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1.

Il disagio nei ragazzi

Lo sviluppo psichico di un individuo è un processo critico e pieno di cambiamenti. Il disagio può avere
fonti interne e naturali o esterne e ambientali, e si manifesta nei contesti sociali. Pur essendo
un’emergenza, è anche una condizione strutturale del nostro tempo. La formazione dell’identità non
avviene in maniera semplice.

1.1 Definizione di disagio

Non esiste un parere univoco, in quanto è un fenomeno vasto e comprensivo che riguarda da vicino le
esperienze del singolo soggetto, ma una definizione sommaria lo riporta come la condizione di chi vive
ai margini, escluso da sé e dagli altri, non necessariamente legato a carenza di valori. È una condizione
di malessere tipicamente umana, transitoria o permanente, che ha una funzione difensiva finalizzata
all’adattamento nell’ambiente. Può presentarsi durante ogni fase della vita. Se ne fa esperienza nella
relazione e si declina in vari modi:
- sociale;
- famigliare;
- esistenziale;
- psicologico;
- psicofisico;
- psicofisiologico;
- evolutivo;
- adolescenziale;
- morale;
- spirituale;
- relazionale.
Uno di questi, il disagio evolutivo, è un fenomeno comune e possiede una certa superficialità. Diventa
problematico qualora duraturo. È necessaria una corretta interpretazione per verificare se le difficoltà
siano passeggere o radicate.

Amenta: disagio come esito del fallimento scaturito dalla presa in atto dell’insufficienza dei propri
mezzi per trarre adattamento per integrazione (equilibrio tra mantenere sé stessi e rispondere
all’ambiente) da una data situazione.

Negressini, Ranci: manifestazioni di assoluzione dei compiti evolutivi richiesti dal contesto sociale per
conseguire identità e abilità necessarie a relazioni soddisfacenti.

Froggio: non è una condizione patologica, riguarda la crescita e tutto il mondo giovanile. È
manifestazione di difficoltà durante la crescita e connesso alla costruzione dell’identità. Molti aspetti
fenomenologici e causali sono comuni a forme di devianza giovanile, ma può anche essere costruttivo.

Rigogliosi: individua diversi livelli di disagio a seconda della gravità:


- disagio evolutivo endogeno: crisi di transizione;
- disagio socio-culturale esogeno: condizionamenti sociali;
- disagio cronicizzante: interazione dei fattori di rischio con il disagio.

Livelli di rivelazione del disagio:


- intrapsichico: disagio con sé stessi;
- interpersonale: con gli altri;
- sociale: svantaggio ed emarginazione;
- sintomatico;
- asintomatico;
- oggettivo: basato su condizioni antecedenti;
- soggettivo: basato su vissuti psico-esistenziali;
- procurato: risposte cognitive incongruenti.

Strutturazione del disagio:


- vulnerabilità individuale: legata a fattori endogeni quali disturbi psicologici o disfunzioni congenite
comparse durante l’infanzia;
- carenze o disfunzioni;
- difficoltà di livello socio-culturale: carenza di relazioni di supporto;
- situazioni stressanti relative alla storia personale del soggetto.
Ognuno di questi fattori, se duraturi, può esporre il soggetto a disagi futuri.
Quando il disagio è espresso da comportamenti a rischio, si parla di disadattamento, che si manifesta
tramite l’azione.

Segnali del disagio patologico:


- assenza di conflitto con l’autorità famigliare e scolastica, timore e eccessivo interesse per l’attività
scolastica;
- mancanza di autoerotismo;
- mancanza di emotività di fronte a situazioni gravi;
- timori sproporzionati sull’attività puberale;
- onnipotenza;
- assenza di amici coetanei;
- rapporto insano col cibo;
- droghe e alcol come rimedio alle crisi;
- menzogne frequenti;
- fughe;
- autolesionismo e tendenze suicide;
- bullismo e aggressività.

1.2 Disagio nella relazione coi docenti

Molti insegnanti non posseggono strumenti adatti a confrontare i disagi interni alla classe. Il
sentimento di impotenza potrebbe aggravare il loro stesso disagio. Un insegnante simile possiede
atteggiamenti intolleranti e inopportuni e tende alla condanna piuttosto che all’aiuto. Tutto ciò è
interiorizzato dallo studente. Le difficoltà personali possono sorgere da competenze relazionali e
strategiche insufficienti, o da condizioni personali sfavorevoli.

Benessere soggettivo: valutazione cognitiva e affettiva della propria vita. È influenzata da determinate
disposizioni personali, quali affettività, autostima e autoefficacia.

1.3 Disagio evolutivo

Catalizzatore di processi evolutivi e adattamento che sorge durante gli anni giovanili.

Salvini: può tanto accelerare l’adattamento quanto cristallizzare le difficoltà, con la relativa assunzione
di atteggiamenti che arginano la sofferenza.

Fattori che destabilizzano le strutture adolescenziali:


- mancanza di modelli di rispecchiamento;
- mancanza di scaffholding educativi;
- il gruppo e i suoi meccanismi selettivi;
- mancata esperienza di crisi adolescenziale.

1.4 Disagio secondo Bronfenbrenner

L’ambiente è un fattore fondamentale durante lo sviluppo, e la difficoltà a interagire con esso,


insieme alla distanza che si forma tra sé attuale e ideale, forma il disagio. Bisogna considerare anche
le esperienze interne, quali l’interpretazione del soggetto degli elementi ambientali. 3 aspetti
influenzano la crescita:
- attività molare: comportamento in atto percepito come dotato di significato o intenzione da parte di
quanti partecipano nell’ambiente;
- relazioni interpersonali;
- ruolo: insieme di attività e relazioni che ci si aspetta da una persona in base al suo posto nella
società.
Bronfenbrenner considera diverse sfere dell’attività umana:
- microsistema: relazioni interpersonali;
- mesosistema: insieme di microsistemi, più situazioni ambientali con partecipazione attiva;
- esosistema: partecipazione non attiva ma che determinano l’attività dell’individuo, o che da essa è
determinato;
- macrosistema: sovrastruttura sociale.

Blos: la struttura psichica nasce dall’interazione con l’ambiente. Riflette le inferenze ambientali
selezionate, integrate e strutturate in un modello duraturo, la personalità. Quando l’ambiente cade
sotto una determinata soglia di complementarietà, diventa nocivo e danneggia i soggetti al suo
interno.

1.5 Rischio

La ritualità dei passaggi dal bambino all’adulto ha perso forza nell’età moderna. Parla l’azione, intesa
come richiamo dell’attenzione del mondo circostante.

Freud: gli agiti nascono quando i vissuti del sé infantile vengono rimessi in azione (mancano
simbolizzazione ed elaborazione), dando vita a forme di comunicazione che prediligono l’atto rispetto
al pensiero. Il ricorso ad essi espone al rischio, il cui uso sostituisce i riti di passaggio e diventa il
fondamento dell’identità e dell’affermazione.

1.6 Adolescenti e comportamenti a rischio

L’adolescenza è la fase di passaggio tra il bambino e l’adulto, è caratterizzata da mutamenti e


ambivalenze rispetto alla voglia di appartenere e individuarsi. Durante questa fase, è comune che si
manifestano dei comportamenti a rischio, che mettono in pericolo, sia a breve che a lungo termine,
diversi aspetti dell’individuo.

Lanfer: vanno seguiti con attenzione e bisogna evitare che si radicalizzino.

1.7 Trasgressione

Consiste nel sorpassare limiti consentiti. Capirne il significato aiuta a dare risposte adeguate,
prevenendone l’evoluzione in delinquenza. È indispensabile per la crescita individuale.

1.8 Confine delle 4 D: disagio, devianza, disadattamento, disturbo

Regolosi:
- disagio: condizione legata alla percezione di malessere;
- disadattamento: relazione disturbata con uno specifico ambiente;
- devianza: infrazione di una norma risultante in uno stigma sociale. Dipende dal contesto e dalla
risposta della società più che dall’atto in sé. Non è necessariamente criminale o patologico.

Nello specifico, la devianza riguarda la trasgressione verso norme appartenenti a uno specifico
contesto di gravità tale da conseguire in sanzioni. Tali azioni sono spesso socializzate nel gruppo, e
possono costituire comportamenti a rischio. Riassumono il conflitto adolescenziale di affermazione
del sé nonché della richiesta di aiuto e controllo. Manifestano il desiderio di affrontare i cambiamenti
della propria età minimizzando ansie e frustrazione in favore della gratificazione.

Bonadiman individua aspetti che accomunano le esperienze adolescenziali a rischio:


- frattura con la realtà e tendenza abituale;
- inquietudine;
- riproposizione stabile o episodica di reazioni critiche;
- insufficiente capacità di analisi degli episodi;
- riduzione rilevante dell’efficienza della personalità;
- disturbo nell’analisi della realtà;
- ritorno confuso dell’identità;
- situazioni di rischio ulteriore con conseguenze fisiche o giudiziarie.

La devianza può dar seguito a emarginazione e disadattamento.

1.9 Svantaggi e marginalità

Svantaggi: condizioni e fattori contestuali che sfavoriscono il soggetto rispetto al coetaneo. Possono
essere economici (povertà relativa o assoluta), linguistici o socioculturali.

Marginalità: condizione di esclusione da parte della società.

1.10 Disadattamento ed emarginazione

Disadattamento: impossibilità di una relazione armoniosa con l’ambiente. Le condotte assumono


significati specifici in base all’ambiente. Può essere causato da problematiche di natura organica,
intellettiva, vari tipi di svantaggio e riverberi emotivi di situazioni personali.

Emarginazione: mancata integrazione del soggetto in un contesto sociale, che viene di conseguenza
escluso dalle normali interazioni sociali. È una conseguenza diretta del disadattamento.

Lienhard individua i fattori che determinano l’adattamento scolastico:


- clima classe: ambiente e percezione d’appartenenza;
- profilo cognitivo, motivazionale e personale del soggetto;
- dinamiche di natura famigliare.

Smorti: correla il rifiuto del gruppo a personalità sia aggressive, sia apatiche, sia evitanti.

1.11 Difficoltà, disturbo, deficit

Difficoltà: dovuta al concorso di molteplici fattori, spesso di natura ambientale, ma superabile da


strategie di potenziamento fondati sulla singola situazione.

Disturbo: diverso funzionamento cognitivo e apprenditivo, include i DSA (disturbi specifici


dell’apprendimento).

Deficit: mancanza oggettiva di carattere motorio, psichico o sensoriale. Incurabile e invariabile.

DPS: disturbo pervasivo dello sviluppo. Includono sindromi che alterano le capacità comunicative e
che possono restringere interazioni sociali e interessi.

Criterio di discrepanza: sancisce la differenza tra difficoltà e disturbo.


2. Disagio personale e istituzionale

2.1 Disagio scolastico

Condizione di difficoltà del macrosistema scolastico di cui il ragazzo è parte. Riguarda il contesto
classe.

Formella individua alcune manifestazioni:


- difficoltà nell’apprendimento;
- difficoltà socio-relazionale-emotiva;
- apatia e noia verso la scuola;
- condotte a rischio;
- difficoltà con genitori, insegnanti e compagni.

Possibili effetti del disagio scolastico:


- disagio evolutivo;
- disagio dell’insegnante e della famiglia;
- scarso rendimento;
- dispersione: esclusione dalla ricezione degli strumenti culturali;
- dispersione della produttività: difficoltà a concentrarsi;
- dispersione dell’efficacia degli interventi didattici: difficoltà a raggiungere gli obiettivi educativi.

Pelanda: la scuola è un oggetto significativo per il ragazzo, in quanto causa l’assunzione di


responsabilità, di impegno e del significato simbolico del lavoro.

Petrucelli: si manifesta tramite comportamenti disfunzionali che impediscono di vivere


adeguatamente il contesto classe e di apprendere con successo.

Può assumere diverse forme:


- comportamenti di disturbo in classe;
- irrequietezza;
- iperattività;
- difficoltà di apprendimento, di attenzione e a stare in gruppo;
- bassa motivazione e rendimento;
- abbandono scolastico;
- assenteismo;
- violenza e bullismo;
- malessere e burnout dei docenti;
- descolarizzazione;
- inciviltà.

Le variabili possono essere personali (autostima, autoefficacia, competenze cognitive) o relazionali


(ambiente, contesto, rapporto dell’insegnante con famiglia e alunno).

2.2 Fattori determinanti il disagio scolastico

Famigliari:
- svantaggio socioculturale: basso livello di istruzione, condizioni socio-economiche, scarsi stimoli;
- attori educativi inadeguati;
- carenze relazionali o affettive.
Scolastici:
- struttura e organizzazione;
- metodologie;
- relazioni scolastiche.
Contesto:
- ambientale;
- culturale.
Disturbo dell’apprendimento: alterazione di uno o più domini specifici. Figurano ad esempio dislessia
(lettura) e discalculia (calcolo).
Disturbo del comportamento: modificazioni comportamentali radicate e risposte fisse a situazioni di
pressione psicologica e stimoli ambientali.
Disturbo della personalità: modifiche comportamentali radicate come risposte a varie situazioni.
Implicano cognitività, affettività, controllo degli impulsi, soddisfazione dei bisogni e modalità di
relazionarsi con gli altri.

Disagi principali che determinano il disagio scolastico:


- evolutivo: riguarda l’educando;
- personale: relazione educando-insegnante;
- valoriale: etico e religioso;
- sociale: politico e economico;
- istituzionale: relazione autorità-studente;
- virtuale: mass media e cyber relazioni.

2.3 Stili educativi che favoriscono il disagio

La personalità e lo stile educativo dell’insegnante può favorire o meno l’insorgere del disagio nella
relazione con gli alunni.
Stile disfunzionale: autoritario o permissivo. La differenza consiste in un’attribuzione totale della
responsabilità nel docente (autoritario) o negli alunni (permissivo). Individua una certa
schematizzazione di ruoli e una valenza fissa allo sviluppo evolutivo degli alunni. Entrambe queste
affermazioni sono in realtà false.
Stile attributivo: spiega successi e fallimenti, dandone un senso e influenzando lo sviluppo vocazionale
dell’alunno. La responsabilità di successi e insuccessi è stabilità dal locus of control, e può essere
esterna, quindi incontrollabile, o interna, controllabile.
Stile egocentrico: ricerca la gratificazione personale più che il bene dello studente.
Stile democratico o costruttivista: l’insegnante calibra la propria azione in base alle esigenze formative
della classe. Propone un modello critico e costruttivo per la gestione dei conflitti.

2.4 Possibili cause del disagio scolastico nell’allievo

Rapporto con gli insegnanti: questi potrebbero trascurare i propri compiti educativi o star facendo
esperienza loro stessi di un disagio. Benetton individua altre cause:
- scarsa conoscenza delle dinamiche in classe;
- frustrazione professionale;
- eccessiva responsabilità;
- scarsa comunicazione tra colleghi o con i genitori;
- rapporti difficili con la famiglia;
- difficoltà di gestione della classe;
- problemi di valutazione e discriminazione;
- carenza di aggiornamenti mirati;
- soluzione dei problemi mediante la tecnologia (??).
Rapporto con i compagni: il ragazzo dipende dal gruppo e manifesta forti bisogni di accettazione,
ricorrendo anche ad annullare parti di sé pur di entrarne a far parte.
Difficoltà nell’apprendimento: durante l’adolescenza, possono presentarsi periodi di flessione
dell’apprendimento e relazionali.

2.5 Disagio del docente

Disagio educativo: problema degli insegnanti a proporre obiettivi formativi di fronte al problema
dell’alunno.

Quando più modalità di disagio si sovrappongono, aggravano l’incomunicabilità e complicano l’azione


educativa.
Bombardieri attribuisce poca fiducia da parte dei genitori, che temono la sostituzione. Sorgono
difficoltà comunicative, che impossibilitano la comunicazione e vedono l’altra entità (la famiglia o la
scuola) come parte del problema piuttosto che parte della soluzione.

Stili relazionali o educativi disfunzionali predispongono il docente a difficoltà e disagi che, se non
risolti, risultano nell’esaurimento delle risorse psichiche, il burnout.

Il burnout può essere causato da:


- fonti di tensione psichica;
- rapporti con le istituzioni;
- carico di lavoro;
- aumento degli alunni diversamente abili;
- difficoltà di apprendimento e di comportamento;
- pressioni della società;
- aspettative ambigue.
Consiste in un esaurimento emozionale, nella spersonalizzazione e nella conseguente riduzione della
capacità professionale.

Conflitto: forze di egual valore che procedono in direzioni opposte e le cui interazioni stressano il
soggetto.

Stress: risposta di adattamento dell’organismo. Possiede delle fasi degenerative:


- fase d’allarme: il soggetto subisce l’azione degli stressori e reagisce con meccanismi difensivi;
- fase di resistenza: il corpo si adatta allo stress e risponde utilizzando energie;
- fase di esaurimento: i margini di adattamento sono superati dalla forza stressoria, l’organismo
collassa.
Se cronicizzato, diventa impossibile rilassarsi, aumenta l’ipocondria e scompare il benessere.

Empowerment gruppali: strumento di prevenzione del burnout a supporto del docente singolo.
Possiede 5 fasi:
- ricerca, ascolto e raccolta di esigenze formative specifiche;
- laboratori formativi sul potenziamento relazionale;
- riunioni d’equipe periodiche;
- controllo per ciascun gruppo di insegnanti e supervisione di progetti di prevenzione del disagio e
promozione del benessere scolastico;
- posta elettronica e ascolto telematico.

Il dirigente deve apprezzare e motivare il lavoro svolto. È necessario anche un dialogo scuola-famiglia
e la presenza di un counseling psicologico. La collaborazione scuola-famiglia è una nuova sfida
educativa finalizzata all’alfabetizzazione emotiva e all’inclusione dell’interiorità.
3. Disagio del ragazzo: intervento educativo

3.1 Concetti di base

Si sono susseguite numerose terminologie per descrivere gli aventi deficit, spesso in maniera
derogatoria. La questione alla base non è tanto lessicale ma valoriale, in quanto il termine riflette la
considerazione della persona descritta.

3.1.1 Diversità, limite e problematicità

La diversità distingue le persone, ed è una meccanica costruttiva della vita. La diversità è presente nel
diversamente abile, definizione che include il valore, il rischio, l’originalità e la discriminazione. Ci
sono tentativi di superamento semantico, quali la speciale normalità espressa da Ianes, che tenta di
considerare la differenza in termini positivi. La diversità include anche il limite, che può essere inteso
sia come confine che come superabile.
Il limite tocca tutti, e può essere superato talvolta con le proprie forze, talvolta con l’aiuto degli altri. È
strettamente connesso ad autonomia e indipendenza. Nella dipendenza è possibile costruire
l’autonomia se l’ambiente è organizzato in modo da permetterlo.
La diversità è collegata anche al concetto di problematicità. Essa è conoscenza allo stato embrionale. Il
problema va identificato, la perplessità indeterminata va specificata, si confronta l’ipotesi con la
teoria e, infine, la si verifica con la pratica. La problematicità è ambivalente, in quanto può indicare un
problema o un metodo di rapportarsi alla realtà, il metodo conoscitivo. È sulla problematicità che
l’educazione deve puntare, riconoscendola come sapere contestualizzato e dell’influenza ambientale
nei processi di crescita.
Popper: la scienza inizia con la sfida e con l’abbattimento di un mito.

3.1.2 Inserimento, integrazione e inclusione

Inserimento: superamento della separazione fisica, inserimento in un contesto. Salvo per disabilità
particolarmente gravi, i disabili possono essere istruiti nelle normali scuole (118/1971).

Integrazione: garanzia dell’autonomia e della comunicazione per soggetti con limitazioni (104/1992). È
un potenziamento dell’inserimento.

Inclusione: risposta al bisogno d’istruzione per tutti coloro siano a rischio di esclusione. Comprende la
garanzia d’istruzione fino ai 18 anni e numerose linee guida per disabili e DSA.

Disability Studies: settore specifico della ricerca pedagogica speciale. Il modello sociale della disabilità
è indicato come il più adatto ad orientare interventi inclusivi. Nasce negli anni ‘70 da Oliver e Barton,
che risaltano il ruolo del contesto sociale per determinare la disabilità. Rispetto alla menomazione,
terminologia in uso fino ad allora, il disabile ha un ruolo più attivo nella società, che fino ad allora era
visto solo come bisognoso di cure, permettendo loro di superare varie discriminazioni.
Per una corretta inclusione dello studente BES (bisogni educativi speciali), bisogna modificare il
materiale didattico ad uso della classe per renderlo più accessibile, pur favorendo processi di
autonomizzazione.

Booth, Ainscow: Index of Inclusion, verifica il grado di inclusione delle proposte educative.
L’intenzione è di superare la concezione di BES e di rimuovere ostacoli alla partecipazione e
all’apprendimento, riducendo di conseguenza l’esclusione.

3.2 Comportamenti problematici come segnali di un disagio

Skinner: anni ‘30, studia comportamento e rinforzi positivi o negativi. Distingue due modalità
comportamentali:
- comportamento rispondente: appreso per associazione;
- comportamento operante: comprensione che un comportamento produce una conseguenza.
L’attribuzione di rinforzo a un comportamento sta alla base della procedura ABC (antecedent,
behavior, consequence), il cui scopo è verificare causa e funzione del comportamento problema. Sono
necessarie 5 fasi di osservazione:
- sospensione del giudizio;
- osservare ciò che accade obiettivamente;
- astenersi da interventi immediati se non necessari;
- riflettere sulle emozioni;
- agire.
Il comportamento è il modo di agire o reagire rispetto all’ambiente ed è comunicazione. La sua
funzione è di interagire con l’ambiente o con altre persone, soddisfare bisogni o evitare situazioni. È
osservabile e misurabile. La quasi totalità è appresa dalle relazioni tra persona e ambiente. I
meccanismi che incoraggiano o scoraggiano determinati comportamenti sono 3:
- apprendimento delle conseguenze;
- apprendimento osservativo;
- apprendimento su associazione tra stimoli neutri e incondizionati.
Ha 4 funzioni:
- evitamento/fuga: rimozione di attività o interazioni sgradite;
- ricevere attenzione: da accesso a persone o informazioni, idealmente va soddisfatto prima che si
presenti;
- accesso al tangibile: accesso a oggetti o attività graditi, necessita di una transizione;
- sensoriale: accesso a sensazioni gradevoli, può avvenire in qualsiasi momento e bisogna reindirizzare
il soggetto verso un comportamento appropriato con funzione simile.

Luoghi di manifestazione del comportamento problema:


- 1-6 anni: famiglia, il ruolo è il figlio, le cerchie sono famiglia e società;
- 6-18: scuola, il ruolo è lo studente, le cerchie sono famiglia, società e persona;
- 18+: lavoro, il ruolo è l’adulto e il lavoratore, cerchie famiglia, società, persona, cultura.

Il comportamento problema si manifesta quando si è incapaci di comunicare bisogni e disagi,


comprendere situazioni o intolleranti verso frustrazioni e fallimenti.
Emerson: un comportamento diventa problema qualora distruttivo, pericoloso o ostacola
apprendimento e interazioni sociali corrette. Non rientrano i possessori di deficit.
Alcune caratteristiche del soggetto con comportamento problema:
- debole autostima;
- mancanza di autocontrollo;
- sfida l’autorità;
- prevaricazione dei pari;
- non interessato alle esigenze altrui;
- demotivato verso le proposte formative;
- ricorre a sotterfugi per nascondere i propri limiti;
- ricorre a inganni;
- trasgredisce;
- atteggiamenti non trasparenti;
- linguaggio volgare;
- condotta violenta;
- aggressioni fisiche;
- contegni maleducati.

Covington, Tell: evitare il fallimento porta alcuni alunni all’abbandono scolastico. È spesso associato a
bassa autostima e può essere fonte di ulteriore disadattamento.

Spesso, un ragazzo è disposto ad assumere comportamenti problema per essere accettato in un dato
gruppo. La diffusione è molto rapida. La loro assunzione non è causa di contaminazione sociale
quanto di trepidazione evolutiva, superamento dei limiti, esplorazione dell’identità e cessazione di
malesseri tipici dello sviluppo. Si crea un conflitto tra la necessità di autonomia e quella di controllo
dall’esterno, con tentativi di sedare i malori in maniera immediata.
Adottando tendenze rischiose, il ragazzo genera una frattura con la realtà, diventando inquieto e
manifestando difficoltà a svolgere un corretto esame della realtà, nonché a percepire la gravità delle
proprie azioni e la propria identità. È importante comprendere la motivazione dell’assunzione di tali
comportamenti.

3.2.1 Analisi funzionale del comportamento

Cerca i fattori su cui si basa il comportamento e che lo perpetrano. È necessario conoscere la storia
del soggetto e formare un’alleanza con lo psicologo, importante per ricercare la natura positiva alla
base. Si fonda sulle teorie comportamentiste ed ecologiche. I fattori su cui si fondano tendono a
scaturire da interazioni con l’ambiente esterno o interpersonale, per cui l’analisi presta attenzione
anche alle relazioni e in che modo possano porsi come rinforzi positivi di condotte problematiche.
Si utilizza il modello ABC qualora si abbia accesso a antecedenti e conseguenze, ed è utile dare una
collocazione spazio temporale a ogni elemento.
L’analisi funzionale è composta da due momenti: descrizione su monitoraggio, e la registrazione di
motivazioni antecedenti e conseguenti. Viene quindi data una definizione del comportamento
problema frequente, a cui viene assegnata una base line (comportamento problema normale senza
interventi esterni per verificare durata e gravità), che riceve in seguito una lettura in chiave
psicologica. Si valutano la circolarità delle interazioni, delle comunicazioni, della azioni, delle reazioni,
delle condizioni ambientali e degli stimoli innescati dal soggetto. La lettura psicologica è possibile solo
individuando le relazioni alla base dello stimolo del comportamento e in che modo retroagiscono sulle
condizioni iniziali.

Antecedente comportamentale: in alcuni casi, basta individuare e rimuovere l’antecedente per


eliminare il comportamento successivo. Essi possono essere condizioni fisiche, affettivo-emotive,
cognitive, basate su relazioni significative o allargate, contestuali, legate ad attività o a reazioni.

3.2.2 Comportamento problematico

È ciò che viene fatto in termini concreti, e in termini concreti va descritto. Si possono listare
contrapposti a condotte desiderabili e successivamente divise in base ai contesti. Nella maggior parte
dei casi, riguardano il rapporto con i genitori, fratelli e sorelle, compagni, sé stessi, sicurezza e
emotività. Si riduce il ricorso a tali comportamenti con l’accumulo di strumenti comunicativi adeguati.

3.2.3 Conseguenze

Apprendimento e disapprendimento di un comportamento dipendono largamente dalle conseguenze.


Possono essere effetti sullo stato fisico, cognitivo, affettivo, emotivo, relazionale e ambientale. Alcuni
di questi possono avvenire contemporaneamente, altri sono legati al comportamento in questione,
altri si manifestano tramite le relazioni.

3.2.4 Educazione socioaffettiva come prevenzione

L’attività dell’educatore deve incoraggiare comportamenti corretti per aiutare a vivere la socialità in
maniera adattiva. A tal proposito, la SEL (Socio-Emotional Learning) potenzia le risorse personali e le
competenze sociali dei destinatari. Consiste in una ristrutturazione cognitivo-comportamentale
finalizzata al trovare soluzioni cooperative e a dare una lettura nuova a diversi elementi di conflitto.
Richiede attenzione allo sviluppo personale del bambino e alla sua autostima, riconoscendo
l’interdipendenza tra componenti affettive e cognitive dell’educazione. Gli aggressori intuiscono nuovi
metodi per manifestare i propri bisogni, e gli spettatori scoprono la responsabilità di intervenire.
La ristrutturazione parte dal presupposto che soggetti carenti di empatia hanno minori attitudini
prosociali, sono più rifiutati dai compagni e più coinvolti nel bullismo.
La SEL lavora su due piani: migliora l’autocoscienza e facilità la comunicazione interna alla classe.
Mira, a livello individuale, allo sviluppo di accettazione, sicurezza e autostima, mentre, a livello di
gruppo, alla collaborazione, solidarietà, mutuo rispetto, tolleranza e riconoscimento delle differenze.
Per prevenire il bullismo, è fondamentale la promozione di comportamenti prosociali e della
sensibilità empatica tramite processi di simbolizzazione.
Maggi, Buccoliero: SEL valida per la formazione della personalità e la prevenzione di dinamiche
devianti. Può essere accompagnata da uno stile democratico autorevole, facendo riflettere su
condotte e comportamenti.
Far leva sugli spettatori è importante, in quanto fornisce loro un ruolo più attivo a difesa della vittima.
SEL trova una declinazione interventistica sulla didattica delle emozioni, che punta alla maturazione
emotiva graduale.
Role play efficace in quanto costringe a mettersi nei panni altrui e a modulare le emozioni.
Circle time aiuta a lavorare sull’ascolto, e la condivisione di racconti biografici porta chi ascolta a una
riflessione interna e all’immedesimazione.
Ad essi, si aggiunge la diffusione nel gruppo dei pari della consapevolezza di fenomeni problematici,
definendo quindi, ad esempio, cosa sia il bullismo e le sue conseguenze, portando a reazioni concrete.
4. Individualizzazione e personalizzazione: didattica a misura di BES

Individualizzazione: strategie didattiche finalizzate al raggiungimento delle competenze curricolari.


Personalizzazione: strategie didattiche finalizzate all’eccellenza cognitiva e alle potenzialità dello
studente.

4.1 Individualizzazione: aspetti pedagogici e curricolari

È un approccio che comprende letture sia pedagogiche, in quanto concepisce ogni azione formativa in
funzione dell’alunno, e didattica, in quanto adatta l’insegnamento agli studenti, calibrando le strategie
didattiche.

4.1.1 Progettazione, programmazione e curricolo individualizzato

Progettazione: fase ideativa, legata al rapporto riflessione-azione, ricerca soluzioni a problematiche


socio-educative scaturite da valutazioni precedenti.

Programmazione: passaggio dalla teoria alla prassi.

Curricolo: organizzazione di contenuti e modalità didattiche per un corretto percorso educativo. I


traguardi sono proposti, non imposti.

Il POF è stilato sulla base dei curricoli. La sua strutturazione deve tener conto delle indicazioni
nazionali e saper declinarsi in base ai contesti. Esistono due modalità individualizzate per ottenere
curricoli adatti con contenuti specifici:
- programmazione semplificata: obiettivi essenziali, proposta dal ministro;
- programma differenziato: scelto dalla famiglia convocata al consiglio di classe.

4.1.2 Concetto e strategie di personalizzazione

La personalizzazione invece si concentra su preferenze e talenti dello studente, una sorta di scuola su
misura. Il programma fisso è minimizzato e presenta varie opzioni a discrezione del bambino. Argina
l’insuccesso e si basa sulla flessibilità. Le sue caratteristiche base sono appunto la presenza delle
opzioni, dell’auto orientamento (valutazione delle alternative in base alle proprie disposizioni), della
valutazione critica, del pluralismo dei percorsi formativi, di un adeguato contesto scolastico.

4.1.3 Individualizzazione e personalizzazione a confronto

L’individualizzazione modifica il percorso, la personalizzazione propone più percorsi.

4.1.4 Quadro normativo

PEI: Piano Educativo Individualizzato. Descrive interventi mirati per l’alunno con disabilità certificata.
Include obiettivi e finalità didattiche adattate, metodologie, tecniche e coinvolgimento famigliare.

PDP: Piano Didattico Personalizzato. Definisce, documenta e monitora le strategie di intervento e


valuta gli apprendimenti del soggetto. Riguarda DSA, disturbi evolutivi specifici, ADHD e svantaggiati.

L’individuazione del BES avviene in 3 momenti: rilevazione, valutazione e elaborazione di intervento.


La risultante certificazione permette di implementare PEI e PDP. I processi di stesura sono regolati dal
PAI (Piano Annuale per l’Inclusione).
Dei format per la compilazione di PEI e PDP sono messi a disposizione dal MIUR.

4.1.5 PAI

Il PAI riguarda tutti gli studenti BES ed è compilato al termine dell’anno scolastico per tracciare
interventi e risorse da utilizzarsi per l’anno successivo. È discusso dal Collegio dei docenti e
completato dal Gruppo di lavoro per l’inclusione sulla base delle risorse ottenute dall’Ufficio
Scolastico Regionale.

4.1.6 Passaggi

PDP: i genitori, al momento dell’iscrizione, devono conferire diagnosi e documentazioni utili e


confrontarsi con il referente DSA per approfondimenti sull’inclusione. L’alunno è poi presentato a
consiglio di classe e coordinatore. Viene predisposto il PDP, che deve essere approvato da consiglio,
referente, famiglia, tutor, eventuali psicologi ed educatori.

PDF: Profilo di funzionamento stilato dalla famiglia dell’alunno disabile e dagli specialisti su base del
modello biopsicosociale ICF-CY.
L’accertamento della disabilità avviene tramite richiesta all’INPS attuata tramite l’ASL. Ottenuta la
diagnosi, si riunisce l’unità di valutazione multidisciplinare (UVMD, include specialista, NPI, terapista
della riabilitazione, assistente sociale), che compila il PDF necessario per il PEI.

4.1.7 PEI e PDP

PEI: favorisce l’integrazione e il raggiungimento degli obiettivi della persona disabile. È trattato dal
decreto legislativo 66/2017. Si adatta alle fasi evolutive e comprende il PDF. Esso fa riferimento a:
- condizioni fisiche;
- funzioni corporee;
- strutture corporee;
- attività personali;
- partecipazione sociale;
- fattori contestuali ambientali;
- fattori contestuali personali.
Il PEI è connesso al progetto individuale, che indica cure e riabilitazione erogate dal comune per
l’integrazione sociale. Per poter passare da un grado all’altro, la scuola precedente deve accordarsi
con la successiva per la corretta continuazione degli studi. Al termine della secondaria primo grado, la
scuola aiuta lo studente a scegliere un indirizzo di studi, mentre al termine della secondaria secondo
grado, vanno adottate misure di accompagnamento tramite esperienze scuola-lavoro.

PDP: redatto per DES, DSA e svantaggiati. Indica interventi personalizzati in modo che l’alunno possa
raggiungere i traguardi. Se si rivela inefficace, si ricorre a compensazioni (strumenti alternativi). Se
anche queste falliscono, si procede con strategie dispensative (evitano l’aggravarsi del problema
piuttosto che risolverlo).

4.1.8 Misure dispensative e strumenti compensativi

Misure dispensative: si usano quando il disturbo comporta gravi conseguenze personali. Si tratta di
attività che non richiedono le aree colpite dal disturbo. Non migliorano l’apprendimento e non sono
essenziali per i concetti richiesti. Possono essere tempi maggiori per un compito, minori contenuti,
ecc.

Strumenti compensativi: sostituiscono o facilitano la prestazione per compensare le carenze


apportate dal disturbo, permettendo allo studente di concentrarsi sul compito cognitivo. Rientrano
tabelle alfabetiche e numeriche. Possono essere incluse durante esami o compiti in classe.

4.1.9 BES

Bisogni evolutivi speciali. Comprende difficoltà che ostacolano crescita e formazione. L’origine può
riguardare compromissioni innate o essere risultato di determinati eventi.

4.2 ICF
ICF: International Classification of Functioning, prodotto nel 1946 dall’OMS, ha avuto diversi cambi di
nome.
1970: International Classification of Diseases (ICD);
1980: International Classification of Impairments, Disabilities and Handicaps (ICIDH);
1997: International Classification of Impairments, Activities and Partecipation (ICIDH-2);
2001: International Classification of Functioning, Disability and Health (ICF);
2007: International Classification of Functioning, Disability and Health - Children and Youth version
(ICF-CY).

Contiene una classificazione delle malattie, dei termini diagnostici e delle procedure terapeutiche in
codici alfanumerici. Il primo ICD era intraindividuale e lineare, considerava le conseguenze della
malattia nel funzionamento, escludendo il contesto ambientale.

ICIDH: tenta di classificare le conseguenze della malattia secondo la relazione malattia-menomazione-


disabilità-handicap, facendo però ricadere l’handicap sulla responsabilità dell’individuo.
Menomazione: perdita, anormalità o deviazione fisica o psichica;
Disabilità: restrizione o assenza di un’attività fondamentale per la sopravvivenza;
Handicap: svantaggio risultante da menomazione e disabilità.

ICIDH-2: valutazione dei disabili effettuata in base alle capacità psicofisiche del soggetto e alla sua
partecipazione sociale.

ICF: riconosce influenza ambientale e sociale sulla partecipazione. Considera le componenti della
salute come costituenti la salute stessa. La disabilità è caratteristica di tutta l’umanità: nessuno può
fare tutto, si sarà sempre disabili in qualcosa.

ICF-CY: versione per bambini e adolescenti (0-18). La situazione del bambino è connessa al contesto
familiare. La partecipazione è osservata in chiave dinamico-evolutiva. Utilizza un linguaggio comune
per favorire comparazioni e unificare il discorso.
Descrive funzioni e strutture corporee, menomazioni, attività e partecipazione sociale, limitazioni e
restrizioni, fattori ambientali. Ogni componente è espressa in termini positivi e negativi. Gli stati di
salute sono registrati mediante codici di categoria che specificano estensione e gravità del
funzionamento o disabilità e l’influenza ambientale.
I termini positivi riguardano attività e partecipazione, descritte in 9 domini (d1-d9) specificati da 2
qualificatori: performance (cosa fa l’individuo) e capacità (abilità di effettuare un compito).
I termini negativi riguardano limitazioni ad attività o partecipazione. Non sono necessarie
menomazioni, bastano anche conseguenze ecologico-sociali quali mancanza di equipaggiamenti e
strutture adeguate.
Fattori contestuali: riguardano l’ambiente (fisico e sociale) e gli atteggiamenti (ambientali o personali),
ognuno potenzialmente positivo o negativo. La partecipazione guarda il livello di coinvolgimento della
persona in una data situazione. L’ambiente può ostacolare o amplificare il funzionamento del
bambino, che, se riesce ad adattarsi, può avanzare verso ambienti sempre più complessi che
richiedono maggiori competenze.

4.2.1 Case Study

L’ICF-CY parla di C., una bambina di 3 anni che ha ricevuto alcuni interventi per correggere una
condizione cardiaca, risultanti in danni alle vie respiratorie e all’udito. Vive in una grande città con la
madre, il padre ha lasciato la casa e non contribuisce, ed è accudita alternativamente dalla madre e
dal vicino. Nei week end, sta con la nonna e altri familiari.
Analisi del comportamento: C. sorride e ride raramente. Gioca spesso sola. Gradisce le cose che fanno
rumore se spinte o tirate. Si distrae facilmente. Se non concentrata, si dondola. Cammina da poco, il
vocabolario include a malapena 20 termini. Le piace stare in braccio alla madre mentre le racconta
una storia. Riconosce le immagini ma ha difficoltà ad impararne i nomi. Raramente risponde se
chiamata. Presenta ritardi nel linguaggio recettivo e difficoltà uditive.
Descrizione dell’ICF-CY: le domande presumibili del caso potrebbero essere:
- manifesta problemi nelle funzioni corporee?
- manifesta problemi a carico delle strutture corporee?
- ha problemi nell’esecuzione di compiti o azioni?
- ha problemi a partecipare alle situazioni di vita?
- ci sono fattori che influenzano positivamente o negativamente il suo funzionamento?
In questo caso specifico, le risposte sono:
- funzioni corporee: codici dei capitoli 1 (funzioni mentali), 2 (sensoriali) e 7 (funzioni
neuromusculoscheletriche);
- attività e partecipazione: 1 (apprendimento e applicazione delle conoscenze), 3 (comunicazione), 4
(mobilità) 7 (interazioni e relazioni interpersonali) e 8 (aree di vita principali);
- fattori ambientali: barriere e facilitatori capitolo 1 (prodotti e tecnologia), 3 (relazioni e sostegno
sociale).

4.2.2 Rapporto Warnock e Special Educational Needs and Disability Act

Rapporto Warnock, 1978, prima citazione di BES, permettendo di ricercare obiettivi minimi da
raggiungere anche in caso di disabilità. Include anche coloro con difficoltà di apprendimento.
Special Educational Need and Disability Act, 2001, necessità di prevenire le discriminazioni, inclusa la
possibilità di un istituto di non poter andare incontro ai BES.

4.2.3 UNESCO e ricerche europee

BES riconosciuto internazionalmente dalla Dichiarazione di Salamenca sui principi, le politiche e le


pratiche dell’educazione e delle esigenze speciali del 1994. Conferma il requisito di inclusione dei BES
nelle scuole e la soddisfazione delle loro esigenze. International Standard Classification of Education
(ISCED), 1997, allarga la definizione di BES includendo chi andasse male a scuola per determinate
ragioni.

4.2.4 BES: definizione comune

Vi rientra qualsiasi difficoltà evolutiva espressa in un funzionamento problematico per il soggetto e


che richiede un’educazione speciale. Può riguardare diversi ambiti, essere globale (autismo) o
settorializzata (ansia), grave o leggera, permanente o transitoria. In Italia, vi fa riferimento la legge
27/12/2012, che obbliga le scuole a rispondervi adeguatamente.

Disabilità: conseguenza di relazioni tra salute, fattori personali e fattori ambientali.

4.2.5 DES e DSA

Disturbi evolutivi specifici, includono deficit del linguaggio, delle attività non verbali, attenzione,
iperattività ecc.

DSA: alunni con capacità nella norma che presentano difficoltà apprenditive e richiedono degli aiuti
per realizzare le proprie potenzialità. Non rientrano nella 104, e di conseguenza non rientrano nel PEI,
ma possono usufruire del PDP.

4.2.6 BES e organizzazione territoriale

La comunità educante dirige azioni su indicazione dei Centri Territoriali di Supporto (CTS), responsabili
del coordinamento delle azioni in campo BES. I CTS si occupano dell’elaborazione di polizze territoriali
e fare informazione nelle scuole riguardo l’inclusione.

4.2 Didattica a portata di BES

4.2.1 Adattamento di contesti, attività e materiali didattici


Bisogna creare un clima inclusivo e permettere all’alunno BES di interagire coi compagni. Dopodiché,
bisogna considerare la qualità delle relazioni in classe e adattare gli obiettivi della persona a quelli
della classe. Esistono 5 livelli di adattamento:
- sostituzione del codice linguistico (braille);
- facilitazione (richiami all’attenzione);
- semplificazione (mappe mentali);
- scomposizione della disciplina in nuclei fondamentali;
- partecipazione alla cultura del compito (avvicinamento della classe nei casi di disabilità grave).
Può essere utile anche semplificare i materiali di studio.

4.2.2 Ottica metacognitiva per l’inclusione

Metacognizione: capacità di controllare i propri processi cognitivi e di focalizzare l’attenzione sul


compito e sulle modalità di svolgimento. È sviluppata dalla didattica metacognitiva. Occorre
differenziare l’intervento e adottare forme di mediazione didattica qualora si ricorra ai compagni
(didattica orizzontale). Si possono ad esempio utilizzare cooperative learning, peer to peer e tutoring.

4.2.3 Risorsa dei compagni per l’inclusione

Cooperative learning: gruppi di lavoro. Implica interdipendenza dei ruoli e valorizza la diversità;
Tutoring: alunno insegna ad un alunno, sviluppa le capacità relazionali e disciplinari;
Peer to peer: riguarda alunni con simili capacità cognitive. È gestita completamente dagli alunni con
accordo del docente.
Queste modalità accrescono l’inclusione e le risorse socio-affettive della classe:
- interdipendenza positiva;
- responsabilità individuale e di gruppo;
- interazione costruttiva;
- attuazione abilità sociali;
- valutazione di gruppo.
La mediazione dei compagni individualizza l’insegnamento e valorizzare il contributo plurimo, quindi
la diversità.

4.2.4 Tiflodidattica: non vedenti e ipovedenti

Riguarda non vedenti e ipovedenti. Essi sono descritti mediante il Residuo Perimetrico Binoculare
(RPB) nella Classificazione e quantificazione delle minorazioni visive e norme in materia di
accertamenti oculistici, che considera l’amaurosi (perdita della vista). Sono considerati 3 gradi di
gravità (L. 138/2001): grave (10-30% RPB), media (30-50%) e lieve (50-60).
Ciechi totali: totale mancanza di vista in entrambi gli occhi, mera percezione delle ombre o del moto
della mano (minore 3%).
Ciechi parziali: residuo visivo non superiore ai 1/20 anche con correzione (inferiore 10%).
Ipovedenti medio-gravi: residuo 2/20 (50%).
Ipovedenti lievi: 3/10 (60%).
Gli ipovedenti tendono ad avere memoria tattile e uditiva con conoscenze analitiche spezzettate, per
cui hanno difficoltà a classificare, ad astrarre, a generalizzare, nella comunicazione non verbale, e si
muovono poco.

Tiflologia: interventi per non vedenti e ipovedenti per l’integrazione socio-culturale e lavorativa. Si
articola in tiflodidattica e tiflotecnica.
Tiflodidattica: riguarda apprendimento e insegnamento. Il PEI è compilato con lo scopo di potenziare i
sensi rimasti, le funzioni immaginativo e motorie, e le competenze comunicativo-relazionali.
Tiflotecnica: mediazione tecnologica mirata all’inclusione. Riguarda tutti i sussidi utili alla didattica
quali calcolatrici sonore, audiolibri ecc.

Educazione immaginativa a supporto dei deficit visivi: stimola l’autoefficacia del bambino partendo da
ciò che conosce e che gli interessa, e organizzando l’ambiente scolastico sui dati raccolti. Lo scopo è
verificare se la presenza di attività e stimoli graditi possano incidere positivamente
sull’apprendimento. Si possono usare immagini, audio, giochi e fantasia. L’insegnante accompagna il
bambino e ne rispetta i tempi.

4.2.5 Approccio didattico per il deficit uditivo

La limitazione uditiva si chiama ipocausia e ha 5 livelli:


- lieve (20-40 decibel);
- media (40-70);
- grave (70-90);
- molto grave (90-120);
- totale (120+).
La didattica punta a sviluppare la capacità di comunicazione autonoma.

Linguaggio ISE: modalità visivo-gestuale con sintassi italiana;


Linguaggio LIS: combo segnale e vocale.

Il bambino ipocausico può sviluppare forme di pensiero basate su modalità diverse da quelle basate
sul linguaggio verbale. Può apprendere tramite esplorazione, sussidi e attività di classe. Vengono
sviluppati i sensi residui, la memoria, l’astrazione e l’attenzione. È importante che apprenda la
strutturazione del periodo quanto prima, e uno strumento utile è il racconto di storie. Con esse,
apprende anche il labiale.

4.2.5 Autismo

Autismo: disturbo del neurosviluppo caratterizzato dalla compromissione dell’interazione sociale e da


deficit della comunicazione. Ha un vasto raggio di compromissioni neuropsicologiche e cognitivo-
biologiche. Le teorie principali sottolineano deficit nel contatto affettivo (incapacità di interazione
emotiva), capacità di rappresentazione (difficoltà a operare inferenze sugli stati mentali) e da
alterazioni delle funzioni esecutive.

2 approcci abilitativi:
- comportamentale: promozione di condotte adattive utili;
- evolutivi: sviluppo delle abilità.
Ogni intervento deve essere funzionale (flessibile), contestualizzato (coinvolge la comunità), precoce.
Distinguiamo interventi riabilitativi, abilitativi e educativi.
Riabilitativo: raggiungimento dell’autonomia totale;
Abilitativo: acquisizione di abilità cognitive, relazionali e comunicative;
Educative: favoreggiamento di forme di autonomia.

Il trattamento per l’autismo è l’educazione. Sono necessari percorsi di insegnamento esplicito delle
abilità di comunicazione, di relazione e di autonomia.
L’educatore favorisce l’inclusione tramite progetti educativi e abilitativi, nonché svolgere un ruolo da
mediatore tra coloro che si occupano dell’autistico. Aiuta anche a costruire una rete relazionale di
sostegno e dialogo.

Modello TEACCH: insegnamento strutturato su punti deboli e forti del bambino. Riguarda autistici e
handicappati della comunicazione. Prevede collaborazione tra soggetto, centro specialistico e
famiglia, con l’educatore che assolve un ruolo centrale.

4.2.6 Discalculia

Rientra tra i DSA. Riguarda la comprensione aritmetica e numerica in bambini con sviluppo normale e
assenza di danni neurologici. La gravità va valutata in base ad elementi ambientali ed eventuali ritardi
nell’identificazione.
Alla base della comprensione aritmetica, si trova il sistema di comprensione, che rende il numero
astratto. Ad esso segue il sistema di calcolo, che pone in essere le operazioni, il cui risultato è
elaborato da meccanismi di produzione.
3 forme di discalculia:
- dislessia delle cifre: difficoltà a comprendere numero e calcolo e compromissione della capacità
lessicale (legge un numero per un altro);
- discalculia procedurale: difficoltà ad applicare il calcolo;
- discalculia per i fatti aritmetici: errori di slittamento (18x3=21 e roba simile).

La didattica mira ad apprendimenti concreti a piccoli passi orientati all’astratto. Si cerca prima di
garantire la padronanza numerica, poi quella strutturale numerica, poi strategie di calcolo rapido, poi
conoscenze sui fatti aritmetici e, infine, padronanza su procedure di calcolo.
Per l’utilizzo del sistema numerico, si può far ricorso a esercizi di conta normale o rovescia, per il
sistema di calcolo, ad esempio, la recita ludica delle tabelline.

4.2.7 Disgrafia e disortografia

Disgrafia: difficoltà manuale a scrivere correttamente. Le attività coinvolte sono oculomanuali,


d’orientamento e di organizzazione spazio-temporale. Scrive in maniera irregolare, tiene la penna in
maniera scorretta, ecc.;
Disortografia: riguarda la componente costruttiva della scrittura, è legata ad aspetti linguistici e
difficoltà a scrivere correttamente, a usare il linguaggio. Può scambiare suoni o lettere simili, omette
lettere o sbagliarne la posizione, ecc.

Riabilitazione disgrafia: si articola in una parte propedeutica e una specifica.


Propedeutica:
- sviluppare la percezione tramite attività di abbinamento;
- lavorare sull’organizzazione spazio-temporale;
- potenziare l’integrazione spazio-temporale (ritmo);
- sviluppare la rappresentazione dello schema corporeo;
- consolidare equilibrio e coordinazione;
- allenare il rilassamento;
- svolgere attività per la consapevolezza di lateralità;
- sviluppare coordinazione visuo-motoria e oculo-manuale.
La specifica si avvale di interventi specifici per la scrittura.
Riabilitazione disortografia: si richiama la specificità di errori fonologici, non fonologici e fonemici. I
primi riguardano il rapporto grafema-fonema (sostituzione, omissione, inversione), i secondi la
separazione/fusione illegale delle parole e la lettera H, i terzi riguardano errori relativi a doppie e
accenti.
La consapevolezza fonemica si può realizzare tramite matching (associazione), prompting
(facilitazione dell’emissione della risposta) e fading (elminazione progressiva del prompt).
La consapevolezza ortografica si basa sulla discriminazione fonemica su giudizi di correttezza o di
uguaglianza (dico cane, faccio vedere rane, chiedo se ho detto bene e se sono la stessa cosa).
La consapevolezza fonologica si realizza con l’analisi fonemica di parole/non parole, la manipolazione
dell’ordine dei fonemi, la discriminazione dei primi suoni, il giudizio di uguaglianza/diversità fra coppie
di sillabe simili, e la ricerca di gruppi grafemici di posizione variata.

Dislessia

Dislessia: disturbo della capacità di lettura, nello specifico a decifrare i segni linguistici. 3 teorie alla
base:
- deficit fonologico: compromissione fonologica che impedisce la decodificazione;
- deficit visivo/uditivo: compromissione della capacità di discernere informazioni visive e uditive per
sovrapposizione;
- deficit di automatizzazione cerebellare: disfunzione nell’automazione di sequenze motorie;
- deficit attentivo: deficit temporale nella processazione di stimoli visivi e uditivi.
Può essere evolutiva o acquisita a seguito di danni cerebrali focali.
Se evolutiva, può essere:
- fonologica: incapacità di leggere parole sconosciute;
- superficiale: disturbo a leggere parole non regolari o con eccezioni di pronuncia;
- mista: comprende entrambi i sintomi.
Se acquisita, può essere:
- disfonetica: difficoltà a svolgere analisi e sintesi delle subunità lessicali;
- diseidetica: difficoltà a ricostruire la struttura delle parole.
Uno degli indicatori è la lettura sillabica dopo la metà della prima elementare, leggere la stessa parola
in maniera diversa o perdere continuamente il segno.
È preferibile evitare di farli leggere ad alta voce, di correggerli pedissequamente, di far copiare la
lavagna o di metterlo a confronto con gli altri. Si possono prediligere modalità orali, il cooperative
learning, programmi informatici di correzione automatica, ecc.

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