la risposta motoria si integrano
ulteriormente attraverso la motivazione: sia l’attenzione che gli impulsi possono essere fortemente
influenzati dall’ansia dovuta a una potenziale minaccia o da un eccitamento intenso dovuto a una possibile
ricompensa.
Funzioni esecutive
Un’altra area di intersezione è quella delle funzioni esecutive che influenzano l’attenzione e il
comportamento del bambino attraverso il ridirezionamento volontario dell’attenzione.
Le funzioni esecutive regolano i processi di pianificazione, controllo e coordinazione. Stessa cosa vale per
l’attivazione e la modulazione di processi come:
• L’organizzazione delle azioni in sequenze gerarchiche di mete, la pianificazione;
• Lo spostamento flessibile dell’attenzione;
• L’attivazione di strategie appropriate e l’inibizione di risposte non adeguate.

Le funzioni esecutive servono anche nei compiti di problem solving e di comprensione delle persone. Il
controllo comportamentale ed emozionale, nonché la regolazione del comportamento, sono sviluppati a
partire dalla corteccia prefrontale.
I deficit della regolazione prefrontale sembrerebbero essere implicati nello sviluppo di disturbi
comportamentali, in particolare quelli associati con l’iperattività.

Modello di Barkley
I deficit primari nell’inibizione comportamentale porterebbero a una serie complessa di problemi
successivi. L’inibizione comportamentale si ha quando un bambino mantiene una risposta dominante;
questa inibizione permette l’attuazione di importanti funzioni esecutive come la memoria di lavoro,
l’internalizzazione del linguaggio e la regolazione dell’affetto e dell’arousal.
I deficit nel controllo inibitorio possono interferire con il controllo motorio, portando all’iperattività, ma
possono interferire anche con una risposta emozionale adeguata. Nei bambini con ADHD un deficit nel
controllo inibitorio potrebbe portare a rotture nei processi esecutivi di regolazione: questi potrebbero
mostrare una particolare reattività emozionale, sarebbero incapaci di anticipare eventi carichi
emotivamente e avrebbero problemi nel valutare l’impatto delle loro azioni sugli altri in situazioni
emotivamente significative.
Quindi secondo Berkley un funzionamento esecutivo carente sarebbe possibile fattore causale di:
1. ADHD
2. Disturbo oppositivo
3. Disturbo della condotta

Esperienza interpersonale
Lo sviluppo dei sistemi neurali e comportamentali alla base dei processi regolativi è in relazione con il
mondo interpersonale del bambino, soprattutto con le capacità di sintonizzazione affettiva dei genitori e
con la verbalizzazione degli affetti. Lo sviluppo neurale è plastico all’esperienza e questa sostiene lo
sviluppo cognitivo e linguistico. Se i processi reattivi sono atipici (es. affetti negativi forti), questo può
interferire con lo sviluppo delle funzioni esecutive e con il controllo volontario, che a sua volta indebolisce
le capacità di regolare gli affetti reattivi.
Le esperienze traumatiche possono predisporre l’individuo a disregolazioni attenzionali e
inibitorie anche in assenza di vulnerabilità temperamentali.

Linguaggio
Il controllo, nell’autoregolazione, è esercitato dal linguaggio. Questo media la socializzazione
dell’autocontrollo attraverso la verbalizzazione degli stati affettivi e di altre aspettative comportamentali
da parte dei genitori.
Dall’inizio del 2° anno di vita fino al 4° il linguaggio si sviluppa velocemente; uno sviluppo del carente può
ritardare la capacità di regolare il comportamento perché inibisce lo sviluppo del linguaggio interno che
rappresenta una strategia importante di autoregolazione. Per questo a un mancato sviluppo del
linguaggio si correla uno sviluppo antisociale.
Processi bidirezionali/transazionali
Lo sviluppo dell’autocontrollo è in relazione con i processi di socializzazione sia in maniera bidirezionale
che transazionale. Le capacità di controllo e regolazione modellano e sono modellate dal contesto:
predisposizioni temperamentali impulsive possono influenzare il caregiving in modo da aggravare la
situazione.
Nel caso dei bambini con ADHD, i fattori di rischio possono essere collegati ad attaccamento insicuro tra
bambino e caregiver, che provoca influenza negativa sull’attenzione e sul comportamento: i bambini
hanno comportamenti aggressivi, hanno problemi a regolare gli impulsi.

Funzione riflessiva del Sé/monitoraggio metacognitivo


Con l’aumentare dell’età si sviluppa la funzione autoriflessiva del Sé e il monitoraggio metacognitivo.
Queste permettono al bambino di comprendere il suo stato interno e quello degli altri, intensificando la
sua capacità regolativa per quanto riguarda gli stati emozionali. La disregolazione emozionale in bambini
e adolescenti con comportamenti aggressivi è stata ricollegata con la loro difficoltà nel riconoscere le
emozioni e nel comprenderle (poca empatia).

Normale vs. patologico


Anche per i disturbi comportamentali la distinzione tra aspetti normali ed aspetti patologici non è facile
in età evolutiva.
Tra i 2 e i 4 anni i bambini manifestano dei comportamenti aggressivi, iperattività, scarsa regolazione degli
impulsi, disubbidienza, rabbia, aggressività, oppositività che possono rappresentare sia aspetti evolutivi
transitori che segnali d’allarme.
Difficile fare diagnosi perché si hanno poche informazioni sull’intenzionalità del comportamento e sulla
comprensione del suo significato (questo entro i 5 anni di età).
Tanto più il bambino è piccolo e tanto più è complesso fare diagnosi perché bisogna capire l’intenzionalità
di un certo comportamento e la comprensione del suo significato.

Overt/covert (Dishion e Patterson)


L’ampia variabilità nei comportamenti è stata suddivisa da questi autori secondo 2 categorie:
A. Comportamenti aggressivi espliciti (overt) → facilmente individuabili;

B. Comportamenti aggressivi mascherati (covert) → comprendono atti aggressivi fatti per evitare
di essere scoperti: aggressività prosociale, relazionale, ovvero condotte che mirano al
raggiungimento di un obiettivo o alla dominanza su un altro.

Tra i 2 e gli 11 anni → diminuzione comportamenti aggressivi espliciti;


tra i 5 e i 6 anni → iniziano i comportamenti aggressivi mascherati.

Questa concettualizzazione è ritenuta fondamentale per i critici in quanto permette di predire più
accuratamente quando un comportamento evolutivo, ad esempio aggressivo, sia solo tranistorio o possa
rivelarsi una spia di un esito antisociale, quando il bambino apprende modalità più nascoste di
espressione per non essere sanzionato.
Anche Nagin e Trembaly confermano che i comportamenti overt più gravi caratterizzano soprattutto la
prima infanzia, questi vengono sanzionati dagli adulti, ma il vambino impara ad assumere un’aggressività
proattiva (maggiormente predittiva di comportamenti delinquenziali).

8.2 LO SPETTRO DEI DISTURBI COMPORTAMENTALI


L’ampiezza dei disturbi comportamentali rende difficile distinguere un quadro di sviluppo tipico, da uno a
rischio di compressione o addirittura già compromesso.
Diagnosi
In primis va sottolineato che la percezione di problematicità di un comportamento è influenzato
dall’impatto che ha nei vari contesti. I disturbi del comportamento sono percepiti come altamente
disfunzionali: mettono in crisi il modello familiare e di socializzazione. Non a caso circa il 50-75% delle
consultazioni cliniche in età evolutiva li riguardano (nonostante solo una minima parte ne ricevano una
diagnosi).
I disturbi del comportamento sono così tanto percepiti perché sono quelli che maggiormente possono
essere osservati dall’esterno e poi perché ce ne sono effettivamente tanti. Questi bambini creano
disordini all’interno della famiglia, spesso si recano dal clinico inviati dalle maestre perché è impossibile
lavorare in classe.

Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività


È caratterizzato dalla presenza di sintomi di disattenzione e/o iperattività-impulsività e per una
mancanza di perseveranza all’esecuzione di compiti che richiedono un impegno cognitivo.

DSM 5
- Richiede che siano presenti 6 sintomi di disattenzione per almeno 6 mesi.
- Richiede che siano presenti 5 sintomi se si ha più di 17 anni.
- Oppure → 6 sintomi di iperattività/impulsività per almeno sei mesi. 5 sintomi presenti se si ha più di
17 anni.
- Devono essere presenti in almeno 2 contesti sociali (casa, scuola, lavoro, con amici o parenti).
- Che compaiono prima dei 12 anni di età.

Include 3 sottotipi, a seconda della prevalenza:


1. Dei sintomi di disattenzione;
2. Dei sintomi di iperattività/impulsività;
3. Della compresenza di entrambi.
L’ADHD interessa maggiormente i maschi e la sua prevalenza è variabile a seconda dei criteri diagnostici.

Fattori di rischio del sottotipo 2


Sintomi di iperattività:
1. agisce come se fosse spinto da un motore;
2. ha difficoltà a svolgere attività tranquille;
3. ha difficoltà a rimanere seduto;
4. si agita sulla sedia, gioca con le mani e con i piedi;
5. salta e corre in maniera eccessiva;
6. parla troppo.

Sintomi di impulsività:
1. risponde prima che le domande siano completate;
2. ha difficoltà ad aspettare il proprio turno;
3. si intromette nelle attività dei compagni;
4. interrompe spesso il discorso.

Possibili precursori
Per quanto riguarda la variante iperattiva-impulsiva sono stati individuati, come fattori di rischio, difficoltà
temperamentali, scarsa consolabilità, sonno poco regolare, irritabilità e mancanza di autocontrollo.
Comorbilità
Elevata comorbilità con il DC, con il DOP e col comportamento antisociale in età successiva.

Fattori neurobiologici
Va comunque l’unione tra fattori biologici e ambientali. Barkley individua criticità nelle funzioni esecutive,
in particolare nel controllo inibitorio, almeno per quanto riguarda i disturbi del primo sottotipo.
I pattern di disattenzione, impulsività e iperattività sono più legati ad influenze causali genetiche
e psicobiologiche; invece quelli di aggressività e comportamenti antisociali associati alla genitorialità
disfunzionale e ad altri rischi psicosociali.

Disturbo Oppositivo Provocatorio


Si presenta come una modalità di comportamento negativistico, ostile e provocatorio nei confronti dei
caregiver del bambino e delle autorità in genere. Perdita di controllo, litigi con adulti, opposizione attiva
o rifiuto di rispettare le regole, azioni deliberate che causano fastidio ad altri, essere collerici, dispettosi o
vendicativi.

È come se chiedesse “Mi vuoi bene anche se ti dimostro che non valgo niente, anche se ti faccio vedere
che mi sono preso gioco di te? Mi vuoi bene anche se io stesso sono sicuro di essere un buono a nulla, e
sono certo che nessuno mi potrà mai amare”

PREVALENZA DOP
• 16% dei soggetti in età scolare
• varia da 1 a 11% (M=3,3% DSM-5) • M:F=1,4:1 (prima di adolescenza), M=F
• più o meno equamente distribuito nelle varie classi socio-economiche.

EZIOLOGIA DOP
• Cause incerte
• 2 filoni → aggressività dovuta:
- ad ambiente sociale/culturale;
- a fattori genetici/biologici.

DECORSO DOP
I dati statistici ci dicono che il 25% dei soggetti diagnosticati come affetti da DOP, dopo alcuni anni non
possono più essere qualificati come tali, in quanto non soddisfano più i criteri del DSM-5. Non è chiaro
quanti di questi soggetti erano stati erroneamente diagnosticati e quanti, invece, sono andati incontro ad
una guarigione. È, in ogni modo, provato che interventi terapeutici tempestivi e sostegno familiare, sono
fondamentali per una prognosi positiva.

EVOLUZIONE DOP
In molti casi, i soggetti con DOP che non beneficiano di nessun trattamento, hanno maggiori possibilità di
sviluppare DC e abusare di sostanze.

Disturbo della Condotta


Comportamento ripetitivo di condotta antisociale, aggressiva e provocatoria, in cui i diritti fondamentali
degli altri o le principali regole sociali appropriate all’età vengono violate.
Tra i comportamenti più presenti: condotta aggressiva che causa o minaccia danni fisici ad altre persone
o ad animali, una condotta non aggressiva che causa perdita o danneggiamento della proprietà, frode o
furto, gravi violazioni di regole. I bambini manifestano scarsa empatia, mancanza di senso di colpa,
tendenza a interpretare le azioni degli altri come minacciose.
In questi soggetti si riscontrano facilmente impulsività, esordio precoce di comportamenti sessuali a
rischio, abuso di alcol e droghe e rischio di suicidio.
C’è una maggiore probabilità che questi bambini sviluppino in adolescenza un Disturbo di personalità
antisociale.

Criteri DSM
Questi disturbi non interessano solo la condotta e il comportamento ma anche la componente emotiva-
affettiva che è molto fragile e vulnerabile.
Ha molto a che fare con le emozioni.
A. Una modalità di comportamento ripetitiva e persistente in cui i diritti fondamentali degli altri o le
principali norme o regole sociali, in riferimento all’età, vengono violati.
1. Presenza di almeno 3 dei 15 criteri nei 12 mesi (continuativi);
2. Almeno un criterio negli ultimi 3 mesi.

AGGRESSIONE A PERSONE O ANIMALI (criteri disturbi condotta)


1. È prepotente, minaccia o intimorisce gli altri
2. Dà inizio a colluttazioni fisiche
3. Usa un'arma che può causare danni fisici ad altri (bastone, barra, bottiglia rotta, coltello, pistola
4. È fisicamente crudele con le persone
5. È fisicamente crudele con gli animali
6. Ruba affrontando la vittima (aggressione, scippo, estorsione, rapina a mano armata
7. Forza qualcuno ad attività sessuali

DISTRUZIONE DELLA PROPRIETA'


8. Appicca il fuoco con l'intenzione di causare seri danni
9. Distrugge deliberatamente proprietà altrui

FRODE O FURTO
10. Entra in edificio, domicilio o automobile degli altri;
11. Mente per ottenere vantaggi o favori o per evitare obblighi (“raggira gli altri”);
12. Ruba oggetti di valore senza affrontare la vittima (furto nei negozi ma senza scasso, falsificazioni).

GRAVI VIOLAZIONE DI REGOLE


13. Trascorrere fuori casa la notte nonostante la proibizione dei genitori, con inizio prima dei 13 anni
di età;
14. Fugge da casa 2 volte mentre vive a casa dei genitori o chi ne fa ne veci, o 1 volta senza ritornare
per un lungo periodo;
15. Marina spesso la scuola, con inizio prima dei 13 anni.

B. L'anomalia del comportamento causa compromissione clinicamente significativa del


funzionamento sociale, scolastico, o lavorativo;

C. Se il soggetto ha >18 anni e non sono soddisfatti i criteri per il disturbo antisociale di personalità
(che ha priorità).

Esordi
Esordio nell'infanzia → almeno 1 sintomo <10 anni.
Esordio nell'adolescenza → sintomo >10 anni.
Esordio NON specificato → i criteri per la diagnosi sono soddisfatti ma non ci sono sufficienti informazioni
disponibili per determinare se l'esordio è stato prima o dopo i 10 anni.

Specificare:
Con emozioni prosociali limitate:
- mancanza di rimorso e senso di colpa
- insensibile e mancanza di empatia
- disinteresse sulle performance (autostima)
- superficiale o carente negli affetti

Specificare la gravità:
- lieve
- moderato
- grave

PREVALENZA DC
• 2-10% (Media=4%; DSM-5). Coerente nei vari paesi;
• Presente prevalentemente nella popolazione maschile tra il 6 e il 16% dei soggetti. Alcune ricerche
mostrano che caratteristiche molto simili nelle femmine vengono “dirottate” su diagnosi borderline
(covert) e non antisociali (overt).
• Aumento di prevalenza da infanzia a adolescenza (pochi bambini ricevono il trattamento).

SVILUPPO DC
Elementari:
• prime esperienze di rifiuto sociale
• affiliazione a gruppi antisociali
• fallimento scolastico
• demotivazione allo studio

Medie:
• possono stabilizzarsi i comportamenti aggressivi aperti e aumentare i comportamenti aggressivi
coperti (covert)
• atti vandalici
• assenze frequenti a scuola
• innesco di incendi
• uso e abuso di sostanze

Adolescenza:
• cristallizzazione
• atti criminosi
• violenze
• uso di armi
• partecipazione a bande devianti
• anticipo relazioni sessuali e gravidanze indesiderate
• abuso di droga e di alcool

FATTORI DI RISCHIO DC
Ovviamente è sempre un intersecarsi di vari fattori di rischio biologici:
• Lobi frontali: sistema di attivazione del comportamento più attivo della norma e sistema di inibizione
del comportamento meno attivo della norma;
• Funzioni esecutive: scarsa capacità di controllo e regolazione delle azioni;
• Basso livello di serotonina e alto livello di testosterone.

Familiari:
• depressione materna associata a comportamenti coercitivi;
• Ridotte interazioni positive (calore affetto);
• Abuso di sostanze e comportamenti antisociali nei genitori (soprattutto padre);
• genitori che si percepiscono incapaci di regolare il comportamento dei figli;
• genitori distratti verso i figli o troppo rigidamente severi;
• genitori oscillanti in modo incoerente, imprevedibile e caotico tra affetto senza freni e indifferenza
glaciale.

Attaccamento:
• insicuro ambivalente resistente;
• disorganizzato.

Ambientali:
• svantaggio socioeconomico;
• modelli aggressivi adulti, il bambino è cresciuto in un ambiente aggressivo.

DC IN ADOLESCENZA SE…
È stato condotto uno studio su questo disturbo, ovvero sulla connessione tra questo disturbo e
caratteristiche presenti nell'arco di vita:
19689 bambini nati a termine ma con peso e indice di Apgar inferiore a quanto atteso:
• Anormalità neurologiche 1 anno;
• problemi linguistici 3 anni;
• problemi funzionamento cognitivo 4 anni;
• scarse performance scolastiche 7 anni.

→ concomitanza di fattori
Spesso l'intervento su questi disturbi è molto completo, perché di fatto nel disturbo oppositivo
provocatorio il soggetto vede il terapeuta come un'autorità e quindi come un rivale. I soggetti con
disturbo di comportamento possono contare raramente su quello che è il supporto che la famiglia può
dare, molto spesso arrivano allo psicologo tramite assistenza sociale, magari dopo i crimini che hanno
commesso.

8.3 FATTORI DI RISCHIO E LINEE EVOLUTIVE


Anche da un punto di vista generale notiamo una concomitanza di fattori genetici-neurobiologici
(temperamento ad es.) e ambientali.

Funzionamento del SNC → Una serie di fattori pre e perinatali possono compromettere il funzionamento
neurobiologico e rappresentare dei fattori di rischio per successivi problemi attentivi e comportamentali:
esposizione a neurotossici (piombo), infezioni, esposizione a farmaci, alcol e droghe durante la gravidanza,
basso peso alla nascita e prematurità, ma anche stress materno durante la gravidanza. Tutti questi fattori
possono compromettere il funzionamento del tronco encefalico e influire sulla regolazione del
comportamento e delle emozioni.
Socializzazione → controllo attenzionale e regolazione degli impulsi influenzano ma sono anche
influenzate dalla socializzazione.

Genitorialità → uno stile educativo coercitivo rinforza il comportamento aggressivo del bambino.

Stressors familiari → se il caregiver non partecipa pienamente alla dialettica evolutiva.

Attaccamento → un attaccamento insicuro o disorganizzato, che a sua volta può derivare da una
mancanza di sintonizzazione della madre col temperamento del bambino, produce risposte negative e
aggressive associati a problemi comportamentali

Fattori di rischio per i disturbi della condotta, l’aggressività, la delinquenza e i comportamenti antisociali
dell’adolescenza, divisi per livelli:
1. A livello individuale → caratteristiche atipiche nel funzionamento cognitivo, nel temperamento,
nella regolazione o nei profili neurobiologici; l’impulsività, l’iperattività, basso quoziente
intellettivo, scarso rendimento scolastico, problemi di attenzione;

2. A livello della genitorialità → stile di parenting inadeguato, scarsa supervisione genitoriale, uso
duro e punitivo della disciplina;

3. A livello relazionale e familiare → pattern di attaccamenti insicuri, disorganizzati; contesti di


accudimento problematici: genitorialità singola, basso livello socioeconomico, depressione
materna, conflitto genitoriale, violenza coniugale, separazione precoce dei genitori,
maltrattamento infantile comporta danni cerebrali, desensibilizzazione, al dolore
(incoraggiamento della futura aggressività), riduzione dell’abilità di problem solving e rendimento
scolastico.

4. A livello sociale-contestuale → l’influenza dei pari, a scuola e nella comunità, la qualità delle
relazioni e dei processi di socializzazione, aggressività, impulsività.

Continuità
Pur presentandosi sia elementi di continuità omotipica che eterotipica, solo pochi sono interessanti da
un pattern persistente di comportamento antisociale che inizia prima dei 10 anni per continuare fino in
età adulta. Questo avviene soprattutto per i maschi laddove nelle ragazze si osserva una svolta
maggiormente depressiva.
Per quanto riguarda l’esordio in adolescenza, si tratta spesso di disturbi passeggeri riconducibili a
dinamiche tra pari, solitamente hanno meno possibilità di avere un disturbo persistente

DISTURBI DELLA PERSONALITÀ


Ci spostiamo nella trattazione dell’età adulta

Personalità
Per personalità intendiamo un insieme di più elementi (caratteristiche di pensiero, comportamento,
sentimento del soggetto) che caratterizzano adattamento e stile di vita nella sua unicità e che però non
vanno considerati singolarmente come sinonimi di questa (come il temperamento).
Fattori temperamentali, dello sviluppo e dell’esperienza concorrono a formarla.
Ci sono comunque molti quesiti intorno a questo concetto.
Quando si forma la personalità?
È importante capirlo perché la personalità rappresenta un tratto costante che funziona da base per tutti
i cambiamenti successivi “di contorno”. Stabilire quando essa si forma ci permette inoltre di capire quando
può esserne diagnosticato un disturbo.

Disturbo della personalità (punto di vista del DSM e Dinamico)


A. Un pattern abituale di esperienza interiore e di comportamento che devia marcatamente rispetto alle
aspettative della cultura dell’individuo. Questo pattern si manifesta in due (o più) delle seguenti aree:
1. Cognitiva: modi di percepire e interpretare se stessi, gli altri e gli avvenimenti;
2. Affettiva: varietà, intensità, labilità e adeguatezza della risposta emotiva;
3. Funzionamento interpersonale;
4. Controllo degli impulsi.

B. Il pattern abituale risulta inflessibile e pervasivo in un’ampia varietà di situazioni personali e sociali.

C. Il pattern abituale determina disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in


ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti.

D. Il pattern è stabile e di lunga durata, l’esordio può essere fatto risalire almeno all’adolescenza o alla prima età
adulta.

E. Il pattern abituale non è attribuibile agli effetti fisiologici di una sostanza (es. una sostanza in abuso, un
farmaco) o di un’altra condizione medica (es. trauma cranico).

Altre caratteristiche
Alcuni non parlano di disturbo ma di personalità con funzionamento poco adattivo/flessibile in quanto
non c’è un momento precedente alla formazione dell’identità in cui il disturbo si innesta. Dunque tutta la
vita del soggetto ruota attorno a un’organizzazione stereotipata e relativamente rigida,
indipendentemente dalla situazione in cui si trova. Si osservano difficoltà sia dal punto lavorativo che
relazionale, impedisce di rispondere in maniera adeguata agli eventi stressanti o inaspettati.

Disturbo egosintonico → il soggetto non ne riconosce la disfunzionalità, così che diventa la sua organizzazione
costante di funzionamento; la persona non riconosce i sintomi come parte di un disturbo ma semplicemente come
uno stato di esistenza. Sovente, i pazienti si riferiscono a se stessi affermando “sono fatto così, non posso farci
niente”.

Disturbo egodistonico → una persona è consapevole di un proprio disturbo o malattia mentale; i sintomi la
obbligano a ricorrere a cure (es. fobia sociale: Sono una persona socievole e mi piace conoscere gente, ma ora ne
ho paura e non riesco più a farlo. Io non voglio essere così)

Rilevante che si tratti di disturbi egosintonici, ovvero in cui il soggetto non riconosce la propria
disfunzionalità. Fanno sì dunque che il paziente si convinca molto più difficilmente a intraprendere e
rimanere costante nella terapia, poiché non comprende che esista una possibile via d’uscita.

Cluster di personalità
Possiamo suddividere i disturbi della personalità in 3 cluster distinti in base alla presenza di caratteristiche
descrittive simili (non implica un’analogia eziologica).
Aspetti problematici
Per gli aspetti problematici della categorialità vedi anche Migone
Elevata comorbilità → scarso potere discriminante della diagnosi categoriale, fatta per esclusione.
– presenza di un certo numero di caratteristiche (es. da 5 in su), ma non distingue il grado di
intensità di una caratteristica e del disturbo;
– racchiude sotto la stessa etichetta (es. disturbo borderline) persone che hanno manifestazioni
sintomatiche totalmente differenti.

Noi prendiamo in considerazione i disturbi di cluster B

DISTURBO BORDERLINE DI PERSONALITÀ


Caratteristiche fondamentali
– Rapporti interpersonali → tumultuosi e segnati dall’alternanza idealizzazione-svalutazione e
dalla paura dell’abbandono;
– Affetti → dominati dalla rabbia e da un sentimento di vuoto);
– Identità → instabile e deficitaria);
– Impulsività.

EVOLUZIONE DEL TERMINE


(Hoch e Polatin, 1949)
Intorno agli anni 30-40 si iniziarono a descrivere pazienti non così disturbati da essere etichettati come
schizofrenici, ma più compromessi di nevrotici (pazienti che si qualificano per trattamento analitico
classico). Una sorta di condizione intermedia, schizofrenia pseudonevrotica.

(Stern, 1938)
Questi pazienti mostravano un’apparente sanità, con buon esame di realtà, Io sufficientemente integrato
che possono tuttavia andare in pezzi in situazioni non strutturate. Inoltre c’era presenza di aggressività e
difese primitive.

(Knight, 1953)
Secondo altri autori si osserva un’alterazione del funzionamento dell’Io, incapacità di programmare
realisticamente e di difendersi da impulsi primitivi.

(Grinker, 1968)
Sono stati individuati 4 sottogruppi di borderline che si collocano in un continuum:
I. Versante psicotico;
II. Affetti negativi e difficoltà a mantenere relazioni interpersonali;
III. Perdita generalizzata di identità;
IV. Versante nevrotico

Vengono identificati tuttavia anche caratteri comuni a questi sottogruppi:


– Rabbia come affetto principale;
– Difficoltà relazioni interpersonali;
– Assenza immagine di sé coerente;
– Depressione.

Questo contributo ha permesso inoltre di distinguerli dai pazienti schizofrenici (infatti non sviluppavano
questo disturbo), caratterizzandoli invece come stabilmente instabili.

(Zanarini, 1990)
Gunderson ha poi rilevato altre caratteristiche peculiari:
Relazioni intime → si consumano nel tentativo di stabilire relazioni diadiche dove sentirsi protetti
dall’abbandono, possono esprimere questo bisogno con un’arroganza travolgente. Tuttavia quando
raggiungono questa relazione si attiva una duplice ansia: essere fagocitati e perdere l’altro.

Altri comportamenti:
– Pensiero quasi psicotico
– Automutilazioni
– Manipolatori tentativi di suicidio
– Esigere/avere diritto
– Regressioni terapeutiche
– Difficoltà controtransferali
Organizzazione BdP

Otto Kernberg (1967)


Questo autore ha cercato di caratterizzare questi pazienti da un punto di vista psicoanalitico tentando di
descrivere la loro organizzazione. Dunque parlare di organizzazione BdP non è uguale di parlare del
disturbo borderline della personalità (DBP). Per organizzazione intendiamo infatti qualcosa che può
essere trasversale a vari disturbi (narcisistico, schizoide, antisociale, paranoide ecc.)
Questi pazienti mostravano, come pattern caratteristici:
o Debolezza dell’IO;
o Difese primitive;
o Relazioni oggettuali problematiche.

Tra i sintomi invece: ansia elevata, O-C, fobie, reazioni dissociative, paure ipocondriache, spunti paranoidi,
promiscuità, abuso di sostanze.

Ha poi proposto un’analisi strutturale su 4 criteri:


1. Manifestazioni non specifiche di debolezza dell’IO:
- Mancanza di tolleranza all’angoscia;
- Mancanza di controllo degli impulsi;
- Mancanza di canali sublimatori evoluti;
2. Scivolamento verso processi di pensiero primario.
3. Operazioni difensive specifiche:
- Scissione;
- Idealizzazione;
- Identificazione reattiva;
- Diniego;
- Onnipotenza e svalutazione;
4. Relazioni d’oggetto patologiche interiorizzate.

Spiegazione dei punti


1) Manifestazioni non specifiche di debolezza dell’Io → incapacità di posticipare la scarica degli
impulsi e di modulare affetti come l’ansia, con la conseguente fatica a sublimare le pulsioni e ad
utilizzare la propria coscienza per finalizzare il comportamento.

2) Scivolamento verso processi di pensiero primario → l’assenza di una struttura e la pressione di


affetti intensi possono indurre questi individui ad una regressione di un pensiero simil-psicotico,
EdR conservato.

3) Operazioni difensive specifiche → principale operazione difensiva è la scissione (processo attivo,


che permette di separare introietti e affetti contraddittori, Kernberg). La scissione si presenta
secondo queste caratteristiche:
a) Comportamenti palesemente contraddittori che non preoccupano o vengono negati;
b) Persone o “tutte buone” o “tutte cattive” (una può oscillare tra i due);
c) Prospettive e immagini di sé contraddittorie che si alternano.
L’idealizzazione primitiva, il diniego, l’onnipotenza, la svalutazione si affiancano all’identificazione
proiettiva, in cui le rappresentazioni di sé e dell’oggetto sono scisse e proiettate negli altri, nel
tentativo di controllarli.

4) Relazione d’oggetto patologiche interiorizzate → impossibilità di considerare negli altri l’insieme


di qualità positive e negative (scissione), di integrare gli aspetti libidici e aggressivi da poter
apprezzare le esperienze interne degli altri. Questa continua oscillazione tra idealizzazione e
svalutazione può risultare disturbante per gli altri.

Viene inserito nel DSM e studiato con costanza solo negli anni ’90, quando ci si rende conto che c’è una
zona di confine tra funzionamenti nevrotico e psicotico. Parliamo, ad esempio, di individui a
funzionamento nevrotico ma che, in determinate circostanze particolarmente attivanti, slittano verso un
funzionamento psicotico.

Dsm-5
Questa diagnosi manca in generale di validità discriminante, perché un paziente può ricevere diverse
diagnosi di disturbo aggiuntive. Ecco i criteri:
A. Forte instabilità nelle relazioni, nell’immagine di sé e nell’umore e una marcata impulsività.
B. Caratteristiche pervasive, compaiono nella tarda adolescenza, prima età adulta e si manifestano
in diversi contesti, come indicato da 5 dei seguenti elementi:
1. Sforzi disperati per evitare un reale o immaginario abbandono (nonincludere
comportamenti suicidari o automutilanti considerati nel criterio 5);
2. Un pattern di relazioni instabili e intense, caratterizzato dagli estremi di iperidealizzazione
e svalutazione;
3. Alterazione dell’identità: immagine di sé o percezione di sé marcatamente e
persistentemente instabili;
4. Impulsività in almeno 2 aree che sono potenzialmente dannose per il soggetto (spendere
in maniera sconsiderata, sesso, abuso di sostanze, guida spericolata, abbuffate; non vanno
inclusi i comportamenti suicidari o automutilanti considerati nel criterio 5);
5. Ricorrenti comportamenti, minacce o gesti suicidari, o comportamento automutilante (es.
tagliarsi, ferirsi, provocarsi bruciature);
6. Instabilità affettiva dovuta a una marcata reattività dell’umore (es. episodica intensa
disforia, irritabilità o ansia, che di solito durano poche ore o, soltanto raramente, più di
pochi giorni);
7. Sentimenti cronici di vuoto;
8. Rabbia inappropriata e intensa o difficoltà a controllare la rabbia (es. frequenti eccessi
d’ira o rabbia costante, ricorrenti scontri fisici;
9. Ideazione paranoide transitoria, associata allo stress, o gravi sintomi dissociativi.

CARATTERISTICHE DEMOGRAFICHE E DECORSO DELLA MALATTIA


Epidemiologia
La prevalenza del disturbo borderline di personalità si colloca tra 1,6 e il 5,9% della popolazione generale
(DSM-5) e più comune nei soggetti di sesso femminile (75% dei soggetti diagnosticati); spesso negli uomini
tende a manifestarsi con quadro sintomatico diverso (antisociale anzichè DBP).
Costituisce il 10% degli individui seguiti dai Servizi di salute mentale e il 20% tra i pazienti ricoverati. Il
suicidio si verifica nell’8-10% dei casi.

Decorso
Gli esiti si rivelano favorevoli in molti casi (85%), seppur solo per quanto riguarda la remissione dei sintomi
acuti (non disturbo in toto!) più rilevanti (impulsività, disregolazione emotiva, comportamenti suicidari).
Spesso dunque non soddisfano criteri DBP ma continuano ad avere problemi che richiedono trattamento.

• Prima età adulta → quadro molto instabile, con crisi emotive frequenti, impulsività ed elevato
rischio di suicidio, accesso ripetuto ai Servizi di salute mentale.
• Quarta e quinta decade → le relazioni e l’assetto lavorativo tendono a diventare più stabili e anche
il rischio suicidario sembra ridursi notevolmente.

Gli aspetti di labilità umorale e di impulsività sembrano rimanere costanti sebbene possano subire
notevoli modificazioni se trattati in terapia.
In situazioni di crisi o forte stress compaiono condotte autolesive o automutilanti (tagli, graffi,
bruciature), che sembrano dare sollievo all’individuo, garantendogli tramite il dolore la certezza di
esistere. Questi atti possono associarsi ad esperienze dissociative.
L’instabilità è presente anche a livello dell’umore: i pazienti possono oscillare da stati di benessere a stati
di acuta ansia, irritabilità e tristezza, che durano da qualche ora a qualche giorno, sotto forma di
svogliatezza, stanchezza, sconforto o irrequietezza, fino a vere e proprie crisi di pianto e panico.

CHI È IL PAZIENTE BORDERLINE?


• L’intensa rabbia può oscurare la sofferenza;
• Uso massiccio di scissione e identificazione proiettiva;
• Tutti buoni/tutti cattivi;
• Costante stato di ipervigilanza (controllare l’ambiente per prevenire intenzioni altrui malevole);
• Incapace di controllare e contenere le emozioni in risposta ad eventi interpersonali;
• Automutilazione e autolesione con esperienze dissociative;

Stati affettivi dominanti nelle relazioni


Marcata impulsività, Presenza di rabbia e Sentimenti di vuoto sono stati affettivi dominanti nell’ambito
relazionale. Le relazioni sono instabili e burrascose; l’individuo oscilla tra estremi di idealizzazione e
svalutazione; nella relazione i soggetti borderline ricercano e spesso pretendono di ottenere ciò che
sentono mancante nella loro vita, vale a dire tranquillità e gratificazione. Possono instaurare vere e
proprie dipendenze affettive con il partner e possono venire totalmente destabilizzati da reali o supposti
abbandoni. Di fronte a queste situazioni possono reagire con forte rabbia.
Periodo di manifestazione
Tende a manifestarsi nella prima età adulta, anche se possiamo individuare prodromi precedentemente,
sotto forma di problematiche identitarie, uso di sostanze, comportamenti autolesivi, rabbiosi e sentimenti
di tristezza.

Disfunzioni sociali
• Non è difficile che questi soggetti boicottino sé stessi o i piani terapeutici, spesso nel momento
stesso in cui l’obbiettivo appare vicino, come ad esempio lasciare la scuola a poca distanza dal
diploma o smettere di recarsi in seduta dopo aver riconosciuto l’importanza della terapia.
• Non è facile che riescano a tenere un posto di lavoro. Questo non dipende tanto dalle mancate
capacità, quanto piuttosto dai comportamenti rabbiosi, impulsivi che mettono in atto.
• Non è inusuale che intraprendano liti per futili motivi con i colleghi, cambino molte mansioni, non si
presentino in orario.

Sentimento di catastrofe
Il paziente borderline, a livello comportamentale e relazionale, sembra caratterizzato da un tema
specifico: vivere sull’orlo della catastrofe. Nell’impossibilità di regolarsi, di trovare un equilibrio, oscilla
sempre sulla corda. Molte condotte autolesionistiche e relazioni interpersonali caotiche e tumultuose
appaiono espressione di questo gioco funambolico al quale è costretto.

CARATTERI SALIENTI
INSTABILITÀ EMOTIVA → chi soffre di disturbo borderline di personalità subisce marcati e improvvisi
cambiamenti di umore (disforia). Ad esempio ci possono essere rapide oscillazioni tra la serenità e la
tristezza, piuttosto che tra l’intensa rabbia e il senso di colpa. Oppure possono essere simultaneamente
presenti emozioni contraddittorie che creano un vissuto di disagio e confusione tanto nel soggetto che
ne fa esperienza quanto nelle persone che gli sono accanto.
Tipicamente è presente una certa vulnerabilità e disregolazione emotiva, per cui le risposte emotive ad
eventi spiacevoli sono più intense e durature rispetto alla norma, e più difficili da modulare e controllare.
Questo “caos emotivo” è spesso causato da eventi relazionali vissuti come intensamente spiacevoli, ad
esempio una critica, un rifiuto o anche una semplice disattenzione da parte degli altri.
In particolare è presente una certa difficoltà a controllare la rabbia, che può esplodere intensa e
apparentemente immotivata.

MARCATA IMPULSIVITÀ → ai picchi di emozioni negative spesso fanno seguito azioni impulsive e non
meditate come violenti litigi, abuso di sostanze, esplosioni di rabbia, abbuffate di cibo, gioco d’azzardo,
promiscuità sessuale, spese sconsiderate. A volte possono anche verificarsi degli atti autolesivi come
procurarsi dei tagli sul corpo o ingerire dosi eccessive di psicofarmaci, o dei tentativi di suicidio.

INCOERENZA DEL PENSIERO → tipicamente queste persone manifestano una difficoltà a riflettere sulle
proprie esperienze e i propri stati d’animo in modo coerente e lineare, tanto che i loro discorsi appaiono
spesso privi di un filo conduttore evidente e pieni di contraddizioni.

INSTABILITÀ DELLE RELAZIONI INTERPERSONALI → chi soffre di questo disturbo ha la tendenza ad


instaurare con gli altri relazioni intense e coinvolgenti, ma estremamente instabili e caotiche. Gli altri
significativi possono essere idealizzati in alcuni momenti e in altri ferocemente svalutati. Sovente all’inizio
di un rapporto c’è l’idea che l’altro, l’amico o il partner, sia perfetto, costantemente protettivo, disponibile
e buono. Ma può bastare un errore o una disattenzione che l’altro diventa minaccioso, ingannevole e
malevolo. A volte l’immagine “buona” e quella “cattiva” sono presenti simultaneamente generando
ulteriore caos mentale.
È presente una forte paura di essere abbandonati dalle persone ritenute importanti, anche se si tratta di
separazioni limitate nel tempo, e a questo si associa una rabbia inappropriata.
In situazioni di stress possono anche presentarsi degli episodi di ideazione paranoide in cui queste
persone pensano che gli altri abbiano intenzioni malevole e ostili verso di loro.

ALTERAZIONI DELL’IDENTITÀ → possono esserci variazioni improvvise e drammatiche dell’immagine di


sé, caratterizzate da cambiamenti di obiettivi, valori e aspirazioni. Di solito è presente un’immagine di sé
che si basa sull’essere cattivi e dannosi, sbagliati e fragili.
In situazioni di forte stress possono a volte presentarsi delle crisi dissociative durante le quali si smarrisce
transitoriamente il senso di sé e la capacità di critica. In questi casi l’emozione dominante è la paura, a cui
spesso si associa una sensazione di assoluta solitudine e di totale abbandono da parte degli altri.

STATO DI VUOTO → possono a volte verificarsi degli stati di vuoto caratterizzati da una penosa mancanza
di scopi. In questi stati è frequente la tendenza ad agire in modo impulsivo con abbuffate di cibo, abuso
di sostanze stupefacenti e atti autolesivi fino al tentativo di suicidio.

COMORBILITÀ
➢ Disturbi bipolari;
➢ Disturbo depressivo maggiore;
➢ Altri disturbi di personalità, in particolare quelli del cluster B con cui condivide alcune
caratteristiche preminenti;
➢ Disturbi correlati a sostanze;
➢ Disturbi di comportamento alimentare (spesso bulimia nervosa, ma anche l’anoressia);
➢ Disturbi d’ansia;
➢ PTSD;
➢ Disturbo da deficit dell’attenzione/iperattività.

COMPRENSIONE PSICODINAMICA ED EZIOLOGIA MULTIFATTORIALE

1) FATTORI FAMILIARI
- Figura materna (trascuratezza vs ipercoinvolgimento)
I primi studi si sono focalizzati sul ruolo della madre nella genesi del disturbo ipotizzando inizialmente un
suo ipercoinvolgimento con conseguente problema nel gestire ansie da separazione e da abbandono.
Altri hanno messo più enfasi sul modello deficit-insufficienza, per cui sarebbe una maternità incoerente
e inaffidabile a generare quel sentimento di sfiducia nel borderline.
In generale la prima ipotesi è stata ampiamente disconosciuta perché:
a) In genere i borderline descrivono come distaccato-conflittuale il rapporto con la madre;
b) La mancanza della figura paterna sembra essere un aspetto maggiormente discriminante;
c) Relazioni problematiche con entrambi i genitori sono le più frequenti.
Dunque sarebbe la trascuratezza rappresentare un modello teorico più verosimile.

- Ambiente familiare caotico/inconsistente

- Perdite, separazioni precoci e abusi (sessuali 60%)


C’è un ampio accordo nell’idea che l’abuso infantile sia uno dei fattori più rilevanti nell’eziologia. Tuttavia
va specificato che non è un fattore né necessario né sufficiente per lo sviluppo del disturbo.
Collaborative Longitudinal Personality Disorder Study:
1) Un’alta percentuale di pazienti riferiva di abusi o trascuratezza;
2) La diagnosi di personalità maggiormente associata ai maltrattamenti era il DBP;
3) Anche DOC e antisociale.

- Attaccamento insicuro
Agli attaccamenti insicuri è spesso collegata una scarsa capacità di mentalizzazione. Questi trovano
difficoltà ad assumere che le prospettive proprie e altrui sono solo prospettive possibili della realtà.
Devono inoltre fare una fatica maggiore a interpretare i significati delle emozioni altrui.

2) FATTORI PERSONALI
- Basse capacità di mentalizzazione
L’incapacità di risolvere i traumi è legata al rifiuto di comprendere gli stati mentali del caregiver, di
conseguenza l’esperienza negativa non veniva risolta. Un’ipotesi avanzata è che questi pazienti siano
rimasti alla fase dell’equivalenza psichica per cui non c’è distinzione tra le cose per come vengono
percepite e come realmente sono (manca la modalità immaginativa).

- Incapacità di risolvere i traumi precoci


Ad attaccamenti preoccupati o disorganizzati si collega un’incapacità di risolvere traumi precoci, la loro
strategia è quella di evitare una riflessione su di essi.

- Temperamento costituzionalmente vulnerabile


Questo viene considerato un substrato neurobiologico rilevante per l’impatto di eventuali traumi. Questo
tandem provoca un’identità instabile e una disregolazione cognitiva ed affettiva che impedisce al soggetto
di integrare varie prospettive in un solo oggetto che viene quindi considerato in maniera estremamente
dicotomica.

- Sé alieno
Un caregiver spaventato/spaventante viene interiorizzato nella struttura del Sé come rappresentazione
aliena. Crescendo il bambino esteriorizza questa rappresentazione proiettando sugli altri questa
rappresentazione del caregiver abusante.

RICERCHE NEUROBIOLOGICHE → Eziologia multifattoriale


Ipervigilanza
Questa deriva da una necessità costante di controllare l’ambiente per paura che qualcuno possa avere
intenzioni malevole (altri-persecutori). In generale, si ritiene che un’esposizione costante agli abusi sia
associata a una eccessiva secrezione di ACTH, correlata a una tendenza all’iperreattività.

Amigdala
In questi pazienti è osservabile un’eccessiva attivazione in relazione a stimoli emotivi. A questo può essere
associato il fatto che questi pazienti sono soliti a sovrainterpretare caratteri espressivi come possono
essere quelli dei volti. Si è dunque ipotizzato che i borderline abbiano sviluppato, in un funzione adattiva-
protettiva, una capacità maggiore capacità percettiva (una sorta di ipersensibilità) dei particolari emotivi
altrui ma commettano errori importanti in fase di interpretazione, infatti possono attribuire stati
emozionali negativi a espressioni tendenzialmente neutre, per questo reagiscono in modi esagerati a
segni emozionali minimi.

Riduzioni volumetriche
Il volume ridotto potrebbe essere riconducibile alle zone frontali e orbitofrontali con conseguente
indebolimento dei circuiti di controllo inibitori. Per cui la forte reazione emotiva dell’amigdala non è
controbilanciata dalla funzione inibitoria della corteccia.
Una riduzione dell’ippocampo è invece associata a una difficoltà a confrontare realisticamente esperienze
presenti con quelle passate.
Questa incapacità inibitoria potrebbe essere associata anche alle emozioni negative generate da situazioni
di separazione/abbandono.

Scissione
Un’altra anomalia è riscontrata nella diversa intensità di attivazione degli emisferi a seconda che si
richiamassero ricordi neutri o negativi. Questa assenza di integrazione potrebbe essere alla base della
scissione come meccanismo di difesa.

Mentalizzazione e fiducia
La tendenza a non fidarsi degli altri da parte del borderline può essere collegata a un difetto nella loro
teoria della mente (problemi all’insula) che non gli permette di rappresentarsi desideri e intenzioni altrui.

Deficit di oppioidi endogeni


Un deficit di queste sostanze, che contribuiscono a regolare gli effetti di emozioni negative, può essere
associato alle tendenze automutilanti che stimolano il loro rilascio.

Temperamento innato → spesso ipersensibile

Deficit neurocognitivi
Un numero significativo di pazienti mostra sintomi di sofferenza neurologica (ADHD, problemi di
apprendimento, scarso controllo degli impulsi e DC)

3 FATTORI PRINCIPALI
1) AMBIENTE FAMILIARE
2) TEMPERAMENTO
3) EVENTI TRAUMATICI SCATENANTI

NUCLEO DPB
• Clarking et al. (nel 1993), tre fattori come nucleo:

➢ L’ambito del Sé caratterizzato da vissuti emozionali di vuoto o noia, problemi di identità, paura di
abbandono, relazioni instabili;

➢ L’ambito dell'affettività caratterizzato da instabilità affettiva, rabbia, tendenza al suicidio;

➢ L’ambito dell’impulsività caratterizzato da una forte spinta all’azione, alla scarica motoria, anche
come modo per ridurre la tensione emozionale.

Sanislow et al. (2000/2002)


Disregolazione relazionale → disturbo dell’identità, senso di vuoto, instabilità di relazioni;
Disregolazione affettiva → instabilità affettiva, rabbia, paura dell’abbandono;
Disregolazione comportamentale → impulsività, comportamenti auto aggressivi.
Tra tutti i criteri diagnostici, l'instabilità emotiva è il criterio che consente di differenziare con maggiore
precisione soggetti borderline da soggetti non-borderline.

Bisogna ricordare che i sintomi di questi soggetti si riversano anche nella relazione col terapeuta (difficoltà
controtransferali).

DISTURBO NARCISISTICO DI PERSONALITÀ


Nella pratica clinica è molto difficile cogliere la differenza tra un sano livello di narcisismo e uno
patologico. In effetti, tutti noi possediamo una quota di narcisismo che risulta, fino a un certo livello,
essenziale per la salute psichica.
Un’altra difficoltà sta nel fatto che gli stessi comportamenti possono rappresentare dei segnali patologici
in un individuo ed essere semplicemente indici di autostima in un altro.

Cultura narcisistica
A queste problematiche si somma il fatto che quella dei media è una cultura narcisistica, fondata
sull’apparire, dunque non appare chiarissimo fino a quanto un certo narcisismo rappresenti una sorta di
adattamento culturale all’ambiente e quando invece diventi eccessivo.

Come individuarlo?
La storia lavorativo di un individuo può rappresentare un ostacolo per l’individuazione del disturbo poiché
non è raro che questi soggetti risultino avere un gran successo in quest’ambito, anche se non è da
escludere che questi obiettivi vengano ricercati per motivi problematici, non come felici conseguenze di
una competenza acquisita, ma come unici bersagli.
Al contrario, è nelle relazioni sentimentali che è più facile individuare la disfunzionalità. Questi soggetti
risultano quasi incapaci di amare: l’altro non viene concepito come una persona detentrice di un’esistenza
separata ed esigenze specifiche, ma è semplicemente un oggetto da usare e abbandonare all’occorrenza
(quando inizia ad esprimere i suoi bisogni).

Epidemiologia
• 0-6.2% (APA, 2013) → difficile stima reale, molti non arrivano dal clinico
• 50-75% M

Comorbilità
• Disturbi depressivi
• Umore ipomaniacale
• Ansia in particolari periodi di stress (arrivano dal clinico)
• Anoressia nervosa
• Abuso di sostanze
• Gruppo B
• Disturbo paranoide

FENOMENOLOGIA DEL DISTURBO


Questa definizione si applica a pazienti con diversi quadri clinici.

Classificazione DSM-5
Pattern pervasivo di grandiosità (nella fantasia o nel comportamento), necessità di ammirazione e
mancanza di empatia, che ha inizio entro la prima età adulta ed è presente in più contesti, come indicato
da 5 (o più) dei seguenti elementi:
1. Senso grandioso di importanza (es. esagera talenti e risultati, si aspetta di essere
considerato superiore senza un’adeguata motivazione);
2. È assorbito da fantasie di successo, potere, fascino, bellezza illimitati, o di amore ideale;
3. Crede di essere speciale e unico e di poter essere capito o dover frequentare solo persone
speciali o di classe elevata;
4. Richiede eccessiva ammirazione;
5. Si aspetta irragionevolmente favori o trattamenti speciali o soddisfazione immediata delle
proprie aspettative;
6. Sfrutta i rapporti interpersonali (si approfitta degli altri per i propri scopi);
7. Manca di empatia (non sa riconoscere o identificarsi con sentimenti e necessità di altri);
8. Spesso invidioso o crede che gli altri lo invidino;
9. Atteggiamenti o comportamenti arroganti, presuntuosi.

Questo pattern descrive in particolare il narcisista grandioso (arrogante, presuntuoso e bisognoso di


ammirazione) ma non caratterizza però il narcisista schivo (evita i riflettori proprio perché estremamente
sensibile ad essi).

2 pattern in un continuum
La letteratura psicoanalitica ci presenta invece il disturbo in un continuum tra 2 estremi di stile di
interazione prevalente:
1. Individuo invidioso e avido che richiede attenzione e consenso dagli altri che classifichiamo come
narcisista inconsapevole (meglio descritto da Kernberg);
2. Individuo vulnerabile e tendente alla frammentazione del sé che classifichiamo come narcisista
ipervigile (meglio descritto da Kohut).

Inconsapevole
• Inconsapevoli del loro impatto sugli altri;
• Parlano sempre come se si stessero rivolgendo ad un «grande pubblico», senza stabilire un contatto
visivo;
• Hanno bisogno di stare al centro dell’attenzione, per questo fanno molti riferimenti ai loro successi;
• Insensibili ai bisogni altrui;
• Spesso noiosi senza accorgersene;
• Non lasciano spazio agli altri nell’interazione.

Ipervigile
• Molto sensibili a come gli altri reagiscono;
• Timidi e inibiti;
• Evitano di mettersi in luce per paura di essere rifiutati/umiliati (profondo senso di vergogna dovuta
al desiderio di esibirsi in modo grandioso);
• Direzione rivolta verso gli altri;
• Ascoltano attentamente gli altri (tratti paranoidi), si sentono spesso offesi;
• Frequente autovalutazione attraverso cui mette in luce la propria imperfezione;
• Frequente sentimento di umiliazione quando messi davanti ai propri limiti;
• Fortemente preoccupati dalla propria immagine che cercano di preservare attraverso la protezione.

Entrambe le tipologie lottano per mantenere la propria stima di sé solo che il primo lo fa esibendosi e, se
criticato, elude tali risposte, il secondo, proprio per paura delle risposte negative che proietta
anticipatamente sugli altri, evita di esibirsi.
Analisi di Wink
Identificando due fattori ortogonali (vulnerabilità-sensibilità e grandiosità-esibizionismo) ha confermato
sperimentalmente l’esistenza di questi due pattern definendoli come narcisismi manifesto e celato.
In questi studi risultava centrale l’affetto della vergogna che distingueva il celato dal manifesto.

Felicità
Non è raro che il narcisista inconsapevole si dichiari effettivamente felice, ma non è da escludere che
questo sentimento sia riconducibile a una sorta di autoinganno attraverso il quale rappresenta se stesso
come superiore a tutti gli altri, consolidando in questo modo il suo senso di adattamento. Al contrario i
narcisisti mascherati si professano profondamente infelici in quanto schiacciati dal loro senso di
inferiorità.

Narcisista ad alto funzionamento/esibizionistico (Russ et al., 2008)


Rappresenta un possibile terzo sottotipo narcisistico, come una sorta di miscela tra quelli che vengono
definiti fragile e grandioso/maligno. Condivide con le altre 2 categorie:
– Vulnerabilità interpersonale;
– Difficoltà regolazione affettiva;
– Competitività;
– Disagio emozionale.
COMPRENSIONE PSICODINAMICA
Le principali controversie sono sorte attorno ai modelli di Kernberg e Kohut. In particolare alcuni hanno
rilevato la principali divergenza nel modo di intendere la rappresentazione dell’oggetto.

Kohut Kernberg

Confronto
Kernberg considerava quella narcisistica come una delle personalità che operano come organizzazione
borderline. Ciò che li differenzia è che i narcisisti fonderebbero sul proprio Sé grandioso, seppur
patologico, le proprie rappresentazioni di sé, che dunque non appaiono così alterne come quelle dei
borderline rispetto ai quali hanno un funzionamento più regolare e uniforme (ciò non toglie che alcuni
narcisisti funzionino ad un livello francamente borderline).

Genere
Da successivi studi emersi sulla caratterizzazione di genere sul disturbo narcisistico è emerso che esistono
modalità di esserne affetti sia maschili che femminili che riflettono gli stereotipi di genere.

Conclusioni sulla “disputa tra modelli”


Possiamo concludere che entrambi i modelli ci aiutino a distinguere casi clinici particolari in maniera
funzionale. Tuttavia, è molto probabile che la prospettiva di Kohut sia un aspetto particolare della più
generale teoria di Kernberg.
ALTRE PROSPETTIVE TEORICHE
Rosenfeld (1964) e Steiner (2006) da Klein:
La funzione di una relazione narcisistica è il mantenimento dell’esperienza illusoria che impedisce la
separazione tra soggetto e oggetto.
Questi soggetti negano la loro dipendenza e si comportano come se fossero autosufficienti. Quando
l’oggetto è fonte di frustrazione provano ansia e delusione intensa per la loro incapacità di mantenere
controllo su di esso. L’umiliazione è intollerabile, ci si nasconde alla vista degli altri assumendo un
atteggiamento di superiorità.

Modello strutturale di Rothstein → Il disturbo narcisistico è il frutto dell’integrazione di un “vissuto di


perfezione”, aspetto universale della psiche umana, con un Io patologico.

Metafora del bozzolo di Modell → il narcisista nasconde con un bozzolo di illusioni di grandiosità, avviate
forse da una madre eccessivamente lodante, la paura di relazionarsi.

Attaccamento
Il narcisista soffre di un deficit di mentalizzazione, non riesce a entrare in sintonia e comprendere le altre
persone e l’impatto che ha sugli altri:
• Inconsapevole → esperienze traumatiche di vergogna e umiliazione conducono a una perdita di
curiosità nei confronti delle risposte interne delle altre persone per evitare possibili sentimenti di
vergogna;
• Ipervigile → cerca di controllare queste esperienze anticipandole. Le sue lacune nella mentalizzazione
lo portano a ulteriori esperienze di umiliazione (gli altri si sentono compresi e attaccati quando i loro
comportamenti non vengono interpretati correttamente);

Eziopatogenesi
Ruolo negativo dei genitori:
– incapaci di empatia → psicologia del sé;
– freddi e severi → Kernberg;
– eccessivamente indulgenti → cultura popolare.

Non è comunque accertato il ruolo patogenico di uno specifico stile genitoriale.

Ruolo di fattori genetici:


– evidenze di componente genetica (< volume GM àdeficit empatia)
– reazione dei genitori a tali fattori

DISTURBO NARCISITICO DI PERSONALITÀ NEL CICLO DI VITA

Pazienti narcisisti giovani → insoddisfazione sentimentale: si infatuano, ma la relazione ha breve durata


poiché l’entusiasmo iniziale si spegne subito, e lascia il posto alla svalutazione e alla noia.
Successivamente cercano nuove relazioni, tutto ciò si rivela spesso faticoso.
Molti si sistemano intorno ai 30-40 anni.

Nei matrimoni ci sono specifici pattern di difficoltà coniugali. Inizialmente i coniugi possono intraprendere
una terapia di coppia per problemi sessuali, depressione o comportamenti impulsivi. Spesso c’è la paura
di essere umiliati dal partner (paura della frammentazione del Sé) → es. un marito narcisista può accusare
la moglie di volerlo umiliare, invece di ammettere di avere problemi dovuti al fatto di essere
eccessivamente vulnerabile e bisognoso di attenzioni. Alla fine il marito può arrivare a uno stato di rabbia
cronica in cui si sviluppa un risentimento e un’amarezza insanabili nei confronti della moglie, che non può
fare nulla per rimediare.

Di solito i narcisisti patologici hanno paura di invecchiare, per questo non lo fanno bene. Per provare di
avere ancora vigore possono dedicarsi a relazioni extraconiugali con ragazze più giovani, o intraprendere
sforzi fisici non adatti all’età. Sono comuni anche le conversioni religiose, attraverso le quali il narcisista
evita la depressione tramite una figura maniacale all’ombra di un oggetto idealizzato (Dio).

Molto del piacere provato dai narcisisti di mezza età deriva da soddisfazioni legate a successi di persone
più giovani, come i figli. I pazienti però non possono godere a lungo di questa fonte di piacere a causa
della loro invidia.

Eventi positivi
Alcuni pazienti narcisisti possono rispondere bene a certi eventi della vita, migliorando:
1. Successi correttivi → conquista di una migliore accettazione di un concetto di sé + realistico;
diminuzione delle fantasie grandiose;
2. Relazione correttiva;
3. Disillusione correttiva → conquista di un’autovalutazione + realistica.

Fai Kohut nel II cap. del Gabbard

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