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CHE COS’E’ L’ANALISI

TRASNAZIONALE? (CAP 1)

 E’ una teoria della personalità e una psicoterapia sistematica ai fini della crescita e del cambiamento.
 Fornisce un quadro di come siamo strutturati dal punto di vista psicologico. A questo fine utilizza un modello in 3 parti (modello degli
stati dell’Io) che ci aiuta a capire come funzioniamo, come esprimiamo la nostra personalità in termini di comportamento.
 Fornisce anche una teoria della comunicazione che può essere estesa fino a fornire un metodo di analisi dei sistemi e delle
organizzazioni.
 Offre inoltre una teoria dello sviluppo infantile. Il concetto di copione spiega come gli schemi di vita attuali abbiano origine
nell’infanzia. L’A.T. elabora spiegazioni di come nella nostra vita di adulti noi continuamente riproponiamo delle strategie infantili anche
quando esse generano risultati autolesionisti o dolorosi. Così l’A.T. ci propone una teoria della psicopatologia.
 Nel campo delle applicazioni pratiche ci fornisce un sistema di psicoterapia. Esso è utilizzato nel trattamento dei disturbi psicologici di
ogni tipo, dai problemi della vita di ogni giorno alle psicosi gravi. Ci dà inoltre un metodo di terapia individuale, di gruppo, di coppia e
familiare.
 Al di fuori del campo della terapia, l’A.T. è utilizzata nei contesti educativi,tra insegnanti e alunni ed è particolarmente adatta a essere
impegnata nel counseling.
 L’A.T. è pure un potente strumento n ell’addestramento alla direzione e alla comunicazione, nonché
nell’analisi delle organizzazioni.
 E’ impiegata dagli a.s., nella polizia e nei tribunali, nonché nei sacerdoti.
 Può essere utilizzata in qualsiasi campo in cui vi sia necessità di capire le persone, i rapporti e la comunicazione.
Il modello degli stati dell’Io (modello GAB)

Il concetto più fondamentale è il m odello degli stati dell’Io. Uno stato dell’Io è un insieme di comportamenti,
pensieri ed emozioni tra loro collegati. E’ un modo attraverso il quale noi manifestiamo una parte della nostra
personalità in un dato momento.

Secondo questo modello, ci sono 3 stati dell’Io distinti.

1) S io mi comporto, penso e sento in relazione a ciò che sta avvenendo intorno a me qui ed ora, utilizzando tutte le risorse a mia
disposizione quale persona adulta, si dice che sono nello stato dell’Io Adulto.
2) Se mi comporto, penso e sento in modi che sono una copia di quelli dei miei genitori, o di altre persone che sono state per me delle
figure genitoriali, sono nello stato dell’Io Genitore.
3) Se torno a modi di comportamento, di pensiero e di emozione che utilizzavo quando ero bambino sono nello stato dell’Io Bambino.
L’Io è spesso indicato come “modello GAB”. Quando ricorriamo al modello degli stati dell’Io per capire gli
svariati aspetti della personalità, si dice che stiamo effettuando u n’analisi strutturale.

Transazioni, carezze, strutturazione del tempo

Quando comunico posso scegliere di rivolgermi da uno qualsiasi dei miei tre stati dell’Io. Questo scambio di comunicazioni è noto col
termine di transazione. La transazione duplice è quella in cui sono implicati i 4 stati d ell’Io.

L’impiego del modello degli stati dell’Io per analizzare sequenze di transizioni è chiamato analisi transazionale in senso stretto. Quando
effettuiamo delle transazioni, io segnalo un riconoscimento di voi e voi mi inviate questo riconoscimento. Nel linguaggio dell’A.T.
qualsiasi atto di riconoscimento è chiamato una carezza. Noi abbiamo bisogno di carezze per mantenere il nostro benessere fisico e
psichico. Quando effettuano delle transazioni in gruppi o in coppie, le persone impiegano il tempo in svariati specifici modi che possono
essere elencati e analizzati, E’ quella che chiamiamo l ’anali sella strutturazione del tempo.

Il copione
Ciascuno di noi nell’infanzia scrive una storia di vita per se stesso. Ha un inizio, un proseguimento e una fine. All’età di 7 anni sarà quasi
completamente scritta. Potremo rivederla ulteriormente durante l’adolescenza. Da adulti non siamo più consapevoli della storia di vita
che abbiamo scritto per noi. Tuttavia è molto facile che la seguiremo fedelmente: senza esserne consapevoli imposteremo la nostra vita
in modo da avvicinarci sempre più alla scena finale che da bambini abbiamo deciso di vivere.

Questa storia di vita a livello inconsapevole nell’A.T. prende il nome di copione. Insieme al modello degli stati dell’Io il concetto di copione
costituisce un elemento fondamentale dell’A.T. E’ particolarmente importante nelle applicazioni psicoterapeutiche. Nell’analisi del
copione utilizziamo il concetto di copione di vita per capire come le persone possano, senza saperlo, crearsi dei problemi e come
possano indirizzarsi a risolverli.

Svalutazione, ridefinizione, simbiosi

Il bambino piccolo sceglie un dato copione perché rappresenta la strategia migliore che egli possa elaborare per sopravvivere e adattarsi
in quello che spesso sembra un modo ostile. Nello stato dell’Io bambino può avvenire che tuttora siamo convinti che qualsiasi minaccia
alla nostra immagine infantile sia una minaccia alla soddisfazione dei nostri bisogni. Così può darsi che talvolta distorciamo la nostra
percezione della realtà affinché collimi con nostro copione, cioè stiamo facendo una ridefinizione. Essa è una distorsione della
percezione della realtà in modo da adeguarla al copione.
Un modo di garantirci che il mondo sembri adeguarsi al nostro copione è quello di ignorare le informazioni di cui disponiamo in una data
situazione. Senza intento consapevole, cancelliamo quegli aspetti della situazione che contraddirebbero il nostro copione, cioè facciamo
una svalutazione. Essa può indicare la p resenza di una contaminazione e un’esclusione.
 Per mantenere valido il nostro copione può avvenire che talvolta da adulti entriamo in rapporti che ri-propongono quelli che
avemmo con i nostri genitori quando eravamo bambini, senza esserne consapevoli. In questa situazione uno dei partner del rapporto
impersona il ruolo di Genitore e di Adulto, mentre l’altro si comporta da Bambino. Un rapporto di questo genere è chiamato Simbiosi.
Nella simbiosi di secondo ordine i l rapporto simbiotico si manifesta tra G1 e A1 di una persona e B1 di un’altrapersona.
I racket, i buoni premio e i giochi
Da bambini può avvenire che ci accorgiamo che nella nostra famiglia certe emozioni sono approvate mentre altre sono proibite. Per
ottenere carezze può darsi che decidiamo di sentire solo ciò che è permesso, e questa decisione è presa senza che ve ne sia
consapevolezza. Quando nella vita adulta dipaniamo il nostro copione, continuiamo a nascondere le nostre emozioni autentiche con
quelle che ci furono permesse da bambini. Queste emozioni sostitutive vengono chiamate emozioni parassite. Il racket è un insieme di
comportamenti di copione non consapevoli usati per manipolare l’ambiente e che implicano il provare un’emozione parassita. Il
racketering è la modalità attraverso cui un individuo cerca carezze per nutrire le proprie emozioni passite.
Se proviamo un’emozione parassita e la teniamo nascosta, diciamo che stiamo raccogliendo un buon premio. Un gioco è una sequenza
ripetitiva di transazioni nella quali entrambe le parti finiscono col provare emozioni parassite. In un gioco troviamo sempre un momento
di scambio, cioè una frazione di secondo in cui i giocatori avvertono che è successo qualcosa di inaspettato e di spiacevole. I giochi sono
transazioni ulteriori che c onducono a un tornaconto ben definito. I giochi iniziano con un’emozione parassita?

Autonomia
Per realizzare il nostro pieno potenziale di adulti dobbiamo aggiornare quelle strategie per affrontare la vita che decidemmo di
utilizzare da bambini. Quando scopriamo che queste strategie non funzionano più per noi, dobbiamo sostituirle con nuove strategie
che funzionino. Dobbiamo uscire dal nostro copione e raggiungere l ’autonomia. Gli strumenti dell’A.T. sono intesi ad aiutare le
persone a raggiungere questa autonomia. Le sue componenti sono la consapevolezza, la spontaneità nonché l’intimità. Questo
implica la capacità di risolvere i problemi utilizzando le piene risorse adulte della persona.
La filosofia dell’A.T.
Gli assunti filosofici sono:
- Ognuno è ok
- Ognuno ha la capacità di pensare
- Ognuno decide il proprio destino, e queste decisioni possono essere cambiate.
Da questi assunti seguono due principi fondamentali della pratica dell’A.T.:

- Il metodo contrattuale
- La comunicazione aperta
1) Ognuno è ok
Questo assunto significa che voi ed io siamo entrambi dotati di valore e dignità in quanto persone. Io accetto me stesso in quanto me e
accetto te in quanto te. Questa è affermazione sulle’essenza più che sul comportamento.

Talvolta può darsi che io non accetti quello che tu fai, ma sempre accetto quello che tu sei. La tua essenza di essere umano è ok per me,
anche se il tuo comportamento può non esserlo. Siamo sullo stesso livello, in quanto esseri umani. Questo vale anche se i nostri risultati
possono essere diversi. E’ vero anche se siamo di razza, di età o di religione diverse.

2) Ognuno ha la capacità di pensare


Ognuno, a eccezione di chi ha subito un grave danno cerebrale, ha la capacità di pensare. Pertanto è responsabile di ciascuno di noi
decidere cosa vogliamo dalla vita. Ognuno vivrà portandosi dietro le conseguenze di ciò che ha deciso.

3) Il modello decisionale
Sia tu che io siamo ok. Può darsi che talvolta mettiamo in atto un comportamento non ok. Quando ciò avviene, significa che stiamo
seguendo delle strategie che abbiano deciso da bambini per sopravvivere ed ottenere quello che volevamo da un mondo che poteva
sembrarci ostile. Da adulti, talvolta seguiamo questi stessi modelli anche se i risultati sono controproducenti o addirittura dolorosi per
noi. Certamente i genitori potevano esercitare forti pressioni su di noi, ma fummo noi a decidere se volevamo adeguarci a quelle
pressioni, ribellarci a esse o ignorarle. Per noi adulti vale la stessa cosa. Nessuno può costringerci a comportarci in modi particolare, né
gli altri né l’ambiente. Gli altri, o le circostanze della nostra vita, possono certo esercitare una forte pressione su di noi, ma è sempre una
nostra decisione adeguarci a queste pressioni. Siamo noi i responsabili delle nostre emozioni e del nostro comportamento.
Ogniqualvolta prendiamo una decisione, possiamo cambiarla e sostituirla con nuove decisioni più adeguate. Questo cambiamento lo
otteniamo attraverso la decisione attiva di cambiare questi schemi; e i cambiamenti che effettuiamo possono essere reali e duraturi.

1) Il metodo contrattuale
Se siete un analista di A.T. e io il vostro cliente, noi ci assumiamo la responsabilità congiunta di raggiungere qualsiasi cambiamento io
voglia ottenere. Questo discende dall’assunto che voi e io ci rapportiamo su termini di parità. Tu non puoi fare delle cose a me, né io
posso venire da te con l’aspettativa che tu farai tutto per me. Dato che entrambi partecipiamo al processo di cambiamento, è
importante che entrambi sappiamo chiaramente come saranno divisi i compiti. Ecco perché stipuliamo un contratto. Questo
rappresenta un’affermazione di responsabilità da parte di entrambi. In quanto paziente, io affermo di voler cambiare e dico sono
disposto a fare per portare in essere questo cambiamento. Tu, in quanto analista, mi confermi di essere disposto a lavorare con me a
questo fine. Ti impegni a usare il meglio delle tue capacità professionali a questo fine, e mi dici che ricompensa vuoi in cambio del tuo
lavoro.

2) Comunicazione aperta
Eric Berne insisteva sul fatto che il paziente oltreché l’analista dovessero disporre di piene informazioni su cosa stava avvenendo nel loro
lavoro congiunto. Questo discende dall’assunto di base che ognuno è ok e che ognuno ha la capacità di pensare. Nella pratica dell’A.T gli
appunti su un caso clinico sono a disposizione del paziente. L’analista sprona il paziente a imparare le idee dell’A.T, così il paziente può
assumere un ruolo di parità nel processo di cambiamento. Per favorire la comunicazione le idee dell’A.T. sono espresse in un linguaggio
semplice. Alcuni pensano che questo linguaggio così diretto debba rispecchiare un pensiero superficiale, ma si sbagliano: benché il
linguaggio dell’A.T. sia semplice, la sua teoria è profonda e frutto di rigorosi ragionamenti.

IL MODELLO DEGLI STATI DELL’IO (CAP2)

I modelli dello stato dell’Io sono 3 modi diversi di essere nel mondo, ciascuno dei quali consiste in un insieme di comportamenti, pensieri
ed emozioni. Se mettiamo insieme i 3 stati dell’Io otteniamo il modello tripartito
della personalità chiamato m odello degli stati dell’Io. Il diagramma nel quale i 3 cerchi che rappresentano gli
stati dell’io non sono suddivisi, è chiamato diagramma strutturale di primo ordine. Il processo di analisi della
personalità in termini di stati dell’Io è chiamato analisi strutturale.
Stato dell’Io Genitore: comportamenti, pensieri ed emozioni copiati dai genitori o dalle figure genitoriali

Stato dell’Io Adulto: comportamenti, pensieri ed emozioni che sono una risposta diretta al qui-e-ora

Stato dell’Io Bambino: comportamenti, pensieri ed emozioni riproposto dall’infanzia

Può darsi che nelle occasioni in cui siamo nell’Adulto riusciamo a elencare comportamenti e pensieri ma non emozioni. Per gran parte del
tempo noi affrontiamo efficacemente la realtà del qui-e-ora senza provare emozioni. Tuttavia quando siamo nell’Adulto possiamo
talvolta provare emozioni. Le emozioni dell’Adulto sono adeguate come modo di affrontare la situazione immediata.

Per una personalità sana ed equilibrata noi abbiamo bisogno di tutti e 3 i nostri stati dell’Io. Abbiamo bisogno dell’Adulto per la soluzione
dei problemi del qui-e-ora, che ci permette di affrontare la vita in modo competente ed efficace. Per adeguarci bene alla società
abbiamo bisogno dell’insieme di regole che portiamo in noi nel nostro Genitore. Nello stato dell’Io Bambino, infine, abbiamo
nuovamente accesso a quella spontaneità, a quella creatività e a quel potere intuitivo che avevamo nell’infanzia.

Definizione degli stati dell’Io

Eric Berne ha definito uno stato dell’Io come uno schema uniforme di sensazioni e di esperienza direttamente collegato a un
corrispondente schema uniforme di comportamento.

Berne dice che ciascuno stato dell’Io è definito da una combinazione di emozioni e di esperienza che si verificano uniformemente insieme.
Dice inoltre che i comportamenti tipici di ciascuno stato dell’Io compaiono uniformemente insieme. Quando sono in contatto con
emozioni ed esperienze che definiscono un particolare stato dell’Io, esibirò anche i comportamenti che definiscono quello stesso stato
dell’Io.

La cosa importante del modello degli stati dell’Io è che ci permette di effettuare affidabili collegamenti di
questo genere tra comportamento, esperienza ed emozioni.

Stato dell’Io e Super-Io, Io ed Es

La divisione tripartita della personalità nel modello degli stati dell’Io ci ricorda un altro famoso modello
tripartito, quello di Sigmund Freud, che suggerì l’esistenza di 3 “entità psichiche”: il Super-Io, l’Io e l’ES.

I due modelli sono simili; il Genitore assomiglia proprio al Super-Io che emette giudizi, e che “osserva, ordina, corregge, minaccia”;
l’Adulto ha molte somiglianze con l’Io che effettua un esame di realtà, e il Bambino sembra proprio assomigliare all’Es, deposito degli
istinti e delle pulsioni non censurati. La rassomiglianza non è sorprendente, dato che Berne inizialmente ricevette una formazione da
analista freudiano. Nei suoi primi scritti Berne ha tenuto molto a sottolineare le differenze tra il suo modello e quello di Freud.

1) Gli stati dell’Io Genitore, Adulto e Bambino sono ciascuno definiti in termini di segni comportamentali osservabili. All’opposto il
Super-Io, l’Io e l’Es sono concetti puramente teorici.
2) Gli stati dell’Io si riferiscono a persone con specifiche identità, mentre le 3 entità psichiche freudiane sono generalizzate. Quando una
persona è nello stato dell’Io Genitore non sta semplicemente agendo in modo genericamente “Genitoriale”, sta riproponendo i
comportamenti, le emozioni e i pensieri di uno dei suoi genitori o figure genitoriali.
3) Berne ha fatto notare che la persona che è nel Genitore riprodurrà il “comportamento totale, ivi compresi le inibizioni, il
ragionamento e gli impulsi dei suoi genitori”. Berne ha costruito sul modello freudiano adottando l’idea di Paul Federn di stati dell’Io,
vale a dire di stati distinti nei quali l’Io si manifesta in un dato momento. Li ha poi classificati in 3 stati dell’Io, osservabili dal punto di
vista comportamentale, che ha chiamato Genitore, Adulto e Bambino.
Il modello freudiano e il modello degli stati dell’Io non sono la stessa cosa, e nemmeno sono due cose
contraddittorie. Sono semplicemente modi diversi di definire la personalità.

Gli stati dell’Io sono nomi, non cose

Uno stato dell’Io non lo si può pensare né toccare. Non lo si può individuare in nessuna particolare sede del
corpo o del cervello. Questo perché lo stato dell’Io non è una cosa.

E’ invece un nome, nome che usiamo per descrivere un insieme di fenomeni, vale a dire un insieme di emozioni, pensieri e
comportamenti tra loro collegati. Allo stesso modo il Genitore, l’Adulto e il Bambino non sono cose, sono nomi. Ci serviamo di queste
parole come di etichette per distinguere i 3 diversi insiemi di emozioni-pensieri.comportamenti .

Il modello ipersemplificato

Nella metà degli anni ’70, l’A.T. è diventata in parte una “psicologia popolare”. E’ divenuta corrente una versione ipersemplificata del
modello degli stati dell’Io, un modello volgarizzato tuttora presente che è stato alla base di infiniti malintesi, sia tra i professionisti che
praticano l’A.T. che in altri campi.

Che cosa dice il modello ipersemplificato?

Quando penso, sono nell’Adulto, quando provo emozioni, sono nel Bambino, quando emetto giudizi di valore sono nel Genitore. Il fatto è
che certe rassomiglianze ci sono. Il modello ipersemplificato presenta alcune delle caratteristiche tipiche di ciascuno stato dell’Io, ma
tralascia altre caratteristiche che sono essenziali per il modello.
Quando sono nello stato dell’Io Adulto, reagisco al qui-e ora con tutte le risorse a me disponibili come persona adulta. Questo di solito
comporta un qualche tipo di problem-solving, ed è probabile che io mi accorga di stare pensando. Se entro nel Bambino, comincio a
rivivere comportamenti, emozioni e pensieri della mia infanzia e scoprirò che sto provando emozioni. Quando sono nel genitore, sto
copiando i miei comportamenti, i miei pensieri e le mie emozioni da un genitore o da una figura genitoriale, come quella persona mi
appariva nella prima infanzia, emetto giudizi su ciò che deve e non deve essere.

Ma questi segnali manifesti di uno stato dell’Io sono ben lontani dal darci una piena descrizione di ciascuno degli stati dell’Io. Il modello
ipersemplificato omette completamente di dire che io posso pensare e provare emozioni ed emettere giudizi a partire da qualsiasi stato
dell’Io.

Una lacuna ancor più grave del modello ipersemplificato è che non dice niente riguardo alla dimensione t emporale degli stati dell’Io.
Berne ha più e più volte sottolineato che Genitore e Bambino sono degli echi del passato, della mia infanzia.

ANALISI FUNZIONALE DEGLI STATI DELL’IO (CAP 3)

- Il modello strutturale studia che cosa c’è in ciascuno stato dell’Io.


- Il modello funzinale suddivide invece i vari stati dell’Io per permetterci di vedere in che modo li utilizziamo.
Pertanto il m. strutturale si interessa del contenuto degli stati dell’Io. Mentre il m. funzionale si interessa del
loro processo.

STRUTTURA = CHE COSA = CONTENUTO FUNZIONE =IN CHE MODO = PROCESSO

Genitore normativo Genitore Affettivo

Adulto

Bambino Adattato Bambino libero

Bambino Adattato e Bambino libero


Nello stato Bambino mi comporto, penso e provo emozioni proprio come facevo nell’Infanzia; mi adattavo
alle esigenze dei genitori o delle figure genitoriali.

Adesso che sono adulto spesso ripropongo questi modi di comportarmi che da bambino avevo deciso per adeguarmi a quello che i miei
genitori si aspettavano da me. Quando lo faccio, si dice che sono nella parte del Bambino Adattato del mio stato dell’Io Bambino.

C’erano altre volte, quand’ero bambino, in cui mi ribellavo alle regole che i genitori sembravano aver fissato per me. Nella mia vita da
adulto può darsi che tuttora mi ribelli in modi simili a questi. Molto spesso forse non sono consapevole del fatto che il mio
comportamento è una ribellione. Quando metto in atto questo tipo di ribellione sto reagendo ancora alle regole infantili; si dice
pertanto che sono ancora nello stato d ell’Io Bambino Adattato.

Alcuni dei primi autori di A.T. hanno considerato la ribellione come risiedente in un comportamento a sé
dello stato dell’Io, che hanno chiamato Bambino Ribelle.

C’erano volte, quand’ero bambino, in cui mi comportavo in modi che erano autonomi rispetto alle pressioni dei genitori. In quelle
occasioni non mi stavo né adattando alle aspettative dei genitori, né ribellando a esse; mi stavo semplicemente comportando come
volevo io. Quando da adulto, sono nello stato dell’Io Bambino, può darsi che talvolta mi comporti in questi modi infantili non censurati.
In queste occasioni si dice che sono nella parte del Bambino Libero del mio stato Bambino. Talvolta per riferirsi a questa parte dell’Io si
usa la dizione alternativa di Bambino Naturale. Dunque nel modello funzionale lo stato dell’Io Bambino si suddivide nel Bambino
Adattato e nel Bambino Libero.

Il Bambino Adattato positivo e negativo

Da grandi noi tutti siamo nel Bambino Adattato per gran parte del tempo. Ci sono migliaia di regole che seguiamo su come vivere ed
essere accettati nel mondo. Nella vita di tutti i giorni pensiamo consapevolmente a queste regole prima di decidere di seguirle. Quando
sono a tavola e voglio le verdure le chiedo per favore. Riproponendo questi schemi di adeguamento alle regole spesso otteniamo quello
che vogliamo senza disagio per noi stessi e per gli altri. Questi modi produttivi di comportarci sono nell’Io Bambino Adattato positivo o
Bambino Adattato OK.

All’opposto si dice che siamo nel nostro Bambino Adattato negativo (o non ok) quando riproponiamo degli schemi infantili di
comportamento che non sono più adeguati alla nostra situazione di adulti. Un obiettivo del cambiamento personale nell’A.T è di
sostituire questi schemi vecchi e non più produttivi con nuovi schemi che facciano pieno utilizzo delle nostre opzioni di persone adulte.

Il Bambino Libero positivo e negativo

Anche i comportamenti del Bambino Libero possono essere classificati come positivi (OK) o negativi (non- OK). Dire che sono nel
Bambino Libero significa che sto mettendo in atto comportamenti derivanti dalla mia infanzia che non prestano attenzione alle
regole o ai limiti genitoriali. Talvolta questi comportamenti possono essere produttivi e accrescitivi per me come adulto, cosicché li
classifichiamo come positivi. Per esempio il caso in cui da Bambino si decide di adattarsi ai genitori non mostrando mai la propria
rabbia. Nella vita adulta può darsi che si sia entrati in depressione o che il corpo sia teso. Poi, magari nel corso di una terapia, si
decide di esprimere tutta la rabbia.
Allo stesso modo molti di noi raggiungono la vita adulta tendendosi ancora dentro sensazioni inespresse di dolore, di paura o di desiderio
del contatto fisico proprie del Bambino. Quando esprimiamo queste emozioni in una situazione sicura mettiamo in atto un
comportamento da Bambino Libero positivo.

Ci sono altre volte in cui il comportamento da Bambino Libero sia chiaramente negativo, come per esempio guidare una motocicletta a
piena velocità lungo una strada trafficata, mettendo a repentaglio la vita mia e quella degli altri.

Il Genitore Normativo e il Genitore Affettivo

Molto spesso da Bambini i genitori dicono cosa fare, controllandoci o criticandoci. Quando ci comportiamo in modi che copiano i nostri
genitori in questo ruolo, si dice che si è nel Genitore Normativo o Genitore Critico. A

Altre volte i genitori sono affettuosi o si prendono cura di noi. Quando riproponiamo i comportamenti che i nostri genitori esibivano
quando si prendevano cura di noi si dice che siamo nel Genitore Affettivo.

Genitore Normativo e Affettivo positivo e negativo

Alcuni autori di A.T. fanno distinzione tra le suddivisioni positive e negative in ciascuna di queste parti del Genitore. Siamo nel G.
Normativo positivo quando le nostre direttive genitoriali agli altri mirano autenticamente a proteggerli o a promuovere il loro
benessere. (es quando un medico dice al paziente:smetta di fumare).

Con il termine di G. Normativo negativo si definiscono quei comportamenti genitoriali che comportano una
sminuizione (svalutazione) dell’altro. (Per es. il capo che urla alla segretaria: hai fatto di nuovo un errore!)

Il G. Affettivo positivo comporta un prendersi cura degli altri che deriva da una posizione di autentico rispetto per la persona aiutata.

Il G. Affettivo negativo significa dare aiuto da una posizione di superiorità che svaluta l’altro.

L’Adulto

Nel modello funzionale l’Adulto di solito non è suddiviso. Classifichiamo come comportamento da Adulto qualsiasi comportamento che
sia in risposta alla situazione qui-e-ora utilizzando tutte le risorse di aiuto della persona.

Se voglio dire quale parte dello stato dell’Io state utilizzando devo giudicarvi a partire dal vostro comportamento: ecco perché queste
suddivisioni funzionali possono anche essere chiamate tali. descrizioni comportamentali.

Gli egogrammi

Jack Dusay ha escogitato un modo per vedere quanto sia importante ciascuna di queste parti funzionali degli
stati dell’Io nella nostra personalità attraverso l’egogramma.

Vi si scrivono i nomi delle cinque principali parti funzionali degli stati dell’Io. L’idea è di tracciare una barretta al di sopra di ciascuno stato
dell’Io. L’altezza della barretta è proporzionale al tempo in cui si utilizza quella parte di funzione.

Il principio della costanza

Jack Dusay ha avanzato l’idea di un principio della costanza: “quando uno stato dell’Io si accresce d’intensità, un altro o più di uno devono
decrescere per compensarlo. Il cambiamento di energia psichica è tale che la quantità di energia possa rimanere costante”. Il modo
migliore per cambiare il mio egogramma, dice Dusay, è di applicarmi ad accrescere quella parte di cui voglia avere di più.

IL MODELLO STRUTTURALE DI SECONDO ORDINE (CAP 4)

Analizza che cosa gli stati dell’Io hanno in sé, il loro contenuto.

Ognuno ha dei ricordi del proprio passato, e alcuni di essi possono essere facilmente riportati alla consapevolezza, mentre altri sono più
difficili da recuperare: in particolare i ricordi della prima infanzia possono riaffiorare solo nei sogni e nelle fantasie.

Scopo del modello strutturale di secondo ordine è classificare in modo utile questi ricordi all’interno dell’ormai familiare quadro di
riferimento degli stati dell’Io.

Si può considerare il modello strutturale di secondo ordine una specie di sistema di archiviazione.

Grazie al sistema di archiviazione l’uomo d’affari può organizzare le sue carte in un modo che gli torna utile nella sua attività. Allo stesso
modo, l’analista di A.T. utilizza il modello strutturale di secondo ordine per archiviare le tracce mnemoniche dei pensieri, delle emozioni
e dei comportamenti di una persona in un modo che gli risulti utile a capire la personalità del paziente attraverso l’analisi strutturale.

Da bambini noi riceviamo dei messaggi dai genitori. Rispetto ad ogni messaggio che riceviamo abbiamo un certo modo di pensare e
formiamo certe fantasie. Proviamo emozioni relative a questo messaggio, e prendiamo decisioni su cosa faremo in risposta a esso.
Inoltre può darsi che i nostri genitori ci diano delle ragioni del perché il messaggio è importante. Possono trasmetterci emozioni che
implicano un messaggio nascosto oltre a quello che stanno convogliando a livello manifesto.

Nel modello strutturale di secondo ordine:

 I messaggi che abbiamo ricevuto dai nostri genitori o dalle figure genitoriali sono archiviati in G3.
 Le ragioni che essi ci hanno dato per spiegare perché questi messaggi sono importanti vengono registrati in A3.
 Qualsiasi implicazione segreta o nascosta è immagazzinata in B3.
 I nostri pensieri riguardo ai messaggi ricevuti divengono parte del contenuto del nostro A2.
 Le nostre fantasie su cosa sarebbe successo se non avessimo seguito questi messaggi diviene parte di G1.
 Le emozioni che proviamo in risposta alle nostre fantasie sono immagazzinate in B1.
 La nostra prima decisione riguardo a cosa faremo proviene da A1. Modello strutturale di secondo ordine

Genitore (G22)

Adulto (A2)

Bambino (B2)

Struttura di secondo ordine: il Genitore (G2)

Per stato dell’Io Genitore intendiamo tutto l’insieme di pensieri, emozioni e comportamenti che abbiamo
copiato dai genitori e dalle figure genitoriali. Nel m. strutturale il contenuto del Genitore è definito come

l’insieme delle tracce mnemoniche di questi pensieri, emozioni e comportamenti genitoriali. In un linguaggio formale diciamo che sono
delle introiezioni genitoriali. Introiettare una cosa è come inghiottirla invece di masticarla e digerirla, ed è ciò che tipicamente fanno i
bambini riguardo ai modelli genitoriali.
Un bambino vive per gran parte del tempo i propri genitori come fonti di comando e di definizione del mondo. Ciascuna delle figure
genitoriali ha uno stato dell’Io Genitore, Adulto, Bambino; tutto lo stato dell’Io Genitore
è convenzionalmente chiamato G2. Genitore nel Genitore (G3)
Mio padre aveva tutto un insieme di slogan e comandi che aveva introiettato dai suoi genitori. Alcuni di questi li ha trasmessi a me, e io li
ho immagazzinati nel mio Genitore, insieme a quelli che ho preso da mia madre. In questo modo il Genitore nel Genitore è un deposito
di messaggi che possono essere stati trasmessi per generazioni.
L’adulto nel Genitore (A3)

E’ l’insieme delle affermazioni intorno alla realtà che una persona ha sentito dalle figure presenti nel suo Genitore e che ha copiato da
esse. Molte di queste affermazioni saranno vere nella realtà obiettiva, altre rispecchieranno le apprensioni o le fantasie dei genitori
riguardo al mondo, altre ancora saranno affermazioni sulle cose che una volta erano talmente vere, ma ora non lo sono più. Per se.

Il Bambino nel Genitore (B3)

Mia madre, mio padre e il mio maestro avevano ciascuno uno stato dell’Io Bambino. Quando li ho introiettati nel mio Genitore ho incluso
nell’introiezione la mia percezione del loro Bambino. Quando accedo ai ricordi che ho di loro, posso entrare in contatto con le emozioni,
i pensieri e i comportamenti del loro Bambino. Posso trovarmi a sentire o a reagire come aveva fatto da piccolo quel mio genitore.

L’adulto (A2)

Quell’insieme di pensieri, emozioni e comportamenti che io metto in atto in risposta al qui-e-ora. Questo indica che l’Adulto è il c
ompartimento dell’archivio in cui risiede tutto l’insieme delle strategie per l’esame della realtà e il problem- solving che io ho disponibili
in quanto persona adulta.

Nell’Adulto noi situiamo non solo l’esame della realtà che applichiamo al mondo al di fuori di noi, ma anche la nostra valutazione da
adulto del contenuto dei nostri stati dell’Io Genitore e Bambino. Il contenuto dell’Adulto è per definizione tale da includere anche le
risposte emotive qui-e-ora, oltre che al pensiero qui- e-ora. Nel modello strutturale di secondo ordine di solito non effettuiamo nessuna
divisione nell’Adulto, ma semplicemente un cerchio con A2.

Il Bambino (B2)

Qualsiasi esperienza immagazzinata dall’infanzia di una persona come parte del contenuto dello stato dell’Io Bambino di quella persona.
Ci sono modi diversi nei quali classificare i ricordi, un modo ovvio sarebbe quello di raggrupparli secondo l’età a cui risalgono. Alcuni
autori di A.T.,in particolare Fanita English, hanno fatto proprio così. Più spesso suddividiamo lo stato dell’Io Bambino strutturale nello
stato dell’Io Genitore, dell’Adulto e del Bambino.

Ogni bambino ha delle esigenze e dei desideri di base (il Bambino), ha delle fantasie riguardo al modo migliore per vederli esauditi (il
Genitore), e ha delle capacità intuitive di problem-solving (Adulto). Queste 3 suddivisioni interne dello stato dell’Io Bambino sono
convenzionalmente chiamate G1 A1 B1. L’insieme dello stato dell’Io bambino nel modello di secondo ordine è chiamato B2.

Il Genitore nel Bambino (G1)

Ogni bambino impara presto nella vita che ci sono delle regole da seguire, fissate da mamma e papà. A differenza di un adulto, il
bambino piccolo non ha il potere di ragionare per esaminare le regole e verificare se è sensato seguirle: sa solo che vanno seguite.
Ma spesso non è per niente contento di seguirle, sicchè trova dei modi per indurre se stesso a obbedire con le buone o con le cattive.
(es. se farò bravo tutti mi vorranno bene)

Dato che queste impressioni sono le fantasie che il bambino fa circa le implicazioni dei messaggi dei genitori, nel nostro modello esse
sono raggruppate quale contenuto dello stato dell’Io Genitore del bambino. Successivamente da adulto posso tornare bambino e
accedere a questi messaggi magici, che costituiscono il Genitore nel mio Bambino, G1.

Questa versione fantasticata del genitore può spesso essere più minacciosa del genitore affettivo.
Ma la fantasia grandiosa del Bambino può essere positiva oltreché negativa. Per questa ragione noi per G1 preferiamo usare il termine
Genitore magico.

G1 Berne li chiamava l’Elettrodo, per come il Bambino risponde in modo quasi coatto a queste immagini
magiche di ricompensa e punizione.

L’Adulto nel Bambino o il Piccolo Professore (A1)

A1 è un’etichetta che si applica a tutto l’insieme di cui dispone il bambino per risolvere i problemi. Queste strategie cambiano e si
sviluppano via via che il bambino cresce. Da piccolo io ero certamente interessato a verificare il mondo che mi circondava, ma i miei
modi di farlo non comportavano quei processi che i grandi chiamano “logici”: mi basavo più sull’intuizione, sulle impressioni del
momento. Contemporaneamente imparavo nuove cose, molto più rapidamente di quanto possano fare gli adulti. Questa capacità
immagazzinata fa meritare ad A1 il nome alternativo di Piccolo Professore.

Il Bambino nel Bambino (B1)

I bambini molto piccoli vivono il mondo prevalentemente in termini di emozioni corporee. Saranno queste a costituire gran parte dei
ricordi immagazzinati nel Bambino all’interno del Bambino. Ecco perché B1 è talvolta chiamato il Bambino Somatico. Nella struttura del
mio Bambino di 6 anni ho un Bambino ancora interiore, diciamo di 3 anni. All’interno di quello a sua volta c’è un Bambino ancora
interiore, e così via. Spesso è importante seguire le diverse età del Bambino che un paziente in terapia può attraversare.

Come distinguere la struttura dalla funzione

Il modello funzionale classifica i comportamenti osservati, mentre il modello strutturale classifica i ricordi e le strategie immagazzinati
nella memoria.

Berne aveva sempre posto attenzione a differenziare i diagrammi funzionali e strutturali.

Le 2 categorie rimandano ad aspetti diversi della realtà. Nell’analizzare gli stati dell’Io, lo strutturale si riferisce alle parti componenti della
personalità, mentre il funzionale o il descrittivo si riferisce al modo in cui la personalità funziona in un dato momento.

STRUTTURA = CHE COSA = CONTENUTO FUNZIONE = IN CHE MODO = PROCESSO

Ogniqualvolta parliamo di interazioni tra le persone, dobbiamo usare il modello funzionale.

Quando invece prendiamo in considerazione c osa avviene all’interno della persona va invece bene il m. strutturale.

Quindi gli aspetti interpersonali dell’attività dell’A.T richiedono il m. funzionale, mentre gli aspetti intrapsichici vanno studiati nei termini
del m. strutturale.

Quando vi guardo e ascolto giudico in che stato dell’Io siete, posso emettere il mio giudizio solo nei termini
del modelli funzionale.

Se voglio sapere qual è il contenuto del vostro Piccolo Professore o del Genitore nel Genitore, il che cosa
piuttosto che in che modo, devo fare una certa azione di indagine.

Rapporto tra struttura e funzione

Due cose possono essere diverse e tuttavia collegate l’una all’altra. Questo vale anche per la struttura e la funzione. Ovviamente, il modo
in cui mi comporto in qualsiasi momento dipenderà in parte dall’insieme di ricordi e strategie con cui entro internamente in contatto.

Quando mi guardate e mi ascoltate potete osservare la funzione, ma potete solo dedurre la struttura. (es. quando recito p59).

COME RICONOSCERE GLI STATI DELL’IO (CAP5)

Eric Berne ha elencato 4 modi per riconoscere gli stati dell’Io, che ha chiamati:

1) Diagnosi comportamentale
2) Diagnosi sociale
3) Diagnosi storica
4) Diagnosi fenomenologica

Berne ha sottolineato che era meglio ricorrere a uno solo di questi modi alla volta, ma per una diagnosi completa vanno invece utilizzati
tutti e 4. La diagnosi comportamentale è la più importante delle 4; le altre 3 fungono da sua verifica.

1) Diagnosi comportamentale
Si giudica in quale stato dell’Io è una persona osservando il suo comportamento. Nel fare questo, si possono
vedere o sentire:

- Parole
- Toni di voce
- Atteggiamenti del corpo
- Espressioni facciali
Lo stato dell’Io funzionale di una persona lo si diagnostica osservando molti di questi atteggiamenti
contemporaneamente. Nessun segnale è sufficiente da solo.

Vi sono dei segnali standard per gli stati dell’IO?


I libri di A.T. riportano delle tavole di segnali ai fini della diagnosi comportamentale. Per esempio si dice che un dito ammonitore significa
Genitore Normativo, una voce lamentosa Bambino Adattato, il grido evviva! Si suppone sia segnale di un Bambino Libero!

Ma questa idea di segnali standard ci porta a dare un caveat riguardo alla natura fondamentale del modello degli stati dell’Io. Le tavole
dei segnali standard si basano sull’idea che quando sono, per esempio, nel B. Adattato, mi comporterò come un bambino che si adegua
alla richiesta dei genitori. Allo stesso modo nel G. Affettivo mi comporterò come un genitore che si prende cura del figlio.

Ma non è questo che il modello degli stati dell’Io dice. Quando dico che sono “nel Bambino” intendo dire che mi comporto, penso e sento
come quel bambino che io fui una volta- non come un qualsiasi bambino. Quando sono nel “Genitore Affettivo”, mi comporto, penso e
provo emozioni come fece uno dei miei genitori, non come i genitori in generale.

L’insieme di segnali comportamentali che definiscono il mio Bambino Adattato o il mio Bambino Libero differiranno dai vostri, perché noi
fummo bambini diversi. Dato che abbiamo avuto genitori diversi, ciascuno di noi avrà un proprio peculiare insieme di comportamenti a
contrassegnare il suo Genitore Normativo o Affettivo.

Tuttavia ci sono alcuni tipi di comportamenti che sono tipici dei bambini in generale quando obbedivano ai loro genitori o agivano
spontaneamente. Ci sono comportamenti che i genitori in generale spesso hanno quando controllano o si prendono cura dei figli. Così
se andiamo alla ricerca di questi comportamenti tipici stiamo già sulla buona strada nel diagnosticare gli stati dell’Io funzionali, ma
dobbiamo ricordare che è solo il primo avvio. Per confermare la nostra diagnosi dobbiamo arrivare a conoscere la persona.

2) Diagnosi sociale
Il concetto alla base della diagnosi sociale è che gli altri spesso si rapporteranno a me a partire da uno stato d ell’Io che è complementare
a quello in cui mi trovo. Pertanto notando lo stato dell’Io da cui gli altri reagiscono a me posso avere una verifica dello stato dell’Io da cui
provengo. Se per esempio mi rivolgo a voi dal mio stato dell’Io Genitore, ci sono buone probabilità che voi mi risponderete a partire dal
Bambino. Se io apro una comunicazione con voi a partire dal mio Adulto, è probabile che voi mi rispondiate da Adulto e se io mi avvicino
a voi a partire dal mio Bambino Adattato è probabile che voi rispondiate a partire dal vostro Genitore.

Così se mi rendo conto che gli altri spesso sembrano darmi delle risposte da Bambino ho buone ragioni per credere che spesso mi rivolgo
a loro a partire dal Genitore.

3) Diagnosi storica
Nella D.S. facciamo alcune domande su com’era la persona del bambino, sui genitori e le figure genitoriali. Questo ci permette di
effettuare una verifica circa le nostre impressioni riguardo gli stati dell’Io funzionali della persona; ci dà anche delle informazioni circa la
struttura dei suoi stati dell’Io.

La D.S. si interessa sia del processo che del contenuto.

Per la d.s. potrei chiedere: come ti sentivi da bambino, quando qualcuno ti chiedeva di pensare? Per me in
questo momento hai tutto l’aspetto di un bambino di 6 anni. Sei in contato con qualcosa della tua infanzia?

Così le vostre risposte mi danno una doppia verifica riguardo alla mia diagnosi comportamentale. Il fatto di vedervi esibire gli insiemi di
comportamenti che a mio parere rientrano nel vostro stato dell’Io Bambino Adattato mi conferma che la vostra esperienza interna è in
una riproposizione del modo in cui nell’infanzia reagivate alle pressioni dei genitori.

4) Diagnosi fenomenologica
Talvolta può darsi che io riesperisca il passato invece di limitarmi a ricordarlo. Berne sostiene che: “la validità fenomenologica definitiva si
ha soltanto se l’individuo è capace di risperimentare lo stato completo dell’Io in tutta la sua intensità con variazioni minime”; ritornare a
quella scena infantile.

La diagnosi degli stati dell’Io nella pratica

Idealmente dovremmo usare tutti e 4 i metodi di diagnosi, ma nella pratica questo è spesso impossibile. Quando utilizziamo l’A.T. nel
lavoro con organizzazioni, nella formazione, nella scuola o nella comunicazione, o semplicemente vogliamo migliorare i nostri rapporti
di ogni giorno con gli altri, dobbiamo necessariamente rifarci prevalentemente alla diagnosi comportamentale. La diagnosi sociale ci dà
qualche conferma.

Nella terapia dell’A.T. la D.C. è il modo primo e più importante per riconoscere gli stati dell’Io.

Il Sé esecutivo e il vero Sé
Nella realtà è possibile che una persona si comporti in modo che è in sintonia con uno stato dell’Io, mentre vive se stessa in un altro stato
dell’Io.

(es. di un lavoratore che mentre esamina un compito da svolgere esprime internamente il desiderio di uscire a fare una passeggiata
perché si annoia).

Rispetto a questa situazione Eric Berne ha suggerito una distinzione tra il Sé esecutivo e il vero Sé

- Quando uno stato dell’Io detta un comportamento della persona, si dice che quello stato dell’Io ha il
potere esecutivo.
- Quando una persona vive se stessa in un particolare stato dell’Io, diciamo che vive quello stato dell’Io
come il vero Sé.

Il più delle volte lo stato dell’Io dotato di potere esecutivo sarà anche vissuto come il vero Sé. ( nell’esempio quando è cominciata la
discussione con il collega aveva il potere esecutivo nell’adulto e allo stesso tempo viveva l’Adulto come il vero sé, ma poi quando è
subentrata la noia, ha cambiato l’esperienza del vero Sé nello stato dell’Io Bambino; ciononostante ha continuato ad agire in un nodo
che era in sintonia con l’Adulto, quindi manteneva il potere esecutivo in quest’ultimo stato dell’Io).

Incongruenza
Questa diversità tra il Sé esecutivo e il vero Sé pone ovviamente ulteriori problemi alla diagnosi degli stati dell’Io. Dato che lo stato dell’Io
dotato di potere esecutivo è quello che determina il comportamento, ci si aspetterebbe che i segnali comportamentali della persona
indicassero questo stato dell’Io. Sintantochè quello stato dell’Io è vissuto come il vero Sé, la vostra diagnosi comportamentale vi dà una
visione esatta dell’esperienza interna di quella persona.

Ma che avviene se una persona passa da uno stato dell’Io diverso come verso sé, e allo stesso tempo mantiene il potere esecutivo nello
stato dell’Io originario?

Il più delle volte questo avviene nei momenti in cui il comportamento generale della persona è relativamente inattivo. (per es. se durante
in una conferenza sono seduto eretto e sembro nell’Adulto dal punto di vista comportamentale, ma dentro potrei essere in una
fantasticheria da bambino).

Quando una persona ha il potere esecutivo in uno stato dell’Io diverso da quello che esperisce come vero Sé, vi è una scissione tra il suo
comportamento e la sua esperienza interna. In linguaggio tecnico questo comportamento mostra una incongruenza.

La teoria energetica di Berne

Berne aveva elaborato una spiegazione teorica di ciò che avviene quando trasferiamo il potere esecutivo e il
nostro senso del vero Sé da uno stato all’altro.

Berne seguiva Freud nell’ipotizzare il concetto di energia psichica o carica. Egli suggeriva che questa energia esiste in 3 forme: legata,
slegata e libera.

Il termine addizionale “carica attiva” è applicato alla somma della carica slegata e libera.

Per illustrare la differenza tra queste 3 forme di carica Berne utilizzò la metafora della scimmia su un albero.

- Quando la scimmia è seduta su un ramo alto è dotata di energia potenziale- energia che si libererebbe se la scimmia cadesse a terra.
Questa energia potenziale è analoga alla carica legata.
- Se la scimmia cade effettivamente dal ramo, l’energia potenziale si trasforma in energia cinetica. Questo illustra la natura della carica
slegata.
- Tuttavia una scimmia invece di cadere dal ramo, può esercitare la scelta di saltare a terra. Questo impiego
volontario dell’energia è analogo alla carica libera.

Ciascuno stato dell’Io è considerato avere un confine. La carica libera può passare rapidamente da uno stato dell’Io all’altro attraverso
queste frontiere. Ciascuno stato dell’Io, inoltre, racchiude una certa quantità di energia che risiede all’interno dei suoi confini. Se in un
dato momento questa energia non è utilizzata corrisponde una carica legata. Q uando l’energia risiedente è messa in uso, la carica
legata è trasformata in carica slegata. (es quando ho cominciato la mia conversazione al lavoro utilizzavo l’energia risidiente nel mio
stato dell’Io Adulto. La carica in quello stato dell’Io era slegata. Dirigendo la mia attenzione sul compito da svolgere stavo anche
trasferendo della carica libera nell’Adulto. La carica all’interno del mio stato Genitore è rimasta legata perché non ho potuto riproporre
dentro di me giudizi genitoriali relativi al fatto di stare lavorando abbastanza sodo.

Berne aveva ipotizzato che uno stato dell’Io assumerà il potere esecutivo quando è quello stato nel quale in un dato momento la somma
della carica slegata e libera (vale a dire la carica attiva) è maggiore. Lo stato d ell’Io vissuto come vero Sé sarà quello che in un
particolare momento ha la quantità maggiore di carica libera.

(All’inizio della mia discussione al lavoro avevo il potere esecutivo nell’Adulto e vivevo anche l’Adulto come il mio vero Sé. Quindi in quel
momento avevo la maggiore carica attiva e la maggiore carica libera nell’Adulto. Quando ho prestato attenzione al fatto di annoiarmi ho
spostato una parte della carica libera nel Bambino, fino a quando quello stato dell’Io è giunto a contenere una carica libera superiore a
quella che c’era sia nell’Adulto che nel Genitore. A quel punto ho cominciato a vivere il Bambino come il mio vero Sé, ma ho continuato
ad avere il potere esecutivo nell’Adulto, dimostrando così di avere ancora un totale di carica attiva maggiore nello stato dell’Io Adulto.
Se la discussione fosse continuata ancora a lungo, avrei potuto liberare una quantità sempre maggiore della carica legata risiedente nel
Bambino, sino a che alla fine quello stato dell’Io avrebbe avuto una carica attiva maggiore dell’Adulto e così avrebbe assunto il potere
esecutivo).

Quindi talvolta è possibile che una persona abbia una qualche carica attiva in tutti e tre gli stati dell’Io contemporaneamente. Per
esempio potrei continuare a tenere il potere esecutivo nell’Adulto, scambiando informazioni tecniche col mio collega. Nel farlo, potrei
anche slegare una parte di carica nel Genitore e cominciare a criticarmi dentro di me per il fatto di non capire abbastanza bene. Allo
stesso tempo potrei slegare parte della carica del Bambino e cominciare a provare vergogna per il fatto di non adeguarmi a quelle
richieste Genitoriali.

PATOLOGIA STRUTTURALE (CAP.7)

Ma che succede se il contenuto di due stati dell’Io è mescolato? O se una persona non riesce a entrare o a
uscire da un dato stato dell’Io? Berne chiamò questi due problemi contaminazione ed esclusione.

1) Contaminazione
Talvolta può darsi che io consideri erroneamente parte del contenuto dei miei stati dell’Io Bambino o Genitore per contenuto dell’Adulto.
Quando ciò avviene si dice che il mio Adulto è contaminato. E’ come se uno stato dell’Io invadesse i confini dell’altro.

a) Contaminazione dal Genitore


Sono nella contaminazione dal Genitore quando scambio erroneamente degli slogan genitoriali per una realtà dell’Adulto. Si tratta di
credenze apprese che vengono considerate realtà. Berne le chiamava pregiudizi. Per esempio: “i negri sono pigri” “non ci si può fidare
della gente”.

Se io credo che un’affermazione di questo tipo sia un’affermazione di realtà sono nella contaminazione.

Quando parlando di se stessa una persona dice: “Tu” invece che “Io” è probabile che il contenuto di ciò che
segue sia affetto da contaminazione dal Genitore.

Per es quando si dice: devi continuare ad andare avanti qualunque cosa accada! Sembra che questo slogan sia imparato dai propri
genitori, i quali probabilmente erano anch’essi convinti che fossero affermazioni che riguardavano la realtà.

b) Contaminazione dal Bambino


Quando sono nella contaminazione dal Bambino il mio pensiero da persona adulta è annebbiato da credenze derivanti dalla mia infanzia.
Si tratta di fantasie, attivate da emozioni, che sono prese come dati di realtà. Per es. sto lasciando una festa mentre esco sento la gente
che ride. Dico a me stesso: “mi ridono alle spalle”, “c’è qualcosa che non va in me”.

Non sono consapevole che questa sia una riproposta. Nella contaminazione scambio erroneamente quella situazione infantile per una
realtà da persona adulta. Se lo decidessi potrei tornare nella stanza e verificare se gli altri invitati abbiano effettivamente riso di me. Se
dicessero sinceramente di no potrei uscire dalla contaminazione. Così facendo separerei la mia valutazione adulta della situazione
attuale dalle mie vecchie immagini del mondo del Bambino. Potrei rendermi conto che le persone nella stanza avevano riso di una
barzelletta che non aveva niente a che fare con me. Forse potrei anche recuperare dei ricordi infantili dell’essere stato preso in giro, ma
ora vedrei chiaramente che appartengono al passato.

Potrei uscire dalla contaminazione rendendomi conto che: E allora! Se scelgono di ridere di me sono affari loro. Io rimango ok.

Per indicare il genere di credenza che deriva tipicamente da una contaminazione dal Bambino Berne utilizzò talvolta il termine idee fisse:
“io non piaccio agli altri”, “c’è qualcosa che non va in me”.

Quando il contenuto della contaminazione dal Bambino deriva dalla prima infanzia, l’idea fissa è probabilmente ancor più bizzarra, tanto
più se l’infanzia della persona è stata piena di eventi traumatici. “se muoio, mamma mi vorrà bene”.

c) Doppia contaminazione
Si verifica quando la persona ripropone uno slogan Genitoriale, ci si adegua con un credenza da Bambino e scambia entrambe queste cose
per la realtà. Per es.: “non ci si può fidare della gente” insieme a “non posso mai fidarmi di nessuno”.

Alcuni autori moderni di A.T. considerano doppia ogni contaminazione. Per essi il contenuto della doppia contaminazione consiste in tutte
le convinzioni superate e distorte che una persona ha su se stessa, sugli altri e sul mondo, Nel linguaggio dell’A.T. le chiamiamo
convinzione di copione.

2) Esclusione
Talvolta diceva Berne, una persona sigilla uno o più dei suoi stati dell’Io. Berne chiamava questo fenomeno
esclusione.

 Le persone che escludono il Genitore agiranno senza nessuna regola pronta per l’uso riguardo al mondo, ma a ogni occasione creeranno
delle regole nuove. Sono molto brave nell’impiegare l’intuito del Piccolo Professore per cogliere cosa avviene intorno a loro. Queste
persone sono spesso dei “volponi”, possono essere dei politici di razza, dei manager di successo, dei capimafia.
 Se io e scludo l’Adulto è come se disattivassi il mio potere di persona adulta di esaminare la realtà. Sentirò un dialogo interno tra
Genitore e Bambino. Le azioni, le emozioni e i pensieri che ne risulteranno rispecchieranno questa costante lotta. Dato che non sto
usando tutti i miei poteri di esame della realtà, i miei pensieri e le mie azioni possono anche divenire bizzarri, con la possibilità che io sia
diagnosticato uno psicotico

 Una persona che esclude il Bambino escluderà i ricordi immagazzinati della propria infanzia. Se le si chiede: “com’era la tua vita da
Bambino?”, risponderà: “non lo so, non ricordo niente”. Quando da persone adulte esprimiamo delle emozioni spesso siamo nello stato
dell’Io Bambino; pertanto la persona che esclude il Bambino sarà spesso considerata un “pezzo di ghiaccio” o un “ cerebrale”.
 Se sono esclusi due stati dell’Io su tre, l’unico stato dell’Io rimasto operativo è chiamato costante o esclusore.
 Una persona con un Genitore costante affronterà il mondo unicamente attraverso un insieme di regole genitoriali. Se le si chiede: “
come pensi che potremmo elaborare questo piano?” potrebbe rispondere: “bè, penso che è un buon progetto!”.

Secondo Berne una persona con un Adulto costante “non sa divertirsi con gli altri”. Funzionerà “ praticamente soltanto come
programmare, memorizzatore ed elaboratore di dati”.

Chiunque sia nel Bambino costante si comporterà, penserà e sentirà sempre come se fosse ancora nell’infanzia. Di fronte a un problema
la strategia di questa persona sarà di dar libero sfogo alle proprie emozioni. Queste persone escludono l’esame della realtà e gli insiemi
delle regole Genitoriali proprie delle persone adulte. Questa persona con tutta probabilità sarà considerata dagli altri “immatura o
isterica”. L’esclusione non è mai totale, è piuttosto specifica a situazioni particolari. Una persona non può funzionare senza avere
almeno in parte uno stato dell’Io Bambino; non può funzionare al di fuori delle istituzioni senza avere in parte uno stato Adulto; e
nemmeno può adeguarsi bene alla società se non ha in una qualche misura un Genitore.

PARTE III LA COMUNICAZIONE. TRANSAZIONI, CAREZZA E RISTRUTTURAZIONE DEL TEMPO LE TRANSAZIONI (CAP 1)
Si ha quando si presentano un qualche tipo di comunicazione e vi è risposta. In linguaggio formale la comunicazione di apertura è
chiamata stimolo, ciò che viene rinviato è chiamato risposta.
La transazione è uno stimolo transazionale più una risposta transazionale. Berne definiva la transazione
“l’unità fondamentale del discorso sociale”.

La risposta di ciascuno di noi funge da stimolo per la successiva. La comunicazione tra le persone assume sempre la forma di questa
catena di transazioni.

Transazioni complementari

Io vi chiedo “che ora è?”, la vostra risposta è “E’ l’una”. Abbiamo scambiato un’informazione qui-e-ora. Le nostre parole, i nostri toni di
voce e i nostri segnali corporei confermano questo nostro essere nello stato dell’Io Adulto.

La mia comunicazione è ascoltata nel vostro Adulto, sicchè il vettore va a finire nel vostro Adulto.
U na transazione complementare è quella in cui i vettori transazionali sono paralleli e lo stato dell’Io cui si
rivolge è quello che risponde.

Dato che una transazione complementare ha i vettori sempre paralleli, è spesso chiamata con la denominazione alternativa di
transazione parallela.

1) La prima regola della comunicazione


Una transazione complementare ha la caratteristica di essere prevista. Quando vi ho chiesto un’informazione sull’ora, mi aspettavo che
voi rispondeste dall’Adulto, e così avete fatto. Una conversazione può consistere in una catena di transazioni complementari. In questo
caso l’intera catena avrà questa caratteristica di prevedibilità.

Fintantoché le transazioni rimangono complementari, la comunicazione può continuare indefinitamente.


Ovviamente qualsiasi conversazione giungerà a un termine dopo un certo periodo di tempo; ma fintantoché le transazioni rimangono
complementari, non vi è nulla nel processo di comunicazione che possa interrompere il flusso ininterrotto tra stimolo e risposta.

Transazioni incrociate

Io vi chiedo: “che ore sono?”; voi vi alzate, divenite rosso in volto e gridate: “Che ora! Non chiedermi sempre che ora è! Sei di nuovo in
ritardo, Che diavolo stai combinando?”.

Questa non è la risposta da Adulto cui vi ho inviati con la mia domanda da Adulto. Voi siete invece passato in uno stato dell’Io Genitore,
arrabbiandovi. Col vostro rimprovero mi invitate a passare dal mio Adulto al mio Bambino. Questo è un esempio di Transazione
incrociata. E’ così chiamata perché i vettori nel diagramma sono incrociati.

Il termine “incrociata” è una valida descrizione della sensazione che dà questo tipo di scambio. Quando voi incrociate le nostre transazioni
urlando contro di me, io mi sento come se voi aveste incrociato e arrestato il flusso della nostra comunicazione.

Dal punto di vista formale, una transazione incrociata è quella in cui i vettori transazionali non sono paralleli,
o nella quale lo stato dell’Io cui si rivolge non è quello che risponde.

Talvolta per vedere se una transazione è incrociata abbiamo bisogno di utilizzare il modello funzionale dettagliato.

2) La seconda regola della comunicazione


Quando una transazione è incrociata ci sono buone possibilità che la persona che riceve la risposta passi nello stato dell’Io cui è stata
invitata dall’altro. Probabilmente poi si porterà a una transazione parallela a partire dal nuovo stato dell’Io.

Quando chiedo che ore sono e voi inveite perché sono in ritardo, probabilmente passerò nel Bambino Adattato e chiederò scusa. Oppure
potrei liberarmi a partire da quello stesso stato dell’Io: “Bè, non ho potuto farci niente. Non capisco perché fai tante storie”. La mia
originaria richiesta d’informazioni da Adulto per il momento è dimenticata.

La seconda regola della comunicazione afferma: quando una transazione è incrociata si ha un’interruzione nella comunicazione e una o
entrambe le persone dovrà cambiare stato dell’Io affinché la comunicazione possa essere ristabilita.

Questa “interruzione della comunicazione” può essere avvertita solo come un leggero fastidio. All’altro estremo, può portare le due
persone a uscire infuriate dalla stanza, sbattendo la porta decise a non parlarsi mai più.

Berne ha calcolato che in teoria ci sono 72 possibilità di transazioni incrociate. Per fortuna 2 solo di esse sono di gran lunga le più comuni
nella pratica. Si verificano quando uno stimolo A-A è incrociato con una risposta B-G o G- B.

Transazioni ulteriori

In una transazione ulteriore vengono inviati due messaggi nello stesso tempo. Uno di questi è il messaggio manifesto o a livello sociale.
L’altro messaggio nascosto o a livello psicologico.

Il più delle volte il contenuto a livello sociale è da Adulto ad Adulto. I messaggi a livello psicologico sono di solito o da Genitore a Bambino
o da Bambino a Genitore.Marito: “Che hai fatto della mia camicia?” Moglie: “l’ho messa nel tuo cassetto”.
Il marito (con voce lamentosa, il cui tono sale; stringe le spalle, china la testa in avanti, innalza le sopracciglia):” L’ho messa nel tuo
cassetto”.

Il livello psicologico è uno scambio parallelo G-B, B-G. Se esprimiamo con parole i messaggi trasmessi a questo livello avremmo:

Marito: “tieni sempre in gran disordine le mie cose”. Moglie: “tu mi critichi sempre ingiustamente”.
Qualsiasi transazione ulteriore simile a questa, nella quale un messaggio sociale A-A si sovrappone a uno scambio a livello psicologico tra
G e B è chiamata una transazione duplice.

Berne ha parlato di un altro tipo di transazione ulteriore, che ha chiamato la transazione angolare. In essa io posso rivolgermi a voi con
uno stimolo a livello sociale da Adulto ad Adulto, ma il mio messaggio segreto è dal mio Adulto al vostro Bambino. Io spero che voi
seguiate il mio invito e rispondiate con una risposta da Bambino. L’esempio classico è quello del venditore che spera di portare il cliente
a un acquisto d’impulso.

Venditore: “certo, signore, questa macchina fotografica è la migliore che ci sia. Ma penso che probabilmente
lei non possa permettersela”.

Cliente (con aria di sfida): “la prendo!”

E’ sempre possibile che questo scambio vada in modo diverso:


Venditore: “…probabilmente lei non può permettersela”.

Cliente (con aria pensosa): “si, ora che me lo dice, lei ha ragione, non posso permettermela. Grazie lo stesso”.

Qui la manovra del venditore non è riuscita a portare il cliente nel Bambino.

Quando io vi offro uno stimolo transazionale, non posso mai OBBLIGARVI a entrare in quel particolare stato
d ell’Io. Il massimo che posso fare è INVITARVI a partire da quello stato dell’Io.

3) La terza regola della comunicazione


L ’esito in termini comportamentali di una transazione ulteriore è determinato a livello psicologico e non a quello sociale.

Berne ha scritto “è determinato e non può essere determinato” Egli suggerisce che quando due persone comunicano a due livelli, ciò che
effettivamente avviene è sempre l’esito dei messaggi nascosti. Se vogliamo capire il comportamento dobbiamo prestare attenzione al
livello psicologico della comunicazione.

Nel linguaggio dell’A.T questo lo chiamiamo il pensiero marziano. Berne parlava di un piccolo omino verde che venuto da Marte scende
sulla terra a osservare le cose terrene. Questo marziano non ha alcun preconcetto su cosa intendono significare le nostre comunicazioni,
osserva semplicemente come comunichiamo, poi nota i comportamenti che ne seguono.

Transazioni e segnali non verbali

In una transazione ulteriore il messaggio a livello sociale è dato dalle parole. Per pensare marziano a livello psicologico, dovete osservare i
segnali non verbali. Li troviamo nel tono di voce, nei gesti, nelle espressioni dell’atteggiamenti corporeo e facciale. Ci sono anche segnali
ancor più sottili, nella respirazione, nella tensione dei muscoli, nella palpitazione, nella dilatazione delle pupille, nel grado si sudorazione
ecc.

Abbiamo chiamato i messaggi a livello psicologico “messaggi segreti”. In realtà non sono affatto segreti, se si sa cosa cercare. I segnali non
verbali sono li per essere letti. I bambini piccoli questi segnali li leggono intuitivamente. Via via che cresciamo, siamo sistematicamente
addestrati a cancellare questa nostra intuizione. Perché sia efficace l’impiego dell’A.T. dobbiamo ri-esercitarci a notare questi segnali
corporei.

La verità è che ogni transazione ha un livello psicologico oltreché sociale. Ma in una transazione ulteriore le due cose non collimano. I
messaggi trasmessi dalle parole sono contraddetti dai messaggi non verbali. Il nome tecnico di questo non collimare è incongruenza. Per
analizzare in modo corretto QUALSIASI transazione dovete considerare i segnali non verbali oltreché le parole.

Opzioni

Nessun tipo di transazione è buono o cattivo in se stesso. Se volete mantenere un flusso di comunicazione prevedibilmente fluido,
mantenete parallele le vostre transazioni. Se trovate che la vostra comunicazione con una persona è spesso zoppicante e fastidiosa,
verificate se voi e l’altro non incrociate spesso le vostre transazioni. In caso affermativo, decidete di appianare i vostri scambi evitando
gli incroci.

Ma supponete che le preoccupazioni del vostro capo siano troppo forti perché egli pensi a instaurare un flusso fluido di comunicazione
con voi. In questi casi potreste essere felice d’interrompere il loro flusso comunicativo incrociando deliberatamente le transazioni.

Nel suo articolo Opzioni, Karpman ha elaborato l’idea che possiamo scegliere di effettuare transazioni in qualsiasi modo vogliamo. In
particolare possiamo scegliere nuovi modi di effettuare transazioni così da interrompere il nostro modo abituale, fastidioso e “bloccato”
di reagire con gli altri.

“ lo scopo è cambiare ciò che sta avvenendo e liberarvi, in qualsiasi modo possiate farlo”. Per ottenere questo dovete far uscire l’altro dal
suo stato dell’Io, o cambiare il vostro stato dell’Io, o entrambe le cose”. Egli fissa 4 condizioni che devono essere esaudite perché questa
strategia funzioni:

1) U no o entrambi gli stati dell’Io devono effettivamente cambiare


2) La transazione deve essere incrociata
3) L ’argomento deve cambiare
4) L ’argomento precedente sarà dimenticato

Secondo noi le condizioni essenziali sono la prima e la seconda. Le altre due le consideriamo “extra opzionali”,
anche se di solito saranno utili.

Ogniqualvolta vi sentite bloccati in un insieme fastidioso di transazioni avete l’opzione di incrociare a partire da uno qualsiasi dei vostri
cinque stati funzionali dell’Io. E potete rivolgervi a una qualsiasi di quelle 5 parti dell’altra persona. Karpman suggerisce persino che
potete scegliere di utilizzare le divisioni degli stati dell’Io negative oltreché positive.

In ogni caso, utilizzate il vostro Adulto per decidere quale tipo di incrocio ha più probabilità di ottenere con sicurezza e in modo adeguato
i risultati che volete.

Non si può mai garantire che una transazione abbia successo nell’invitare l’altro a un nuovo dell’Io. Se questo
avviene, provate a cambiare voi stessi lo stato dell’Io e a emettere un incrocio diverso.

LE CAREZZE (CAP. VIII)

È definita una unità di riconoscimento. Noi abbiamo bisogno di carezza e ci sentiamo deprivati se non le otteniamo.

Il bisogno di stimoli
Berne ha descritto alcuni tipi di bisogni che noi tutti proviamo. Uno è il bisogno di stimolazione fisica e mentale. Berne li chiamava
bisogno di stimoli.

A questo proposito rimandava all’opera di ricercatori sullo sviluppo umani e animale, per esempio alla ben nota indagine di Rene Spitz
che aveva tenuto in osservazione dei neonati allevati in orfanotrofio. Questi erano ben nutriti, puliti e al caldo, tuttavia tendevano ad
avere problemi fisici ed emotivi più spesso dei bambini allevati dalle loro madri o da altre persone che si prendevano direttamente cura
di loro. Spitz trasse la conclusione che ciò che mancava a quei bambini era una stimolazione: essi avevano ben poco da guardare tutto il
giorno se non le pareti bianche delle loro stanze, e soprattutto avevano poco contatto fisico con chi li accudiva. Mancava loro il contatto
fisico, i vezzeggiamenti e le carezze che i neonati normalmente ricevono da chi si prende cura di loro.

La scelta di Berne del termine carezza si riferisce a questo bisogno infantile di essere toccato. Da adulti, noi aneliamo ancora a un contatto
fisico, tuttavia impariamo anche a sostituirlo con altre forme di riconoscimento. Un sorriso, un complimento o al limite anche
un’occhiata storta o un insulto sono tutte cose che ci mostrano che la nostra esigenza è stata riconosciuta. Per indicare questa nostra
esigenza di riconoscimento da parte degli altri Berne utilizzò il termine bisogno di riconoscimento.

Tipi di carezze

Possiamo classificare svariati tipi di carezze. Esse possono essere:

1) verbali o non verbali


2) Positive o negative
3) Condizionate o incondizionate

1) carezze verbali o non verbali


Nel caso in cui con un vicino vi siete parlati e vi siete sorrisi avete scambiato carezze sia verbali che non verbali. Svariate carezze verbali
vanno dal ciao ad una conversazione in piena regola; quelle non verbali possono essere agitare la mano, fare un cenno col capo,
stringersi la mano o darsi un colpetto sulla spalla.

Qualsiasi transazione è uno scambio di carezze. La maggior parte della transazioni comportano scambi sia verbali che non verbali, ma
anche totalmente non verbali.

2) Carezze positive o negative


Una c. positiva è una carezza che chi la riceve vive come piacevole; negativa è una carezza esperita come spiacevole. Se il vostro vicino
avesse risposto al vostro saluto aggrottando la fronte invece di sorridere vi avrebbe dato una carezza non verbale negativa. Vi avrebbe
potuto dare una carezza non verbale più intensa dandovi un pugno in un occhio. Per darvi una carezza verbale negativa avrebbe potuto
rispondere al vostro gioioso “bella giornata” con “Uuh! Lo è stata sino a che non ho incontrato lei”.

Qualsiasi tipo di carezza è meglio di nessuna carezza. Questa idea è sostenuta da svariati studi ullo sviluppo animale, in uno di questi
crudeli esperimenti due gruppi di piccoli ratto sono stati tenuti in box identici privi di qualsiasi caratteristica. A un gruppo erano
impartite delle scosse elettriche svariate volte al giorno, all’altro no. Con una certa sorpresa degli sperimentatori il gruppo sottoposto
alle scosse elettriche si sviluppò meglio di quello lasciato privo di questa stimolazione, per quanto dolorosa fosse.

Noi siamo come quei ratti. Per soddisfare il nostro bisogno di stimoli possiamo utilizzare le carezze negative tanto quanto le positive.

Da bambini questo lo sappiamo istintivamente. Per quasi tutti noi nella prima infanzia ci sono state delle volte in cui non abbiamo
ottenuto delle carezze positive di cui avevamo bisogno o che volevamo. In queste occasioni abbiamo escogitato dei modi per ottenere
carezze negative. Per quanto dolorose fossero le preferivamo alla temuta alternativa di essere lasciati privi di carezze.

Nella vita di persone adulte può darsi che riproponiamo questo schema infantile e continuiamo a cercare carezze negative. Questa è la
fonte di alcuni comportamenti che sembrano apparentemente autopunitivi.

3) Carezze condizionate o non condizionate


Una c. condizionata si riferisce a ciò che una persona fa; quella incondizionata a ciò che una persona è.

 positiva condizionata: che bel lavoro che hai fatto


 positiva incondizionata: è bello averti qui
 negativa condizionata: non mi piacciono i tuoi zoccoli
 negativa incondizionata: ti odio

Le carezze e il rinforzo del comportamento

Da bambini piccoli noi proviamo ogni tipo di comportamento così da scoprire quale ci fa avere le carezze di cui abbiamo bisogno. Quando
un particolare comportamento si rivela utile per farci avere delle carezze tenderemo a ripeterlo. E ogniqualvolta otteniamo un’ulteriore
carezza da esso diveniamo sempre più pronti a utilizzarlo nuovamente in futuro.

In questo modo le carezze rinforzano il comportamento che è accarezzato. Le persone adulte, avendo bisogno di carezze come i bambini
piccoli, sono altrettanto pronte a modellare il loro comportamenti in qualsiasi modo sembri più efficace per continuare a far arrivare le
carezze.

Supponete che da bambino io abbia deciso che mi conveniva cercare certezze negative piuttosto che rischiare di rimanere deprivato di
carezze. Allora quando da persona adulta ricevo una carezza negativa essa agirà da rinforzo nel mio comportamento con altrettanta
efficacia di una carezza positiva.

Questo ci aiuta a capire perché le persone possono tenacemente ripetere gli schemi di comportamento che appaiono essere autopunitivi.
Queste stesse conoscenze ci danno una guida su come possiamo liberarci da questi schemi negativi. Possiamo farlo cambiando i nostri
modi di cercare le carezze: invece di cercare di ottenere dolorose carezze negative possiamo proporci di ottenere piacevoli carezze
positive. E ogniqualvolta otteniamo una carezza positiva per un nuovo comportamento diveniamo più pronti a ripeterlo in futuro.
Qui la q ualità e l’intensità delle carezze sono importanti. Nessuno di questi concetti può essere soggetto a misurazione numerica, ma è
senso comune supporre che le persone attribuiranno valori soggettivi diversi alle carezze secondo da chi esse provengono e il modo in
cui sono date.

Oppure immaginate un bambino che ottenga una carezza negativa dal padre per essersi comportato in un qualche modo che al genitore
non piace, quella carezza può non essere trasmessa con voce dura e un dito ammonitore, oppure può essere accompagnata da urla
furiose e aggressione fisica. Chiaramente il bambino tende a vivere quest’ultima carezza negativa come più intensa della prima.

Dare e prendere carezze

Alcune persone hanno l’abitudine di dare carezze che cominciano con sembrare positive ma danno una frecciata negativa alla fine. “vedo
che capisci, più o meno”

Le carezze di questo tipo sono chiamate carezze false. E’ come se dessero qualcosa di positivo, ma poi lo
riprendessero.

Ci sono persone che sono molto più generose nel dare carezze positive ma lo fanno in modo insincero. E’ quel tipo di persona che vi
individua all’altro capo della stanza, corre da voi, vi dà un colpo alla spalla e vi sussurra in un orecchio: “ehi! Che bello che tu sia qui!ho
letto quell’articolo che hai scritto e ho pensati che era totalmente ispirato, totalmente acuto”.
Berne questo l’ha chiamato dare uno zuccherino. Per individuare queste carezze positive insincere altri autori usano il termine carezze di
plastica.

Ci sono altre persone che vanno all’estremo opposto, e hanno problemi a dare carezze positive. Di solito provengono da una famiglia le
cui carezze positive erano scarse. Anche il background culturale svolge il suo ruolo: una persona proveniente dall’Inghilterra o dalla
Scandinavia sarà probabilmente avara di carezze positive, in particolare di carezze positive fisiche. Le persone provenienti da una cultura
latina, più generose in carezze positive, potrebbero vivere popoli settentrionali come freddi e riservati.

Quando al prendere carezze, noi tutti abbiamo le nostre preferenze.

La maggior parte di noi ha certe carezze che è abituato a ottenere. A causa di questa familiarità possiamo svalutare queste carezze. Allo
stesso tempo segretamente può darsi che vogliamo riceverne altre carezze che raramente otteniamo. Forse io sono stato abituato a
ottenere carezze condizionate verbali positive per la mia capacità di pensare chiaramente. Mi piacciono, ma sento che sono poca cosa;
quello che veramente voglio è che qualcuno mi dica:” che bell’aspetto che hai!”, e mi dia una pacca sulla spalla.

Posso anche andare un passo oltre e negare a me stesso di volere quelle carezze che più desidero

Ogni persona ha un proprio quoziente di carezze preferito, il detto “carezze diverse per persone diverse” è un altro modo di dire la stessa
cosa. Una carezza non può essere misurata in termini oggettivi: una carezza di alta qualità per voi può essere una carezza di bassa
qualità per me.

Il filtro delle carezze

Quando una persona ottiene una carezza non in sintonia con quello che è il suo quoziente preferito delle carezze è probabile che la ignori
o la sminuisca. Svaluta o filtra la carezza. Quando lo fa è probabile che osserviate una qualche incongruenza nel modo in cui accogliere
la carezza.

Per esempio può darsi che io vi dica sinceramente: “ ammiro il tuo chiaro pensiero e il modo in cui hai scritto questo resoconto”. Ma
supponete che da bambino voi abbiate deciso: “io ho un bell’aspetto e sono divertente, ma non sono bravo a pensare”. La mia carezza
non è in sintonia col vostro quoziente delle carezze preferito. Sentendo la mia carezza potreste dire “grazie”, ma nel dirlo arricciate il
naso e storcete la bocca come se sentiste un gusto cattivo. Un altro modo di sminuire una carezza è ridere.

E’ come se ciascuno di noi avesse un filtro delle carezze che pone tre sé e le carezze in arrivo. Facciamo passare quelle carezze che sono in
sintonia con il nostro quoziente delle carezze preferito e manteniamo fuori quelle che non lo sono. A sua volta il nostro quoziente delle
carezze serve a mantenere l’idea che abbiamo di noi stessi.

Alcuni decidono da bambini che le carezze positive sono scarse o non degne di fiducia e decidono di sopravvivere con quelle negative.
Nella vita da adulti possono continuare a filtrare le carezze positive e ad accogliere quelle negative. Queste persone preferiscono il
bastone alla carota: se viene loro rivolto un complimento è probabile che lo svalutino. “mi piacciono i tuoi capelli”. “uuh! Si, bè, bisogna
che mi ricordi di lavarli ogni tanto”.

Le persone che hanno avuto un’infanzia particolarmente dolorosa possono decidere che non è sicuro fare entrare nessun tipo di carezze.
Queste persone hanno un filtro delle carezze dalle maglie così strette che sfuggono praticamente a qualsiasi carezza viene loro offerta.
Così facendo mantengono la loro sicurezza del Bambino, ma di privano di quelle carezze che potrebbero ottenere quasi sicuramente da
persone adulte. E’ probabile che finiscano isolate e depresse.

L’economia delle carezze

Claude Steiner sostiene che a noi tutti da bambini i nostri genitori hanno inculcato 5 regole restrittive riguardo le carezze.
1) Non dare carezze quando ne hai da dare
2) Non chiedere carezze quando ne hai bisogno
3) Non accettare carezze se le vuoi
4) Non rifiutare carezze quando non le vuoi
5) Non dare carezze a te stesso

L’insieme di queste 5 regole costituisce la base di quella che Steiner chiama l ’economia delle carezze. Addestrando i bambini ad
obbedire a queste regole, i genitori garantiscono che una situazione nella quale le carezze potrebbero essere disponibili in numero
illimitato è trasformata in una situazione nella quale la disponibilità è scarsa e il prezzo che i genitori possono trarre da esse è
elevato.

Secondo Steiner i genitori si comportano cosi per controllare i loro figli. Insegnando loro che le carezze sono in quantità limitata
ottengono la posizione di monopolisti delle carezze. Sapendo che le carezze sono essenziali il bambino ben presto impara a
ottenerle comportandosi nei modi richiesti da mamma e papà.

Da adulti obbediamo inconsapevolmente a queste 5 regole. Di conseguenza trascorriamo la nostra vita in uno stato di parziale
deprivazione di carezze, spendendo molte energie alla ricerca di quelle carezze che tuttora crediamo essere in quantità limitata.

Steiner sostiene che siamo facilmente manipolati e oppressi da istituzioni che riescono a porsi nel ruolo di monopolisti della carezze.
Possono essere il governo, le industrie, i pubblicitari o la gente dello spettacolo. Anche i terapeuti possono essere visti come
elargitori di carezze.

Per riprenderci la nostra consapevolezza, spontaneità e intimità dobbiamo rifiutare il restrittivo addestramento di base che i nostri
genitori ci hanno imposto riguardo allo scambio di carezze, e divenire invece consapevoli che le carezze sono disponibili in quantità
illimitata. Possiamo dare una carezza ogni qualvolta lo vogliamo. Se non ci piace una carezza che ci è stata offerta possiamo
rifiutarla apertamente. Infine possiamo provare piacere a dare carezze a noi stessi.

La cosa certa è che la maggior parte di noi limita lo scambio di carezze in accordo con le proprie decisioni infantili. Queste decisioni
furono prese in risposta alla nostra percezione infantile delle pressioni da parte dei genitori, Da persone adulte possiamo rivalutare
queste decisioni e cambiarle come vogliamo.

Chiedere carezze

C’è un mito riguardo alle carezze che è stato insegnato a tutti noi, ed è: “le carezze che devi chiedere sono
p rive di valore”.

Questa è la realtà: le carezze che potete ottenere chiedendole hanno altrettanto valore delle carezze che ottenete senza chiederle.

Avete sempre l’opzione di verificare con l’altra persona se la carezza era o no autentica. Se non lo era, avete delle ulteriori opzioni:
potete scegliere di accettarla comunque, oppure potete rifiutare quella falsa carezza e chiedere una carezza autentica dalla stessa
o da un’altra persona.

Il profilo delle carezze

Jim Mckenna ha elaborato un diagramma che chiama il profilo delle carezze, che analizza le modalità del dare e prendere carezze in
modo alquanto simile a quello in cui l’egogramma di Dusay studia l’impiego degli stati funzionali dell’Io attraverso l’inserimento di
rettangoli nel diagramma.

Consiste in rettangoli e 4 colonne che rappresentano la vostra valutazione intuitiva di frequenza con cui date carezze, le accettate
quando vi sono offerte, le chiedete e le rifiutate. La frequenza delle carezza positive è indicata disegnando un rettangolo verso
l’alto a partire dall’asse centrale del diagramma, quella delle carezze negative disegnandolo verso il basso.Carezze a se stessi

A molti di noi bambini è stata insegnata la quinta regola di Steiner: “non dare carezze a te stesso”. I genitori ci hanno detto: “non
mettetevi troppo in mostra. E’ brutto fare il vanaglorioso. La scuola ha poi proseguito a inculcarci queste idee quando eravamo per
es. i primi della classe.

Una volta raggiunta l’età adulta la maggior parte di noi è talmente abituata a questo che sminuiamo i nostri risultati anche con noi
stessi. MA così facendo limitiamo una fonte importante di carezze: le carezze a noi stessi. In realtà possiamo dare delle carezze a
noi stessi in qualunque momento.

La banca delle carezze

Benché le carezze a se stessi siano un’importante fonte di carezze, non sono mai un sostituto totale delle carezze che vogliamo dagli
altri. E’ come se ciascuno di noi avesse una banca delle carezze. Quando riceviamo una carezza da qualcuno non solo accettiamo
quella carezza nel momento in cui ci è data, ma immagazziniamo il ricordo di essa nella nostra banca delle carezze.

Più tardi possiamo tornare alla banca e riprendere la carezza, per riutilizzarla come carezza a noi stessi. Se la carezza era
particolarmente apprezzata possiamo riutilizzarla molte volte. Ma alla fine queste carezze messe da parte perdono la loro efficacia,
dobbiamo mettere in banca nuove carezze ricevute dagli altri.

Ci sono carezze buone e cattive?

Si è tentati di pensare che le carezze positive siano buone e quelle negative cattive.

Ai genitori è stato detto che se elargiscono a piene mani carezze positive i loro figli cresceranno OK. In realtà le cose non sono così
semplici.

Il nostro bisogno di carezze si basa sul bisogno di riconoscimento, che è in se stesso una carezza. Se censuriamo intere aree del
comportamento di un’altra persona che noi consideriamo negative, le diamo un riconoscimento solo parziale. Elargire
selettivamente carezze incondizionate può darsi non si adegui all’esperienza interna dell’altro. Così, curiosamente, possiamo
sentirci deprivati di carezze mentre apparentemente siamo circondati di carezze positive.

Le c. condizionate sia positive che negative sono importanti per noi perché le usiamo come mezzo per imparare a conoscere il
mondo, sia nella nostra infanzia che nella vita da adulti.
Una carezza condizionata negativa ci dice che a qualcuno non piace il modo in cui mi sto comportando. Posso allora prendere
l’opzione di cambiare comportamento in modo che piaccia agli altri. Una carezza condizionata positiva mi segnala che a qualcun
altro piace ciò che sto facendo, ottenere carezze incondizionate positive mi aiuta a sentirmi bravo.

Se le c. c. n. sono assenti non ho nessuna base sulla quale cambiare un dato comportamento benché esso possa essere
controproducente per me. Questo è quanto avviene quando le persone sono “troppo educate” per dire a qualcuno che ha l’alito
cattivo o che deve lavarsi la camicia più spesso. Può darsi che questa persona venga evitata dagli altri ma non sappia cosa fare per
questo problema.

Quindi anch’esse trasmettono dei messaggi che posso utilizzare per il mio bene.

Vi sono alcune prove che quando i genitori riescono effettivamente ad allevare i figli elargendo sempre carezze positive il bambino
alla fine diventa incapace di distinguere le carezze positive dalle negative. Una parte della sua esperienza interna è stata sempre
negata o non riconosciuta dai genitori. Questo nel corso della vita può portare a tutta una serie di problemi. Per fortuna la maggior
parte dei genitori segue l’istinto e impone l’adeguamento alle regole attraverso una mescolanza di carezze negative e positive.

Un sano quoziente di carezze includerà buone ragioni per cui tradizionalmente l’A.T. ha posto l’accento sulle
carezze positive. In particolare nelle culture settentrionali si tende a essere molto parchi di carezze positive.
In ufficio il capo sgriderà i suoi impiegati quando sono in ritardo, ma è meno probabile che li lodi quando sono in orario.

Sia il capo che l’insegnante migliorerebbero l’efficacia del loro giudizio dando carezze positive per le cose fatte bene oltreché
negative per quelle fatte male. Abbiamo bisogno di più carezze positive che negative se dobbiamo sentirci sempre contenti di noi
stessi.

Carezze e svalutazioni

Una carezza negativa diretta va nettamente distinta da una svalutazione. Una svalutazione comporta sempre una qualche
distorsione della realtà. Nel contesto delle carezze io vi svaluto se vi critico in modo sminuente o distorcente. A differenza di una
carezza negativa diretta la svalutazione di allontana dalla realtà di ciò che voi siete o fate.

Ecco alcuni esempi di c. negative dirette messe a confronto con svalutazioni.

 C.n.condizionata: hai scritto male quella parola.


 Svalutazione: vedo che non riesci a scrivere bene
A differenza di una c.n. una svalutazione non mi dà alcun segnale sula quale basare un’azione costruttiva,
non può farlo perché la svalutazione stessa si basa su una distorsione della realtà.

STRUTTURAZIONE DEL TEMPO (CAP IX)

Ogniqualvolta delle persone si riuniscono in coppie o gruppi ci sono 6 modi diversi in cui possono trascorrere il tempo. Berne ha
elencato queste 6 possibilità di strutturazione del tempo:

1) Isolamento
2) Rituali
3) Passatempi
4) Attività
5) Giochi
6) Intimità

Sono tutti modi di soddisfare il bisogno di struttura. Quando ci troviamo in una situazione in cui non ci è imposta alcuna
strutturazione del tempo la prima cosa che faremo sarà probabilmente quella di crearcene una.

Quando il tempo è totalmente non strutturato, questa situazione mette a disagio.

L ’intensità delle carezze aumenta scendendo lungo l’elenco nel passare dall’isolamento all’intimità.

Il grado di rischio psicologico aumenta via via che scendiamo lungo l’elenco. Quel che è certo è che l’imprevedibilità delle carezze
tende ad aumentare; in particolare diventa meno prevedibile sapere se saremo accettati o rifiutati dall’altro.

Nel nostro bambino può darsi che percepiamo davvero quest’imprevedibilità come un rischio per noi stessi. Quando eravamo piccoli
dipendevamo per essere OK dalle carezze che ottenevano dai nostri genitori, e percepivano il loro rifiuto di noi come una minaccia
per la nostra sopravvivenza.

Ma ora che siamo adulti non vi è alcuno di questi rischi in nessuno di questi modi di strutturare il tempo. Nessuno può farci sentire
qualcosa. Se un altro sceglie di agire secondo una modalità di rifiuti verso di me posso chiedere perché lo fa, ed esigere che cambi.
Se l’altro lo fa posso abbandonare il rapporto con quella persona e trovare un altro rapporto in cui sia accettato.

1) Isolamento In un gruppo che se ne sta in silenzio per un po’ io potrei rivolgere l’attenzione all’interno, forse svolgere un
monologo dentro di me: “mi chiedo perché siamo ancora qui”, oppure con l’immaginazione posso uscire dalla stanza. In questa
situazione mi sto isolando. Quando una persona si isola può essere fisicamente nel gruppo ma non effettuare transazioni con gli
altri membri. Mentre mi isolo posso accedere a qualsiasi stato dell’Io. Forse in questo momento agli altri non è possibile
effettuare una diagnosi comportamentale del mio stato dell’Io, per via della mancanza di segnali esterni.

Durante tutto il tempo in cui mi isolo le uniche carezze che posso ricevere o dare sono carezze a me stesso. Dato che non mi
coinvolgo con gli altri evito il rischio psicologico, percepibile da bambino, di essere rifiutato. Alcuni quando si trovano in un gruppo
si isolano sempre perché da bambini hanno deciso che era rischioso scambiare carezze con gli altri. Queste persone possono crearsi
una grande e ben utilizzata banca delle carezze. Se mi isolo per molto tempo alla fine corro il rischio di esaudire la mia banca delle
carezze e restarne privo.

2) Rituali
Mentre siamo li seduti in gruppo nella stanza un membro del gruppo di fronte a me rompe il silenzio: “bè
suppongo che potremmo anche presentarci”.

Fred ha scelto di strutturare il proprio tempo con un rituale, cioè con una familiare interazione sociale che procede come se fosse
pre-programmata.
Tutti i bambini imparano i rituali adeguati nella cultura della loro famiglia.

Il più semplice di tutti è lo scambio americano di una singola carezza: ciao, ciao. All’altro estremo vi sono
alcuni rituali religiosi, in cui la sequenza è addirittura scritta.

Dal punto di vista funzionale i rituali sono di solito svolti nel Bambino Adattato. Il più delle volte un rituale dà validi risultati nei
termini del nostro adattamenti alle norme attese, cosicché lo classificheremo un comportamento da Bambino Adattato positivo.
Per via delle parole, dei toni di voce e dei segnali corporei stereotipati utilizzati nei rituali può essere difficile confermarlo per
mezzo della diagnosi comportamentale.

I rituali sono percepiti dal Bambino come comportanti un “rischio psicologico” maggiore dell’isolamento. Tuttavia forniscono
familiari carezze positive. Benché poco intense queste carezze possono essere importanti per accrescere il conto della banca delle
carezze. La prevedibilità delle carezze rituali può essere un fattore importante per quelle persone che nell’infanzia hanno deciso
che era rischioso scambiare carezze all’interno di un rapporto più ravvicinato.

3) Passatempi
Ora che hanno rotto il ghiaccio nel gruppo ognuno parla delle proprie esperienze nei gruppi.

Un passatempo procede in un modo che è familiare, ma il contenuto del passatempo non è programmato in modo così rigido come
quello di un rituale. Che mette in atto un passatempo ha maggiori possibilità di inserirvi proprie carianti personali.

In qualsiasi passatempo i partecipanti parlano di qualcosa, ma non intraprendono alcuna azione a essa relativa. Queste persone nel
gruppo stanno parlando del gruppo e dei gruppi in generale; non danno alcun segno di voler fare alcunché riguardi a quello che sta
succedendo in quel gruppo.

Spesso un indizio del fatto che si stia trattando di un passatempo lo ricaviamo dall’uguaglianza “passatempo
= tempo passato” . il più delle volte, infatti, queste persone parleranno di quello che è successo da qualche
parte ieri, invece che di quello che sta succedendo qui e ora.

I passatempi sono di solito gestiti dagli stati dell’Io Genitore e Bambino. Un passatempo Genitoriale consiste
nell’esprimere opinioni preconcette sul mondo.

“i giovani d’oggi dove andranno a finire”.

I passatempi provenienti dal Ba,bambino tornano indietro, e ripropongono pensieri ed emozioni di quando erano bambini.

“questo silenzio mi fa sentire proprio a disagio”.

Alcuni passatempi sembrano essere a livello sociale, quasi appartenessero all’Adulto; ma se “pensiamo marziano”, scopriamo che in
realtà sono del Bambino.

Questo è il passatempo che Berne ha chiamato “psichiatria”, in cui lo scambio di informazioni a livello sociale nasconde il vero scopo,
che è l’evitare da parte del Bambino ciò che sta realmente accadendo tra i membri del gruppo. Ovviamente avremmo bisogno di
verificare questa valutazione osservando i toni di voce e i segnali non verbali.

Il passatempo comporta prevalentemente delle carezze positive, ma anche alcune negative. Rispetto alle carezze provenienti dai
rituali quelle provenienti dai passatempi sono più intense ma alquanto prevedibili; pertanto nel Bambino le percepiamo
comportare un rischio leggermente maggiore.

Negli scambi sociali i passatempi svolgono un’altra funzione ancora; costituiscono un mezzo per “esplorare l ’altro” come possibile
partner dello scambio di carezze più intense che può aver luogo nei giochi o nell’intimità.

4) Attività
La comunicazione tra i membri del gruppo è diretta al raggiungimento di uno scopo, non al semplice parlare di esso. E’ questa la
differenza tra le attività e i passatempi: nelle attività dirigiamo la nostra energia verso un qualche obiettivo concreto.

Sul luogo di lavoro è probabile che siamo in attività per gran parte del tempo.

In un’attività lo stato dell’Io predominante è l ’Adulto. Questo perché un’attività è indirizzata al


raggiungimento di un qualche obiettivo qui-e-ora. Talvolta in un’attività possiamo seguire certe regole
appropriate: in queste occasioni passiamo nel Bambino Adattato positivo o nel Genitore positivo.

Le carezze derivanti da un’attività possono essere sia positive condizionate che negative condizionate. Sono di solito carezze
procrastinate nel tempo, elargite alla fine dell’attività per un lavoro ben fatto o mal fatto. Il grado di rischio psicologico percepito
nell’attività può essere maggiore o minore che nel passatempo, secondo la natura delle due cose.

5) Giochi
Nel gruppo l’associazione libera è terminata. Alla lavagna sono scribacchiati una dozzina circa di suggerimenti. Si chiede per alzata di
mano se sono d’accordo. John non è d’accordo, ha un confronto con l’uomo alla lavagna che sospira si curva un po’ in avanti e
sospira e in tono triste abbandona l’idea. John cambia la propria posizione, si da un colpo sulla tempia e si dispiace di aver rovinato
l’esercizio. John e l’uomo alla lavagna hanno entrambi appena effettuato un gioco. Essi hanno scambiato una sequenza di
transazioni, al termine della quale entrambi si sono sentiti a disagio.

Immediatamente prima di provare queste sensazioni negative è sembrato che cambiassero improvvisamente di ruolo. John aveva
cominciato col protestare la sua confusione e con l’avere un’aria irritabile, poi è passato ad accusare se stesso e ad avere l’aria di
scusarsi. Nello stesso momento l’uomo alla lavagna è passato dallo spiegare con sufficienza come stavano le cose al manifestare
sconsolata impotenza.

Per entrambe le parti c’è stata una frazione di secondo subito dopo lo scambio in cui ciascuno aveva la sensazione che stesse
succedendo qualcosa di inaspettato. Se avessero avuto il tempo di esprimere a parole questa sensazione avrebbero potuto
chiedere: che cosa diavolo sta succedendo qui?
Malgrado questa sensazione di una cosa inaspettata in realtà sia John che l’uomo alla lavagna in precedenza saranno già passati
molte volte attraverso sequenze simili a questa. Le circostanze e le persone possono essere diverse da un’occasione all’altra, ma
ogni volta la natura dello scambio sarà la stessa, e altrettanto potrà dirsi della sensazione di disagio provata da entrambi.

I loro messaggi a livello sociale avevano l’aria di uno scambio di informazioni, ma a livello psicologico John aveva invitato l’uomo alla
lavagna a giocare a quel gioco, e l’uomo aveva accettato.

Un gioco è qualcosa di ripetitivo che termia con una sensazione di malessere e che in un qualche momento comporta la domanda:
che cosa è appena successo? E la sensazione di aver cambiato in qualche modo il ruolo.

Tutti i giochi sono riproposizioni di strategie infantili non più adatte a noi come persone adulte. Pertanto per definizione i giochi sono
effettuati da una qualsiasi parte negativa degli stati dell’Io: Bambino Adattato negativo, Genitore Normativo negativo o Genitore
Affettivo negativo. Per definizione i giochi non possono essere effettuati dall’Adulto.

I giochi comportano sempre uno scambio di svalutazioni a livello psicologico. A livello sociale i partecipanti al gioco lo vivono come
uno scambio di carezze intense. Nelle fasi del gioco le carezze che vengono sentite possono essere sia positive che negative, mentre
alla fine entrambi i giocatori provano intense carezza negative.

Il grado psicologico percepito è maggiore che nelle attività o nei passatempi.

6) Intimità
Mentre ascolto John che protesta la sua confusione e poi passa a scusarsi comincio a sentirmi arrabbiato e la esprimo. Il volto di John
diventa altrettanto rosso. Chinandosi verso me, e quasi alzandosi dalla sedia, agita le braccia sopra la testa. “Bè, anch’io sono
arrabbiato!” urla. “mi sono sentito così da quando sono entrato qui”.

John e io siamo entrati in intimità. Abbiamo espresso l’uno all’altro le nostre vere emozioni e desideri senza censurarli. Nell’intimità
non ci sono messaggi segreti, il livello sociale e il livello psicologico sono congruenti. Questa è un’importante differenza tra l’intimità
e i giochi.

Altrettanto importante è il fatto che nell’intimità le emozioni espresse sono adeguate a porre fine alla situazione. Quando John e io ci
siamo arrabbiati ciascuno ha fatto sapere all’altro cosa voleva tramite le emozioni oltreché le parole. Nessuno di noi due leva
poteva costringere l’altro a comportarsi in un modo particolare, ma ciascuno di noi ha reso il più possibile chiaro quello che voleva,
a livello emotivo oltreché celebrale.

All’opposto le emozioni che si provano al termine di un gioco non fanno niente per risolvere la situazione in cui sono i partecipanti al
gioco stesso. Lo sappiamo dal fatto che i giochi vengono ripetuti più e più volte.

L’intimità quale strutturazione del tempo può o non può avere molto a che fare con l’intimità nell’abituale senso attribuito al
termine. Quando due persone sono in intimità sessuale o personale, può anche darsi che condividano apertamente le loro
emozioni e desideri. In questo caso stanno strutturando il loro tempo nell’intimità. Ma è comune che anche i rapporti emozionali
intensi siano fondati prevalentemente sull’effettuazione di giochi.

I giochi sono talvolta utilizzati come sostituti dell’intimità. Essi comportano un’intensità di carezze simili (
benché le carezze dei giochi siano prevalentemente negative), ma senza lo stesso grado di rischio percepito.

In un gioco ciascuno addossa all’altro la responsabilità del suo esito; nell’intimità, invece, ciascuno accetta la
propria responsabilità.

Riguardo agli stati coinvolti nell’intimità Berne ha scritto: l’intimità è una franca relazione Bambino-Bambino aliena da giochi e dallo
sfruttamento reciproco. V iene stabilita dagli stati dell’Io Adulto delle parti interessate, in modo che essi capiscano molto bene i
mutui contratti e impegni.

Quindi è importante nell’intimità l’Adulto. Alcuni autori hanno semplificato questa idea, considerando l’intimità unicamente come
uno scambio da Bambino a Bambino. Per essere un rapporto d’intimità dobbiamo dapprima creare il rapporto con tutte le nostre
capacità di pensiero, di comportamento ed emotive dell’Adulto. All’interno di questa cornice protettiva possiamo se lo vogliamo
tornare nel Bambino, condividendo e soddisfacendo alcuni dei bisogni insoddisfatti risalenti ai nostri primi anni.

Alcuni autori di A.T. hanno affermato che l’intimità comporta anche un prendersi cura e un dar protezione propri del Genitore. Il
messaggio proveniente da questo stato dell’Io è : io non ti svaluterò, e non permetterò che tu svaluti me.

L e carezze nell’intimità sono più intense che in qualsiasi altro tipo di strutturazione del tempo. Possono essere scambiate carezze
sia negative che positive. Ma non vi sarà svalutazione, dato che per definizione l’intimità è uno scambio di desideri ed emozioni
autentici.

Quando l’intimità comporta uno scambio di carezze positive esse sono vissute come particolarmente piacevoli e gratificanti. Dopo
aver lasciato sbollire la mia rabbia contro John mi rilasso, lo guardo negli occhi e sorrido. Dico:”Ehi, adesso mi sembra di conoscerti
meglio. Sono contento che tu sia stato aperto con me facendomi sapere cosa provavi”. John mi rivolge uno sguardo altrettanto
diretto, sorride e dice: “anch’io sono contento che tu mi abbia ascoltato”. Poi ci avviciniamo e ci stringiamo la mano.

L’intimità è anche il più prevedibile tra tutti i modi di strutturare il tempo. Così nel Bambino posso percepire l’intimità come il modo
più rischioso di rapportarmi con l’altro. Paradossalmente in realtà questo è il rischio minore. Quando io e l’altro siamo in intimità
comunichiamo senza svalutazione: pertanto l’esito dell’intimità deve essere sempre costruttivo per le persone interessate. Che
esse la trovino o no piacevole è un’altra questione, e dipenderà probabilmente dal fatto che le carezze scambiate siano positive
dirette o negative dirette.

PARTE IV LA STORIA DELLA NOSTRA VITA, SCRITTA DA NOI I COPIONI


NATURA E ORIGINE DEL COPIONE (CAP.X)

Ognuno di noi ha scritto la storia della propria vita. Cominciamo a scriverla dalla nascita. Quando abbiamo 4 anni, abbiamo deciso le
parti essenziali della trama. A 7 anni abbiamo completato la storia in tutti i dettagli principali. A 12 anni le abbiamo dato dei ritocchi
e aggiunto qua e là qualche dettaglio. N ell’adolescenza poi abbiamo ricevuto il copione, aggiornandolo con personaggi aderenti
alla vita reale.
La storia della nostra vita ha un inizio, un punto di mezzo e una fine. Ha i suoi eroi, i suoi cattivi, i suoi protagonisti e le sue comparse.
Può essere comica o tragica, mozzafiato o noiosa, fonte d’ispirazione o banale.

Ora che siamo adulti gli inizi della nostra storia sono al di fuori della portata della nostra memoria cosciente. Può darsi che a tutt’oggi
non siamo consapevoli si averla scritta; è probabile che vivremo questa storia come la componemmo tanti anni fa. Questa storia è
il nostro copione.

Natura e definizione

La prima elaborazione della teoria del copione fu fatta da Berne e dai suoi colleghi , in particolare da Claude Steiner, alla metà degli
anni ’70. Il concetto di copione è cresciuto d’importanza in seno alla teoria dell’A.T. sino a che oggi, insieme al modello degli stati
dell’Io, è un’idea centrale dell’A.T.

In Principi di terapia di gruppo Berne ha definito il copione “un piano di vita inconscio”. Successivamente in C iao…e poi? Ne ha dato
una definizione più completa: “un piano di vita che si basa su di una decisione presa durante l’infanzia, rinforzata dai genitori,
giustificata dagli avvenimenti successivi, e che culmina in una scelta decisiva”.

Il copione è un piano di vita

Il concetto che gli schemi di vita degli adulti siano influenzati dalle esperienze infantili è centrale non solo per l’A.T., ma anche in
molti altri approcci psicologici. Ciò in cui la teoria del copione dell’A.T. si differenzia dagli altri è nel sostenere che il bambino rediga
un piano specifico della propria vita, più che semplicemente una visione generale del mondo. Questo piano di vita, è redatto sotto
forma d’azione drammatica, con un suo netto inizio, un punto di mezzo e una fine.

Il copione è diretto verso un tornaconto

Il piano si vita “culmina in una scelta decisiva”. Quando il bambino piccolo scrive la propria vita, ne scrive come parte integrante
anche la scena finale. Tutte le altre parti del copione, dalla scena di apertura in poi, sono allora programmate per portare a questa
scelta finale.

La scelta finale è chiamata il tornaconto del copione. La teoria dice che quando da adulti noi mettiamo in scena il nostro copione,
senza saperlo scegliamo dei comportamenti che ci facciano avvicinare al tornaconto del nostro copione.

Il copione è decisionale

Berne definisce il copione “un piano di vita che si basa su una decisione presa durante l’infanzia”. In altre parole il bambino decide
quale sarà il suo piano di vita. Esso non è determinato unicamente da forze esterne quali i genitori o l’ambiente. Il copione è
decisionale.

Ne segue che anche quando i bambini diversi vengono allevati nello stesso ambiente essi possono decidere dei piani di vita del tutto
diversi.

Nella teoria del copione il termine “decisione” è utilizzato in senso tecnico, diverso dall’usuale significato che troviamo nel
dizionario. Le decisioni di copione del bambino non sono prese nel modo riflessivo deliberato che noi associamo alle decisioni prese
dall’adulto. Le prime decisioni derivano da emozioni, e vengono prese prima ancora che il bambino abbia la capacità di parola.
Dipendono da un tipo di esame di realtà diverso da quello effettuato dagli adulti.

Il copione è rinforzato dai genitori

Benché non siamo in grado di determinare le decisioni di copione di un bambino, i genitori possono esercitare una forte influenza su
di esse. I genitori inviano dei messaggi sulla base dei quali egli forma delle conclusioni su se stesso, sugli altri e sul mondo. Questi
messaggi di copione sono sia non verbali che verbali.

Costituiscono la struttura di riferimento in risposta alla quale vengono prese le principali decisioni di copione del bambino.

Il copione è al di fuori della consapevolezza

Nella vita adulta le occasioni in cui ci avviciniamo di più a un ricordo dei nostri primi anni sono i sogni e le fantasie. E’ probabile che
rimaniamo inconsapevoli delle prime decisioni che prendemmo, anche se le abbiamo vissute nel nostro comportamento.

La realtà viene ridefinita per “giustificare” il copione

Noi spesso non facciamo altro che interpretare la realtà all’interno della nostra struttura di riferimento in modi tale che essa appaia
giustificare le nostre decisioni di copione. Questo lo facciamo perché nel nostro stato dell’Io Bambino possiamo percepire qualsiasi
minaccia alla nostra visione del mondo basata sul copione come una minaccia alla gratificazione dei nostri bisogni o anche alla
nostra stessa sopravvivenza.

Origini del copione

Perché prendiamo queste radicali decisioni infantili? Che funzioni assolvono? La risposta risiede in due caratteristiche della
formazione del copione:
1) Le decisioni di copione rappresentano la miglior strategia che ha il bambino per sopravvivere in un mondo che spesso sembra
ostile se non minaccioso per la sua vita.
2) L e decisioni di copione sono prese sulla base delle emozioni e dell’esame di realtà del bambino.

Risposta a un mondo ostile

Il bambino è piccolo e fisicamente vulnerabile. Pr lui il mondo è popolato da enormi giganti. Incapace di parola o di un pensiero
coerente egli sa solo che se mamma e papà vanno via lui morirà. Se loro si arrabbiano possono annichilirlo. Il bambino piccolo,
inoltre, non ha la comprensione adulta del tempo.

Per tutti gli anni della formazione del copione il bambino è in una posizione d’inferiorità. Egli percepisce i genitori come dotati di
potere totale, e nell’infanzia questo potere è potere di vita o di morte, e in un secondo momento sarà il potere di soddisfare i suoi
bisogni o lasciarli insoddisfatti.

La sua risposta è allora data da alcune strategie di sopravvivenza che gli permettono di vedere esauditi nel modo migliore i suoi
bisogni.
Primo esame di realtà ed emozioni

Un bambino piccolo non pensa come un adulto, né prova emozioni allo stesso modo. Le decisioni di copione sono prese sulla base di
modi peculiari che ha il bambino di pensare e sentire.

L’esperienza emozionale del bambino è di rabbia, di totale abbandono, di terrore e di estasi. Egli prende le sue prime decisioni in
risposta a queste intense sensazioni. Cosi non è sorprendente che le decisioni prese spesso siano estreme.

Nella logica del bambino la regola è ragionare dal particolare al generale.

Una bambina di 4 o 5 anni può essere infuriata verso il padre perché non le dà più la calda attenzione che la mandava in estasi
quand’era più piccola. E’ probabile che non decida semplicemente: “sono infuriata con papà”, ma: “sono infuriata con gli uomini”.

Il bambino può compensare questo suo senso di impotenza immaginando di essere onnipotente o di poter fare cose magiche. Se è
figlio unico può decidere:”e’ colpa mia”, se i genitori litigano venendo alle mani può credere che sia suo compito proteggere un
genitore dall’altro.

Se il bambino avverte che è rifiutato da un genitore, può attribuire la colpa a se stesso, decidendo: “ c’è qualcosa che non va in me”.

I bambini piccoli hanno difficoltà a distinguere tra bisogni e fatti reali. Un bambino può pensare: “ voglio uccidere questo neonato
che sta ottenendo tutte le attenzioni!”. Per lui questo equivale a dire: “io ho ucciso il nuovo arrivato”. Può allora concludere: “sono
un assassino, sono cattivo e detestabile”. Nella vita adulta questa persona può avvertire un vago senso di colpa per un “crimine”
mai commesso.

Per capire cosa significa bisogna prestare attenzione ai sogni, che sono il momento della vita adulta in cui più ci avviciniamo al
ricordo di come da bambini vivevamo in modo ostile.

COM’E’ VISSUTO IL COPIONE (CAP XI)

Il copione ha sia un contenuto che un processo. Il contenuto si riferisce al che cosa, mentre il processo a ll’in che modo. Il contenuto
del vostro copione è diverso da quello di chiunque altro. Il processo del copione rientra in un numero relativamente piccolo di
schemi particolari.

Copioni vincitori, perdenti e non vincitori

In termini di contenuto possiamo classificare i copioni in 3 categorie:

 Vincitori
 Perdenti o amartici
 Non vincitori o banali

1) Il copione vincitore
Berne definisce “vincitore” “una persona che realizza il suo obiettivo dichiarato”. Vincitore implica anche che
l’obiettivo dichiarato sia raggiunto in modo agevole, felice e fluido.

Se da bambino ho deciso che diventerò un grande leader, e alla fine divento un generale o un politico amato dal pubblico, un uomo
di successo e appagato, sono un vincitore.

Se decido di diventare un eremita senza un soldo, e procedo a diventare un eremita che vive felice nella sua
caverna, sono un “vincitore” perché è sempre relativo agli obiettivi che mi sono posti.

2) Il copione perdente
Significa una persona che non realizza l’obiettivo dichiarato.

Se ho deciso di diventare un grande leader, e invece entro nell’esercito e finisco degradato, sono un perdente. Se decido di essere un
milionario e finisco con l’essere un poveraccio senza un quattrino sono un perdente.

Ma sono anche un perdente se decido di essere un milionario, lo divento e mi sento sempre povero a causa della mia ulcera, delle
pressioni che mi impone il mio lavoro.

Berne sottolinea che i vincitori non vanno semplicemente considerati coloro che accumulano beni materiali e denaro, né i perdenti
vanno necessariamente cercati tra coloro che mancano di cose materiali.

Il fatto è, tuttavia, che alcuni di noi nell’infanzia possono decidere di raggiungere uno scopo che non può essere ottenuto senza
sofferenze, autolimitazioni e anche lesioni fisiche. Per esempio un bambino può decidere agli inizi della vita: “per essere amato da
mamma e papà devo morire” e passerà a raggiungere questo tragico obiettivo. i copioni con questo tipo di tornaconto sono
perdenti.

Essi possono essere classificati in copioni di primo, secondo e terzo grado, secondo la gravità del tornaconto.

 Un copione di primo grado è un copione in cui gli insuccessi e le perdite sono abbastanza tenui da essere esaminati nella cerchia
sociale della persona. Per es. una lite sul lavoto o l’insucesso degli esami a scuola.

 I perdenti di secondo grado vivono spiacevoli esiti di copione che sono abbastanza gravi da non essere argomenti accettabili di
conversazione nella cerchia sociale. Per es. essere licenziati da una serie di impieghi, essere ospedalizzato per una depressione
grave.
 Un copione di terzo grado culmina nella morte, in gravi ferite e malattie, o in una crisi legale. Per es. finire in prigione, in
ospedale per gravi disturbi psichiatrici, o suicida dopo il fallimento in un esame finale.

Spesso usiamo il termine amartico, che deriva dal greco amartia, che significa “catastrofe”.

3) Il copione non vincitore


Non è né carne, né pesce. Tira a campare giorno dopo giorno, non fa nessuna grande vincita, ma neanche una grande perdita. Non
corre rischi. Questo copione spesso è chiamato banale. Non diventerà mai il capo, ma non sarà nemmeno mai licenziato, gli
daranno un bell’orologio di marmo, e andrà tranquillo in pensione.

Vincitori, perdenti e non vincitori

Diceva Berne che si può distinguere un vincitore da un perdente chiedendogli cosa farebbe se perdesse. Un vincitore le sa ma non lo
dice. Un perdente non lo sa, e sa solo parlare di vincere. Un vincitore ha sempre ulteriori opzioni, ed è così che vince. Se una cosa
non funziona, fa qualcos’altro fino a che riesce.

Un non vincitore talvolta vince e talvolta perde, ma non molto in nessuna delle due direzioni, perché non corre rischi.

Avvertenza riguardo a questa classificazione

Questa classificazione è solo approssimativa. Quello che può essere un tornaconto non vincitore per voi può essere un tornaconto
vincitore per me. Quello che è inaccettabile nella mia cerchia sociale può essere OK nella vostra.

In realtà la maggior parte di noi opta per copioni che sono una mescolanza di vittorie, non vittorie e sconfitte. Nel mio insieme
peculiare di decisioni infantili, io forse mi sono detto di essere un vincitore nel lavoro intellettuale, un non vincitore nell’attività
fisica e un perdente di primo gradi nei rapporti personali.

Più importante di tutto è rendersi conto che qualsiasi copione può essere cambiato. Divenuto consapevole del mio copione, posso
scoprire qualsiasi area in cui ho preso decisioni perdenti e cambiarle in decisioni vincitrici. La classificazione è un’informazione utile
riguardo al passato, ma in nessun modo è un’affermazione immutabile riguardo al futuro.

Il copione nella vita adulta

Da adulti talvolta riproponiamo le strategie che decidemmo di attuare da bambini. Reagiamo alla realtà qui- e-ora come se fosse il
mondo che immaginiamo nelle nostre prime decisioni. Quando agiamo così si dice che siamo nel copione; stiamo mettendo in atto
un comportamento o delle emozioni di copione.

Perché facciamo così?

La ragione primaria è che speriamo ancora di risolvere il tema fondamentale rimasto irrisolto nella nostra infanzia: come ottenere
amore e attenzione incondizionati. Così da adulti spesso reagiamo come se fossimo ancora bambini piccoli. L’A.T. vede questo
come la fonte della maggior parte dei problemi delle persone.

Quando entriamo nel copione siamo consapevoli di stare riproponendo delle strategie infantili. Ma ci sono 2 fattori che rendono
questo più probabile:
1) Quando la situazione qui-e-ora è percepita come fonte di stress
2) Q uando c’è qualche rassomiglianza tra la situazione qui-e-ora e una situazione di stress dell’infanzia.
Questi due fattori si rafforzano l’un l’latro.

Lo stress e il copione

Stan Woollams ha suggerito l’idea di una scala dello stress. Maggiore è lo stress, più è probabile che la persona entri nel suo
copione.

Immaginiamo che abbia avuto un litigio col mio superiore immediato. Questo per me è solo un livello di stress
3. Così rimango fuori dal copione, discuto le nostre divergenze in modo Adulto, ragiono che il mio capo e io o arriveremo a un
compromesso, o dovremo rassegnarci ad avere pareri divergenti. In quest’ultimo caso non cadrà certo il mondo.

Ma supponiamo che ora il mio superiore diretto chiami il direttore. Una discussione col capo supremo vale 6 nella scala sello stress.
Io cado nel copione. Di fronte al direttore attivo le stesse reazioni fisiche, emotive e di pensiero che avevo da bambino, quando mio
padre arrabbiato giganteggiava su di me, urlando parole violente che io non riuscivo a capire, senza rendermene conto a livello
inconsapevole, ho fatto diventare il direttore mio padre.

La scala dello stress è un buon mezzo per cogliere il rapporto tra stress e reazioni da copione, ma non significa che lo stress possa
costringere chiunque ad entrare nel copione.

Elastici

Quando sono entrato nel copione nella mia discussione col direttore non era solo perché la situazione era fonte di stress. Era anche
perché la scena qui-e-ora assomigliava a una scena dolorosa della mia infanzia.

Nel linguaggio dell’A.T. diciamo che la situazione è un elastico che riporta alla prima situazione.

Di solito non abbiamo nessun ricordo consapevole della scena infantile, cosicché non ci rendiamo nemmeno conto della
rassomiglianza.

Dato che la madre e il padre sono così importanti agli inizi della nostra vita spesso li troviamo all’estremità dell’elastico. Altrettanto
vale per i nostri fratelli e per altre figure parentali come nonni, zie e zii.

Quando parliamo a qualcuno con cui abbiamo un rapporto significativo, per un certo periodo identifichiamo in lui figure del passato.
Lo facciamo senza esserne consapevoli.

Questo è il fenomeno che i freudiani chiamano transfert. In A.T. lo chiamiamo in termini colloquiali “mettere una maschera su
qualcuno”. Gli elastici non sempre riportano a persone, possono anche riportarci a suoni, a odori, a particolari ambienti, o qualsiasi
altra cosa che ci ricordi, senza esserne consapevoli, situazioni dell’infanzia che furono fonte di stress.

Uno degli obiettivi del cambiamento in A.T. è quello di staccare gli elastici. Attraverso la comprensione del copione e la terapia
personale posso risolvere il trauma originario e sentirmi libero della forza che mi riporta indietro a vecchie scene infantili. Così
facendo permetto a me stesso di affrontare le situazioni qui-e-ora con tutte le risorse da adulto in mio possesso.

Il copione e il corpo
Sembra che noi prendiamo alcune delle nostre prime decisioni col corpo oltreché con la mente. Il bambino piccolo vuole raggiungere
la mamma, ma scopre che la mamma spesso si ritrae da lui. Per lenire il dolore di questo rifiuto, sopprime allora il suo bisogno
somatico. Per smettere di tendere verso la madre tende le braccia e le spalle.

Molti anni dopo, da adulto, ha tuttora questa tensione, ma sarà inconsapevole di averla. Può provare dolori e fastidi alle spalle e al
collo.

Berne ha parlato di segnali di copione. Sono segnali somatici che indicano che una persona è entrata nel copione. Può essere un
profondo respiro, un cambiamento di posizione o la tensione di una parte del corpo.

Perché il copione è importante

Esso ci da modo di capire perché le persone si comportano come fanno. Abbiamo bisogno di questa comprensione quando
esaminiamo i modi di comportarsi che sembrano in apparenza fonte di sofferenza o autodistruttivi. Quando siamo nel copione ci
abbarbichiamo a decisioni infantili. Quando eravamo bambini piccoli queste decisioni sembravano il miglior modo possibile per
sopravvivere e vedere esauditi i nostri bisogni. Da adulti abbiamo ancora queste credenze nel nostro stato dell’Io Bambino. Senza
averne consapevolezza cerchiamo di cambiare il mondo in modo che sembri giustificare le nostre prime decisioni. Quando siamo
nel copione cerchiamo di affrontare i problemi di adulti riproponendo delle strategie infantili, che necessariamente portano a
quegli stessi risultati cui portavano quando eravamo bambini.

Quando otteniamo questi spiacevoli risultati possiamo dire a noi stessi nel nostro stato dell’Io Bambino: “si, il mondo è come ho
deciso che fosse”.

E ogniqualvolta confermiamo le nostre credenze di copione come in questo modo possiamo avvicinarci di un passo al tornaconto del
nostro copione.

La fine della mia storia sarà quella di morire triste e solo. Nella vita adulto posso portare avanti questo piano di vita facendo in modo
di essere rifiutato più e più volte.

Il copione come soluzione magica

Il copione offre una soluzione magica per risolvere il problema di fondo rimasto irrisolto fin dall’infanzia: come ottenere amore e
accettazione incondizionati. Da adulti abbiamo delle difficoltà a uscire da questa visione magica, perché da bambini spesso ci
identificavamo con una fiaba e la nostra fantasia è che se facciamo in modo che la nostra vita vada come quella favola anche noi
finiremo col vivere felici e contenti.

L’unico problema è che le favole perpetrano una truffa a danno dei bambini. Esse insegnano che se volete
che vi succeda qualcosa di bello prima dovete essere abbastanza vittima da meritarlo.

Una cosa positiva che fanno le favole è dare ai bambini un senso di potere e controllo in una fase della loro vita in cui essi si sentono
privi di potere. L’unico problema è che la soluzione offerta è magica e non funziona nella realtà, ma almeno permette al bambino di
sopravvivere in una situazione che altrimenti potrebbe sembrare senza speranza.

Più tardi, nella vita adulta, il Bambino in noi continua ad attenersi a quelle credenze magiche e a cercare di farle funzionare. Uscire
dal copione consiste in parte nell’abbandonare la credenza in un mondo perfetto, e cominciare invece a usare il nostro Adulto per
risolvere i problemi e capire come fare affinché le nostre esigenze siano esaudite in un mondo che se non sarà mai perfetto, può
tuttavia essere meraviglioso e godibile.

Il copione come protezione contro la catastrofe

Immaginate che io sia di fronte alla possibilità di comportarmi, pensare o provare emozioni in un modo che non collima con il mio
copione. Per il mio Bambino questo significherebbe dover abbandonare la “soluzione magica”, ma significherebbe anche dover
affrontare quello che temevo sarebbe potuto accadere invece dell’esito magico che avevo sperato.

Quando da bambino presi le mie decisioni di copione, mi sembrava l’unica alternativa al seguire queste
decisioni sarebbe stata una qualche terribile e indicibile catastrofe.

Ogniqualvolta potevi confermare queste decisioni questo faceva sembrare meno probabile che la catastrofe mi travolgesse.
Quando viviamo il nostro copione nella vita adulta stiamo ancora seguendo questa motivazione infantile.

Senza esserne consapevoli stanno riproponendo la credenza: il modo in cui mi sto comportando adesso è doloroso. Ma non è tanto
negativo quando l’ignota catastrofe che mi succederebbe se cambiassi il mio comportamento. Tutto questo ci aiuta a vedere perché la
comprensionedel copione è così importante nel processo di cambiamento personale. Per uscire dal copione devo individuare i bisogni
che non ebbi esauditi da bambino. Devo trovare dei modi di avere esaudite ora queste esigenze, usando le mie risposte da adulto
invece di affidarmi alla soluzione magica del copione. E devo assicurare a me stesso che posso uscire dagli schemi del copione senza
dover affrontare la catastrofe che tanto temevo da bambino.

Il copione e il corso della vita

Ha scritto Berne: i l copione è ciò che l’individuo, nell’infanzia ha deciso di fare, e il corso della vita è ciò che
realmente accade.

Il corso della vita è il risultato di 4 fattori interagenti:

1) Eredità
2) Eventi esterni
3) Copione
4) Decisioni autonome
 La mia eredità genetica determina ampiamente il mio aspetto fisico. È può anche contribuire a determinare le mie caratteristiche
mentali, benché non sia ancora giunti ad un accordo nella disputa “natura/cultura”.
 Talvolta delle influenze esterne possono interferire con schemi e copioni negativi. Per esempio quando in tempo di guerra tutta la
popolazione di una nazione si unisce ci sono meno persone che soffrono disturbi nevrotici che in tempo di pace.
 Che io intraprenda o no una terapia formale, molte delle mie decisioni di vita possono essere prese impiegando appieno le mie
risorse di adulto. Diciamo che queste decisioni sono libere dal copione o autonome. Quando prendo una decisione autonoma sto
trattando la realtà del qui-e-ora da quell’adulto che sono adesso.
POSIZIONI DI VITA (CAP XII)

Berne afferma che il bambino piccolo agli inizi del processo della formazione del copione, ha già assunto certe convinzioni su se
stesso e sulla gente che lo circonda. E’ probabile che queste convinzioni gli restino per tutto il resto della vita:

1) Io sono OK; oppure


2) Io non sono Ok;
3) Tu sei OK; oppure
4) Tu non sei OK

Queste 4 affermazioni sono note col nome di posizioni di vita o posizioni fondamentali, posizioni esistenziali o semplicemente
posizioni. Esse rappresentano gli atteggiamenti che una persona assume circa il valore essenziale che percepisce in sé e negli altri.

Una volta adottata una di queste posizioni il bambino tenderà a costruire tutto il resto del proprio copione in modo che collimi con
essa.

1) Il bambino che sceglie “Io sono Ok, tu sei Ok” elaborerà probabilmente un copione vincitore. Considera se stesso degno d’amore
e piacevole, decide che i suoi genitori sono degni d’amore e di fiducia e più tardi estenderà questa concezione a tutti in generale.
2) Se un bambino assume la posizione “io non sono OK, tu sei OK” è più probabile che scriverà una storia di vita banale o perdente.
Elaborerà il proprio copione intorno al tema dell’essere vittimizzati e del perdere di fronte agli altri.
3) “io sono Ok, tu non sei OK”, può costituire la base di un copione che ha tutta l’aria di essere vincitore, ma questo bambino avrà
la convinzione di dover essere superiore e interiorizzare gli altri. Altre volte le persone intorno a lui si stancheranno di essere in
posizione d’inferiorità e lo rifiuteranno; allora lui passerà dalla posizione di apparente vincitore a quella di grave perdente.
4) La posizione “io non sono OK, tu non sei OK” è la base più probabile di un copione perdente, questo bambino è giunto alla
conclusione che la vita è futile e disperata. Si considera in posizione di inferiorità e indegno d’amore, è convinto che nessuno lo
aiuterà perché è non Ok come lui.

Le origini della posizione di vita

Secondo Berne la posizione viene assunta agli inizi dell’infanzia (dai 3 ai 7 anni) al fine di giustificare una decisione basata sulle prime
esperienze. Per Berne le prime decisioni vengono per prime, e la posizione di vita è adottata in una fase successiva dell’infanzia per
far si che il mondo appaia giustificare ciò che è stato deciso.

Secondo Claude Steiner la posizione di vita è adottata molto prima. Egli vede le sue origini nei primissimi mesi in cui il bambino è
oggetto di cure. La posizione “io sono ok, tu sei OK” rispecchia la tranquilla e reciproca interdipendenza tra il neonato e la mamma
che allatta, che egli paragona alla posizione di “fiducia di base”. Si tratta di una situazione in cui il bambino sente di essere una cosa
sola col mondo e ogni cosa è un tutt’uno con lui.

Steiner sostiene che tutti i Bambini partono dalla posizione “io sono Ok, ru sei Ok”, e che il Bambino passa a un’altra posizione solo
se c’è qualcosa a interrompere la reciproca interdipendenza tra lui e la madre.

Dunque Steiner è d’accordo con Berne nel sostenere che la posizione di vita “giustifica” le decisioni di
copione, ma nella versione di Steiner la posizione di vita è adottata prima e le decisioni vengono dopo.

La posizione di vita può essere definita come le convinzioni fondamentali di una persona su di sé e sugli altri, utilizzate per
giustificare le proprie decisioni e il proprio comportamento.

La posizione di vita nell’età adulta: l’Ok Corral

Franklin Ernst ha elaborato un modo per analizzare questi cambiamenti, che ha chiamato l’Ok di Corral

Egli preferisce la locuzione “OK con me”al semplice “ok”. Questo permette di sottolineare che il fatto di essere
OK è questione delle mie convinzioni riguardo a me stesso nonché delle mie convinzioni riguardo a te.

Ernst sottolinea che ciascuna delle posizioni infantili si rispecchia nella vita adulta attraverso un tipo particolare di interazione
sociale, che chiama u n’operazione. Se entriamo in una di queste operazioni senza esserne consapevoli, a partire dal nostro stato
dell’Io bambino, tenderanno a creare una “giustificazione” di copione di entrare nell’Adulto e utilizzare con consapevolezza una
qualsiasi operazione.

TU SEI OK CON ME

IO NON SONO OK IO SONO OK

CON ME CON ME

TU NON SEI OK CON ME

Il cambiamento personale e l’ok di Corral

Ciascuno di noi ha un quadrante preferito nel quale trascorre la maggior parte del tempo quando è nel copione, sarà quello che
abbiamo deciso nell’infanzia quale nostra posizione di base,

“io son ok, tu sei ok” è la posizione sana. Qui affronto la vita e risolvo i problemi, faccio in modo di raggiungere gli esisti vincenti che
desidero. Se la mia posizione infantile era “io non sono ok, tu sei ok” tenderò a vincere il mio copione prevalentemente a partire
dalla posizione depressiva di sentirmi inferiore agli altri. Se avrò dei problemi psichiatrici sarò probabilmente diagnosticato
nevrotico o depresso.

Una prima posizione “io sono ok, tu non sei ok” significherà che vivrò il mio copione prevalentemente nella posizione difensiva per
cui cercherò di rimanere superiore agli altri. Tutti quelli intorno a me mi vivranno come una persona prepotente, insensibile e
aggressiva. Benché a questa posizione sia spesso associato il termine paranoide, essa corrisponde anche alla diagnosi psichiatrica di
disturbi caratteriali.

Se da bambino ho assunto una posizione di base “io non sono ok, tu non sei ok” il mio copione sarà vissuto principalmente a partire
dalla posizione di inutilità. Qui io credo che il mondo e gli altri siano inutili, e anch’io. Se ho scritto un copione banale il mio
schema sarà Niente-da-fare-con la maggior parte delle cose che mi propongono di fare nella vita. Se il mio copione è amartico il
tornaconto più probabile è impazzire con una diagnosi di psicosi.

Come tutti gli aspetti del copione anche la posizione della vita può essere cambiata. E’ probabile che questo si verifichi solo a seguito
di una consapevolezza del copione, di una terapia o di una qualche potente esperienza esterna.

L’obiettivo finale è accrescere il tempo trascorso in io sono ok tu sei ok sino a che diventi la posizione preferita.

I MESSAGGI DI COPIONE E LA MATRICE DEL COPIONE (CAP XIII)

Abbiamo detto che il copione consiste in un insieme di decisioni che vengono prese dal bambino in risposta a messaggi di copione su
se stesso, gli altri e il mondo. I messaggi di copione provengono prevalentemente dai genitori del bambino.

I messaggi di copione e la percezione del bambino

Il bambino piccolo prende le decisioni di copione in risposta alla propria percezione di ciò che succede intorno a lui. Questa
percezione è fondata sui modi di sentire le cose e sull’esame di realtà che ha il bambino. Pertanto i messaggi che il bambino
percepisce come provenienti dai genitori e dal mondo che lo circonda possono essere molto diversi da quelli che percepirebbe un
adulto.

Tipi di messaggi di copione

I messaggi di copione possono essere trasmessi verbalmente, non verbalmente o in questi due modi combinati.

Sia i messaggi verbali che non verbali possono contenere un elemento di modellamento.

I messaggi di copione verbali possono essere trasmessi sotto forma di comandi o di attribuzioni.

1) Messaggi verbali/non verbali


Ancor prima dì essere capace di parlare il bambino piccolo interpreta i messaggi degli altri in termini dei loro segnali non verbali. Ha
una percezione acuta delle espressioni, delle tensioni corporee e dei movimenti, dei toni di voce e degli odori.

Se la mamma tende il corpo e tiene rigidamente il bambino può decodificare questo come: “io ti rifiuto e non ti voglio vicino”. Forti
rumori, improvvisi movimenti, separazioni dai genitori per un soggiorno in ospedale, possono tutti apparire come una minaccia alla
sopravvivenza.

Più tardi nell’infanzia, quando il bambino comincia a capire il linguaggio, la comunicazione non verbale è ancora importante. Una
violenza fisica, o la minaccia di essa, può significare per il bambino che i genitori lo rifiutano o forse lo vogliono morto.

Quando i genitori parlano al bambino egli interpreterà il significato di copione di ciò che essi dicono secondo i segnali non verbali che
lo accompagnano.

2) Modellamento
I bambini piccoli sono attenti osservatori di come gli altri si comportano; cercano continuamente soluzioni
alla domanda “qual è il modo migliore per ottenere quello che voglio, qui?”

Una bambina noterà forse che quando mamma vuole qualcosa da papà di solito l’ottiene facendo nascere
una lite e poi scoppiando a piangere.Oppure immaginate un bambino piccolo il cui fratellino è morto, egli nota che i genitori vanno al
cimiteri ogni settimana a portargli dei fiori. Il bambino trae la conclusione: “ quelli che muoiono hanno tutta l’attenzione”. Per
avere l’attenzione che voglio dai miei genitori devo morire come ha fatto mio fratello.

3) Comandi/attribuzioni
I messaggi di copione possono essere espressi sotto forma di ordini diretti. La potenza di questi comandi quali messaggi di copione
dipenderò da quanto spesso sono ripetuti e dai segnali non verbali che li accompagnano.

Altre volte al bambino può essere detto non solo quello che non deve fare ma quello che è. Questo tipo di messaggio è chiamato
attribuzione (sei stupido; sei la mia bambina). Il loro contenuto può essere positivo o negativo. Il loro potere in quanto messaggi di
copione sarà influenzato dai segnali non verbali che li accompagnano. Talvolta le attribuzioni possono essere trasmessi in modo
indiretto. Questo significa che i genitori parlano del bambino a qualcun altro, che il bambino sia presente o che lo venga a sapere
da qualcuno.

Le attribuzioni sono lette dal bambino come potenti messaggi di copione. Il bambino considera i genitori coloro che determinano la
realtà. Sentendoli parlare agli altri di come egli è, dà per scontato che ciò che essi dicono deve essere la realtà. In alcune famigli le
attribuzioni vengono trasmesse da una generazione all’altra da messaggi a livello psicologico ( per esempio il nome Ellen attribuito
a due parenti pazze).

4) Evento traumatico/ripetizione
Il bambino può prendere una decisione di copione centrale in risposta a un singolo evento vissuto come particolarmente minaccioso.
Immaginiamo che una bambina piccola subisca una violenza sessuale dal padre, essa potrà leggere questo singolo episodio come
un messaggio di copione troppo forte e decidere: io non mi fiderò mai degli uomini.

Probabilmente alla decisione si arriva più spesso lungo un certo arco di tempo in risposta a messaggi di copione che il bambino vive
in modo ripetitivo.
Eric Berne ha confrontato i messaggi di copione che si accumulano l’uno sull’altro a una pila di monete. Alcune di queste sono
rovinate e più sono rovinate, più è probabile che tutta la pila esca dal baricentro e cada. E’ un bell’esempio di come gli eventi
traumatici e i messaggi ripetuti si combinano a formare la base del copione di vita.

La matrice del copione

Vostra madre e vostro padre avevano un loro Genitore, un loro Adulto e un loro Bambino. Essi vi hanno trasmesso dei messaggi da
copione a partire da tutti e tre questi stati dell’IO. Voi avete ricevuto questi messaggi e li avete immagazzinati nei vostri 3 stati
dell’IO. A partire da questa constatazione Claude Steiner ha elaborato quello che è ora uno dei modelli centrali dell’ A.T.: la
matrice del copione.

 I messaggi che hanno origine dagli stati dell’Io Genitore della madre e del padre sono chiamati contro- ingiunzioni. Noi li
immagazziniamo come parte del contenuto del nostro Genitore.
 Il modellamento o i messaggi “ecco come si fa” provenienti d all’Adulto del genitore e indirizzati all’Adulto
del bambino costituiscono il programma.
 I messaggi inviati dallo stato dell’Io Bambino della madre e del padre possono essere di 2 tipo: ingiunzioni o permessi. Li
consideriamo immagazzinati nel contenuto del nostro Bambino.

1) Contro-ingiunzioni
I messaggi da Genitore a Genitore furono chiamati originariamente contro-ingiunzioni perché si riteneva che agissero in senso
contrario alle ingiunzioni. Ora sappiamo che questi messaggi possono talvolta contraddire le ingiunzioni, ma altrettanto spesso
rafforzarle o essere irrilevanti ali loro fini. Tuttavia l’appellativo è
rimasto.

Il contro-copione è l’insieme delle decisioni prese dal bambino per adeguarsi alle contro-ingiunzini.

Le contro-ingiunzioni consistono in comandi su cosa fare o non fare, più alcune definizioni degli altri e del mondo ( sii buono; non
essere scemo ecc).

Per la maggior parte del tempo noi utilizziamo il nostro contro-copione in modo positivo, per badare a noi stessi e adeguarci
agevolmente al contesto sociale. Da persone adulte non abbiamo bisogno di pensare se dobbiamo urlare a tavola; queste
conoscenze sono già in noi nel nostro copione positivo.

La maggior parte di noi, tuttavia, ha alcuni messaggi di contro copione che ha deciso di usare quale parte di un insieme negativo del
copione. Immaginate che io abbia in me il comando Genitoriale “lavora sodo”, posso utilizzarlo per ottenere successo a scuola, ma
posso lavorare talmente sodo da stremarmi troppo. Se il mio copione è amartico, posso usare il mio messaggio per portare avanti
un tornaconto sotto forma di ulcera, di ipertensione o di attacco cardiaco.

Ci sono un particolare 5 comandi che svolgono un ruolo speciale nel contro copione. Sono:

 Sii perfetto
 Sii forte
 Sforzati
 Cerca di piacere
 Sbrigati

Sono chiamati messaggi spinta o semplicemente spinta perché il bambino sente una coazione a seguire questi comandi. Egli è
convinto di poter rimanere ok fintantoché obbedisce alla spinta.

Quando ripropongono dentro di me un messaggio spianta esibisco un insieme di comportamenti che tipicamente accompagnano
quella spinta. Questi comportamenti spinta sono uniformi da una persona all’altra. Studiando il comportamento spinta di una
persona possiamo predire con una certa affidabilità alcune caratteristiche importanti del suo copione.

2) Il programma
Consiste in messaggi su come fare le cose. Nel compilare la matrice del copione, li poniamo come frasi che iniziano con: “ecco come
fare…”. Noi utilizziamo dei nostri messaggi di programma in modo costruttivo e positivo, ma anche negativo. I messaggi di
programma negativi potrebbero essere riportati in modo più
esatto nel diagramma della matrice come provenienti d all’Adulto contaminato nel genitore, ed essere
immagazzinati n ell’adulto contaminato del bambino.

3) Ingiunzioni e permessi
Immaginate una madre col suo neonato. Nell’accudire il figlio, la madre potrebbe riproporre dei messaggi provenienti dal suo stato
dell’Io Genitore quali: i bambini vanno protetti, i loro bisogni vengono innanzitutto.

Quando questa madre ritorna indietro e ripropone la sua infanzia, può darsi che avverta: che bello, ora c’è un altro bambino con cui
posso giocare. Può darsi che provi piacere dallo scambio fisico di carezze tra il neonato e lei, proprio come le piaceva accarezzare
ed essere accarezzata quando era neonata.

Cogliendo i messaggi non verbali, è probabile che il neonato concluda: mamma mi vuole e gli piace che io sia vicino a lei.

Nel linguaggio del copione, diciamo che questa madre sta dando al suo neonato dei permessi- qui il permesso di esistere e il
permesso di starle vicino.

Ma il bambino nella madre può invece avvertire: “questo è pericoloso. Ora c’è qui questo nuovo bambino, che dovrà avere tutta
l’attenzione”. Riproponendo le emozioni e i bisogni incensurati della propria infanzia, la madre può essere spaventata e furibonda
verso il nuovo arrivato. Può darsi che nel profondo del suo stato dell’Io bambino possa rifiutare il bambino o anche ucciderlo.

Anche se la madre non abbia nemmeno la consapevolezza di queste emozioni, il neonato con la sua acuta consapevolezza degli
stimoli non verbali, coglie la paura e la rabbia della madre e può gingere alla conclusione di non essere accettato dalla madre.

Questi messaggi negativi provenienti dal Bambino del genitore sono degli esempi di ingiunzioni. In questo
caso le ingiunzioni sono “non esistere, non avvicinarti”.
Le decisioni che abbiamo preso in risposta a questi messaggi sono le basi principali del nostro copione di vita. Tutto questo insieme
di ingiunzioni e di permessi, oltre alle decisioni prese su di essi da bambino, è talvolta chiamato copione in senso stretto.

Come distinguere le ingiunzioni/permessi dalle contro-ingiunzioni

1) Le contro-ingiunzioni sono verbali, le ingiunzioni/permessi sono (originariamente) proverbiali. Se ascoltate dentro di voi,
riuscirete a sentire le vostre contro-ingiunzioni espresse a parole. Spesso sentirete proprio il genitore o la figura genitoriale che
originariamente ve lo disse.

Se andate contro una contro-ingiunzione probabilmente sentirete un rimprovero verbale della figura genitoriale che aveva emesso il
comando.

All’oppostole ingiunzioni e i permessi non necessariamente vengono avvertiti a parole, quanto sotto dorma
di emozioni e sensazioni corporee, e sono rispecchiati nel comportamento.

Se affidate un’ingiunzione probabilmente proverete una tensione corporea o un senso di disagio. Probabilmente troverete ogni sorta
di mezzo per evitare il comportamento che va contro le ingiunzioni.

Questi modi possono sembrarvi da Adulto, ma in realtà sono delle razionalizzazioni.

2) Le ingiunzioni/permessi sono dati nella prima infanzia, le contro-ingiunzioni più tardi. Questo naturalmente è collegato alla
distinzione verbale-preverbale. Come regola generale il bambino incamera ingiunzioni e permessi negli anni precedenti la
padronanza del linguaggi. Non c’è nessuna età che segni un termine netto a questo periodo, secondo la nostra esperienza le
ingiunzioni possono continuare a essere impartite fino a che il bambino è tra i 6 e gli 8 anni, le contro- ingiunzioni possono essere
trasmesse tra 3 ai 12 anni.

INGIUNZIONI E DECISIONI (CAP XVI)

Bob e Mary Goulding hanno constatato che come base delle prime decisioni negative delle persone
emergevano sempre 12 temi, che hanno elaborato l’elenco delle 12 ingiunzioni.

Ogni ingiunzione ha il suo corrispondente permesso e sono espresse nella forma “Non…” e i permessi con “E’ OK…”.

“Non…” trasmette una proibizione e basta, un comando di non fare una data cosa, mentre “E’ OK…” non è
un ordine di fare una data cosa, ma un invito a chi riceve il messaggio a scegliere se fare una data cosa o no. Le ingiunzioni e i
permessi stessi sono trasmessi al bambino secondo modalità prevalentemente non verbali. Le dodici ingiunzioni

1) Non essere (non esistere)


Se qualche volta avete preso in considerazione l’idea del suicidio è molto probabile che tra i vostri messaggi di copione vi sia
l’ingiunzione “non esistere”. Lo stesso vale se vi siete mai sentiti privi di valore e inutili o indegni d’amore.

Perché dei genitori debbano dire “non esistere” a un bambino? Probabilmente perché nel proprio stato
dell’Io Bambino un genitore si sente deprivato o minacciato dall’aver vicino il bambino.

E’ molto facile per un bambino leggere una minaccia di morte in ogni tipo di comportamento genitoriale o in eventi esterni che a un
adulto sembrerebbero del tutto inoffensivi. Il bambino piccolo può confondere desideri e bisogni.

La stessa cosa può succedere quando una madre trasmette sottilmente al figlio: “ tu mi hai fatto molto soffrire quando sei nato”.
Berne lo chiamava “il copione della Madre lacerata”. Un bambino può decidere: “ col solo nascere ho fatto male alla mamma o
forse l’ho persino uccisa. Pertanto sono pericoloso e posso fare del male o uccidere gli altri col solo esistere. Così merito di essere
ferito o ucciso io stesso”.

Se “non esistere” è un ingiunzione usuale, perché la maggior parte delle persone non commette un suicidio? Fortunatamente perché
siamo estremamente ingegnosi nel trovare i modi per rimanere vivi. Il bambino probabilmente prenderà delle decisioni miste per
difendersi contro questo esito fatale. Queste decisioni saranno del tipo: “e’ OK per me continuare a esistere fintantoché…”.

2) Non essere te stesso


Questa ingiunzione può essere trasmessa a un bambino da genitori che hanno avuto un maschietto quando volevano una
femminuccia o viceversa. Il loro messaggio verbale è: “non essere del sesso che sei”. Questo può rispecchiarsi nella scelta del nome
dato al bambino o nel vestiario. Nella vita adulta la persona che porta in sé l’ingiunzione : “non essere del sesso che sei” può
continuare a portare abiti o avere modi di fare propri del sesso opposto. Una madre che sente un rifiuto verso il suo bambino può
continuamente confrontarlo ad altri.

3) Non essere un bambino


Questa è un’altra ingiunzione trasmessa da quei genitori che nel loro stato dell’Io Bambino, si sentono minacciati dall’avere un figlio.
Ma invece di desiderare che il piccolo sparisca, il Bambino nel genitore dice: “qui c’è spazio solo per un bambino e sono io”. Questo
può rispecchiarsi più tardi in messaggi verbali del tipo “ sei troppo grande per…” o “i bambini grandi non piangono”.

“Non essere un bambino” è anche impartito da quei genitori ai quali non fu mai permesso di essere un bambino e che si sentono
minacciati da un comportamento infantile.

Talvolta i figli più grandi o i figli unici trasmettono essi stessi questa ingiunzione. Vedendo papà e mamma che litigano un figlio unico
può decidere: “l’unica altra persona qui sono io, per cui devo essere io la causa di questa lite. Pertanto spetta a me fare qualcosa al
riguardo. Mi conviene crescere presto cos’ potrò occuparmene”.

Se vi sentite a disagio nel rapportarvi ai bambini probabilmente avete voi l’ingiunzione “non essere un bambino”. Lo stesso vale
probabilmente se vi irrigidite alle feste o in situazioni in cui ci si diverte tra adulti. “non divertitevi” e “non provare piacere” sono
talvolta considerati delle varianti di “non essere un bambino”.

4) Non crescereSpesso è il figlio più piccolo a ricevere l’ingiunzione “non crescere”. Questa ingiunzione può essere trasmessa da
genitori che non sono mai cresciuti essi stessi. Il loro messaggio è “rimani il mio piccolo compagno di giochi”.
Talvolta viene codificato come “non abbandonarmi”. Un’altra variante di “non crescere” è “non essere sexi”, spesso trasmesso da un
padre alla figlia nella fase dell’adolescenza in cui essa comincia a diventare donna, nel proprio Bambino il padre è spaventato
dell’attrazione sessuale che prova verso di lei.

5) Non riuscire
E’ trasmessa da un genitore che nel proprio Bambino è geloso dei risultati ottenuti dal figlio o dalla figlia.

A livello non verbale può darsi che egli trasmetta alla figlia l’ingiunzione “non riuscire”, anche se a un livello
manifesti la spinge a lavorare sodo e a eccellere.

Uno studente che abbia preso la decisione di copione di obbedire all’ingiunzione “non riuscire” di regola lavora sodo in classe e farà
bene tutti i compiti a casa, ma arrivato all’esame troverà probabilmente qualche modo per autosabotarsi, magari provocando
panico e scappando dall’aula degli esami, oppure “dimenticando” di presentare un lavoro d’importanza cruciale, o facendosi venire
una malattia psicosomatica, o scoprendo tutto a un tratto di non saper più leggere.

6) Non (non fare niente)


Se nella vita adulta una persona oscilla continuamente tra diverse strade, sentendo sempre di non stare arrivando da nessuna parte
ma senza intraprendere mai un’azione per cambiare questo stato di cose, probabilmente ha in sé questo messaggio di copione.

L’ingiunzione “non” è trasmessa da un genitore che nel proprio Bambino è terribilmente spaventato che il
figlio possa fare del male se gli viene permesso di allontanarsi dalle sottane della mamma.

7) Non essere importante


Le persone che portano in sé questo messaggio possono entrare in panico quando viene loro chiesto di assumere un qualsiasi tipo di
ruolo guida. Possono “avere la gola secca” quando sono chiamate a parlare in pubblico. La persona può lavorare in modo
eccellente in una posizione subordinata, ma mai chiedere una promozione e auto sabotarsi quando c’è una possibilità di ottenerla.
Una variante di questa ingiunzione è “ non chiedere quello che vuoi”.

Questo è un altro messaggio di copione derivante dal rifiuto verso il bambino.

8) Non far parte


La persona che obbedisce a questa ingiunzione si sente “fuori” da ogni gruppo, cosicché sarà considerata dagli altri un “solitario” o
un “asociale”.

Questo messaggio può essere trasmesso come attributo da quei genitori che dicono continuamente al figlio che è diverso dagli altri
bambini, timido o difficile. Oppure i genitori possono modellare questa ingiunzione attraverso la loro stessa incapacità di rapporti
sociali. Il messaggio può essere trasmesso o facendo del figlio il capro espiatorio o dicendogli continuamente che è una persona
speciale.

9) Non entrare in intimità


Questa ingiunzione può implicare la messa al bando della vicinanza fisica. Sotto questa forma è spesso modellata da quei genitori
che raramente si toccano l’un l’altro o toccano il bambino. Oppure può significare “non essere emotivamente vicino”.

Una variante di “non entrare in intimità”è “non fidarti”. E’ il messaggio che un bambino piccolo decodifica quando un genitore
improvvisamente se ne va o muore. Può essere anche recepito se il genitore è violento o cerca di burlarsi del figlio o di trarne
vantaggio. La decisione è “starò lontano da te per proteggermi”.

10) Non star bene (non essere sano di mente)


Immaginate che la madre e il padre siano due persone affaccendate, entrambe tutto il giorno in giro per lavoro. Amano la loro figlia,
ma non hanno molte energie per darle attenzioni quando entrano rientrano la sera. Poi la figlia si ammala, e la madre prende un
permesso dal lavoro per accudire la figlia malata. La bambina immagazzina la conclusione: “per ottenere l’attenzione che voglio qui
devo essere malata”. Senza rendermene conto o senza volerlo i genitori le hanno trasmesso l’ingiunzione “non star bene”.

Talvolta “non star bene” è trasmesso mediante un’attribuzione, come quando i genitori dicono continuamente di un bambino,
parlando ai parenti e ai vicini: “lui non è molto forte, sapete”. La variante “non essere sano” è spesso modellata a un bambino da
un genitore o un parente psicotico.

11) Non pensare


L’ingiunzione “non pensare” può essere trasmessa da un genitore che sminuisce sempre il pensiero del figlio. Una persona adulta
che obbedisca all’ingiunzione “non pensare” risponderà probabilmente a questi problemi con confusione o agitazione per il
problema invece di pensare a come risolverlo. Due varianti di “non pensare” sono : “non pensare a X” e “ non pensare quello che tu
pensi, pensa quello che penso io”.

12) Non sentire


Può essere modellato da quei genitori che soffocano essi stessi le proprie emozioni. Così l’ingiunzione “non sentire” può essere
interpretata come “non sentire la rabbia”, “non sentire la paura” e così via.

Talvolta il messaggio è decodificato nel senso “prova un’emozione ma non mostrarla”. Altri bambini ricevono una versione più
estrema che dice loro di non provare affatto una data emozione. Ai bambini piccoli, per esempio, i padri ingiungono più e più volte:
“i bambini grandi non piangono” o “sii un bravo ometto”. Queste frasi fatte vengono tradotte in “non provare tristezza” o “non
provare paura”.

Per esempio un bambino cui è stato imposto di non sentire la fame successivamente può provare dei disturbi
dell’alimentazione. “non sentire sensazioni” è alla radice di alcuni tipo di psicosi.

L’epicopione

Fanita English ha descritto un tipo particolarmente virulento di messaggio da copione che chiama
l’epicopione. Qui un genitore trasmette un’ingiunzione cui aggiunge un messaggio non verbale: “spero che
succeda a te, in modo che non succeda a me”.
Per esempio una madre che nell’infanzia aveva ricevuto il copione “non esistere” può trasmettere “non esistere” al figlio o alla figlia.
Nel suo Piccolo professore questa madre può credere che questo le faccia avere una magica liberazione della propria ingiunzione.

Talvolta l’epicopione può assumere la forma di un compito o di una maledizione familiare, per la quale ogni
generazione deve andare a finire nello stesso modo.

In che modo le decisioni sono collegate alle ingiunzioni

Le ingiunzioni di un genitore possono costringere il bambino a scrivere il proprio copione in un dato modo.
E’ il bambino che decide cosa fare delle ingiunzioni ricevute.

Se un bambino riceve dalla madre l’ingiunzione “non esistere” potrebbe suicidarsi da piccolo o da grande.

Ma vi è la possibilità che il bambino prenda una prima decisione magica di trasferire l’impatto di “non esistere” decidendo di
uccidere qualcun altro invece di se stesso.

Oppure la credenza magica può essere “se cesso di esistere come persona sana di mente forse non dovrò
morire” questo dà al copione il tornaconto amartico “impazzisci”.

All’altro estremo di queste decisioni tragiche, il bambino può già essere in grado di dire a se stesso: “questo
messaggio è un problema di mai madre, non mio”, e così rifiutare in blocco l’ingiunzione “non esistere”.

Molti di questi piccoli possono diventare piccoli psichiatri o sacerdoti anche da adulti.

Un altro modo per evitare l’effetto delle ingiunzioni è prendere delle decisioni miste. Questo significa che utilizzando l’intelligenza
del Piccolo professore il bambino combina diversi messaggi di copione, con l’obiettivo di sopravvivere e vedere esauditi nel miglior
modo possibile i suoi bisogni.

Contro-ingiunzioni che copre un’ingiunzione

Un modo per sopravvivere ad un’ingiunzione “non esistere” è prendere una contro-ingiunzione e utilizzarla per coprire l’ingiunzione.
Si potrebbe scegliere la contro-ingiunzione “lavora sodo” trasmessa dalla madre e prendere la decisone mista: “fintantoché lavoro
sodo è OK per me rimanere vivo”. Sul lavoro sarai considerato uno stacanovista.

Si può decidere di lavorare meno sodo, prendere delle vacanze o delegare il lavoro agli altri o riempirsi il tempo libero con altri
impegni. In questo caso è stato perturbato l’equilibrio dinamico del copione, a livelli conscio si pensa di aver fatto un passo positivo
abbandonando la mole di lavoro, ma a livello inconscio si percepisce questo cambiamento come una minaccia per la sopravvivenza.
La convinzione di copione è “ora che ho smesso di lavorare così tanto devo ascoltare la mamma che mi dice di morire” non c’è da
meravigliarsi che ben presto trovi i modi per essere ancora iperattivo.

Quindi si copre il “non esistere” trasmesso dalla madre con la contro-ingiunzione “lavora sodo”. Quando si comincia a lavorare meno
si scopre l’ingiunzione. Continuando a lavorare sodo si sta seguendo una strategia tesa alla sopravvivenza. Ma dopo anni di
superlavoro può darsi che si muoia d’un attacco di cuore o si sia vittime di ulcere o ipertensione. Quello stesso insieme che è stato
elaborato per difendere da un tornaconto amartico si compendia nel raggiungere proprio quel tornaconto.

Se si propone di smettere il superlavoro ma non si fa niente circa il messaggio soggiacente “non esistere” ci sono forti possibilità che
ben presto ricada nel lavorare troppo. Questo ad un osservatore esterno può sembrare un auto sabotarsi, ma per il piccolo
professore nostro è l’opposto esatto del sabotaggio: sembra essere l’unico modo di evitare la minaccia di morte proveniente dalla
madre.

Per smantellare questa parte del copione si avrà innanzitutto bisogno di depotenziare il messaggio “ non esistere”. Una volta che ci
prendiamo il permesso di continuare a vivere malgrado la maledizione di nostra madre potremo passare a ridurre gli impegni di
lavoro. Ora scopriremo di poter mantenere bassa la pressione in modo facile e permanente.

Un ingiunzione che copre un’altra ingiunzione

“ non esistere” non era la sola ingiunzione che jack aveva ricevuto dalla madre, ma anche “non entrare in intimità”. Jack potrebbe
utilizzare questa ingiunzione più leggera per difendersi dall’altra più pesante. Da bambino può darsi che abbia preso una decisione
mista “e’ ok continuare a vivere fintantoché non entro in intimità con nessuno”. Quando da adulto è nel copione, Jack senza
saperlo metterà in atto questa prima decisione. Agli latri apparirà fisicamente distante e non disposto a condividere i propri
sentimenti. Probabilmente troverà difficile dare o prendere carezze, in particolare fisiche.

Potrà sentirsi deprivato di carezze o solo, e darsi da fare per entrare in intimità con qualcuno. Ma è probabile che impedirà a se
stesso di faro per più di un breve periodo, e poi troverà un modo di ritrarsi, magari facendo

in modo di rifiutare o di essere rifiutato, a livello consapevole Jack si sente triste e a disagio per questo suo essere nuovamente solo,
ma il suo Piccolo professore a livello inconsapevole tira un sospiro di sollievo.

Se jack vuole abbandonare il suo insieme di copione e godere della vicinanza degli altri, avrà bisogno di cominciare col liberarsi
dall’ingiunzione “non esistere”. Potrebbe farlo decidendo di vivere qualunque cosa accada.

Mettere un genitore contro l’altro

Papà non ha trasmesso a Jack un messaggio “non esistere”, gli ha invece dato l’ingiunzione più leggera “ non pensare”. Questo ha
permesso a jack un’altra strategia infantile di sopravvivenza, la decisione “fintantoché faccio finta di essere stupido per papà non
dovrò morire per mamma”. Nella vita da adulto Jack talvolta può sembrare “disattivare” la propria capacità di pensare. In questi
momenti sembra confuso e dice cose del tipo: “non riesco a mettere insieme i miei pensieri, la mia mente se ne va”. A livello
inconsapevole sta cercando di tenersi vicino il padre perché lo protegga dalla letale ingiunzione della madre.

L’anticopione

Alcune persone possono prendere uno dei loro messaggi di copione e invertirlo nel suo opposto. Quando
agiamo in questo modo si dice che siamo nell’anticopione. L’adolescenza è un’età abituale per l’anticopione.
Esso può essere considerato ciò che il bambino ribelle decide di fare quando ne ha avuto abbastanza del copione e del contro
copione. Più tardi, si potrà uscire di nuovo dall’anticopione e tornare nel copione e al contro copione.
IL PROCESSO DEL COPIONE (CAP XV)

Fino a questo momento abbiamo esaminato il “che cosa” del copione della vita- il suo contenuto. Ora esamineremo il processo del
copione.

I 6 tipi di processo del copione sono stati elencati da Berne:

1) Finché 4) Sempre
2) Dopo 5) Quasi
3) Mai 6) A finale aperto.

Ciascuno di questi copioni si riferisce al modo in cui la persona vive nel tempo il proprio copione.

1) I l copione “Finchè”

Se io vivo il mio copione secondo lo schema “Finché” il mio motto di vita è: “non posso divertirmi finché non ho finito il mio lavoro”.
Quindi non può succedere qualcosa di bello finché non è finito qualcosa di brutto.

L’eroe Ercole aveva un copione “Finché”: prima di poter essere innalzato a semidio doveva portare a termine
tutta una serie di ardui compiti- non ultimo asportare una montagna di letame dalle stalle del re.
2) I l copione “Dopo”

La persona con un copione “Dopo” segue il motto: “posso divertirmi oggi ma dovrò pagarlo domani”.

La frase comincia con una “nota alta”. Poi viene una cerniera, spesso rappresentata dalla parola ma. Dopo
questo momento tutto il resto è una “nota bassa”.

Il copione “Dopo” è illustrato dal mito di Damocle, il quale mangiava, beveva e se la spassava, ma aveva continuamente sospesa sulla
testa una spada appesa a un capello, e una volta che l’ebbe guardata e l’ebbe vista, non potè più essere felice, perché viveva nel
costante timore che cadesse. La persona con questo copione è convinta di potersi divertire oggi, ma solo a costo che la spada cada
domani.

3) Il copione “Mai”

Tantalo è condannato a stare in eterno in piedi in una vasca piena d’acqua. Da una parte della vasca c’era il cibo, dall’altra una
brocca d’acqua, ma entrambi erano al di fuori della portata di Tantali che rimase sempre affamato e assetato. Tantalo non sembra
rendersi conto che potrebbe afferrare sia il cibo che l’acqua facendo semplicemente un passo da una parte all’altra. Una persona
nel copione “mai” è uguale a Tantalo: potrebbe ottenere ciò che vuole facendo semplicemente un passo, ma non lo fa.

4) Il copione “Sempre”

Il mito greco relativo è quello di Aracne, che molto brava nel ricamo fu tanto poco saggia da sfidare la dea Minerva in una gara.
Offesa, la dea mutò Aracne in un ragno condannato a tessere una tela per l’eternità.

Le persone col copione “Sempre” possono agire passando da un rapporto, da un lavoro o da una località insoddisfacente a un altro.
Una variante di questo schema è rimanere nella scelta insoddisfacente originaria invece di passare a una migliore. La persona con
un copione “Sempre” potrebbe dire: “non ho ottenuto granché dal lavoro con questo terapeuta, tuttavia penso che continuerò,
sperando di arrivare da qualche parte”.

5) I l copione “Quasi”

Sisifo fù condannato per l’eternità a spingere un grosso masso lungo un pendio. Ogniqualvolta era quasi arrivato in cima perdeva la
presa del masso che rotolava di nuovo giù in basso. Come Sisifo la persona con un copione “Quasi” dice: “questa volta ce l’ho quasi
fatta”.

Berne aveva chiamato questo copione “Più e più volte”. Tuttavia alcuni autori successici hanno sottolineato che tutti i copioni sono
vissuti più e più volte, cosicché è stato ribattezzato “Quasi”.

Taibi Kahler ha sostenuto che ci sono 2 tipi di copione “Quasi”. Quello appena descritto è il copione Quasi tipo 1. Nel “Quasi tipo 2”
la persona raggiunge effettivamente la cima della collina, ma invece di fermare il masso e sedervicisi sopra con un sospiro di
sollievo, questa persona “Quasi” nemmeno si accorge di essere arrivata in cima e immediatamente si guarda intorno alla ricerca di
una collina ancora più alta sulla quale spingere il masso, e poi procede a farlo. La persona con un “Quasi tipo 2” sarà spesso una
persona che ottiene alti risultati materiali.

Ci sono 2 tipi di frase diversi che segnalano un copione “Quasi”. Chi parla può cominciare una frase, poi partire per una tangente che
porta a termine. “Ciò di cui sto per parlarvi oggi è – oh a proposito, ho degli appunti che poi vi darò”.

Oppure la persona con un copione “Quasi” può sciorinare tutta una serie di cose positive seguita da una sola cosa negativa. “ Gli
alberi sono meravigliosi in autunno. E’ ancora caldo e c’è un sole così forte! Ma state attenti, l’aria è fredda”.

6) I l copione “ A finale aperto”

Questo copione assomiglia ai copione “Finchè” e “Dopo” per il fatto di avere un particolare punto di cerniera dopo il quale le cose
cambiano, solo che per la persona con un copione “A finale aperto” il tempo dopo questo momento è semplicemente un grande
vuoto. E’ come se le pagine finali di un copione teatrale mancassero.
Alfred è appena andato in pensione dopo 40 anni di lavoro per la ditta. Ha sempre aspettato di avere più tempo libero; ma ora,
stranamente si sente a disagio.

Il copione “A finale aperto” può essere vissuto nel breve oltreché nel lungo termine, e’ tipico che alcune persone si pongano solo
degli obiettivi a breve termine, una volta che li abbiano portati a termine, crollano perché non sanno più cosa fare fino a che non
viene qualche altra cosa, Allora fissano un altro obiettivo a breve termine e il processo si ripete.

Questo ricorda il mito di Filemone e Bauci, una coppia di anziani che diversamente dagli altri accoglieva gli dei che si presentavano
loro sottoforma di stranieri stanchi dal viaggio. In ricompensa della loro gentilezza gli dei allungarono loro la vita trasformandoli in
alberi vicini coi rami intrecciati.

Come liberarsi dagli schemi del processo del copione

Bisogna cominciare con lo stabilire quali sono gli schemi principali. Una volta raggiunta questa consapevolezza bisogna
semplicemente assumere il controllo dell’Adulto e usare i modi che liberino da questi schemi.

Se pensate che vi sia stato trasmesso un copione del tipo “ A finale aperto” rendetevi contro che i vostri genitori vi hanno fatto in
realtà un bel dono. Dato che le pagine finali del vostro copione originario mancano, siete liberi di scrivere la fine che vi pare.

Ogniqualvolta mettete in atto un comportamento contrario al vostro schema di processo indebolite questo schema per il futuro, e ci
rendete più facile dare un ulteriore passo verso la liberazione dal vostro vecchio tipo di copione.

LE SPINTE E IL MINICOPIONE (CAP XVI)

Agli inizi degli anni ’70 lo psicologo Taibi Kahler seguendo l’idea di Berne che il copione può essere vissuto in periodi di tempo molto
brevi, annotò le parole, i toni di voce, i gesti, gli atteggiamenti e le espressioni facciali dei suoi pazienti e scoprì che vi erano alcuni
insiemi peculiari di questi comportamenti che le persone esibivano uniformemente un attimo prima di entrare in qualsiasi
comportamenti o emozione di copione.

Elencò 5 di queste sequenze comportamentali che chiamò spinte.

Ulteriori studi dimostrarono che il comportamento spinata faceva parte di uno schema più ampio che Kahler chiamò minicopione. Si
tratta di una sequenza di comportamenti, di emozioni e di convinzioni di copione, esibita su un arco temporale che va da pochi
secondi a pochi minuti, e che inizia invariabilmente con uno dei comportamenti spinta.

Il minicopione riproduce su un arco di tempo breve il processo di tutto il copione di vita. Ogniqualvolta svolgo il mio minicopione
rafforzo il mio processo di copione e ogniqualvolta esco dallo schema del minicopione contribuisco a depotenziare il mio processo
di copione.

LE 5 spinte si sono dimostrate pecuniariamente collegate ai sei tipi di processo del copione, osservando gli schemi spinta di una
persona si può predire con affidabilità quale sarà il suo processo di copione.

Le cinque spinte sono:

1) Sii perfetto
2) Cerca di piacere
3) Sforzati
4) Sii forte
5) Sbrigati

Ciascuna è segnalata da un insieme peculiare di parole, toni di voce, gesti, atteggiamenti ed espressioni facciali.

I comportamenti spinta sono tipicamente eseguiti in un tempo che va da mezzo secondo a un secondo.

1) Sii perfetto
› Parole: userà spesso le parentesi. ( es: l’A.T. è , potremmo dire, una teoria sulla personalità). Queste parole tra parentesi sono dei
qualificatori che non aggiungono nessuna informazione a ciò che viene detto. Le più tipiche sono: come se, probabilmente,
possibilmente, certamente, completamente, si potrebbe dire, come abbiamo visto. Oppure si enunciano numeri o lettere
dell’alfabeto.
› Tono di voce: ben modulati, né alti né bassi.
› Gesti: conta sulle dita di una mano per accompagnare ciò che dice con lettere e numeri. La mano può massaggiare il mento nel
tradizionale gesto di chi pensa. Le dita possono essere poste a V a mò di tetto.
› Atteggiamenti del corpo: sembrano quelli dell’Adulto, eretto, uniformemente bilanciato intorno ad una linea mediana.
› Espressioni facciali: gli occhi guardano in alto e di lato, di solito mentre la persona fa una pausa nel discorso. E’ come se cercasse di
leggere la risposta perfetta scritta da qualche parte sul soffitto o sul pavimento. Nello stesso tempo la bocca è leggermente tesa
con gli angoli spinti un po' in fuori.
2) Cerca di piacere
› Parole: spesso usa la struttura della frase “nota alta-ma-nota bassa”. (es. che bellissima festa! Però, peccato che la rimpiangerò
domani mattina). Spesso si inseriscono parole o frasi interrogative come ok? Hmm? Va bene per te? Che tipo?
› Toni di voce: voce alta, tono stridente, che tipicamente sale alla fine di ogni frase.
› Gesti: porta le mani in avanti, di solito con le palme in alto. Annuisce col capo
› Atteggiamento del corpo: spalle tirate in su e in avanti. Si china verso l’altro.
› Epressioni facciali: volto inclinato leggermente in avanti, sopracciglia alzate, fronte aggrottata, bocca con un espressione simile al
riso però più tesa. Vengono mostrati i denti superiori e talvolta inferiori.
3) Sforzati
› Parole: userà la parola cerca. (es: quello che sto cercando di dirti è…). Altre parole tipiche sono: difficile, non posso, cosa?. Di
nuovo, non ti capisco, è difficile, e segnali interrogativi tipo huh? Uh?
› Toni di voce: la persona spesso metterà in tensione i muscoli della gola cosicché i suoni sono attutiti, come strozzati.
› Gesti: spesso una mano è posta vicino agli occhi o accanto a un orecchio come se la persona cercasse di sentire o vedere qualcosa. I
pugni possono essere chiusi.
› Atteggiamenti del corpo: si china in avanti, le mani possono essere poste sulle ginocchia, l’impressione
generale è di una posizione curva.
› Espressioni facciali: aggrotta le sopracciglia cosicché al di sopra del naso appaiono delle linee verticali. Il contorno degli occhi, e
talvolta tutto il volto, può essere solcato da piccolissime rughe.
4) Sii forte
› Parole: userà spesso termini che trasmettono: “le mie emozioni e le mie azioni non sono mia responsabilità, ma sono causate da
entità al di fuori di me”. Usa parole di distanziamento quali uno, tu, la gente, esso, questo, parlando di se stesso.
› Tono di voce: piatto, monotono, di solito basso.
› Gesti: assenza di gesti.
› Atteggiamento del corpo: le braccia sono incocciate o ripiegate davanti al corpo, le gambe incocciate o nella posizione del 4 con
una caviglia appoggiata sul ginocchio, tutto il corpo trasmette immobilità.
› Espressioni facciali: il volto è privo di espressioni e immobile.

5) Sbrigati
› Parole: Sbrigati, presto, forza, andiamo, non ho tempo di…
› Tono di voce: staccato; emetterà rapidamente le parole, tanto rapidamente da mischiarle.
› Gesti: tamburella con le dita, agita i piedi o il corpo, si dimena nella sedia e guarda spesso l’orologio.
› Atteggiamenti del corpo: movimento agitato.
› Espressioni facciali: frequenti e rapidi cambiamenti nella direzione dello sguardo.

Un solo indizio non basta per segnalare una spinta!

Spinte primarie

Ognuno di noi esibisce tutti e 5 i comportamenti spinta, ma la maggior parte delle persone ha una spinta che esibisce con maggior
frequenza. Spesso sarà anche la spinta che esibisce per prima quando reagisce a uno stimolo transazionale. Questa spinta è
chiamata spinta primaria.

Alcune persone hanno due spinte primarie pressappoco con la stessa frequenza.

Le spinte e i tipi di processo del copione

Dalla spinta primaria è possibile dire qual è il tipo principale di processo del copione. Queste sono le corrispondenze:

Spinta primaria Processo del copione

› Sii perfetto Finché


› Cerca di piacere Dopo
› Sii forte Mai
› Sforzati Sempre
› Cerca di piacere + sforzati Quasi tipo 1
› Cerca di piacere + sii perfetto Quasi tipo 2
› Cerca di piacere + sii perfetto A finale aperto

Perché un comportamento spinta è collegato così strettamente al processo del copione? La risposta è che i comportamenti spinta
sono essi stessi delle versioni in miniatura dei processi di copione. Ogniqualvolta entri in un comportamento spinta, esibisco il
corrispondente tipo di processo di copione nello spazio di mezzo secondo.

Come dice Kahler: le 5 spinte sono le manifestazioni funzionali dei contro copioni non Ok (strutturali).

1) Per esempio dico: “l’A.T. che è stata elaborata inizialmente da Berne, dalla fine degli anni ’50 in poi è un sistema, o
dovremmo dire un modello, per capire la personalità; questa, almeno, è la definizione iniziale.”

Mentre dico tutti questi incisi, guardo in alto al soffitto come se aspettassi di vedere la definizione perfetta scritta lassù. Tamburello
con le dita in corrispondenza dei due concetti “sistema” e “modello” per essere certo di averli trasmessi in tutti i modi possibili.

Nel momento in cui esibisco questo insieme di comportamenti “Sii perfetto”, sto obbedendo a una voce interna Genitoriale (tu sei
Ok se dici tutto bene). Ascoltando questa voce a partire dal mio Bambino Adattato credo di non poter finire la frase “finché” non ho
detto tutto.
Se invece rilassato davanti alla classe dico: L’A.T. è un modello per capire la personalità. E’ stata elaborata da Berne. I suoi studi
furono svolti alla fine degli anni ’50.

Dicendo le cose in questo modo, rimango in un Adulto libero da spinte, ho fatto tacere la vecchia voce del Genitore che mi dice che
devo “Essere perfetto”. Ho deliberatamente evitato di usare parentesi, presentando invece la mia informazione in piccoli pezzi.

Uscendo dal mio schema spinta sono uscito anche dal mio copione “finchè”, e così facendo ho indebolito il
mio schema “finché”.

2) Ogni qualvolta mostro la spinta “cerca di piacere” vivo secondo lo schema “poi”. La voce del Genitore dentro di me ripete il
contro copione: “Tu sei Ok solo se piaci agli altri”. Con le sopracciglia inarcate e un sorriso che mostra i denti spero, a partire dal
mio bambino Adattato, di piacere abbastanza agli altri, ma temo che prima o poi mi finiranno le energie per piacere.
Per uscire dal “cerca di piacere” mi rilasso le sopracciglia invece di inarcarle; ripeto dentro di me un messaggio
che dice: “ E’ Ok che tu piaccia a te stesso”.
3) Nell’esibire il “Sii forte” mi sto sintonizzando su un messaggio di contro copione: “Tu sei Ok solo se nascondi le tue emozioni
e i tuoi desideri agli altri. Non farlo loro vedere che sei debole”. Ascoltando questo nel Bambino Adattato, obbedisco inibendo ogni
segnale esterno, Mantengo il volto impassibile, mi muovo poco, parlo con un tono di voce piatto. Nel momento in cui esibisco
questo insieme di comportamenti “Sii forte” vivo e rafforzo lo schema di processo “Mai”. Può darsi che voglia contatto e carezze
dagli altri, ma mantenendo una maschera priva di espressione non do loro alcun segnale di questo. Se mi sono stancato posso far
cadere la maschera. Mi esercito a mostrare le mie emozioni con la voce, le espressioni e i gesti. Esploro il piacere di muovermi
liberamente in ogni modo possibile. Andando contro i miei schemi di comportamento “Sii forte” mi libero anche dal mio copione
“Mai”.
4) Se la mia spinta primaria è “Sforzati”, quando subisco una domanda, io mi chino in avanti, inarco le sopracciglia in due linee
verticali al di sopra del naso, strizzo gli occhi, metto la mano accanto la testa, come se fosse difficile sentirvi. Dico: “Huh? Cosa? Non
ho capito”. In realtà sento benissimo, ascolto una voce del Genitore che proviene dal passato che mi dice: “Per essere OK tu devi
sforzarti di fare le cose”. Per obbedire a questo comando, “so” nel mio Bambino Adattato che in realtà non posso lasciarmi andare
a fare alcunché. Quando cerco di fare le cose, ma non le faccio, continuo a girare nel vuoto nello schema di copione “Sempre”. Lo
“Sforzati” e il “Sempre” posso disattivarli mettendo un nuovo nastro che dice: “Sei Ok se vai avanti e lo fai”. Mi rilasso, cerco di
appianare le due linee sulla fronte, ascolto così da poter sentire quello che gli altri mi dicono. Se talvolta parlano in modo confuso
dico: “non ti ho sentito, ti spiace ripetere?”
5) I collegamenti tra il copione e la spinta per i due copioni “Quasi” e il copione “A finale aperto” non sono chiari. In ogni caso
in ciascun caso posso uscire da questi tipi di processo intraprendendo un’azione tendente a disattivare i comportamenti spinta.
6) Non c’è nessun collegamento diretto tra spinta e copione per la spinta “Sbrigati”. In molti modi “Sbrigati” è un’anomalia tra
le altre spinte. Sembra presentarsi il più delle volte insieme a un’altra spinta in posizione primaria, e fungere da rinforzo a questa
spinta primaria.
Le 5 autorizzazioni
Ciascuno dei messaggi spinta ha un antidoto chiamato un’autorizzazione.
Spinta Autorizzazione
Sii perfetto Sei abbastanza bravo così come sei
Cerca di piacere Piaci a te stesso

Sii forte Sii aperto ed esprimi i tuoi desideri


Sforzati Fallo
Sbrigati Prenditi il tempo necessario
Ogniqualvolta uscite consapevolmente da un comportamento spinta e vi sostituite un comportamento libero
da spinta affermate a livello non verbale l’autorizzazione corrispondente.
Origine delle spinte
Taibi Kahler pensa che le spinte possano essere in gran parte innate, risultato della “natura” oltreché della
“cultura”.
Hedges Capers ha proposto che le spinte possono essere considerate una strategia di sopravvivenza per il bambino piccolo durante
la strutturazione del copione.
Altri teorici hanno ipotizzato che le 5 spinte siano dei motti che il bambino sente per la prima volta dai genitori quando viene
educato a usare il vasino.
Ma queste idee sono tuttora nell’ambito delle congetture.
Il minicopione

L e spinte rispecchiano una posizione di “essere OK” condizionato. Sono manifestazioni di messaggi di contro copione. Come con ogni
altra contro-ingiunzione, le spinte possono svolgere la funzione di copione di difendere dalle decisioni più pesanti, costituite
intorno alle ingiunzioni.
Ma questa funzione è un’arma a doppio taglio, quando sono nella spinta sono convinto che “Io sono Ok finchè…sono perfetto, cerco
di piacere ecc”. Fintantoché posso obbedire al comando di spinta di contro copione sono convinto di non aver bisogno di ascoltare
l’ingiunzione. Tuttavia ci sono delle situazioni in cui non ho abbastanza energia per mantenermi nella spinta, in quelle occasioni non
sono abbastanza perfetto, non piaccio abbastanza agli altri ecc, tanto da soddisfare il Genitore dentro di me. Allora, nei termini
delle mie convinzioni di copione, ne deve conseguire che devo ascoltare le ingiunzioni. Nel fare questo esprimerò emozioni
negative, mentre riproporrò le prime decisioni prese riguardo a questa ingiunzione. Ogniqualvolta svolgo tutta questa sequenza
esibisco in miniatura il mio copione, e inoltre lo rafforzo.
Posizione 1: Spinta

La sequenza del minicopione comincia sempre con una spinta. Mentre sono nella spinta non provo nessuna emozione. La mia
convinzione di Bambino Adattato è che rimango Ok fintantoché obbedisco alla spinta.
Ne possono seguire due esiti possibili.
› Posso cercare di sforzarmi abbastanza, di sbrigarmi abbastanza ecc., per soddisfare le richieste del mio Genitore interno. In questo
caso porto a termine il comportamento spinta, passerò poi o in un comportamento non da copione o in un’altra spinta.
› Oppure posso non avere abbastanza energia da adempiere al comando spinta. Non ho soddisfatto la condizione per l’essere Ok
posta dal mio Genitore interno. Ora che questa protezione condizionata è tolta, credo di dover ascoltare l’ingiunzione contro la
quale ero protetto.
Nel modello del minicopione questo è segnato da un movimento spinta (posizione 1) a una delle altre tre posizioni, diciamo che vado
attraverso la spinta alla posizione successiva.
Posizione 2: Freno

Supponete che da piccolo io abbia preso la decisione mista “ E’ Ok per me far parte fintantoché sono perfetto”, mentre parlo al
gruppo intorno a me, esco ed entro nella mia spinta “Sii perfetto”. Alla fine esaurisco l’energia che ho usato per continuare a fare
andare bene le cose.
Ora passo nella spinta “Sii perfetto”. Dentro di me mi giudico: “non sono riuscito a essere perfetto, dunque non sono OK. Sento
ancora quel senso di inadeguatezza che sentiii quella volta nell’infanzia in cui presi questa decisione.Nel linguaggio del minicopione
l’ingiunzione che sento quando vado attraverso la spinta nella posizione 2 è
chiamata freno.
Quando passo dalla spinta al freno cambio posizione di vita. Invece dell’ “Io sono ok se…” della spinta, ora
passo a “io non sono ok, tu sei ok”.
Riproponendo la mia prima decisione che presi riguardo all’ingiunzione, ripropongo anche una sensazione negativa proveniente
dall’infanzia – u n’emozione parassita.
Posizione 3: Accusatore

Supponete che da bambino io abbia deciso di trovarmi più a mio agio ad accusare gli altri quando facevano qualcosa non ok che ad
accusare me stesso. In questo caso, può darsi che passi rapidamente alla terza posizione del minicopione, l’Accusatore. Qui la mia
posizione di vita è “io sono ok, tu non sei ok”. Proverò una sensazione che collima con questa posizione di vita di accusa.
Quando Taibi Kahler elaborò originariamente il minicopione chiamò questa terza posizione “il Bambino vendicativo”. Tuttavia la
posizione di vita “io sono ok, tu non sei ok” può essere espressa funzionalmente a partire dal Genitore Normativo negativo oltreché
dal Bambino Adattato negativo, cosicché a nostro avviso il nome di “Accusatore” che Kahler ha successivamente dato a questo
concetto ci sembra più adeguato.
Posizione 4: Desolatore
Se le mie esperienze infantili mi hanno portato a concludere “io non sono Ok e nemmeno tu”, può darsi che durante la sequenza del
minicopione passi a questa posizione di vita “io non sono ok, tu non sei ok”. In questo caso attivo alla posizione 4 del minicopione,
il Desolatore.
Qui le mie emozioni parassite saranno in sintonia con la mia convinzione che la vita è futile, posso sentirmi
disperato, impotente, senza speranze o messo nell’angolo.
Nel tornaconto finale del minicopione di Kahler, la posizione 4 è chiamata “Tornaconto finale del minicopione”. Noi preferiamo
l’appellativo riveduto “Desolatore”, dato che per molte persone la posizione 4 non è la posizione finale.
Movimento attraverso il minicopione
La teoria del minicopione non predice nessuna specifica sequenza di movimento da una posizione all’altra,
ciascuna persona ha i propri schemi tipici.
Una volta che ho trascorso sufficientemente tempo nel copione, è tipico che io ritorni per mezzo secondo nella spinta, poi ancora a
un comportante non da copione.
I 4 miti
Kahler suggerisce che ci sono 4 miti che soggiacciono alle spinte e alle emozioni parassite. Essi sono abbinati a coppie. In ciascuna
coppia uno viene dal Genitore, l’altro è una risposta del Bambino.
1) Quando entro in una spinta ripropongo una voce del mio Genitore Affettivo negativo che dice: “ io posso farti sentire bene
pensando al tuo posto”. Questo è il primo mito.
2) Nel Bambino Adattato rispondo: “tu puoi farmi sentir bene pensando per me”. Fintantoché credo a questo secondo mito
mantengo il mio essere condizionato.
3) Forse passo attraverso una spinta ed entro in un’emozione parassita. Nel farlo sento la voce interna proveniente dal mio
Genitore Normativo negativo. Essa ripete il terzo mito: “io posso farti sentir male attraverso quello che ti dico”.
4) Passando nel Bambino Adatto negativo, io echeggio questo con quarto mito. Comincio a credere: “tu puoi farmi sentir male
attraverso quello che mi dici”.

In realtà non vi è alcun modo per far accadere questo. Sono io il responsabile delle mie azioni e delle mie emozioni. Puoi mandarmi
un forte invito. Rispondere o no al tuo invito dipende da me.

PARTE V: COME FAR SI CHE IL MONDO SI ADEGUI AL NOSTRO COPIONE. LA PASSIVITA’

LA SVALUTAZIONE (CAP XVII)

Ogniqualvolta incontro un problema ho 2 opzioni.

 Posso usare tutto il mio potere del mio pensiero, delle mie emozioni e delle azioni Adulte per risolverlo
 oppure posso entrare nel copione.
Se entro nel copione, comincio a percepire il mondo in modo che sembri collimare con le decisioni che ho preso da piccolo. E’
probabile che cancelli la mia consapevolezza di alcuni aspetti sella situazione reale.

Allo stesso tempo, posso ingrandire a proporzioni gigantesche altri aspetti del problema qui-e-ora.

Invece di essere attivo divento passivo. Questo campo della teoria dell’A.T. è noto come teoria schiffiana o della carica, dalla
“famiglia Schiff” che la elaborò per prima, e dal Catehexis Institute che essi fondano. Gli Schiff definiscono p assività il modo in cui
“le persone non agiscono (non rispondono agli stimoli o non lo fanno efficacemente).

Natura e definizioni della svalutazione

Definiamo la svalutazione un ignorare inavvertitamente delle informazioni pertinenti alla soluzione del problema. Ignoro informazioni
sulla realtà qui-e-ora. Svaluto svariate opzioni che ho da persona adulta, opzioni che non avevo da bambino.

Grandiosità

Ogni svalutazione è accompagnata da grandiosità, vale a dire da un’esagerazione di qualche caratteristica della realtà. L’espressione
“Fare di una pietruzza una montagna” descrive bene la grandiosità. Così come una caratteristica della situazione è ignorata o
sminuita attraverso la svalutazione, allo stesso modo un’altra caratteristica è ingrandita fuori misura attraverso la grandiosità.

I 4 comportamenti passivi

Quando svaluto lo faccio emettendo dentro di me una svalutazione su me stesso, svalutando le mie opzioni. Dunque una
svalutazione di per sé non è osservabile. Ci sono 4 tipi di comportamenti che indicano sempre che una persona sta effettuando una
svalutazione. Questi 4 comportamenti passivi sono:

1) Astensione
2) Iperadattamento
3) Agitazione
4) Incapacità o violenza
1) Astensione
Invece di usare energia per intraprendere un’azione che risolva il problema, la sta utilizzando per impedirsi di agire. Una persona che
esibisce questo comportamento passivo si sente a disagio e vive se stessa come una persona che non pensa. Sta svalutando la
propria capacità di fare qualsiasi cosa riguardo alla situazione.

2) Iperadatamento
Quando una persona si iperadattaa si adegua a ciò che crede nel Bambino siano i desideri degli altri. Lo fa senza verificare con gli altri
quali siano i loro desideri nella realtà e senza nessun riferimento a quelli che sono i propri desideri. La persona iperadattata vive
sesessa come una persona che pensa mentre agisce passivamente. Tuttavia il suo pensare deriva in realtà da una contaminazione.

Una persona iperadattata spesso sarà vissuta dagli altri come fonte d’aiuto, adattabile o accomodante. L’iperadattamento è spesso
accarezzato dalle persone con cui la persona in questione ha dei rapporti. A causa di questa accettabilità sociale e per via del fatto
che la persona sembra pensare, l’iperadattamento è il più difficile da individuare tra i 4 comportamenti passivi.

La persona che si iperadattata svaluta la propria capacità di agire sulla base delle proprie opzioni. Segue invece le opzioni che crede
gli altri desiderino.

3) Agitazione
In questo comportamento passivo la persona svaluta la propria capacità di agire per risolvere un problema. Si sente acutamente a
disagio, intraprende un’attività inutile e ripetitiva nel tentativo di alleviare il suo disagio. L’energia è diretta sull’attività agitata
invece che nell’azione per risolvere il problema. Durante l’agitazione la persona non sente che sta pensando.
Molte abitudini comuni comportano agitazione. Ne sono esempi mangiarsi le unghie, fumare, torcersi i capelli e mangiare
forzatamente.

4) Incapacità o violenza
Qui la persona rende se stessa in qualche modo incapace di. Svalutando la propria capacità di risolvere il problema, spera nel proprio
Bambino che attraverso questo suo auto-rendersi incapace riesca a fare in modo che qualcun altro lo risolva.

L’incapacità può talvolta assumere, la forma di disturbi psicosomatici; oppure può essere ottenuta attraverso un crollo mentale o un
abuso di droghe o alcol.

Può sembrare strano chiamare la violenza un comportamento passivo, tuttavia è passiva perché non è diretta a risolvere il problema
in questione. Quando Robert spacca i vetri non fa niente per risolvere le sue divergenze con la ragazza.

L’incapacità può essere considerata una violenza diretta verso l’interno. Sia nell’incapacità che nella violenza la persona svaluta la
propria capacità di risolvere un problema. Lascia esplodere dell’energia diretta verso se stessa o gli altri in un disperato tentativo di
costringere l’ambiente a risolvere il problema in vece sua. L’incapacità o la violenza verranno di solito a seguito di un periodo di
agitazione, quando si agita sta accumulando l’energia che poi potrà scaricare in modo distruttivo attraverso l’incapacitazione o la
violenza.

La svalutazione e gli stati dell’Io

La svalutazione può indicare la presenza di una contaminazione. In altri termini quando sto svalutando può darsi che percepisca male
la realtà in modo da adeguarla a credenze di copione del Genitore o del Bambino, che erroneamente considero un pensiero
dell’Adulto.

Un’altra fonte di svalutazione può essere l ’esclusione. Qui ignoro alcuni aspetti della realtà perché sto cancellando uno o più degli
stati dell’Io. Se sto escludendo il Bambino ignorerò i desideri, le emozioni e le intuizioni che mi porto dietro dall’infanzia, e che in
realtà potrebbero essere importanti per il problema che devo risolvere nel presente. Se escludo il Genitore ignorerò le regole e le
definizioni del mondo che ho imparato dalle mie figure genitoriali, benché anch’esse spesso possano essermi utili per risolvere il
problema. Se escludo l’Adulto significa che svaluto la mia capacità di valutare varie emozioni o agire in risposta diretta a qualsiasi
caratteristica della situazione qui-e-ora.

Il fatto di escludere l’Adulto è la cosa più grave di queste esclusioni nei termini dell’intensità di svalutazione della persona. Spesso la
svalutazione può verificarsi senza alcuna patologia degli stati dell’Io. In questi casi è semplicemente dovuta al fatto che l’Adulto
della persona non è informato o è male informato.
Nei termini del modello funzionale degli stati dell’Io la svalutazione può essere espressa in modo diretto. Ogniqualvolta provengo da
una qualsiasi parte negativa dello stato dell’Io sto svalutando, e ogniqualvolta sto svalutando sto provenendo da una parte degli
stati dell’Io negativa. Un concetto definisce l’altro.

Dire che sto provenendo da una parte negative della mia “personalità” significa che sto pensando, provando emozioni,
comportandomi in qualche modo che mi fa stare male, non mi fa riuscire o mi sta facendo avere risultati non efficaci, significa che
non ho risolto un problema. E quando mi impedisco di risolvere un problema significa necessariamente che ho svalutato.

Come individuare le svalutazioni

La svalutazione di per sé non osservabile, può essere dedotta dal fatto che la persona esibisce uno qualsiasi dei 4 comportamenti
passivi. Ci sono molti altri modi per individuare le svalutazioni:

 Il comportamento spinta indica sempre una svalutazione. Quando esibisco una spinta, dentro di me sto ripetendo la convinzione
di copione: “ Io sono Ok solo se… mi sforzo, cerco di piacere ecc”. La realtà è invece che io sono OK che segua o che non segua
questi messaggi di spinta.
 Gli Schiff affermano che indizio di svalutazione sono alcuni disturbi del pensiero. Uno di essi è l ’iperdettagliamento. Se le si pone
una semplice domanda, la persona che ha questo disturbo risponderà con una lunga tirata piena di minuti dettagli.
 L’opposto è l ’ipergeneralizzazione, il caso in cui la persona esprime le sue idee solo in termini
omnicomprensivi, globali.

Poi ce ne sono altre: le emozioni passive, i giochi e i comportamenti derivanti dal triangolo drammatico, tutti elementi che
confermano la presenza di una svalutazione.

Indizi verbali

Ciò che ascoltiamo è qualcosa di diretto. Sappiamo che chi parla sta svalutando quando dice qualcosa nella quale l’informazione sulla
realtà è ignorata o distorta. La difficoltà nella pratica è che il discorso di tutti i giorni è pieno di svalutazioni tanto che non vi siamo
più sensibili.

Per esempio quando una persona dice “non riesco a…” il più delle volte sta svalutando. La risposta è chiedervi:” Bè, ma potrà
riprovarci, ora o qualche altra volta?”

Talvolta la svalutazione è segnata dal fatto di omettere una parte della frase. Per esempio quando uno dice:
“voglio una pacca sulla spalla” non dice da chi la vuole e dunque la sua richiesta comporta una svalutazione.

Indizi non verbali

Qui la svalutazione è segnalata da una non-collimazione tra le parole dette e i segnali non verbali che l’accompagnano. Questa non-
collimazione è chiamata incongruenza, anche se non sempre indica una svalutazione. Per esempio quando il presidente in una
riunione dice: “oggi abbiamo molto lavoro dinanzi a noi”, ma mentre fa questa grave affermazione volge lo sguardo tutt’intorno al
tavolo. I segnali “marziani” significano: “e sono felice di vedervi tutti qui”.

La risata della forca

Un indizio di svalutazione è la risata della forca. Qui la persona ride quando fa un’affermazione su qualcosa
di spiacevole.
In essa vi è un’incongruenza tra la risata e il contenuto spiacevole delle parole. La persona sta inviando un invito non verbale
all’ascoltatore di rafforzare una delle sue convinzioni di copione. L’invito è accettato a livello psicologico se chi ascolta si unisce alla
risata della forca. Per esempio la persona che dice “che stupido che sono stato, ah! Ah!” è nel copione, e invita chi l’ascolta a unirsi
alla sua risata e così a confermare la sua convinzione di copione: “ io non sono in grado di pensare”.La risposta giusta alla risata
della forca è rifiutare di unirsi alla risata e sorridere. Se siete in una situazione in
cui è socialmente adeguato farlo, potete anche dire: “non è poi così divertente”.

LA MATRICE DELLA SVALUTAZIONE (CAP. XVIII)

La svalutazione di traduce in problemi irrisolti. Così se riusciamo a elaborare un modo sistematico di individuare la natura e l’intensità
della svalutazione disporremo di un potente strumento per la risoluzione dei problemi. Un tale strumento esiste, si chiama la
matrice della svalutazione, ed è stato elaborato da Ken Mellor ed Eric Sigmund.

Essa parte dall’idea che possiamo classificare le svalutazioni secondo 3 criteri diversi:

1) Area
2) Tipo
3) Modo

1) Area di svalutazione
Ci sono 3 aree nelle quali una persona può svalutare: se stesso, gli altri e la situazione.

a) Quando stavo seduto in ristorante ad avvilirmi perché il cameriere non mi portava il mio bicchiere d’acqua, svalutavo me stesso.
Stavo ignorando la mia capacità d’intraprendere un’azione per ottenere quello che volevo.
b) Il mio amico che si era arrabbiato e aveva incominciato a criticare il cameriere stava svalutando non se stesso, ma l ’altro. Nel
suo giudicare “incapace” il cameriere, stava ignorando alcuni aspetti delle azioni di questi che avrebbero potuto contraddire la sua
critica.
c) Supponete che dopo essermi avvilito per un po’ mi fossi rivolto al mio amico e avessi detto: “Bè, eccoci qua. In realtà non è
molto giusto che altre persone siano servite e io no. Il mondo è ingiusto, non è vero?”. In questo caso avrei svalutato la situazione.

2) Tipi di svalutazione
I 3 tipi di svalutazione di riferiscono a: stimoli, problemi e opzioni.

a) Svalutare uno stimolo significa ignorare la percezione che sta succedendo qualcosa. Per esempio avrei potuto svalutare lo
stimolo della sete.
b) La persona che svaluta il problema si rende conto che sta succedendo qualcosa, ma ignora il fatto che qualsiasi cosa succeda
pone un problema. Per esempio avrei potuto dire : “ho molta sete in questo momento, mo non importa”
c) Quando svaluta le opzioni la persona è consapevole che sta succedendo qualcosa e che questo costituisce un problema, ma
elimina la possibilità che si possa fare qualcosa per risolvere il problema. Mentre ero seduto li ad avvilirmi sapevo di avere sete,
consapevolmente sapevo che questa sete era un problema per me, ma inconsapevolmente ignoravo molte opzioni a mia
disposizione oltre quella di stare li seduto a sperare che il cameriere rispondesse.
3) Livelli (modalità) di svalutazione
Il termine livello o modalità sono intercambiabili, ma livello dà un’idea più chiara di ciò che si intende dire. I 4 livelli della svalutazione
sono: d ell’esistenza, dell’importanza, delle possibilità di cambiamento e delle capacità personali.

a) Nella versione originale della scena svalutavo l ’esistenza delle mie opzioni per risolvere il problema. Non consideravo nemmeno
la possibilità, per esempio, di andare dal cameriere e parlargli invece di fargli dei gesti.
b) Se avessi svalutato l’importanza delle mie opzioni avrei potuto dire al mio amico: “immagino che potrei avvicinarmi a lui a
chiedergliela, ma scommetto che non farebbe nessuna differenza”. Qui mi sarei reso conto che c’era qualcosa di diverso che
potevo fare, ma avrei eliminato la possibilità che questa azione avesse un qualche effetto.
c) Svalutando le mie opzioni a livello delle possibilità di cambiamento avrei potuto dire: “certo potrei andare li e prenderlo per il
bavero. Ma non si fa così nei ristoranti”. In questo caso avrei permesso a me stesso di rendermi conto che l’opzione esisteva e
avrebbe potuto avere dei risultati, e allo stesso tempo eliminavo la possibilità che qualcuno potesse effettivamente mettere in
pratica questa opzione.
d) A livello delle capacità personali avrei potuto svalutare dicendo: “so che potrei andare li e chiedergli dell’acqua. Ma non ho la
capacità per farlo”. Qui sono consapevole che l’opzione esiste e potrebbe dare dei risultati. Mi rendo conto che ci sono persone che
potrebbero ricorrere a questa opzione, ma elimino la mia capacità di farlo.

Il diagramma della matrice della svalutazione

La matrice della svalutazione nasce elencando tutte le possibili combinazioni di tipi e livelli di svalutazione. Così facendo otteniamo il
diagramma.
MODALITA’ TIPO

ESISTENZA Stimoli Problemi Opzioni

Importanza degli stimoli importanza dei importanza delle opzioni


IMPORTANZA problemi

POSSIBILITA’ DI Possibilità di cambiare Risolvibilità dei Agibilità delle opzioni


CAMBIAMENTO problemi

CAPACITA’ Capacità di reagire in Capacità di risolvere i capacità di agire sulla


PERSONALI modo diverso problemi base di opzioni

La matrice ha 3 colonne per i tre tipi di svalutazione e 4 righe per le quattro modalità o livelli. I termini in ciascuna delle 12 caselle
risultanti indicano le combinazioni di tipo e livello.
Per esempio mentre tizio si accende l’ennesima sigaretta gli viene un attacco di tosse. Il suo amico gli dice: “ che tosse terribile, per
favore smetti di fumare”.

 Se il fumatore svalutasse l ’esistenza dello stimolo potrebbe rispondere: “quale tosse? Io non stavo tossendo”.
 Svalutando l ’esistenza del problema potrebbe dire: “oh, no, sto bene grazie. Ho solo avuto il raffreddore”. Quindi permette a se
stesso di essere consapevole della tosse ma elimina la possibilità che questo possa costituire un problema per lui.
 Nel fare questo sta anche svalutando l ’importanza dello stimolo.
Questo nella matrice del diagramma è indicato mediante una freccia diagonale che connette le caselle “Esistenza dei problemi” e
“importanza degli stimoli”. La freccia significa che una di queste valutazioni comporterà sempre l’altra.

Gli indici della lettera T, a sinistra di ogni casella, sono delle etichette per le varie diagonali. Per esempio una
svalutazione dell’esistenza dei problemi e dell’importanza degli stimoli corrisponde alla diagonale T2.

Un’altra caratteristica della matrice è che una svalutazione in qualsiasi casella comporta anche delle svalutazioni nelle caselle al di
sotto e alla sua destra.

Impiego della matrice di svalutazioneOgniqualvolta un problema non viene risolto significa che si sta ignorando qualche
informazione importante per la sua soluzione. La matrice della svalutazione ci dà modo sistematico di individuare quale
informazione viene omessa. Questo a sua volta ci dà una guida per le specifiche azioni da intraprendere per risolvere il
problema. Se una persona svaluta una qualsiasi diagonale della matrice svaluterà anche tutte le caselle al di sopra e al di sotto di
essa. Questo ci da un importante indizio per il processo di risoluzione dei problemi. Quando un problema rimane irrisolto
malgrado gli sforzi per risolverlo, è spesso perché la persona sta affrontando il problema su una diagonale troppo bassa della
matrice della svalutazione.

Ne segue che nell’utilizzare la matrice quale strumento per la risoluzione dei problemi dobbiamo cominciare
con l’esaminare le svalutazioni nella diagonale più alta.

Se non affrontiamo quella svalutazione iniziale cerchiamo di affrontare una svalutazione su una qualsiasi diagonale più bassa, anche
il nostro stesso intervento sarà svalutato.

Supponiamo di essere l’amico. Mentre ascoltate la tosse dite a voi stessi: “Finirà con l’uccidersi, se non la smette di fumare. Bisogna
fare qualcosa.” Così dite ad alta voce: “ Sono preoccupato per te. Per favore smetti di fumare”.

Col vostro intervento avete affrontato il problema nella diagonale più bassa della matrice. Il problema è di
sapere se il fumatore agirà su un’opzione specifica.

Ma supponete che il fumatore stia svalutando in un punto molto più alto della matrice. Questo significherà che è consapevole di
avere una tosse, ma non considera questo importante per lui. Non percepisce che è un problema. Nei termini della matrice sta
svalutando l’importanza dello stimolo e dell’esistenza del problema.

E’ ovvio allora che svaluterà anche qualsiasi importanza di ciò che gli avete appena detto. Può rispondervi dalla diagonale più alta
sulla quale sta svalutando, ma può anche rispondere da qualsiasi diagonale al di sotto di essa.

Supponete che ora vogliate aiutarlo usando sistematicamente la matrice della svalutazione. “Sei consapevole che hai davvero una
brutta tosse?”

Se lui conferma di essere consapevole della tosse, dovreste scendere lungo la diagonale successiva. “Questa tua tosse è qualcosa di
cui ti preoccupa?”. Se lui dovesse rispondere: “no, in fondo è una cosa che do per scontata”, avreste localizzato la sua svalutazione
in T2. Questo vi fa sapere che se il vostro amico fumatore deve togliersi la sua abitudine deve innanzitutto divenire consapevole
che la sua tosse può indicare un problema, e deve anche rendersi conto che questo problema può essere una causa di
preoccupazione per lui.

La matrice di svalutazione venne originariamente elaborata per l’impiego in psicoterapia. Tuttavia essa fornisce un impiego efficace
per la risoluzione dei problemi nelle organizzazioni in campo educativo. In questi ambienti è comune che i problemi rimangano
irrisolti perché sono affrontati su una diagonale troppo bassa della matrice della svalutazione. Il rimedio rimane lo stesso:
individuare l’informazione che è omessa, iniziare dall’angolo in alto della matrice, e verificare verso il basso lungo le diagonali,
tenete a mente che una persona spesso svaluta perché è male informata più che perché sta entrando nel copione.

SISTEMA DI RIFERIMENTO E RIDEFINIZIONE (CAP XIX)

Io ho il mio modo personale di percepire il mondo, voi il vostro, diverso dal mio.

Voi e io differiamo nel modo in cui percepiamo la scena e vi reagiamo, il vostro sistema di riferimento è diverso dal mio.

Il sistema di riferimento

E’ definito dagli Schiff come la struttura di risposte (connessioni nervose) associate (condizionate) che integra i vari stati dell’Io in
risposta a stimoli specifici. Esso fornisce all’individuo un insieme globale percettivo, concettuale, affettivo e d’azione che è usato
per definire se stessi, gli altri e il mondo.

Può essere considerato un filtro della realtà. Mentre voi e io guardavamo la stanza ciascuno di noi filtrava alcuni aspetti della scena.
Io per esempio ho notato il colore del tappeto ma ho filtrato l’identità degli occupanti la stanza. Dal vostro sistema di riferimento
voi avete fatto il contrario.

Abbiamo definito in modo diverso le dimensioni della stanza. Così si viene a scoprire che io sono cresciuto in una vecchia casa di
campagna in cui tutte le stanze erano grandi. Voi avete trascorso l’infanzia in un appartamento di città dove le stanze erano
minuscole. Così la definizione di “stanza grande” nei nostri rispettivi sistemi di riferimento è diversa.

Voi avete aggiunto un’altra definizione. Avete detto: “ l’atmosfera è calda”. Io non l’avevo nemmeno
percepita quale parte della scena.

I significati che assumiamo alle parole sono del tutto diversi. La definizione di cosa sia una “calda atmosfera”
differisce passando dal vostro sistema di riferimento al mio.

Sistemi di riferimento e stati dell’IO


Per aiutare a capire meglio il sistema di riferimento, gli Schiff affermano che può essere considerato “come u na pellicola che
circonda gli stati dell’Io unendoli”. Nel percepire il mondo secondo il mio peculiare sistema di riferimento, io metto in atto il mio
insieme personale di reazioni, provenienti dagli stati dell’Io, al mondo quale lo percepisco. E’ in questo senso che il sistema di
riferimento integra i vari stati dell’Io.

Mentre guardavamo nella stanza io sono entrato nell’Adulto e ho fatto un commento sulle forme e dimensioni che vedevo qui-e-ora.
Voi nel Bambino riproponevate felici ricordi di scene familiari come quella, da voi vissute nell’infanzia. Dopo aver effettuato
interiormente questi passaggi di stati dell’Io, all’esterno abbiamo effettuato delle transazioni a partire dagli stati dell’Io che
avevamo scelto.

Il nostro sistema di riferimento ci fornisce degli schemi entri i quali integriamo le nostre reazioni provenienti
dagli stati dell’Io così da esprimere la nostra personalità totale.

Ruolo di Genitore

Lo stato dell’Io svolge una parte particolarmente importante nella formazione dei sistemi di riferimento. Questo perché il nostro
sistema di riferimento consiste di definizioni del mondo, di noi stessi e degli altri. E’ dai nostri genitori che abbiamo originariamente
imparato queste definizioni. Esse possono essere immagazzinate quale parte del contenuto del nostro stato d ell’Io Genitore o del
Genitore nel Bambino.

Ciascuno di noi ha un insieme personale di definizioni Genitoriali di ciò che è buono, cattivo, sbagliato, giusto, spaventoso, facile,
difficile, sporco, pulito, giusto, ingiusto e così via. E’ su questo insieme di definizioni che basiamo la nostra concezione di noi stessi,
degli altri e del mondo, e scegliamo di conseguenza le nostre risposte alle varie situazioni.

Sistema di riferimento e copione

Qual è il rapporto tra copione e sistema di riferimento? La risposta è che il copione costituisce una parte del sistema di riferimento. Il
sistema di riferimento complessivo è costituito da un gran numero di definizioni. Alcune di queste definizioni comporteranno delle
svalutazioni, altre no.

Il copione consiste in tutte le definizioni nel sistema di riferimento che comportano una svalutazione.

Quando entro nel copione ignoro delle caratteristiche della situazione qui-e-ora che sarebbero rilevanti per la soluzione del
problema. Sto svalutando. Così facendo ripropongo vecchie definizioni di me stesso, degli altri e del mondo che includono queste
svalutazioni.

Per esempio da bambino può darsi che abbia ricevuto dai genitori dei messaggi che mi dicevano che non ero capace di pensare. Ora
immaginate che da adulto stia per sostenere un esame. Se entro nel copione, dentro di me comincio a riproporre la vecchia
definizione genitoriale di me che dice: “ tu non sei capace di pensare”. Se mi adeguo a questo nel mio stato dell’Io Bambino,
accetto la svalutazione della mia capacità di pensare, comincio a sentirmi non all’altezza e confuso.

Natura e funzione della ridefinizione

Accettando la mia vecchia definizione di persona incapace a pensare ho distorto la mia percezione della realtà così da adeguarla al
mio copione. Questo processo è chiamato ridefinizione.

Da persona adulta nel mio stato dell’Io Bambino può darsi che mi abbarbichi a queste prime decisioni perché mi attacco ancora alla
convinzione che siano necessarie per la mia sopravvivenza. Così se qualche caratteristica della realtà sembra contraddire le mie
decisioni di copione è probabile che mi difenda da esse. Il mio sistema di riferimento di copione è minacciato e mi difendo dalla
minaccia effettuando una ridefinizione.

Nello stato dell’Io Bambino sto seguendo una motivazione che sembra più importante di qualsiasi esame, e cioè difendermi
dall’indicibile catastrofe che temo possa succedermi se mi oppongo alla definizione data dai miei genitori.

Transazioni di ridefinizione

Quando effettuo una ridefinizione lo faccio al mio interno. L’unico segnale esterno che vedrete o sentirete è che effettuo delle
svalutazioni. Così i segnali di svalutazione sono la manifestazione esterna del fatto che all’interno sta avendo luogo una
ridefinizione. Ogni svalutazione rappresenta una distorsione della realtà.

Questi stessi segnali vi dicono anche che una persona sta effettuando una ridefinizione. Una persona effettua una ridefinizione se
esibisce grandiosità o disturbi del pesniero, che sono elementi tipici che accompagnano una svalutazione.

Vi sono due transazioni particolari che sono chiara prova verbale della ridefinizione. Sono la transazione tangenziale e la transazione
bloccante.

Transazioni tangenziali

E ’ una transazione in cui lo stimolo e la risposta si indirizzano verso aspetti differenti o verso lo stesso aspetto
da punti di vista differenti.

Per esempio in una trattativa salariale un rappresentante sindacale chiede: “che cosa volete da parte nostra per poter concludere
questo accordo?”. Il rappresentante dell’azienda risponde: “Noi non siamo per niente soddisfatti delle condizioni che avete
proposto sinora”.

Qui il tema di discussione è passato dal “volere” all’ “essere soddisfatto di”.

Quando una persona è in situazioni che percepisce come fonte di stress è ancora più probabile che effettui simili ridefinizioni.
Comincia a percepire delle minacce al proprio sistema di riferimento. Lo scopo nascosto di partire per una tangente è distogliere
l’altro dal tema che costituisce la minaccia. La persona che dà avvio a una transazione tangenziale non sarà consapevole di farlo.

Spesso l’altro seguirà la tangente invece di attenersi all’argomento originario. Può andare ancor più lontano
lungo una tangente propria.

Quando due persone entrano in uno scambio di transazioni tangenziali è probabile che abbiano la spiacevole sensazione che la loro
conversazione “non arriva da nessuna parte” o “gira in tondo”. A livello psicologico questo è esattamente ciò che avviene.
Conversazioni come queste possono continuare a lungo, coi partecipanti che sentono di aver lavorato sodo e finiscono sentendosi
svuotati. Alla fine della discussione può
darsi che non siano mai riusciti a tornare all’argomento originario che intendevano affrontare. Alla fine della discussione può darsi che non
siano mai riusciti a tornare all’argomento originario che intendevano affrontare.

Transazioni bloccanti

S i evita l’argomento proposto mostrandosi in disaccordo sulla definizione del problema.

Per es. il rapp. Sindacale dice: “che cosa volete da parte nostra per poter concludere questo accordo?”
E il rapp. Dell’azienda risponde: “ vuole sapere quello che vogliamo o quello che pensiamo di poter ottenere?” Raramente assisteremo a
lunghi scambi di transazioni bloccati. E’ più probabile che dopo il blocco iniziale le
parti cominceranno una dettagliata discussione sulla definizione dell’argomento. Oppure, se una delle persone interessate è veramente
decisa a bloccare l’altro, la conversazione può arrivare a un punto fermo in un pesante silenzio. A livello psicologico lo scopo della
transazione bloccante è lo stesso di quello della transazione tangenziale: evitare di affrontare temi che minaccerebbero il sistema di
riferimento di uno o di entrambi i partecipanti.

LA SIMBIOSI (CAP. XX)

Nella teoria schiffiana si ha una simbiosi quando 2 o più individui si comportano come se formassero un0unica persona.

In questo rapporto le persone non utilizzerebbero tutto il repertorio di stati dell’Io. Una di esse escluderà il Bambino e utilizzerà solo il
Genitore e l’Adulto. L’altra assumer la posizione opposta, rimanendo nel Bambino ed escludendo gli altri due stati dell’Io. Così nel totale
esse hanno accesso a 3 soli stati dell’Io.

Immaginiamo per es. un professore che sta facendo una dimostrazione alla lavagna e chiede ad uno studente di continuare l’esercizio e
arrivare alla soluzione. Jim non dice niente, poi comincia a muovere rapidamente un piede e a massaggiarsi una tempia. Gli altri studenti
cominciano ad agitarsi anch’essi finchè il professore dice: “Sembra che tu non sappia la risposta, dovresti lavorare di più ed esercitarti”. E
completa l’esercizio alla lavagna. Jim si rilassa e prende diligentemente appunti della soluzione fornita dal professore.

In questo momento studente e professore sono entrati in simbiosi. Negando la propria capacità di trovare una soluzione, e facendo in modo
che il professore si assuma l’onere di gestire la situazione, jim ha svalutato i propri stati dell’Io Adulto e Genitore.

Il professore, col suo elargire la soluzione e allo stesso tempo dire a Jim cosa dovrebbe fare, è entrato nel ruolo complementare di Adulto e
Genitore. Così facendo, il professore ha svalutato il proprio stato dell’Io Bambino. Se avesse permesso a se stesso di usare le risorse del
Bambino sarebbe divenuto consapevole di sentirsi a disagio e insoddisfatto dello scambio che stava avvenendo tra lui e Jim. Avrebbe
ascoltato l’intuizione: “Ehi, qui mi hanno incastrato a fare tutto io, e questo non mi piace”.utilizzando questa percezione del Bambino
avrebbe potuto trovare un modo creativo di aiutare Jim e gli altri studenti a risolvere da soli il problema.

Questo è il problema della simbiosi: una volta che una simbiosi sia stata creata, i partecipanti si sentono a proprio agio. C’è la sensazione che
ciascuno sia nel ruolo da lui atteso. Ma questo agio è acquisito a un presso: chi è nella simbiosi esclude rispettivamente intere zone delle
proprie risorse di persona adulta.

Simbiosi sana/ patologica

Ci sono situazioni nelle quali è adeguato essere in simbiosi. Immaginate che sia appena uscito dall’effetto dell’anestetico dopo
un’operazione. A parte il dolore, la principale cosa di cui sono consapevole è che c’è un’infermiera che cammina accanto a me, che mi
tiene la mano e mi dice: “tra poco starà bene. Tenga semplicemente la mia mano”.

In quel momento il mio Adulto e il mio Genitore sono “fuori uso”. Io non sono nella posizione di valutare alcun problema qui-e-ora. Sto
facendo ciò che per me è giusto fare, ritornare nuovamente a essere un bambino, avvertire il dolore e lasciare che qualcuno si prenda cura
di me.

L’input Adulto e Genitore di cui ho bisogno me lo sta fornendo l’infermiera. E’ il suo lavoro, cosicché è
adeguatamente in una posizione simbiotica.

In termini schiffiani diciamo che l’infermiera e io siamo in una simbiosi sana, all’opposto della simbiosi
patologica. Quando il termine “simbiosi” è da solo, di solito indica una simbiosi patologia.

La simbiosi sarà patologica ogniqualvolta comporta una svalutazione. Negli esempi le parti stavano entrambi svalutando la realtà, agendo
come se avessero in tutto tre stati dell’Io. All’opposto quando venivo trasportato nella lettiga d’ospedale, la realtà era che il mio Adulto e il
mio Genitore erano fuori uso per via del trauma e degli effetti dell’anestetico, e l’infermiera stava effettivamente utilizzando il suo
Genitore e il suo Adulto, ma non stava necessariamente svalutando il proprio Bambino nel farlo.

Simbiosi/dipendenza normale

Un ovvio esempio di simbiosi sana è quella che esiste tra un bambino e i suoi genitori. Stan Woollams e Kristy Huige hanno proposto il
termine dipendenza normale per denotare questa sana simbiosi genitore- bambino. Il bambino non ha ancora un Genitore o un Adulto
funzionanti, cosicché essi non possono essere svalutati.

La simbiosi e il copione

Così nell’essere un genitore ideale che si prende cura di un bambino utilizzerà adeguatamente le risorse del
Genitore e dell’Adulto e allo stesso tempo non svaluterà il proprio bambino.

In questo processo ideale, l’intensa simbiosi iniziale tra bambino e genitore viene progressivamente svanendo. Il risultato finale è che
quando il bambino raggiunge l’età adulta essi sono in un rapporto privo di simbiosi, con ciascuno dei due capace di stare in piedi da solo e
di aprire o interrompere il contatto a volontà.

Il problema è però che non vi sono genitori ideali. Ogni bambino attraversa il processo di sviluppo senza che lungo il cammino siano esauditi
tutti i suoi bisogni.

Questo ci chiarisce la funzione di copione della simbiosi nella vita adulta. Ogni simbiosi è un tentativo di avare esauditi dei bisogni legati allo
sviluppo che non sono stati esauditi durante l’infanzia della persona.
La persona in simbiosi utilizza strategie superate nel tentativo di vedere esauditi i propri bisogni. Queste strategie furono le migliori che
poteva elaborare un bambino piccolo, ma non sono più adeguate da persona adulta. Nella simbiosi la persona svaluta le proprie opzioni da
persona adulta. La svalutazione è al di fuori della sua colpevolezza.

Ogniqualvolta entriamo in simbiosi riproponiamo inconsapevolmente vecchie situazioni infantili che avvertimmo come un bisogno non
esaudito.

Scelta della posizione simbiotica

Alcuni bambini prendono una prima decisione: “i miei genitori sono talmente non all’altezza che la mia opzione migliore è assumere io
stesso il ruolo di genitore”. Può darsi che nel proprio stato dell’Io Bambino la madre temesse di porre fermi limiti ai figli, sicché li ricattava
dicendo cose del tipo: “se fai questo mi farai soffrire”. Al bambino era chiesto di assumersi la responsabilità delle emozioni e del benessere
dei genitori, divenendo egli stesso un piccolo genitore. Nella vita da persona adulta, quando entrerà in simbiosi rientrerà dunque in questo
ruolo.

Inviti simbiotici

Quando 2 persone si incontrano è probabile che segnalino all’altro quale ruolo simbiotico intendono assumere. Questi inviti simbiotici sono
spesso trasmessi senza parole. Di solito saranno esibiti uno o più dei 4 comportamenti passivi.

Nell’esempio, il suo invito simbiotico era che il professore assumesse i ruoli di Genitore e Adulto mentre lui prendeva quello di Bambino.

Continuando e completando l’esercizio, il professore stava acconsentendo allo stesso livello psicologico: “ Si, hai ragione, tu hai
effettivamente bisogno che io pensi per te e che ti dica come sono le cose”. Così facendo aveva accettato l’invito di Jim.

Simbiosi competitiva

Ma che succede quando si incontrano due persone che intendono assumere entrambe lo stesso ruolo simbolico?

In questo caso le due parti cominceranno una “lotta di posizione”, nella speranza di assumere il ruolo simbiotico preferito. Per esempio in
ristorante quando due persone si scontrano per pagare.

Sono in simbiosi competitiva, in questo caso competono per la posizione da Genitore.

Per sua natura la simbiosi competitiva è insatabile. Scambi come questi di solito durano un tempo relativamente breve. Possono concludersi
in due modi possibili. Le due parti possono allontanarsi sbattendo la porta, oppure uni dei due può cedere e concedere all’altro la
posizione simbolica che vuole. La persona che ha ceduto assume poi la posizione complementare della simbiosi.

Simbiosi di secondo ordine

In alcuni rapporti simbiotici vi è una seconda simbiosi al di sotto della prima. E’ chiamata simbiosi di secondo
ordine perché si verifica all’interno della struttura di secondo ordine dello stato dell’Io Bambino.

I rapporti tra le coppie come Bill e Betty ( dove Bill mantiene le sue emozioni, bada alle finanze e prende le decisioni, mentre Betty ha come
missione di vita quella di piacere al marito) spesso comportano una simbiosi di secondo ordine. Nella loro simbiosi Bill è nel ruolo di
Genitore-Adulto, mentre Betty fa il Bambino. Lui riesce ad avere il controllo di ogni situazione e ad affrontare i problemi pratici, lei a farsi
controllare e esprimere le proprie emozioni. E a livello della simbiosi del primo ordine questo è quanto effettivamente avviene. La simbiosi
di primo ordine è espressione dei loro sforzi congiunti di vedere esauditi i loro bisogni attraverso queste decisioni di copione.

Tuttavia Bill ha un altro bisogno ancora, cioè quello di carezze fisiche e di conforto. Il problema per Bill è che nel prendere le successive
decisioni di copione ha escluso questi primi giorni infantili. Cosicché ora come potrà soddisfarli? La risposta è che scegliendo Betty come
suo partner simbiotico ha saputo individuare una persona che avrebbe assunto un ruolo complementare nella simbiosi di secondo ordine.

La madre di Betty, come la stessa Betty, aveva sposato un uomo forte e silenzioso a cui non piaceva dare carezze fisische. Betty aveva deciso
che per tenere mamma vicina e contenta convenisse badare a se stessa. Utilizzando i suoi Genitore e Adulto rudimentali divenne colei che
si prendeva cura del Bambino Somatico della madre. Ora nella simbiosi da persona adulta ripropone questo schema con Bil.

Se Betty cerca di uscire dalla simbiosi, Bill nel proprio Bambino Somatico può provare un terrore mortale. Le sue convinzioni da Bambino
sono che sta per perdere la sua unica fonte di carezze fisiche, e questo significa la morte.

Allo stesso livello del primo Bambino, Betty può percepire l’interruzione della simbiosi come una perdita della
madre. Per il neonato anche questo equivale a una sentenza di morte. E’ probabile che né Bill né Betty permetteranno che questo
terrore del primo Bambino affiori alla consapevolezza. E’ invece probabile che trovino una razionalizzazione delle ragioni di continuare nel
loro rapporto simbiotico, Se vogliono uscire effettivamente dal rapporto può darsi che abbiano bisogno di una consapevolezza del proprio
copione e di aiuto terapeutico.

PARTE VI COME GIUSTIFICARE LE CONVINZIONI DI COPIONE: I RACKET E I GIOCHI EMOZIONI PARASSITE E BUONI PREMIO (CAP XXI)
In un esercizio nel quale a chiusura del supermercato si va di corsa a fare la spesa e si scopre che non avete denaro emerge che:

1) Persone diverse riferiscono sensazioni diverse.


2) L ’emozione registrata è quella che di prova in un’ampia gamma di situazioni stressanti diverse. Per esempio “arrabbiato con me
stesso” è una sensazione che si verifica in molte altre situazioni in cui mi sono sento sotto stress. E’ come se ciascuno di noi avesse un
“emozione negativa preferita”
3) L ’emozione registrata è un’emozione che fu’ modellata e incoraggiata nella vostra famiglia mentre altre emozioni erano svalutate e
proibite. Se per esempio registrate che vi siete sentiti arrabbiati con qualcun altro è probabile che questa emozione fosse esibita dai vostri
genitori e membri familiari quando eravate bambini, e quando voi stessi la esibivate ottenevate un qualche tipo di riconoscimento.
4) L ’emozione che avvertivate non faceva niente in direzione della risoluzione del vostro problema. Se mi fossi arrabbiato e mi fossi messo
a inveire contro la cassiera, questo non avrebbe contribuito a farmi ottenere le merci che volevo.

Queste caratteristiche sono tipiche di quel tipo di emozione che l’A.T. chiama u n’emozione parassita.

Definizioni di “racket” ed “emozioni parassite”

Molti autori hanno usato questi due Termini in modo intercambiabile. In questo libro noi seguiamo un’altra scuola di pensiero secondo cui
c’è un’utile distinzione da fare tra racket ed emozioni parassite.
Definiamo un’emozione parassita come un’emozione familiare appresa e incoraggiata nell’infanzia, vissuta
in molte diverse situazioni di stress e inadatta quale mezzo adulto di risoluzione dei problemi.

Definiamo invece racket come un insieme di comportamenti di copione impiegati al di fuori della c onsapevolezza quale mezzo di
manipolazione dell’ambiente, e comportanti il provare un’emozione parassita. Un racket è un processo in cui una persona fa in modo di
provare un’emozione parassita e la prova effettivamente. Tutto questo è al di fuori della consapevolezza della persona.

Avrei potuto accertarmi di avere con me il denaro, ma non l’ho fatto. Se mi aveste chiesto perché non l’avevo fatto, avrei potuto rispondere:
“Non ci avevo proprio pensato”.

L’esito degli eventi che la persona stessa ha creato è visto come una giustificazione dell’emozione parassita.

La rabbia verso gli altri è la mia emozione parassita preferita nelle situazioni di stress.

Abbiamo bisogno sempre di creare un racket per avvertire un’emozione parassita? No. Possiamo anche provare un’emozione parassita in
risposta a situazioni di stress che avvengono da sole, per creare le quali non abbiamo autenticamente fatto niente.

Emozioni parassite e copione

Vi è un collegamento universale tra copione ed emozioni parassite: ogniqualvolta provate un’emozione


parassita siete nel copione.

Perché le emozioni parassite svolgono un ruolo talmente importante nel meccanismo del copione? La risposta risiede nel modo in cui i
bambini imparano ad usare le emozioni parassite come mezzo per vedere esauditi i loro bisogni all’interno della famiglia.

Le emozioni parassite sono apprese e incoraggiate nell’infanzia. Ogni famiglia ha la sua gamma ristretta di
emozioni permesse, e un’altra gamma più ampia di emozioni che vengono scoraggiate o proibite.

Talvolta le emozioni permesse differiranno a seconda che il figlio sia un bambino o una bambina. Spesso ai maschietti si insegna che è Ok
essere arrabbiato e aggressivo, ma non spaventato o in lacrime, le femminucce possono imparare che da loro ci si aspetta che reagiscano
allo stress piangendo o mostrandosi accomodanti, anche se avrebbero voglia di mostrare rabbia.

Che succede allora se il bambino esibisce una delle emozioni proibite?

Il bambino registra: se mi spavento di fronte al cattivo del quartiere e lo mostro non ottengo i risultati che voglio qui. Io voglio protezione e
invece ottengo di essere ignorato. Nel suo sagace Piccolo Professore il bambino crea allora dei modi di ottenere i risultati desiderati. Per
ottenete le carezza che vuole deve mostrare aggressività, anche se queste carezze le paga con ferite fisiche.

Se mostro qualsiasi altra emozione, i miei genitori mi tolgono il loro sostegno, e questo è pericoloso. Pertanto la cosa migliore è non
permettere nemmeno a me stesso di provare un’emozione che non sia rabbia aggressiva.

Racket ed elastici

Immaginate che io sia quel bambino. Quando avverto lo stress di questa situazione mi aggancio all’estremità di un’elastico. Comincio a
reagire come se fossi nuovamente un bambino piccolo ritornato in una situazione di stress del passato.

Immediatamente faccio quello che avevo imparato a fare quando ero bambino, divento aggressivo e dico a me stesso :” Bè, almeno ho
mandato a quel paese la cassiera”. Ma allo stesso tempo so che tutte le mie urla non cambieranno il fatto che ho dovuto lasciare li la mia
roba.

Ma al di fuori della consapevolezza, ho perseguito una motivazione una motivazione che per me era molto più importante di questo: avevo
tentato di manipolare l’ambiente in modo da ottenere il sostegno genitoriale c he ottenevo nell’infanzia provando ed esibendo queste
emozioni parassite.

Ogniqualvolta provo un’emozione parassita sto riproponendo una vecchia strategia infantile, in altre parole
sono nel copione.

La costituzione dei racket

Nel nostro esempio io avevo creato il racket, la sequenza di eventi che mi “giustificava” a provare la mia
emozione parassita.

Nel mio Bambino provavo un bisogno di carezze, e avevo fatto in modo di manipolare l’ambiente così da avere quelle carezze come avevo
imparato da piccolo. Avevo fatto in modo di avvertire quella stessa emozione che mi dava risultati nella mia famiglia.

Così la teoria del racket ci dà una prospettiva totalmente nuova sul perché si provino emozioni negative.

La spiegazione comune nell’esempio del supermarket sarebbe: “sono andato via senza le cose di cui avevo bisogno, pertanto mi sentivo
arrabbiato”.

Conosco i racket diremmo invece: “Volevo giustificare il fatto di sentirmi arrabbiato, pertanto ho fatto in
modo di andarmene senza le cose di cui avevo bisogno”.
Emozioni parassite e autentiche

Quando il bambino prova una qualsiasi delle emozioni proibite effettua un rapido passaggio a u n’emozione negativa permessa.
Un’emozione parassita è sempre un sostituto di un’altra emozione che nella nostra infanzia fu proibita.

Per permettere questa capacità di sostituire diciamo che le emozioni parassite sono emozioni inautentiche. All’opposto le emozioni
autentiche son quelle che provavamo da bambini piccoli prima che imparassimo a censurarle perché scoraggiate nella famiglia.

Questa distinzione è stata suggerita per prima da Fanita English. Nella sua opera originale essa ha usato il termine “emozioni reali” in
opposizione a emozioni parassite. Tuttavia oggi è più usuale parlare di emozioni “autentiche” più che “reali”. Il fatto è che quando provo
un’emozione parassita la mia emozione è certamente reale, per quanto io sia consapevole. Quando ho cominciato a urlare contro quella
cassiera non stavo mostrando rabbia. Ero proprio arrabbiato. Ma la mia rabbia era un’emozione parassita e non un’emozione autentica.
Diciamo spesso delle emozioni parassite che sono utilizzate per coprire un’emozione autentica.

Alcune persone non solo coprono le emozioni autentiche con quelle parassite, ma coprono anche
un’emozione parassite con un’altra.

Nomi delle emozioni parassite e autentiche

Quali sono le emozioni autentiche, quelle che proviamo quando non censuriamo? In A.T. è usuale elencarne 4:

Rabbia tristezza paura felicità

A queste aggiungeremo svariate sensazioni fisiche che prova un bambino, per esempio rilassatezza, pienezza, stanchezza, voglia di sfogarsi,
disgusto, sonno ecc.

Alcuni nomi di emozioni parassite si riferiscono più manifestamente al pensiero che a un’emozione: confuso,
svuotato, perplesso ecc.

Non tutte le emozioni parassite sarebbero catalogate come “negative” dalle persone che le provano. La bambina che aveva imparato che
doveva essere dolce e accomodante anche quando in realtà sentiva rabbia. Da persona adulta sarà considerata da tutti “un raggio di sole”.
Per questa sua falsa felicità può darsi che ottenga molte carezze, proprio come quand’era bambina. Queste emozioni sono inautentiche
imparate durante l’infanzia come un tentativo di ottenere sostegno dall’ambiente.

Un’altra complicazione dell’assegnare dei nomi alle emozioni è questa: i nomi dati alle emozioni autentiche sono anche dati alle emozioni
parassite. Per esempio si può avere rabbia autentica o rabbia parassita, tristezza autentica o tristezza parassita, e così via. Forse da
bambino ho imparato a coprire la rabbia con la confusione, mentre voi a coprirla con la tristezza. La vostra emozione parassita ha per puro
caso lo stesso nome di una delle emozioni autentiche.

Emozioni parassite, emozioni autentiche e problem-solving (risoluzione dei problemi)

Ma allora se le emozioni parassite non sono sempre vissute come negative, perché è importante distinguerle da quelle autentiche?

La risposta è: l ’espressione delle emozioni autentiche è adeguata come mezzo di risoluzione dei problemi qui- e-ora, mentre l’espressione
delle emozioni parassite non lo è.

In altre parole, quando esprimiamo un’emozione autentica facciamo qualcosa che contribuisce a porre fine
alla situazione, mentre quando manifestiamo un’emozione parassita non poniamo fine alla situazione.

George Thomson ha spiegato la funzione del problem solving di 3 emozioni autentiche: la paura, la rabbia e la tristezza. Egli sottolinea che
queste emozioni hanno rispettivamente a che fare con il futuro, il presente e il passato.

 Quando provo una paura autentica e agisco in qualche modo per esprimere la mia emozione sto contribuendo a risolvere un problema
che vedo nascere nel futuro.
 La rabbia autentica serve a risolvere i problemi nel presente. Immaginate che stia in fila di attesa di essere servito in un negozio. Una
donna cerca di passare prima di me, io esprimo la mia rabbia e reagisco adeguatamente così da badare a me stesso nel presente.
 Quando mi sento autenticamente triste sto aiutando me stesso a superare un evento doloroso avvenuto nel passato. Sarà una qualche
perdita, un qualcuno o qualcosa che non riotterrò mai. Permettendo a me stesso di essere triste mi libero da quel passato dolore, pongo
fine a questa situazione e dico addio. Poi sono pronto a passare a qualsiasi cosa il presente e il futuro abbiano da offrirmi.
 Thomson non ha parlato della funzione della felicità, noi suggeriremmo che la felicità autentica segnali: “non c’è bisogno di nessun
cambiamento”. In questo senso la felicità ha una caratteristica atemporale, significa: “quello che stava succedendo in passato è Ok che
succeda adesso e continui a succedere in futuro”. L’espressione della felicità autentica è il rilassarsi, sentirsi a proprio agio, godere il
presente e quando sazi si cade addormentati.

In netto contrasto con questa funzione di problem-solving delle emozioni autentiche, le emozioni parassite non aiutano mai a porre fine alla
situazione. (Quando ho inveito contro la cassiera,non ho ottenuto nessun risultato positivo presente, né questo mi ha permesso di dire
addio alla possibilità passata di ottenere le mie provviste prima che il supermercato chiudesse).

Ogniqualvolta cominciamo a sentir paura, rabbia o tristezza al di fuori della loro cornice temporale adeguata,
s appiamo che questa emozione è un’emozione parassita.

Dato che le emozioni parassite rappresentano la riproposizione di una vecchia strategia del Bambino, l’espressione delle emozioni parassite
nel qui-e-ora deve per forza sfociare più e più volte in qualche esito non soddisfacente.

Racketeering

Fanita English ha coniato il termine racketeeting per riferirsi a un modo di effettuare transazioni che la persona può utilizzare per cercare di
avere carezze per le sue emozioni parassite.

Una persona che effettui R. invita gli altri in scambi nei quali esprime un’emozione parassita e mira ad ottenere delle carezza dall’altro per
questa emozione. Queste transazioni continueranno fintantoché l’altra persona è disposta a dare carezze alla prima.

Il R. può essere di due tipi, entrambi i quali comportano delle transazioni parallele tra Genitore e Bambino.

 Nel tipo I la persona assume inizialmente il ruolo del Bambino. La posizione di vita è “io non sono OK, tu sei Ok”
 Nel tipo II essa proviene dal Genitore con una posizione del tipo “io sono OK, tu non sei OK”.
› Chi effettua operazioni del primo tipo può sembrare triste e patetico, una modalità che Fanita English chiama Tipo Ia “impotenza”.
› Chi effettua il R. a partire dal Bambino può mettersi in una posizione piagnucolosa, di lamentela. E’ il tipo
Ib “monello”.
› Nel tipo IIa, “aiuto”, assume una posizione di Genitore Affettivo negativo mirante a ottenere carezze di gratitudine dall’altra persona nel
Bambino.
› Chi effettua un R. del tipo IIb, “Capo”, dà inizio a transazioni a partire dal Genitore Normativo negativo, e cerca di ottenere carezze di
scusa dal Bambino del partner.

Noi suggeriamo che ci possa essere un R da Genitore a Genitore su temi quali “non è terribile”, oppure da
Bambino a Bambino con una escalation nello scambio di emozioni.
Il R. è un tipo do passatempo nel quale gli scambi portano a una carica di emozioni parassite. Le transazioni parallele cesseranno solo
quando uno dei partecipanti si ritrae o incrocia una transazione. Spesso la persona che dà inizio all’incrocio sarà quella che effettua il R.
non il partner. Questo perché chi usa abitualmente dei
R. diventa molto bravo nell’avvertire quando l’altro sta per ritrarsi dallo scambio. Piuttosto che veder allontanarsi la propria fonte di carezze,
chi effettua il R. preferisce mantenere l’iniziativa. Questo ha spesso come risultato il trasformare lo scambio di un R in un gioco.

Buoni premio

Quando provo un’emozione parassita ci sono 2 cose che posso fare rispetto a essa. Posso esprimerla qui-e- ora, oppure posso metterla via
per usarla più tardi. Quando faccio quest’ultima cosa si dice che colleziono un buono premio.

Il termine BP è l’abbreviazione di buono premio psicologico. Si riferisce a una pratica in voga nei supermarket. Quando ne aveva raccolto un
certo numero si poteva scambiare la raccolta con un premio. Quando una persona raccoglie BPP ha lo stesso tipo di scelta riguardo a con
che cosa scambiarli.

Un’altra caratteristica è che la persona che alla fine si vede scaricata addosso la raccolta spesso non è quella
stessa persona che è stata inizialmente oggetto dell’emozione parassita.

Buoni premi e copione

Perché le persone collezionano buoni premio? La risposta è stata suggerita da Berne. Lo fanno perché scambiando i buoni premio possono
avanzare in direzione del loro tornaconto di copione. Se il copione di una persona è amartico è probabile che essa preferisca fare grandi
collezioni di buoni premio che poi potrà scambiare contro in grande tornaconto. Per esempio può collezionare dei buoni premio di
depressione per anni e anni e poi alla fine scambiarli contro un suicidio.

Le persone con copioni banali terranno collezioni più piccole di buoni premio e le scambieranno con

E ’ un modello che spiega la natura del copione di vita e mostra come una persona possa mantenere tutta la
vita il proprio copione. Questo modello fu elaborato da Richard Erskine e Marilyn Zaleman.

E’ definito come: un sistema di emozioni e pensieri e azioni autorinforzantesi e distorto, mantenuto da una persona legata al copione. Esso
ha 3 componenti interrelate e interdipendenti:

- Le convinzioni ed emozioni da copione


- Le manifestazioni parassitarie
- I ricordi di rinforzo.

1) Le convinzioni ed emozioni di copione

Quando sono nel copione, riproporrò convinzioni sorpassate su me stesso, sugli altri e sulla qualità della vita. Le decisioni di copione sono
prese nell’infanzia come mezzo per “allontanare” alcune emozioni irrisolte. Quando, nella vita adulta, sono sotto stress, può darsi che io
riproponga questa strategia infantile. Per difendermi dal provare quest’emozione, la “allontano” rivivendo quelle conclusioni infantili e
vivendole come vere nel presente.

Le convinzioni e le emozioni di copione prese nella loro totalità rappresentano una doppia contaminazione
dell’Adulto.

Le convinzioni di copione in ciascuna categoria si dividono in convinzioni di copione centrali e convinzioni di copione di sostegno.

a) Convinzioni di copione centrali


Corrispondono alle prime e più fondamentali decisioni del bambino. Per il bambino piccolissimo ci sono volte
in cui l’espressione di emozioni non censurate non è sufficiente all’esaudimento delle sue esigenze.

Il bambino prova allora tutta una gamma di emozioni sostitutive fino a scoprire quelle che gli fanno “ottenere risultati” nei termini
dell’attenzione genitoriale.

Queste emozioni sostitutive sono adottate come emozioni parassite, e l’emozione originaria non censurata è soppressa. Ma dato che
l’emozione originaria non ha avuto risposta, l’esperienza emotiva del bambino rimane irrisolta. Nel tentativo di dare un senso a questo,
egli arriva a certe conclusioni su se stesso, sugli altri, sul mondo. Sono esse a costituire le convinzioni di copione centrali, che si basano su
quel tipo di pensiero concreto e magico di cui sono capaci i bambini piccoli. (es. david e l’aggressione sulla ragazza).

Avendo concluso che esprimere dolore e paura non gli avrebbe permesso di vedere esaudite le sue esigenze, dopo un po’ David abbandonò
quella strategia e ne adottò una sostitutiva. Scoprì che se esprimeva rabbia otteneva almeno qualche attenzione dalla mamma. Facendosi
venire una crisi di nervi o mettendosi a piagnucolare poteva almeno ottenere che lei inveisse contro di lui o lo sculacciasse. Benché questa
attenzione negativa fosse dolorosa, era meglio di niente. David decise: “il modo migliore per me perché i miei bisogni siano esauditi è far
finta di arrabbiarmi”. Aveva imparato a coprire le sue emozioni autentiche di paura e di rabbia con una rabbia parassitaria, e così facendo
aveva gettato le basi della sua manifestazione parassitaria.

b) Convinzioni di copione di sostegno


Una volta arrivato alle proprie convinzioni di copione centrali, il bambino comincia a interpretare la sua esperienza della realtà in accordo
con queste convinzioni. Esse lo influenzano circa le esperienze cui prestare attenzione, il significato da dare a queste esperienze e il fatto di
considerarle o no significative. In questo modo egli comincia ad accumulare delle convinzioni di copione di sostegno che riaffermano ed
elaborano le convinzioni di copione centrale. (es. David è geloso del fratello e ritiene che egli ottiene tutta l’attenzione perché è grande e
intelligente). David aveva cominciato a costruire alcune delle sue convinzioni di copione di sostegno: “io sono stupido, sono fisicamente
debole e troppo piccolo. Le mie esigenze non sono importanti, Gli altri sono più grandi e intelligenti di me”.

c) Riciclaggio delle convinzioni ed emozioni di copione


Ora David è in adulto. Nei momenti di stress può entrare nel copione. Questo avviene in particolare se la situazione qui-e-ora assomiglia in
qualche modo a una situazione di stress nell’infanzia- se c’è un elastico.

Immaginate se David percepisca che la sua ragazza lo “respinge”. Senza saperlo reagisce come faceva quando da bambino la mamma lo
respingeva. Al di sotto del livello della consapevolezza, comincia a provare dolore e terrore. Nel fare questo, ripropone le sue convinzioni di
copione. “Spiega” il rifiuto che ha percepito dicendo a se stesso, al di fuori della consapevolezza: “ io non sono degno d’amore perché c’è
qualcosa di fondamentalmente sbagliato in me. Questa donna importante vuole rifiutarmi totalmente, e se lo fa io rimarrò solo”.

Ogniqualvolta David fa questa affermazione a se stesso “g iustifica” le proprie emozioni di paura e dolore. In questo modo le sue
convinzioni ed emozioni di copione sono continuamente riciclate.

Questo processo avviene a livello intrapsichico, vale a dire all’interno della persona. David non rende disponibili le sue convinzioni di copione
a un aggiornamento a fronte della realtà qui-e-ora. Al contrario, ogniqualvolta ripete questo processo di riciclaggio rafforza la propria
percezione che la realtà abbia “confermato” le sue convinzioni di copione.

2) Manifestazioni parassitarie

Consistono in tutti quei comportamenti manifesti e interni che sono manifestazione delle convinzioni e delle emozioni di copione. Tra essi
rientrano i comportamenti osservabili, le esperienze interne riferite e le fantasie.

a) I comportamenti osservabili
Consistono n ell’esibizione di emozioni, parole, toni di voce, gesti, movimenti corporei che la persona fa in risposta al processo intrapsichico.
Queste manifestazioni sono ripetitive e stilizzate perché riproducono i comportamenti di copione che il bambino imparò a utilizzare in una
vasta gamma di situazioni come mezzo per “ottenere risultati” nella propria famiglia.

La manifestazione parassita può provocare comportamenti che sono in sintonia con le convinzioni di copione o che dipendono da esse. Per
es. David, che in infanzia aveva concluso: “io sono uno stupido”, si comporta da persona confusa e stupida quando da adulto ripropone
questa convinzione di copione.

Le manifestazioni parassitarie di David, di aggressività derivano da questa prima conclusione: “il modo che io ho per vedere esauditi i miei
bisogni è arrabbiarmi ogni volta che comincio a sentirmi ferito o spaventato”. Quando la sua ragazza si comporta in qualsiasi modo che egli
percepisce come una mancanza di attenzioni o di un rifiuto, comincia a riproporre le sue convinzioni di copione centrali. Poi copre queste
emozioni con la rabbia.

Questo comportamento non dà alla ragazza di David nessun modo di sapere che le sue emozioni autentiche sono sofferenza, paura e
bisogno di vicinanza. In realtà lo stesso David ha soppresso queste emozioni dalla propria consapevolezza. Ogni volta David ha usato
questa risposta per “giustificare” la sua convinzione di copione: “io non sono degno d’amore, le donne mi rifiutano e rimango sempre
solo”.

b) Esperienze interne riferite


Il bambino adotta le convinzioni di copione in un tentativo di dare un senso a un’esperienza emozionale irrisolta, e cosi risolverla nel modo
migliore possibile. Oltre a questo processo cognitivo, la persona può attraversare una sequenza simile in senso somatico. Per deviare
l’energia da questo bisogno non esaudito, può usare questa energia per creare un qualche tipo di tensione fisica o di disagio.

Ricorderete il bambino che ripetutamente si protende verso la madre ma non ottiene risposta, e che dopo un po’ irrigidisce le spalle per
impedirsi di protendersi. Benchè questo sia disagevole non è la fonte di stress quanto lo sarebbe il continuare a protendersi verso la
mamma e affrontare il suo apparente rifiuto. Poi sopprime sia questa consapevolezza del suo bisogno originario sia la consapevolezza del
tenere le spalle in tensione. Da adulto probabilmente proverà dolori e disagi alle spalle, al collo e alla parte alta della schiena.

Le persone possono avere tutta una gamma di tensioni, disagi e dolori somatici che sono similmente in risposta a convinzioni di copione.

c) Fantasie

Anche quando nella realtà nessuno si comporta in accordo con le convinzioni di copione di una persona, essa può procedere a fantasticare
questo comportamento.

Per esempio David talvolta fantastica di essere punito o imprigionato per aver aggredito una sua ragazza. Spesso immagina che gli altri lo
sminuiscono di nascosto trovando in lui tutta una serie di cose sbagliate. Talvolta la sua fantasia è una raffigurazione grandiosa del “meglio
di questo mondo”: immagina di aver incontrato la ragazza perfetta che lo accetterà al cento per cento e non si comporterà mai in un modo
che lui potrebbe interpretare come un rifiuto.

3) Ricordi di rinforzo

Quando è nel copione la persona si rifà a tutto un insieme di ricordi che rafforzano le convinzioni di copione. Ciascuno di questi episodi
ricordati sarà un episodio in cui essa ha riciclato convinzioni ed emozioni da copione. Nel far questo esibisce le manifestazioni parassitarie
a questo abbinate, provando un’emozione parassitaria o mettendo in atto uno qualsiasi degli altri comportamenti manifesti e interni che
sono tipici del suo Sistema Parassitario. Quando l’episodio è ricordato, insieme ad esso vengono ricordate le emozioni parassite o altre
manifestazioni parassitarie. In altre parole ogni ricordo di rinforzo è accompagnato da un buon premio.

Gli episodi ricordati possono essere le risposte degli altri alla manifestazione parassitaria della persona, come quando tante ragazze hanno
abbandonato David in risposta ala suo comportamento aggressivo. Possono anche includere le risposte che la persona ha interiormente
interpretato come di conferma alle sue convinzioni di copione, anche se in realtà erano neutre o addirittura contrarie a queste convinzioni.

Ci sono alcuni episodi che nemmeno il Piccolo Professore più ingegnoso riesce a far collimare con le convinzioni di copione. In questo casi,
però la persona può adottare un’altra strategia: dimenticare selettivamente questi episodi.

Abbiamo anche visto che la persona può elaborare fantasie di situazioni che si adeguino alle convinzioni di copione. I ricordi di queste
fantasie fungono da ricordi di rinforzo con altrettanta efficacia dei ricordi di episodi effettivi. Ogniqualvolta David crea delle immagini
mentali di persone che ridono nascostamente per via di una qualsiasi cosa che non va in lui, aggiunge un ulteriore ricordo di rinforzo al
mucchio che già possiede.

Anche qui il Sistema Parassitario si auto rafforza. I ricordi di rinforzo fungono da feedback per le convinzioni di copione.
Ogniqualvolta viene richiamato un ricordo di rinforzo,la persona ripropone una convinzione di copione che è a sua volta rafforzata da un
ricordo di rinforzo. Mentre viene riproposta la convinzione di copione, viene attivata anche l’emozione soppressa soggiacente, e il
processo di “riciclaggio”intrapsichico viene ancora una volta messo in moto. Mentre questo avviene, la persona esibisce delle
manifestazioni parassitarie, che possono essere comportamenti osservabili, esperienze interne, fantasie o una combinazione dei tre. A sua
volta l’esito della manifestazione parassitaria permette alla persona di collezionare ulteriori ricordi di rinforzo coi buoni premio emozionali
che li accompagnano.

Come uscire dal Sistema Parassitario

Oltre ad essere uno strumento d’analisi, il SP è uno strumento di cambiamento. Quindi si può entrare in qualsiasi punto del SP ed effettuare
in quel punto un cambiamento che comincia a farci uscire dal copione. Quando effettuiamo il cambiamento interrompiamo i vecchi circuiti
di retroazione, sicché un ulteriore cambiamento diventa più facile. Questo processo è anche in questo caso autorinforzantesi, ma ora
stiamo rinforzando un movimento in uscita dal copione, invece di rimanere bloccati in esso.

Non è necessario limitarsi a un sono punto di intervento. Se vogliamo possiamo interrompere il flusso del
S.P. in svariati punti diversi. Più grande è il numero di punti che cambiamo, maggiore è il nostro movimento in uscita dal copione.

Un gioco psicologico è effettuato secondo regole predeterminate. Caratteristiche:


1) I giochi sono ripetitivi.
2) I giochi sono giocati senza la consapevolezza dell’Adulto. Malgrado il fatto che la persona ripeta i giochi più e più volte, vive ciascuna
proposizione del suo gioco senza essere consapevole di farlo.
3) I giochi terminano coi giocatori che provano un’emozione parassita.
4) I giochi comportano uno scambio di transizioni ulteriori tra i giocatori. In ogni gioco c’è qualcosa che succede a livello psicologico diverso
da ciò che sembra succedere a livello sociale. Lo sappiamo dal fatto che la persona ripete i propri giochi più e più volte, trovando altre
persone i cui giochi si “incastrano” col suo. Quando il cliente di Molly viene in cerca d’aiuto e lei lo offre, entrambi credono che sia il loro
scopo reale. Ma l’esito della loro interazione dimostra che le motivazioni inconsapevoli erano molto diverse. A livello psicologico stavano
inviando all’altro dei “messaggi segreti” che dichiaravano le loro vere intenzioni. Molly si riproponeva di offrire un aiuto che non sarebbe
stato accettato. Il suo cliente era venuto a chiedere un aiuto e poi a non accettarlo.
5) I giochi comportano sempre un momento di sorpresa o di confusione. A questo punto il giocatore ha la sensazione che sia successa una
cosa inaspettata, in qualche modo le persone sembrano aver cambiato ruolo. (Questo è ciò che Jack ha vissuto quando ha scoperto che
Jean l’aveva lasciato, jean da parte sua se n’era andata perché aveva improvvisamente cambiato opinione su Jack).

Magliette

E’ strano vedere come una persona riesca a trovare altri che giochino giochi che si incastrano con i suoi.

E’ come se ogni persona portasse una maglietta con sopra stampato l’invito a giocare il suo gioco. La maglietta porta sul davanti un motto
che è quello che noi consapevolmente vogliamo che il mondo veda. Ma dietro c’è il messaggio segreto a livello psicologico. Il messaggio
sulla schiena è quello che in realtà determina chi sceglieremo nei nostri rapporti. (sulla maglia di Jean davanti ci sarà scritto “io sarò dolce e
paziente”, ma sulla schiena c’è il motto “ma aspetta che ti becchi!”).

Gradi diversi dei giochi

I giochi possono essere giocati a gradi diversi di intensità.

1) Un gioco di primo grado ha un esito che il giocatore è disposto a condividere nella propria cerchia sociale. (possiamo immaginare che
mentre Molly scarica i suoi dubbi sui colleghi durante la pausa caffè, il suo cliente sarà giù al bar a lamentarsi coi suoi amici di quanto lei sia
inutile. Gli amici e colleghi considereranno questo un comportamento del tutto accettabile).
2) I giochi di secondo livello portano a esiti più pesanti, di un tipo che il giocatore preferirebbe non rendere pubblico nella propria cerchia
sociale. (Per esempio immaginiamo che il cliente di Molly non si sia limitato a brontolare, ma abbia inoltrato una protesta formale
d’incapacità. Molly a questo punto avrebbe potuto provare una profonda sofferenza depressione, forse si sarebbe potuta addirittura
licenziare dal lavoro. Inoltre è meno probabile che avrebbe parlato casualmente con le amiche di quanto le era successo).
3) Un gioco di terzo grado è il gioco senza esclusione di colpi che si conclude in clinica, al tribunale o all’obitorio. Se jack e jean lo avessero
giocato a questo livello d’intensità, Jack avrebbe potuto maltrattare Jean e a sua volta Jean avrebbe potuto metter via la sua rabbia fino a
che un giorno avrebbe preso un coltello e avrebbe accoltellato Jack.

La formula G

Berne ha scoperto che ogni gioco attraversa una sequenza di 6 fasi:

GANCIO+ANELLO=RISPOSTA→SCAMBIO→INCROCIO→TORNACONTO

Questa è chiamata formula G o formula dei giochi.

1) La mossa d’apertura del cliente è dire a Molly che il padrone lo ha buttato fuori. Al di sotto di questo messaggio a livello sociale c’è un
Gancio, che è espresso a livello non verbale e che dice: “ ma quando cercherai di aiutarmi io non mi farò aiutare”.
2) Molly segnala la propria disponibilità a giocare rivelando il suo Anello. Con questo termine Berne ha indicato “un punto debole” di
copione che porta una persona a “entrare a incastro” nel Gancio di un’altra persona. Per Molly è un messaggio del Genitore interno che
dice: “tu devi aiutare una persona che è nei guai”.
3) Lei risponde al cliente a livello psicologico: “ok cercherò di aiutarti, ma entrambi sappiamo che alla fine tu non permetterai a te stesso di
essere aiutato”. A livello sociale copre questo dicendo: “che posso fare per aiutarti?”. La fase di Risposta consiste in una serie di
transazioni. In questo caso Molly offre svariati consigli al suo cliente. Lui vi oppone delle giustificazioni . A livello sociale queste transazioni
sembrano scambi diretti d’informazione, ma a livello psicologico ripetono lo scambio Gancio-Anello che aveva aperto il gioco.
4) Lo Scambio avviene quando Molly non ha più suggerimenti da dare e il suo cliente dice: “grazie per aver cercato di aiutarmi”.
5) Un attimo dopo Molly ha la sensazione di essere stata presa di sorpresa. Questo momento di confusione è l’Incrocio. Anche il suo
cliente vive un’esperienza simile.
6) Subito dopo entrambi i giocatori raccolgono il Tornaconto fatto di emozioni parassite. Molly si sente
depressa e non all’altezza. Il suo cliente si sente a ragione indignato.
Il triangolo drammatico

Stephen Karpman ha ideato un mezzo semplice e potente per analizzare i giochi, il triangolo drammatico. Egli afferma che ogniqualvolta
giochiamo dei giochi entrano in uno di questi 3 ruoli di copione: Persecutore, Salvatore o Vittima.

1) Un Persecutore è una persona che calpesta e sminuisce gli altri. Egli considera gli altri inferiori a lui e non Ok.
2) Anche il Salvatore considera gli altri non Ok e in posizione d’inferiorità, solo che reagisce offrendo loro aiuto da una posizione di
superiorità. La sua convinzione è : “ io devo aiutare tutte queste altre persone perché non sono sufficientemente capaci di aiutarsi da
sole”.
3) Una Vittima è una persona che si considera inferiore e non OK. Talvolta la Vittima cercherà un Persecutore che la mette in posizione
d’inferiorità e la tratti male. Oppure può andare alla ricerca di un Salvatore che le offre aiuto e la confermi nella sua convinzione: “Io non
ce la faccio da solo”.

Ognuno dei ruoli del triangolo drammatico comporta una svalutazione. Sia il Persecutore che il Salvatore svalutano gli altri. Il Persecutore
svaluta la dignità degli altri. Il Salvatore svaluta la capacità degli altri di pensare da soli e di agire di propria iniziativa. Una Vittima svaluta se
stessa.

Di solito una persona che effettua un gioco partirà da una delle posizioni p er passare poi a un’altra. Questo passaggio avviene nel
momento dello Scambio. Jack è partito dalla posizione del Persecutore e vi è rimasto sino alla fase di Risposta. Quando vi è stato lo
Scambio, Jack è passato alla posizione di Vittima.

Analisi transazionale dei giochi

Un altro modo di analizzare i giochi è utilizzare un diagramma transazionale. Esso è particolarmente utile nel mettere in luce le transazioni
ulteriori tra i giocatori.
Quello di Berne è così:

› Jack (livello sociale): vorrei conoscerti meglio


› Jean (livello sociale): si anch’io lo vorrei
› Jack (livello psicologico): dammi un calcio per favore (ha avuto tanti rifiuti e si sente sorpreso e rifiutato)
› Jean (livello psicologico): ti ho Beccato figlio di Puttana (sapeva che gli uomini fossero tutti uguali,
cionondimeno comincia un rapporto con una persona nuova e l’intera sequenza si ripete)

I messaggi segreti ulteriori rimangono al di fuori della consapevolezza di ciascun giocatore fino a che non sono rivelati al momento dello
Scambio.

Il diagramma di Goulding-Kupfer

Bob Goulding e David Kupfer hanno elaborato una versione diversa del diagramma transazionale dei giochi. Per loro i giochi hanno 5
caratteristiche:

1) Innanzitutto viene “l’apertura” del gioco a livello sociale. G e K la chiamano “stimolo apparente diretto”. In questo caso Jack dice:
“Vorrei conoscerti meglio”.
2) Il secondo elemento del gioco è il simultaneo messaggio a livello psicologico che costituisce il Gancio del gioco. E’ chiamato “messaggio
segreto” e comprende un’affermazione di copione su se stessi. Il “messaggio segreto” di Jack è: “io merito di essere rifiutato e mi
propongo di verificarlo con te fino a dimostrarlo. Dammi un calcio, per favore”.
3) L’esito è determinato a livello psicologico, Jean legge il messaggio di Jack e risponde di conseguenza,
stando un po' con lui e poi rifiutandolo, Nella sequenza di G-K questa è la “risposta al messaggio segreto”.
4) Entrambi i giocatori termineranno provando delle emozioni parassite, “il tornaconto di emozioni negative”.
5) L’intera serie delle transazioni ulteriori rimane al di fuori della consapevolezza da Adulto dei giocatori.
I Goulding sottolineano che se una persona ha motivazione sufficiente per entrare nel proprio gioco preferito ribalterà le risposte effettive
che ottiene dagli altri, così da leggervi la risposta al proprio gioco. Così può ottenere il proprio tornaconto parassita anche se l’altro con le
sue risposte non sta al suo gioco.

Il Programma del gioco

John James ha elaborato un insieme di domande che ci danno un altro modo di capire il procedere di un gioco. Lo chiama Programma del
gioco. La sequenza di risposte alle domande del Programma del gioco dovrebbero farci vedere i cambiamenti nel triangolo drammatico e le
fasi della formula G del gioco.

Le emozioni che possono essere elencate alle domande “cosa provo?”, “cosa penso che provi l’altro?” hanno
entrambe probabilità di essere nelle emozioni parassite.

Le risposte alle “domande misteriose” sono i messaggi a livello psicologico del diagramma transazionale del gioco. Tuttavia Collinson
suggerisce che entrambe queste affermazioni sono probabilmente messaggi che i nostri genitori ci hanno trasmesso quando eravamo
piccoli.

Una seconda possibilità è che una o entrambe le risposte alla “domande misteriose” siano un messaggio che noi abbiamo trasmesso ai
nostri genitori quando eravamo piccoli.

Definizione dei giochi

Cè disaccordo tra gli autori di A.T. circa la corretta definizione di gioco.

Berne definisce la formula G e spiega le 6 fasi, poi aggiunge: “tutto quello che risponde a questa formula è un gioco, quello che non vi si
adatta non lo è”.

Tuttavia in un libro precedente Berne aveva definito il gioco con parole diverse: “ un gioco è una serie di
transazioni ulteriori che conducono un tornaconto bene definito”.

La versione successiva, cita lo Scambio e l ’Incrocio come caratteristiche essenziali di un gioco, la prima definizione no. In realtà è stato solo
molto tardi nell’elaborazione della teoria dei giochi che Berne ha introdotto l’idea dello Scambio.

Dopo Berne alcuni autori hanno usato definizioni che seguono la sua prima versione. Con svariati termini essi hanno definito un “gioco”
come qualsiasi sequenza di transazioni ulteriori che termina con entrambe le parti che si sentono male (che provano emozioni parassite).

Noi preferiamo usare la definizione successiva di Berne. Definiamo giochi solo quelle sequenze che seguono tutte le fasi della formula G, ivi
compreso il “passaggio dei ruoli” e il “momento di confusione” rappresentati dallo Scambio e dall’Incrocio. Tutto ciò perché la prima
definizione di Berne, in cui non compare lo Scambio, è già presente nell’A.T. moderna in un altro concetto: il racketeering. E c’è una netta
differenza tra il processo del racketeering e il processo di un gioco.
Il racketeering assomiglia a un gioco, nel senso che vi è uno scambio di messaggi ulteriori e un tornaconto in termini di emozioni parassite.
Ma nel R. non avviene uno Scambio.

Nell’effettuare un gioco seguiamo delle strategie superate. Giocare dei giochi era uno dei mezzi adottati da bambini piccoli per ottenere
quello che volevamo dal mondo. Ma nella vita adulta abbiamo altre opzioni più efficaci.

Giochi, buoni premio e tornaconti del copione

Le persone giocano i giochi soprattutto per portare avanti il loro copione di vita. Berne ha suggerito la sequenza attraverso la quale
otteniamo questo. Al tornaconto di ogni gioco, il giocatore prova un’emozione parassita. Ogniqualvolta lo fa, può collezionare questa
emozione sotto forma di buono premio. Chi effettua dei giochi ha raccolto una collezione di buoni premio sufficientemente grande, si
sente giustificato a scambiarla contro qualsiasi tornaconto di copione negativo abbia deciso da bambino.

Così ogni persona sceglie i propri giochi per ottenere quel tipo di buoni premio che la faranno progredire verso la fine del copione che ha
deciso.

Le persone scelgono il grado dei loro giochi in modo che si adegui al grado del tornaconto di copione.

Rafforzamento delle convinzioni di copione

Quando siamo nel copione da persone adulte vogliamo confermare più e più volte che le nostre convinzioni di copione su noi stessi, sugli
altri e sul mondo sono vere. Ogniqualvolta effettuiamo un gioco utilizziamo il tornaconto per rafforzare queste convinzioni di copione.

Giochi e posizioni di vita

Possiamo usare i giochi anche per “confermare” le nostre posizioni fondamentali di vita. Per esempio le persone che come Jack giocano a
“Dammi un Calcio” rinforzano la posizione di vita “io non sono Ok, tu sei Ok”. Questa posizione giustifica il giocatore ad andare -via-
dagli altri.

I giochi, la simbiosi e il sistema di riferimento

Gli Schiff suggeriscono che i giochi derivano da rapporti simbolici irrisolti nei quali ciascun giocatore svaluta s ia se stesso che l’altro. Per
“giustificare” la simbiosi i giocatori mantengono convinzioni grandiose, quali: “io non posso far niente” (Bambino) o: “io vivo solo per te,
caro” (Genitore). Così ogni gioco è un tentativo di mantenere una simbiosi non sana o una rabbiosa reazione contro la simbiosi.

Nelle posizioni iniziali, Jack assume il ruolo genitoriale e dell’Adulto, mentre Jean gioca al Bambino. Nessuno dei due giocatori è consapevole
di quello che sta avvenendo, evidenziando che l’Adulto è “fuori uso” sia in Jack che in Jean. Allo scambio anche le posizioni simbiotiche
cambiano. Ora Jack assume il ruolo di Bambino ferito, Jean passa nel Genitore che rifiuta.

Senza saperlo Jack ha riproposto la propria simbiosi infantile con la madre. Credeva che potesse attirare l’attenzione della madre solo
quando lei fa qualcosa per rifiutarlo. Così faceva in modo che il rifiuto potesse continuare. Aveva elaborato tutta una serie di strategie per
ottenere questo risultato.

Da adulto Jack segue ancora quella stessa strategia infantile al di fuori della consapevolezza. Cerca donne che avranno probabilità di
rifiutarlo da una posizione Genitoriale.

Giochi e carezze

Ogni bambino talvolta teme che la scorta di carezze possa esaurirsi per evitare questo elabora un repertorio di manipolazioni che facciano
continuamente arrivare le carezze.

I giochi sono un modo affidabile di farsi una sorta di carezze intense. Le carezze scambiate possono essere positive e negative secondo il
gioco. Nel momento dello Scambio ogni giocatore ottiene o dà intense carezze negative. Sia positiva o negativa, ogni carezza scambiata
durante il gioco comporta una svalutazione.

Giochi, carezze e racketeering

Fanita English suggerisce che le persone cominciano a cercare carezze derivanti da un gioco quando le loro carezze provenienti dal
racketeering corrono il rischio di esaurirsi.

Ogniqualvolta le persone entrano in un gioco per manipolare carezze svalutano la realtà. Ignorano le molte opzioni da persone adulte che
hanno per ottenere carezze in modi positivi.

I sei vantaggi di Berne

1) Vantaggio psicologico interno. Effettuando dei giochi, mantengo la stabilità degli insiemi di credenze di copione.
2) Vantaggio psicologico esterno. Evito le situazioni che metterebbero in crisi il mio sistema di riferimento.
3) Vantaggio sociale interno. I giocatori offrono un contesto per una pseudo-socializzazione a casa nell’intimità. Il mio gioco “Dammi un
calcio” può essere costituito in parte da lunghi, estenuanti scambi “cuore a cuore” con il mio partner. Al di sotto dei messaggi a livello
sociale ci sono i messaggi ulteriori che confermano che siamo in un gioco.
4) Vantaggio sociale esterno. Effettuare un gioco ci fornisce un argomento di chiacchiere nella nostra cerchia sociale più ampia.
5) Vantaggio biologico. Si riferisce alle carezze che il gioco permette d’avere. “Dammi un calcio” ne dà
prevalentemente di negative.
6) Vantaggio esistenziale. E’ la funzione del gioco nel confermare la posizione di vita. “Dammi un Calcio” è giocato da una posizione “io
non sono Ok, tu sei Ok”. Ogni volta ottengo un calcio da questo gioco rafforzo questa posizione.

Tornaconti positivi dei giochi

John James ha elaborato l’idea che i giochi abbiano dei vantaggi reali oltreché dei vantaggi da copione. Ogni gioco comporta un tornaconto
positivo, oltreché un tornaconto negativo.
Un gioco rappresenta la migliore strategia che un bambino abbia per ottenere qualcosa dal mondo, Quando effettuiamo dei giochi nell’età
adulta stiamo cercando di esaudire un autentico bisogno del Bambino. Solo che i mezzi per soddisfare questo bisogno sono superati e
manipolativi.

Centinai di giochi sono stati “scoperti”, ciascuno con proprio nome. Oggi possiamo vedere che solo pochi di essi costituiscono veri e propri
elementi che accrescono la nostra comprensione dei giochi. Molti non hanno uno Scambio e così possono essere meglio classificati come
passatempi o racketeering. Quando eliminiamo questi non-giochi, scopriamo che i giochi restanti possono essere classificati entro un
numero relativamente esiguo di schemi-base.

Alcuni giochi familiari

Essi sono classificati secondo il passaggio di posizione del triangolo drammatico che il giocatore effettua allo Scambio.

1) Passaggio da Persecutore a Vittima


 “Guardie e ladri” qui il giocatore apre cercando di fare da Persecutore alle forze dell’ordine e alla legge, ma alla fine finisce col farsi
acciuffare, finendo come Vittima.
 In “il Difetto” il giocatore trova qualcosa che non va negli altri. Può continuare a farlo all’infinito, come tema di racketeering, senza
necessariamente attivare uno Scambio. Tuttavia alla fine può fare in modo di essere rifiutato da chi ha criticato, o di farsi
“accidentalmente” sentire dagli altri mentre elenca alle loro spalle qualcuno dei loro difetti. Così effettua il passaggio da Persecutore a
Vittima nel triangolo drammatico, trasformando il suo racketeering in un gioco.
2) Passaggio da Vittima a Persecutore
Qui il giocatore invia una sorta di “invito” da una posizione di Vittima. Quando l’altro abbocca, il giocatore si
trasforma in Persecutore e gli dà un calcio.

 In “Si,… Ma” il giocatore apre col chiedere consiglio e allo stesso tempo scarta tutti i suggerimenti che gli vengono dati. Lo Scambio
avviene quando chi dà consigli non ha più suggerimenti da proporre, e chi gioca a “Si…Ma” sfodera il suo rifiuto dall’altro.
 In “Violenza carnale” il giocatore invia un invito sessuale. Quando l’altro partner risponde con un’avance
sessuale, chi gioca si ritrae, rifiutandolo indignato.
 “Gamba di legno” è una variazione di “povero Me”,con un motto sulla maglietta che dice: “Che vuoi aspettarti da una persona che…ha
avuto una madre come la mia/è un alcolizzato come me/ è stata tirata su una città di provincia? (trovate qualsiasi scusa)

 Chi gioca a “Fammi Qualcosa” cerca di manipolare gli altri a pensare o ad agire per lui. Per esempio uno studente al quale è posta una
domanda può starsene li seduto come uno stupido a masticare la matita e aspettare che il professore dia la risposta. Fintantoché l’aiuto
sperato arriva, il giocatore può rimanersene nella posizione di impotente Vittima. Ma più tardi può attivare lo Scambio e raccogliere
ulteriori carezze dal gioco accusando che gli ha dato aiuto di avergli dato cattivi consigli. Per esempio dopo l’esame quello stesso studente
potrebbe andare dal preside a lamentarsi di aver avuto un voto basso perché il professore non era stato chiaro durante la lezione. A questa
posizione finale è stato talvolta dato un nome diverso “Guarda che mi Hai Fatto Fare”.
3) Passaggio da Salvatore a Vittima
Il gioco emblematico qui è “Sto solo Cercando di Aiutarti”. Può essere utilizzato per qualsiasi gioco nel quale una persona cominci con
l’offrire “aiuto” da una posizione di Salvatore, per poi passare alla Vittima, quando la persona che sta “aiutando” rifiuta l’aiuto o si mette
comunque nei guai, oppure fa sapere che l’aiuto offerto non è abbastanza valido. Il presunto datore di “aiuto” raccoglie allora un
tornaconto di buoni premio in termini di sensazione di non essere all’altezza.

4) Passaggio da Salvatore a Persecutore


“Non è la Volontà che mi Manca” comincia come “Sto Solo Cercando di Aiutarti”, con la persona che porta aiuto nel ruolo di Salvatore. Ma al
momento dello Scambio l’ex Salvatore si tramuta in Persecuotre che accusa, invece che in piagnucolosa Vittima. Immaginate per esempio
una donna che sia sempre stata un “madre soffocante” per il figlio. Ora lui è un adolescente ribelle e ha appena annunciato che intende
andarsene di casa. Attivando lo Scambio, la madre urla: “Dopo tutto quello che ho fatto per te! Spero che tu abbia quello che ti meriti! Me
ne lavo le mani di te, hai capito?”.

Come utilizzare le opzioni

Le opzioni possono essere utilizzate per interrompere il flusso di un gioco in qualsiasi fase della sua formula. Se vi rendete conto di stare
effettuando voi stessi un vostro gioco, potrete scegliere l’opzione di uscire dallo stato dell’Io funzionale negativo e passare a uno positivo.

Non potete obbligare nessuno a smettere di effettuare un gioco. Né potete far smettere nessuno dal cercare di adescarvi a un gioco, ma
grazie alle opzioni potrete restare fuori dal gioco, oppure uscirne se vi accorgete di esservi già entrati.

Come cogliere il “Gancio” di apertura.

Bob e Mary Goulding hanno sottolineato l’importanza di cogliere il gioco sin dall’inizio, al “Gancio” di apertura. Se rispondete
immediatamente con un’opzione che lo blocchi, probabilmente impedirete il resto del gioco. Questo richiede la capacità di “pensare
marziano”. Dovete cogliere il messaggio ulteriore che costituisce il Gancio e incrociarlo, invece di rispondervi a livello sociale.

Per esempio considerate l’inizio del gioco tra Molly e il suo cliente. Quando lui se ne è uscito con la sua richiesta d’aiuto, Molly avrebbe
potuto rispondere: “Sembra che tu abbia un problema. Cosa vuoi che faccia al riguardo?”. Con questa domanda si sarebbe indirizzata
direttamente al programma nascosto dell’altro. Sino a che lui avesse dato una risposta da Adulto o avesse abbandonato e se ne fosse
andato.

Se è possibile, un modo particolarmente efficace d’incrociare il Gancio di apertura è rispondere con una risposta esagerata,
“sovradimensionata”, probabilmente o dal Bambino o dal Genitore. “Oh, caro! Sei di nuovo nei guai, vero?”.

Individuazione delle valutazioni e delle spinte

Il Gancio di apertura comporta sempre una svalutazione, e ulteriori svalutazioni sono presenti in ciascuna fase del gioco. Pertanto la capacità
di individuare la svalutazione ci aiuta a individuare gli inviti al gioco e a depotenziarli grazie alle opzioni a nostra disposizione.

Nella frazione di secondo prima di entrare in un gioco il giocatore esibirà un comportamento Spinta. Per rimanere fuori dal gioco, rifiutatevi
di rispondere al comportamento Spinta dell’altro con una vostra Spinta. Date invece a voi stessi u n’autorizzazione.

Rifiuto del tornaconto negativo

Che avviene se, non cogliendo il Gancio di apertura, entrate nel gioco e ne divenite consapevole solo al momento dello Scambio? Si può
rifiutare di raccogliere il nostro tornaconto in termini di emozione negative. Potremo darvi in sua vece un tornaconto in termini di
emozione positiva.
Butto via un buon premio negativo, e colleziono un ricordo di rinforzo positivo invece che quello negativo richiesto dal gioco. Così
contribuisco a depotenziare le mie convinzioni di copione e riduco l’intensità delle mie manifestazioni parassite, una delle quali è il gioco
stesso.

Passare direttamente al tornaconto positivo

Una tecnica simile è suggerita da John James. Secondo lui ogni gioco ha un tornaconto positivo oltreché negativo. Quando individuate un
gioco potete individuare quale bisogno autentico del Bambino avete esaudito in passato così facendo. Poi potete trovare dei modi di
soddisfare questo bisogno diretti invece che di copione. Supponete per esempio che il tornaconto positivo del mio gioco “Dammi un
calcio” sia di avere tempo e spazio per me stesso. Sapendo questo, posso utilizzare le mie opzioni da persona adulta per ottenere questi
vantaggi senza prima ottenere un calcio. Posso cominciare col prendermi 10 minuti di tranquillità per me stessa ogni mattina e pomeriggio,
o interrompere i miei appuntamenti per farmi una passeggiata in campagna. Così facendo esaudisco i bisogni del mio Bambino in modo
diretto. Di conseguenza è probabile che mi trovi a giocare sempre meno spesso a “Dammi un calcio”. Inoltre quando effettuerò il gioco con
tutta probabilità lo farò a un grado minore di prima.

Passare all’intimità nello Scambio

Quando una persona rimane nel copione nel momento dello Scambio e dell’Incrocio, è convinta che la sua sola opzione sia di passare al
tornaconto. Ma con la consapevolezza dell’Adulto possiamo prendere una strada diversa. Invece di passare a delle emozioni parassite,
possiamo essere aperti con l’altro circa le nostre emozioni e desideri autentici, invitando a un rapporto ravvicinato invece che al
tornaconto del gioco.

Si potrebbe dire all’altro: “mi sono appena reso conto di quello che ho fatto (allontanarti fino a che tu mi rifiuti). Ora temo che tu mi lasci,
mentre voglio veramente che tu mi rimanga vicino”.

Attraverso questa affermazione aperta non posso obbligare l’altro a rimanere con me. Non posso nemmeno costringerlo a uscire dal proprio
gioco. Posso invitarlo a reagire con le proprie emozioni e desideri autentici. Se lo fa, possiamo tornare nel rapporto con una sensazione di
felicità e sollievo. Oppure possiamo decidere di separarci comunque, però per ragioni direttamente espresse, e non a seguito del gioco.

Come sostituire le carezze provenienti dai giochi

Effettuare un gioco è visto dal Bambino come un modo affidabile di ottenere carezze. Per il Bambino la perdita delle carezze significa una
minaccia per la sopravvivenza.

Senza saperlo può darsi che iniziate a mettere in atto delle strategie del Piccolo Professore per riottenere le carezze perdute. Trovate altri
modi di effettuare gli stessi vecchi giochi, o cominciate a effettuare giochi diversi con lo stesso passaggio nel triangolo drammatico. O vi
dimenticate di affrontare svalutazioni. A livello superficiale queste azioni potrebbero essere interpretate come un “auto-sabotaggio”. Per
quanto riguarda invece il Bambino, il loro scopo è l’esatto opposto. La motivazione è di mantenere la scorta di carezze e quindi di garantire
la sopravvivenza.

Per questa ragione è importante che non vi proponiate solo di “smettere di effettuare giochi”. Dovrete trovare anche il modo di sostituire le
carezze che precedentemente ottenevate dal gioco. A questo proposito Stan Woolmans ha richiamato l’attenzione su un problema
ulteriore. Le carezze provenienti dai giochi sono molte e intense, all’opposto le carezze che possiamo ottenere da una vita libera dai giochi
sono relativamente

Una delle caratteristiche principali della pratica dell’A.T. è l ’impiego dei contratti.

Berne ha definito un contratto come u n esplicito impegno bilaterale per un ben definito corso d’azione.

James e Jongeward sostiene che: “un contratto è un impegno Adulto di effettuare un cambiamento preso
c on se stessi e/o qualcun altro”. Nei contratti è specificato:
 Che sono entrambe le parti
 Che cosa faranno insieme
 Quanto tempo ci vorrà
 Quale sarà l’obiettivo o l’esito di questo processo
 Come faranno a sapere quando l’avranno raggiunto
 Come questo sarà vantaggioso e/o piacevole per il paziente.
I terapeuti di A.T. distinguono 2 tipi diversi di contratto: il contratto amministrativo o d’affari e il contratto clinico o di trattamento.

1) I l contratto d’affari è un accordo tra il terapeuta e il paziente circa i dettagli del pagamento e le questioni amministrative del loro
lavoro insieme.
2) Nel contratto di trattamento il paziente definisce chiaramente quali cambiamenti vuole fare e specifica di essere disposto a contribuire
all’effettuare questi cambiamenti. Il terapeuta dice se è disposto a lavorare col paziente nell’ottenimento dei cambiamenti che desidera e
afferma quale sarà l’input che immetterà nel processo.

I 4 requisiti di Steiner

Claude Steiner ha affermato che un buon contratto deve avere 4 requisiti. Essi sono derivati dalla pratica della stipulazione dei contratti in
campo legale.

1) Consenso reciproco. Il terapeuta non impone al paziente delle clausole d’affari né degli obiettivi del trattamento, né il paziente li impone
al terapeuta. Invece al contratto si giunge attraverso la trattativa tra le due parti.
2) Remunerazione valida. Questa sarà di solito sotto forma di denaro dato dal paziente all’analista. Talvolta le parti possono accordarsi
perché la parcella sia pagata in natura. Per esempio il paziente potrebbe acconsentire a fare un certo numero di ore come impiegato per
l’analista in cambio di un certo numero di ore di trattamento.
3) Competenza. Sia il terapeuta che il paziente devono essere competenti ad effettuare ciò che si sono accordati a fare nel contratto. Per
l’analista questo significa avere le specifiche capacità professionali necessarie per facilitare il paziente nel suo cambiamento desiderato. Il
paziente deve essere in grado di capire il contratto e avere le risorse fisiche e mentali per portarlo a termine.
4) Obiettivo legale. Gli obiettivi e le condizioni del contratto devono essere in conformità della legge.
Perché utilizzare i contratti?

L’accettazione dei contratti nella pratica dell’A.T. deriva dall’assunto filosofico che “ognuno è Ok”. Il terapeuta e il paziente si rapportano su
una base di parità. Condividono la responsabilità per il cambiamento che il cliente vuole effettuare.

Spetta al paziente e non al terapeuta decidere cosa vuole della propria vita. Compito del terapeuta è indicare tutto ciò che sembra
disfunzionale.
Entrambe le parti devono essere chiara circa la natura dello scambio desiderato e il contributo che daranno il conseguimento.

I contratti e il programma nascosto

In qualsiasi rapporto le parti possono scambiare messaggi ulteriori. Sia il terapeuta che il paziente probabilmente entreranno nel loro
rapporto di lavoro con un programma nascosto, oltreché con un programma a livello sociale. Una funzione importante del contratto è
rendere esplicito il programma nascosto. Mettendo alla luce i messaggi ulteriori una chiara stipulazione di contratto interrompe i giochi
psicologici e aiuta sia il paziente che il terapeuta a rimanere al di fuori del triangolo drammatico.

Il terapeuta entrerà nel rapporto portando le proprie definizioni di che tipi di cambiamento sono buoni per gli altri. Dato che le definizioni
nel suo sistema di riferimento potrebbero non essergli pienamente consapevoli, egli potrebbe non essere pienamente consapevole di stare
effettivamente emettendo delle ipotesi circa gli obiettivi adeguati che il suo paziente deve perseguire.

In questa situazione è probabile che il terapeuta possa entrare in un ruolo del triangolo drammatico. Potrebbe iniziare a “spingere” i clienti
in una particolare direzione, così giocando al Persecutore verso la Vittima del paziente.

Lavorare senza un contratto può significare che un terapeuta diventi uno stupratore.

Oppure il terapeuta può dirsi: “questo paziente ovviamente ha bisogno di fare tale e talatro cambiamento. Non lo ha ancora fatto. Pertanto
è in un bel guaio e non può farcela senza il mio aiuto”. Con questo entrando nel ruolo di Salvatore.

Anche il paziente ha un programma nascosto oltreché manifesto. Quando chiede al terapeuta di voler fare un cambiamento, ma ancora non
lo ha fatto, questo significa che autenticamente non sa come farlo, oppure che sappia come farlo, ma a livello nascosto si difende
dall’effettuarlo. In questo primo casi invierà al terapeuta dei messaggi ulteriori quali: “sono venuto per cambiare, ma sono impotente a
farlo”, oppure: “sono venuto per cambiare, ma tu non puoi costringermi a farlo”.

Una funzione del contratto è impedire questo. Nel negoziare chiari obiettivi e metodi di pagamento, terapeuta e paziente sono costretti a
confrontare i rispettivi sistemi di riferimento. Questo processo contribuisce a portare il programma nascosto alla consapevolezza
dell’Adulto, cosicché entrambe le parti
possono valutarlo a fronte della realtà.

Il contratto può dover essere rivisto e se necessario rinegoziato molte volte durante il processo di cambiamento.

Contratti e orientamento all’obiettivo

Uno degli scopi della stipulazione dei contratti è deviare l’attenzione del problema e incentrarla invece sull’obiettivo del cambiamento.
Quando essi si orientano in questo modo verso un obiettivo chiaro, automaticamente mobilitano le risorse personali di cui hanno bisogno
per ottenere questo scopo. Questo è il principio che sta dietro a tutti i sistemi di “visualizzazione creativa”.

All’opposto se il terapeuta e il paziente hanno indirizzato prevalentemente la loro attenzione al problema, avranno dovuto costituirsi
un’immagine mentale del problema stesso. Senza volerlo avranno effettuato una visione negativa dirigendo le loro risorse all’esame del
problema più che alla sua risoluzione.

Il contratto da ad entrambe le parti un modo di sapere quando il loro lavoro insieme è effettuato. Permette anche di valutare il progreso che
stanno facendo lungo il cammino.

Come stipulare un contratto efficace

Un obiettivo di contratto deve essere enunciato in termini positivi. Spesso la formulazione iniziale di un obiettivo conterrà elementi negativi.
Per esempio si può voler smettere di fumare o controllare il bere, perdere peso o non essere spaventati della figure autoritarie. Tali
“contratti per smettere” o “non contratti”non funzionano mai nel lungo termine. Questo è in parte dovuto al modo in cui l’obiettivo di
contratto funziona come visualizzazione. Non si può visualizzare di “non fare qualcosa” perché automaticamente ci facciamo un’immagine
mentale di qualsiasi cosa segua al “non”, o di qualsiasi altra cosa negativa.

C’è anche una buona ragione nella teoria dell’A.T. d ell’inefficacia dei “contratti per smettere”. Ricordate che ogni comportamento di
copione rappresenta la miglior strategia del Bambino per sopravvivere, ottenere carezze e vedere esauditi i suoi bisogni. Allora che avviene
se semplicemente si stipula un contratto “per smettere di fare” quel comportamento di copione?

Come minimo non si è data al proprio Bambino nessuna chiara direttiva di cosa si farà invece: si è semplicemente aggiunto un ulteriore
elemento all’infinito elenco dei “non fare” e “smetti di” che abbiamo ricevuto dai genitori quando eravamo piccoli.

Per arrivare a un contratto efficace dovete specificare la cosa positiva che darete al vostro Bambino con una chiara direttiva d’azione. Esso
deve fornire una nuova opzione di sopravvivenza e di esaurimento dei bisogni che sia perlomeno altrettanto valida della vecchia opzione di
copione.

Il contratto dev’essere un obiettivo raggiungibile data la vostra situazione e risorse attuali. In termini generali consideriamo raggiungibile
tutto ciò che è fisicamente possibile. Questa condizione implica che si può solo stipulare un contratto per un cambiamento che si vuole
fare in se stessi. Non è fisicamente possibile “costringere” nessun altro al cambiamento.

L’obiettivo dev’essere specifico e osservabile. Sia voi che gli altri devono essere in grado di dire chiaramente se avete raggiunto l’obiettivo.
Guardatevi dagli obiettivi ipergeneralizzati o comparativi. Spesso la gente parte con gli obiettivi globali del tipo “Voglio essere una persona
calda”o “Voglio avvicinarmi di più agli altri”. Stipulare un contratto come questo significherebbe mettersi in un lavoro senza fine, dato che
gli obiettivi enunciati non sono abbastanza specifici per permettere a qualcuno di sapere se sono stati raggiunti o no.

Il cambiamento a cui mirate dev’essere sicuro. Utilizzate la valutazione dell’Adulto e considerate sia la sicurezza fisica che l’adeguatezza
sociale.
L ’obiettivo del contratto deve essere fatto dall’Adulto con la cooperazione del Bambino Libero. In altre parole deve essere adeguato alla
vostra situazione e capacità di persona adulta e deve contribuire a soddisfare i vostri autentici bisogni del Bambino più che negarli. Un
contratto stipulato dal Bambino Adattato avrà quasi s empre l’effetto di portare ulteriormente avanti il vostro copione. I contratti del
Bambino Adattato vanno pertanto evitati.
In che modo il paziente e il terapeuta sanno quando il loro lavoro congiunto è terminato?

Berne ha suggerito che l’ideale è l ’autonomia. “ autonomia si conquista quando si liberano o si recuperano
tre capacità: consapevolezza, spontaneità e intimità”

1) Consapevolezza: E’ la capacità di vedere, sentire, provare la sensazione, il gusto e l’odore delle cose in quanto pure impressioni dei
sensi, nel modo in cui lo fa un neonato. La persona consapevole non interpreta né filtra l’esperienza del mondo per adeguarla a qualche
definizione del Genitore. E’ in contatto con le sue sensazioni corporee oltreché con gli stimoli esterni.
2) Spontaneità: è la capacità di scegliere da tutta una gamma di emozioni in termini di sensazioni, pensiero e comportamento. La persona
spontanea reagisce al mondo, in modo diretto, senza cancellare parti della realtà o reinterpretarle in modo che si adeguino alle definizioni
del Genitore. La spontaneità implica che la persona possa reagire liberamente a partire da uno qualsiasi dei suoi tre stati dell’Io. Può
pensare, sentire o comportarsi da persona adulta utilizzando il suo stato dell’Io Adulto. Se vuole può andare nel Bambino e ritornare in
contatto con la creatività, il potere intuitivo e l’intensità delle sensazioni che possedeva nella propria infanzia. Oppure può reagire da
Genitore riproponendo le emozioni e il comportamento che ha appresi dai genitori o figure genitoriali. Quale che sia lo stato dell’Io che
utilizza, sceglierà la sua risposta liberamente in modo che si adatti alla sua situazione attuale senza adeguarsi a comandi genitoriali
sorpassati.
3) Intimità: significa un’aperta condivisione di emozioni tra voi e un’altra persona. Le emozioni espresse sono autentiche, cosicchè
l’intimità esclude la possibilità di racketeering o di effettuare dei giochi. Quando una persona è in intimità è probabile che passi nel
Bambino libero, dopo essersi garantita un setting sicuro con la stipulazione di contratti dell’Adulto e la protezione del Genitore.

Liberarsi dal copione

Berne sottintese che l ’autonomia equivale alla libertà del copione. La maggior parte degli autori dell’A.T. dopo Berne ha anch’essa
equiparato queste due idee. Così possiamo suggerire una definizione dell’autonomia: u n comportamento, un pensiero o un’emozione che
è una risposta alla realtà qui-e-ora più che una risposta a convinzioni di copione.

Ma essere autonomo significa essere sempre nell’Adulto?

No, la persona spontanea può talvolta scegliere di rispondere al qui-e-ora, spostandosi negli stati dell’Io Bambino o Genitore.
Nell’autonomia questa scelta è essa stessa effettuata in modo libero in risposta alla situazione presente. All’opposto quando una persona è
nel copione cambierà stato dell’Io in risposta alle
proprie autolimitanti decisioni infantili circa il mondo, le sue convinzioni di copione.

Benchè l’autonomia non significhi essere sempre nell’Adulto, implica però di elaborare tutti i dati in entrata sul mondo attraverso lo stato
dell’Io Adulto, mantenendo poi la consapevolezza adulta nello scegliere da quale stato dell’Io rispondere. L’autonomia offre sempre più
opzioni del copione.

Problem- solving

Nei termini degli Schiff la persona autonoma si dà al problem-Solving invece che alla passività. Qui “probelm- Solving” non significa solo
pensare a come elaborare la soluzione di un problema, significa anche intraprendere un’azione effettiva per portare in essere la soluzione.
L’espressione di emozioni autentiche assolve anch’essa a una funzione di probelm-solving. Quando una persona sta risolvendo un
problema percepisce adeguatamente e reagisce alla realtà. Questo significa non svalutare, né ridefinire, e a sua volta significa che questa
persona è libera.

Per il lavoro di A.T. nei setting organizzativi, educativi o di altro tipo al di fuori della terapia, può essere particolarmente adeguato istituire
come obiettivo del cambiamento un’efficace capacità di problem-solving, invece dell’autonomia o della “libertà di copione”. In questi
setting la svalutazione e i problemi irrisolti possono spesso nascere perché le persone sono male informate piuttosto che perché sono nel
copione. Così il terapeuta deve centrare l’attenzione non sul lavoro sul copione ma sullo scambio d0informazini e dell’elaborazione di modi
efficaci perché le persone possano agire sulla base di quelle informazioni.

Concezioni di “guarigione”

Un’altra cosa che Berne aveva a cuore di sottolineare era la guarigione. Egli sottolineò più e più volte che il
compito del terapeuta di A.T. era “guarire” il paziente e non semplicemente “aiutarlo a fare progressi”.

Berne utilizza la metafora dei “ranocchi e dei principi” per sottolineare il suo concetto di guarigione. Dice che “guarire” significa togliersi la
pelle del ranocchio e riprendere lo sviluppo interrotto di principe o principessa, mentre “fare progressi” significa diventare un ranocchio
più a proprio agio. In un altro libro descrive la guarigione come un uscire dal copione e “metter su un nuovo spettacolo”.

Alcuni autori pensano che il modo migliore per definire la “guarigione” è nei termini d ell’espletamento del contratto”, piuttosto che porsi
un qualsiasi obiettivo globale di cambiamento, il terapeuta e il paziente lavorano insieme sino a che il paziente abbia portato a termine
tutti gli obiettivi di contratto, reciprocamente assunti, che desidera.

Più comune è la concezione che almeno nelle applicazioni terapeutiche la guarigione debba comportare un qualche movimento fuori dal
copione. Tale guarigione dal copione può essere comportamentale, affettiva o cognitiva o una combinazione di queste 3 cose. In altre
parole la persona che vuole uscire dal copione può farlo provando emozioni o pensando in modi nuovi.

Svariati autori suggeriscono una quarta dimensione al cambiamento del copione: la guarigione somatica. Questo significa che la persona che
esce dal copione cambierà i modi in cui utilizza ed esperisce il proprio corpo.

La guarigione: imparare progressivamente nuove scelte

Comunque definiate la “guarigione dal copione”, raramente essa è un evento che si verifica una volta per tutte. Molto più spesso comporta
l’imparare progressivamente a esercitare nuove scelte. Ogniqualvolta una persona effettua un cambiamento significativo nel proprio
copione, prova di solito un’ebbrezza naturale per poche settimane e mesi. Poi, dopo un po’, spesso ritorna ad usare il vecchio
comportamento. E’ come se una parte di essa volesse vedere se c’è ancora qualcosa di buono nel vecchio comportamento.
La terapia è un processo inteso ad aiutare la gente a ottenere in cambiamento personale.

Autoterapia

Analizzando gli schemi tipici del nostro comportamento, delle nostre emozioni, del nostro pensiero abbiamo già effettuato autoterapia.
Abbiamo individuato le sorpassate strategie del Bambino e ora ci rendiamo conto che non sono più le opzioni più efficaci per noi come
persona adulta, e abbiamo provato modi attivi di sostituirle con opzioni nuove e più valide.

Si tratta di un sistema attraverso il quale la persona può costruirsi un nuovo Genitore che invii nuovi messaggi positivi per superare i
messaggi negativi e restrittivi che possono essere stati trasmessi dai genitori effettivi. Esso impiega una combinazione di tecniche tra cui
questionari, formulazione di contratti, fantasia e visualizzazione, nonché assegnazione di compiti di cambiamento comportamentale.

In un certo senso tutta la terapia è autoterapia. L’A.T. riconosce che ognuno è responsabile del proprio comportamento, dei propri pensieri
ed emozioni. Proprio come nessuno può farvi sentire qualcosa, così nessuno può farvi cambiare. La sola persona che può cambiarvi siamo
noi stessi.

Perché la terapia?
Noi tutti abbiamo un qualche investimento nel cancellare alcuni aspetti della realtà che minaccerebbero il quadro del mondo che abbiamo
costruito nell’infanzia. Ogniqualvolta nell’età adulta entro nel copione svaluterò per difendere il mio quadro di riferimento. Se devo
risolvere dei problemi e cambiare efficacemente devo diventare consapevole degli aspetti della realtà che sinora ho svalutato.

Tuttavia è probabile che ci siano alcune parti del mio sistema di riferimento che nel Bambino considero particolarmente importanti per la
mia sopravvivenza. Sono quelle parti che difenderò con particolare energia.

Per cambiare in questi campi ho bisogno di un input da un’altra persona che non abbia le mie stesse aree grigie. Uno degli scopi del lavorare
col terapeuta, o di unirsi a un gruppo in terapia, è che questo mi fornisce una fonte di feedback che non è soggetta alle mie stesse aree
grigie.

Per effettuare il cambiamento può darsi che abbia bisogno di sostegno e protezione. Troverò più facile effettuare il cambiamento e ottenere
che sia permanente se ottengo carezze e incoraggiamento dagli altri. Tutti questi benefici posso ottenerli dal lavorare con un terapeuta o
un gruppo.

Chi può trarre vantaggio dalla terapia?

C’è un detto in A.T.: “ non occorre esser malato per stare meglio”. Nessuno è libero al cento per cento dal copione, per quanto fortunato
possa essere stato con i suoi genitori. La maggior parte di noi ha alcune aree della vita in cui ha creato a se stesso dei problemi entrando
nel copione, in questo caso possiamo trovare che val la pena spendere del tempo, del denaro e dell’impegno per andare in terapia a
risolvere questi temi legati al copione.

Le caratteristiche della terapia di A.T.

L’A.T. è stata creata da Berne quale metodo di terapia di gruppo e la maggior parte dei terapeuti di A.T.
preferisce ancora il trattamento di gruppo come setting d’elezione.

La pratica della terapia si fonda su un sistema di riferimento teorico coerente. Le basi principali di questa
teoria sono il m odello degli stati dell’Io e il concetto di copione di vita.
Il cambiamento personale è visto in termini di modello decisionale l’A.T. spiega il modo in cui ciascuno di noi decide nell’infanzia certi
schermi di copione, di comportamento e di emozione. Queste prime decisioni di copione possono essere cambiate.

Il trattamento dell’A.T. si base su un metodo contrattuale. Terapeuta e paziente si assumono la responsabilità congiunta di raggiungere degli
obiettivi da contratto. Questi obiettivi sono scelti per promuovere il movimento fuori dal copione e passare nell’autonomia.

Il rapporto terapeutico in A.T. si basa sull’assunto che ognuno è Ok. E’ promossa la comunicazione aperta. Il paziente è spronato a imparare
cos’è l’A.T. Se il terapeuta prende degli appunti, questi sono aperti all’ispezione del paziente. In tutti questi modi il paziente è portato ad
assumere una parte attiva e informata nel bilancio di trattamento.

L’A.T. è orientata al cambiamento più che semplicemente al raggiungimento della consapevolezza. Certamente l’A.T. pone l’accento sulla
comprensione della natura e le fonti dei problemi, ma questa comprensione è uno strumento da utilizzare nel processo attivo del
cambiamento. Il cambiamento in se stesso consiste nel prendere la decisione di agire diversamente e poi nel procedere a farlo.

Le tre scuole di A.T.

E’ abituale distinguere l’A.T. odierna in 3 scuole principali. In realtà per ottenere un accreditamento professionale il terapeuta deve
dimostrare la capacità di attingere liberamente dal pensiero e dalle tecniche di tutte e tre le scuole.

1) Scuola classica
Segue più da vicino l’approccio al trattamento elaborato nei primi giorni dell’A.T. da Berne e dai suoi collaboratori. I terapeutici classici
utilizzano tutta una gamma di modelli analitici per facilitare la comprensione dell’Adulto e allo stesso tempo agganciare le motivazioni del
Bambino. I mezzi potevano essere il triangolo drammatico, l’egogramma, il profilo delle carezze, le opzioni ecc.

Nell’approccio classico il primo passo per il paziente consiste nell’elaborare una comprensione di come abbia creato i problemi.
Successivamente egli stipula il contratto di effettuare dei cambiamenti comportamentali che segneranno dei movimenti al di fuori dei
vecchi schemi del copione in direzione dell’autonomia.

Il trattamento di gruppo è molto preferito dalla scuola classica. Il processo di gruppo è considerato d’importanza centrale. Il ruolo del
terapeuta è permettere al processo di gruppo di svilupparsi, poi di effettuare degli interventi che aiutino i membri del gruppo a divenire
consapevoli dei giochi, del rackeetering e di altri schemi da copione che hanno esibito nei loro rapporti con gli altri membri e con il
terapeuta.

Una funzione importante del terapeuta è fornire al paziente nuovi messaggi del Genitore. Pat Crossman ha
proposto “tre P” che il terapeuta deve fornire per farlo in modo efficace: permesso, protezione e potenza.

Nel dare permesso il terapeuta dà al paziente dei messaggi che contraddicono attivamente le ingiunzioni o le contro-ingiunzioni negative del
copione. Essi possono essere dati in forma verbale come per esempio: “E’ OK per te sentire quello che senti”, o “smetti di lavorare così
sodo”. I permessi possono essere anche modellati dal terapeuta.

Se accetta il permesso del terapeuta, il paziente nel Bambino deve percepire il terapeuta nel Genitore come più potente- dotato di maggiore
potenza- del genitore affettivo dal quale provennero i messaggi negativi originari. Il paziente deve anche vedere il terapeuta capace di
fornire protezione contro le conseguenze disastrose che teme possano derivare dal disobbedire ai comandi negativi dei propri genitori.

2) La scuola della terapia ridecisionale


Bob e Mary Goulding sono fondatori di un approccio terapeutico che combinava l a teoria dell’A.T con le regole della Gestalterapia
elaborate da Perls. Le prime decisioni sono prese da una posizione emotiva più che cognitiva. Pertanto per uscire dal copione la persona
deve rientrare in contatto con le emozioni del Bambino che provò all’epoca delle sue prime decisioni, risolvere esprimendo queste
emozioni e cambiare le sue prime decisioni in una nuova e più adeguata ridecisione. Questo può essere ottenuto attraverso la fantasia o il
lavoro sui sogni o attraverso il l avoro sulla “scena primaria” nel quale il paziente riporta alla luce una prima situazione traumatica e la
rivive.

Bob e Mary Goulding seguono Perl nel ritenere che quando una persona è bloccata in un problema, questo indica che 2 parti della sua
personalità spingono in direzione opposta e con forza uguale. Il risultato netto è che la persona utilizza molta energia, ma non va da
nessuna parte. Questa situazione è chiamata impasse.

I Goulding elaborarono la teoria di Perls dicendo che le impasse si verificano tra stati dell’Io diversi. In terapia la soluzione dell’impasse è di
solito elaborata utilizzando la tecnica gestaltica nota come “delle 2 sedie”. Il paziente immagina le parti conflittuali di se stesso in due
sedie, “diventa” ciascuna di esse a turno e svolge un dialogo con lo scopo di risolvere il conflitto. Durante questo processo possono risalire
in superficie emozioni soppresse del Bambino.

I seguaci della terapia ridecisionale sottolineano la responsabilità personale. Il contratto terapeutico non è visto come un accordo bilaterale
tra il paziente e terapeuta; è un impegno preso da paziente con se stesso, col terapeuta come testimone. Il terapeuta n on “dà permessi al
paziente”. E’ il paziente a prendersi il permesso di comportarsi e sentire in modi nuovi, col terapeuta che agisce da modello positivo. Allo
stesso modo la potenza è vista come una risorsa di cui il paziente già dispone, più che un qualcosa fornito dal terapeuta.

I terapeuti di questa scuola spesso lavorano in gruppo, ma non si incentrano sul processo di gruppo. La terapia avviene da una persona
all’altra, col resto del gruppo che agisce da testimone e che fornisce carezze positive per incoraggiare e rinforzare il cambiamento.

L’espressione delle emozioni è centrale, ma è anche importante per il paziente capire cosa avviene. Il lavoro sulle emozioni sarà seguito
immediatamente da un “esame Adulto”. Altrettanto importante è he il paziente stipuli un contratto di cambiamento comportamentale per
mettere in pratica e consolidare le sue nuove decisioni.

3) La scuola della Cathexis


Gli Schiff fondarono il Cathexis Istitute come centro per il trattamento dei pazienti psicotici. Utilizzarono un approccio che chiamarono
rigenitorializzazione. Esso si basa sulla premessa che la “pazzia” è il risultato di messaggi genitoriali distruttivi e incoerenti. Nel trattamento
il paziente è spinto a regredire alla prima infanzia. Così facendo egli de-energizza il suo stato dell’IO “Genitore pazzo”, vale a dire gli toglie
ogni energia. Gli è data la possibilità di ripercorrere la propria crescita, questa volta con il terapeuta che fornisce un input genitoriale
positivo e coerente. Questa seconda volta la crescita procede molto più rapidamente della prima. Anche così la rigenitorializzazione
significa che il “neonato” pienamente cresciuto dipenderà per un qualche tempo dai suoi nuovi “madre” e “padre”. Questo stile di
cambiamento dunque richiede un setting sicuro e un alto grado d’impegno da parte del terapeuta oltreché un supporto psichiatrico.

Il metodo degli Schiff si è anche dimostrato efficace nella terapia con pazienti non psicotici. L’accentuazione qui è sull’affrontare
coerentemente svalutazioni e ridefinizioni. Invece di essere passive le persone sono spinte a pensare e ad agire per risolvere i problemi.
L’intenso impegno terapeutico della rigenitorializzazione non è adeguato nel lavoro con pazienti psicotici. Tuttavia i terapeuti schiffiani
possono stipulare un contratto di genitorializzazione con questi pazienti. Il terapeuta s’impegna per contratto a essere sempre disponibile
per il paziente entro specifici limiti di tempo e a fungere da “Genitore sostitutivo” dando al paziente nuove e positive definizioni da
Genitore invece dei messaggi restrittivi che possono essere stati ricevuti dai genitori effettivi.

Nella terapia di gruppo se qualcuno assume un comportamento passivo o svalutativo, gli altri membri del gruppo devono affrontare questo
fatto immediatamente e richiedere un’attiva risoluzione del problema. Qui affrontare non significa essere Persecutore. La persona che
effettua questa operazione lo fa con la genuina motivazione di badare a se stessa e di aiutare l’altro. Per rendere quest’idea Schiff ha usato
il termine “confronto amorevole”.

Al di la delle tre scuole


Sin da quando creò l’A.T. Berne la considerò “una teoria dell’azione sociale” e un metodo di lavoro coi gruppi. L’A.T. può crescere l’efficacia
in quasi tutte le imprese umane nelle quali delle persone siano in interazione con altre persone. L’A.T. è utilizzata in una grande varietà di
setting educativi e organizzativi.

Differenze tra applicazioni educativo-organizzazionali e cliniche

La teoria fondamentale dell’A.T. è la stessa per il lavoro educativo e organizzazionale (EO) che per le
applicazioni cliniche.

Nel lavoro clinico il contratto è di solito bilaterale, perché è negoziato tra il terapeuta e il paziente. All’opposto i contratti nei setting EO sono
più volte trilaterali. I l contratto d’affari sarà negoziato tra il terapeuta e l’ente a favore di altri membri di questo ente.

Tutte le parti devono essere particolarmente attente a mantenere chiare e nette procedure contrattuali per evitare dei giochi a tre.

Nel lavoro con le EO il terapeuta funge da facilitatore, da addestratore e allenatore più che da terapeuta. Il più delle volte inviterà i membri
del gruppo ad affrontare ciò che sta avvenendo a livello sociale più che psicologico. Il lavoro nelle EO si rivolge al programma manifesto più
che a quello nascosto. Il terapeuta deve essere consapevole dei messaggi marziani, ma di solito non è adeguato che porti questi messaggi
direttamente alla consapevolezza dei clienti.

Nei setting EO il terapeuta di solito non può fornire quella protezione che è necessaria se si vuole portare a galla il livello nascosto.

Nel lavoro con le EO dunque il terapeuta si incentrerà il più delle volte su come la persona o il gruppo possono risolvere nel modo più
efficace dei problemi pensando e agendo nel presente piuttosto che esplorando quale problema del passato debba risolvere una persona.

Applicazioni organizzazionali

Roger BlaKeney propone il criterio d ell’efficacia come obiettivo nella terapia dell’A.T. nelle organizzazioni.

Egli sottolinea che le organizzazioni come le persone, possono avere schemi disfunzionali o inefficaci di comportamento analoghi ai
comportamenti di una persona. Il movimento di uscita da questo copione organizzazionale sarà segnato da un miglioramento nell’efficacia
dell’organizzaziono e nel raggiungere gli
scopi che si prefigge.

Stati dell’IO

Le organizzazioni non hanno di per sé g li stati dell’Io, ma hanno degli elementi che funzionano in modo analogo. Hanno convinzioni,
etichette e regole che corrispondono allo stato dell’Io Genitore, hanno strategie per il problem-solving che sono analoghe all’Adulto e
hanno schemi di comportamento e di emozione che sono paralleli allo stato dell’Io Bambino. L’analista delle organizzazioni può esaminare
la quantità di energia che l’organizzazione devolve a ciascuno di questi 3 elementi allo stesso modo in cui il terapeuta esamina la
distribuzione della carica negli stati dell’Io di una persona.

A livello più manifesto la comunicazione e l’interazione all’interno di un’organizzazione possono essere migliorate dalla conoscenza del
modello degli stati dell’Io.

Per accrescere l’efficacia, sia la direzione che i dipendenti possono intraprendere delle azioni volte a migliorare il loro impiego dell’Adulto.
Possono stipulare un chiaro contratto su quanto è adeguato che la dirigenza usi il Genitore positivo e i dipendenti siano nel Bambino
Adattato positivo, per esempio in situazioni in cui è in gioco la sicurezza.

Transazioni, carezze, strutturazioni del tempo


L’analisi delle transazioni è stata ampliamente applicata nell’addestramento del personale in diretto contatto
colo pubblico, per esempio addetti alla reception o impiegati alle prenotazioni.

L’analisi degli schemi delle carezze ha un’evidente applicazione all’aumento della motivazione al lavoro. I manager possono aver bisogno di
dare carezze positive per un lavoro ben fatto più che solo carezze negative per quelli mal fatti. Il principio di “carezze diverse per persone
diverse” vale anche qui.

Quando si esamina la strutturazione del tempo nelle riunioni si può talvolta scoprire che in questi incontri ci sono molti passatempi e poca
attività. Come i giochi essi sono probabilmente i responsabili della maggior parte delle perdite di tempo e di risorse umane
dell’organizzazione. Le persone spesso ricorrono ai giochi quando all’interno dell’organizzazione si sentono annoiate, non riconosciute o in
post di non sufficiente responsabilità. Cambiare gli schemi delle carezze e accrescere le opportunità di sfide positive può far meraviglie
nell’eliminare i giochi e aumentare la produttività. Le procedure della stipulazione dei contratti possono anch’esse aiutare a dirigere
l’energia dell’organizzazione a un’azione costruttiva più che al perseguimento di programmi nascosti.

Affrontare la passività

I concetti schiffiani si sono dimostrati molto utili nelle applicazioni alle organizzazioni. La matrice della svalutazione fornisce un mezzo
sistematico di probelm-solving, particolarmente utile in quelle situazioni in cui le informazioni e le istruzioni vengono trasmesse “lungo la
scala gerarchica” con la concomitante tendenza alla perdita o alla distorsione dei dettagli lungo il tragitto. Una consapevolezza delle
svalutazioni verbali e delle transazioni tangenziali e bloccanti può accrescere la comunicazione e migliorare l’efficacia delle riunioni.

L’A.T. nella scuola

L’autonomia implica chiarezza di pensiero ed efficacia nel risolvere i problemi. L’educatore mira ad aiutare i propri studenti a sviluppare
queste capacità. Pertanto l’autonomia è un obiettivo generale altrettanto importante nei setting educativi che nel lavoro clinico.

L’educatore di solito avrà modo di rapportarsi coi propri studenti su un periodo più lungo e in modo più personale di quanto sia possibile al
terapeuta di organizzazioni. E’ probabile che gli studenti possano “mettere il viso di qualcun altro” su quell’insegnante e che questi a sua
volta possa rispondere a queste riproposizioni del passato assumendo un ruolo Genitoriale. Può evitare di farlo acquisendo una
conoscenza della teoria del copione e imparando il contenuto del proprio copione.

Le teorie dell’A.T. possono guidare l’educatore ad affrontare efficacemente i giovani in svariate fasi dello
sviluppo.

Stati dell’Io

Il modello fondamentale degli stati dell’Io è comprensibile ai bambino sin dall’età adulta in cui cominciano ad andare a scuola. La
semplicità del linguaggio dell’A.T. aiuta in questo. Esaminando il contributo e le motivazioni di tutti e tre gli stati dell’Io. Gli studenti
diventano più capaci di imparare con una chiara consapevolezza delle proprie intenzioni e desideri. E’ particolarmente importante
rendersi conto che il Bambino Libero è la fonte della creatività e dell’energia nella personalità e va coinvolto nel processo di
apprendimento.

Lo stesso educatore deve avere libero accesso a tutti e 3 i propri stati dell’Io- Spesso avrà bisogno di porre dei netti limiti a partire dal
Genitore Normativo positivo o di prendersi cura degli altri dal Genitore Affettivo positivo. Può entrare nel proprio Bambino per modellare
la spontaneità intuitiva e la gioia dell’apprendere.

Transazioni, carezze, strutturazioni del tempo

L’analisi delle transazioni è utile nel mantenere la comunicazione tra gli insegnanti e gli studenti chiara, produttiva e libera da programmi
nascosti. L’impiego delle opzioni può aiutare sia gli insegnanti che gli studenti a uscire dalle interazioni “bloccate” Genitore- Bambino.

Individuare ed evitare il comportamento Spinta può essere di grande aiuto nel chiarire la comunicazione. C’è
una grande differenza tra imparare qualcosa e cercare di impararla.

L’attenzione agli schemi delle carezze e della strutturazione del tempo è importante nella scuola in modo molto simile che nel lavoro con le
organizzazioni. L’aula e la sala conferenze sono dei terreni di coltura di giochi e racketeering particolarmente fertili.

Una conoscenza dell’analisi dei giochi permette agli studenti e agli insegnanti di evitare questi scambi
improduttivi e di passare all’attività d’insegnamento o di apprendimento.

L’impiego della stipulazione dei contratti aiuta gli educatori e i discenti a raggiungere un chiaro e manifesto
accordo su cosa devono fare e sul modo migliore per ottenerlo.
Affrontare la passività

Nei setting educativi è probabile che ci si aspetti una simbiosi. Questa aspettativa può persino essere manifesta in alcune culture nelle quali
gli insegnanti sono tradizionalmente tenuti a impersonare il ruolo di Genitore e di Adulto mentre lo studente fa il Bambino.

Una conoscenza dei concetti schiffiani aiuta gli insegnanti e gli studenti a rimanere fuori della simbiosi e a fare pieno impiego di tutti e tre gli
stati dell’Io. Gli educatori possono imparare a riconoscere i 4 comportamenti passivi e ad affrontarli, invece di entrare nei giochi. Se il
setting istituzionale lo rende possibile si possono costruire dei gruppi e delle classi di esercitazione che forniscano un ambiente reattivo nel
quale insegnanti e studenti si assumano la reciproca responsabilità di promuovere chiarezza di pensiero e attiva risoluzione dei problemi.

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