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-I 5 “ingredienti”dell'Intelligenza Emotiva
1. La conoscenza o consapevolezza di sé= uno stato d'animo orienta sempre la mia azione,
comunica i nostri bisogni, motiva al cambiamento.
2. La padronanza di sé = regolazione emotiva= è la capacità di far fronte, monitorare e
gestire le proprie esperienze emotive; è utilizzata dagli individui in maniera consapevole o
inconsapevole, implicita o esplicita, al fine di influenzare quali emozioni provare, quando
provarle, come esperirle e se esprimerle". Non esistono emozioni sbagliate, l’importante è
che siano regolate. Questo indica la padronanza di sè= "Padronanza" non vuol dire
coercizione o controllo oppressivo, ma equilibrio e capacità di modulazione di sé. L'obiettivo
non è vivere una vita senza passioni, quanto piuttosto vivere emozioni appropriate alle
circostanze. Non è costringerai, ma saper modulare le nostre emozioni.
3. La capacità di automotivarsi= Le emozioni intralciano o potenziano la nostra capacità di
pensare, fare progetti, risolvere conflitti, orientano così il nostro stile di vita e le opportunità
che sapremmo dare o meno a noi stessi. La speranza diventa allora l'arma vincente.
Essa è intesa come la "convinzione di avere sia la volontà che i mezzi per raggiungere i
propri obiettivi".
4. L'empatia= Capacità di entrare in sintonia con gli altri, in modo tale da aumentare la
comprensione delle loro unicità e, quindi, dei loro bisogni e delle loro richieste
5. Le abilità sociali=capacità di interpretare, capire e prevedere il comportamento degli altri.
La capacità di interagire con gli altri è fondamentale sia per la comunicazione con i nostri
pazienti ma anche con i nostri colleghi.
IO REALE IO VIRTUALE
• La definizione della propria identità rappresenta uno dei punti cardine del nostro vivere e
stare nel mondo (relazioni)
• Tale definizione punta ad una congruenza tra identità personale e immagine di sé
• Una eccessiva attenzione all'immagine di sé - intesa come l'immagine che si assume verso
gli altri o che gli altri favoriscono - a scapito dell'identità profonda e personale può essere
pericolosa (dissociazione)
Es: Attraverso giochi siamo curiosi di sapere chi siamo
-La domanda che affiora è? “Chi sei?”
In questa ricerca, possiamo cercare di arrivare alla nostra vera identità... (io reale)
Oppure rimanere impigliati nel rischio di costruire la nostra personalità in base all'immagine
che siamo spinti ad assumere (io virtuale=nei social). Alcune volte l’ “io virtuale” può avere
dei rischi:
rischio di mercificazione
L'impegno serio ad accrescere le proprie conoscenze per costruire il proprio futuro può
essere visto come noioso
Ci può essere una critica all'io costruito sull'immagine, il desiderio di dare valore a ciò che si
è dentro piuttosto che a ciò che appare... però
A volte l'interiorità della persona (io reale) rischia di essere banalizzato proprio dal mondo
➡️
dell'immagine (io virtuale)
L'io virtuale si costruisce e si nutre del giudizio degli altri, delle apparenze e delle
immagini; può trascurare la verità profonda su di sé con le inevitabili menzogne, confusioni e
difficoltà a instaurare relazioni affettive vere.
L'identità vera e profonda - io reale - non sempre riesce a farsi spazio, ma il non darle spazio
crea angosce, insicurezze e dubbi, soprattutto al momento di costruire rapporti veri e
profondi con gli altri.
-Il desiderio di essere amati per quello che si è può venir boicottato e banalizzato
Come se ci fossero quasi 2 principi inconciliabili:
1)o si è profondi, ma poveri e brutti (infelici)
2)oppure superficiali, però ricchi e belli (felici)
Di fronte all'inconciliabilità dei 2 principi, ci si può sentire spinti a rinunciare alla propria
interiorità profonda. Si può sperimentare un attaccamento all'immagine che ci si è costruiti,
che può rappresentare un traguardo obbligatorio, dal quale si dipende e al quale non si
vuole, non si riesce più a rinunciare, anche a costo di tradire principi e valori importanti.
•Quando c'è in gioco l'amore, sentiamo il bisogno di avere un'identità vera: non ci basta
vivere e viverci, ma sentiamo il bisogno di capire chi siamo, la nostra storia (cosa abbiamo
fatto e perché). Di essere amati per quello che siamo.
Talvolta ci possiamo spaventare delle reazioni istintive che percepiamo e che mettiamo in
atto, di fronte alla realtà.
Possiamo sperimentare di non sapere perché reagiamo in certi modi di fronte a certe
situazioni per noi difficili. Oppure possiamo rimanere confusi dalle diverse immagini di noi
stessi che scopriamo di avere o di desiderare. ???
-Qual’è la strada per scoprire chi siamo realmente? L’accettazione, dare un taglio al
narcisismo, di avere dei limiti. La presa di coscienza di ciò che siamo o abbiamo fatto può
essere dura: È invece importante imparare ad accettare e a riflettere sui comportamenti
propri e anche altrui, bisogna assurmersi la responsabilità di avere fatto una cosa negativa.
Accettazione di sè per capire come voglio agire su di me.
La scoperta di ciò che c'è di male dentro di noi o degli errori che abbiamo commesso ci può
fare paura e ci può dispiacere molto. Ma farsi domande del tipo “come sono arrivato a fare
questa cosa?“ può mettere in luce il fondo di bontà che c'è in noi e può spingerci a una
decisone eroica di cambiamento. Questo processo però richiede tempo, coraggio e anche la
disponibilità a cambiare e a farsi aiutare, solo così si riusciranno a costruire emozioni
profonde.
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PERSONALITÀ
Cos’è una personalità? La Personalità è l'insieme delle caratteristiche dell'individuo (che
sono proprie) che definisce e spiega i modelli permanenti del suo modo di sentire, di
pensare e di agire
Secondo le teorie psicodinamiche:
La personalità si riferisce all'insieme dinamico delle caratteristiche psichiche di una persona,
all'organizzazione interiore che fa sì che gli individui agiscano in modo differente di fronte ad
una certa situazione.Può anche definirsi come il modello di atteggiamenti, pensieri,
sentimenti e modalità comportamentali che caratterizzano una persona e che hanno una
certa permanenza e stabilità lungo la sua vita in modo tale che queste reazioni, nelle diverse
situazioni, hanno un certo grado di predittività.
Secondo la psicoanalisi:
Il comportamento di una persona, che permette di capire la sua personalità, è il risultato di
forze psicologiche (Es, Io, Super-Io)
che agiscono all'interno del soggetto e che in genere non sono coscienti (Morris y Maisto,
2005).
Tra queste forze si genererebbero dei conflitti occulti e incoscienti che in qualche modo sono
la definizione della personalità.
Prospettiva cognitivista della personalità:
La personalità è il risultato (inferenza o deduzione) di alcune operazioni mentali:
- costruire un'immagine di sé= es:personalità depressa che ha un immagine di sè negativa,
il suo mondo sarà difficile e sarà portata a stare dentro casa, non avrà relazioni con gli altri,
non trova soluzioni ai problemi che la vita gli pone.
- dare un senso al mondo
- agire
A seconda della tipologia di attaccamento/ relazione che si crea, il bambino può sviluppare
un modo specifico di vedere se stesso, di porgersi verso gli altri e un modo particolare di
vedere gli altri.
-Come faccio a dire quale attaccamento ha il bambino? La prima studiosa delle differenze
individuali nell’attaccamento fu Mary Ainsworth che, osservando l’interazione fra madre e
bambino ha classificato il comportamento del piccolo in alcune categorie principali (distacco
e ricongiungimento).
-Se il bambino ha un attaccamento sicuro= il bambino piange ma è consolabile, si
rasserena,esplora il mondo che gli sta attorno. Quando la madre torna il bambino è felice e
abbraccia la madre.
-Con l’attaccamento di tipo ambivalente e resistente= il bambino non ha modo di
tranquillizzarsi,è ansioso,preoccupato, piange per l’abbandono e quando torna la madre
manifesta il suo disappunto per essere stato abbandonato
-Con l’attaccamento insicuro-evitante = il bambino si fa i fatti suoi, non da confidenza agli
altri e quando torna la madre le è indifferente
-Con l’attaccamento disorganizzato= è il più problematico e che può portare a problemi
psichiatrici. Il bambino non gestisce l’impulsività, è imprevedibile, è minaccioso.
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Nella costruzione dell’immagine di sè contribuiscono:
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Relazionarmi con gli altri
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Agire
⏺️
Dare significato al mondo
Trovare soluzioni ai problemi posti dall’ambiente
Attraverso i modelli operativi interni il bambino può prefigurarsi il comportamento e
pianificare le proprie risposte.
IN FINE=
1. La personalità è l'insieme delle caratteristiche dell'individuo che definiscono e spiegano le
modalità permanenti del suo modo di sentire,
pensare e agire
2. Molti elementi (il substrato neurobiologico, i processi psicologici acquisiti e l'atmosfera
esistenziale) concorrono alla complessa
configurazione della personalità
3. La teoria dell'attaccamento è una teoria molto accreditata per individuare gli stili di
personalità, i modi di concepire se stessi, gli altri e le capacità di trovare soluzione ai
problemi
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-La relazione d’aiuto= è obliqua e non paritaria,ovvero le persone coinvolte non sono sullo
stesso livello visto che uno ha bisogno di aiuto e l’altro aiuta. La relazione d’aiuto richiede di
voler e saper aiutare e allo stesso tempo richiede una conoscenza metacognitiva del saper e
voler aiutare.
fare che l’altro voglia essere aiutato= per non sentirsi umiliato, è importante che l’altra
persona esprime con libertà i propri bisogni.
aiutare l’altro come l’altro vuole essere aiutato= es: chiedere al paziente come preferisce
alzarsi
permettere all’altro di restituire l’aiuto ricevuto= accogliere la gratitudine
-Che cosa richiede una relazione d’aiuto? Essere aperti nei confronti delle esigenze degli
altri e soprattutto la disponibilità ad ascoltare= questo farà in modo che il paziente avrà
piacere ad averci vicino per raccontarci le cose.
L’ascolto= E’ una dimensione autentica, è il primo momento fondamentale della relazione
d’aiuto e del curare. Qual’è il fine dell’ascolto?
1) Comprendere cosa fa soffrire il paziente
2) Permettere al paziente di comprendere che ci stiamo facendo carico di lui come
persona con un nostro impegno personale competente= estremamente importante, il
paziente senza ascolto penserà che non gli importi di lui
3) Rafforzare la compliance=quando il paziente segue la terapia(educazione
terapeutica) che gli diamo, segue le nostre indicazioni,e il fatto che noi lo ascoltiamo
lo aiuta a prendere più sul serio quello che diciamo) nel paziente per aiutarlo ad
aiutarsi= se il paziente si sente ascoltato penserà che l’Infermiere ha capito il suo
problema e quindi si farà curare e seguirà la terapia.
4) Restituire alla persona la maggiore autonomia e il maggior benessere possibile= se
io ascolto il paziente riuscirò anche a capire cos’è in grado di fare da solo e quindi
riuscirò a restituire al paziente la maggiore autonomia possibile e il maggior
benessere possibile.
-La qualità d’ascolto determina la qualità della relazione= solo se il malato lo lasciamo
parlare più o dirci cose veramente importante e solo cosìì ci sarà fiducia reciproca. Se non lo
ascoltiamo possiamo perderci dei pezzi che non ci permettono nè di dare giuste indicazioni
e nè di riuscire a dare diagnosi corrette e neanche di riuscire a dare giuste indicazioni per
quando tornerà a casa.
E’ quindi importante avere una motivazione profonda,è facile quindi interpretare male la
motivazione,in quanto non è semplice che noi stessi identifichiamo, o che gli altri
comprendano, le motivazioni che spingono a prendersi cura di chi è bisognoso.
Quando il lavoro che dobbiamo fare è impegnativo dal punto di vista sia tecnico che pratico
è chiaro che è più difficile andare avanti nel lavoro che stiamo facendo ed è più facile che
nascono delle conflittualità.
Il carico emotivo per prendersi cura può spingersi indietro perchè prendersi cura degli altri
può fare paura, perché ce la necessità di rinunciare a a qualcosa di proprio.
Quali sono delle strategie che possono migliorare la relazione de’aiuto e l’azione di cura?
3)Strategie che migliorano le capacità relazionali degli gli altri, per il quale:
- Suscitare nell’altro il piacere di essere ascoltato, accolto, compreso
- Collgeato con l’empatia, ovvero le capacità metacognitive, non solo sintonizzarsi ma anche
leggere la mente dell’altra persona e invece di giudicarla chiedermi “perché fa così?”.
Aiutare l’altro a riconoscere, validare e valorizzare i suoi bisogni.
- Sollecitare nell’altro la richiesta d’aiuto
- Cura delle relazioni tra i diversi operatori, quindi l’interazione tra i vari operatori che è bene
che intervengano in modo integrato e proprio questo sarà una vera sfida.
-Suscitare nelle altre persone il desiderio di essere curato, accolto e compreso.
-Fare in modo che l’altra persona chieda aiuto (es: per qualsiasi cosa mi chieda oppure
suoni il campanello), molte volte il rischio è di fare esattamente il contrario.
-Incoraggiare l’altro ad un atteggiamento che sia di collaborazione e trovare il modo per
aiutare l’altra persona ad aver voglia di cambiare. Molte volte lem cure che noi dobbiamo
fare sono fonte anche loro di dolore e quindi vanno capiti, compresi e identificati quelli che
sono i tempi (di adattamento e comprensione) dei nostri pazienti.
E’ sempre importante il rispetto profondo da avere nei confronti dell’altra persona, e a volte
si crea il rischio di aiutare umiliando.
Dobbiamo resistiture dignità alla persona malata. E soprattutto la ricerca fondamentale del
senso profondo del prendersi cura=Cercando un fine, un senso e significato al nostro agire,
ai nostri comportamenti. Difronte ad una difficoltà, ad una situazione molto impegnativa ci
può essere la voglia di andarsene, ma può trattenerci proprio una motivazione più profonda.
Quindi qual’è il fine? Andare sempre incontro ai bisogni dell’altro e quindi cercare e trovare
un SENSO. L’atteggiamento di aiuto, di prendersi cura di chi ha bisogno riempié di amore la
propria esistenza, cioè aiuta a capire di donare qualcosa agli altri= ciò che da senso alla
nostra vita.