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Il concetto di sè è la Percezione che ho di me stesso; William James distingue tra il

concetto di io (il soggetto che agisce) e me (il soggetto che è oggetto di riflessione); il
concetto di sè include:

1. Gli schemi di sè: Lo schema è una struttura cognitiva dato da un insieme di


conoscenze legate e organizzate in modo coerente e relative al nostro sè.
Questi fanno capire come percepiamo noi stessi; ciò influenza il modo in cui
valutiamo noi stessi e gli altri. Essi sono quindi schemi centrali che costituiscono un
punto di riferimento per le nostre valutazioni. Tendiamo inoltre a ricordare
informazioni relative a noi piuttosto che agli altri (effetto autoreferenziale).
Sopravvalutiamo inoltre la misura in cui gli altri ci notano, mentre spesso gli altri
prestano un’attenzione minore a noi rispetto a quella che noi pensiamo.
2. I sè possibili: aspettative circa ciò che si desidera o si teme di diventare;

Il Concetto di sè si sviluppa tra 1 e 2 anni, come entità fisica e motoria attraverso indizi
contingenti (es.: l’immagine allo specchio) e morfologici (es.: il fatto di avere tratti
morfologici propri rispetto ad altri). Per capire se il bambino abbia consapevolezza di sè ci
sono indici di auto riconoscimento (es.: il maggiore Interesse per l’immagine di sè, l’uso di
vocaboli di auto riferimento, l’espressione di emozioni che implicano la valutazione di sè, la
disobbedienza deliberata per affermare la propria identità…).

Il concetto di sè si evolve; nella prima infanzia i bambino nella propria percezione presta
attenzione ai propri tratti fisici, nella prima adolescenza attraverso appartenenze sociali
(es.: i propri amici, la propria classe…) e nella più matura adolescenza attraverso tratti
psicologici.
Già a 6-7 anni il bambino si confronta con gli altri.

I fattori che influenzano il è sono:

1. I processi di attaccamento: nelle prime fasi di vita il bambino instaura un legame


con la figura che si prende cura di lui; se il legame è sicuro (soddisfa i bisogni
biologici e psicologici) esso gli permette di sviluppare una concezione di sè
positiva; se invece il legame non è altrettanto sicuro il bambino tende ad avere
un’immagine meno positiva di sé
2. Le valutazioni e i giudizi degli altri: già all'inizio del ‘900 Cooley fece una teoria,
The looking glass self, per cui noi interiorizziamo il giudizio percepito (cosa noi
pensiamo che gli altri giudichino); l’immagine complessiva di noi stessi dipende
quindi dall’insieme di questi giudizi (il sè generalizzato); esso dimostra però una
bassa corrispondenza con i giudizi delle persone, perchè c’è una componente
soggettiva di interpretazioni che è distorto dal beyas di conferma; inoltre le persone
tendono a nascondere dei giudizi negativi verso l'altro per tutelare le relazioni sociali
3. I successi e i fallimenti: essi influenzano sui tratti e le qualità che ci riconosciamo
4. Appartenenze sociali: ci riconosciamo in determinati gruppi sociali; secondo Tajnel
e Turner esiste un’identità personale (definisce il sé in tratti unici) e un'identità
sociale (definizione di sé data da appartenenze sociali). Brewer e Gardner
distinsero invece tra sé individuale (sè personale) , sè relazionale ( basato sulle
relazioni con varie persone) e sè collettivo (basato sull’appartenenza a gruppi);
l'identità sociale è l'esito di un processo di negoziazione interiore; le varie
identità sociali diventano salienti se in situazioni di conflitto o di minoranza (es.: se
sono all’estero mi viene più spontaneo affermare di essere italiana); ciò può dare
luogo a Diversi processi di acculturazione, cioè un mutamento psicologico
causato dal contatto prolungato con persone di etnia diversa; ciò può cambiare
la mia identità sociale; i processi di acculturazione possono essere l’integrazione
(fedele alla cultura d’origine ma influenzata da quella ospitante), assimilazione (solo
cultura ospitante), separazione (solo cultura d’origine) e marginalizzazione
(nessuna delle due); questi diversi percorsi hanno un impatto psicologico diverso
in termine di benessere mentale (quelli integrati sono quelli con maggior
benessere). Questi quattro esiti dipendono sia da essi sia dalla cultura ospitante.
5. I ruoli che si assumono: quando facciamo parte di gruppi sociali assumiamo dei
comportamenti che sono attesi a causa della posizione che hai assunto. Quando le
persone assumono un ruolo nuovo non sempre lo sentono proprio (es.: non si
sentono all’altezza o non si ritrovano in certe condotte); col passare del tempo le
persone tendono ad adattarsi comunque a ruoli (es.: il ruolo del genitore o di
studente universitario). Questo fu dimostrato da molti esperimenti, tra cui quello della
prigione di Stanford fatto da Zimbardo. Zimbardo fece la teoria
dell’individuazione, per cui la propensione ad agire in maniera aggressiva è
amplificata in situazioni di gruppo perchè questi processi non ti fanno percepire
come singolo individuo ed esso quindi si sente meno responsabile personalmente
delle proprie azioni; ad essa furono mosse varie critiche, perchè non è vero che
l’individuo di gruppo perde la propria identità, semplicemente quella sociale diventa
dominante rispetto quella personale.
6. I confronti con gli altri: le persone hanno bisogno do verificare se la loro
conoscenza della realtà circostante ed individuale sia corretta e oer faro quindi si
confronta l propria opinione con gli altri; per valutare ciò abbiamo comunque dei
parametri oggettivi (es.: altezza); Festinger sosteneva che quando le persone sono
incerte su delle loro opinioni o abilità, esse tendono a confrontarsi con coloro che
sono simili ad esse (come attinenza, di età, di ore di allenamento…)
7. La cultura: ciascuno di noi tende a definirsi a seconda del contesto culturale in cui
vive; Hofstede affermò che le culture si distinguono tra individualiste (enfatizzano
la responsabilità personale; ci si percepisce quindi come individuo indipendente da
un gruppo evidenziando le proprie caratteristiche personali; i legami sono recepiti
come costruiti in base a una reciprocità di benefici; è più probabile che si
appartengono a vari gruppi e che queste persone spesso entrano ed escono da
questi gruppi; un esempio è il fatto che con il divorzio si può sciogliere il matrimonio;
la propria percezione di sé tende inoltre ad essere stabile e coerente; il proprio
obiettivo è quello di autorealizzarsi esprimendo sé stesso; autostima dipendente
dall’abilità di confermare con le proprie azioni l’idea che ha di è stesso in base alle
proprie qualità) e collettiviste (si valorizzano i legami e le relazioni di
interdipendenza; ci si tende a definire in base ai propri ruoli e appartenenze sociali;
attraverso l’appartenenza a gruppi un individuo può realizzarsi; si tende ad
avere un concetto di sé più variabile e flessibile, in base ai vari contesti; il proprio
obiettivo è quello di instaurare dei legami e realizzare degli obiettivi di gruppo;
l’autostima è il risultato della capacità di mantenere legami di pace e collaborativa).
Nonostante ciò questo dipende da persona a persona a prescindere dalle culture
(es.: le donne tendono comunque a sentirsi “interdipendenti” rispetto agli uomini).
Questi due tipi di cultura sono due macrocategorie, ma all'interno dei singoli paesi
c’è ovviamente una differenziazione (es.: chi abita nelle città è tendenzialmente più
individualista rispetto a chi abita in aree rurali). L'eliocentrismo si ha quando un
individuo tende a comportarsi in modo individualista, mentre si parla di
aliocentrusmo usando una persona che tende ad avere come priorità il gruppo.
Anche le condizioni sociali portano le persone ad avere una di queste
caratteristiche. Anche la forza di un legame ad un gruppo enfatizza ciò. Dipende
anche dall’obiettivo di un gruppo (cooperativo o competitivo ) e dalla situazione
che può enfatizzare aspetti che accomunano o differenziano le persone.
8. L’osservazione del proprio comportamento: la teoria dell’autopercezione di
Bem sostiene che in assenza di sentimenti o pensieri interni e di urgenti pressi
esterne, ci si considera dotati di qualità coerenti con il proprio comportamento
passato, presente o immaginato; attribuiamo quindi caratteristiche di noi stessi ai
nostri comportamenti solo se non siamo influenzati da stimoli esterni. A PAGINA 77
SONO RIPORTATE LE DEFINIZIONI DEI VARI CONCETTI CHE SONO DA
STUDIAREEEEEEEEE!!!!!!!! PERO’ LA DEFINIZIONE DELL’EFFETO DI
GIUSTIFICAZIONE è SBAGLIATA (in presenza di ricompense le persone sopra
giustificano il loro comportamento come dovuto a cause esterne (appunto le
ricompense), sottostimando………..
9. L’introspezione: come ci si percepisce in base ai propri sentimenti e pensieri, non ai
comportamenti; questo però non è sempre facile ed attendibile, perchè non ci si
conosce mai abbastanza; siamo infatti soggetti anche all’impact Byes, in base al
quale si valuta in modo sbagliato le valutazioni emotive in base ad un certo evento
(es.: se mi avessero chiesto prima del covid come mi sarei sentita all’idea di stare a
casa da scuola per tanto tempo, anche se in realtà per me non vale),
sovrastimandole o sottostimandole; questo perchè non si tiene conto degli altri
eventi positivi o Negativi che succederanno insieme a quello durante la mia
vita e sottostimiamo la nostra capacità di resilienza. Tendiamo inoltre a
Sopravvalutarci considerandoci un po’ sopra la media; questa è una capacità
protettiva per il nostro benessere psicologico, ma ciò può essere pericoloso per le
aspettative troppo alte di noi stessi.
10. Memorie autobiografiche: percepiamo noi stessi in base agli eventi del nostro
passato e alle passate interazioni con gli altri; anche in questo caso però esso è un
ricordo distorto, perché la memoria autobiografica seleziona solo alcuni
avvenimenti del noto passato, coerenti con l’immagine che ci percepiamo da adulti.
Per proteggere un’immagine positiva di noi stessi tendiamo inoltre a ricordare
eventi positivi.

Noi abbiamo molteplici immagini di sé che non sempre sono coerenti; ciò accade
perchè in base alla situazione ci possiamo comportare in un certo modo(es.: essere
responsabili al lavoro, scherzosi con gli amici…); anche il confronto con gli altri ci può
restituire immagini diverse.
Nonostante questo noi abbiamo un’immagine coerente di noi stessi, e questo perchè:

● Attiviamo solo gli aspetti di noi stessi congruenti con il singolo contesto
(concetto di sé operativo); proprio questi aspetti andranno a guidare le nostre
condotte. Il problema è quando certe situazioni attiveranno schemi di sé incongruenti
(es.: discuto la tesi di fronte ai miei famigliari o amici)
● Attiviamo la memoria selettiva, ricordando gli aspetti coerenti con l’immagine di sé
● Attiviamo processi attributivi, immutando gli aspetti inerenti alla situazione (sono
stata “costretta” ad agire così)
● Selezioniamo alcuni schemi chiave che formano il concetto di sè

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