L’approccio psicodinamico non è facilmente definibile perché è un termine generico che si applica
a una serie di strategie terapeutiche che si basano su una varietà di modelli teorici che, nonostante
le differenze, condividono molteplici fattori comuni.
La terapia psicodinamica si basa su alcuni assunti fondamentali come: la causalità psichico,
assunto secondo cui i problemi portati dai pazienti in terapia possono essere affrontati alla luce dei
pensieri e dei sentimenti che vi sono sottesi; i limiti della coscienza e l’influenza degli stati mentali
inconsci. L’individuo è spesso inconsapevole degli stati mentali inconsci e tale scelta è motivata dal
suo bisogno di sentirsi il più possibile al sicuro; le relazioni interpersonali, in particolare quelle di
attaccamento, hanno un ruolo centrale nell’organizzazione della personalità perché le
rappresentazioni mentali di queste intense esperienze relazionali si aggregano nel tempo
formando strutture mentali schematiche, che a loro volta modellano le aspettative interpersonali
e le rappresentazioni del Sé; la credenza che i desideri, gli affetti e le idee possono entrare in
conflitto tra loro e che i conflitti generano sofferenza psichica e possono minare il normale
sviluppo di capacità psicologiche fondamentali, riducendo la capacità della persona di gestire idee
incompatibili; l’attenzione posta alle difese psichiche, processi mentali che distorcono gli stati
mentali inconsci e riducono il loro potenziale di generare angoscia; i significati sono complessi e gli
stati mentali agiscono spesso al di fuori della consapevolezza della persona. Le teorie
psicodinamiche descrivono particolari costruzioni di esperienza che si ipotizzano alla base dei
problemi psicologici (per esempio, il senso di grandiosità e di autostima vulnerabile associati al
disturbo narcisistico di personalità). Inoltre i vari orientamenti psicodinamici individuano
molteplici significati "nascosti” nei medesimi comportamenti sintomatici; l’importanza della
relazione terapeutica; la validità della prospettiva evolutiva.
Questi assunti vengono accettati da tutte le teorie psicodinamiche, sebbene vi siano delle
differenze circa il modo di intenderle. Tutte le teorie si sono formate per colmare le lacune di una
particolare condizione descritta da altri modelli o per giustificare nuovi approcci teorici. Il grado di
accettazioni delle teorie è dipeso dalla loro utilità o adattabilità nella terapia pratica.
Per quanto tutte queste teorie si propongano di offrire modelli psicologici generali, la storia della
psicoanalisi invita alla cautela riguardo al rischio di accettarle come proposizioni definitive, poiché
è tipico dei modelli successivi evidenziare le lacune dei precedenti.
Qualunque teoria che pretenda di offrire descrizioni onnicomprensive non può essere accettata
come del tutto vera.
La prospettiva psicodinamica ha bisogno di molteplici teorie perché ognuna di esse coglie diverse
sfaccettature dell'approccio psicoterapeutico ai problemi umani. Un'attenta considerazione di
ciascuna di esse ci permette di acquisire una visione più completa della persona e del processo
clinico.
Sigmund Freud
È stato il primo a ricondurre il disturbo mentale alle esperienze infantili e alle vicissitudini del
processo evolutivo. Egli ha sostenuto di abbandonare la visione di innocenza idealizzata del
bambino in favore dell’immagine di una persona che lotta per controllare i suoi bisogni biologici e
per renderli accettabili ai genitori. Ogni comportamento va spiegato alla luce dell’incapacità
dell’apparato del bambino di affrontare in modo adeguato le pressioni che la sequenza di sviluppo
richiede. La psicopatologia, i sogni, i motti di spirito e i lapsus sono tutti considerati rivisitazioni di
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conflitti infantili irrisolti riguardo alla sessualità. Successivamente, Freud ha attribuito un peso
altrettanto determinante all'aggressività, intesa essenzialmente come un residuo non assimilabile
dello sviluppo normale e, quindi, come una possibile spiegazione del disturbo psicologico. Inoltre,
l’innovativo e solido modello strutturale della psiche proposto da Freud ha accordato un ruolo di
primo piano all’influenza dell'ambiente sociale nella teoria psicoanalitica.
A partire da Freud le teorie psicodinamiche si siano incentrate sui bambini e sulle esperienze
infantili: la psicopatologia è il risultato dello sviluppo ontogenetico - cioè la sequenza di stadi da
cui origina la nostra personalità - e i disturbi mentali sono spesso considerati residui disadattivi di
esperienze infantili o modi di funzionamento mentale "primitivi" da un punto di vista evolutivo.
Seguendo la tesi di Freud di un Sé costituito da una struttura tripartita che comprende Es, lo e
Super-io, si sviluppa la psicologia dell’Io la quale crede che all’origine di un disturbo ci sia
uno sviluppo deficitario dell’Io, cioè un fallimento dell’Io nel garantire un’interazione specifica fra
le istanze psichiche a livelli adeguati all’età. In sostanza l’Io regredisce e la regressione dell’Io è
all’origine della psicopatologia. Le nevrosi e le psicosi si sviluppano quando un impulso teso alla
gratificazione di una pulsione regredisce verso una precedente modalità di soddisfacimento
infantile. I sintomi rappresentano soluzioni di compromesso che riflettono ripetuti tentativi dell'Io
di ripristinare l'equilibrio fra istanze contrapposte costituite da realtà esterna, Super-io e
rappresentazioni pulsionali inaccettabili. La psicosi comporta una minaccia di completo
annientamento dell'lo. Un lo che riprende a funzionare a un livello caratteristico della prima
infanzia risulterà dominato da pensieri irrazionali, magici, e da impulsi che sfuggono al suo
controllo.
Tra le figure fondamentali nella storia della teoria strutturale vanno segnalati Heinz Hartmann, Erik
Erikson, René Spitz, Edith Jacobson, Jacob Arlow, Charles Brenner e Hans Loewald.
Hartmann
Ha introdotto il concetto fondamentale di cambiamento di funzione, secondo cui un
comportamento che origina in un certo punto dello sviluppo può in seguito assolvere una funzione
completamente diversa. Quindi, il persistere di un comportamento non dovrebbe essere
considerato una semplice ripetizione. Hartmann si discosta da Freud asserendo che l'Io evolve non
dall'Es, ma da una matrice indifferenziata dalla quale emergono anche Es e Super-io; l'lo resta
legato all'Es in un certo grado in quanto impiega energia pulsionale. Inoltre, egli concepisce lo
sviluppo come basato su un "ambiente mediamente prevedibile", in cui il genitore reale assume
un'importanza fondamentale.
Erikson
Elabora un modello di sviluppo esteso all'intero ciclo di vita. Ha descritto inoltre la sindrome della
diffusione dell’identità, vale a dire “l'assenza di continuità temporale dell'esperienza del Sé nei
contesti sociali”. Alla luce di questo concetto, Erikson ha ipotizzato che il principio organizzante del
Sé si basi non sull'eccitazione ma su relazioni e scambi interpersonali, ricondotti al problema dello
sviluppo di una fiducia di base in contrapposizione a un senso di sfiducia.
Spitz
Ha teorizzato una serie di trasformazioni nell'organizzazione psicologica, contraddistinte dalla
comparsa di nuovi comportamenti e nuove forme di espressione affettiva (gli organizzatori),
parallelamente alla riorganizzazione dei rapporti tra funzioni, che si legano in un'unità coesa. Egli è
stato inoltre fra i primi a riconoscere la fondamentale importanza dell’interazione fra madre e
bambino nell'accelerare lo sviluppo delle capacita innate di quest'ultimo.
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Edith Jacobson
Ha introdotto il concetto di stato di fusione primario fra le rappresentazioni del Sé e dell’oggetto,
a cui si devono le continue oscillazioni degli stati pulsionali primitivi fra il Sé e l’oggetto.
Loewald
Ha posto al centro dello sviluppo il concetto di esperienza integrativa. Il suo assunto
fondamentale è che l’attività mentale per natura relazionale (sia interattiva sia intersoggettiva).
Secondo Loewald, l'interiorizzazione (o apprendimento) rappresenta quindi il processo psicologico
fondamentale su cui si basa lo sviluppo. Egli ha inoltre spostato l'accento dalla struttura al
processo, proponendo una sottile revisione del modello strutturale classico fondata sui concetti di
interiorizzazione, comprensione e interpretazione.
Anna Freud
Elabora un modello evolutivo e sottolinea l'importanza dei metodi di osservazione; nella sua
visione dello sviluppo, il bambino scende a patti con conflitti prevedibili, deve cioè trovare un
compromesso fra diversi desideri, bisogni, percezioni, realtà fisiche e sociali, nonché relazioni
oggettuali.
La sua teoria si basa su quelle che definisce linee evolutive, una metafora che sottolinea la
continuità e il carattere cumulativo dello sviluppo infantile. Le linee principali proposte procedono
dalla dipendenza all'autonomia emotiva e alle relazioni adulte, dall'egocentrismo ai rapporti
sociali, dalla suzione al comportamento alimentare razionale, e dall'irresponsabilità alla
responsabilità nella cura del corpo. L’estensione dei legami di attaccamento dalle persone agli
oggetti, e il passaggio dall'irresponsabilità al senso di colpa. Per lei la psicopatologia deriva dalla
presenza di ampie discrepanze fra le linee o da notevoli ritardi rispetto al progresso normale lungo
una o più linee.
L'arresto o la regressione di una certa linea evolutiva può essere fonte di problemi.
Anna Freud ha inoltre disposto i disturbi narcisistici, delle relazioni oggettuali e del controllo sulle
tendenze aggressive e autodistruttive lungo uno spettro di deficit evolutivi.
Ella ha descritto anche lo sviluppo dei problemi di ansia nell'infanzia e ha proposto di distinguere
fra la paura di un certo aspetto del mondo esterno o angoscia obiettiva (per esempio, della
reazione dei genitori reali) e la paura del mondo interno (impulsi, desideri e sentimenti).
Margaret Mahler
Ha elaborato un vero e proprio modello dello sviluppo basato su osservazioni di bambini dai sei
mesi ai tre anni. Tale modello presenta il Sé e le relazioni oggettuali come elaborazioni delle
vicissitudini istintuali. Il suo interesse è rivolto, in particolare, al passaggio dall'unità di lo e non lo
alla separazione e individuazione finale. Il termine separazione, nel modello mahleriano, si
riferisce al distacco del bambino dalla fusione simbiotica con la madre, mentre l'individuazione
consiste in quelle conquiste che denotano l'assunzione da parte del bambino delle proprie
caratteristiche individuali.
Il modello evolutivo della Mahler prevede una fase di autismo normale nelle prime settimane di
vita, seguita da una fase simbiotica, dopo di che il processo di separazione-individuazione inizia
con la sottofase di differenziazione.
Dal nono al quindicesimo-diciottesimo mese di vita ha luogo la seconda sottofase di
individuazione (sperimentazione), seguita dalla sottofase di riavvicinamento (seconda metà del
secondo anno), durante la quale il bambino avverte il bisogno di stare con la madre. Infine, la
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quarta sottofase di separazione-individuazione consiste nel consolidamento dell’individualità, che
ha inizio con il terzo anno di vita.
La Mahler riteneva che i suoi studi consentissero ai clinici impegnati nel trattamento di soggetti
adulti ricostruzioni più accurate del periodo preverbale, rendendo quindi i pazienti più accessibili
agli interventi psicoterapeutici. Tuttavia, nonostante l’enorme influenza del modello mahleriano,
gli studi sistematici condotti sui bambini nelle prime fasi di vita hanno sollevato seri dubbi sui
concetti di autismo normale e di fusione Sé-oggetto. Ciò detto, resta comunque aperta la
possibilità che il modello evolutivo della Mahler si applichi al mondo psicologico del bambino: pur
essendo consapevole di se stesso e dell'oggetto come separati nella sfera fisica (corporea), egli
potrebbe presumere che gli stati psicologici si estendano oltre i confini fisici, come è sostenuto da
Fonagy. Analogamente, sebbene sia improbabile che vengano confermate le teorie mahleriane
sulla schizofrenia infantile basate sul concetto di fissazione evolutiva alla fase-simbiotica, i suoi
contributi più originali alla comprensione del disturbo borderline di personalità hanno avuto
un'influenza duratura. La sua visione di questi pazienti come fissati alla fase di riavvicinamento -
desiderosi di aggrapparsi all'altro ma timorosi di perdere il loro fragile senso del Sé, e desiderosi di
separarsi ma timorosi di allontanarsi dalla figura genitoriale - ha avuto importanti ricadute sul
piano teorico e clinico.
Joseph Sandler
Allievo di Anna Freud, ha avuto un ruolo influente nel rinnovamento della psicoanalisi, preparando
la sua integrazione con le scienze evolutive e promuovendo l'incontro fra psicologia dell'lo
americana e teoria delle relazioni oggettuali britannica. Sandler ha introdotto il modello del
mondo rappresentazionale, e ha anticipato la teoria degli schemi che da lì a poco avrebbe
dominato la psicologia sociale e cognitivo-comportamentale. Egli ha modificato profondamente la
teoria psicoanalitica della motivazione, sostituendo al concetto di energia psichica quello di stato
affettivo. Ha inoltre introdotto il concetto rivoluzionario di background di sicurezza, sostenendo
che lo scopo del'Io è quello di massimizzare la sicurezza più che evitare l'ansia. Le pulsioni sono
ancora presenti nel suo modello, ma la loro influenza si esplica non direttamente sul
comportamento, bensì attraverso il loro impatto sul mondo affettivo.
Per lui il paziente ricerca spesso la relazione con il terapeuta (e con chiunque altro) per realizzare
le proprie fantasie inconsce. In linea con questo principio, Sandler ha elaborato una nuova teoria
delle rappresentazioni oggettuali interne: ha differenziando le strutture ipotetiche più inconsce -
che per la psicoanalisi classica si sviluppano nelle prime fasi di vita e non hanno possibilità di
emergere direttamente nella coscienza – e che chiama inconscio passato – dall’inconscio
presente, simile all'inconscio freudiano (irrazionale, solo in parte soggetto al principio di realtà, ma
principalmente legato all'esperienza presente piuttosto che a quella passata; Il secondo sistema,
l'inconscio presente, adatta nel qui e ora i conflitti e le angosce attivati dal primo sistema, che
invece offre una rappresentazione più fedele del passato nel presente. Per Sandler è ravvisabile, in
ogni tipo di psicopatologia, una qualche forma di piacere legata all’esperienza di particolari stili di
funzionamento cognitivo e percettivo. Per esempio, l'ossessività, per quanto penosa possa essere,
nell'infanzia è legata anche al piacere.
Egli ha elaborato il concetto di identificazione proiettiva in maniera più sobria rispetto ad alcuni
esponenti della teoria kleiniana. Attraverso questo meccanismo, il paziente cerca di modificare e
controllare il comportamento dell'altro in modo che si conformi alla sua rappresentazione distorta,
fino al punto che l'altro può arrivare a mettere in atto le fantasie del paziente. La rappresentazione
dell'altro viene distorta dal meccanismo della proiezione, per cui, nell'esperienza del paziente,
l'altro ospita aspetti indesiderati della rappresentazione del Sé.
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La teoria delle relazioni oggettuali e il modello kleiniano-bioniano
La teoria delle relazioni oggettuali cerca di comprendere la psicopatologia in termini di
rappresentazioni mentali del Sé diadico e delle relazioni oggettuali, che sono radicate nelle
relazioni passate che da diadiche sono diventate triadiche e, in seguito, hanno incluso
rappresentazioni di svariate relazioni. Il crescente interesse per la relazione testimonia uno
spostamento di attenzione nella psicoanalisi dal conflitto intrapsichico a una prospettiva incentrata
sull'esperienza dello stare con gli altri, terapeuta incluso, durante il lavoro analitico.
La teoria delle relazioni oggettuali definisce l'Io in rapporto agli altri oggetti, sia interni che esterni;
viene quindi ipotizzato che la mente del bambino si formi inizialmente a partire dalle esperienze
precoci con la persona che si prende cura di lui, in una relazione che diventa sempre più complessa
con lo sviluppo. Queste prime relazioni oggettuali sono considerate all'origine di pattern che si
ripetono, e quindi si consolidano, nelle fasi di vita successive.
Una posizione di primo piano nelle teorie delle relazioni oggettuali è occupata dai contributi di
Melanie Klein e Wilfred Bion. La Klein affianca al modello strutturale un modello evolutivo basato
sulle relazioni oggettuali, soffermandosi più sulla vulnerabilità costituzionale che sul
comportamento del caregiver come determinante fondamentale del percorso evolutivo.
I contributi della Klein sulla posizione depressiva e schizoparanoide rappresentano il nucleo del
modello kleiniano-bioniano che, ispirandosi all'idea freudiana di un istinto autodistruttivo, postula
l'esistenza di due modalità di funzionamento mentale: la posizione schizoparanoide e la posizione
depressiva.
La posizione schizoparanoide è dominata dalla tendenza a separare tra oggetto buono
(idealizzato) e cattivo (persecutorio), mentre la posizione depressiva implica un riconoscimento
più maturo ed equilibrato della possibilità che gli aspetti positivi della persona possano coesistere
con quelli negativi, nonché del proprio ruolo nella distorsione irrealistica ed egocentrica del
mondo in componenti idealizzate e denigrate. La metafora kleiniana per questi due stati della
mente è costituita dalla rappresentazione della madre che, nella posizione schizoparanoide, è
scissa in una parte idealizzata e una persecutoria e, nella posizione depressiva, è invece percepita
come un'unica persona da cui originano le esperienze sia positive sia negative. Il riconoscimento
nella posizione depressiva - che l'oggetto buono (amato) e l'oggetto cattivo (odiato e temuto) sono
una sola cosa - suscita sensi di colpa e un'angoscia depressiva, mentre la posizione
schizoparanoide è caratterizzata da angosce persecutorie.
Un importante contributo del modello kleiniano-bioniano è rappresentato dal concetto di
identificazione proiettiva, secondo cui l'individuo proietta all'esterno parti dell'lo cercando di
mantenere il controllo su questi aspetti indesiderati, spesso mediante comportamenti
estremamente manipolativi nei confronti dell'oggetto (per esempio, facendo in modo che l'altro si
identifichi con le proiezioni). L'identificazione proiettiva, oltre che come meccanismo di difesa, può
essere considerata come un processo interpersonale in cui il Sé si disfa dei propri sentimenti
evocandoli nell'altro.
Le origini di questo processo vengono ravvisate nella prima infanzia. La Klein sosteneva che nei
bambini fossero presenti sin dalla nascita fantasie crudeli e sadiche non reattive a una frustrazione
ma legate alla capacità del genitore di mitigare l'influenza delle tendenze innate del bambino.
In sintesi, il modello psicopatologico kleiniano spiega il disturbo mentale alla luce delle due
posizioni descritte in precedenza. Una predominanza della posizione schizoparanoide è all'origine
del disturbo mentale, mentre una relativa stabilità della struttura depressiva è indice di salute
mentale. Negli stati psicotici, le angosce di persecuzione/annientamento sono intense al punto che
l'oggetto con il quale il paziente cerca di identificarsi proiettivamente viene reintroiettato (vale a
dire sperimentato come interno all'Io), generando la percezione delirante che la mente o il corpo
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siano sotto controllo esterno. I problemi nevrotici sono considerati conseguenze di un'angoscia
depressiva non risolta. Per esempio, la depressione insorge perché l'esperienza di perdita ricorda
alla persona il danno che sente di aver causato all'oggetto buono. La depressione diventa cronica
quando la persona non può sottrarsi alla paura di danneggiare l'oggetto amato e quindi deve
rimuovere tutta l'aggressività, generando un'incessante autopersecuzione.
La struttura caratteriale narcisistica è invece considerata una difesa contro l'invidia e la
dipendenza. Le relazioni del narcisista con gli altri sono profondamente distruttive, egli manipola
inesorabilmente gli altri dichiarando di non aver bisogno di loro.
Le concezioni della Klein hanno suscitato notevoli controversie e qualche malumore. È stata
criticata, in particolare, la sua tendenza ad attribuire capacità psicologiche mature a bambini molto
piccoli e la sua datazione della psicopatologia a età tanto precoci. Siccome l'osservazione degli
stati mentali nella prima infanzia è estremamente difficoltosa, è decisamente improbabile che si
riesca a confermare o meno l'esistenza di processi patogeni fondamentali in età precoce.
Fairbairn
Sosteneva che esiste una pulsione fondamentale a creare relazioni oggettuali e che un
insufficiente grado di intimità con l'oggetto primario può produrre una scissione del Sé, ed è
proprio a partire dalla persistenza di idee incompatibili e dall'assenza di integrazione che si
originano i disturbi psicologici.
È la mancanza di riconoscimento dell'amore tra madre e bambino, e non una forma di distruttività
primaria, che alimenta nel bambino la convinzione che il suo odio abbia distrutto la
madre/oggetto.
Inoltre, ritiene che il trauma precoce venga incapsulato in ricordi che sono "congelati" o dissociati
dall'Io centrale o Sé funzionale della persona, una concezione di particolare rilevanza nella
comprensione dei disturbi di personalità narcisistici e borderline. Alla base di ogni patologia egli
ipotizza una reazione schizoide al trauma di non essere riconosciuti o amati.
I disturbi di personalità gravi dipenderebbero dall'aver avuto una "madre sufficientemente buona"
che in seguito scompare. La personalità schizoide secondo lui deriverebbe dalla sensazione, da
parte del bambino, che l'amore per la madre la stia distruggendo e quindi debba essere inibito
insieme a ogni forma d'intimità.
Winnicott
Introduce il concetto di holding, ossia la capacità di contenere gli stati mentali del bambino, che è
fondamentale per l'intimità e l'integrazione. Esso è trasmesso mediante il rispecchiamento che
non può né dovrebbe essere perfetto, bensì svolgere la propria funzione in modo sufficientemente
adeguato e consentire un'attività riparativa.
Sostiene pure che il bambino "evoca la madre" mediante l'uso di un oggetto fisico (per esempio,
una coperta), che è noto come oggetto transizionale.
Il Sé emerge in seguito a interazioni non invadenti con la madre, che alimenta l'illusione di essere
un prodotto dei gesti creativi del bambino e quindi di essere sotto il suo controllo.
Qualora la madre non riesca a contenere il bambino, si sviluppa un Falso Sé (compiacente) che ha
la funzione di proteggere il vero Sé.
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Secondo Winnicott, le personalità borderline si organizzano intorno a difese simili a quelle
impiegate dai pazienti psicotici, in quanto sono prive di un senso degli altri e sono soggette a
intensi attacchi di rabbia ogni volta che il loro senso di onnipotenza viene minacciato.
Winnicot considerava le influenze ambientali come una determinante dello sviluppo normale o
patologico, ma potrebbe averne sovrastimato l'importanza. Per esempio, l'esclusiva
preoccupazione di Winnicott per la relazione madre-bambino non è confermata dalla ricerca
empirica, che ha evidenziato come diversi altri fattori, in particolare le influenze genetiche,
abbiano un ruolo nel modellare la personalità del bambino. Anche l'assunto di Winnicott, secondo
il quale la relazione fra madre e bambino sarebbe all'origine di tutti i disturbi mentali più gravi e
contraddetto dall'accumularsi di prove empiriche che dimostrano il contributo dei fattori genetici
nell'associazione osservata fra deprivazione ambientale e sviluppo di una psicopatologia. Il
maggior problema nel modello di Winnicott, tuttavia, riguarda il tentativo di ricondurre gli stati
mentali dell’adulto alle esperienze infantili, aspetto che condivide con la tradizione britannica delle
relazioni oggettuali. Lo sviluppo umano è troppo complesso perché possa esservi un'associazione
diretta fra le esperienze infantili e la psicopatologia adulta.
Studi longitudinali condotti a partire dalla prima infanzia evidenziano, infatti, che l'organizzazione
di personalità tende a modificarsi nel corso dello sviluppo, a seconda delle influenze positive o
negative.
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Molte ricerche confermano il ruolo centrale di un deficit dell'autostima nella genesi del disturbo
psichico. Gli psicologi del Sé hanno ricevuto conferme anche dall'identificazione dei cosiddetti
neuroni specchio nel cervello dei primati.
Il modello di Kohut è stato spesso criticato per la sua tendenza a colpevolizzare i genitori e, come il
modello di Winnicott, e discutibile per l'eccessiva importanza attribuita alle influenze ambientali,
soprattutto in considerazione del crescente numero di studi che evidenziano un'origine genetica di
alcuni tratti di personalità. Kohut è stato criticato non solo per la sua radicale revisione delle idee
psicoanalitiche, ma ancheper la sua tendenza a non riconoscere il lavoro di altri autori impegnati in
aree simili, come Winnicott e Loewald. Per tali ragioni, il modello della psicologia del Sé di Kohut è
stato in larga parte abbandonato.
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Il genio di Kernberg risiede nell'aver promosso l'incontro tra livello strutturale (o metapsicologico)
e fenomenologico. Per esempio, i segnali di idealizzazione, svalutazione o diniego (livello
fenomenologico in un paziente borderline esprimono anche il modo in cui le rappresentazioni
delle relazioni sono organizzate a livello intrapsichico (e quindi a livello strutturale), rivelando
l'assenza di meccanismi mentali più maturi. Inoltre, Kernberg si distacca dalla psicologia dell'Io
tradizionale rinunciando a interpretare il concetto di vulnerabilità dell'Io mediante spiegazioni
circolari. Per Kernberg, la vulnerabilità dell'Io esprime un processo di difesa attiva, che produce
organizzazioni scisse nell'Io che non possono reggere un contatto stretto con le rappresentazioni
dell'oggetto cattivo.
La teoria di Kernberg, non escludendo la presenza di fattori innati nello sviluppo, può adattarsi alla
recente scoperta di profonde influenze genetiche nel disturbo borderline di personalità.
L’approccio interpersonale-relazionale
Il cambiamento più radicale nella teoria psicoanalitica relazionale è rappresentato dalla più
recente diffusione della prospettiva interpersonale-relazionale, ispirata all’opera di Harry Sullivan.
Sullivan
Sosteneva che la psicoanalisi ignorava l’aspetto relativo alla relazionalità come caratteristica
fondamentale dell’umano e vedeva il conflitto mentale non come un prodotto dell’individuo ma
come una serie di segnali e valori contraddittori e conflittuali provenienti dall'ambiente. Per lui i
bisogni hanno un'origine interpersonale.
Sul piano terapeutico, nel tipo di terapia sostenuto da Sullivan il terapeuta è meno occupato a
impartire la conoscenza e più interessato a esplorare in modo attivo e partecipativo la natura e i
motivi alla base dei modelli di comportamento.
Il modello relazionale, il cui autore di primo piano è Mitchell, parte dall'assunto che la
soggettività sia interpersonale; la dimensione intersoggettiva prende il posto di quella intrapsichica
cara alla psicoanalisi. La mente umana è da lui rappresentata come una contraddizione in termini,
poiché la soggettività è invariabilmente radicata in una matrice intersoggettiva di legami
relazionali sulla quale s'innestano i significati personali anziché in pulsioni su base biologica.
Quindi, l’interno e l'esterno non sono due categorie discrete, ma sono anticipati e contenuti dal
campo dal campo interpersonale.
Tuttavia, il modello psicoanalitico relazionale non comprende una spiegazione specifica dello
sviluppo della relazionalità e a differenza della maggior parte delle altre teorie psicoanalitiche che
propongono una spiegazione delle sue origini e del suo sviluppo.
La teoria relazionale sostiene la tesi che, in assenza di un oggetto sensibile e ricettivo, il bambino
adempia precocemente a una funzione genitoriale mancante, ma è critica rispetto al modello
dell'arresto evolutivo. I teorici relazionali sostengono che, privilegiando le primissime fasi dello
sviluppo, rischiamo di sottovalutare gli attuali bisogni relazionali. La teoria relazionale, inoltre, si
colloca a metà strada tra Kohut e Kernberg nel riconoscere sia che il bambino ha bisogno
dell'illusione narcisistica di grandiosità (Kohut) sia che l’illusione narcisistica ha una funzione
difensiva (Kernberg).
Gli analisti relazionali, ispirandosi agli studi sulla prima infanzia soprattutto di Beebe e Lachmann,
hanno applicato il principio della regolazione diadica attesa alla situazione terapeutica. Terapeuta
e paziente presumibilmente creano uno stato diadico di coscienza attraverso la mutua regolazione
affettiva; ogni diade paziente-terapeuta è differente ma influenzerà gli scambi futuri di entrambe
le parti - tra di loro e con gli altri. La terapia promuove la reintegrazione e la riconfigurazione degli
stati di coscienza preesistenti nel paziente.
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Esistono convincenti prove evolutive che la psicopatologia sia legata a problemi relazionali e che la
presenza di relazioni interpersonali positive abbia un'influenza protettiva. Inoltre, l’approccio
interpersonale è quello che finora ha dimostrato meglio l'efficacia della psicoterapia
psicodinamica.
I terapeuti relazionali sono più interessati all’esperienza della relazione da parte del paziente che
alla comprensione in se stessa (rispetto ai terapeuti più orientato all’insight).
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livello di attivazione; (c) l'effortful control; (d) lo sviluppo della mentalizzazione o delle capacità di
lettura mentale vera e propria (indicata anche come funzione riflessiva). L'esperienza delle prime
relazioni di attaccamento aiuta il bambino a sviluppare questi processi che, in seguito, torneranno
utili in molti compiti fondamentali. L'assenza o la perturbazione di tale relazione può dar luogo a
configurazioni disadattive persistenti.
Il processo di valutazione
È un compito complesso valutare se un paziente è adatto a questa forma di psicoterapia.
Prima di tutto, per essere adatto alla terapia, il paziente deve essere curioso riguardo a se stesso;
motivato a comprendere i pattern inconsci che hanno generato tanta sofferenza nella sua vita;
essere disposto a collaborare con il terapeuta per arrivare a comprendere perché si fa del male o
ferisce persone che non vorrebbe ferire. Queste qualità sono spesso indicate con l’espressione
psychological mindedness. [CERCARE MEGLIO] Ossia, il paziente è in grado di rendersi conto delle
origini interne dei suoi problemi, anziché sentirsi semplicemente senza controllo.
Gli elementi di valutazione su cui si basa la psicoterapia psicodinamica sono i seguenti:
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-Diagnosi secondo il DSM-IV: tuttavia tale diagnosi non basta per stabilire se un paziente è adatto
alla terapia esplorativa;
- La capacità di collaborazione e di motivazione del paziente a collaborare attivamente con il
terapeuta nel perseguimento degli obiettivi;
-Meccanismi di difesa: servono a evitare che la persona diventi consapevole dei desideri sessuali o
aggressivi o dell’angoscia a essi connessa. Esse preservano l’autostima di fronte alla vergogna e
alla vulnerabilità narcisistica esternalizzando le minacce interne sugli altri. Le difese intervengono
anche nelle relazioni, rendendole più gestibili in quanto danno al paziente l’illusione di controllare
ciò che avviene nelle interazioni con le persone più importanti della sua vita.
La loro valutazione dà indicazioni al terapeuta psicodinamico su quanto sia prioritario il bisogno di
sostegno del paziente rispetto alla quantità di insight che è capace di sopportare;
-Capacità di mentalizzazione caratteristici: il terapeuta psicodinamico valuta la capacità del
paziente di comprendere che il proprio comportamento deriva da una serie di credenze,
sentimenti e punti di vinta che non coincidono necessariamente con quelli degli altri. La
mentalizzazione richiede la capacità di percepire cosa avviene nella mente dell’altro e di
rispondere di conseguenza. La capacità di essere sensibili a ciò che provano gli altri e di rendersi
conto che il proprio stato interno contribuisce al proprio comportamento è un elemento a favore
di un approccio più esplorativo o interpretativo nella conduzione della psicoterapia psicodinamica;
-Relazioni oggettuali: il terapeuta osserva il modo in cui i pattern relazionali che il paziente ha
acquisito nel corso della vita si ripresentano nella relazione con il terapeuta. Il trattamento
psicodinamico può incontrare più difficoltà con i pazienti che non hanno relazioni significative con
il mondo esterno. Anche i pazienti con relazioni molto caotiche possono rappresentare una sfida
per il terapeuta, che cerca di aiutare il paziente a riflettere sulle sue specifiche difficoltà nei
rapporti intimi, anziché limitarsi a reagire sul piano delle azioni;
-Punti di forza e di debolezza dell’Io: l'Io è l'organo esecutivo della psiche ed è implicato in
numerose funzioni di regolazione. Un individuo con un lo forte tende ad avere un buon controllo
degli impulsi e mostra la capacità di tollerare affetti come ansia, rabbia e dolore. Tra le altre risorse
dell'lo vi è la capacità di anticipare le conseguenze delle proprie azioni (capacità di giudizio) e di
portare avanti attività come la scuola o il lavoro di fronte agli ostacoli e alle avversità. I pazienti
con queste capacità dell'lo sono probabilmente capaci di tollerare la frustrazione e l'ansia legate
all'esplorazione degli abissi più oscuri della psiche, che sfuggono o combattono da tempo. Invece,
quelli con un Io debole, caratterizzato da impulsività, problemi nella capacità di giudizio e
nell'esame di realtà nonché scarsa capacità di tollerare gli stati affettivi, avranno minori
probabilità di resistere alle sollecitazioni della psicoterapia e possono anche abbandonarla dopo
poche sedute.
Conflitto intrapsichico e deficit evolutivi: Nella psicologia dell'Io classica, il conflitto intrapsichico
si ha quando una difesa si contrappone a un desiderio o a un impulso. L'Es può ricercare il piacere,
mentre il Super-io proibisce all'impulso di trovare gratificazione.
Nella teoria delle relazioni-oggettuali, il conflitto deriva dalla compresenza di disparati desideri o
impulsi legati a diverse rappresentazioni di se stessi e degli altri. Qualunque sia il modello cui ci
riferiamo, il conflitto interno è fonte di grande sofferenza e spesso rappresenta il motivo per cui ci
si rivolge alla terapia psicodinamica. Il conflitto è spesso inconscio e si manifesta attraverso un
sintomo, come per esempio un'inibizione nei rapporti lavorativi o sentimentali.
I deficit evolutivi possono dipendere invece da esperienze precoci di abuso, incuria o incapacità
genitoriale di rispondere empaticamente ai bisogni del bambino. La psicologia del Sé si basa sul
modello del deficit, ipotizzando, per esempio, l'assenza di risposte di rispecchiamento da parte dei
genitori o dei caregiver del bambino. Nei termini della teoria delle relazioni oggettuali di scuola
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britannica, la madre invade il Sé del bambino, per cui si crea un falso-Sé che ha la funzione di
proteggere il vero Sé (Winnicott, 1965). I pazienti con un livello di deficit maggiore possono
richiedere un maggior sostegno per tollerare l'insight, mentre quelli con problematiche più
orientate verso il conflitto intrapsichico possono rispondere più facilmente alle interpretazioni e
all'insight. Nella maggior parte dei casi vengono riportati livelli variabili di conflitto e di deficit
associati in modo unico e idiosincratico in base alla storia, alle vulnerabilità genetiche e alla
resilienza del paziente.
La formulazione biopsicosociale
La formulazione di ciò che si apprende del paziente all'inizio della psicoterapia psicodinamica
fornisce una mappa di partenza che può essere riscritta nelle tappe successive del viaggio. Tale
formulazione deve includere la conoscenza del contributo relativo della biologia, dei fattori
psicologici e delle influenze socioculturali. La terapia psicodinamica non può aver luogo in un
"vuoto" incentrato solo sull'intrapsichico e slegato da fattori come quelli genetici, le lesioni
cerebrali dovute a traumi, il background religioso e le particolari credenze culturali. La maggior
parte dei terapeuti redigeranno una breve formulazione o almeno si formeranno un'idea del
paziente all'inizio della terapia.
La formulazione biopsicosociale generalmente comprende tre aspetti principali: (1) una breve
descrizione del quadro clinico e delle tensioni che hanno portato il paziente al trattamento; (2) il
tentativo di integrare fattori biologici, intrapsichici e socioculturali in base al loro contributo
relativo ai problemi riportati; (3) una dichiarazione succinta sul trattamento e sulla prognosi in
base all'effetto combinato di tali fattori.
L’alleanza terapeutica
L'alleanza terapeutica rappresenta l’involucro nel quale si svolge la terapia psicodinamica. Per
accertarsi che la terapia abbia un buon outcome, un bravo terapeuta deve prestare attenzione
all'alleanza terapeutica fin dall’inizio del trattamento. La ricerca ha ripetutamente dimostrato che
il ruolo della relazione terapeutica è più importante di ogni tecnica specifica nel produrre un
outcome terapeutico favorevole.
Gli aspetti comunemente legati a una buona alleanza terapeutica sono i seguenti: il paziente
sviluppa un legame di attaccamento con il terapeuta; il paziente sente che il terapeuta è d'aiuto;
ed entrambi avvertono un senso di mutua collaborazione nel perseguimento di obiettivi
terapeutici comuni.
Pochi concetti della psicoterapia dinamica sono stati oggetto di studi rigorosi come l'alleanza
terapeutica. Numerose ricerche indicano che una solida alleanza terapeutica è positivamente
correlata al buon outcome del trattamento, che le valutazioni del paziente tendono a essere più
predittive di tale outcome rispetto a valutazioni compiute da altri, e che una precoce alleanza
terapeutica predice l'outcome in misura pari o maggiore alle rilevazioni successive.
Questi studi evidenziano che l'alleanza terapeutica si forma nelle prime fasi del trattamento, a
partire dalla prima seduta, e predice l'andamento successivo della terapia. Alcuni studi forniscono
indicazioni su cosa può fare il clinico nelle prime sedute per promuovere l'alleanza terapeutica.
Anzitutto, il terapeuta deve mostrarsi ricettivo nei confronti del paziente e trasmettergli fiducia,
calore e comprensione. L'alleanza terapeutica è promossa anche dall'esplorazione non giudicante
dell'andamento della seduta e di ciò che prova il paziente, come pure da un discorso che unisce
contenuti emotivi e cognitivi. Infine, può essere favorita dall'identificazione da parte del
terapeuta di nuovi temi clinici a livelli sempre più profondi di comprensione e insight.
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La strategia di base della psicoterapia dinamica, nelle fasi successive, consiste nel prestare
particolare attenzione alle rotture che si verificano nell'alleanza. Tali rotture sono in genere
definite come una sorta di interruzione o logorio del processo collaborativo fra terapeuta e
paziente, di ostacolo alla comunicazione fra i due o di deterioramento generale della qualità della
relazione. Le rotture possono comportare il ritiro del paziente dal dialogo terapeutico o una
risposta di irritazione o di accusa nei confronti della terapia o del terapeuta. È essenziale per il
terapeuta identificare queste rotture ed esplorarle a fondo, per evitare che il paziente interrompa
il trattamento senza aver elaborato le ragioni della rottura. I terapeuti che riescono a riconoscere il
loro contributo alle rotture, anziché attribuire la colpa al paziente, hanno maggiori probabilità di
riparare il danno all'alleanza. Le rotture dell'alleanza spesso aprono una finestra sulle
preoccupazioni inespresse circa la terapia, e rappresentano quindi una preziosa opportunità di
affrontare problematiche che possono avere un impatto negativo sul trattamento.
TERAPEUTA: Sembra che lei contrasti i suoi progressi-perché si preoccupa che sua madre possa
essere invidiosa e rivalersi su di lei.
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quasi sempre sbadiglia quando entra nello studio e mi saluta?". Le osservazioni spesso si
riferiscono a comunicazioni non verbali o agiti inconsci, che sono visibili al terapeuta, ma che il
paziente non riesce a notare.
Chiarificazione. Buona parte del lavoro del terapeuta consiste nel chiarire che cosa cerca
di esprimere il paziente. I pazienti possono essere vaghi o incerti su ciò che provano o pensano, e il
terapeuta spesso cerca di riassumere o riformulare le loro parole in modo da chiarirle a entrambi.
Incoraggiamento a elaborare. Nel mezzo del continuum è situato l'intervento noto come
incoraggiamento a elaborare. È teso a stimolare ulteriori commenti da parte del paziente. Il
principio delle libere associazioni, che deriva dalla psicoanalisi, si applica anche alla terapia
psicodinamica. I terapeuti fanno il possibile per incoraggiare i pazienti a riportare senza censure e
liberamente ciò che passa loro per la mente. Pertanto, un intervento frequente è: "Vorrei saperne
di più". A volte il terapeuta interrompe il paziente quando sente che non è stato detto tutto: "Sono
certo che la reazione emotiva non si limita a ciò che mi ha riportato finora. Potrebbe dirmi
qualcosa di più?". Generalmente, questo tipo di intervento prevede un finale aperto, ma può
anche essere diretto a qualcosa di specifico: "Vorrei sapere qualcosa in più del padre di sua madre.
Non ne abbiamo parlato molto".
Validazione empatica. Spesso i pazienti hanno avuto, nel corso della loro infanzia, genitori che
hanno invalidato o negato i loro vissuti interiori, e sono quindi stati costretti a portare una
maschera (ovvero, sviluppare un falso Sé) nel loro ambiente familiare. Il terapeuta può essere di
grande aiuto quando conferma al paziente che ha diritto di provare certi sentimenti e che la sua
risposta è giustificata da ciò che gli è accaduto. Questo genere di intervento può applicarsi anche
alla situazione qui e ora: "Ha tutte le ragioni per essere diffidente nei miei confronti, considerate le
sue esperienze passate con le figure che detengono una qualche autorità”.
Consigli ed elogi. Gli interventi più supportivi nella psicoterapia dinamica sono quelli che lodano
esplicitamente il paziente per specifici comportamenti o commenti, o consigliano una particolare
linea d'azione. I pazienti che attraversano un momento di crisi possono aver bisogno di consigli
specifici come: "Dovrebbe chiedere aiuto a un'associazione di difesa delle donne anziché rischiare
la vita restando con suo marito". Questo intervento si è reso necessario dopo che una paziente
che veniva regolarmente percossa dal marito si era vista puntare contro una pistola. Gli elogi
possono promuovere l'alleanza terapeutica e aiutare il paziente a sentire che sta partecipando in
modo efficace alla terapia. Un tipico commento di elogio è: "Penso che lei abbia avuto al riguardo
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un'intuizione molto importante alla quale non avevo pensato". L'elogio spesso consiste in
affermazioni in cui il terapeuta esprime stima al paziente.
Anche se la maggior parte dei commenti del terapeuta può essere categorizzata lungo il
continuum espressivo-supportivo descritto in questo capitolo, i terapeuti dovrebbero pensare al
tempo trascorso con il paziente come a una forma di dialogo caratterizzata da spontaneità e
sensibilità. I terapeuti che si limitano a seguire i principi tecnici come se fosse un requisito della
terapia potrebbero perdere il paziente, apparendo rigidi e organizzati. Un bravo terapeuta
psicodinamico dovrebbe avere un atteggiamento flessibile, e dovrebbe adattare il trattamento al
paziente, non il contrario. Il terapeuta deve sapersi spostare flessibilmente lungo gli interventi di
questo continuum in base ai bisogni del paziente e non applicarli rigidamente.
Il transfert
Esso può essere semplicemente definito come il trasferimento sul terapeuta di pensieri e
sentimenti associati a una figura del passato del paziente. Il transfert è spesso un fenomeno
inconscio, almeno inizialmente, e il paziente è sconcertato dal proprio comportamento, che reputa
insensato se riferito al terapeuta in quanto persona reale. Mentre la definizione
originaria assumeva che una sorta di "calco" originato nell'inconscio del paziente si sovrapponesse
alla persona del terapeuta senza particolari modifiche, oggi l'opinione prevalente è che il
comportamento reale del terapeuta influenzi sempre l'esperienza che il paziente fa di lui. Quindi,
il transfert riguardante il terapeuta si basa in parte su caratteristiche reali e in parte su figure
provenienti dal passato del paziente - una combinazione di vecchie e nuove relazioni.
Un errore dei terapeuti inesperti può essere quello di concentrarsi troppo presto sul transfert.
Come principio generale, si dovrebbe rimandare l'interpretazione del transfert finché non diventa
resistenza e raggiunge la consapevolezza del paziente. In altre parole, se tutto procede
ragionevolmente bene, non vi è ragione di interpretare il transfert. Se invece, per esempio, il
paziente manifesta sentimenti erotizzati o estremamente negativi, che possono ostacolare
l'andamento della terapia, allora può essere essenziale interpretarlo. Molti terapeuti considerano
il trattamento incentrato sul transfert come più esplorativo rispetto alla terapia orientata sulle
relazioni extratransferali. Nella terapia supportiva, l'interpretazione del transfert può essere
ridotta al minimo, per quanto implicitamente presente nel terapeuta per aiutarlo nella
comprensione del paziente.
I terapeuti psicodinamici ritengono che i pazienti ricreino le loro situazioni familiari in seduta, oltre
che nelle relazioni significative al di fuori della terapia. Uno strumento utile in questo caso è
l’inpretazione del transfert, un processo teso a spiegare al paziente che ciò che accade nella
relazione terapeutica è simile a che ciò accade al di fuori della terapia. Molti pazienti si sentono
mortificati e "colti sul fatto" quando il terapeuta interpreta questo tipo di ripetizione, per cui è
necessario ricorrere alle interpretazioni transferali con giudizio.
Il transfert si manifesta in molti modi. I sogni, per esempio, possono rivelare sentimenti nei
confronti del terapeuta che altrimenti non entrerebbero a far parte del processo. I pazienti
possono parlare di un altro medico o terapeuta in termini molto emotivi per proiettare altrove
sentimenti legati al transfert. Oppure, una paziente che nutre sentimenti erotici nei confronti del
terapeuta può lasciarsi coinvolgere in un rapporto erotico con qualcuno che glielo ricorda.
Nel corso della psicoterapia, possono attivarsi diverse tipologie di trarsfert. Nell'attuale dibattito in
ambito psicoanalitico e psicodinamico, il transfert non è riferito a una sola persona, ma esistono
transfert multipli legati ai genitori, ai fratelli e ad altre figure significative. Inoltre, alcuni
pazienti mostrano una resistenza nei confronti del transfert , che impedisce loro di lavorare nella
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relazione transferale o di diventare consapevoli dei propri sentimenti nei confronti del terapeuta;
in questi casi, il terapeuta dovrà limitarsi a interpretare il significato delle relazioni esterne alla
terapia fino a quando i pazienti non si sentiranno abbastanza a loro agio nel portare materiale
all'interno della relazione terapeutica. Altri pazienti possono ricavare beneficio dalla psicoterapia
senza che il transfert emerga mai in prime piano.
Pertanto, è necessario adattare a ogni particolare paziente la tipologia d'intervento e la quantità di
lavoro dedicata al transfert.
Il comtrotransfert
Il significato originario del termine controtransfert, nella descrizione di Freud, si riferisce al
transfert dell'analista nei confronti del paziente. In altre parole, il paziente può ricordare al
terapeuta qualcuno del suo passato, e quindi il terapeuta inizia a trattare il paziente come se fosse
quella persona.
Col tempo, questa concezione del controtransfert si è ampliata fino a includere la risposta emotiva
complessiva del terapeuta nei confronti del paziente. Oggi viene riconosciuto che il controtransfert
è creato congiuntamente e, oltre a riguardare le relazioni del passato del terapeuta, comprende i
sentimenti suscitati nel terapeuta dal comportamento del paziente. La parte di controtransfert
indotta dał paziente è generalmente indicata come identifcazione proiettiva. Questo processo
comprende due passaggi: (1) una rappresentazione del Sé o dell'oggetto interna al paziente viene
negata proiettivamente trasferendola inconsciamente su qualcun altro e; (2) chi proietta
esercita una pressione interna che spinge l'altro a sperimentare o a identificarsi inconsciamente
con quanto viene proiettato. Si potrebbe notare che il primo passaggio rappresenta una
particolare forma di transfert, mentre il secondo consiste in una reazione controtransferale. Nel
contesto psicoterapeutico, si verifica un terzo passaggio: (3) il contenitore della proiezione, il
terapeuta, accoglie e tollera lo stato affettivo e la proiezione della rappresentazione del Sé o
dell'oggetto associata a esso finché il paziente non sarà in grado di "riappropriarsi" di quanto è
stato proiettato. In tal senso, l'identificazione proiettiva può essere considerata non solo un
meccanismo di difesa intrapsichico, ma anche una forma di comunicazione interpersonale.
L'identificazione proiettiva spesso è avvertita come impellente. Il terapeuta può sentirsi come se
una forza aliena si stesse impadronendo di lui, obbligandolo ad agire (enactment) il ruolo imposto
dal paziente. Questa condizione, a ogni modo, può avere un'utilità terapeutica, in quanto il
terapeuta sta facendo esperienza di qualcosa che lo accomuna ad altre persone significative nella
vita del paziente.
Alcuni terapeuti possono utilizzare il controtransfert per interpretare qualcosa di importante per il
paziente. Per esempio, il terapeuta può dire: "Ho notato che mi sento un po' frustrato perché
continuo a farle domande per cercare di capire che cosa pensa o prova, ma lei mi dice assai poco.
È un po’ quello che succede spesso a lei con suo marito". Evidenziando il processo interpersonale,
il terapeuta può aiutare il paziente a riflettere sul suo ruolo attivo nel creare una situazione che
può essere spiacevole o problematica nei rapporti esterni alla terapia.
Il terapeuta può rivelare il proprio controtransfert per promuovere il progresso terapeutico del
paziente. Questo tipo di self-disclosure deve essere usato con giudizio, in quanto la rivelazione di
alcuni sentimenti controtransterali può avere effetti deleteri sul processo terapeutico.
Sentimenti controtransferali positivi possono essere presenti senza che il terapeuta ne sia a
conoscenza. Una considerazione positiva verso il paziente può essere confusa con un
atteggiamento premuroso che facilita la terapia.
Tuttavia, anche i sentimenti positivi possono complicare il controtransfert.
Il terapeuta può essere restio ad affrontare con il paziente il tema dell’aggressività e altri problemi
per non "agitare le acque" e attirarsi il risentimento del paziente. In modo simile, il bisogno di
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salvare il paziente può impedire a quest'ultimo di sviluppare la capacità di far leva sulle proprie
forze nella gestione dei problemi.
La resistenza
I pazienti inconsciamente si oppongono agli sforzi del terapeuta di promuovere l'insight e il
cambiamento terapeutico. Le resistenze mostrate nel corso della terapia sono espressione dei
meccanismi di difesa del paziente, che lo preservano da emozioni spiacevoli o dolorose.
La resistenza può esprimersi in forma verbale. Può consistere in un'ammissione cosciente di non
voler seguire la strada indicata dal terapeuta, ma può anche manifestarsi come la difficoltà ad
arrivare puntuali, o la preferenza per argomenti di discussione che appaiono irrilevanti ai fini
terapeutici. I terapeuti psicodinamici considerano le resistenze una preziosa fonte di informazioni
sul paziente, spesso in rapporto a un oggetto interno che rappresenta una figura profondamente
significativa nel passato del paziente, trasferita nella relazione presente con il terapeuta.
Al riguardo, molte resistenze rappresentano resistenze transferali. Il paziente può opporsi agli
sforzi del terapeuta a causa di pensieri o sentimenti inconsci nei suoi confronti, basati su figure del
proprio passato. Il paziente può sentirsi deriso per le sue rivelazioni o criticato per le sue
debolezze. Un bravo terapeuta psicodinamico non affronta direttamente la resistenza cercando di
"sradicarla dal paziente, ma si sforza di comprenderne le ragioni, incoraggiando il paziente a
riflettere su cosa lo rende tanto oppositivo e perché.
Quando il paziente riporta di non sapere cosa dire o non riesce a rivelare certi aspetti di sé, il
terapeuta generalmente non affronta direttamente ciò che viene nascosto, ma cerca di analizzare
la resistenza prima del contenuto. Anziché invitare il paziente a parlare di ciò che non riesce a
esprimere può chiedere: "Ha qualche idea su che cosa la preoccupa al punto da impedirle di
parlarmi di questo?", eventualmente aggiungendo: "Come immagina che potrei reagire se mi
rivelasse il suo segreto?"
Un'altra forma di resistenza si ha quando gli acting out si sostituiscono alle parole. I pazienti spesso
manifestano ripetutamente nelle azioni ciò che non riescono a ricordare; compito del terapeuta è
studiare attentamente i loro agiti non verbali per comprenderne il significato.
La psicologia del Sé ha una concezione più positiva delle resistenze, che assumono un significato di
difese del Sè. I terapeuti di quest’orientamento ritengono che occorra comprendere e rispettare il
bisogno del paziente di difendersi anziché metterlo in discussione. La maggior parte dei terapeutici
generalmente condivide questa posizione, visto che, affrontando direttamente le resistenze,
raramente si riesce a risolverle.
La maggior parte delle difese sono radicate nel carattere, per cui molti pazienti manifestano
resistenze caratteriali. Per esempio, un paziente con disturbo ossessivo-compulsivo di personalità,
caratterizzato da difese quali l'isolamento dell'affetto, la formazione reattiva e
l'intellettualizzazione, contrasterà la terapia intellettualizzando e riportando il contrario di quel
che sente. L'elaborazione delle resistenze radicate nella personalità è al centro della psicoterapia
psicodinamica, in quanto l'analisi sistematica di tali resistenze può aprire una finestra sui pattern
relazionali caratteristici e le angosce sottostanti che attivano le difese.
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è quello di promuovere il senso di agency del paziente, consentendogli di sentirsi protagonista
della propria vita. L'elaborazione consiste in buona parte nell'analisi sistematica delle fantasie
consce e inconsce riportate dal paziente, e dei temi ricorrenti nei suoi sogni.
Alcune strategie possono contribuire a promuovere un processo di elaborazione efficace:
- L'esplorazione del tema relazionale conflittuale centrale (Core Conflictual Relationship Theme,
CCRT nella formulazione di Luborsky), può contribuire a migliorare le capacità di auto-
osservazione e conoscenza di sé del paziente. Il CCRT consiste in una fantasia relazionale
ricorrente, che comprende un desiderio del paziente, una risposta immaginaria o reale da parte di
un altro significativo, e la corrispondente risposta del Sé. La risposta del Sé include non solo
comportamenti e azioni, ma anche sentimenti e stati del Sé che non possono essere espressi. Il
terapeuta ricava il CCRT dall'ascolto delle narrazioni del paziente su avvenimenti esterni alla
terapia. Spesso il CCRT è rivelato dall'esplorazione dettagliata delle aspettative e delle delusioni del
paziente;
- Un'altra strategia utile consiste nel prestare attenzione agli stati affetivi del paziente e fare
interventi che facilitino l'espressione emotiva;
- Un'altra tecnica consiste nel formulare un'interpretazione sotto forma di chiarificazione, in
modo da amplificare lo stato affettivo del paziente;
- Un'ulteriore strategia consiste nel promuovere la mentalizzazione aiutando i pazienti a vedere le
situazioni da altri punti di vista. Goldberg sottolinea la necessità di spostarsi, durante il processo di
elaborazione, da una prospettiva in prima persona a una in terza persona. È necessario che il
terapeuta confermi l'esperienza vissuta in prima persona dal paziente cercando allo stesso tempo
di aiutarlo a guardare alla propria esperienza dall'esterno, secondo una prospettiva in terza
persona. Con tatto e prudenza il terapeuta può riformulare dal proprio punto di vista le esperienze
del paziente, in modo che egli inizi gradualmente a riconoscere punti di vista alternativi.
Il terapeuta può promuovere la mentalizzazione richiamando l'attenzione sullo stato mentale del
paziente, anche quando questi non è consapevole della natura di tale stato. Se, per esempio, il
paziente stringe i pugni, il terapeuta può osservare che sembra arrabbiato, spiegando in che
modo la rabbia può influenzare il suo modo di percepire. Oppure, dopo un comportamento
impulsivo, il terapeuta può chiedere al paziente che cosa ha scatenato quel comportamento. Per
migliorare la capacità di mentalizzazione del paziente, infine, un'altra tecnica utile consiste
nell'aiutarlo a ‘focalizzarsi sulla mente del terapeuta.
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Molti pazienti ritornano periodicamente per qualche seduta o per un prolungamento della terapia,
in base alle nuove difficoltà che si presentano nelle loro vite. Altri-pazienti restano tali per tutta la
vita" e incontrano il terapeuta ogni sei mesi circa per mantenere stabili i loro progressi. Nel follow-
up del Menninger Psychotherapy Research Project, Wallerstein (1986) ha osservato che alcuni
pazienti compivano progressi a condizione che non venisse loro prospettata la conclusione del
trattamento. Il continuo legame con il terapeuta mostrava di avere un effetto positivo che andava
oltre il bisogno di dipendenza del paziente.
Le modalità di conclusione della terapia sono molteplici e spesso inaspettate:
- Mutuo accordo fra terapeuta e paziente rispetto al raggiungimento degli obiettivi;
- Conclusione programmata in anticipo dopo un certo numero di sedute;
- Conclusione obbliga dovuta al fatto che o il terapeuta o il paziente si trasferiscono o chi paga per
il paziente interrompe il pagamento;
- Conclusione decisa unilateralmente in seguito al fatto che il terapeuta o il paziente ritengono
inutile continuare il trattamento;
- Fallimento del tentativo di porre fine alla terapia, che porta a uno stato di “paziente a vita”;
- Definizione di un termine come strategia terapeutica;
Ma soprattutto, le modalità di conclusione vanno adattate ai singoli casi.
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separazioni, con relazioni oggettuali da insufficienti ad adeguate e che presentano disturbi più
gravi; il focus è sul rapporto fra presente e passato.
Elementi strutturali
Ogni forma di BPP condivide i seguenti elementi strutturali:
-Coinvolgimento: Rapida formazione di un'alleanza terapeutica e traduzione dei problemi riportati
in obiettivi fondamentali.
-Discrepanza: Sviluppo di nuove capacità, conoscenze ed esperienze nel paziente, che mettano in
discussione gli schemi del passato e facilitino una nuova consapevolezza e condotta.
-Consolidamento: Sperimentazione dei nuovi schemi in vari contesti, accompagnata da feedback,
per consentire la loro interiorizzazione e prevenire ricadute.
-Il modello pulsionale-strutturale. La BPP è stata formalmente introdotta negli anni Sessanta, nelle
diverse versioni proposte da autori come Davanloo, Malan e Sifneos, tutte ispirate al modello
putsionale-strutturale freudiano. I pazienti con disturbi dell'adattamento e forme meno gravi di
disturbo d'ansia, depressivo o di personalità, sono considerati possibili candidati a questo tipo di
terapia.
Malan e Sifneos escludono i pazienti con disturbi più gravi, mentre Davanloo include una gamma
più ampia di pazienti. Malan ha aggiunto altri criteri di esclusione, tra i quali (a) difficoltà a formare
un'alleanza dovuta a gravi problematiche depressive o transfert deficitari, (b) difese molto rigide,
(c) scarsa motivazione e (d) problemi caratteriali complessi e profondamente radicati. Secondo
Malan, l'obiettivo della terapia consiste nel risolvere un solo conflitto (o comunque un numero
limitato di conflitti). Tale conflitto, in genere, riguarda sentimenti o impulsi inaccettabili verso una
persona che ha un ruolo significativo nella vita del paziente; sentimenti che generano angoscia,
dalla quale il paziente si difende mobilitando una serie di meccanismi.
L'approccio di Malan identifica due tradizionali triangoli psicoanalitici di insight - il triangolo dei
conflitti e il triangolo delle persone - che aiutano a comprendere il problema e orientano il
trattamento. L'obiettivo principale è quello di stabilire una connessione fra i pattern evidenziati
nel triangolo dei conflitti (che comprende ansia, difese e impulsi o sentimenti) e una persona
individuata nel triangolo delle persone (che comprende il terapeuta, una persona appartenente al
passato del paziente e una con cui è attualmente in relazione), fino a quando tutte e tre le persone
non sono collegate. Il terapeuta si sposta da un triangolo all'altro offrendo chiarimenti sui pattern
relazionali più significativi. Malan è attento all’intero fronte del conflitto e, mediante accurate
interpretazioni, "smonta" le difese finché il conflitto non è elaborato.
Nella sua psicoterapia breve ansia-provocante (Short-Term Anxiety-Provoking Psychotherapy,
STAPP) Sifnees (1992, 2004) sottolinea l'importanza di presentare al paziente il problema
fondamentale su cui si focalizza l'intervento psicodinamico, che in genere riguarda conflitti edipici
o problematiche legate alla separazione e alla perdita. Adottando una tecnica di confrontazione
ansia-provocante, Sifneos affronta gli impulsi, i sentimenti, le difese e le resistenze del paziente,
con particolare attenzione al transfert. Nonostante lo stile di confronto diretto, Sifneos è attento
all'alleanza terapeutica e cerca di fornire al paziente un'esperienza emotiva correttiva. Quando
il paziente dimostra di aver compreso chiaramente le proprie difficoltà e manifesta segnali di
cambiamento nel comportamento, la terapia si avvia verso la conclusione.
Davanloo, da parte sua, stabilisce se il paziente è adatto alla terapia in una "terapia di prova" (trial
therapy) iniziale, che dura una o più ore, in cui cerca di "sbloccare l'inconscio" del paziente.
Sviluppa rapidamente un'alleanza terapeutica positiva e sistematica con il paziente contro il suo
disturbo, in modo da rendere quest'ultimo egodistonico. Si concentra quindi sul problema
principale adottando uno stile di confronto diretto, che mette sistematicamente in discussione le
difese del paziente e porta rapidamente alla luce ogni resistenza. Anche Davanloo utilizza i
triangoli psicoanalitici di insight e analizza direttamente il transfert ma, diversamente da altri
autori, non si attiene rigidamente alla regola di lavorare su un triangolo prima di passare all'altro.
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Egli elabora il triangolo delle persone spostandosi dal transfert alle relazioni presenti e passate.
Sottolinea l'importanza di fornire sostegno ed empatia nonostante lo stile di confronto diretto,
ritenendo in tal modo di favorire l'apertura del paziente, che consente di riportare alla coscienza
ed elaborare sentimenti e conflitti inconfessati. Una salda alleanza terapeutica è essenziale
quando si adotta la tecnica di confrontazione, e non tutti i pazienti sono in grado di reggere questo
particolare approccio. I criteri di inclusione di Davanloo consentono di selezionare pazienti con
disturbi più gravi e una patologia caratteriale più marcata rispetto ad altre forme di terapia breve.
Per favorire l'attivazione dell'inconscio, Davanloo pratica la "terapia a blocchi" (block therapy), che
consiste in sedute di cinque/sette ore al giorno, in blocchi di tre giorni consecutivi. Questi blocchi
si ripetono a uno/tre mesi di distanza.
L'approccio pulsionale-strutturale alla BPP si focalizza dunque sui conflitti fondamentali descritti in
origine da Freud, a partire dai quali Davanloo, Malan e Sineos hanno elaborato diverse forme di
terapia breve.
Il modello relazionale
Tra gli autori che hanno sviluppato forme di terapia psicodinamica breve ispirate al modello
relazionale vanno citati Strupp, Binder e Luborsky.
Strupp e colleghi (1997) hanno proposto un modello interpersonale incentrato sui modelli
disadattivi ciclici (CMP) considerati come comportamenti disfunzionali che si ripetono nel paziente
e che inducono comportamenti altrettanto negativi negli altri. Il modo in cui tali modelli si
manifestano nel transfert rappresenta il focus del trattamento, che sottolinea l'importanza del qui
e ora e delle dinamiche interpersonali emerse nella seduta.
La psicoterapia dinamica a tempo definito (Time-Limited Dynamic Psychotherapy, TLDP) è stata
ideata da Strupp e Binder (1984) e ulteriormente elaborata da Levenson (1995). Come in altre
forme di psicoterapia relazionale breve, viene attribuita minore importanza all'interpretazione e
all'insight, a vantaggio di quanto si può apprendere dall’ “esperienza" maturata nel corso della
seduta. La relazione terapeutica è considerata essenziale alla risoluzione dei modelli interattivi
disfunzionali, e il transfert è visto come il modo in cui il paziente percepisce il terapeuta in base
alle esperienze reali che ha vissuto in passato. In modo simile, il controtransfert è concepito come
la risposta naturale del terapeuta al processo interpersonale messo in moto dal paziente. Secondo
la TLDP, alcune esperienze del passato generano modelli relazionali disadattivi, che sono rinforzati
nel presente dal coinvolgimento del paziente in interazioni altrettanto disadattive. Questi modelli
vengono riattivati nella relazione terapeutica. La terapia quindi, cerca di aiutare il paziente a
elaborare queste dinamiche insieme al terapeuta, in modo che ciò che è stato appreso possa
essere trasferito alle relazioni nel mondo esterno. A tale scopo, il terapeuta si propone di offrire
una nuova esperienza relazionale al paziente. In presenza di diversi modelli relazionali disadattivi,
è importante concentrarsi su quello che crea maggiori difficoltà.
L'approccio relazionale più studiato resta tuttavia quello del tema relazionale conflittuale centrale
(CCRT) di Luborsky. In questo modello, Luborsky si propone di operazionalizzare il transfert,
dimostrando che i problemi interpersonali possono essere considerati in base a tre componenti:
desiderio, risposta degli altri e risposta del Sé.
Queste componenti rappresentano il nucleo conflittuale interpersonale nel mondo reale del
paziente e nella relazione transferale, sul quale si focalizza il trattamento. Luborsky e Mark (1991)
hanno identificato una serie di tecniche fondamentali adattate al metodo del CCRT, che possono
essere divise in tecniche supportive ed espressive. Le tecniche supportive promuovono lo sviluppo
di un'alleanza terapeutica positiva e includono la trasmissione al paziente di un senso di
accettazione, speranza, incoraggiamento, rispetto e calore umano. Le tecniche espressive si
soffermano invece sull'ascolto dei pattern relazionali, sulla successiva formulazione ed esposizione
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del CCRT al paziente come aspetto centrale del trattamento, e sulla spiegazione del legame fra
CCRT e i problemi da lui riportati.
Le tecniche utilizzate in seduta accordano particolare rilievo al presente, alle relazioni attuali,
inclusa la relazione terapeutica, e al processo interpersonale che ha luogo fra paziente e terapeuta
come strumento per comprendere le difficoltà relazionali presenti e passate del paziente. Anche
se l'interpretazione del transfert è importante, si ritiene che il terapeuta debba offrire un'
“esperienza emotiva correttiva" al paziente, che gli permetta di sentirsi al sicuro e di esplorare i
problemi che lo mettono in difficoltà. In confronto al modello pulsionale-strutturale, il modello
relazionale accorda minore rilievo all'insight e all'interpretazione e confrontazione di pulsioni e
difese.
È anche evidente il diverso atteggiamento terapeutico del clinico, che è molto più partecipativo. Le
narrazioni del paziente sulle sue relazioni passate e presenti sono accettate per come appaiono,
anziché essere interpretate alla luce delle fantasie edipiche.
Il modello integrato
Mann ha ideato un modello integrato di psicoterapia dinamica breve che include concetti sia del
modello pulsionale-strutturale sia di quello relazionale. Adottando una prospettiva evolutiva, egli
considera il processo di separazione-individuazione come il tema principale della terapia breve. Il
suo modello identifica quattro conflitti universali incentrati sulla gestione della perdita: 1)
dipendenza vs indipendenza, (2) attività vs passività, (3) sviluppo vs perdita dell'autostima, e (4)
lutto differito vs irrisolto. Dopo aver individuato il problema bersaglio, Mann presta particolare
attenzione ai bisogni legati all'autostima del paziente e all'alleanza terapeutica. Egli cerca di
placare l'ansia del paziente (invece di provocarla affrontando le sue difese e resistenze),
analogamente al modello relazionale e diversamente da quello pulsionale-conflittuale. Possono
accedere a questo tipo di terapia i pazienti che riportano una delle seguenti problematiche:
- disturbi dell'adattamento;
-ansia reattiva;
-strutture caratteriali disadattate di tipo isterico, depressivo o ossessivo
-pattern relazionali insoddisfacenti;
-problemi nelle relazioni interpersonali;
-problemi lavorativi;
-problemi nelle transizioni che si presentano nel corso della vita.
Il paziente dovrebbe avere un lo sufficientemente forte, essere in grado di partecipare alla
relazione terapeutica e riuscire a sopportare le perdite.
Il terapeuta che segue l'approccio integrato di Mann è molto attivo, particolarmente nelle prime
sedute, visto che la terapia dura solo dodici sedute.
Nelle prime sedute egli fa leva sulle proprie capacità di ascolto e di conferma empatica per creare
un ambiente terapeutico supportivo che faciliti un atteggiamento di apertura nel paziente. Nelle
fasi successive della terapia, il terapeuta affronta la delusione suscitata nel paziente dalla breve
durata del trattamento e dall'impossibilità di rispondere a tutti i suoi problemi. Il terapeuta si
confronta garbatamente con il paziente e offre chiarimenti e interpretazioni sui temi principali. In
prossimità della conclusione, viene posta crescente attenzione alle problematiche legate alla
separazione, e vengono fornite interpretazioni di transfert riferite al presente e al passato. Mann
accorda quindi al terapeuta funzioni di oggetto-Sé tese a rinforzare l'autostima e il senso di
controllo sul tema conflittuale.
Conclusioni
25
Lo sviluppo della psicoterapia dinamica breve ha seguito un percorso simile a quello della terapia
psicodinamica a lungo termine, caratterizzato da modelli pulsionali-strutturali ispirati alla
psicoanalisi classica, modelli relazionali derivati dalla teoria delle relazioni oggettuali di scuola
britannica e modelli integrati riconducibili alle teorie psicodinamiche più recenti. Sebbene questi
approcci presentino sfumature diverse, essi hanno in comune: (a) l'attenzione per la relazione
terapeutica, (b) il ruolo attivo del terapeuta, (c) la definizione di un problema definito ma
circoscritto, (d) criteri restrittivi di inclusione dei pazienti, e (e) un limite alla durata della
terapia e/o al numero di sedute.
Le recenti rassegne degli studi randomizzati controllati dimostrano l'utilità della psicoterapia
dinamica breve in un ampio numero di disturbi mentali, con progressi mantenuti fino a quattro
anni. È necessario approfondire se la BPP possa essere utilizzata in modo sinergico e integrato con
queste terapie e/o con il trattamento farmacologico per ottenere risultati più incisivi.
Depressione maggiore. I dati riportati dagli studi sull’efficacia della psicoterapia psicodinamica
a breve termine hanno riscontrato che essa è efficacia nella riduzione dei sintomi depressivi; i
risultati si sono dimostrati stabili anche negli studi di follow-up.
Maina e colleghi (2005) hanno condotto uno studio controllato randomizzato su un numero
limitato di soggetti, esaminando l'efficacia della psicoterapia psicodinamica breve (STPP) e della
terapia supportiva breve nel trattamento delle forme di depressione minore (disturbo distimico,
disturbo depressivo non altrimenti specificato, o disturbo dell'adattamento con umore depresso).
Al termine della terapia, entrambi i trattamenti hanno dato risultati maggiori rispetto alla
condizione rappresentata dalla lista di attesa.
Al follow-up condotto a distanza di sei mesi, la psicoterapia psicodinamica breve è risultata
superiore alla terapia supportiva breve.
Lutto patologico. In due RCT condotti da McCallum e Piper (1990) e Piper e colleghi (2001) è
stata studiata la terapia di gruppo psicodinamica a breve termine applicata al trattamento dei
postumi o delle complicanze del lutto. Nel primo studio, la terapia di gruppo psicodinamica a breve
termine ha dato risultati significativamente maggiori rispetto alla condizione rappresentata
dalla lista d'attesa (McCallum, Piper, 1990). Nel secondo studio, è stata evidenziata un'interazione
significativa fra la qualità delle relazioni oggettuali dei pazienti e il successo delle diverse forme di
terapia nel favorire la remissione di diversi tipi di sintomi. Per quanto riguarda i sintomi legati al
lutto, i pazienti con relazioni oggettuali di buon livello hanno ottenuto maggiori progressi con la
terapia interpretativa, mentre quelli con relazioni oggettuali deficitarie hanno ricavato maggiori
benefici dalla terapia supportiva. Rispetto ai sintomi generali, la terapia interpretativa è stata
significativamente più efficace, sul piano clinico, di quella supportiva (Piper et al., 2001).
Disturbi d’ansia. Per quanto riguarda il disturbo di panico la STPP è più efficace del rilassamento
applicato.
In quanto alla fobia sociale, il trattamento psicodinamico di gruppo a breve termine è risultato
superiore, per quanto riguarda la fobia sociale, all'impiego, come controllo, di un placebo
credibile. La LTPP si è dimostrata altrettanto efficace della CBT nel trattamento della fobia sociale
generalizzata (Bögels et al., 2003). In uno studio controllato randomizzato sul disturbo d'ansia
generalizzato, la STPP e la terapia supportiva sono risultate ugualmente efficaci in rapporto a
misure continue del livello d'ansia, mentre la STPP è risultata significativamente superiore in
termini di tassi di remissione sintomatica.
STPP e CBT si sono dimostrate ugualmente efficaci riguardo alla principale misura di outcome;
tuttavia, in alcune misure di outcome secondarie, la CBT è apparsa superiore.
28
Il quinto RCT sulla psicoterapia psicodinamica dei disturbi d'ansia è uno studio sul disturbo post-
traumatico da stress. Brom e colleghi (1989) hanno confrontato gli effetti di STPP,
terapia comportamentale (desensibilizzazione) e ipnoterapia su pazienti con PTSD.
Tutti questi trattamenti si sono dimostrati ugualmente efficaci e hanno dato risultati maggiori
rispetto alla condizione di assenza di trattamento rappresentata da un gruppo di controllo in lista
d'attesa. I risultati della STPP non solo si sono mantenuti stabili, ma sono persino migliorati nel
follow-up a distanza di tre mesi.
Disturbi alimentari
Bulimia nervosa. Miglioramenti significativi e stabili al riguardo sono stati registrati da Fairburn e
colleghi (1986, 1995) e Garner e colleghi (1993). Rispetto alle principali misure specifiche del
disturbo (episodi bulimici, vomito autoindotto), la STPP e risultata efficace quanto la CBT (Fairburn
et al., 1986, 1995; Garner et al., 1993). Per altri specifici indici psicopatologici, la CBT è risultata
superiore alla STPP (Fairburn et al., 1986). Tuttavia, in un follow-up dello studio di Fairburn
e colleghi del 1986, condotto a distanza di diversi anni, entrambe le forme di terapia si sono
dimostrate ugualmente efficaci e in parte superiori a una forma di terapia comportamentale
(Fairburn et al., 1995).
Sono pertanto necessari ulteriori studi a lungo termine per valutare l'efficacia della STPP nel
trattamento della bulimia nervosa. In un altro RCT, la STPP è risultata significativamente superiore
sia al trattamento di routine (counseling nutrizionale) sia alla terapia cognitiva ( Bachar et al.,
1999), in riferimento sia a pazienti con bulimia nervosa sia a un campione con forme miste di
bulimia e anoressia nervosa.
29
I cambiamenti nel peso e nell'indice di massa corporea sono stati significativamente maggiori
rispetto a un gruppo di controllo (pazienti sottoposti a trattamento di routine). Dare e colleghi
(2001) hanno confrontato psicoterapia psicodinamica (durata media di 24.9 sedute), terapia
cognitivo-analitica, terapia familiare e trattamento di routine nel trattamento di pazienti con
anoressia nervosa.
La psicoterapia psicodinamica ha prodotto miglioramenti significativi nella sintomatologia e,
insieme alla terapia familiare, significativamente maggiori rispetto al trattamento di routine in
rapporto all'aumento di peso. I progressi sono stati tuttavia modesti (diversi pazienti erano ancora
sottopeso al follow-up). Il trattamento dell'anoressia nervosa resta quindi estremamente
difficoltoso e necessita di modelli terapeutici più efficaci.
Disturbi correlati a sostanze. Woody e colleghi (1983, 1990) hanno studiato gli effetti della STPP e
della CBT associate a una forma specifica di counseling rivolta ai tossicodipendenti (drug
counseling), in confronto al ricorso esclusivo al counseling, nel trattamento della dipendenza da
oppiacei. La STPP associata al counseling ha prodotto miglioramenti significativi nelle misure
relative ai sintomi correlati all'abuso di sostanze e nei sintomi psichiatrici in generale.
Nel follow-up a sette mesi, la STPP e la CBI sono risultate ugualmente efficaci, ed entrambe
superiori al solo counseling. Anche in un altro RCT (Woody et al., 1995), una psicoterapia
psicodinamica di ventisei sedute associata al counseling si è dimostrata superiore al solo
counseling nel trattamento della dipendenza da oppiacei. La maggior parte dei progressi promossi
dalla terapia psicodinamica si sono mantenuti stabili anche nel follow-up a distanza di sei mesi.
Nell'RCT condotto da Crits-Christoph e colleghi (1999, 2001), una psicoterapia psicodinamica
individuale di durata inferiore a trentasei sedute è stata associata a ventiquattro sedute di
counseling di gruppo nel trattamento della dipendenza da cocaina. Il trattamento combinato ha
prodotto miglioramenti significativi ed è risultato altrettanto efficace della CBT associata al
counseling di gruppo. Tuttavia, né la CBT associata al counseling di gruppo né la psicoterapia
psicodinamica associata al counseling di gruppo si sono dimostrati più efficaci del solo counseling
di gruppo. Inoltre, il counseling individuale è risultato significativamente superiore a entrambe le
forme di terapia in rapporto alle misure relative all'abuso di droghe. Per quanto riguarda, invece,
le variabili di outcome psicologiche e sociali, tutti i trattamenti sono risultati ugualmente efficaci
(Crits-Christoph et al., 1999, 2001).
L'RCT condotto da Sandahl e colleghi (1998) ha posto a confronto STPP e CBT nel trattamento
dell'alcolismo: la STPP ha ottenuto progressi significativi nelle misure relative all'alcolismo, che si
sono mantenuti stabili nel follow-up a quindici mesi. La STPP è risultata significativamente
superiore alla CBT in rapporto al numero di giorni di astinenza e al miglioramento dei sintomi
psichiatrici generali.
Disturbi di personalità
Disturbo borderline di personalità. Nell'RCT condotto da Munroe-Blum e Marziali (1995), la STPP
ha ottenuto progressi significativi nelle misure relative ai sintomi associati al disturbo borderline, ai
sintomi psichiatrici in generale e alla depressione, ed è risultata altrettanto efficace della terapia
interpersonale di gruppo. Bateman e Fonagy (1999, 2001) hanno condotto uno studio sul
trattamento psicoanalitico, in regime di parziale ricovero ospedaliero, di pazienti con disturbo
borderline di personalità. A differenza del gruppo di controllo, il gruppo sottoposto al trattamento
seguiva una psicoterapia individuale e di gruppo. Il trattamento durava come massimo diciotto
mesi e consisteva in una LTPP definita dai criteri riportati nella presente rassegna. La psicoterapia
psicodinamica a lungo termine (LTPP) si è dimostrata significativamente superiore al trattamento
psichiatrico di routine, sia al termine della terapia sia al follow-up a diciotto mesi . Giesen-Bloo e
30
colleghi (2006) hanno confrontato la variante di LTPP basata sul modello di Kernberg (psicoterapia
centrata sul transfert, Transference-Focused Psychotherapy, TFP; Clarkin et al., 1999b) con la
terapia focalizzata sugli schemi (Schema-Focused Therapy, SFT), una forma di CBT. Il trattamento
durava tre anni e prevedeva due sedute alla settimana. Gli autori hanno riportato miglioramenti
significativi dal punto di vista statistico e clinico in entrambi i trattamenti. La terapia focalizzata
sugli schemi è risultata tuttavia superiore alla psicoterapia centrata sul trasfert in diverse misure di
outcome. Inoltre, alla TFP si associava un rischio di dropout significativamente maggiore. Questo
studio, tuttavia, presenta seri limiti metodologici. Le scale relative al grado di
"competenza” richiesto al terapeuta prevedevano un punteggio di cut-off identico (pari a 60) per
entrambi i trattamenti. Secondo i dati pubblicati dagli autori (GilIsen-Bloo et al., 2006), il livello
medio di competenza per applicare il metodo della SFT era pari a 85.7, mentre per la psicoterapia
centrata sul trasfert era riportato un valore pari a 65.6. Mentre il livello di competenza previsto
per la terapia focalizzata sugli schemi era di molto superiore al cut-off, il livello di competenza
richiesto per la psicoterapia centrata sul trasfert lo era solo di poco; vi era pertanto un'evidente
disparità nei criteri di selezione dei terapeuti nei due trattamenti, per cui i risultati dello studio
sono opinabili, il diverso grado di competenza, infatti, non è stato preso in considerazione dagli
autori nell'analisi e nella discussione dei risultati. Questo studio solleva quindi seri dubbi su un
possibile effetto di allegiance dei ricercatori (Luborsky et al., 1999).
Un altro RCT (Clarkin et al.,2007; Levy et al., 2006) ha confrontato psicoterapia psicodinamica
(TFP), terapia dialettico-comportamentale (Dialectical Behaviour Therapy, DBT) e psicoterapia
supportiva psicodinamica (Supportive Psychotherapy, SPT). Tutte e tre le terapie hanno prodotto
un significativo miglioramento, per quanto la TFP hanno mostrato di avere conseguito risultati non
dimostrati dalla terapia dialettico-comportamentale o dalla psicoterapia supportiva psicodinamica.
I partecipanti che seguivano una TFP avevano maggiori probabilità di migliorare la qualità del
proprio attaccamento, passando da una classificazione di "attaccamento insicuro" a una di
“attaccamento sicuro". Hanno mostrato inoltre progressi significativamente maggiori nella
capacità di mentalizzazione e nella coerenza narrativa in confronto agli altri due gruppi. La
psicoterapia psicodinamica è risultata associata a un significativo miglioramento in dieci su dodici
variabili relative a sei aree sintomatiche; le variabili soggette a miglioramento nella SPT e nella DBT
sono state, invece, rispettivamente sei e cinque. Solo la TFP ha prodotto cambiamenti significativi
nel livello di impulsività, irritabilità e aggressività verbale e fisica.
Le tendenze suicide si sono ridotte in ugual misura con la TEP e con la DBT.
Una meta-analisi sugli effetti della psicoterapia psicodinamica e della CBT sui disturbi di
personalità ha evidenziato maggiori effect size associati alla prima non solo riguardo ai sintomi in
comorbilità, ma anche al disturbo di personalità principale (Leichsenring, Leibing, 2003). Ciò
valeva tanto per i disturbi di personalità in generale, quanto per il disturbo borderline di
personalità in particolare.
33
Le ricerche future avranno il compito di individuare le forme di psicoterapia psicodinamica e le
tipologie di disturbo mentale per le quali sono valide le associazioni riguardanti i meccanismi di
cambiamento.
La questione se i "diversi" modelli di psicoterapia psicodinamica differiscano empiricamente è
aperta a ulteriori ricerche. Per rispondere a questa domanda è necessario condurre studi empirici
che analizzino sedute terapeutiche reali, correlando variabili di processo e outcome. Attraverso
questo tipo di ricerca e possibile identificare su basi empiriche i processi di cambiamento.
Conclusione
34
Sono attualmente disponibili trentuno RCT a dimostrazione dell'efficacia della psicoterapia
psicodinamica nel trattamento di diversi disturbi mentali. In questi studi, la psicoterapia
psicodinamica è risultata (a) più efficace rispetto al placebo, alla terapia supportiva o al
trattamento di routine, o (b) altrettanto efficace della CBT. Questi risultati sono in linea con le
meta-analisi più recenti sulla psicoterapia psicodinamica, in cui questa risulta superiore al
trattamento di routine o all’assenza di trattamento (gruppi di controllo in lista d'attesa) e
ugualmente efficace in confronto ad altre psicoterapie. E sempre in base a tali risultati, può essere
dimostrato che non esistono differenze nell'efficacia della psicoterapia psicodinamica in confronto
alla sola CBT. Non sono infatti emerse differenze significative fra psicoterapia psicodinamica e
CBT in merito a problemi bersaglio, sintomi psichiatrici in generale e adattamento sociale, sia alla
fine del trattamento sia al follow-up. In questa meta-analisi, la psicoterapia psicodinamica ha
ottenuto elevati effect size riguardo a problemi bersaglio, problemi psichiatrici in generale e
adattamento sociale. Questi effetti sono risultati stabili al follow-up e, in alcuni casi, il
miglioramento si è incrementato.
D'altra parte, è importante ricordare che per alcuni disturbi mentali non è stato condotto alcun
RCT sulla psicoterapia psicodinamica, per esempio per i disturbi dissociativi e alcune forme
specifiche di disturbo di personalità (per esempio, narcisistico).
Riguardo ai pazienti con PTSD, benché un RCT abbia indicato l’efficacia della STPP, occorrono
ulteriori studi in quest’area. Per quanto riguarda infine il trattamento di bambini e adolescenti,
esistono attualmente solo pochi studi randomizzati controllati a riprova dell’efficacia di
specifiche terapie psicodinamiche nel trattamento di particolari disturbi mentali, per cui è
necessario condurre al più presto ulteriori ricerche in proposito.
Diversi studi di efficacia clinica riportati in questo capitolo hanno dimostrato che la LTPP può
produrre ampi effect size pre-post e dare risultati maggiori rispetto alla condizione di trattamento
assente o ridotto e a terapie più brevi. Questi studi sono stati condotti su pazienti con
diverse diagnosi in comorbilità, per cui occorreranno ulteriori studi per esaminare l'efficacia
sperimentale e clinica della LTPP nel trattamento di diversi disturbi mentali presenti
contemporaneamente.
I risultati di questa rassegna indicano la necessità di ulteriori ricerche sull'efficacia della
psicoterapia psicodinamica nel trattamento di specifici disturbi mentali, che dovrebbero includere
non solo variabili di outcome ma indagare anche i meccanismi attivi di cambiamento mobilitati
dalla psicoterapia psicodinamica per ciascun disturbo. Dovrebbero, al riguardo, essere impiegate
misure specificamente adattate alla psicoterapia psicodinamica. In molti degli studi descritti in
questo capitolo, la psicoterapia psicodinamica e la CBT sono risultate ugualmente efficaci.
Pertanto, le ricerche future dovranno indagare i fattori specifici e comuni che caratterizzano la
psicoterapia psicodinamica, la CBT e altre forme di psicoterapia (per esempio, la terapia
interpersonale). Dovranno inoltre accertare se alcuni progressi vengano ottenuti solo attraverso la
psicoterapia psicodinamica, cioè se un trattamento che persegue obiettivi ambiziosi abbia un
"valore aggiunto". Inoltre, dovranno essere condotti studi di efficacia clinica per determinare in
che misura i vari metodi terapeutici che si sono dimostrati efficaci nelle condizioni sperimentali
dell’ RCT lo siano anche nella realtà clinica.
35
Capitolo 5: La psicoterapia psicodinamica associata ai farmaci
Nella seconda metà del xx secolo, molti clinici di orientamento pscoanalitico sostenevano che i
farmaci soffocassero in qualche modo conflitti e stati d'animo importanti, rendendo la psicoanalisi
e la psicoterapia meno efficaci. Un'altra preoccupazione era che l'impiego di farmaci avrebbe
suscitato nel paziente la sensazione di essere molto malato, indebolendone l 'Io e rendendolo
meno adatto alla psicoanalisi o alla psicoterapia. Alcuni terapeuti ritenevano inoltre che l'uso di
farmaci avrebbe ridotto alcuni sintomi iniziali ma favorito la comparsa di nuovi sintomi. La
possibilità di una conclusione prematura del trattamento dovuta a un'immediata riduzione dei
sintomi rappresentava un altro punto controverso. Gli analisti sostenevano che, per quanto
efficaci fossero i farmaci, non avrebbero mai permesso di affrontare il nucleo conflittuale e i
problemi caratteriali della persona. Altri erano preoccupati che gli analizzandi percepissero la
prescrizione dei farmaci come la dimostrazione della loro incapacità di rispondere al trattamento,
soprattutto quando ciò avveniva a trattamento in corso.
Già nel 1974, la ricerca ha dimostrato che la terapia combinata non è dannosa per il paziente.
36
Il pregiudizio sui farmaci permane negli Stati Uniti e nel resto del mondo.
37
- L'associazione fra psicoterapia e farmacoterapia migliora il funzionamento sociale a lungo
termine.
- La psicoterapia associata ai farmaci produce risposte più rapide e una maggiore soddisfazione del
paziente.
- La psicoterapia e la farmacoterapia possono associarsi a minori costi sanitari, diretti e indiretti.
- La psicoterapia unita ai farmaci può ridurre i tassi di dropout dal trattamento.
- Il trattamento sequenziale o scalare può rappresentare un'opzione nella pianificazione della
terapia in cui, per esempio, i farmaci vengono impiegati nella fase acuta della depressione
maggiore, mentre la psicoterapia è utilizzata nella fase successiva per prevenire ricadute e
migliorare la qualità della vita intervenendo sui sintomi residui.
38
Gli autori hanno rilevato che tutte le terapie sono apparse ugualmente efficaci, ma hanno
riportato anche prove convincenti che la terapia combinata è superiore alla psicoterapia o dalla
farmacoterapia prese singolarmente. Le ricerche condotte dopo questa meta-analisi sono
presentate nelle pagine seguenti.
La maggior parte degli studi sulla terapia combinata si è occupata del trattamento della
depressione mediante la CBT o la terapia interpersonale. Un'eccezione è rappresentata dallo
studio controllato randomizzato di Burnand e colleghi (2002), in cui settantaquattro pazienti
ambulatoriali con un episodio acuto di depressione maggiore sono stati trattati con i soli farmaci
(clomipramina) o con una terapia combinata a orientamento psicodinamico. Sono stati registrati
sensibili miglioramenti in entrambi i gruppi, ma i soggetti sottoposti a terapia combinata hanno
presentato minori tassi di insuccesso del trattamento, un miglior adattamento al mondo del lavoro
al termine della terapia, un miglior funzionamento globale e minori tassi di ospedalizzazione. La
terapia combinata costituita da psicoterapia psicodinamica e clomipramina si è inoltre associata a
minori costi diretti e indiretti (questi ultimi misurati in base al numero di assenze dal lavoro). Il
risparmio sui costi del trattamento combinato è ammontato a 2311 dollari per paziente.
Uno studio olandese ha confrontato l'associazione fra psicoterapia supportiva psicodinamica breve
(sedici sedute) e farmaci, con la sola farmacoterapia nel trattamento della depressione maggiore
(de Jonghe et al., 2001). A distanza di ventiquattro mesi, i soggetti che avevano ricevuto la terapia
combinata riportavano un tasso medio di guarigione del 59.2%, in confronto al 40.7% del gruppo
che assumeva solo farmaci. Gli autori riportano inoltre che i pazienti che avevano ricevuto la
psicoterapia associata ai farmaci avevano trovato il trattamento decisamente più accettabile,
erano stati meno propensi a interrompere il trattamento e avevano mostrato maggiori probabilità
di guarigione.
Kool e colleghi (2003) hanno condotto ulteriori analisi sui dati emersi da questo studio, riportando
che la terapia combinata e risultata superiore alla sola farmacoterapia solo per i pazienti in cui era
presente un disturbo di personalità in comorbilità. Nei pazienti con la sola diagnosi di depressione,
la terapia combinata non si è infatti dimostrata superiore. Questo dato è significativo se si
considera che, come risulta sempre più chiaramente dagli studi finora condotti, il trattamento dei
disturbi affettivi è più difficoltoso quando non si affronta anche il disturbo di personalità presente
in comorbilità.
39
In termini positivi, si sentono sollevati perché ritengono di ricevere la terapia corretta; riconoscono
la validità e l’efficacia della terapia; apprezzano il piano terapeutico integrato.
In termini negativi, ritengono che i farmaci mettano in mostra le loro debolezze; temono che i
farmaci siano tossici o che si basino su una suggestione nociva; sono confusi o risentiti perché non
riescono a comprendere quale parte del trattamento è efficacie.
40
- Il clinico dovrebbe prestare attenzione alle domande poste dal paziente circa eventuali modifiche
della terapia farmacologica.
- Una grossa sfida per lo psichiatra che conduce un trattamento integrato consiste nell'imparare a
portare avanti due compiti clinici senza soluzione di continuità, prescrivendo farmaci durante lo
svolgimento della psicoterapia. Naturalmente, lo psichiatra deve continuamente richiedere
informazioni sugli effetti dei farmaci, ma deve anche avere una visione più globale del processo
terapeutico.
- Il clinico dovrebbe considerare i vantaggi del trattamento integrato rispetto a quello disgiunto.
- Con i pazienti con organizzazioni di personalità "primitive" (per esempio, disturbi borderline e
narcisistici di personalità) - che tendono a polarizzare le relazioni terapeutiche, spesso indulgono in
comportamenti autolesionistici e, nei casi più gravi, possono richiedere il ricovero ospedaliero -
alcuni psichiatri ritengono che il trattamento integrato sia più utile di quello disgiunto.
- Il clinico dovrebbe prevedere come affrontare un'eventuale riacutizzazione dei sintomi al termine
di un trattamento andato a buon fine, non dando per scontato che la prescrizione di altri farmaci
sia la soluzione migliore.
Il trattamento disgiunto
Vantaggi del trattamento disgiunto
Sono diversi i fattori che hanno portato a una significativa diffusione dei trattamenti disgiunti (split
treatment). Tra questi:
- Maggiori incentivi economici per i medici a causa delle basse percentuali di rimborso per gli
psichiatri che esercitano la psicoterapia.
- Minore possibilità di scelta fra diverse opzioni di cura nel sistema sanitario privato [statunitense].
- Riduzione del numero di psichiatri "convenzionati" con le compagnie assicurative.
- Numero adeguato di psicologi, assistenti sociali e counselors.
- Ridimensionamento del training psicoterapeutico in molti programmi di tirocinio in psichiatria.
- Crescente numero di ricerche a sostegno dell'efficacia sperimentale e clinica del trattamento
disgiunto.
- Limitata disponibilità della copertura assicurativa per i trattamenti nel campo della salute
mentale.
I sostenitori del trattamento disgiunto ritengono che esso promuova il talento di più di un
professionista nel campo della salute mentale e costituisca quindi un approccio più globale e
probabilmente più elaborato. Alcuni ritengono, sia pure in assenza di prove a sostegno
sufficientemente numerose, che sia meno costoso e permetta a un maggior numero di pazienti di
accedere alle cure. Altri argomentano che il trattamento disgiunto dia ai pazienti maggiori
possibilità di essere seguiti da clinici di origine etnica simile. Nei casi più difficili, il trattamento
disgiunto può garantire un maggior supporto emotivo ai clinici, proteggendoli da relazioni
terapeutiche troppo intense e gravose. È anche possibile che promuova l’aggiornamento
professionale, favorendo lo scambio e l'apprendimento reciproco fra professionisti. Ciò è
particolarmente vero quando l'esperienza terapeutica collaborativa (cioè disgiunta) consente di
approfondire le dinamiche e le paure del paziente, e di giungere a una migliore comprensione
clinica dei suoi problemi. Inoltre una farmacoterapia efficace può chiarire allo psicoterapeuta le
basi biologiche di alcuni disturbi e dimostrare l'utilità dei farmaci nel miglioramento di sintomi
bersaglio nelle aree dell'impulsività, della labilità affettiva e dei deficit cognitivi e percettivi. Un
altro vantaggio del trattamento disgiunto, consiste nello stemperare le risposte transferali più
intense, rendendole più accessibili rispetto al trattamento integrato. E anche ipotizzabile che il
trattamento in collaborazione possa limitare la tendenza del paziente a dilungarsi sulla questione
dei farmaci, evitando di affrontare i problemi psicologici.
41
Svantaggi del trattamento disgiunto
Un tipico inconveniente del trattamento disgiunto è che non è sempre possibile, per un clinico,
accertarsi delle credenziali e dell'abilità professionale del collega. In alcuni casi, i due professionisti
possono non conoscersi. Le preoccupazioni sull'affidabilità del collega in circostanze come questa
possono essere deleterie. Indubbiamente, il paziente percepisce questa tensione e, nelle menti più
vulnerabili, ciò può favorire una scissione. Altri pazienti, che in passato hanno assistito a conflitti
significativi fra i genitori, possono cercare di neutralizzare la tensione fra i clinici adottando
l'atteggiamento di pacificazione ed eccessiva ossequiosità del passato.
Il problema di gran lunga più frequente nel trattamento disgiunto è tuttavia l'insufficiente
comunicazione fra colleghi. Questa mancanza di comunicazione ha generalmente un impatto
negativo sull'esperienza del paziente e può assumere diverse forme, per esempio:
- La prescrizione di un farmaco da parte di un medico che ignora ciò che accade nel corso della
psicoterapia con il collega.
- La decisione unilaterale di dare inizio a un trattamento farmacologico da parte del medico, per
placare la propria ansia o un'altra emozione negativa nei confronti del paziente, causata dalla
preoccupazione che la psicoterapia non sia d'aiuto o dal presupposto che il paziente sia
incapace di sostenere le frustrazioni indotte dalla psicoterapia.
- Il vago accenno, da parte del terapeuta inviante, al fatto che i farmaci prescritti dal collega
vanifichino il precedente lavoro clinico.
- L'incapacità di uno dei terapeuti di riconoscere l'impatto dei propri sentimenti competitivi verso il
collega, che può provocare una scissione nel paziente. Un elemento di questa tensione può essere
l'invidia nei confronti di una remunerazione diversa per i servizi forniti.
- Le preoccupazioni di uno o entrambi i curanti circa le questioni legali riguardanti il paziente.
- L'incapacità di riconoscere che il paziente sta fornendo informazioni contraddittorie ai due
curanti. In un paziente con gravi problemi caratteriali, si tratta di una difficoltà che spesso
compromette gravemente la terapia.
- Il tentativo, da parte dello psicofarmacologo, di curare ogni sintomo del paziente anche quando
non è necessario, in base a una visione rigidamente ateoretica del trattamento.
42
- Lo psichiatra e lo psicofarmacologo devono accordarsi sulle responsabilità e i confini della loro
collaborazione. Lo psicofarmacologo è solo un consulente o ci si attende che visiti regolarmente il
paziente?
- La riservatezza deve essere rispettata con il paziente da entrambi i clinici. Allo stesso modo, in
presenza di tendenze suicide o omicide nel paziente, essi devono poter comunicare liberamente
su questi temi.
- Entrambe le parti devono accordarsi sulla gestione degli effetti collaterali dei medicinali e del loro
impatto sulla psicoterapia e sull'aderenza al trattamento.
-I clinici devono accordarsi sulla frequenza delle comunicazioni.
- Entrambe le parti devono sollecitare il consenso informato del paziente nonché l'assolvimento
delle pratiche assicurative [negli Stati Uniti]
- Il paziente non deve mai essere usato per riferire informazioni che i professionisti intendono
scambiarsi tra loro.
- Talvolta, la richiesta di un trattamento disgiunto per un paziente problematico può celare il
desiderio, da parte del clinico, di interrompere il trattamento o abbandonare il caso.
- Quando è necessario interrompere il trattamento, le decisioni sulla sua conclusione e
sull'eventuale follow-up devono essere prese insieme e spiegate al paziente da entrambi i clinici.
- Il passaggio a un nuovo psicofarmacologo rischia di avere effetti negativi
sul paziente.
- Se il paziente non riesce a stabilire una relazione terapeutica con uno dei clinici, entrambi sono
tenuti a favorire un cambiamento in tal senso. Una collaborazione efficace si basa sulla
disponibilità di entrambi a identificare gli intoppi della terapia e a richiedere insieme un consulto.
I professionisti coinvolti devono inoltre considerare i seguenti punti prima dell'inizio del
trattamento:
- In caso di necessità, quale dei due deve parlare ai familiari del paziente, e in che modo?
- Come verrà gestita la copertura assicurativa in assenza di uno o di entrambi i clinici?
- In che modo verranno affrontati eventuali problemi con l’assicurazione del paziente?
- Come verranno gestiti eventuali crisi o ricoveri ospedalieri e da chi?
2. Tecniche terapeutiche
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Sono due i processi che si attivano nel corso di una terapia psicodinamica: i processi tecnici, che
fanno riferimento ai compiti che paziente e terapeuta hanno nelle terapie dinamiche, e i processi
relazionali, che hanno come veicolo principale la relazione terapeutica. Entrambi possono essere
legati a degli obiettivi primari, cioè quegli obiettivi direttamente riconducibili al fattore in esame, e
a obiettivi secondari, che, seppur non esplicitamente ricollegabili al fattore, ne risultano
intrinsecamente connessi.
I processi tecnici includono: a) i tipi d'intervento messi in atto dal terapeuta; b) le libere
associazioni del paziente; c) l'attenzione liberamente fluttuante dell'analista.
Interventi del terapeuta: fanno riferimento all’ l'interpretazione, riconosciuta come un elemento
centrale nelle terapie di tipo psicodinamico.
Mediante l'interpretazione i terapeuti aiutano i propri pazienti a reintegrare quegli aspetti
dell'esperienza, principalmente gli affetti, disconosciuti o dissociati, ma anche a divenire
consapevoli delle difese messe in atto verso questi affetti e delle modalità di relazione
interpersonale che tendono ad attivarsi automaticamente.
Libera associazione: introdotta da Freud, egli incoraggia il paziente a dire tutto ciò che gli passava
per la mente. I pazienti sono incoraggiati a sospendere la propria funzione autocritica e a
verbalizzare fantasie, immagini, emozioni che sembrano affiorare alla coscienza. Egli credeva che
l'allentamento della censura favorisca l'emergere dei derivati dell'inconscio, che saranno poi
sottoposti a interpretazione.
Secondo Gabbard e Westen la libera associazione è utile per due ragioni: la prima è che essa offre
la possibilità di vedere le difese in azione e osservare le circostanze nelle quali emerge la
resistenza (quando il paziente non è in grado di associare liberamente); la seconda è che consente
al paziente e all'analista di tracciare una mappa delle reti associative inconsce del paziente e di
esplorarle. In altre parole, potremmo dire che le libere associazioni offrono la possibilità di
aggirare, almeno in parte, il funzionamento conscio e controllante e di far emergere dei possibili
nuovi significati rispetto alle tematiche portate in seduta.
Attenzione liberamente fluttuante e ascolto analitico: tale tecnica prevede che nell'ascolto
analitico si tenga «lontano dalla propria attenzione qualsiasi influsso della coscienza e ci si
abbandoni completamente alla propria memoria inconscia oppure in termini puramente tecnici si
stia ad ascoltare e non ci si preoccupi di tenere a mente alcunché» (Freud).
In altre parole, questa regola tecnica indica una disposizione interna dell'analista durante le sedute
e prevede che egli lasci entrare dentro di sé gli stimoli provenienti dal paziente senza fare
attenzione particolare ad alcuno di essi, sospendendo il giudizio cosciente e il ragionamento su
questi stimoli, osservando l'andamento e le configurazioni di tutto quello che gli viene in mente.
Questo tipo di ascolto, così difficile da descrivere a parole, rappresenta però un punto
fondamentale di collegamento tra le libere associazioni del paziente e gli interventi del terapeuta.
In quest'ottica, infatti, il particolare ascolto delle associazioni del paziente suggerito da Freud
permetterebbe all'analista di individuare possibili significati, che vanno oltre quelli manifesti, e
conseguentemente di focalizzarsi nei suoi interventi su aspetti di cui il paziente non è consapevole.
Questo ascolto si basa proprio sull'utilizzo da parte dell'analista del suo mondo interno.
3. I processi relazionali
Nel corso degli anni ha assunto sempre maggiore importanza il ruolo attribuito alla relazione
terapeutica rispetto al processo analitico. Questa componente era stata a lungo bistrattata in
ambito psicoanalitico e relegata nell'ampio contenitore della suggestione, che
tanto aveva preoccupato Freud.
Negli ultimi anni è venuta meno la netta demarcazione fra fattori che promuovono l'insight
attraverso elementi tecnici (l’interpretazione soprattutto) e il cambiamento ottenuto attraverso
fattori relazionali, poiché è stato riconosciuto come queste due dimensioni del processo
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terapeutico tendano a operare in maniera sinergica e assumere un rilievo differente a seconda
dei pazienti.
La relazione terapeutica e gli interventi del terapeuta sembrano in generale favorire il
cambiamento a livello della conoscenza relazionale implicita del paziente. Questa conoscenza, che
opera al di fuori dell'attenzione focale e della consapevolezza, regola le aspettative implicite di
ogni essere umano nell'interazione con l’altro.
All'interno del processo terapeutico, questa conoscenza viene continuamente negoziata attraverso
momenti in cui il terapeuta, più o meno marcatamente, risponde in modo sintonizzato o meno a
questi modelli relazionali. Il punto centrale è che perché avvenga un cambiamento in questa
conoscenza relazionale non è sufficiente che paziente e terapeuta "parlino di questi modelli, e
quindi che l'elaborazione avvenga attraverso la conoscenza dichiarativa, bensì è necessario che il
cambiamento avvenga attraverso una conoscenza procedurale, legata al "come se ne parla”.
Questo processo di cambiamento non è lineare ma avviene in particolari momenti della
terapia, non prevedibili, chiamati momenti ora (Stern, 2004). In questi momenti, la dimensione
intersoggettiva dell'incontro tra paziente e terapeuta è cambiata all'improvviso o rischia di
cambiare. In altre parole, sono momenti in cui implicitamente viene richiesto ai partecipanti se
restare o meno nell'abituale cornice di comportamento. Un momento ora che viene compreso da
entrambi i partecipanti e colto dal punto di vista terapeutico (soprattutto dal terapeuta) viene
chiamato momento d'incontro. In questi momenti, paziente e terapeuta si incontrano nelle loro
soggettività al di là dei loro ruoli.
Oltre a questo cambiamento nella conoscenza relazionale implicita, quando parliamo di fattori
relazionali implicati nell'azione terapeutica della psicoanalisi e possibile individuare alcuni aspetti
sui quali la relazione agisce direttamente:
a) Nuova relazione: la relazione terapeutica può determinare un cambiamento nel paziente grazie
al fatto che essa si presenta come una nuova e differente relazione rispetto alle figure del passato.
In quest'ottica, la relazione terapeutica svolge la funzione di esperienza emozionale correttiva.
b) Interiorizzazione delle funzioni terapeutiche in termini di regolazione affettiva: Un secondo
modo in cui la relazione può contribuire al cambiamento è mediante l'interiorizzazione della
funzione di regolatore emotivo che il terapeuta può svolgere o, per dirla in altre parole, per il
processo di rêverie e contenimento che il terapeuta può offrire.
c) Interiorizzazione della funzionalità superegoica del terapeuta. Una terza modalità per cui la
relazione può essere terapeutica si ha quando vengono interiorizzati gli atteggiamenti affettivi e
non giudicanti del terapeuta verso esperienze che il paziente altrimenti avrebbe giudicato degne di
vergogna o di colpa.
d) Interiorizzazione dell'atteggiamento mentalizzante del terapeuta. Una quarta modalità che
può rendere la relazione uno strumento attivo di cambiamento è rappresentata
dall'interiorizzazione delle strategie consce e inconsce di riflessione su di sé - vale a dire, quando il
paziente gradualmente diventa l'analista di sé stesso. In termini più attuali potremmo dire che a
livello implicito ed esplicito il paziente interiorizza la funzione di promotore della mentalizzazione
svolta dal terapeuta.
1. Problematiche metodologiche
Vi sono diverse problematiche metodologiche trasversali alla ricerca dell’outcome, ma
particolarmente rilevanti per la ricerca empirica in ambito psicodinamico. La metodologia di
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ricerca della medicina evidence-based prevede che, affinché un trattamento sia considerato
supportato empiricamente (e dunque inserito nella lista degli Empirically Supported Treatments o
EST), la sua efficacia debba essere dimostrata in studi randomizzati controllati (Randomized
Clinical Trials - RCT). Secondo il movimento degli EST, gli RCT rappresentano il gold standard
metodologico della verifica empirica e si caratterizzano per l'assegnazione casuale
(randomizzazione) dei soggetti a due gruppi distinti, uno sperimentale (che riceverà il trattamento
di cui si vuole dimostrare l'efficacia) e uno di controllo.
Sebbene gli intenti del movimento degli EST siano ineccepibili, l'approccio metodologico appare
alquanto criticabile a causa di alcuni degli assunti che ne sono alla base e che vengono di seguito
indicati.
a) I processi psicologici sono altamente malleabili e modificabili in tempi brevi. La maggior parte
dei trattamenti validati attraverso gli RCT sono di breve durata, generalmente tra le sei e le sedici
sedute. In quest’ottica si assume che tali trattamenti possano modificare, in un lasso di tempo
ridotto, processi psicopatologici che hanno impiegato anni per strutturarsi. Ciò è stato tuttavia
disconfermato dalla letteratura empirica, che ha dimostrato come i processi psicologici si
caratterizzino per un lento tasso di cambiamento.
b) La maggior parte dei pazienti ha un solo problema principale o può essere trattata come se
così fosse. La letteratura empirica ha evidenziato nel tempo come la comorbilità sia la norma più
che l’eccezione: la maggior parte dei disturbi clinici si presenta assieme ad altre manifestazioni
psicopatologiche, con percentuali che vanno dal 5o% al-90%. Questo implica che circa i due terzi
dei pazienti che richiedono un trattamento cioè gli stessi pazienti che si ritrovano più
frequentemente nella pratica clinica quotidiana vengono esclusi dagli studi di efficacia in quanto
presentano comorbilità.
c) I sintomi psicologici possono essere compresi e trattati prescindendo dalle disposizioni di
personalità. Numerose ricerche hanno mostrato che la sintomatologia clinica deve essere studiata
in rapporto del soggetto, che influisce sia sulla risposta ai trattamenti sia sull'esito della terapia.
d) Gli RCT sono il gold standard per la valutazione dell'efficacia terapeutica. Questo assunto
implica anche che gli elementi di un trattamento efficace siano manualizzati in modo che i singoli
interventi possano essere messi in relazione di causalità rispetto all'esito del trattamento. Non è
difficile comprendere come questo sia un punto particolarmente problematico per le psicoterapie
psicodinamiche che, proprio in virtù delle loro caratteristiche intrinseche, difficilmente possono
essere manualizzate.
e) A inizio trattamento i pazienti desiderano (e sono in grado di) riferire i motivi della loro
sofferenza. Nella realtà della pratica clinica i pazienti spesso non sono pienamente consapevoli
delle loro problematiche (si pensi ai tratti egosintonici della personalità), e in molti casi non
desiderano riferire fin da subito i motivi della loro sofferenza.
f) Gli elementi di un trattamento efficace sono dissociabili e cumulabili tra loro. Ciò implica che
nel caso un paziente presenti più manifestazioni psicopatologiche, queste debbano essere trattate
separatamente e in modo seriale. Per esempio, un paziente che abbia una sintomatologia
alimentare con un disturbo correlato a sostanze in comorbidità, dovrà essere trattato prima
per uno dei due disturbi (per esempio, il disturbo del comportamento alimentare) con il relativo
trattamento empiricamente validato di riferimento, e solo una volta risolta la sintomatologia
alimentare potrà essere trattato per il disturbo correlato a sostanze.
Appare evidente la difficoltà ad applicare tali assunti e con essi l'approccio metodologico degli EST
ai trattamenti psicodinamici, in particolare quelli a lungo termine.
Fonagy individua due principali difficoltà legate alla valutazione dell'efficacia dei trattamenti
psicodinamici.
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1. Difficoltà di ordine filosofico. Come possiamo stabilire e misurare quale sia un buon esito di un
trattamento? Il trattamento psicoanalitico è rivolto a stati mentali interni e complessi, che sono
però spesso ridotti a misure più semplici e facilmente valutabili, quali per esempio la depressione,
l'ansia o la sintomatologia globale. Anche qualora si trovassero misure più valide, alcuni dei criteri
considerati dalla psicoanalisi come indicatori di un buon esito (per esempio, la qualità della vita, il
senso etico, un senso di realizzazione personale, l’autenticità) risultano essere intrinsecamente
non misurabili.
2. Difficoltà etiche. Gli RCT pongono difficoltà etiche rispetto alla selezione dei pazienti, al
consenso, alla randomizzazione e alla prosecuzione del trattamento una volta che lo studio si è
concluso; inoltre, richiedono che il clinico sia allo stesso tempo terapeuta e scienziato, e che i
pazienti siano allo stesso tempo malati e soggetti di ricerca. Si raccomanda ai clinici di raggiungere
il cosiddetto “equilibrio terapeutico”, che implica l’essere genuinamente in dubbio rispetto alle
potenzialità curative dei modelli di trattamento studiati, ma tale atteggiamento è realmente
possibile?
Alcuni autori hanno scelto di verificare l'efficacia dei trattamenti dinamici secondo le regole degli
EST. Altri, pur assumendo una posizione critica rispetto al movimento degli EST, non hanno
rinunciato al tentativo di verificare empiricamente i trattamenti analitici e hanno proposto
metodologie e approcci alternativi più vicini ai principi ispiratori della psicoanalisi. Ne sono
testimonianza, l’utilizzo di disegni di ricerca naturalistici e single case e infine lo studio di
trattamenti a lunga durata ed elevata frequenza.
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raggiungere un ritorno al funzionamento ottimale, soprattutto in termini di personalità, sono
necessari tempi maggiori, di almeno due anni.
Altri studi hanno indicato inoltre come la median effective dose, ovvero la quantità di terapia
necessaria per produrre un cambiamento significativo almeno nel 50% di una popolazione clinica
sottoposta a trattamento, nel caso di manifestazioni psicopatologiche rilevanti, quali depressione
o disturbi di personalità, raramente possa essere inferiore alle cento sedute. Altri ambiti di ricerca
hanno confermato questo dato. Si pensi, per esempio, a studi nell'ambito delle neuroscienze
cognitive, che hanno dimostrato come le reti associative alla base dell'esperienza individuale
tendano a caratterizzarsi per una elevata resistenza al cambiamento.
Altri lavori che hanno indagato anche il problema della cost effectiveness ( efficacia dei costi)
suggeriscono come i trattamenti a lunga durata, sebbene inizialmente appaiano maggiormente
dispendiosi, nel lungo periodo determinano una riduzione da parte dei pazienti dell'utilizzo delle
strutture sanitarie, che consente di recuperare la maggiore spesa iniziale. Tali dati sono confermati
anche da altri studi, che hanno mostrato una riduzione significativa della spesa sanitaria
e dell'accesso ai servizi, oltre a una maggiore produttività lavorativa, nel caso di trattamenti
psicoanalitici a lungo termine. Molti pazienti rischiano così di ricevere un trattamento a breve
termine, ottenendo nel breve periodo una riduzione sintomatologica ma mantenendo una forte
vulnerabilità al disturbo con le conseguenti difficoltà nel lavoro, nella produttività e un ricordo
maggiore ai servizi sanitari, e determinando un relativo incremento delle spese.
1. Un approccio integrato
Un approccio integrato tra psicologia dinamica e neuroscienze è utile perché consente di far
dialogare i vari approcci e costruire le basi dei concetti fondamentali comuni agli approcci; perché
offre una lettura somatica dei sintomi e del cambiamento ai pazienti; perché mette in discussione
le idee con minori fondamenta empiriche; infine, può portare a meglio comprendere le opere degli
autori classici della psicologia dinamica, in primis di Freud.
2. Risultati empirici
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2.4. Empatia e mentalizzazione: dai meccanismi mirror alla sintonizzazione in psicoterapia
Il fenomeno dell’empatia può essere visto come consto da una dimensione affettiva e una
dimensione cognitiva. La dimensione puramente affettiva consiste in processi rapidissimi, e
sintetizzabili nell'affermazione lapidaria "Sento ciò che senti" (neurologicamente parlando, ci
riferiamo ai neuroni specchio). Per dimensione cognitiva dell'empatia si suole invece intendere
l'"assunzione di prospettiva", concetto sostanzialmente analogo a quello di mentalizzazione.
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2.4.2. Empatia e psicoterapia: prove di efficacia dal punto di vista delle neuroscienze
L'empatia si è rivelata una componente efficace tanto quanto l'interpretazione nel trattamento
psicoanalitico.
Si stanno attualmente delineando nell'ambito della ricerca in psicoterapia risultati incoraggianti,
ottenuti grazie alla rilevazione simultanea degli indici psicofisiologici del sistema nervoso
autonomo del paziente e dello psicoterapeuta in interazione.
È stata infatti evidenziata l'associazione tra empatia percepita dal paziente e sincronizzazione nei
livelli di conduttanza nella diade relazionale, introducendo un elemento chiarificatore: i terapeuti
con una formazione dinamicamente orientata hanno mostrato una sintonizzazione
psicofisiologca ed empatica maggiore rispetto agli psicologi senza percorso di formazione in
psicoterapia.
Le ricerche sulla psicoterapia e sull'empatia suggeriscono quindi che la relazione stessa tra
paziente e terapeuta abbia una sua propria biologia, quindi anche questa relazione può essere
caratterizzata da marker biologici che possono, se individuati, avere un ruolo nel processo e
nell'esito della psicoterapia. Il trattamento basato sulla mentalizzazione per i pazienti borderline è
un buon esempio di come il cambiamento possa essere descritto anche sotto forma di
modificazioni morfofunzionali cerebrali.
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La valutazione psicodinamica del paziente (capitolo 5 – Colli)
Dal punto di vista psicodinamco i clinici intendono la valutazione psicodiagnostica come qualcosa
che va oltre l’identificazione della patologia adottata dalla valutazione biomedica, dal momento
che non fornisce indicazioni ai clinici rispetto alla comprensione dei meccanismi alla base della
psicopatologia del paziente e quindi ai fini del trattamento.
Se invece con diagnosi si intende in un'accezione assai più estesa un processo d'interpretazione
dei dati raccolti, e di organizzazione delle inferenze sui meccanismi di funzionamento mentale,
essa può avere un ruolo rilevante all'interno di un approccio psicodinamico .
Un altro punto sollevato dai detrattori della diagnosi in ambito psicodinamico riguarda la sua
"staticità", in antitesi al fatto che i pazienti nel corso del trattamento si "trasformano", mostrando
aspetti diversi della propria personalità.
È esperienza clinica comune che durante i primi colloqui i clinici si possano fare un'idea del
paziente, provvedere a un inquadramento generale, per poi scoprire nel corso del trattamento che
ciò che era stato interpretato in un modo appare in realtà diversamente. La diagnosi non si
esaurisce nei primi colloqui, poiché proprio grazie all'interazione con il paziente nel corso
del trattamento che possono emergere delle modalità di funzionamento che inizialmente erano
solo ipotizzabili o non riconoscibili.
Questa problematica ci conduce direttamente a un altro concetto, ossia a quello di diagnosi
attraverso il processo, che rappresenta uno dei contributi più rilevanti che le teorie
psicodinamiche hanno fornito alla diagnosi. Diversi autori hanno infatti posto l'accento sulla
possibilità di diagnosticare la struttura di un paziente e/o il suo livello di funzionamento mentale
anche attraverso l'analisi delle caratteristiche del processo terapeutico attivato dal paziente.
Un'ultima questione rispetto al difficile rapporto tra diagnosi e psicoterapia che non ha favorito un
processo di sistematizzazione della nosografia.
Diverse concezioni e interpretazioni del funzionamento mentale portano inevitabilmente a porre
maggiore attenzione a fenomeni diversi durante la fase di assessment, ma soprattutto a formulare
le problematiche del paziente in modo diverso: per esempio, un clinico che utilizzi come
riferimento la teoria freudiana, maggiormente interessata a problematiche relative a conflitti
edipici irrisolti, tenderà a porre attenzione ad alcuni aspetti del comportamento del paziente
(conflitti edipici e di natura sessuale) diversi rispetto a un clinico che utilizzi come lente
interpretativa la teoria delle relazioni oggettuali, maggiormente interessata a conflitti preedipici e
a conflitti inerenti la relazione di dipendenza con le figure genitoriali.
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Non sembra del tutto semplice rispondere a queste domande, considerando i risultati della ricerca
empirica. Sebbene sia aumentato il numero di ricerche volte a esplorare questa prospettiva, le
indicazioni per una psicoterapia psicodinamica a lungo termine non sono rigorosamente definite.
In generale possiamo affermare che c'è un ampio consenso sul fatto che psicoanalisi o psicoterapia
psicodinamica a lungo termine possono avere effetti positivi su pazienti con un'organizzazione
nevrotica del carattere e disturbi di personalità del cluster C (ossessivo-compulsivo, evitante,
dipendente).
Costituiscono inoltre indicazioni per l'impiego di una psicoterapia psicodinamica a lungo termine
tre disturbi di personalità del cluster B: narcisistico, borderline e istrionico, che raramente
rispondono a terapie brevi. La psicoterapia dinamica trova infine sua applicazione anche nel
trattamento dei disturbi depressivi.
È possibile infatti adattare il proprio approccio al paziente lungo un continuum che va da un polo
esplorativo/espressivo (in cui lo scopo degli interventi è quello di permettere il raggiungimento di
un maggiore insight nel paziente) a un polo più supportivo (in cui lo scopo degli interventi e di
rafforzare le difese del paziente. Secondo Gabbard vi sono delle caratteristiche del paziente che
dovrebbero orientare verso un trattamento più espressivo o supportivo.
La psicoterapia dinamica esplorativa è adatta per i pazienti che presentano un’organizzazione
nevrotica di personalità, una forte motivazione alla comprensione di sé, un significativo grado di
sofferenza, una buona tolleranza alla frustrazione, la mentalità psicologica (insight) e la capacità di
pensare in termini di analogie e metafore.
Mentre, invece, la psicoterapia dinamica supportiva è adatta per i pazienti che presentano
un’organizzazione borderline di personalità, una grave crisi esistenziale, difficoltà a instaurare una
relazione di fiducia con il terapeuta, una scarsa tolleranza alla frustrazione e all’ansia, una ridotta
capacità di auto-osservazione e un basso livello intellettivo ed eccessiva concretezza.
È importante osservare che non tutti però concordano con queste indicazioni, in particolare
quando ci riferiamo a pazienti dello spettro borderline.
Criteri in parte similari a quelli proposti da Gabbard possono essere applicati al fine di valutare la
possibilità di utilizzare una psicoterapia dinamica breve oppure a lungo termine. Una psicoterapia
dinamica a lungo termine va preferita rispetto a una a breve termine, in particolare nei casi in cui
il paziente presenti un livello di sviluppo oggettuale basso, problematiche non circoscritte, in cui
siano presenti problematiche subcliniche e cliniche rilevanti tali da rendere difficoltosa la
formazione di una alleanza terapeutica stabile con il terapeuta. Essa si focalizza su una graduale
formazione dell’alleanza, sulla presenza di diverse problematiche, sulla moderata attività del
terapeuta, su relazioni oggettuali da insufficienti ad adeguate, sui disturbi più gravi e sul rapporto
tra presente e passato.
Mentre, invece, la psicoterapia psicodinamica a breve termine si focalizza sulla rapida formazione
dell’alleanza, su un problema circoscritto, sulla maggiore attività del terapeuta, su relazioni
oggettuali adeguate, su disturbi meno gravi e sul qui e ora.
Un'altra dimensione da considerare, al fine di orientare il trattamento rispetto alla modalità di
funzionamento del paziente, è rappresentata dalla valutazione della personalità secondo la
classificazione di Blatt in personalità anaclitica, nella quale si evidenzia uno sbilanciamento nei
confronti della “relazionalità”, e in personalità introiettiva, dove si osserva uno sbilanciamento
verso la "definizione di sé”.
L’importanza dei criteri proposti da Blatt risiede nel fatto che il tailoring del trattamento viene
svincolato dalla gravità/livello di funzionamento della personalità, come per esempio propone
Gabbard, e rivolto invece alla tipologia di funzionamento del paziente.
Horwitz e colleghi (1996) hanno individuato tre fattori principali da tenere in considerazione al fine
di un lavoro espressivo: i fattori dello sviluppo, dell'Io e della relazione.
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Tra i fattori dello sviluppo costituiscono importanti controindicazioni:
- la presenza di traumi infantili caratterizzati soprattutto da separazioni ripetitive e massicce nella
fase di separazione-individuazione;
- la presenza nella storia dell’individuo di abuso, soprattutto di tipo incestuale;
- problematiche neurologiche presenti nello sviluppo.
Tra i fattori dell'Io ritroviamo invece:
- la motivazione al cambiamento;
- la capacità di lavorare nello spazio analitico. Per lavorare analiticamente è necessaria la capacità
di creare e mantenere uno spazio analitico in cui si manifesti in modo continuo una dialettica tra
fantasia e realtà. Quando i pazienti si fissano troppo sulla realtà della propria esperienza, lo spazio
analitico si contrae o sparisce e l'esplorazione del mondo interno del paziente diviene limitata;
- il controllo degli impulsi e degli affetti: i pazienti che hanno difficoltà nel controllo degli impulsi e
che facilmente passano all'azione superando la componente riflessiva difficilmente risultano
idonei a un trattamento di tipo espresssivo;
- la propensione all'esteriorizzazione: i pazienti più inclini a proiettare o a esteriorizzare la fonte
dell'angoscia e dei conflitti sono meno inclini a esplorare il proprio mondo interiore. In particolare,
diversi autori hanno messo in luce le difficoltà derivanti dall’utilizzare tecniche interpretative con
pazienti caratterizzati da meccanismi di difesa paranoidi e proiettivi, sollecitando la necessità di un
approccio più lento e inizialmente meno confrontativo;
- la mentalità psicologica: con questa variabile si fa riferimento alla capacità dei pazienti di
alternare l'esperire i sentimenti e il riflettere su di essi. Tale dimensione può essere considerata
una conseguenza di altre variabili, quali un basso livello di vulnerabilità narcisistica, un buon
controllo degli impulsi e la tendenza a interiorizzare anziché esteriorizzare.
Tra i fattori della relazione abbiamo:
-vulnerabilità narcisistica: quasi tutti gli autori mettono in luce l’importanza della vulnerabilità
narcisistica nella modifica o nella limitazione del lavoro espressivo. Gli interventi altamente
espressivi possono avere un effetto iatrogeno nel qui e ora della relazione, poiché vengono vissuti
più come delle critiche e disconferme che come dei tentativi del clinico di aiutare il paziente;
- transfert speculare o idealizzante: la caratterizzazione da parte di Kohut di transfert narcisistici
necessita di un lavoro lento e meno intensivo;
- controdipendenza: pazienti con una marcata tendenza a meccanismi fobici e controdipendenti
possono mal tollerare un accento altamente espressivo degli interventi;
- bisogni di attaccamento simbiotici: anche se i pazienti più bisognosi di un attaccamento di tipo
simbiotico possono essere più capaci di comunicare in modo aperto il bisogno di relazione, non
necessariamente rispondono in maniera apprezzabile agli sforzi interpretativi;
- transfert sadico o erotizzato: sebbene diversi autori consiglino un atteggiamento lento con i
pazienti borderline e che sia rischioso un elevato tasso di espressività nelle fasi iniziali o almeno
fino a che non si sia stabilita un'alleanza terapeutica, essi suggeriscono invece di intervenire
precocemente nel caso di transfert erotizzati o sadici, al fine di contenere la distruttività del
paziente.
I criteri sopra elencati non costituiscono una rigida indicazione rispetto all'intero trattamento,
bensì delle controindicazioni in relazione a un utilizzo di tecniche maggiormente
espressive/esplorative in fasi del trattamento in cui la fiducia e l'alleanza terapeutica non
costituiscono una solida base tra paziente e terapeuta. È importante pensare che l'alleanza e la
collaborazione possono fluttuare nel corso del trattamento cosi come all'interno delle stesse
sedute, e quindi l'utilizzo di interventi maggiormente espressivi non appare del tutto "precluso",
ma attuabile in fasi del trattamento o momenti delle sedute in cui il funzionamento del paziente
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nelle sue componenti di regolazione emotiva, capacità di riflessione e mentalizzazione e di fiducia
nella relazione risultano più elevati.
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- Esperienza vs spiegazione. Un problema comune a tutti i terapeuti psicodinamici è spiegare al
paziente in che cosa consiste la terapia dinamica. Secondo una modalità classica, i colloqui
psicodinamici tendono a essere caratterizzati anche da una componente esplicativa: il clinico, per
esempio, spiega al paziente che cosa sono le libere associazioni, come funziona il trattamento ecc.
Secondo altri invece, fin dai primi colloqui, si può coinvolgere il paziente nell'esperienza di cosa
sia fare una psicoterapia dinamica. Questo non va inteso necessariamente come uno
sbilanciamento da parte del clinico su una componente interpretativa, ma come il tentativo del
clinico di segnalare al paziente il proprio interesse verso alcuni fenomeni che potrebbero essere
intesi come segnali di movimenti inconsci del paziente (per esempio, lapsus, atti mancati,
comportamento non verbale, qui e ora dell'incontro).
Altri autori si sono concentrati sull'individuazione, dal punto di vista empirico, delle modalità di
conduzione dei primi colloqui, che possono favorire lo stabilirsi di una buona alleanza terapeutica
ed essere predittivi di un buon esito dei trattamenti.
Queste ricerche, che suggeriscono l'importanza di esplorare insieme al paziente le sue aspettative
rispetto al trattamento, soprattutto quelle negative che incidono maggiormente rispetto alla
possibilità dei pazienti di ritornare dopo il primo colloquio.
Un'altra caratteristica dei primi colloqui, associata a un miglior esito dei trattamenti, è
rappresentata dalla preparazione del paziente al suo ruolo che produce migliori risultati rispetto
all'assenza di una formazione adeguata.
Altro punto centrale, confermato dalle ricerche empiriche, è costituito dalla negoziazione e dal
consenso tra paziente e terapeuta rispetto agli obiettivi del trattamento. Inoltre, la capacità del
terapeuta di identificare obiettivi chiari e di concordarli con il paziente favorisce l'inizio del
trattamento e il ritorno del paziente alla seduta successiva. Questo appare ancor più evidente se si
pensa che la maggior parte dei pazienti interrompe il trattamento dopo la prima seduta.
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Una valutazione della capacità riflessiva può essere ottenuta utilizzando la Reflective Functioning
Scale.
Infine la Psychodynamic Functioning Scales fornisce una misura del funzionamento globale
dell'individuo.
1. La teoria freudiana
All'interno della relazione terapeutica questo fenomeno si traduce nel trasferimento da parte del
paziente, sulla figura del medico di impulsi, vissuti e sentimenti che appartengono a relazioni
significative del passato. Nella teoria freudiana questi vissuti appaiono irreali rispetto alla
situazione attuale, si caratterizzano cioè per una distorsione della percezione della reale relazione
con il terapeuta. Tali sentimenti sono derivati dall'attività dell'inconscio e si prestano alle
distorsioni e trasformazioni di tale sistema.
L'origine delle dinamiche transferali andrebbe ricercata in modelli e cliché che sono la risultante di
due componenti: la disposizione innata e le esperienze dei primi anni di vita
Freud scoprì prima con il caso di Anna O. e poi con il caso di Dora che durante il trattamento
analitico i pazienti rivivono una serie di esperienze come se fossero derivate dalla relazione attuale
con l'analista e non dalle esperienze passate del paziente. Secondo lui il transfert è una ristampa di
relazioni del passato e che è ubiquitario rispetto alle relazioni e non compare durante il
trattamento analitico in modo più intenso che fuori di esso. Freud sembra così suggerire l'idea che
l'analisi sia un elemento che favorisce l'attivazione nel paziente di qualche cosa che c'è già, il
transfert per l'appunto, ma che non sia in alcun modo responsabile della sua creazione, né della
forma che assumerà nel corso del trattamento.
Un altro punto centrale nella teorizzazione freudiana del transfert è rappresentato dallo stretto
rapporto tra quest'ultimo e la resistenza. Viene posto quindi un collegamento tra un processo
intrapsichico, la rimozione, e un processo relazionale, il transfert: quanto più il lavoro associativo e
interpretativo favorisce l'emergere di materiale inconscio e conflittuale, tanto più il paziente
attraverso la rimozione cercherà di evitare tale materiale operando un transfert sul terapeuta.
Ne consegue che i momenti di maggiore attivazione transferale non sono solo i momenti di
maggior resistenza, ma rappresentano anche possibilità di comprensione delle dinamiche nucleari
del paziente. Perciò possiamo dire che il transfert rappresenta un ostacolo ma anche il miglior
alleato per la psicoanalisi.
Freud teorizza l'esistenza di due forme di transfert, il transfert positivo e quello negativo,
suddividendo ulteriormente il primo in transfert sublimato/irreprensibile ed erotico. Il transfert
negativo e quello erotico agiscono al servizio della resistenza, mentre il transfert sublimato o
irreprensibile rappresenta un potente alleato rispetto al trattamento analitico, poiché si configura
come un'area dell'Io del paziente libera da conflitti e capace quindi di allearsi al terapeuta ai fini
del cambiamento. Il concetto di transfert positivo irreprensibile costituirà in seguito il punto di
partenza per diverse teorizzazioni sul costrutto di alleanza terapeutica.
Un altro punto cardine della teorizzazione freudiana è rappresentato dal concetto di “ nevrosi di
traslazione”. Secondo Freud, infatti, il paziente è indotto a ripetere il contenuto rimosso nella
forma di un'esperienza attuale anziché a ricordarlo come parte del proprio passato. Queste
riproduzioni hanno luogo nella sfera della traslazione, vale a dire del rapporto con il medico. Se il
63
trattamento ha raggiunto questo stadio la <<vecchia nevrosi viene sostituita da una nevrosi di
traslazione>> (Freud)
L'autore suggerisce dunque che le particolari caratteristiche del transfert di un paziente derivano
dagli aspetti specifici della sua nevrosi e che durante il trattamento è necessario che la normale
nevrosi sia sostituita da una "nevrosi di traslazione" dalla quale il paziente può essere guarito
mediante il lavoro terapeutico.
64
sollecitazione del sistema d'attaccamento favorirà l'emergere dei MOI del paziente, che a loro
volta organizzeranno i vissuti nella relazione con il terapeuta e regoleranno le aspettative riguardo
a essa. Le particolari caratteristiche del transfert del paziente saranno quindi determinate dai
modelli operativi interni e dai pattern di attaccamento del paziente.
Un'importante conseguenza rispetto all'interpretazione dei fenomeni transferali, alla luce della
teoria dell'attaccamento, risiede nel fatto che, come suggerito da Bowlby, i sentimenti provati dal
paziente nei confronti del terapeuta non rappresentano la ripetizione di qualche cosa che ha
caratterizzato lo sviluppo infantile, bensì la richiesta del paziente di fare esperienza di qualche cosa
che è mancato nella relazione d'attaccamento.
Riassumendo sinteticamente gli sviluppi nella concettualizzazione del transfert possiamo
suddividere le teorie del transfert in due macrocorrenti: una storica, in cui prevale la concezione
del transfert come riedizione del passato, e una modernista, in cui il transfert viene interpretato
anche in virtù delle caratteristiche reali della relazione con il terapeuta.
68
Il controtransfert (Cap. 7 - Colli)
Secondo Kernberg è possibile suddividere i numerosi contributi sul controtransfert in due
approcci: l'approccio classico, detto anche “ristretto", e l'approccio contemporaneo, detto anche
"allargato. In una prospettiva classica (Freud) il controtransfert è definito come l'insieme delle
reazioni inconsce dell'analista al transfert del paziente. Tali reazioni, che derivano dai conflitti
nevrotici irrisolti dell'analista attivati dal transfert del paziente, devono essere padroneggiate,
poiché possono provocare delle macchie cieche o delle distorsioni nella percezione dell'analista
del materiale associativo del paziente. La posizione contemporanea o allargata vede invece il
controtransfert come l'insieme di tutte le reazioni emotive consce e inconsce dell'analista
determinate dal paziente, ma anche dai bisogni reali, oltre che nevrotici, dell'analista stesso.
Questi vissuti non devono essere intesi come un ostacolo al processo terapeutico, bensì come uno
strumento utile alla comprensione delle dinamiche e problematiche del paziente.
Con la svolta relazionale degli anni Ottanta, emerge una nuova concettualizzazione del costrutto,
quella relazionale intersoggettiva, secondo la quale il controtransfert è considerato come il
prodotto inevitabile dell'interazione tra paziente e terapeuta, invece di una semplice interferenza
che deriva da conflitti pulsionali infantili dell'analista, nonché come una "joint creation" tra
analista e paziente.
69
Affinché una risposta nell'analista sia definita come controtransfert, per Freud, essa
deve costituire una resistenza al lavoro analitico. Attraverso l’autoanalisi, il terapeuta può
diventare consapevole dell'esistenza di emozioni e reazioni controtransferali, e questo
rappresenta un invito a compiere uno sforzo per riconoscerne la natura ed eliminarne le
conseguenze avverse. Molti autori contemporanei di Freud, tranne rare eccezioni, in particolare
Ferenczi, hanno considerato il controtransfert come qualche cosa di indesiderabile e d'intralcio,
non salutare e da controllare.
A partire dagli anni Cinquanta si assiste a un cambiamento nella concettualizzazione del
controtransfert, che inizia a essere considerato non più esclusivamente un ostacolo bensì un
potente strumento di comprensione per il clinico. Tale svolta è dovuta a diversi fattori, tra i quali:
a) l’applicazione del trattamento analitico a pazienti gravi (psicotici e con gravi disturbi di
personalita); b) il diffondersi dei trattamenti di bambini; c) l'evoluzione del concetto di
identificazione proiettiva da meccanismo di difesa intrapsichico a meccanismo comunicativo. Il
trattamento di pazienti gravi e dei bambini suggeriva che le reazioni emotive dell'analista non
fossero in questi casi un'eventualità ma fenomeni assai frequenti e che le risposte dei terapeuti
derivassero da un particolare meccanismo di difesa e di comunicazione, l'identificazione proiettiva,
che permetteva la trasmissione di elementi psichici dalla mente del paziente a quella dell'analista.
In questo contesto, Winnicott è uno dei primi autori a fornire una descrizione del controtransfert
che, sebbene molto vicina a una posizione classica introduce degli elementi di novità rispetto a
essa, facendo riferimento a una componente del controtransfert che rappresenta una risposta
oggettiva alla personalità del paziente. Nello specifico, Winnicott individua tre componenti del
controtransfert che sono particolarmente evidenti nel lavoro con pazienti gravi:
1. sentimenti di controtransfert "anormali”, che si basano su rapporti e identificazioni che
l'analista ha rimosso e che ripropone all'interno della relazione analitica. Tali sentimenti
costituiscono un ostacolo e sono il segnale della necessità per l'analista di un ulteriore periodo di
analisi;
2. le identificazioni e le tendenze che riguardano le esperienze e lo sviluppo personali di
quell'analista; tali caratteristiche andranno a costituire il setting positivo per il lavoro analitico e
renderanno il suo lavoro qualitativamente diverso da quello di qualsiasi altro analista;
3. il controtransfert oggettivo che rappresenta la risposta dell'analista alla personalità reale e al
comportamento del paziente.
Una prima affermazione esplicita del valore positivo del controtransfert venne però dalla Heimann
(1950), secondo cui l'analista deve essere in grado di sopportare i sentimenti che vengono suscitati
in lui, invece di consentirne la carica per subordinarli al compito analitico di funzionare come
specchio riflettente del paziente. Il presupposto fondamentale dell'autrice è che l'inconscio
dell'analista possa essere utilizzato per comprendere quello del paziente poiché le reazioni
emotive suscitate dal paziente «sono molto più vicine al nocciolo del problema di quanto non sia il
suo ragionare>>. Per la Heimann deve usare le sue risposte emotive per comprendere l'inconscio
del paziente.
Sebbene l'orientamento teorico dell'autrice fosse strettamente kleiniano, la Heimann non ha
legato esplicitamente la sua teorizzazione al concetto di identificazione proiettiva. Questo legame
viene invece stabilito da Racker per il quale il controtransfert dell'analista può essere visto come
una risposta alle identificazioni proiettive del paziente e propone di distinguere due tipologie di
risposte controtransferali: il controtransfert concordante e il controtransfert complementare.
Il contrtrasnsfert concordante avviene quando l'analista si identifica con la rappresentazione del
Sé presente in quel momento nella fantasia del paziente. Il controtransfert complementare
avviene quando l'analista si identifica con la rappresentazione oggettuale presente nella fantasia
transferale del paziente. In altre parole, nel controtransfert concordante sentimenti,
70
pensieri, fantasie dell'analista coincidono con quelli presenti in quel momento nel paziente,
mentre nel controtransfert complementare i vissuti dell'analista rispecchiano in maniera
complementare i vissuti del paziente (per esempio, la paura che il terapeuta può provare
nell'interazione con un paziente paranoico e ostile può rappresentare il vissuto rimosso dal
paziente stesso).
Un altro contributo rilevante alla trasformazione nella concettualizzazione del controtransfert è
rappresentato dal concetto di responsività di ruolo di Sandler (1976), secondo il quale la
compartecipazione dell’analista alla creazione delle dinamiche interpersonali attive nella relazione
terapeutica è un fenomeno fisiologico, poiché il paziente tende a imporre una
modalità d'interazione, una tipologia di relazione tra lui e l'analista e il terapeuta risponderà
secondo queste modalità, attraverso una forma di responsività di ruolo.
71
- come modalità di comunicazione consente di ricevere comprensione da parte del ricevente che,
attraverso la pressione interpersonale, sperimenta un complesso di sentimenti simili a quelli di
colui che proietta;
- come tipo di relazione oggettuale permette di rapportarsi con un oggetto che viene vissuto come
parzialmente separato, quindi capace di contenere le parti proiettate, e contemporaneamente
come sufficientemente indifferenziato, alimentando l'illusione che sperimenti allo stesso modo i
sentimenti del proiettante;
- come direzione verso il cambiamento psicologico, è un processo mediante il quale sentimenti,
simili a quelli contro cui si sta lottando, vengono trasformati da un'altra persona e resi pronti in
forma alterata, per la reinteriorizzazione.
73
Racker (1953) distingue nel controtranstet le identificazioni dell'analista con gli impulsi e con i
meccanismi di difesa del paziente, che egli chiama controtransfert concordante, da quelle con gli
oggetti interni (secondo la terminologia kleiniana; vale a dire con il Super-lo infantile) che il
paziente proietta sull'analista, e che egli chiama controtransfert complementare.
Il concetto di CT concordante sembra sovrapporsi a quello di empatia, mentre quello di CT
complementare si riferisce al ruolo che l'analista assume, sollecitato dal paziente, e che porta
quasi inevitabilmente a entrare in una situazione senza via d'uscita, in cui la risposta del terapeuta
è reciproca o complementare rispetto ai sentimenti provati dal paziente. La consapevolezza di
quanto avviene può tuttavia servire al terapeuta come indizio per la comprensione di ciò che
accade nel qui e ora e per poter interpretare.
Secondo altri autori è possibile distinguere tre differenti tipologie di risposte controtransferali: 1. Il
controtransfert oggettivo-razionale, che riflette una posizione distaccata, non partecipativa; 2. il
controtransfert reattivo, che riflette una posizione difensiva di origine inconscia rispetto all'ansia
suscitata da conflitti non risolti; 3. Il controtransfert riflessivo, che riflette un atteggiamento
consapevole, partecipativo, con funzioni interpretative. Van Wagoner e colleghi (1991) hanno
identificato cinque componenti fondamentali dell'esperienza controtransferale:
- self-insight ("consapevolezza di sé che indica il grado di consapevolezza dei propri sentimenti e di
comprensione delle loro origini;
- empathic ability (abilità empatica), che comprende l'empatia affettiva, ossia la capacità di
mettersi temporaneamente nei panni dell'altro e di comprenderne l'esperienza emotiva, e
l'empatia diagnostica, ovvero la comprensione intellettuale dell'esperienza dell'altro;
- self-integration ("integrazione del Sé"), che riguarda la salute mentale del terapeuta e la
presenza di un'identità stabile. Include la capacità di differenziare il Sé dagli altri, come quella di
lasciare da parte i propri bisogni per mettersi al servizio del paziente;
- anxiety management ("gestione dell'ansia"), che valuta la misura in cui il terapeuta è in grado di
gestire la propria ansia genera situazione analitica;
- concettualizing ability ("abilità alla concettualizzazione"), che si riferisce al grado in cui
il terapeuta possiede la capacità di elaborare concetti esplicativi e una cornice teorica di
riferimento per favorire la comprensione e l'interpretazione del paziente.
74
concetto di alleanza a partire dall'osservazione di una "scissione" dell'lo del paziente in una parte
rivolta verso la realtà che collabora con l'analista e in una parte oppositiva che comprende
gli impulsi dell'Es, le difese dell'lo e le richieste del Super-Io. La parte collaborante dell'lo, quella
razionale, si unisce al terapeuta nell'intento di esplorare l'inconscio, formando una dimensione che
Sterba chiama "alleanza dell'Io".
Secondo Zetzel, l'alleanza terapeutica è il risultato di un'alleanza tra l'lo osservante del paziente,
che si identifica gradualmente con l'analista nell'analizzare e modificare le difese patologiche che
l'lo ha innalzato contro le situazioni di pericolo interno, e l'analista stesso. Questa alleanza si basa
su una relazione oggettuale reale e si fonda sulla capacità del paziente di instaurare un rapporto
"uno a uno”, capacità che viene appresa nelle prime relazioni con la madre. Zetzel propone infatti
un'idea dell'alleanza costruita sul modello della relazione madre-bambino, dove l'analista assume
una posizione simile a quella di una mamma che si adatta ai bisogni del bambino e, attraverso
interventi verbali appropriati, aiuta a stabilire l'alleanza terapeutica. Il compito dell'analista è
quello di rispondere al paziente con una modalità intuitiva e adattiva, in modo da favorire la
mobilizzazione di quelle caratteristiche dell'Io indispensabili all'alleanza.
Zetzel mette in luce l'influenza che l'analista stesso e le sue caratteristiche possono avere
sull'alleanza terapeutica: difatti, sostiene che l'analista entra nel processo analitico come persona
reale e non solo come un oggetto di traslazione. Si tratta di un riconoscimento esplicito della
natura interattiva e bipersonale dell'alleanza terapeutica: non solo il paziente si allea con il
terapeuta, ma anche l'analista deve allearsi con il paziente, rimanendo un oggetto che permetta -
al paziente- una continua e positiva identificazione
Un'altra pietra miliare nell'evoluzione del concetto di alleanza è l'articolo di Ralph Greenson
(1965), The Working Alliance and the Transference Neuroses nel quale l'autore introduce
l'espressione alleanza di lavoro per sottolineare la capacità del paziente di lavorare
intenzionalmente durante il trattamento. In linea con Sterba, Greenson ritiene che l’alleanza si
stabilisce tra lo razionale del paziente e lo analizzante dell'analista, e il mezzo che la rende
possibile è la parziale identificazione del paziente con l'atteggiamento analitico e riflessivo
dell'analista.
Greenson, come Zetzel, riconosce che l'alleanza di lavoro può essere compresa nei fenomeni della
traslazione, ma a differenza di Zetzel parla anche di un “rapporto reale" che si stabilisce nel corso
dell'analisi. Con questo termine si riferisce agli aspetti sani, realistici e maturi che caratterizzano la
relazione tra paziente e terapeuta, considerandoli come persone reali e non nella loro veste di
analista e analizzando. In sintesi, per Greenson (1965) esistono tre livelli di relazione: il transfert,
l'alleanza di lavoro e la relazione reale. Le reazioni transferali e l'alleanza di lavoro sono,
clinicamente, i due tipi più importarnti di rapporti oggettuali che si verificano nella situazione
analitica. Nel corso dell'analisi, si stabilisce anche un rapporto reale, a cui l'autore attribuisce due
significati:
1. reale come realistico, orientato realisticamente (in contrapposizione al termine "transfert" che
indica un rapporto deformato e irreale);
2. reale come genuino, autentico (in opposizione ad artificioso, forzato o falso).
È questa duplice definizione di reale che ci aiuta a cogliere le differenze tra transfert, alleanza di
lavoro e relazione reale tra analista e paziente. Le reazioni di transfert, anche se vissute in modo
genuino e sincero, sono irreali e inappropriate. L'alleanza di lavoro è realistica e appropriata, ma
allo stesso tempo è un artificio della situazione terapeutica. Il rapporto reale è invece genuino e
autentico.
I tre modi della relazione analitica (transfert, alleanza di lavoro, relazione reale) sono tra loro
collegati e si influenzano a vicenda, ma è importante che l'analista sappia esaminarli
separatamente.
75
1.2. Seconda fase
A partire dal 1970 circa, il costrutto di alleanza terapeutica si allontana dall'ambito strettamente
psicoanalitico per muoversi in una direzione più transteorica. In questo periodo si assiste a
un'operazionalizzazione del costrutto e al proliferare di strumenti di valutazione dell'alleanza
terapeutica che ne hanno favorito l'applicazione empirica in numerosi studi. L'alleanza viene
dunque riconosciuta come un fattore comune e trasversale a tutti gli approcci di trattamento; essa
rappresenta probabilmente il costrutto più studiato nella ricerca in psicoterapia.
Anticipando i contributi di Safran e Muran sui processi di rottura e riparazione dell'alleanza
terapeutica, Bordin è uno dei primi autori a mettere in risalto la natura dinamica (in opposizione a
statica) del costrutto, sottolineando come l’alleanza non sia qualche cosa che c'è o non c'è, ma
qualche cosa che va costruita e negoziata.
Un altro contributo rilevante in ambito psicodinamico è quello fornito da Lester Luborsky, che
distingue due tipi di “alleanza d'aiuto”.
- Alleanza di tipo 1: il terapeuta fornisce aiuto al paziente e il paziente riceve questo aiuto in modo
"passivo". Per esempio, il paziente può affermare “Sento che lei può aiutarmi" oppure "Sento che
lei mi capisce. In questa fase, il paziente ha fiducia nel terapeuta che vede come una potente fonte
di aiuto; il terapeuta, da parte sua, si fa promotore di una relazione affettuosa, incoraggiante e
accurata.
-Alleanza di tipo 2: è basata sulla consapevolezza che entrambi, paziente e analista, sono
impegnati in un lavoro comune sui problemi del paziente, condividono la responsabilità del
raggiungimento degli obiettivi del trattamento, e sono uniti dal sentimento dell'"essere-insieme".
Per esempio, il paziente può dire: "Stiamo lavorando bene insieme” oppure "Sento che ora sono
più capace di comprendere i miei stati emotivi proprio come abbiamo sempre fatto qui insieme".
I due tipi di alleanza individuati da Luborsky si presentano in modo sequenziale durante il processo
terapeutico. Egli è uno dei primi autori a suggerire la possibilità di diverse tipologie d'alleanza, che
legge in termini processuali sostenendo la possibilità di un loro cambiamento nel corso
del trattamento.
76
obiettivi e ai compiti del trattamento) a un modello "relazionale" (dove il paziente negozia, in
modo esplicito e implicito, il proprio accordo con il terapeuta).
Come abbiamo visto, il dibattito teorico e la riflessione clinica intorno all'alleanza terapeutica si
possono collocare al crocevia tra costrutti limitrofi riconducibili alla relazione tra paziente e
terapeuta.
Parlare di alleanza terapeutica comporta inevitabilmente il riferimento a costrutti limitrofi quali il
transfert, il controtransfert, la relazione reale, l'attaccamento, l'empatia, che, nel loro insieme,
rappresentano le dimensioni costitutive della relazione tra paziente e terapeuta. La difficoltà nel
tracciare una linea di demarcazione tra transfert e alleanza terapeutica, da una parte, e alleanza e
relazione reale, dall'altra, dipende dal rapporto complesso che intercorre tra queste tre
componenti della relazione terapeutica. Esse, infatti, a livello processuale tendono a interagire,
sovrapporsi e influenzarsi mutuamente. È sempre l’alleanza terapeutica che fornisce il contesto
necessario all’analisi di transfert e controtransfert.
Quando parliamo di resistenza, secondo una prospettiva classica, facciamo riferimento a quei
processi che ostacolano il progredire della terapia e, in particolar modo, l'elaborazione da parte
del paziente di contenuti rimossi.
Lo sviluppo nella concettualizzazione del costrutto di resistenza è strettamente connesso al
passaggio da una psicologia monopersonale a una bipersonale, con un conseguente spostamento
del luogo e dell'origine della resistenza dal mondo intrapsichico del paziente a quello
intersoggettivo della relazione tra paziente e terapeuta.
Al tempo stesso gli sviluppi nella concettualizzazione dell'alleanza terapeutica, grazie soprattutto al
contributo della ricerca empirica, hanno portato a rileggere questa componente della relazione
come il prodotto emergente di un continuo processo di negoziazione intersoggettiva tra paziente e
terapeuta, caratterizzato da arresti (rotture) e avanzamenti (riparazioni) del processo terapeutico.
Nel corso degli anni la concettualizzazione è cambiata in modo abbastanza radicale e tali
trasformazioni hanno riguardato a) una diversa concezione delle fonti e delle motivazioni
sottostanti la resistenza; b) una ridefinizione del costrutto in un’ottica bipersonale; c) una
modificazione del concetto di resistenza, vista non soltanto come un ostacolo al processo, ma
anche come importante strumento al servizio del trattamento.
79
1. Dalla resistenza ai processi di negoziazione intersoggettiva
Secondo una prospettiva classica la resistenza veniva considerata una forma di opposizione al
lavoro analitico derivata da forze intrapsichiche. Freud distingue cinque principali tipi di resistenza.
- La resistenza di rimozione rappresenta la manifestazione clinica del bisogno del paziente di
difendersi da impulsi, ricordi e sentimenti che, se emergessero, potrebbero provocare uno stato
doloroso.
- La resistenza di transfert funziona in modo simile alla resistenza di rimozione, con la differenza
che quella di transfert riflette la lotta da parte del paziente rispetto a impulsi infantili emersi in
maniera diretta o modificata in relazione alla figura dell'analista. In altre parole, la situazione
analitica favorisce l'emergere di impulsi e sentimenti del passato trasferiti sula figura attuale del
terapeuta, e la resistenza interviene sempre attraverso il processo della rimozione, non
permettendo al paziente di ricollegare tali sentimenti a ricordi del passato ma intendendoli come
unicamente emergenti dalla relazione con l'analista. Essa comprende sia il rifiuto da parte del
paziente di comunicare pensieri ed emozioni riguardanti l'analista, sia l'accesso da parte del
paziente a pensieri transferali inconsci dai quali si difende.
- Nella resistenza da vantaggio secondario , la resistenza trae origine da vantaggi e gratificazioni
che il paziente otterrebbe per il fatto di essere malato: accudimento, compatimento, attenzioni
ecc. Questo tipo di resistenza può anche derivare dal soddisfacimento di un bisogno inconscio del
paziente di essere punito e da tendenze masochistiche.
- La resistenza dell'Es è determinata dalla resistenza che i moti pulsionali oppongono a ogni
mutamento della loro modalità di espressione. Un processo pulsionale che ha seguito per anni una
determinata strada e deve percorrere una nuova via che gli viene aperta opporrà resistenza.
- La resistenza del Super-lo è la resistenza che origina dal senso di colpa o dal bisogno di punizione
del paziente. Considerata da Freud come la più difficile da affrontare, tale resistenza poteva
assumere anche le forme della reazione terapeutica negativa. Secondo Freud il senso di colpa
inconscio che alimenterebbe la reazione terapeutica negativa avrebbe alle sue basi
una componente masochistica inconscia importante. Tale espressione veniva usata da Freud in
due accezioni: da una parte, la reazione terapeutica negativa per descrivere un particolare
fenomeno, secondo il quale il paziente improvvisamente peggiorava a seguito di un'esperienza di
miglioramento; dall'altra, la reazione terapeutica negativa come meccanismo psicologico
attraverso il quale il paziente poteva peggiorare o comunque perdurare nel suo stato di malattia al
fine di controllare un senso di colpa inconscio rispetto al miglioramento.
Secondo Freud la resistenza era intimamente connessa all'intera gamma dei meccanismi di difesa
che «contro i pericoli del passato ritornano nella cura sotto forma di resistenze contro-la
guarigione. Ciò significa che la guarigione stessa è trattata dall'lo alla stregua di un nuovo pericolo»
(Freud)
81
strutture d'interazione non collaborative che devono essere risolte ai fini del cambiamento
terapeutico.
83
Questi marker di rottura non devono essere necessariamente intesi come degli errori, ma possono
essere valutati anche come indicatori in grado di informare il terapeuta delle dinamiche attive nel
qui e ora della seduta e dell'esperienza controtransferale.
Così come i processi di resistenza del paziente possono essere intesi come delle finestre relazionali
sul mondo del paziente, cosi le resistenze del terapeuta possono essere intese come delle finestre
sul mondo interno del paziente, del terapeuta e sul processo terapeutico.
84
- la segnalazione o l'osservazione: il terapeuta circoscrive un'arca di osservazione e richiama
l'attenzione su una questione/problematica con l'obiettivo di ottenere dal paziente più
informazioni;
- la confrontazione: l'analista mostra al paziente due elementi contrapposti con l'obiettivo di
presentargli un dilemma o una contraddizione.
3. Tra gli interventi che hanno l'obiettivo di fornire informazioni troviamo:
- l'informazione stessa: il terapeuta dice al paziente qualche cosa che quest' ultimo non sa.
- la chiarificazione: il terapeuta illumina l'individuo su qualche cosa che egli conosce solo
indistintamente (la non conoscenza non riguarda, come invece accade nell'informazione, la realtà
esterna, ma è rivolta alla realtà interna e personale dell'individuo);
- l'interpretazione: il terapeuta si riferisce sempre a qualche cosa di personale dell'individuo e che
l'individuo stesso ignora.
Etchegoyen distingue gli interventi che informano sulla realtà esterna dall'interpretazione, che
informa sulla realtà interna, e non considera dunque come interpretazioni quegli interventi che un
terapeuta può fare rispetto all’ambiente dell’individuo (per esempio quando il terapeuta fornisce
un’interpretazione relativa al comportamento di un familiare del paziente).
4. L'ultimo raggruppamento di interventi a disposizione del terapeuta psicodinamico è costituito
dalle modificazioni dei parametri di tecnica. Tale espressione si ispira alla concettualizzazione di
Eissler (1953), secondo il quale, con alcuni pazienti e in particolari momenti della terapia in cui l'lo
del paziente non può sostenere la situazione analitica standard, il terapeuta può modificare alcuni
aspetti della sua tecnica (per esempio frequenza delle sedute, posizione vis-á-vis ecc.). Tale
modificazione però: a) deve essere messa in atto solo quando la tecnica di base è risultata
inefficace; b) deve essere attuata il minimo indispensabile; c) deve condurre alla sua auto-
eliminazione.
Un altro modo di classificare le tecniche terapeutiche, adoperato da Gabbard prevede la loro
collocazione lungo un continuum che va da un polo espressivo a uno supportivo.
Quanto più un intervento è vicino al polo supportivo tanto più sarà volto a rafforzare le difese del
paziente; viceversa, gli interventi più vicini al polo espressivo si caratterizzeranno per una
maggiore messa in discussione del funzionamento difensivo e saranno volti a individuare significati
nascosti dietro le libere associazioni del paziente.
Un'altra tassonomia degli interventi psicodinamici, nata nel contesto dei working parties della
Federazione europea di psicoanalisi (FEP), raggruppa le attività del terapeuta in sei tipołogie.
1. Interventi volti a mantenere un setting. Essi hanno lo scopo di mantenere le condizioni di base
del setting stabilite a inizio trattamento con il contratto terapeutico, conservando la situazione
analitica adeguata agli scopi terapeutici.
2. Interventi che aggiungono elementi discorsivi allo scopo di facilitare il processo inconscio.
Mirano a incoraggiare le libere associazioni e i collegamenti spontanei da parte del paziente, in
cui spesso il terapeuta sottintende altri significati (per esempio, il terapeuta ripete l'ultima parola
detta dal paziente con una certa enfasi).
3 Domande, chiarificazioni e riformulazioni. Questi interventi mirano a rendere consci alcuni temi
del materiale psichico del paziente. Vengono qui raccolti interventi del terapeuta del tipo "A cosa
sta pensando?" oppure riformulazioni "Quindi mi sta dicendo che...”.
4. Interventi intesi a disegnare il qui e ora emotivo e fantastico dello scambio con l'analista.
Questo gruppo include gli interventi del terapeuta che si focalizzano sulla dimensione transferale
(interpretazione di transfert).
5. Costruzioni finalizzate a fornire significati elaborati ai fatti clinici.
6. Reazioni improvvise ed eccessive che non è possibile mettere in relazione con il metodo o lo
stile abituale dell'analista. Questo insieme raccoglie gli interventi che non appartengono al
85
bagaglio tecnico dell'analista e che sembrano più rappresentare delle reazioni di quest 'ultimo alla
particolare situazione terapeutica.
Un aspetto da tenere in considerazione nel descrivere le attività del terapeuta riguarda la
dimensione psichica del paziente cui l'intervento si rivolge. in generale un intervento del terapeuta
può essere rivolto a uno o più dei seguenti aspetti.
- La relazione terapeutica e il qui e ora;
- Le altre relazioni;
- I meccanismi di difesa;
- Le resistenze;
- Le credenze patogene;
- Gli effetti;
- Le dinamiche e la storia di sviluppo.
Un particolare oggetto degli interventi prevede che le interpretazioni debbano essere rivolte
anche al modo in cui il paziente ha reagito a un precedente intervento del terapeuta.
Sistematizzare gli interventi del terapeuta prendendo in considerazione il contenuto psichico al
quale si rivolgono può aiutare a differenziare meglio le tipologie di comunicazioni dell'analista che,
seppur uguali per forma (per esempio l'interpretazione), si differenziano per il contenuto (per
esempio un'interpretazione indirizzata alle difese si differenzia da una di transfert) e che secondo
le indicazioni di Gabbard o del gruppo di lavoro della FEP andrebbero rubricate sotto la medesima
categoria A questo proposito è utile ricordare l'importante lavoro di sistematizzazione svolto da
Merton Gill (1954; 1982), il quale ha distinto le interpretazioni di transfert dalle interpretazioni
che non fanno alcun esplicito riferimento al transfert. All'interno della categoria "interpretazioni di
transfert” si possono distinguere le seguenti tipologie di interpretazioni.
1. Interpretazioni alla presa di coscienza del transfert.
2. Interpretazioni della resistenza alla risoluzione del transfert, che si suddividono a loro volta in:
a) interpretazioni di transfert nel qui e ora: "Lei crede che mi senta a disagio a causa del desiderio
omosessuale che prova nei miei confronti";
b) interpretazioni transferali genetiche: "La sua idea che io la critichi sempre ci riporta a quello che
secondo lei era l'atteggiamento di suo padre nei suoi confronti".
Riguardo le interpretazioni che non fanno alcun esplicito riferimento al transfert, distingue invece
due classi.
1. Interpretazioni contemporanee, volte unicamente a un'altra relazione interpersonale del
paziente: "Deve aver sentito gelosia quando sua moglie gliel'ha detto".
2. Interpretazioni genetiche, che si riferiscono a una situazione extratransferale legata allo
sviluppo: "Forse quando è nato suo fratello lei ha temuto che sua madre non la amasse più".
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L'interpretazione non deve dunque avere l'obiettivo di dare un senso al paziente, bensì di allargare
i possibili significati di senso.
Uno dei contributi più originali proviene da Christopher Bollas, il quale ha posto l'accento
sull'esperienza dell'interpretazione ancor più che sulla conoscenza derivante da essa.
L'esperienza che propone Bollas è derivata anche da quella che egli chiama "dialettica della
differenza" che si esprime attraverso il fatto che l'analista è incoraggiato, in alcune circostanze (per
esempio momenti di impasse o con pazienti gravi), a utilizzare in maniera espressiva il proprio
controtransfert: per esempio, condividendo con il paziente il modo in cui è arrivato a compiere
una determinata interpretazione o le proprie associazioni al fine di facilitare il processo associativo
del paziente stesso. Tale autosvelamento appare la naturale conseguenza dell'idea di Bollas di
sofferenza psichica, che si basa anche sull'impossibilità di un individuo di alternare in maniera
dialettica un rapporto con il proprio Sé come soggetto e oggetto. In altre parole, se l'obiettivo del
processo analitico deve essere quello di far entrare in relazione due soggetti all'interno della
stanza d'analisi, questo richiede che il terapeuta debba mostrarsi anche come soggetto e non solo
come oggetto di proiezioni.
Nella sua teorizzazione sul processo analitico Bollas (2013) critica aspramente la teoria della
tecnica kleiniana, centrata esclusivamente su interpretazioni nel qui e ora. Secondo lui
l'interpretazione di transfert, così come concettualizzata nel modello kleiniano, non sarebbe uno
strumento terapeutico bensì una resistenza dell'analista al processo di libere associazioni del
paziente. Un'interpretazione sistematica del transfert, nel continuo riferimento alla situazione
analitica andrebbe a limitare il range dei possibili significati inconsci delle comunicazioni e delle
libere associazioni del paziente, determinando una chiusura dell'esplorazione e risultando in una
forma di resistenza sistematica messa in atto dal terapeuta.
4. Self-discolosure
Una questione importante riguarda la definizione del termine "self-disclosure”, che può essere
usato in una sua versione allargata per indicare l'insieme delle comunicazioni (verbali e non) del
terapeuta che rivelano qualche cosa relativamente alla sua persona. Altri autori preferiscono una
definizione più ristretta, che esclude le self-disclosure non verbali (per esempio indossare una fede
nuziale), ma anche le selfdisclosure relative al qui e ora, in cui il terapeuta rivela la propria
esperienza della relazione con il paziente, che nella letteratura più recente, soprattutto empirica,
sono ricollegabili al concetto di "immediacy".
Secondo Colli è utile a fini didattici escludere dal concetto tutti gli aspetti non espliciti della
comunicazione, che sembrano avere funzioni, conseguenze e caratteristiche diverse dalle
comunicazioni esplicite, e considerare come self-discolosure qualsiasi espressione verbale,
volontaria o meno, inerente a sentimenti o informazioni riguardanti il terapeuta.
All’interno di questa definizione è possibile distinguere le self-disclosure in:
- autobiografiche, che fanno riferimento a tutte quelle comunicazioni del terapeuta rispetto alla
propria vita (età, relazioni affettive, esperienze del passato, hobby, preferenze, orientamento
ecc.);
- controtransferali (dette anche self-disclosure legate all'immediacy) nelle quali il terapeuta
comunica al paziente i propri vissuti rispetto alla relazione terapeutica, le proprie libere
associazioni ecc.
92
Tra le self-disclosure controtransferali possiamo includere le seguenti:
- Self-disclosure in cui il terapeuta comunica uno stato affettivo riferito al paziente: "Spesso con lei
mi sento come se camminassi sulle uova”.
- Comunicazioni su uno stato affettivo generale non direttamente riferito al terapeuta. Per
esempio, alla domanda diretta del paziente il terapeuta risponde: "Si, oggi sono un po' stanco".
- Self-disclosure rispetto alle proprie libere associazioni: "Prima le ho detto quella cosa perché
nella mia mente si è messa insieme l'immagine di lei bambino e quello che mi ha raccontato
appena è entrato in seduta”.
- Self-disclosure rispetto a errori commessi: "Adesso che mi dice queste cose mi viene da pensare
che quello che le ho detto prima era una vera e propria scemenza”.
- Self-disclosure rispetto a propri conflitti, che Hoffman (1992) definisce interventi "voglio dirle X
ma ho paura di Y": "A volte vorrei dirle come la penso e provare a darle un punto di vista
differente sulle cose che racconta e penso che questo potrebbe aiutarla, ma al tempo stesso temo
che lei possa risentirsene e ritirarsi”.
Per quanto riguarda l’utilità, molti detrattori sostengono che in generale questi interventi possono
inibire l'espressione del transfert o comunque distogliere l'attenzione da una sua elaborazione : un
terapeuta che risponde alla domanda del paziente se sia stanco o meno può in qualche modo
spostare l'attenzione dałl'analisi della dimensione transferale ("Come vive il fatto che le sembro
stanco?") Le self disclosure, inoltre, complicano ulteriormente il quadro analitico, rendendo
ancora più difficoltose per il terapeuta poter riconoscere gli elementi transferali del paziente: se il
transfert è distorsione della realtà, includere nel campo le comunicazioni personali del terapeuta
può rendere ancor più difficoltoso distinguere la distorsione dalla realtà interpersonale.
Pazienti adesivi, con evidenti problematiche nella capacità di riconoscere i propri stati interni e
uno sbilanciamento verso l'altro, possono chiedere con insistenza al terapeuta cosa egli pensa, ma
rispondere, tuttavia, potrebbe alimentare questa configurazione patologica e allontanare
l'esplorazione del mondo interno del paziente.
Al tempo stesso, però, il non rispondere o negare delle evidenze può favorire una situazione
caricaturale della scena analitica e andare a inficiare la scarsa sicurezza che molti pazienti hanno
rispetto alla capacità percettiva della mente propria e altrui, favorendo un processo di
invalidazione caratteristico per esempio dei pazienti borderline. Alcune self-disclosure di tipo
autobiografico (per esempio comunicare al paziente un comune interesse) possono avere
un'importante influenza sul senso di condivisione del paziente, soprattutto qualora lo stesso abbia
una personalità di tipo schizoide, che difficilmente lo fa sentire come appartenente al mondo
delle relazioni.
Le self-disclosure centrate sui processi associativi del terapeuta possono mostrare dal vivo al
paziente un processo creativo, un modo di usare la mente che in molti è "congelato". Al tempo
stesso, questo mostrarsi come soggetti e oggetti stimola una dialettica della differenza all'interno
del processo terapeutico. Questa posizione potrebbe però essere interpretabile come il frutto del
narcisismo del terapeuta e del suo bisogno di essere al centro del processo terapeutico,
comunicando i processi mentali, le immagini o gli stati affettivi che l'hanno condotto a quella
specifica interpretazione.
Un altro tipo di self-disclosure riguarda quei casi in cui il terapeuta ammette un errore, riconosce
le proprie difficoltà rispetto alla comprensione del paziente oppure esplicitamente dice di non
essere più in accordo con qualche cosa che aveva affermato: in generale questi interventi aiutano
il paziente a vedere il terapeuta come un essere umano, a ridurre in sé la sensazione di sentirsi
l'unico sbagliato e dotato di conflitti, può. trasmettere inoltre un grande senso di libertà rispetto
alla possibilità di sbagliare.
93
Un altro punto spesso dibattuto è rappresentato dalla spontaneità o meno delle self-disclosure.
Alcuni sostengono che non possono in alcun modo essere tecnicizzate e che quindi sono utili solo
quelle spontanee e non quelle che il terapeuta volontariamente comunica al paziente: altri autori
invece, pur riconoscendo l'importanza delle self-disclosoure volontarie tanto da stilare una serie di
principi al loro utilizzo, riconoscono che anche le self-disclosure non volontarie possono essere
utili. Da questo punto di vista l'argomento assai complesso, poiché prende in causa il problema
di quanto sia realmente libero il terapeuta e quanto la comunicazione di una self-disclosoure sia
riconducibile a un'espressione di volontà da parte del terapeuta. Partendo dal presupposto che
ogni comunicazione è un atto, e che paziente e terapeuta partecipano attivamente alla costruzione
di una trama narrativa, tutte le self-disclosure sono un prodotto di questa matrice e definirne
alcune come "volontarie" appare problematico. Possiamo tuttavia distinguere tra self-disclosure in
cui la dimensione di controllo da parte del terapeuta è assai ridotta, che fanno riferimento a
informazioni che escono dalla bocca del terapeuta, e self disclosure in cui il controllo volontario da
parte del terapeuta è maggiore, nelle quali il terapeuta sembra dire "adesso rivelo questa
informazione al paziente".
Una self-disclosure non volontaria avrà il pregio di suonare più autentica agli occhi dei pazienti,
generalmente molto sensibili rispetto al fatto che ciò che viene detto loro sia espressione di un
dovere professionale, una questione tecnica.
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attraverso l'abbassamento della tensione, mentre il processo secondario segue il principio di
realtà, che mira a rinviare tale soddisfacimento in funzione dell'adattamento alla realtà esterna.
Freud mostra come nel sogno siano molto più osservabili i fenomeni del processo primario di
pensiero e quindi il rapporto tra funzionamento inconscio e funzionamento conscio della mente. I
sogni rappresentano la «via regia che porta alla conoscenza dell'inconscio nella vita
psichica (Freud) e sono portatori di un significato da svelare.
Il sogno sancisce - insieme alle libere associazioni - l’abbandono dell’ipnosi e la nascita della
psicoanalisi. il passaggio dall’ipnosi al sogno risulta fondamentale per permettere una reale
comunicazione tra il conscio e l’inconscio, che rappresentano due diversi di funzionare della
mente.
1.3. La formazione della scena del sogno: raffigurabilità, condensazione, spostamento, simboli
La scena del sogno è una formazione di compromesso e Freud descrive i principi attraverso i quali
tale scena si costituisce. In primo luogo si pone la questione della raffigurabilità visto che la
struttura del sogno è data da immagini sensoriali (l'elemento allucinatorio). La raffigurabilità è il
processo di base del lavoro onirico che segue la via inversa (regressione) rispetto a quella che
porta all’azione motoria.
Freud sottolinea che a questo livello del processo non esistono nessi logici tra i vari elementi della
scena, poiché le connessioni logiche riguardano il pensiero verbale ma non quello sensoriale: la
negazione, i rapporti causali e la contraddizione non sono raffigurabili.
I pensieri, tradotti in immagini, coesistono uno accanto all'altro oppure vengono trattati da
particolari meccanismi. Il primo è la condensazione, meccanismo grazie al quale due o più
rappresentazioni vengono condensate in una (per esempio, l'immagine di una persona ignota che
è un condensato di caratteristiche di persone note). Il secondo meccanismo è lo spostamento,
attraverso cui una carica affettiva viene spostata dalla rappresentazione a cui era originariamente
legata a un'altra rappresentazione di minore rilevanza (per esempio, la rabbia nei confronti della
propria madre viene spostata sull'immagine di una estranea che è stata scortese). Infine, il terzo
fenomeno è la presentazione per simboli, in cui una rappresentazione rimanda a
un'altra rappresentazione secondo un rapporto di analogia formale (per esempio, un aereo che
atterra in una galleria che simboleggia una penetrazione sessuale).
Il funzionamento simultaneo di tutti questi meccanismi conferisce quindi forma agli elementi della
scena onirica.
2. Concettualizzazioni contemporanee
Thomas Ogden, sviluppa il pensiero di Winnicot e Bion e offre una teorizzazione sul sogno che
assume come capisaldi sia il concetto di spazio potenziale di Winnicott che quello di pensiero
onirico della veglia di Bion. Lo spazio potenziale viene inteso come un terzo spazio che si forma
nella relazione fra due individui, all'interno del quale si realizza il processo di individuazione.
La relazione analitica, secondo Ogden, favorisce lo sviluppo di questo spazio potenziale, che in
analisi egli definisce come terzo analitico intersoggettivo. Se il clinico sarà capace di supportare il
paziente nel riconoscimento di questa ulteriore dimensione della relazione, lo aiuterà a vivere
l'esperienza del sognare come un'esperienza trasformativa di sé. In tal senso il sognare, che è un
fenomeno sia del sonno che della veglia, rappresenta la possibilità di trasformare in esperienza
psichica ciò che il soggetto ha vissuto senza poterlo elaborare. La psicoanalisi diventa l'arte di
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"sognare sogni non sognati”, cioè di aiutare il paziente a vivere quelle esperienze di sé che non è
stato in grado di esperire, attraverso la funzione onirica della mente dell'analista, cioè la rêverie.
James Fosshage (1997), seguendo Kohut, avanza l’idea che il sogno abbia come funzione lo
sviluppo, la regolazione e la reintegrazione dei processi dell’organizzazione psichica. I sogni
proseguirebbero il lavoro di elaborazione che avviene nello stato di veglia, volto alla risoluzione
dei conflitti intrapsichici. In. questo senso, secondo lui, l'attività onirica può portare a una
riorganizzazione creativa, alla soluzione di conflitti, alla capacità di risolvere problemi. Il sogno,
assume una funzione evolutiva che possiamo definire come l'emergere di nuove configurazioni del
Sé. Tale funzione evolutiva si affianca a una funzione regolativa, che si riferisce alla modulazione e
conservazione dell'organizzazione psicologica in corso.
Antonino Ferro (2000), rielaborando soprattutto il pensiero di Bion, propone uno sviluppo del
concetto del sogno come fenomeno sia del sonno che della veglia. Il processo onirico è sempre in
corso, si sviluppa e si orienta all'interno di una vicenda relazionale di base e dà continuamente
segno della sua presenza in analisi attraverso le comunicazioni del paziente . Tali comunicazioni
sono derivati narrativi degli elementi alfa, immagini visive narrate dal paziente o suggerite dalla
réverie del clinico, che consentono di sviluppare una narrazione condivisa che libera l'esperienza
emotiva prevalente in ogni momento della seduta, "in tempo reale” consentendo al paziente di
elaborare ciò che non poteva essere pensato ed emotivamente vissuto.
Lucio Russo, rielaborando soprattutto il pensiero di Freud e Khan, propone l'idea dei due sogni.
Esisterebbero due livelli del sogno: - il primo è il sogno come testo da decifrare, il sogno
raccontato attraverso una funzione narrativa, legato al linguaggio, inevitabile e necessario
strumento sia del racconto onirico che della sua interpretazione; il secondo è l'impensato
del sogno, cioè lo spazio onirico, la soggettività sognante che è fuori dal testo del sogno e può
essere intuito, a volte, dalle sue lacune. Russo riunisce l'idea freudiana che esista un ombelico del
sogno, un punto d'origine inconoscibile della funzione onirica e l'idea di Khan di
un'esperienza soggettiva del sogno, una funzione elaborativa dell'esperienza di sé. Entrambi i livelli
del sogno devono far parte del lavoro analitico, perché durante la seduta l'analista riceve dal
racconto del sogno due messaggi diversi contemporaneamente, che egli deve articolare nell'
interpretazione. Le lacune e i vuoti del racconto, infatti, non vanno letti come resistenze, ma come
tentativi del sognatore di prendere contatto con l'esperienza del sognare. Esse offrono
l'opportunità di aiutare il paziente ad articolare i significati inconsci del sogno con l'autoesperienza
di sé non integrata (impensata), per favorire un processo di integrazione.
L'adolescenza è un processo trasformativo che traghetta la mente verso l'età adulta e ha come suo
tratto distintivo quello di essere un momento di crisi, di passaggio, di "turmoil" (agitazione), un
periodo durante il quale il soggetto vive una "crisi di identità".
Tra gli autori psicodinamici che hanno contribuito alla conoscenza di questa fase di vita notiamo
Peter Blos, Eglè e Moses Laufer e Winnicot.
101
1. Modelli psicodinamici della comprensione del processo adolescenziale
La psicoterapia degli adolescenti solleva problemi sia di ordine teorico che tecnico legati
all'impatto che il suo svolgimento determina sul processo adolescenziale stesso. Proprio in questo
periodo evolutivo vengono riattivati contemporaneamente conflitti arcaici, edipici e attuali che
hanno una diretta ripercussione sul tipo di relazione e sulla dinamica transferale che l'adolescente
stabilisce con il proprio terapeuta. La contemporanea presenza di modalità di funzionamento
psichico proprie dell'infanzia e processi nuovi, come il pensiero astratto, insieme alla pressione
biologica del corpo e l'accentuata impulsività che ne scaturisce, impongono delle riflessioni su
quanto una psicoterapia debba saper bilanciare elementi regressivi e progettualità di sviluppo.
Un'ulteriore condizione è la presenza di tematiche narcisistiche che richiedono al terapeuta
il compito di porsi come una figura nuova, un adulto differente dal genitore, altrimenti gli elementi
persecutori dominano la scena. Per l'adolescente, gli adulti sono meri detentori di una struttura di
potere e di controllo, non dei depositari di conoscenze e capacità, acquisiti per esperienza, che
sono disposti a condividere. Il terapeuta per posizione duplice di conduttore e di adulto
rischia costantemente di essere attaccato e abbandonato, perché vissuto in modo invadente e
persecutorio. L'intervento clinico per l'adolescente deve costituire prima di tutto la formazione di
una relazione terapeutica efficace all’interno della quale riprodurre ed elaborare le diverse
conflittualità emergenti. Molti autori condividono un punto rilevante, ossia quanto sia
determinante nella conduzione di una psicoterapia con un adolescente il rapporto che il terapeuta
ha con la sua esperienza adolescenziale e con gli aspetti residuali di essa.
Vi sono due principali direttrici che raggruppano diversi modelli teorici dell'adolescenza: una
riguarda le teorie che studiano questa epoca della vita come un processo con fasi specifiche e una
peculiare linearità ontogenetica; l'altra raggruppa le teorie che si focalizzano sulla comprensione
della crisi evolutiva e sugli stravolgimenti fisici e psichici che essa determina. Nel primo caso
l'adolescenza rappresenta un processo che implica diversi compiti che devono essere realizzati per
passare all'età adulta, accedere alla stabilità delle relazioni d'oggetto e alla possibilità di diventare
a propria volta genitori; nel secondo caso, dove l'accento è sull'interpretazione
dell'adolescenza come periodo critico, la distinzione tra manifestazioni proprie di questa fase e i
disturbi permanenti è difficile. In entrambe le prospettive, tuttavia, la peculiarità l'eccezionalità e
la variabilità che contraddistingue l’adolescenza rappresenta l'elemento condiviso da tutti gli
autori.
1.3. L’influenza dell’ambiente primario, le memorie implicite e gli stati della mente nello
sviluppo adolescenziale
Diversi autori pongono lo sguardo sulla maturazione e interiorizzazione di relazioni oggettuali
efficaci. Tra coloro che mettono al centro il ruolo delle relazioni d'oggetto nella costituzione e
risoluzione delle conflittualità adolescenziali vi è Winnicott, che non si limita allo studio
dell'adolescenza in sé, ma indaga circa la relazione tra le problematiche adolescenziali e l'ambiente
di sostegno. Egli osserva infatti che molte delle difficoltà degli adolescenti dipendono da
"insufficienze ambientali", dove l'ambiente è inteso nella sua accezione più generica: società,
autorità e istituzioni che hanno a che fare con ragazzi e ragazze a questa età, genitori, famiglia.
Secondo Winnicott, l'adolescente si ritrova, come il bambino, ad affrontare un forte senso di
isolamento, che riesce a superare nel momento della sua costituzione come individuo distinto,
cioè capace di formare rapporti con oggetti a lui esterni e al di fuori della sua sfera di controllo
onnipotente. In tal senso si mette in evidenza l'importanza del tema della separazione dalle figure
genitoriali e le vicende depressive legate a tale processo.
Il contesto è quindi chiamato ad accettare la crisi depressiva dell'adolescente, intesa appunto
come distacco dagli oggetti primari e sopportazione di non sentirsi ancora reali, come una fase di
sviluppo attraverso un processo naturale di crescita. Il ruolo terapeutico è di accompagnare questo
processo evolutivo nell'idea che la migliore cura dell'adolescenza sia il passare del tempo,
riuscendo a sopportare che gli adolescenti transitino per un certo periodo attraverso una fase in
cui si sentono futili e non hanno ancora trovato se stessi. Per Winnicott ci si trova quindi in una
fase di transizione, in cui si oscilla tra la capacità di reggere la depressione del non sentirsi ancora
reali e compiuti e l'uso dell'aggressività e degli acting-out, che hanno una
funzione apparentemente e temporaneamente integrativa e autoaffermativa.
Gli approcci teorici più recenti, sempre del gruppo indipendente britannico cercano di integrare
il processo adolescenziale nell'interazione individuo-ambiente, alla luce delle ricerche scientifiche
dell'Infant Research, delle neuroscienze e delle scienze cognitive. Queste teorie mettono al centro
il ruolo della memoria procedurale, dove si depositano i derivati esperienziali della ritualità
familiare, veicolata dalle interazioni quotidiane tra il figlio e la famiglia attraverso cui il soggetto
apprende ad adattarsi al proprio contesto. Il modo in cui l'ambiente primario ha risposto alle cure
del bambino si depositerà nella mente procedurale del bambino prima e dell'adolescente poi,
strutturando le modalità di gestione delle relazioni intime. Questa scoperta ha permesso di
comprendere meglio come ogni soggetto sia il risultato di interazioni multiple e di quanto la
costruzione del mondo interno sia dipendente dai depositi esperienziali con il contesto primario di
riferimento. In questa prospettiva, diventano centrali due processi di maturazione che
determinano il buon esito del processo adolescenziale.
1. Il passaggio al pensiero delle operazioni formali e la comprensione interpersonale.
2. Il processo di separazione dalle figure genitoriali e dalle loro rappresentazioni interne.
In altre parole, i disturbi dell'affettività adolescenziale possono essere pensati in termini di
un'inadeguata consolidazione della capacità simbolica. Secondo Fonagy e Target l'aumento della
complessità cognitiva è ciò che può guidare, ma anche deviare, il raggiungimento
della separazione. Tale conquista obbliga l'adolescente a integrare pensieri sempre più numerosi e
104
complessi riguardo ai propri e gli altrui sentimenti e motivazioni. Come conseguenza di ciò vi è una
ipersensibilità agli stati mentali che può sopraffare la capacità dell'adolescente nell'affrontare sia i
pensieri che i sentimenti. Questo può portare a un breakdown apparentemente critico
nella capacità di mentalizzare, al ritiro dal mondo sociale e all’ intensificazione di ansia e agiti. La
misura in cui questi cambiamenti portano a delle difficoltà a lungo termine può dipendere non
solamente dalla solidità delle strutture psichiche dell'adolescente, ma anche dalla capacità
dell'ambiente di supportare l'indebolimento della funzione di mentalizzazione nell'adolescente.
L'obiettivo della terapia cognitiva è quello di regolare questo bias all’interno del sistema di
elaborazione dell'informazione smorzando la valenza eccessiva di schemi negativi o disfunzionali
(per esempio, credenze e modi d'agire) e rinforzando l'accesso a modelli di pensiero più adattivi .
107
- Struttura cognitiva: racchiude concetti che si riferiscono all’immagazzinamento o
all’organizzazione dell’informazione (per es. schemi, rappresentazioni di significato e reti
semantiche).
- Proposizioni cognitive: racchiude concetti che si focalizzano sul contenuto dell’informazione
archiviata nelle strutture mnestiche (per esempio idee, credenze e comportamenti).
- Operazioni cognitive: riguardano processi responsabili del funzionamento del sistema di
elaborazione dell’informazione (per esempio, attenzione selettiva, codifica, recupero).
- Prodotti cognitivi: sono il risultato finale del processo di elaborazione dell’informazione (per
esempio, pensieri automatici, immagini mentali, appraisal o interpretazioni).
Il modello cognitivo offre una prospettiva sulla psicopatologia sia a livello descrittivo sia a livello di
vulnerabilità individuale (A.T. Beck, 1987).
Al livello descrittivo della concettualizzazione, il modello cognitivo ritrae l'organizzazione e la
funzione delle diverse strutture, processi e prodotti cognitivi che caratterizzano il funzionamento
cognitivo durante gli episodi sintomatici acuti. Due ipotesi ritenute particolarmente rilevanti a
questo livello descrittivo sono la specificità del contenuto cognitivo e il primato cognitivo (D.A.
Clark et al., 1999):
1. Ipotesi della specificità del contenuto cognitivo: ciascun disturbo psichiatrico o psicologico ha
un suo distintivo profilo cognitivo riguardante determinati contenuti o temi all'interno dei pensieri,
delle immagini, delle credenze e delle valutazioni disfunzionali che vanno a definire il disturbo.
2. Ipotesi del primato cognitivo: i pensieri e le credenze disadattive hanno un'influenza diretta sui
sintomi comportamentali, emotivi, somatici e motivazionali dei disturbi psicopatołogici.
Le differenze individuali sono viste in termini di una sottostante vulnerabilità cognitiva, la quale
rimane latente e inattiva finché non viene attivata da un'esperienza significativa. Il modello
cognitivo assume la prospettiva "diatesi-stress" secondo la quale determinati schemi centrali
disadattivi, risultato di esperienze negative infantili, restano inattivi finché non vengono stimolati
da un evento di vita corrispondente (A.T. Beck, 1987). Per esempio un soggetto predisposto alla
depressione potrebbe avere uno schema centrale del sé fondato sull'abbandono e sul rifiuto, che
rimane latente fin quando non viene attivato da un evento, come per esempio la minaccia della
perdita di una relazione importante. Una volta che questi schemi disadattivi vengono attivati, essi
tendono a dominare il processo di elaborazione dell'informazione conducendo ai ben noti sintomi
della depressione.
Errori cognitivi
Gli errori cognitivi più comuni riscontrati in pazienti con disturbi psichiatrici sono:
-L’inferenza arbitraria: che consiste nel giungere a una certa conclusione in assenza di prove o
quando la prova è contraria alla conclusione.
- l’astrazione selettiva: consiste nel concentrarsi su un dettaglio fuori dal contesto e ignorare altre
più importanti caratteristiche della situazione.
- L’ipergeneralizzazione: concsiste nel giungere a una conclusione sulla base di uno o più incidenti
isolati.
- Il pensiero dicotomico: è la tendenza a classificare l’esperienza in una o due categorie estreme,
ignorando variazioni più moderate.
- La personalizzazione: è la tendenza a mettere in relazione eventi esterni con se stessi.
- La sopravalutaziune: è l’esagerare o il minimizzare il significato o sottovalutazione o la portata di
un evento.
Aaron T. Beck pensava che le immagini i pensieri automatici negativi fossero il prodotto di un
sistema distorto di analisi dell'informazione di particolare importanza nella comprensione della
disfunzione cognitiva nelle situazioni cliniche. Egli notò che tendono a essere specifici a seconda
delle preoccupazioni del momento, e sono atti mentali involontari altamente plausibili rispetto allo
stato affettivo del momento o alle disposizioni personali. Nonostante i pensieri
automatici potrebbero non essere immediatamente evidenti all'individuo, con l'addestramento il
paziente può imparare ad accedere a questo materiale cognitivo.
Immagini e pensieri automatici costituiscono l'oggetto primario dell’intervento cognitivo. La
correzione del sistema distorto di elaborazione dell'informazione e la modificazione degli schemi
disfunzionali sottostanti avvengono quando i terapeuti aiutano ripetutamente il paziente a
identificare e ristrutturare immagini e pensieri disadattivi associati all'esperienza personale.
Strategie compensatorie
Judith Beck (1995) ha introdotto l'espressione " strategie compensatorie" per riferirsi alle risposte
comportamentali messe in atto per fronteggiare le proprie credenze nucleari disfunzionali. Per
esempio, un paziente con una convinzione nucleare del tipo "non sono amabile" potrebbe
comportarsi con gli altri in modo compiacente, cercando in tutti i modi di guadagnarsi il loro
favore. Una persona che crede "io non sono molto intelligente" potrebbe prepararsi strenuamente
a un incarico di lavoro in modo da compensare i deficit percepiti nelle proprie abilità intellettive.
L'identificazione e la modificazione delle strategie compensatorie e delle credenze è
un'importante componente della terapia cognitiva, specialmente nel trattamento dei pazienti che
presentano un disturbo di Asse II.
Disturbo bipolare
Il disturbo bipolare è condizionato da life events, sia negativi sia positivi.
I pazienti con un disturbo bipolare in remissione hanno una memoria
autobiografica ipergeneralizzata, al pari di individui con depressione unipolare (Mansell, Lam,
2004). I soggetti vulnerabili a episodi maniacali ricordano maggiormente elementi positivi, ma
anche molti fattori negativi, il che porta a pensare a una memoria polarizzata in entrambi i sensi e
ipergeneralizzata. Per certi versi, i pazienti bipolari mostrano una propensione a sopravalutare gli
110
aspetti positivi del presente quanto una sopravalutazione degli eventi negativi contenuti nella
memoria. Questi risultati possono offrire qualche sostegno all'ipotesi di una difesa maniacale:
l’attenzione esplicita posta sulla positività nella mania potrebbe essere una strategia difensiva di
padroneggiamento per compensare le esplicite distorsioni negative anch'esse presenti.
Disturbi d'ansia
Aaron Beck e colleghi (1985) hanno teorizzato che bias selettivi nell'elaborazione dell'informazione
conducono i soggetti predisposti all'ansia a percepire alcune situazioni interne o esterne come
minacciose, e a percepire se stessi come incapaci di fronteggiare queste minacce in modo efficace.
I soggetti affetti da ansia patologica percepiscono la minaccia dove gli altri non lo fanno, sono
incapaci di valutare le sicurezze in modo adeguato e rinforzano la loro ansia attraverso
comportamenti di fuga e di evitamento. Il fatto che vi siano alcuni costrutti cognitivi chiave comuni
a diversi disturbi d'ansia specifici dimostra che esiste una sottostante vulnerabilità cognitiva che
predispone all'ansia; questi costrutti includono:
- anxiety sensitivity (sensibilità all'ansia), cioè paura del significato e delle conseguenze di sintomi
collegati all'ansia;
- rimuginazioni patologiche
- fusione azione-pensiero (convinzione che pensieri e comportamenti abbiano degli effetti
reciproci ed equivalenti;
- intolleranza dell'incertezza.
Disturbi di panico
Secondo la teoria cognitiva, gli elementi che caratterizzano il disturbo di panico sono un'elevata
ansia anticipatoria, la tendenza a interpretare erroneamente determinate sensazioni corporee in
maniera catastrofica, eccessiva attenzione alle percezioni corporee, la dipendenza da fuga ed
evitamento, e altre misure di ricerca di sicurezza volte a ridurre l'ansia e la minaccia associate al
panico.
Diversi errori cognitivi come per esempio gli errori nel ragionamento emozionale e
l'ipergeneralizzazione, conducono a frequenti e acuti episodi di apprensione o ansia anticipatoria,
e i soggetti con una propensione al panico spesso rifuggono o evitano tutte quelle situazioni che
prevedono la possibilità di sperimentare i sintomi di un attacco di panico. Se l'evitamento non è
possibile, essi metteranno in atto dei comportamenti di ricerca di sicurezza come la compagnia di
qualcuno o l'assunzione di ansiolitici; questi comportamenti possono rinforzare le cognizioni
terrificanti perché privano i soggetti della possibilità di scoprire che la catastrofe che essi
anticipano non accadrà.
Fobia sociale
Il modello cognitivo propone che i soggetti affetti da fobia sociale siano irragionevolmente
intimoriti dal fatto di poter diventare oggetto di attenzione da parte degli altri. Essi temono di agire
in modo goffo, di essere valutati negativamente dagli altri o di essere criticati per il loro aspetto
fisico o per le loro performance sociali. Temono che le manifestazioni fisiche dell'ansia (arrossire,
sudare, tremare) possano risultare evidenti agli altri, e tutto ciò è fonte di umiliazione.
I soggetti socialmente ansiosi tengono eccessivamente in considerazione gli standard delle loro
performance sociali e sono convinti che anche gli altri abbiano le loro stesse esagerate aspettative.
Essi presentano delle credenze disfunzionali riguardo alla probabilità di conseguenze negative
associate alle loro performance sociali. (La gente mi giudicherà negativamente), cosi come
convinzioni negative rispetto al loro Sé sociale ("Sono noioso" o "Sono una persona socialmente
inadeguata").
111
Le persone socialmente ansiose formano una rappresentazione dello schema di sé sulla
convinzione di come gli altri li percepiscono, e ciò conduce a un'eccessiva elaborazione di sé come
oggetto sociale.
Anche quando assistono alle reazioni degli altri, questi soggetti mostrano un bias di elaborazione
selettiva nei confronti delle informazioni di contenuto negativo, le quali vanno a rinforzare le
credenze nucleari negative riguardo a loro stessi.
L'attivazione degli schemi nella fobia sociale riguarda spesso un'elaborazione sia anticipatoria sia a
posteriori dominata da una valutazione negativa di sé e la focalizzazione sui feedback negativi
percepiti da parte degli astanti.
113
Ogni disturbo di personalità è caratterizzato da convinzioni condizionali che provengono dalle
convinzioni nucleari.
La relazione terapeutica
La relazione terapeutica nella CBT è caratterizzata da un elevato livello di collaborazione tra
paziente e terapeuta e da un'impronta empirica del lavoro terapeutico. A.T. Beck e colleghi (1979)
hanno definito empirismo collaborativo questo tipo di relazione terapeutica e i metodi utilizzati
per aumentarla consistono nel lavorare insieme come una squadra investigativa; nel promuovere
114
variabili essenziali aspecifiche del terapeuta (per esempio, calore umano); incoraggiare
l’automonitoraggio e l’autoaiuto; mettere a punto un’accurata valutazione della validità delle
cognizioni e dell’efficacia dei comportamenti; sviluppare strategie di coping per lacune reali e
deficit effettivi; fornire e richiedere feedback; essere responsivi alle differenze e alle tematiche
socioculturali; personalizzare l’intervento terapeutico, ricorrere in modo appropriato allo humor.
Questi sono tutti elementi necessari per promuovere una solida alleanza terapeutica.
Intervento psicoeducativo
Uno dei principi della CBT è l'affidarsi all’ intervento psicoeducativo come modalità di
insegnamento ai pazienti di competenze e concetti di base. Il processo educativo durante la seduta
si mostra particolarmente efficace se viene tessuto all'interno del lavoro terapeutico su recenti
situazioni emotivamente rilevanti, e se fornisce una reale dimostrazione della validità dei principi
della CBT. Per esempio, un uomo d'affari di 55 anni affetto da depressione e problemi di gestione
della collera racconta in seconda seduta di sentirsi molto in colpa per essere "esploso" con la sua
assistente in quella stessa giornata. Il terapeuta approfitta dell'opportunità per educare il paziente
nel dettagliare l'evento attivante; nell'identificare specifici pensieri automatici; e nel definire le
emozioni provate in quella situazione. In questo primo tentativo di addestrare il paziente al
modello di base della CBT, il terapeuta costruisce un diagramma che rappresenti la relazione tra gli
115
eventi, le cognizioni e le emozioni e successivamente usa questo diagramma per spiegare la
natura dei pensieri automatici. Dal momento che la situazione è molto importante per il paziente e
gli suscita intense emozioni, la lezione appresa durante lo scambio terapeutico sarà probabilmente
ricordata e messa in pratica.
Diversi metodi educativi possono essere assegnati come compiti da svolgere a casa. Manuali di
autoaiuto e opuscoli vengono attivamente utilizzati nella CBT.
I programmi per computer della CBT sono risorse psicoeducative particolarmente valide perché
migliorano l'efficacia del trattamento agendo come "assistenti" del terapeuta. La CBT computer-
assistita può rinforzare l'apprendimento del paziente, approfondire la sua capacità di
comprensione dei principi della CBT, e promuovere l'uso di metodi di autoaiuto. Wright e colleghi
(1995, 2002, 2004, 2005) hanno introdotto una forma multimediale di terapia cognitiva computer-
assistita, pensata per essere facilmente accessibile all'utente e costruita su misura per un'ampia
gamma di persone, comprese quelle prive di esperienza con computer e tastiere. Questo
programma (Good Days Ahead: The Multimedia Program for Cognitive Therapy) usa un formato
DVD-ROM e contiene una vasta quantità di materiale video e audio in aggiunta a esercizi interattivi
di autoaiuto.
La ricerca su questo programma ha mostrato un ottimo grado di accettazione da parte dei pazienti
e una sostanziale efficacia nella riduzione dei sintomi della depressione (Wright et al., 2002,
2005).
Tecniche cognitive
Gli interventi cognitivi usati nella CBT sono progettati prima per identificare e poi per modificare il
pensiero disfunzionale a due livelli principali dell'elaborazione cognitiva: pensieri automatici e
convinzioni nucleari (schemi).
- Scoperta guidata. La scoperta guidata è una delle tecniche più frequentemente utilizzate
nell'intento di aiutare i pazienti ad articolare i pensieri automatici all'interno della seduta. Questo
procedimento riguarda una cauta evocazione, esplorazione e interrogazione del pensiero del
paziente. Invece di cercare di confutare un'idea del paziente o convincerlo ad adottare un'idea
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alternativa, i terapeuti pongono domande secondo uno stile socratico per incoraggiare il
paziente a espandere la sua prospettiva e renderlo partecipe in modo attivo del processo di
apprendimento.
- Riconoscimento dei cambiamenti d'umore. Uno dei modi più efficaci per insegnare ai pazienti
come identificare i pensieri automatici è quello di trovare un esempio tratto dalla vita reale in
cui tali pensieri influenzano le loro risposte emotive. Un cambiamento dell'umore durante la
seduta può essere un momento opportuno per il terapeuta per facilitare l'identificazione dei
pensieri automatici. Quando il terapeuta osserva il manifestarsi di una forte emozione come la
tristezza, l'ansia o la rabbia, può chiedere al paziente di descrivere i pensieri che hanno
attraversato la sua mente giusto poco prima del cambiamento di umore. Durante il periodo di
attivazione affettiva, i pensieri automatici e gli schemi possono essere estremamente chiari e
accessibili. Quindi i terapeuti devono approfittare dei cambiamenti d'umore che accadono
spontaneamente durante la seduta e possono rivolgere al paziente una serie di domande in grado
di produrre risposte emotivamente intense.
- Imagery e role-playing. L’imagery e il role-playing sono due metodi per far emergere i contenuti
del pensiero quando le domande dirette non hanno successo (o lo hanno solo parzialmente) nel
rivelare il pensiero automatico sottostante. Con alcuni pazienti, questa procedura può essere
introdotta semplicemente domandando di immaginare se stessi in una situazione passata
particolarmente problematica o emotivamente intensa e di descrivere i pensieri che hanno avuto.
Altri pazienti necessitano di domande facilitanti per poter "vedere" la scena. Il terapeuta può
chiedere di descrivere dettagliatamente il contesto. Quando e dove si è verificato l'evento? Cosa è
accaduto immediatamente prima? Come sono apparsi i protagonisti della scena?
Qual è stata la caratteristica principale del contesto? Queste domande rendono la scena viva nella
mente del paziente e facilitano il recupero delle risposte cognitive in quella situazione.
Gli obiettivi del role-playing sono simili. Con questa procedura il terapeuta pone una serie di
domande nel tentativo di comprendere situazioni disturbanti in contesti interpersonali o sociali.
Con il consenso del paziente il terapeuta assume il ruolo dell'altro all'interno della scena mentale,
e facilità la recitazione congiunta di un insieme di possibili risposte. Se necessario, i ruoli possono
essere invertiti per richiamare meglio i pensieri automatici significativi.
- Checklist dei pensieri automatici. La checklist dei pensieri fornisce un altro metodo per aiutare i
pazienti a identificare le cognizioni disfunzionali. Possono anche essere utilizzati dei
programmi informatici per addestrare i pazienti a sviluppare liste personalizzate di pensieri
automatici negativi e di altri tipi di cognizione.
- Registrazione dei pensieri. Sebbene i pazienti possano registrare i loro pensieri in diversi modi, i
più cominciano utilizzando la tecnica delle due colonne (“Situazione” e “Pensiero automatico”). È
richiesto al paziente di descrivere una situazione nella prima colonna e di riportare nella seconda
le emozioni associate a quella situazione. In alternativa, un'esercitazione a tre colonne può
includere una descrizione della situazione, una lista dei pensieri automatici e una lista di emozioni
a essi associate.
La registrazione dei pensieri aiuta il paziente a riconoscere gli effetti dei pensieri automatici
sottostanti e a comprendere come il modello di base della CBT (per esempio, la relazione tra
situazioni, pensieri, emozioni e comportamenti) possa essere applicato alle sue esperienze.
- Esame delle prove. L'esame delle prove è una tecnica nella quale paziente e terapeuta esplorano
in modo collaborativo le prove pro e contro uno specifico pensiero o una convinzione distorta. Il
terapeuta, man mano che si procede con l'esercizio, scrive il pensiero o la convinzione in cima a un
foglio e traccia due colonne che riguardano le "prove a favore" e le "prove a sfavore" di tale
pensiero o. convinzione. Quindi il paziente viene guidato in una esplorazione metodica e gli viene
chiesto di scrivere ogni elemento di prova. Alla fine di questa procedura le prove a favore della
convinzione vengono stimate e quantificate (per esempio 30%), e così le prove contrarie
(per esempio 70%). Spesso l'esame delle prove di schemi o pensieri automatici disadattivi
consente di identificare errori cognitivi. Solitamente l'esame delle prove contrarie suscita una
riformulazione delle cognizioni disfunzionali e favorisce uno stile di pensiero più razionale.
- Identificazione degli errori cognitivi. A.T. Beck e altri hanno delineato sei categorie principali di
errori cognitivi: 1) astrazione selettiva, 2) inferenza arbitraria, 3) pensiero assolutistico (dicotomico
ovvero tutto-o-nulla), 4) esagerare o minimizzare, 5) personalizzazione, e 6) pensiero catastrofico.
Astrazione selettiva: è un errore cognitivo consistente nell’arrivare alle conclusioni basandosi solo
su una piccola porzione dei dati disponibili;
Inferenza arbitraria: è un errore cognitivo consistente nell’arrivare alle conclusioni senza
sufficienti prove a sostegno o nonostante la presenza di controprove;
Pensiero assolutistico (tutto-o-nulla): è un errore cognitivo consistente nel categorizzare se stessi
o le esperienze personali all’interno di rigide dicotomie (per esempio, tutto buono o tutto cattivo,
tutto perfetto o tutto disastroso, successo totale o totale fallimento;
Esagerare o minimizzare: è un errore cognitivo consistente nell’ipervalutare o sottovalutare il
significato di una caratteristica personale, di un evento di vita o di una possibilità futura;
Personalizzazione: è un errore cognitivo consistente nel collegare gli accadimenti esterni a se
stessi (per esempio colpevolizzarsi, assumersi le responsabilità, criticarsi) sebbene non sussistano,
o solo in forma lieve, tali associazioni;
Pensiero catastrofico: è un errore cognitivo consistente nel predire il peggior risultato possibile
ignorando altre più probabili possibilità.
Ai pazienti viene insegnato ad individuare i propri caratteristici errori cognitivi e li aiutarno a
modificare i pensieri automatici.
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- Registrazione del cambiamento dei pensieri. La registrazione del cambiamento dei pensieri aiuta
i pazienti a 1) osservare e riconoscere i pensieri automatici, 2) applicare dei metodi per modificare
i pensieri distorti, e 3) riconoscere i risultati positivi a livello di emozioni e nei loro comportamenti
che risultano dal cambiamento nel loro modo di pensare.
La registrazione del cambiamento del pensiero prevede una tabella composta da cinque colonne
con le seguenti intestazioni: situazione, pensieri automatici, emozioni, risposte razionali ed esito.
I pazienti dapprima utilizzano le prime due colonne per scrivere un evento, i pensieri automatici a
esso associato, e il grado (per esempio da 0 a 100%) di convinzione rispetto a questi pensieri. La
terza colonna viene usata per identificare l'emozione specifica connessa a ciascun pensiero
automatico e il livello o grado di ogni emozione (0-100%). La quarta colonna serve a registrare
le alternative razionali ai pensieri distorti. Questo passo è un elemento cruciale nell’uso della
registrazione del cambiamento dei pensieri poiché stimola i pazienti a valutarne la validità.
Possono essere utilizzati diversi metodi per modificare i pensieri automatici in modo da stabilire
una lista di pensieri razionali alternativi come la tecnica di identificazione degli errori cognitivi,
l'esame delle prove e l'applicazione della. La quinta colonna (esito) viene utilizzata per registrare
ogni cambiamento verificatosi come risultato della rassegna e modificazione dei pensieri
automatici.
Sebbene l'uso della registrazione del cambiamento dei pensieri conduca solitamente a sviluppare
un insieme di cognizioni più adattive e a una riduzione delle emozioni dolorose, a volte i primi
pensieri automatici si rivelano adeguati. In tali situazioni, il terapeuta aiuta il paziente ad assumere
un approccio orientato al problem solving, in aggiunta allo sviluppo di un piano d'azione finalizzato
a gestire meglio l'evento stressante o disturbante.
- Uso della checklist degli schemi. L'uso di una checklist aiuta i pazienti a riconoscere schemi che
altrimenti potrebbero restare ignorati. Questo tipo di esercizio può essere particolarmente utile
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nell'identificazione di convinzioni nucleari sane o positive che vengono oscurate da depressione,
ansia, o altri sintomi di disturbi mentali. Il riconoscimento di schemi adattivi fornisce delle buone
basi per l'aumento dell'autostima e dell'autoefficacia.
Addestramento al rilassamento
Le tecniche di rilassamento vengono comunemente utilizzate per trattare i sintomi dell'ansia,
specialmente in quei pazienti che presentano tensioni muscolari. Un metodo frequentemente
utilizzato è il rilassamento progressivo. In questo approccio il paziente viene istruito a rilassare
sistematicamente dei gruppi muscolari in tutto il corpo, uno alla volta. Questa tecnica può essere
combinata con l'imagery, la meditazione o le tecniche di respirazione. Durante il rilassamento il
paziente può riferire l'emergere di pensieri che potranno essere indagati successivamente. Le
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tecniche di rilassamento possono essere insegnate e messe in pratica all'interno delle sedute e
utilizzate dal paziente tra una seduta e l'altra.
Schizofrenia
L’intervento psicoeducativo e la “logica della normalizzazione” sono elementi chiave degli stadi
iniziali della CBT per la schizofrenia (Kingdon, Turkington, 1991, 2005). Una parte del processo si
basa sul chiedere al paziente quale spiegazione si dia dei sintomi. Spesso le risposte riflettono
convinzioni disfunzionali e quindi offrono opportunità utili per la rieducazione e la riduzione degli
aspetti più penalizzanti della malattia.
La logica della normalizzazione può essere un fulcro di spunti per aiutare i pazienti a comprendere
la loro malattia in modo più chiaro e razionale (Kingdon, Turkington, 1991, 2005). Il terapeuta
cognitivo-comportamentale spiega che esperienze come la paranoia o il sentire delle voci sono
molto comuni e possono essere provocate dalla mancanza di sonno, da deprivazione sensoriale,
da condizioni mediche o da altre fonti di stress. La discussione può condurre alla presentazione di
un modello stress-vulnerabilità ai sintomi. Lo scopo di questo procedimento è aiutare i pazienti a
sviluppare una concettualizzazione basata su tre elementi chiave: 1) i sintomi psicotici possono
verificarsi in un'ampia gamma di persone e per questo essere parte di un'esperienza "normale": 2)
lo stress può interagire con una vulnerabilità biologica e produrre o peggiorare i sintomi; 3) i
problemi possono essere ridotti o risolti imparando a padroneggiare i sintomi e a gestire lo stress.
Se questa concettualizzazione viene compresa e accettata, il lavoro terapeutico, riferito alla
riduzione dei deliri e delle allucinazioni e alla remissione dei sintomi negativi, avrà maggiori
probabilità di successo.
La CBT per il trattamento dei deliri si affida in primo luogo all'uso del dialogo socratico e alla
scoperta guidata per aiutare gradualmente i pazienti a vedere i problemi in una prospettiva
differente. Esaminare le prove può essere una tecnica specifica abbastanza utile.
Dopo aver esaminato le prove all'interno della seduta, si dovrebbero assegnare dei compiti a casa
per verificare la convinzione oppure ottenere ulteriori informazioni. È importante che il terapeuta
mantenga un atteggiamento empirico durante l'attuazione di questo lavoro. Invece di persuadere
il paziente ad abbandonare un delirio, il terapeuta lavora con il paziente come una squadra
investigativa. Insieme esplorano le prove nel tentativo di giungere alla conclusione più razionale.
L’intervento su questi pazienti è volto prevede un’esposizione graduale ai problemi.
Il lavoro terapeutico sulle allucinazioni riguarda inoltre la produzione di liste di comportamenti che
possono sia aggravare sia ridurre l'intensità del sintomo. Per esempio, una paziente ha constatato
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che le "voci" erano più frequenti dopo una deprivazione di sonno, dopo discussioni con i genitori, e
dopo aver passato troppo tempo da sola senza praticare alcun'attività. Al contrario, ascoltare
musica rilassante, stare con un'amica, dipingere, e andare a mangiare fuori potevano ridurre le
allucinazioni. Possono essere messi in atto dei piani comportamentali per fronteggiare le influenze
negative e per identificare più frequentemente dei metodi di coping. Se i pazienti hanno difficoltà
nel trovare dei modi per ridurre le allucinazioni, può risultare utile fornir loro una lista di strategie
comunemente usate.
Gli interventi cognitivi e comportamentali per i sintomi negativi sono meno diretti rispetto alle
tecniche per i sintomi positivi. Kingdon e Turkington (2005) raccomandano un approccio cauto per
i sintomi negativi. Invece di spingere aggressivamente i pazienti a rompere gli schemi
comportamentali di isolamento sociale o apatia, i terapeuti devono costruire gradualmente
la relazione terapeutica e sostenere i pazienti a raggiungere i loro obiettivi di cambiamento, anche
se questi obiettivi sono piuttosto modesti. Quando i pazienti sono pronti a iniziare un
cambiamento dei sintomi negativi, i terapeuti possono suggerire delle tecniche come
l'assegnazione di compiti graduali per aiutarli a compiere i primi passi verso il miglioramento.
Disturbi alimentari
La CBT si è rivelata efficace per la bulimia e il binge-eating. La terapia cognitiva per queste
patologie si focalizza sulle convinzioni disadattive riguardo ał cibo, al peso, all’immagine corporea
e al valore di sé, e sui comportamenti disfunzionali associati. Il piano di trattamento solitamente
comincia con interventi comportamentali volti alla normalizzazione del comportamento
alimentare, per poi passare a interventi di tipo cognitivo orientati verso le convinzioni sottostanti e
disadattive, e infine concludersi con una strategia di prevenzione delle ricadute.
Ristrutturazione cognitiva
I pazienti con disturbi alimentari hanno spesso una scarsa autostima e dedicano una considerevole
quantità di tempo a tracciare un bilancio giornaliero dei successi e dei fallimenti. La tecnica di
decentramento può essere usata per rivedere l'approccio del paziente nei confronti del proprio
valore e dell'esigenza di perfezione. Il decentramento comporta domandare ai pazienti se
considerano gli altri meno degni di stima qualora commettano degli errori o non raggiungano
123
determinate prestazioni in un particolare giorno. Considererebbero il terapeuta "un perdente", o
degno di minore stima se tardasse di cinque minuti l'inizio della seduta?
Disturbo bipolare
Nei disturbi bipolari la CBT pone particolare attenzione ad aiutare i pazienti ad apprendere come
monitorare efficacemente i sintomi, identificare i potenziali eventi in grado di causare ricadute, e
sviluppare competenze che possono arrestare l'escalation verso la depressione o la mania.
Dal momento che i pazienti con questo disturbo spesso minimizzano il significato dei sintomi di
ipomania o mania, e possono negare completamente di avere un problema, la fase di apertura del
trattamento riguarda spesso lo sviluppo di una relazione efficace e di interventi psicoeducativi .
Spesso vengono utilizzati grafici riferiti all'oscillazione dell'umore come strumenti per
incrementare la consapevolezza del paziente. Un altro utile metodo suggerito da Basco e Rush
(2005) consiste in un foglio di lavoro di sintesi dei sintomi. Questo esercizio aiuta il paziente a
identificare i segnali precoci di un incombente cambiamento di umore, in aggiunta ai segnali più
pronunciati di episodi completi di depressione o mania.
Altri usuali obiettivi della CBT per gli interventi sui disturbi bipolari riguardano: 1) disturbi del
sonno; 2) scarsa adesione alla cura farmacologica; 3) distorsioni cognitive e pensieri automatici
nella mania; 4) stress; e 5) assenza di una routine quotidiana. I metodi della CBT per l'insonnia si
sono rivelati abbastanza efficaci (Edinger et al., 2001; Sivertsen et al., 2006) e vengono
quotidianamente utilizzati nel trattamento di disturbi bipolari (Basco, Rush, 2005). L'aderenza alla
cura farmacologica viene promossa grazie all'uso di sistemi di promemoria comportamentali ed
elicitando e modificando le condotte disfunzionali riguardo all'assunzione di farmaci. I terapeuti
possono aiutare i pazienti a identificare gli ostacoli all'aderenza alla cura farmacologica e
progettare insieme a loro dei piani per superare queste barriere. Per quanto riguarda pensieri
automatici ed errori cognitivi nell’ipomania o mania, la CBT può utilizzare interventi standard
come la registrazione dei cambiamenti di pensiero e l'esame delle prove. In ogni caso, il focus
riguarda le cognizioni distorte in senso favorevole, la sottostima del rischio e l’esternalizzazione
delle proprie responsabilità.
Nella CBT, i terapeuti devono indagare le abitudini relative al sonno e gli orari di risveglio, l'orario
dei pasti, la programmazione del lavoro, e altre attività che definiscono il programma giornaliero
del paziente. Nel caso vengano notate delle significative irregolarità nel programma giornaliero, è
importante che si attuino dei cambiamenti per ridurre questa variabilità. I metodi della CBT per i
disturbi bipolari possono includere un lavoro di costruzione di competenze per il
padroneggiamento dello stress. Per esempio, l'addestramento al rilassamento, esercizi di
respirazione, o tecniche di imagery possono essere applicati per ridurre la tensione; la
pianificazione di eventi piacevoli può essere utilizzata per fornire distrazioni salutari da situazioni
stressanti; o possono essere messi in atto degli sforzi per aumentare la capacità di problem
solving.
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La psicoterapia interpersonale ha cominciato a prendere forma a cavallo tra gli anni Sessanta e
Settanta negli Stati Uniti per iniziativa dello psichiatra Gerald L. Klerman, che pensò bene, nelle
patologie depressive, di affiancare agli antidepressivi un aiuto psicologico.
Ha messo quindi a punto una psicoterapia breve, di facile applicazione, con obiettivi limitati
(migliorare i problemi interpersonali dei pazienti depressi) ma verificabili nell'arco di 8 settimane,
che era il periodo previsto per la valutazione dei farmaci.
Questo disegno di ricerca è stato realizzato per la prima volta nell'ambito di uno studio messo a
punto per valutare l'effetto preventivo, dopo la fase acuta, del prolungamento della terapia
farmacologica antidepressiva sulle recidive (Klerman et al., 1974).
Il dato che indicava un'efficacia significativa dell'apporto psicologico sulla dimensione relazionale e
sociale delle pazienti studiate ha fornito lo spunto alla progressiva messa a punto della
psicoterapia interpersonale individuale che, a seguito di numerose ricerche, fu inserita nel ristretto
novero degli empirically supported treatments (EST) alla fine degli anni Ottanta e, in seguito, nelle
linee guida ufficiali per la depressione americane e inglesi, fatto che implicava anche la
rimborsabilità della terapia da parte delle compagnie di assicurazione americane.
Inoltre, a fianco degli studi sulla depressione, sono state sviluppate numerose ricerche controllate
su questa forma di psicoterapia riguardanti indicazioni cliniche disparate che hanno portato a un
notevole ampliamento delle applicazioni terapeutiche, viste comunque come impiego della
medesima tecnica.
Due fattori, che emergono facilmente scorrendo la letteratura, riguardano la scarsa diffusione di
questa psicoterapia sia negli USA sia altrove e l'assoluta prevalenza di lavori di ricerca rispetto a
quelli riguardanti la pratica clinica. La psicoterapia interpersonale individuale è attualmente la
psicoterapia più studiata, con oltre 150 studi di efficacia teorica e pratica. Nonostante ciò non è
molto diffusa né usata. Gran parte dei clinici e degli accademici sa che esiste, ma conosce ben
poco della sua struttura e della sua applicazione. Infatti, la letteratura riguardante il suo impiego
nel reale mondo dei pazienti appare molto scarsa.
L’origine e l’applicazione solo accademica di questa psicoterapia ha portato a scegliere casistiche
troppo selettive e, soprattutto, a "strangolare" la sua utilizzazione pratica con riferimenti ai
manuali e protocolli di ricerca troppo rigidi.
Ne deriverebbe anche l'eccessiva attenzione alle modifiche della sintomatologia (specificamente
riferita alla nosografia DSM-IV) a scapito di altri aspetti del paziente e la rinuncia imposta ai
terapeuti di utilizzare l’esperienza e il giudizio clinico a favore di un approccio sufficientemente
individualizzato.
Autori come Stuart temono che la richiesta di fidelizzazione e adesione piena che la psicoterapia
interpersonale individuale richiede, dia a questa forma di questa psicoterapia un’immagine troppo
casta e ortodossa che allontana i possibili terapeuti interessati.
Anche la sua diffusione in Italia sembra scarsa, sia come applicazione pratica sia come possibilità di
training. Essa viene criticata nel nostro territorio per essere riduttiva e schematica, nata da un
manuale ipersemplificato, per essere insegnata meccanicamente in fretta a operatori non
competenti in ambito psicoterapico e per essere sperimentata nell’Istituto Nazionale per la Salute
Mentale (NIHM).
125
Introduzione
La psicoterapia supportiva ha un’identità incerta e i suoi confini sono molto vaghi. È molto diffusa
nella pratica clinica e per questo motivo abbastanza conosciuta ma è poco diffusa a livello di
ricerca.
Gli scopi della psicoterapia supportiva sono definiti da una sorta di triangolo i cui vertici sono il
recupero o il miglioramento di: a) autostima (senso di efficacia, fiducia in se stessi, speranza); b)
funzionamento psicologico (le funzioni dell'lo di esame di realtà, relazioni oggettuali, meccanismi
cdi difesa, regolazione emotiva ecc.); c) capacità adattive (comportamenti finalizzati a rendere
efficace il funzionamento psicosociale). Come si può notare questa definizione essi ha molti aspetti
di sovrapposizione con la psicoterapia dinamica di tipo espressivo. Tuttavia, nella
psicoterapia supportiva l'accento viene posto non sulla tecnica terapeutica ma sugli
scopi dell'intervento, nel senso di ottimizzare l'armamentario terapeutico disponibile da parte del
terapeuta (le competenze tecniche, ma soprattutto la capacità di costruire l’alleanza terapeutica),
al fine di massimizzare tutti quei fattori che stanno alla base di un maggior benessere psicologico
del paziente.
Gli studi sull'efficacia della psicoterapia supportiva possono essere molto scarsi o tantissimi a
seconda che la si veda come approccio psicoterapeutico o come submodello specifico. In quanto
approccio terapeutico, e infatti pressoché impossibile valutare l’efficacia della psicoterapia
supportiva proprio perché è un ingrediente implicito non solo all'interno dei vari modelli
terapeutici utilizzati nei trial ma anche in forme broadband di intervento psicologico, compreso il
counseling e verosimilmente anche nelle varie forme di interventi placebo. Come submodello
specifico, ha mostrato in alcuni studi di essere abbastanza efficace, da sola o in associazione con
farmaci.
Il dibattito sulla psicoterapia supportiva in Italia, almeno in ambito analitico, condivide con quello
internazionale la critica alla rigida separazione del modello supportivo da quello espressivo.
Riprendendo la differenziazione di Kernberg tra psicoanalisi, psicoterapia psicoanalitica e
psicoterapia supportiva, Migone ritiene sia impossibile distinguere le forme di psicoterapia
analitica in base alla differenza di tecniche di trattamento. Per esempio, per uno “psicoterapeuta
dinamico supportivo” non ha senso astenersi dall'analizzare il transfert, se necessario;
analogamente, per uno "psicoanalista", non ha senso analizzare forzatamente il transfert se inutile
o dannoso.
Vi è una consapevolezza diffusa fra clinici e ricercatori che la psicoterapia supportiva:
- si basa largamente su ingredienti aspecifici e comuni alle psicoterapie, risultando meno
interessante e meno produttivo il tentativo di una sua formalizzazione in senso stretto come
(sub)modello specifico;
- potrebbe essere indicata in linea di massima per le forme più gravi di psicopatologia, almeno in
un'ottica psicodinamica;
- più frequentemente si alterna con atteggiamenti esplorativi nel corso di un trattamento con lo
stesso paziente in rapporto a specifici bisogni del paziente e fasi del trattamento;
- presuppone comunque un ruolo proattivo sia del paziente sia del terapeuta nel favorire le
massime condizioni di benessere psicologico possibili in relazione alle condizioni cliniche e
individuali di ingresso.
126
Fondamenti teorici della psicoterapia supportiva (Cap. 14 - Gabbard)
I presupposti teorici della psicoterapia supportiva si basano su una varietà di approcci tra cui
quello psicoanalitico, quello cognitivo-comportamentale e le teorie dell'apprendimento.
Gli psicoterapeuti devono essere in grado di integrare i vari approcci teorici in una psicoterapia
coesa e ben strutturata, che deve basarsi su bisogni specifici del paziente.
Il continuum psicopatologia-psicoterapia
Un concetto importante per comprendere le indicazioni alla psicoterapia supportiva e la sua
relazione con la psicoterapia espressiva ed esplorativa è il continuum psicopatologia-psicoterapia.
Il funzionamento di ogni individuo è collocabile lungo un continuum psicopatologico o di
salute/malattia, a seconda del livello di psicopatologia, delle capacità di adattamento, del concetto
di sé e delle capacità di relazionarsi agli altri. Il continuum si estende dai pazienti più compromessi
agli individui più sani. Gli individui che si collocano sul lato sano del continuum tendono a
funzionare adeguatamente, ad avere buone relazioni interpersonali, a condurre vite produttive
e sono in grado di trarre piacere da un'ampia gamma di attività in maniera relativamente libera da
conflitti. Al centro del continuum si collocano i pazienti il cui adattamento e comportamento sono
instabili e che mostrano i significativi problemi nel mantenere un funzionamento coerente e
relazioni stabili.
La collocazione degli individui su questo continuum è associata alla diagnosi. Pazienti con
schizofrenia, disturbo bipolare, disturbo borderline di personalità generalmente sono collocabili
sul polo più compromesso del continuum. Individui con migliore adattamento, come i pazienti con
disturbi di personalità di cluster C, distimia e disturbi dell'adattamento, sono generalmente
collocabili sul polo più sano del continuum. Per quanto la diagnosi possa fornire un'indicazione
generale per collocare ogni individuo lungo il continuum, la sua posizione effettiva dipenderà dal
suo grado di psicopatologia e dal suo livello di adattamento.
Abbinare la tecnica psicoterapeutica alla posizione del paziente lungo il continuum salute-malattia
riveste un'importanza cruciale. Sul lato sinistro del continuum si collocano gli approcci supportivi
finalizzati alla costruzione di una struttura psicologica, di stabilità, di autostima, di un senso coeso
di sé e di migliori relazioni interpersonali in pazienti più gravi.
Sul lato più sano del continuum si collocano invece le terapie espressive che di solito fanno ricorso
a un modello interpersonale/conflittuale. Il concetto di terapia espressiva è stato utilizzato
come termine comprensivo di una varietà di approcci finalizzati al cambiamento della personalità
attraverso l'analisi della relazione tra paziente e terapeuta e lo sviluppo di insight relativamente a
sentimenti, pensieri, bisogni e conflitti in precedenza non riconosciuti, a seguito dei quali il
paziente cerca di risolvere coscientemente e integrare meglio tali conflitti. In realtà molti pazienti
non sono collocabili su nessuno dei due poli del continuum, presentandosi con problemi sia
strutturali sia conflittuali, e richiedono pertanto un trattamento supportivo-espressivo. Infatti,
anche le terapie più esplorative includono alcune componenti supportive e le terapie supportive
possono integrare elementi di terapia esplorativa.
Teoria psicoanalitica
La teoria psicoanalitica si estende dalla tradizionale teoria pulsione-conflitto, alla psicologia dell'Io,
alla teoria delle relazioni oggettuali, alla teoria del Sé e ai modelli
interpersonali/relazionali. Modelli che si focalizzano meno sul conflitto e sulle pulsioni possono
127
avere maggiore potere esplicativo per pazienti con profili psicopatologici più gravi e di fatto sono
quelli che trovano maggiore applicazione nella psicoterapia supportiva.
Psicologia dell'lo
La psicologia dell’Io ci fornisce una chiave di lettura per i pazienti con una significativa
compromissione del proprio funzionamento. L’approccio strutturale che essa utilizza cerca di
cogliere le caratteristiche relativamente fisse della personalità e dei sintomi di un individuo, che
sono quindi comprese in un contesto funzionale. In generale, più grave è il disturbo a carico delle
funzioni dell’Io, più risulta indicata l’adozione di un approccio più supportivo.
Relazioni oggettuali
La valutazione delle relazioni oggettuali si basa sulla capacità dell'individuo di relazionarsi in modo
stabile e significativo con individui importanti della sua vita. Questa capacità include la capacità di
formare relazioni intime, di tollerare la separazione e la perdita, e di mantenersi indipendenti e
autonomi.
Essa implica anche il senso di sé, la conoscenza di cosa è dentro di sé e cosa è fuori di sé, e l'abilità
di costruire un'immagine di sé stabile e coesa, senza sminuire o iperidealizzare sé o gli altri. I
pazienti con una significativa compromissione nelle relazioni interpersonali, come relazioni
caotiche, isolamento sociale, bisogni narcisistici o altamente dipendenti, e/o compromissione nel
senso di sé, di solito richiedono un approccio supportivo.
128
socialmente inaccettabili come aggredire qualcuno verbalmente o fisicamente o essere
irragionevolmente pretenzioso.
Le difese mediano tra i desideri, i bisogni, i sentimenti di un individuo e le proibizioni sia interne sia
imposte dal mondo esterno.
Difese primitive, scarso controllo degli impulsi, grave instabilità affettiva e affettività appiattita
sono indicatori di deficit strutturali e suggeriscono la necessità di un approccio più supportivo.
Il processo esplorativo nella psicoterapia espressiva include l'analisi e l'esplorazione di affetti,
impulsi e difese per i pazienti che sono in grado di tollerare l'esplorazione in profondità di queste
aree. Per i pazienti con un profilo psicopatologico più grave, l'esplorazione degli affetti, degli
impulsi e delle difese sarebbe dirompente e ansiogena. Nella psicoterapia supportiva, le difese, in
particolare quelle adattive, sono rafforzate allo scopo di promuovere la stabilità e un
funzionamento adattivo.
Processi di pensiero
L'incapacità di pensare in maniera chiara, logica e astratta è un buon indicatore di grave
psicopatologia e quindi l'approccio più indicato è di tipo supportivo.
Capacità adattive compromesse e un funzionamento interpersonale povero sono spesso il risultato
di pensieri automatici e schemi negativi di sé, che potrebbero richiedere di essere affrontati in una
psicoterapia supportiva
Funzioni autonome
La percezione, l’intenzionalità, l'intelligenza, il linguaggio, lo sviluppo motorio sono funzioni
autonome che si ritiene si sviluppino in modo libero da conflitti. Queste funzioni possono essere
compromesse in pazienti con gravi psicopatologie, e ciò è indicativo del fatto che un approccio
supportivo può essere più appropriato di uno espressivo o esplorativo.
Funzioni di sintesi
La capacità di un individuo di organizzare se stesso e il mondo in modo produttivo per costruire un
tutto o una gestalt coesi è un indicatore delle funzioni di sintesi. Queste funzioni implicano
l'integrazione delle altre funzioni dell’Io e la loro organizzazione in modo tale che l'individuo possa
funzionare in maniera integrata.
129
Il terapeuta deve essere in grado di riparare le rotture nell'alleanza terapeutica. Il processo di
riparazione è correlato al concetto di ciò che Alexander e French (1946) hanno chiamato
"esperienza emotiva correttiva". L'esperienza emotiva correttiva ha luogo quando il paziente
all'interno della relazione paziente-terapeuta, è esposto a situazioni emozionali che nel passato
non è stato in grado di gestire o che hanno avuto per lui una valenza traumatica. L'atteggiamento
del terapeuta è diverso da quello della persona autoritaria del passato e quindi concede al
paziente di affrontare più e più volte in circostanze più favorevoli quelle situazioni emozionali un
tempo vissute come non tollerabili e di gestirle in maniera diversa dal passato. In pratica un
obbiettivo fondamentale del terapeuta di questo orientamento è fornire al paziente
l’opportunità di fare esperienza di un tipo differente di relazione che contrasta con le esperienze
del passato vissute con altri significativi. Basti pensare al concetto di holding di Winnicot o i
contributi teorici di Bowlby e Fairbairn.
Il terapeuta non reagisce e non affronta la rabbia e la mancanza di fiducia del paziente ma
piuttosto risponde in maniera accettante ed empatica, fornendo un'esperienza emotiva correttiva.
Mantenere una relazione di transfert positiva è cruciale, altrimenti, il paziente non può acquisire il
senso di sicurezza. Inoltre, il terapeuta si concentra sulla situazione attuale e non esplora
implicazioni simboliche o transferali.
La relazione terapeutica
La relazione terapeutica può essere suddivisa in tre componenti: la configurazione di
transfert/controtransfert, la relazione reale e l'alleanza terapeutica. Il transfert e la relazione reale
giocano un ruolo in ogni transazione entro la relazione terapeutica. In certi momenti il transfert
può essere più importante, mentre in altri momenti può predominare la relazione reale. La
psicoterapia espressiva pone maggiore enfasi sul transfert, mentre la psicoterapia supportiva e
cognitivo-comportamentale focalizzano maggiormente sulla relazione reale.
La relazione reale esiste nel qui e ora dell'interazione terapeutica tra paziente e terapeuta, che
comprende un apprezzamento genuino dell'uno per l'altro senza le distorsioni che sono
caratteristiche del transfert. La relazione reale include le speranze e le aspettative di aiuto, cura,
comprensione e amore del paziente, come anche le interazioni quotidiane che hanno luogo a
livello sociale tra gli individui.
Nella psicoterapia supportiva la relazione reale costituisce la componente essenziale, mentre le
implicazioni di transfert sono ridotte al minimo. Allo stesso tempo, il terapeuta è attento al
transfert ma generalmente non lo esplora a meno che non sia negativo. Il transfert negativo deve
130
essere discusso con il paziente perché può compromettere la psicoterapia e spesso
esita nell'abbandono del trattamento da parte del paziente.
Il controtransfert include la relazione reale, che consiste nelle reazioni che la maggior parte delle
persone avrebbe nei confronti del paziente, determinate dalle interazioni momento per momento
nella relazione terapeutica. In questo senso, il controtransfert può essere visto come un costrutto
transazionale, influenzato da ciò che il terapeuta porta nella situazione come anche da ciò che il
paziente proietta. Le reazioni controtransferali di cui il terapeuta è consapevole possono costituire
potenti strumenti per comprendere ed empatizzare con il paziente. L'uso dell'empatia e
importante per promuovere la consapevolezza del controtransfert.
Le capacità empatiche di sentire e comprendere in maniera accurata ciò di cui il paziente sta
facendo esperienza permetteranno al terapeuta di prestare attenzione alle reazioni
controtransferali.
Per quanto riguarda l’alleanza terapeutica,
il legame affettivo tra paziente e terapeuta, il loro accordo sugli obiettivi e il ruolo della terapia, la
capacità del paziente di compiere il lavoro terapeutico, la relazionalità e il coinvolgimento
empatico del terapeuta sono tutte componenti dell’alleanza importanti per la psicoterapia
supportiva.
Nella psicoterapia supportiva le rotture dell'alleanza si verificano con minore frequenza rispetto
alla psicoterapia espressiva perché, nella psicoterapia supportiva, l'alleanza non è minacciata da
pericolose confrontazioni o interpretazioni che possono accrescere l'ansia del paziente. Quando
l'alleanza è minacciata nella terapia supportiva, il ricorso a misure supportive dovrebbe essere
considerato l'approccio di prima scelta per riparare l'alleanza. Il terapeuta affronta la rottura in
maniera pratica, entro il contesto della situazione attuale, prima di esaminare eventuali
implicazioni di transfert.
Terapia cognitivo-comportamentale
Le tecniche cognitivo-comportamentali sono una componente indispensabile della psicoterapia
supportiva.
Nella psicoterapia supportiva il processo terapeutico implica identificare e mettere alla prova i
pensieri automatici e sottoporli a verifica empirica. Ai pazienti viene insegnato a monitorare i
pensieri automatici, testare la loro validità e sviluppare modalità di pensiero alternative. La
riformulazione (reframing) è un'altra tecnica cognitiva spesso utilizzata per correggere le
distorsioni cognitive.
Teoria dell'apprendimento
Concetti di base
Molti degli interventi terapeutici adottati nella psicoterapia supportiva possono essere concepiti
come forme di insegnamento, un processo tramite il quale si impartiscono conoscenze. La codifica
delle informazioni ricevute dal terapeuta costituisce l’altra metà del processo terapeutico.
La psicoterapia può essere considerata una forma controllata di apprendimento (Etkin et al.,
2005), attraverso l'acquisizione di una combinazione di capacità e conoscenze. La teoria
dell'apprendimento ha trovato applicazione primariamente nell'educazione degli adulti e gli studi
in quest'area hanno focalizzato l’attenzione su come intensificare l'apprendimento.
L'apprendimento non si realizza come un semplice processo di registrazione. L'apprendimento
richiede piuttosto un'elaborazione attiva durante la seduta psicoterapeutica attraverso un
processo interpretativo nel quale le nuove informazioni sono immagazzinate stabilendo relazioni
131
con ciò che già si conosce. Le nuove informazioni sono immagazzinate in base al loro significato, ad
associazioni e a relazioni con conoscenze pre-esistenti. In questa prospettiva, è importante per il
terapeuta promuovere un'elaborazione efficace durante le sedute di psicoterapia usando le
tecniche di interpretazione, elaborazione e generazione. È importante notare che
l'interpretazione, quale tecnica derivata dalla teoria dell'apprendimento, non è sovrapponibile
all’interpretazione classica della psicoterapia dinamica, ma rappresenta piuttosto un collegamento
con conoscenze pregresse.
Strategie
Alleanza terapeutica
La relazione paziente-terapeuta (studente-docente) deve essere mantenuta a un livello positivo.
Nel caso di minacce all'alleanza paziente-terapeuta, le rotture e i fraintendimenti devono essere
riparati. Un'esperienza positiva di apprendimento ha luogo nel contesto di una relazione
supportiva in cui il paziente può essere messo alla prova e ha come risultato un incremento
dell'apprendimento.
I pazienti devono comprendere che l'apprendimento può implicare la necessità di assumersi dei
rischi nell'abbracciare l'incertezza e il cambiamento, e ciò richiede spesso che il terapeuta offra
rassicurazione e aiuto. I pazienti dovrebbero essere coinvolti in una pianificazione congiunta con il
terapeuta nel fissare, in maniera collaborativa, obiettivi e scopi rilevanti. Quando i pazienti
prendono parte attiva nel definire i propri obiettivi e scopi, la motivazione risulta rafforzata ed essi
avranno maggiore controllo sul proprio apprendimento . All'opposto, un ambiente minaccioso può
inibire l'apprendimento.
Standard e aspettative
In un approccio alla psicoterapia supportiva guidato dalla teoria dell'apprendimento, i pazienti
sono visti come partecipanti attivi di un processo educativo. In alcuni momenti, essi possono
sentirsi incerti o confusi e possono commettere errori che richiedono il supporto e la
rassicurazione del terapeuta. I pazienti dovrebbero comprendere che l'apprendimento costituisce
una parte importante della terapia supportiva e che possono essere necessari una preparazione
preliminare e compiti a casa per intensificare il processo di apprendimento.
Tecniche
Le tecniche utilizzate per promuovere l’apprendimento e l’elaborazione elle informazioni sono la
generazione, l’elaborazione, l’interleaving e il collegamento con conoscenze pregresse.
Uno degli approcci più significativi per promuovere l'apprendimento è l’ elaborazione efficace.
L'elaborazione delle informazioni implica un'interpretazione che sia focalizzata e accurata,
accompagnata da un'elaborazione completa. L'informazione che può essere interpretata (cioè
132
collegata), attraverso associazioni, con la conoscenza pregressa, sarà più facile da apprendere
dełl'informazione non interpretata.
II processing elaborativo prevede che l’informazione sia pensata in molti modi differenti e messa in
relazione ad altre informazioni già note. In aggiunta all'interpretazione e all'elaborazione, la
generazione e l'interleaving sono altre importanti componenti del processo di apprendimento
(Richland et al.,2005). La generazione è definita come la produzione di informazioni
durante l'apprendimento piuttosto che il ricevere passivamente tali informazioni da un insegnante
o un terapeuta. L’ interleaving è il metodo di apprendere due o più set di informazioni in modo
tale che le istruzioni e il focus si alternino tra i due set. Esso è quindi in contrasto con
l'apprendimento in cui ci si focalizza su ogni set di informazioni separatamente. Nella psicoterapia
supportiva queste tecniche possono essere utilizzate ponendo domande finalizzate ad aiutare il
paziente a pensare ai suoi problemi in molti modi differenti senza fornire risposte. Il paziente è
incoraggiato a impegnarsi nell'elaborazione delle informazioni in collaborazione con il terapeuta.
La riflessione critica è il processo attraverso il quale il paziente mette in discussione e quindi
rimpiazza o corregge un assunto. Questo attraverso la tecnica de reframing. Vengono cioè
generate prospettive alternative a partire da idee, azioni, e forme di ragionamento che in
precedenza erano date per scontate. La psicoterapia supportiva e altri approcci psicoterapeutici
fanno uso del reframing e cercano di fornire ai pazienti modalità alternative di pensare
relativamente al mondo, al relazionarsi agli altri e all'affrontare i problemi.
Conclusioni
La psicoterapia supportiva è un approccio ampiamente definito con una vasta gamma di
applicazioni che fa ricorso a strategie dirette, intese a produrre un miglioramento sintomatologico,
a mantenere, restaurare o incrementare l'autostima, le funzioni dell'Io e le capacità di
adattamento. I presupposti teorici della psicoterapia supportiva si basano su una varietà di
approcci tra cui quello psicoanalitico, quello cognitivo-comportamentale e le teorie
dell'apprendimento. Il concetto di continuum psicopatologico, che si estende dalla malattia alla
salute, abbinato a un continuum psicoterapico che va dalla psicoterapia supportiva a quella
espressiva ed esplorativa, è utile per identificare l'approccio terapeutico più adatto ai bisogni del
paziente. Con molta probabilità, la maggior parte dei pazienti cadrà nel-mezzo del continuum
e trarrà beneficio da un approccio che combina-psicoterapia espressiva e supportiva. L'approccio
supportivo beneficia dell’approccio accettante ed empatico del terapeuta e della sua attenzione a
mantenere una relazione paziente-terapeuta o alleanza terapeutica positiva. Inoltre, combinare e
integrare gli approcci derivanti dalla teoria cognitivo-comportamentale e dalla
teoria dell'apprendimento può potenziare la pratica della psicoterapia supportiva.
133
Tecniche della psicoterapia supportiva individuale (Cap. 15 - Gabbard)
La psicoterapia supportiva individuale utilizza strategie dirette volte a sviluppare l’autostima, il
funzionamento dell’Io e abilità adattive grazie agli interventi del terapeuta. Ciò vuol dire che gli
obiettivi della terapia non sono il risultato dell’accresciuto insight del paziente (come lo è invece
nei trattamenti espressivi) e le difese non vengono affrontate diversamente, a meno che non siano
eccessivamente disadattive, in quel caso il terapeuta agisce con interventi mirati a espandere la
consapevolezza.
Due i tipi di tecniche utilizzate: tecniche contestuali e tecniche tattiche. Le tecniche contestuali
sono utilizzate in tutte le terapie supportive con tutti i pazienti e costituiscono quindi le
fondamenta del trattamento. Le tecniche tattiche sono risposte del terapeuta basate sul
contenuto della comunicazione attuale, sulle caratteristiche e sugli scopi del paziente, e sugli
obiettivi del terapeuta.
Tecniche contestuali
- Adottare uno stile conversazionale. Adottare uno stile conversazionale è consono ai fini degli
obiettivi di un trattamento supportivo. Il terapeuta ha il compito di mantenersi sulla stessa linea
del paziente rispetto al discorso che il paziente elicita. Il razionale alla base del suo utilizzo è il fatto
che richiama le comuni interazioni sociali e quindi tende a non evocare ansie come quelle che
emergono quando il terapeuta assume una posizione più astinente, esplorativa, nel contesto di un
trattamento espressivo. Egli tende a essere più attivo che nelle terapie espressive tradizionali.
A volte il terapeuta farà commenti di collegamento semplicemente per mantenere il normale
fluire della conversazione, dal momento che i silenzi imbarazzanti possono comportare l'emergere
di ansie nel paziente. In altri momenti, prima di rispondere, attenderà con interesse e
partecipazione che il paziente termini di formulare i propri pensieri o che sia riuscite a dominare
uno stato affettivo intenso. Concludere le frasi del paziente alle volte si rivela essere necessario,
ma va fatto con empatia e rispetto.
È esclusa la libera associazione. Inoltre, interrompere un discorso troppo velocemente non è un
intervento supportivo. Alle volte il paziente si dilunga su un racconto per ridurre la tensione
emotiva.
Tuttavia, a meno che non emerga che il paziente stia traendo un qualche beneficio dal dilungarsi
nel racconto, è necessario, trascorso un po' di tempo, ridirigerlo in modo tale da ricondurre il
trattamento nella direzione di migliorare il funzionamento dell'Io e le capacità adattive. Il
terapeuta dovrebbe trovare un modo empatico di mantenere viva la conversazione senza apparire
critico.
134
- Salvaguardare la cornice del trattamento. La terapia supportiva si struttura all’interno di una
cornice terapeutica strutturata, prevedibile e affidabile. L’ambiente è un ambiente di holding offre
nutrimento, relazionalità, feedback strutturanti e rispecchiamento per l’Io in via di sviluppo del
paziente.
La creazione di un ambiente di holding riduce l’ansia e offre stabilità e struttura.
La cornice esclude la neutralità tecnica e l’astinenza. Il terapeuta tecnicamente neutrale si
mantiene alla stessa distanza dall'Io, dall'Es e dal Super-io del paziente. Al contrario, nella
psicoterapia supportiva, il terapeuta non è tecnicamente neutrale perché egli è un sostenitore
attivo del funzionamento dell'Io del paziente e della sua autostima. E poiché il terapeuta non si
affida alla neutralità tecnica, egli deve essere consapevole dei rischi di agire sentimenti
controtransferali o promuovere comportamenti regressivi.
Il terapeuta supportivo deve inoltre bilanciare la necessità di mantenere l'integrità della cornice
terapeutica con il giudizio clinico, benché talvolta possa essere opportuna una maggiore
flessibilità.
La cornice terapeutica include anche gli interventi del terapeuta rivolti a una potenziale frattura
nell'alleanza terapeutica.
Per segnalare la fine di una seduta, l’intervento espressivo classico è quello di usare espressioni del
tipo "Il nostro tempo per oggi è finito". Questa modalità può essere percepita come troppo brusca
e poco supportiva da un paziente in terapia supportiva, in particolare da un paziente che si trovi in
uno stato di crisi o per il quale un'anticipazione del fatto che la seduta sta volgendo al termine
potrebbe essere più utile per utilizzare al meglio il tempo rimanente. Il clinico anticipa
l'approssimarsi del termine della seduta e fornisce chiari segnali al paziente indicando il tempo
rimanente, come anche fa affermazioni riepilogative o tira le somme della seduta.
Tecniche tattiche
Si utilizzano le tecniche tattiche allo scopo di costruire l’alleanza terapeutica, costruire l’autostima,
rafforzare le funzioni dell’Io e sviluppare le competenze.
Costruzione dell’alleanza
- Esprimere interesse. È importante che il terapeuta trasmetta al paziente il messaggio che lui è
importante e interessante (anche al fine di migliorare la sua autostima). Dimenticare dettagli
135
dell’esperienza del paziente o ricordarli in modo sbagliato e li rivela accidentalmente al paziente
significa non comportarsi in modo supportivo.
- Esprimere comprensione. Rendere noto al paziente che si comprende ciò che sta comunicando
supporta l'esperienza del paziente di essere "in sincronia" con il terapeuta.
- Riparare le rotture dell’alleanza. Per riparare l’alleanza terapeutica o per evitare che si incrini il
terapeuta può spostare la discussione sulla relazione terapeutica quando un problema non può
essere risolto, oppure può modificare le percezioni distorte del paziente utilizzando la
chiarificazione e la confrontazione, ma non la discussione.
Se le strategie indirette per affrontare il transfert negativo o le impasse terapeutiche falliscono, si
rende necessaria una discussione più esplicita sulla relazione. Il terapeuta può usare tecniche
espressive solo nella misura in cui sono necessarie ad affrontare un transfert negativo.
Un’altra strategia è dare una forma accettabile e supportiva a ciò che il paziente percepisce come
una critica, o offrire anticipare preventivamente le difficoltà.
- Self-discolosure.
Il modo migliore di proporre la self-disclosure è attraverso un processo in cui il terapeuta rivela
qualcosa di sé offrendosi come modello di comportamento corretto - per esempio, cercando la
soluzione a un problema in maniera collaborativa, comportandosi in modo risoluto e
compassionevole durante una crisi, mostrando pazienza e forza emotiva, dimostrando flessibilità
quando necessario, esercitando al tempo stesso saggezza e umiltà, e insegnando al paziente,
quando possibile, come emulare queste qualità.
- Commenti di sostegno. Non è sempre possibile continuare il discorso con affermazioni sulle
capacità di adattamento del paziente e sulla sua autostima, per cui è necessario fare commenti di
collegamento o ritornare su questioni importanti rifocalizzando l'attenzione del paziente in
maniera supportiva.
- Lodi. La lode è una chiarificazione che rafforza l'autostima accrescendo la consapevolezza del
paziente relativamente ai propri successi. Tuttavia, affinché la lode possa essere efficace, essa
deve essere basata su dati obiettivi, ossia ancorata alla comprensione che il terapeuta ha dei valori
e dell'esperienza del paziente.
136
La normalizzazione è una particolare forma di rassicurazione che si basa sul paragone con altri che
il paziente ritiene plausibilmente normali o "comuni". Il messaggio del terapeuta che "anche gli
altri lo fanno" ha la funzione di normalizzare permettendo di ristrutturare le credenze del
paziente sulle proprie e altrui esperienze e comportamenti.
Nel corso della normalizzazione, i commenti del terapeuta devono avere un bersaglio, devono
essere specifici e di aiuto. I commenti vuoti, per quanto accurati non sono supportivi.
- Esortazione. L'esortazione è una forma più insistente di incoraggiamento in cui il clinico pressa o
incita il paziente a raggiungere un obiettivo. Tipicamente questo tipo di intervento viene applicato
con pazienti più compromessi, che, per quanto riluttanti, dispongono di buone probabilità di poter
raggiungere l'obiettivo.
- Interventi finalizzati alla riduzione dell’ansia. Nel trattamento supportivo, l'ansia è generalmente
attenuata attraverso strategie dirette, a eccezione dei casi in cui il terapeuta intenzionalmente
vuole ottenerne una stima (per esempio, attraverso l'esposizione diretta) o lavora su specifiche
capacità per aiutare il paziente ad affrontare gli stress in maniera più adattiva.
- Strutturare l'ambiente. Per i pazienti più gravi da un punto di vista psicopatologico o che
funzionano a un livello relativamente basso, il terapeuta opera per incrementare il livello di
strutturazione disponibile al paziente attraverso interventi terapeutici e contatti con l'ambiente del
paziente. Questi possono includere contatti con chi gestisce il piano terapeutico del paziente,
membri della famiglia, datori di lavoro e così via.
- Fissare i limiti. Ciò può accadere quando il paziente si comporta in modo disfunzionale, nel senso
che non rispetta le regole della terapia.
- Supportare le difese. Le difese non sono generalmente oggetto di confrontazione a meno che
non siano chiaramente o minaccino la cornice terapeutica. Le difese adattive come la rimozione, la
razionalizzazione, l'intellettualizzazione e la formazione reattiva sono generalmente
e specificamente rinforzate.
138
Il terapeuta colloca il suo utilizzo egli la colloca in uno specifico contesto e fornisce un preciso
razionale (per esempio, incrementare le capacità di adattamento), assicurandosi che il paziente
comprenda appieno l'intento del terapeuta. "Sto portando questo aspetto alla sua consapevolezza
cosicché la prossima volta che ha una discussione con suo padre e si arrabbia con lui, lei possa
affrontare la situazione in maniera più competente." Interventi come questo sono particolarmente
utili nel lavoro con un paziente con difese più primitive.
Focalizzare troppo precocemente sulla confrontazione può impedire al paziente di giungere al
nocciolo della questione, ma lasciarlo libero di parlare può evitare il contesto adattivo. È quindi
necessario proporre un intervento basato su dati concreti e centrato sugli obiettivi del paziente e
sui fini della psicoterapia supportiva.
Fornire un suggerimento indiretto o impersonale è una tecnica confrontativa che non ingaggia le
difese in maniera diretta con lo scopo di aumentare la consapevolezza. Piuttosto che formulare
una domanda cui il paziente è obbligato a rispondere (come per esempio "È arrabbiato?"), è
possibile includerla nel normale flusso della conversazione:
PAZIENTE: E quindi mi ha detto che gli è dispiaciuto me la fossi presa perché non è venuto a
prendermi, ma non me la sono affatto presa. Talvolta è proprio un idiota! [alzando la voce e con
molta enfasi]
TERAPEUTA: Quando le persone alzano la voce spesso è perché sono arrabbiate. [Bypassa le difese
evitando di generare ansia.]
-Dare consigli.
- Insegnare.
Inoltre, insegnare è l'ambito in cui è possibile fornire al paziente principi che può interiorizzare in
modo da poter essere in grado di prendere decisioni o esprimere giudizi in maniera più adattiva.
Insegnare principi si rivela solitamente una tattica più potente rispetto all'impartire consigli
relativamente a un dato problema, perché i principi sono più facilmente generalizzati e usati, in
maniera adattiva, nel tempo e in diverse situazioni.
- Promuovere l'autonomia. Al paziente è permesso dipendere dal terapeuta solo nella misura in
cui ne abbia effettivamente necessità, come dipenderebbe da un buon genitore o da un mentore.
Il terapeuta fissa dei limiti quando appropriato e, all'occorrenza, trasmette il messaggio che il
paziente è in grado di portare a termine un compito in maniera autonoma.
140
Parte V: Terapia di gruppo, familiare e di coppia
L'orientamento sistemico-familiare
L'orientamento sistemico-familiare è caratterizzato dalla visione della famiglia come sistema
transazionale, e presuppone che gli eventi stressanti e i problemi di un singolo membro
influenzino l'intera famiglia come unità funzionale con effetti che si estendono a tutti i membri e
alle loro relazioni. I problemi individuali sono valutati nel contesto del sistema familiare e sono
considerati problemi relazionali familiari.
La pratica della terapia familiare si fonda sull'orientamento biopsicosociale, che prende in
considerazione la complessa relazione tra individuo, famiglia e contesto sociale. Prende cioè in
considerazione le influenze che vanno oltre la famiglia che nel corso della vita modellano il
funzionamento sia individuale sia familiare.
L’orientamento sistemico-familiare si basa sulla prospettiva multigenerazionale, ossia sul fatto che
lo sviluppo individuale e familiare coevolvono lungo il corso della vita e attraverso le generazioni.
Gli interventi sistemico-familiare mirano a modificare i modelli disfunzionali e hanno l'obiettivo di
stimolare le risorse familiari e di rafforzare sia il funzionamento individuale. I clinici di questo
orientamento valutano in che modo i membri della famiglia possono contribuire alle situazioni
problematiche e in che modo ne sono influenzati.
I membri della famiglia si influenzano reciprocamente e ogni azione è anche una reazione. Per
esempio così la risposta eccessivamente dura di una madre al baccano del proprio bambino
può esacerbare il comportamento fuori controllo di quest'ultimo.
Nell’osservare una sequenza di interazioni si individuano i modelli ripetitivi che coinvolgono alcuni
membri della famiglia. Sebbene i processi possano essere circolari (ossia a ogni azione segue una
conseguenza o una reazione) non tutti i partecipanti hanno pari poteri o importanza.
È importante che i clinici prendano una posizione neutrale o non colpevolizzante e che non
etichettino la famiglia sulla base della diagnosi di un singolo membro.
Non si dovrebbe presumere, inoltre che il familiare svolga un ruolo causale nei sintomi di un
individuo, che possono, invece, derivare dai tentativi infruttuosi di gestire una situazione
personale che lo pressa e che ha significative componenti eziologiche genetiche o biologiche. Tra
141
le molteplici influenze dovrebbe essere considerato l’impatto degli stress ambientali e delle
condizioni socioeconomiche.
Nella formulazione del funzionamento familiare non bisogna lasciarsi influenzare dalle diversità
culturali e da pregiudizi culturali, personali e professionali al fine di non incoraggiare il senso di
inadeguatezza e di fallimento della famiglia in difficoltà.
Viene effettuata una mappatura del sistema volta ad analizzare il funzionamento familiare grazie
all’ausilio di strumenti quali il genogramma e la linea del tempo, volti ad indagare i rapporti intra e
interfamiliari e tracciare gli schemi presenti nel sistema al fine di guidare la programmazione degli
interventi. Vengono dunque individuati i pattern problematici e le relazioni difficili, le influenze
positive e le eventuali risorse. Vengono indagati anche i cambiamenti organizzati della famiglia e le
strategie di coping in risposta alle difficoltà e alle perdite significative del passato.
Gli eventi nodali attuali critici che la famiglia sta attraversando e lo stress connessi a essi possono
intersecarsi con questioni critiche multigenerazionali, ossia riattivare conflitti irrisolti e perdite
simili all’evento stressante che essa sta attraversando e creare confusione, generando conflitti
catastrofici: una madre, che era rimasta incinta all'età di sedici anni, può iniziare a preoccuparsi
ansiosamente che la figlia sedicenne possa fare la medesima esperienza. Detto ciò, è
particolarmente importante considerare gli eventi critici che si sono verificati alla stessa età del
paziente o gli attuali punti nodali del sistema familiare.
Ciò che clinici fanno è valutare i cambiamenti organizzativi della famiglia e le strategie di coping in
risposta alle difficoltà e alle perdite significative del passato; tale indagine aiuta a comprendere il
significato attuale della costituzione, della gestione e dell'adattamento alle perdite effettive o
minacciate.
Vengono valutati tre componenti del sistema familiare: i sistemi di credenze, i modelli organizzativi
e i processi comunicativi.
I sistemi di credenze condivisi sono alla base del funzionamento familiare: facilitano le aspettative
riguardanti i ruoli e le azioni che guidano la vita familiare e i suoi componenti. Si evolvono
attraverso le transazioni con gli altri significativi e con il mondo sociale allargato e sono trasmessi
per via transgenerazionale. Il clinico analizza esse e il significato attribuito loro, il modo in cui si
sono modificate e come possono essere migliorate;
La seconda componente del sistema familiare, costituito dai modelli organizzativi, è necessaria
per mantenere il senso di unità per favorire un sano sviluppo dei membri e per fronteggiare le
principali sfide della vita. Per funzionare bene una famiglia ha bisogno di una leadership forte, con
regole, ruoli e schemi d'interazione prevedibili e coerenti; essa deve anche adeguarsi al mutare
delle circostanze e delle priorità evolutive; essere coesa e bilanciare i bisogni di vicinanza e di
sostegno reciproco nel rispetto delle differenze individuali e della separatezza; di confini familiari
stabili, chiari e permeabili. Quando sono prive di questa struttura flessibile, le famiglie agli estremi
più disfunzionali tendono a essere eccessivamente rigide e autoritarie oppure caoticamente
disorganizzate e prive dir una guida.
I processi comunicativi facilitano l'intero funzionamento familiare e i terapeuti familiari ne
considerano sia l'aspetto di contenuto sia quello relazionale. Viene valutata la chiarezza, ossia la
capacità dei membri di comunicare apertamente su questioni pragmatiche ed emotive e il problem
solving collaborativo, ossia il modo in cui vengono prese le decisioni attraverso la negoziazione, il
compromesso e la reciprocità.
La terapia di coppia
La terapia di coppia risulta utile per le coppie che presentano problemi sentimentale e/o sessuali.
Quando i problemi sessuali si intrecciano con le difficoltà relazionali possono essere utilizzate
anche tecniche comportamentali. La terapia di coppia è utile anche nelle situazioni in cui un
partner è affetto da gravi malattie o disabilità e in cui il rapporto è squilibrato e mancano il
sostegno o l'accudimento. Rispetto a un trattamento esclusivamente individuale il terapeuta
lavora su entrambi i coniugi e questo gli permette di non farsi una visione troppo negativa del
144
partner mancante. Ciò comporta minor rischi di essere triangolato dal cliente per trasformare il
coniuge in un capro espiatorio o di essere coinvolto in vani tentativi di cambiarlo.
Nella terapia di coppia, il terapeuta assume una posizione imparziale, riducendo gli aspetti
difensivi e accusatori nei cicli di vulnerabilità e facilitando la comprensione reciproca,
la comunicazione e il sostegno per il cambiamento in una relazione positiva.
La terapia di coppia può inoltre facilitare la terapia individuale, poiché consente in generale a ogni
partner di raggiungere una maggiore chiarezza rispetto ai problemi relativi al rapporto, nonché ai
problemi del partner e a quelli che sono stati co-costruiti o causati da fattori esterni.
146
Gottman (e numerosi altri autori) ha anche dimostrato che non solo i nostri comportamenti, ma
anche le nostre percezioni contribuiscono a determinare i livelli di soddisfazione sperimentati nel
matrimonio. Un sentimento positivo dominante la capacità di percepire sentimenti positivi
riguardo al proprio partner e di vedere in modo positivo gli eventi e i processi della relazione è
fondamentale per la soddisfazione di coppia.
La ricostruzione affettiva
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La ricostruzione affettiva è un approccio evolutivo pluralistico deriva dalla constatazione che le
difficoltà delle coppie spesso derivano da ferite ricevute in precedenti relazioni, a causa delle quali
i partner sviluppano strategie di difesa che interferiscono con l'intimità. Snyder e Schneider
definiscono la ricostruzione affettiva come "l’interpretazione dei pattern persistenti di rapporti
disadattivi che hanno la loro origine nelle precedenti esperienze evolutive". Questo approccio si
fonda su un modello gerarchico e pluralistico che include interventi strutturali, comportamentali e
cognitivi, per raggiungere sei obiettivi fondamentali: 1) sviluppare un'alleanza collaborativa; 2)
contenere le crisi che minano il rapporto; 3) rinforzare la diade coniugale; 4) promuovere
adeguate competenze relazionali; 5) mettere in discussione gli aspetti cognitivi delle difficoltà
relazionali; e 6) esaminare le cause delle difficoltà relazionali. La durata del trattamento è di
venticinque sedute, ognuna di 50 minuti, anche se per molte coppie possono essere sufficienti un
numero minore di sedute e, per alcune, è necessario un numero maggiore.
149
La terapia di coppia a orientamento femminista
La terapia di coppia a orientamento femminista ha posto al centro del trattamento le questioni di
genere. Essa si occupa delle modalità con cui le differenze di potere si manifestano nella relazione
di coppia. I terapeuti di coppia a orientamento femminista credono che l'intimità non possa essere
raggiunta senza la parità; pertanto, in questo approccio, il terapeuta deve valutare la distribuzione
del potere nella relazione e lavorare con la coppia per bilanciarlo.
Questioni etiche
Le considerazioni etiche sono un aspetto essenziale della terapia di coppia. Le questioni di
riservatezza e di tenuta delle cartelle cliniche devono essere discusse e chiarite all’inizio della
terapia. Una questione di particolare rilievo riguarda la condivisione di segreti tra uno dei partner
e il terapeuta. È generalmente consigliabile che i terapeuti di coppia si astengano dal garantire
segreti individuali importanti che interessano il matrimonio.
A volte, anche delineare l'obiettivo della terapia stessa può costituire un dilemma etico, come
accade quando i partner perseguono scopi molto diversi nella loro relazione.
La maggior parte dei terapeuti di coppia concorda sul fatto che un obiettivo della terapia è cercare
di preservare e sviluppare rapporti migliori, ma non è salvare il rapporto a tutti i costi.
I fattori terapeutici
I fattori terapeutici comprendo la speranza, l’appartenenza, l’altruismo.
La speranza è essenziale nelle prime fasi del trattamento e durante le fasi di ingresso dei nuovi
membri.
L’appartenenza viene promossa nelle sedute successive tramite i feedback che ogni membro
riceve dall’altro. I membri del gruppo ricevono quindi opinioni sincere e ricche di sfaccettature sul
modo in cui sono vissuti dagli altri e, allo stesso tempo, vedono in che modo gli altri membri del
gruppo affrontano specifici tipi di interazioni. Cosi, nuovi comportamenti vengono modellati e
vengono convalidate diverse capacità. Se un modello sembra utile, il paziente può provare a
sperimentarlo e se gli esperimenti hanno successo può provare a mettere in pratica il nuovo
comportamento all’interno del gruppo. Questo porta a un aumento delle capacità di coping.
Per quanto riguarda l’altruismo, i pazienti hanno diverse occasioni di aiutarsi reciprocamente, e
questo produce, sia nei pazienti sia nei terapeuti, un incremento del sentimento di autostima.
L'insight è favorito non tanto dalle interpretazioni fatte dal conduttore, quanto da quelle fatte dai
membri del gruppo, che possono essere in contatto con i reciproci conflitti inconsci più di quanto
non potrebbe esserlo anche il conduttore più abile. Nella psicoterapia di gruppo a lungo termine,
infine, i membri del gruppo hanno l'opportunità di elaborare i propri conflitti.
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- Onestà. I membri del gruppo si assumono l'obbligo di rispondere l'uno all'altro con la massima
sincerità e le discussioni che ne derivano sono spontanee ed emotivamente ricche.
- Rispetto. Del mondo in cui vengono dette le cose.
- Operosità. L'operosità fa riferimento alla necessità di portare avanti il lavoro terapeutico nel
gruppo di psicoterapia, dove l'espressione di pensieri e sentimenti costituisce l'insieme dei
dati necessari all'esplorazione e alla verifica dei significati.
- Responsabilità. Ogni membro deve fare la propria parte, e ha quindi la responsabilità di
partecipare alle sedute con una frequenza adeguata e d'interagire con ogni altro componente del
gruppo.
- Applicazione. I miglioramenti acquisiti nell'esperienza di gruppo devono essere utilizzati nella vita
quotidiana.
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comunque analizzati come individui; in questo caso il terapeuta essenzialmente lavora a turno su
ognuno di loro.
Il secondo approccio utilizza il gruppo come oggetto del trattamento e si basa sulla teoria che
l'inconscio condiviso di tutti i membri del gruppo formi una nevrosi di transfert gruppale, la cui
risoluzione sarà di aiuto a tutti i partecipanti.
L'approccio maggiormente applicato, infine, utilizza il gruppo come agente terapeutico.
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Le tappe di sviluppo
Vi sono quattro fasi. La prima, di coinvolgimento o formazione del gruppo, è caratterizzata dalla
condivisione, da parte dei pazienti, dei loro problemi. In questa fase, l'accento è posto sulle
somiglianze e l'aggressività tende a essere taciuta, anche se la competizione per il tempo e
l'attenzione possono essere evidenti. Durante la seconda fase, di differenziazione e di
individuazione, i pazienti stabiliscono la propria identità individuale all'interno del
gruppo, chiariscono le differenze ed emerge un'appropriata aggressività. Questo porta alla terza
fase, del gruppo di lavoro, caratterizzata dal sentimento di intimità: l'appartenenza e la coesione
del gruppo sono al massimo e i membri che inizialmente erano scettici circa la propria capacità "di
parlare con un gruppo di sconosciuti" si ritrovano ad aspettare con inattesa intensità la riunione
successiva. La seconda e la terza fase spesso si fondono l'una nell'altra ed è difficile (e inutile)
considerarle separatamente. La quarta fase rappresenta il momento di conclusione o di svincolo.
Anche se i gruppi a lungo termine possono continuare per anni, tutte queste fasi sono eventi che si
ripresentano più volte e influenzano il gruppo. Il periodo precedente a una lunga vacanza o alla
laurea di un apprezzato membro del gruppo, per esempio, determinano manifestazioni tipiche
delle fasi di conclusione. Allo stesso modo, l'introduzione di uno o più nuovi membri riporta il
gruppo ai fenomeni della fase di formazione (una prova del buon funzionamento del gruppo è
data dalla rapidità con la quale esso riemerge da questa fase; un gruppo ben funzionante può
indurre un nuovo membro a compiere questo processo in un tempo estremamente breve).
La tecnica di conduzione
Il compito più importante del terapeuta di gruppo è quello di aiutare il gruppo a fare il proprio
lavoro, soprattutto se il suo approccio considera il gruppo come l'agente del cambiamento
terapeutico.
Durante la fase iniziale di sviluppo del gruppo la tecnica si incentra sulla creazione di un clima di
speranza. La formazione del gruppo è incoraggiata dalla consapevolezza dell'universalità di alcuni
temi e dalla presenza di diversi elementi di comunanza, nonché dalla limitazione dei conflitti
precoci e di un eccessivo autodisvelamento da parte dei membri. Nelle fasi intermedie, la tecnica
del conduttore è caratterizzata dalla necessità di elaborare soprattutto i fenomeni connessi con la
resistenza. Egli incrementa i sentimenti di appartenza costruendo una coesione e una cultura di
gruppo. Mette anche in atto degli interventi propositivi, inserendo commenti relativi allo scopo.
I sottogruppi sono un aspetto costante nella vita di ogni gruppo e non sono necessariamente
antiterapeutici, ma spetta al conduttore valutarne la natura. Se essi si formano e riformano
fluidamente, in modo che nuove tematiche possano essere prese in considerazione, mentre sono
lasciate cadere le precedenti, i sottogruppi sono validi. Se, invece, i sottogruppi sono rispettati
rigidamente e 'alleanza al loro interno diventa più importante del tema in discussione, allora il
conduttore deve intervenire, poiché si tratta di sottogruppi antiterapeutici. Lo stadio finale della
formazione dei sottogruppi è costituito da un sottogruppo composto di un solo membro, il capro
espiatorio: si tratta sempre di un fenomeno antiterapeutico che richiede l’intervento del
conduttore. In sostanza, il terapeuta promuove una adeguata interazione tra i membri del gruppo
per aumentare l'espressione delle diverse individualità e per consentire alle persone di
raggiungere i loro obiettivi, compresi quelli di recente sviluppo. Nella fase avanzata o di
conclusione, il conduttore presta attenzione agli argomenti relativi alla fine della terapia e al
tema del lutto all'interno del gruppo.
Il livello di attività (o di intervento) del terapeuta e gli altri aspetti connessi allo stile
degli interventi sono determinati dalle esigenze del gruppo, nonché dalla personalità del
conduttore.
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Quando il gruppo sta lavorando bene, il terapeuta dovrebbe limitare la propria partecipazione a
un ascolto attento, mentre quando il lavoro del gruppo è bloccato da un qualsiasi tipo di
impedimento, il terapeuta dovrebbe intervenire attivamente per consentire al gruppo di andare
avanti. Fra gli ostacoli possiamo ricordare la monopolizzazione, le interazioni diadiche ripetitive, i
sottogruppi fissi, l'eccesso di materiale esterno al gruppo e l'intellettualizzazione. Tutti gli
interventi devono essere propositivi e perlopiù basati sul principio che il gruppo è la risorsa
fondamentale. Ciò significa che gli interventi più comuni sollecitano le risorse del gruppo sul tema
in discussione e che sono incoraggiate le interazioni generali e specifiche tra i membri. Il terapeuta
incoraggia regole di gruppo produttive quali l’onestà, il rispetto, l'operosità, la responsabilità e
l'applicazione. Egli protegge i confini del gruppo, aiuta a migliorare l'appartenenza e incoraggia i
partecipanti a perseguire i propri obiettivi specifici.
Il terapeuta cerca di favorire il processo piuttosto che indirizzare l’attenzione ai contenuti. I suoi
interventi si focalizzano principalmente sul processo, per aiutare il gruppo a lavorare sui contenuti.
Il livello d'interpretazione varia a seconda delle ipotesi del terapeuta circa le esigenze del
gruppo in quel particolare momento, ma la maggior parte degli interventi è attinente al piano
psicologico.
Variazioni
Nel caso in cui la terapia di gruppo sia a termine, è richiesta una costante focalizzazione sia sul
tema intorno al quale il gruppo è stato costituito (per esempio, il divorzio, il lutto) sia sulla natura
dell'esperienza; il momento della conclusione del trattamento deve essere indicato fin dall’inizio e
affrontato esplicitamente nella maggior parte delle ultime sedute.
Introduzione
L'integrazione ha lo scopo di sintetizzare il sapere che deriva dai diversi orientamenti della
psicoterapia e di fornire basi in qualche modo comuni e comunicabili tra terapeuti di diversa
formazione. Quest'obiettivo è della massima importanza per almeno tre ragioni: a) validare
l'approccio psicologico al paziente indipendentemente dalla cornice teorica in cui si inscrive; b)
adattare le diverse pratiche cliniche che derivano dalle differenti cornici teoriche ai diversi pazienti
e ai loro bisogni specifici; c) fornire ai terapeuti in formazione la più ampia gamma di conoscenze
teoriche e pratiche sui vari tipi di intervento psicologico in modo tale che, al termine del percorso
formativo, essi possano disporre di tutti gli strumenti necessari per intervenire in maniera
"plastica" sui pazienti, essendo guidati dalle esigenze di uno specifico caso in un dato momento.
Nella letteratura internazionale e in quella italiana si è iniziato ad affrontare il tema
dell'integrazione degli interventi psicoterapeutici in maniera sistematica a partire dagli anni
Novanta, proprio a partire dall'esigenza di creare un "saper fare", un "saper curare", comune, o
quanto meno trasversale, a tutti gli orientamenti. Alla base di questa esigenza c'era l’osservazione
che la maggior parte del cambiamento che si verifica nel paziente nel corso del processo
155
psicoterapeutico dipende da fattori diversi da quelli connessi alla specifica tecnica utilizzata o dalla
cornice teorica cui la tecnica si iscrive quali l'alleanza terapeutica, l'osservazione, il
rispecchiamento, la possibilità di fare un'esperienza emotiva correttiva, e quella di sperimentare
una conoscenza e una consapevolezza intersoggettive.
Nel lavoro psicologico con il paziente, ciascun terapeuta, al di là del suo orientamento formativo o
della cornice teorica di riferimento cui si sente, per ragioni personali o culturali, legato, utilizza
spesso (talora inconsapevolmente) interventi attinti da modelli diversi. Questo anche con lo stesso
paziente, in momenti diversi del trattamento. Può accadere, per esempio, di muoversi avanti e
indietro lungo il continuum supportivo-espressivo, o di utilizzare tecniche e interventi specifici,
cognitivi, comportamentali, o più propriamente psicodinamici, a seconda del momento, della
condizione più o meno regressiva del paziente, della presenza di contenuti
traumatici, dell'emergere di tematiche difficili di natura transferale o controtransferale.
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terapeuta, il ruolo chiave dell'alleanza terapeutica e l'importanza di porre l'attenzione
sull'outcome piuttosto che sulla teoria e la tecnica.
Coinvolgimento
L’obiettivo iniziale di ogni psicoterapia è solitamente stabilire e rafforzare l’alleanza terapeutica.
Molti passaggi possono contribuire a questo processo, come definire con il paziente le sue
aspettative riguardo agli esiti desiderati e tali obiettivi; definire accuratamente lo stato emotivo del
paziente nel corso del processo della psicoterapia; fornire informazioni rilevanti per il paziente;
offrire al paziente suggerimenti efficaci; gestire con efficacia i confini della terapia e la relazione
terapeutica.
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Attivazione dell'auto-osservazione
L'attivazione e l'incoraggiamento della continua autoconsapevolezza del paziente all'interno di una
relazione sicura e di fiducia è il secondo processo della psicoterapia. Quando questo processo è
attivato con successo, i pazienti diventano meno ansiosi e maggiormente in grado di esplorare il
loro mondo interno e interpersonale. La relazione terapeutica, che diviene sempre più positiva,
fornisce uno "spazio riflessivo" all'interno del quale condurre l'autoesplorazione.
Ricerca di pattern
Un terzo obiettivo della psicoterapia è la definizione di pattern che il paziente può cambiare e che
porteranno al raggiungimento di un obiettivo o di un sotto-obiettivo desiderato
Cambiamento
La psicoterapia non cura i pazienti; piuttosto li aiuta a cambiare. Sono i pazienti si assumono la
responsabilità del cambiamento; i terapeuti non cambiano i pazienti.
Gli obiettivi terapeutici possono essere raggiunti attraverso diversi processi, spesso sovrapposti, i
quali includono le strategie e tecniche della scuola di psicoterapia di riferimento, pur non
limitandosi a esse. Alcune strategie generali di cambiamento sono: separare il passato dal
presente; mettere alla prova le credenze, i comportamenti e le emozioni disfunzionali; generare
alternative; decidere cosa cambiare; valutare i vantaggi e gli svantaggi del cambiamento; suggerire
come e cosa cambiare; trasformare gli ostacoli in opportunità; modificare le aspettative verso il
futuro; fronteggiare le paure; riformulare; risolvere i conflitti; fare pratica durante la seduta;
elaborare; rinforzo positivo; role-playing; self-disclosure del terapeuta.
Il modo più diretto per individuare la strategia da utilizzare è quello di decidere quali strategie
sembrino più adeguate al raggiungimento degli obiettivi del paziente e in seguito, tra queste,
scegliere quella che è più probabile che il paziente accetti. Nell'effettuare questa scelta devono
essere prese in considerazione strategie evidence-based, tenendo comunque presente che
la maggior parte degli esiti della ricerca si basa su studi di pazienti altamente selezionati e
omogenei per diagnosi, che vengono reclutati attraverso annunci e che desiderano partecipare a
protocolli di ricerca.
Confini professionali in psicoterapia (Cap. 30 - Gabbard)
I confini professionali possono essere definiti semplicemente come i parametri che delimitano i
confini di una relazione di fiducia in cui il paziente affida il proprio benessere allo psicoterapeuta. I
confini devono essere adattabili e flessibili ma non rigidi altrimenti sarebbero antiterapeutici.
Il concetto di confine professionale appare solo recentemente in letteratura. In larga misura, esso
trae origine dal problema dei rapporti sessuali fra terapeuti e pazienti, una condotta contraria
all'etica che comporta strascichi legali e serie conseguenze per il paziente e per la reputazione dei
professionisti nel campo della salute mentale (Gutheil, Gabbard, 1993).
Di conseguenza, crescente attenzione è stata posta a questioni come il luogo in cui si svolgono le
sedute, il segreto professionale; 'eccessivo ricorso a self-disclosure; il ruolo professionale del
terapeuta; la durata delle sedute; l’onorario; lo scambio di regali e servizi; l'abbigliamento e il
linguaggio più appropriato; e la possibilità di contatti fisici di natura non sessuale.
159
professionali deve tener conto di almeno due categorie: i semplici superamenti e le vere e proprie
violazioni.
I superamenti dei confini sono in genere infrazioni benigne, episodiche, che possono essere
oggetto di discussione fra terapeuta e paziente e non implicano uno sfruttamento del paziente.
La maggior parte delle diadi terapeutiche attraversa un periodo di adattamento in cui lo
psicoterapeuta si mostra sensibile negoziando implicitamente il livello di vicinanza o distanza più
confortevole per il paziente in modo da costruire insieme un contesto ottimale per la terapia.
Un altro aspetto del superamento dei confini è il riconoscimento che, nella vita, possono accadere
eventi imprevisti che richiedono una risposta umana. Per esempio, la maggior parte dei terapeuti
ricambierà l'abbraccio di un paziente che ha subito una recente perdita, nella consapevolezza
che allontanare il paziente potrebbe pregiudicare per sempre l'alleanza terapeutica. Inoltre,
nessun terapeuta è perfetto, e a volte anche i migliori mettono in atto dei comportamenti inconsci
quando i pazienti si comportano in modo inconsueto. Questi enactment spesso riflettono relazioni
oggettuali interne che emergono dalla diade e possono avere un profondo significato.
Le violazioni dei confini, invece, rappresentano fenomeni più gravi, spesso ripetitivi, che hanno
conseguenze negative per il paziente o sfruttano la sua posizione di dipendenza o vulnerabilità.
Avere un rapporto sessuale con un paziente o una paziente rappresenta il caso confine, ma non
meno deplorevole è la condotta di un terapeuta che sfrutti economicamente un suo paziente, per
esempio chiedendogli insistentemente del denaro da impegnare in un fondo comune di
investimento. Un altro aspetto delle violazioni dei confini, spesso, è l'indisponibilità del terapeuta a
discutere la questione con il paziente. Il terapeuta può dichiarare che la sua condotta fa parte della
relazione "reale" e come tale non va discussa.
A volte, si usa l'espressione infrazione dei confini per indicare sia i superamenti sia le violazioni. In
letteratura si trova anche l'espressione confusione dei confini per indicare una situazione in cui la
cornice terapeutica è indistinta ma vi è assenza di veri e propri superamenti o di violazioni dei
confini.
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Segreto professionale
Il segreto professionale rappresenta uno dei confini più inviolabili nella nostra professione. Esso va
ben oltre il semplice impegno di non ripetere ciò che dice il paziente al di fuori della stanza
d’analisi. I terapeuti sono eticamente vincolati a non agire sulla base delle informazioni che
ricevono durante la seduta terapeutica. Per esempio, il terapeuta non dovrebbe avvantaggiarsi
delle "dritte” di un paziente per giocare in borsa. Se il terapeuta apprende da un paziente che un
collega sta divorziando, non dovrebbe rivelare quest'informazione a nessun altro. Il segreto
professionale è tutelato da diverse leggi oltre che dai codici deontologici. Una violazione di questo
principio potrebbe esporre il terapeuta a cause legali o a sanzioni da parte degli ordini
professionali.
A volte, il pieno rispetto del diritto alla riservatezza e alla privacy del paziente impone al terapeuta
di mentire ad altre persone. Per esempio, nel caso descritto in precedenza del terapeuta che
apprende del divorzio di un collega da un paziente, egli è tenuto a fingere di non sapere quando
incontrerà il collega o quando gli riporteranno la notizia.
Il segreto professionale non è un principio inviolabile. In ogni caso, si è tenuti a ignorare la privacy
per riportare un abuso minorile. In alcune circostanze, la minaccia di un'imminente violenza a
danno di qualcuno comporta il dovere di avvertire il paziente che, in questi casi, l'obbligo di
riservatezza non vale. Analogamente, quando il paziente mostra una chiara tendenza suicida e
tutto sembra confermare che è disposto ad agire in base a questo impulso, molti terapeuti
preferiscono avvertire i familiari, in modo da creare un sistema di sostegno per contenere i
propositi distruttivi del paziente. In un ristretto numero di casi, i terapeuti che apprendono di un
coinvolgimento sessuale di un collega da una fonte confidenziale, sono tenuti a riferire il fatto
all'ordine professionale.
Anche uno psicoterapeuta può essere amante del gossip, e l'orgoglio di avere in cura un
personaggio famoso spesso può spingerlo a confidare ai colleghi di avere come paziente una
persona tanto importante. Tuttavia, il concetto di segreto professionale si estende anche
all'obbligo di non rivelare di avere in cura o no una certa persona. Lo stesso vale per la
supervisione. Nella maggior parte dei casi, non occorre rivelare al supervisore o al collega il nome
del paziente, sempre che ciò non sia necessario per fargli comprendere appieno la complessità di
un certo caso.
D'altra parte, quando si presenta un caso clinico per finalità didattiche o in una pubblicazione
scientifica, bisogna essere attenti a occultare le informazioni che potrebbero rivelare l'identità del
paziente.
161
Anche le self-disclosures riguardanti problemi personali dovrebbero essere attentamente
ponderate, poiché spesso possono rappresentare il primo passo verso una degenerazione del
rapporto-terapeutico.
Onorari
Il fatto di essere pagato differenzia il terapeuta da un genitore, un partner un amico e così via.
Ogni volta che il paziente paga la parcella, ciò gli ricorda che ha "noleggiato" il tempo del
terapeuta e che dovrebbe usarlo proficuamente. Uno dei segnali più indicativi di una
degenerazione del rapporto professionale si ha quando il terapeuta smette di far pagare le sedute
o "fa credito" oltre misura. Un'altra variazione consiste nel permettere al paziente di ricevere due
sedute pagandone una soltanto. In ogni caso, il terapeuta dovrebbe monitorare attentamente il
modo in cui gestisce i pagamenti del paziente e gli onorari richiesti come espressione del suo
desiderio controtransferale di dare al paziente qualcosa senza chiedergli nulla in cambio.
Un ulteriore elemento problematico che può incidere sulla gestione dei pagamenti è la sensazione,
da parte del terapeuta, che la terapia sia inutile o di non essere all'altezza.
Abbigliamento e linguaggio
Il modo di vestire e di parlare sono aspetti del ruolo di psicoterapeuta che raramente vengono
presi in considerazione nelle discussioni sui confini professionali. La scelta di un abbigliamento
professionale comunica al paziente che il terapeuta prende sul serio il proprio lavoro. A volte, il
paziente abbandona la terapia dopo la prima seduta perché il terapeuta non gli
appare professionale. Oltre all'abbigliamento casual, anche un modo di vestire seducente può
compromettere la professionalità del terapeuta agli occhi del paziente. Una terapeuta, per
esempio, potrebbe vestirsi in modo da apparire seducente agli altri senza rendersene conto.
Anche un modo di parlare volgare o informale potrebbe compromettere l'immagine di
professionalità che viene trasmessa al paziente. In genere, quando si vogliono indicare atti sessuali
o parti anatomiche è meglio impiegare termini tecnici.
Inoltre, il linguaggio del terapeuta potrebbe essere percepito come violento da alcuni pazienti,
soprattutto da quelli che hanno sperimentato aggressioni verbali in passato.
Contatti fisici
In generale, la psicoterapia non prevede contatti fisici. Può esserci una stretta di mano al primo
incontro ma, nella maggior parte dei casi, non nelle sedute successive. Naturalmente, sono
previste delle eccezioni, in genere in considerazione di specifiche usanze culturali, per cui vi potrà
essere una stretta di mano all'inizio e al termine di ciascuna seduta. Nella maggior parte dei casi, il
terapeuta può ricambiare una stretta di mano senza preoccuparsi delle conseguenze. La sola
eccezione si ha in presenza di un transfert erotico, in cui, per esempio, il paziente (o la paziente)
attribuisca alla stretta di mano una valenza sessuale. Quindi, bisogna valutare caso per caso.
Come notato in precedenza, non si può dichiarare un abbraccio inaccettabile per principio, e può
capitare che il terapeuta ricambi l'abbraccio di un paziente che ha subito una perdita significativa.
Tuttavia, gli abbracci di regola non dovrebbero far parte della psicoterapia, perché il paziente
potrebbe facilmente fraintendere le intenzioni del terapeuta.
163
In sintesi, ecco alcune utili indicazioni sui contatti fisici:
1. Il terapeuta non dovrebbe abbracciare i pazienti di propria iniziativa.
2. L'abbraccio di un paziente andrebbe ricambiato.solo in circostanze eccezionali.
3. In presenza di un chiaro transfert erotico da parte del paziente, i contatti fisici dovrebbero
essere evitati.
4. Andrebbe esplorato il significato di ogni contatto fisico con il paziente come parte del processo
terapeutico.
La disparità di potere
Ogni relazione terapeutica si basa su un rapporto di fiducia, e quindi comporta un notevole grado
di dipendenza emotiva e disparità di potere. Questa disparità di potere, una volta stabilita,
permane anche dopo la conclusione della terapia (Gabbard, 2002).
165
più netto confine tra ciò che è interno e ciò che è esterno, consentendogli così di entrare in
relazione con il mondo senza il rischio di diffusione e dispersione del sé.
Attraverso le relazioni reali e immaginarie - presenti e passate - nel mondo interno
dell'adolescente, gli "innesti" familiari e culturali sedimentati (Napolitani, 1987) che hanno
contribuito allo sviluppo della sua individualità si trasformano creativamente: l'identità è
intimamente e fortemente legata alle relazioni precedenti che hanno attraversato l'individuo, alle
matrici transpersonali del gruppo e della comunità e della società cui il soggetto appartiene; ma
anche a ciò che transgenerazionalmente è giunto al soggetto attraverso racconti, esperienze,
relazioni, vissuti inconsci, oltre che l'incontro e la sperimentazione con il nuovo, l'inedito, ciò che
ancora non è mai stato esplorato. Il nuovo corpo sessuato, la sessualità, la possibilità di
stringere nuovi e significativi legami extra familiari e la sperimentazione di nuovi ruoli sociali
costituiscono nuovi scenari relazionali che riscrivono, e in parte trasformano, le matrici originarie
del mondo interno dell'adolescente.
I “con-fini” dell’adolescenza
Dobbiamo porre attenzione ai diversi gruppi di appartenenza del soggetto e al ruolo che essi
rivestono all'interno del complesso processo di individuazione. L'adolescente si muove tra
molteplici e diversificati ambiti istituzionali, contesti gruppali formali e informali, realtà complesse
e multiformi che in misura e con modalità differenti entrano a far parte e influiscono sul suo
sviluppo identitario.
È la famiglia il primo nucleo identitario del bambino prima e dell'adolescente poi; essa, grazie allo
svolgimento della sua funzione di accudimento fisico e psichico e attraverso i processi di
trasmissione transpersonale e transgenerazionale di ideali, valori, temi culturali che attraversano
la storia di ogni contesto familiare nucleare e allargato, costituisce la matrice identitaria dell'uomo.
I contenuti familiari consci e inconsci di cui il soggetto è portatore rappresentano la base della
formazione dell'identità: attraverso la rivisitazione del pensiero familiare, delle proprie matrici
culturali e dei valori trasmessi, il soggetto, a partire proprio dall'adolescenza, giunge
progressivamente alla maturazione di un pensiero unico e originale su di sé e sul mondo, che gli
consente di accedere a un universo simbolico più ampio in cui le esperienze assumeranno un
valore e un significato differente sulla base dell'intima e unica elaborazione che ne fa il soggetto.
Compito di ogni adolescente è quello di interpretare la propria storia familiare per dare senso a
essa e per significare in modo originale la propria "missione" nel mondo, cercando di ristabilire
quell'instabile equilibrio tra le spinte conservatrici tese a tutelare la continuità dei significati "cari
al mondo familiare" e quelle più progressiste, in qualche modo disposte a disarticolarne le atrofie.
Il processo dialettico che s'innesca durante l'adolescenza tra il desiderio di separazione e l'innata
spinta all'individuazione da una parte e il bisogno inconscio di avvicinamento e accudimento
dall'altra contribuisce in maniera significativa all'elaborazione di una nuova immagine di sé, che si
struttura a partire da un continuo rimaneggiamento di quei modelli e vissuti relazionali
interiorizzati a partire dai primi momenti di vita. L'adolescente può spesso trovarsi a vivere questa
fase come un ritrovarsi di fronte a due scelte tanto radicali quanto impraticabili: il rifiuto e
l'abbandono dello spazio simbolico genitoriale o la chiusura regressiva al suo interno. L'apertura
verso i nuovi contesti sociali e l'esperienza di essere all’interno di relazioni nuove e
significative facilitano il transito e l'avvio di un percorso in cui si sperimenta di poter crescere senza
recidere i legami con un familiare a cui si sente di dover in qualche modo, almeno in parte,
rinunciare.
Il processo di separazione da parte dell'adolescente può essere segnato da turbolenze emotive che
coinvolgono l'intero campo familiare.
166
Con il sopraggiungere dei primi cambiamenti puberali anche la famiglia subisce un
cambiamento inerente al delicatissimo rapporto con il figlio adolescente e all'assetto e
all'organizzazione di tutte le relazioni familiari. La crescita del figlio è talmente perturbante da
coinvolgere e rimettere in discussione anche i significati e le rappresentazioni relative alla funzione
genitoriale.
L'intero gruppo famiglia, centrato durante l'infanzia principalmente sulla funzione
dell'accudimento, è chiamato a cambiare radicalmente affinché l'adolescente possa attraversare il
confine tra l'interno - costituito dal mondo familiare - e l'esterno, costituito dal sociale. Il confine
non richiama unicamente una definizione di ruoli, di funzioni, di spazi decisionali, di demarcazione
fisica di ambienti e territori entro i quali "confinare" i personaggi del campo familiare. I confini
sono soprattutto territori simbolici e relazionali di transito, di sovrapposizione, di passaggio. Essi
contribuiscono ad attribuire senso all'esperienza nella misura in cui consentono e favoriscono il
movimento tra i contesti familiari, culturali, istituzionali e in genere gruppali cui il soggetto sente di
appartenere e quelli nuovi che desidera sperimentare.
I confini hanno un'importanza particolare in relazione all'attribuzione di senso ai propri vissuti
soggettivi: le esperienze, i sentimenti, i vissuti in genere possono essere elaborati e interiorizzati
dall'adolescente, così da sentirli come propri ed egosintonici, solo se è possibile un processo di
significazione delle proprie transizioni che permette di non vivere sentimenti di abbandono, di
colpa, di tradimento.
L’adolescente richiede ai genitori l'acquisizione di una funzione di contenimento, un luogo
protetto in cui attuare quel processo simbolopoietico necessario allo sviluppo identitario
del soggetto. L'adolescente deve poter percepire il nucleo familiare come un ambito di dialogo e
negoziazione tra i propri bisogni, quelli della famiglia e le richieste del mondo sociale. La spinta alla
creazione di nuovi nodi di significazione e alla formazione di un senso di identità e continuità del
proprio essere conduce il soggetto ad attuare un processo di messa in discussione delle proprie
appartenenze e credenze originarie, al fine di integrare in sé valori familiari e istanze sociali.
È solo attuando un processo di rielaborazione continua delle proprie matrici di appartenenza che
diventa possibile giungere alla realizzazione di un tale progetto evolutivo, che richiede, in prima
istanza, la collaborazione di contesti gruppali diversi da quello della propria famiglia.
L'attraversamento del confine tra familiare e sociale può risultare difficoltoso per quegli
adolescenti che intraprendono questo transito senza la possibilità di accedere all'elaborazione di
valori e codici differenti da quelli appresi all'interno del proprio contesto familiare .
Il passaggio di tale linea di confine appare meno faticoso nel caso in cui l'adolescente sia
supportato non solo da un ambiente familiare aperto al confronto e allo scambio con il mondo
esterno, ma anche da un contesto gruppale di coetanei che sostenga e accompagni il processo
di separazione dalla famiglia e di avvicinamento al sociale. L'universo relazionale in senso ampio, il
mondo sociale e i nuovi contesti gruppali di cui l'adolescente fa esperienza giocano in questa
specifica fase evolutiva un ruolo fondamentale nel processo di separazione-individuazione in
quanto offrono al soggetto la possibilità di mettere alla prova l'attraversabilità dei confini, ovvero
dei contenuti transpersonalmente trasmessi dal proprio contesto familiare e culturale. Solo se
questo attraversamento sarà possibile, il confronto e/o lo scontro con i nuovi contesti extra
familiari potrà dare luogo a diverse e originali modalità di rapportarsi con il mondo. La
sperimentazione di nuove relazioni e di nuovi contesti gruppali rappresenta una sorta di spazio
transazionale reale e simbolico in cui, grazie all'identificazione con ruoli e funzioni diversificate, si
dispiega un processo di soggettivazione e di ricerca di senso di sé nel mondo.
Il gruppo dei pari è l'ambito fondamentale per il processo di soggettivazione dell’adolescente;
l’omologazione ai propri pari risulta fondamentale perché agevola la separazione dalla famiglia
d’origine e l'inserimento nel mondo sociale. Questo processo consente al soggetto la formazione
167
di un'identità separata da quella dei propri genitori e la possibilità di rielaborare e fare proprio ciò
che transgenerazionalmente e transculturalmente gli è stato tramandato. La costruzione e la
consapevolezza di un nuovo sé vengono raggiunte attraversando le proprie appartenenze
originarie e avvicinandosi all'interiorizazione di nuove esperienze, vissuti, emozioni provenienti dal
mondo esterno e dai gruppi formali e informali cui il soggetto progressivamente sente sempre più
di appartenere.
La portata dei cambiamenti normativi e valoriali che negli ultimi decenni, nel mondo occidentale,
hanno investito l'istituzione familiare e l'intera organizzazione sociale rende contraddittoria, più
debole e incerta la trasrmissione intergenerazionale di norme e comportamenti che “in-segnino"
ai giovani concetti guida socialmente accettabili e condivisi per accompagnare i processi di
formazione dell'identità sociale. Il bisogno di ricerca di un senso di sé è sempre più autonomizzato
dai contesti tradizionali della trasmissione familiare e si inscrive sempre più in rapporti virtuali che
inseriscono il giovane in un contesto di multiappartenenza.
Uno sguardo clinico che attinge al lavoro di cura evidenzia il rischio che la multiappartenenza, in
una società che presenta reti smagliate si trasformi in smarrimento e disidentità.
Nonostante questi rischi, però, la maggior parte degli adolescenti trova il modo di attraversare le
incertezze e le contraddizioni antropologiche che caratterizzano i nostri tempi, investendo
affettivamente e simbolicamente molto sulle relazioni orizzontali; all'interno del gruppo non è
importante cosa si fa, quanto piuttosto lo stare insieme, il condividere momenti ed emozioni che
assumono una valenza speciale perché condivisi all'interno di una dimensione che consente di
sperimentare al tempo stesso autenticità e appartenenza.
I confini limitano lo spazio dell’adolescente ma allo stesso tempo lo formano e lo stimolano a
muoversi tra vecchio e nuovo, in un movimento continuo e incessante tra il dentro e il fuori di sé e
del contesto socioculturale cui egli appartiene. In tal senso, i "con-fini" sono territori "condivisi" tra
gli adolescenti e coloro che, direttamente o indirettamente, entrano a far parte e finiscono
per delimitare gli ambiti all'interno dei quali essi si muovono.
Il legame familiare-trangenerazionale
Ogni individuo, nel corso della sua vita, si trova a rielaborare e a far propri contenuti che non ha
egli stesso pensato o concettualizzato, ma che gli sono stati tramandati attraverso le generazioni e
che fanno parte della propria storia familiare.
Questo nodo cruciale di risignificazione consente all'individuo di far proprio e dare senso al legame
con un transpersonale familiare intergenerazionale altrimenti caratterizzato da contenuti affettivi
e simbolici statici. Il transgenerazionale rappresenta una sorta di contenuto grezzo del pensiero
familiare che, soprattutto in adolescenza, acquista nuovo significato con il sopraggiungere del
processo simbolopoietico.
L'emergere del processo di rielaborazione e attribuzione di senso non rappresenta, può scontrarsi
con ostracismi familiari difficilmente superabili, ostili a qualunque movimento di innovazione e/o
cambiamento di contenuti, valori e significati, che vengono invece assimilati come immutabili e
deterministicamente trasmessi attraverso le generazioni. Nel caso in cui la possibilità di esplorare
nuovi nodi di significazione sia compromessa dalla presenza di un universo familiare immobile
dinanzi ai fisiologici mutamenti adolescenziali, gli adolescenti possono ritrovarsi di fronte al
difficile compito di scegliere se accettare le aspettative del proprio gruppo di appartenenza e,
contemporaneamente, fare i conti con quel nuovo che intanto è penetrato nel loro mondo
psichico o, al contrario, rifiutare nettamente questa appartenenza affrontando l’ostracismo
familiare e comunque amputando una parte di sé. Numerose culture familiari, tra cui quella della
famiglia mafiosa, rappresenta l'estrema conseguenza del prevalere della storia familiare
transgenerazionale sul presente vissuto dai singoli soggetti, che determina il replicarsi nel corso
168
del tempo delle stesse modalità di categorizzazione della realtà e l'affermazione di ideali e valori
sempre uguali a se stessi.
Questo processo di saturazione della matrice familiare non consente l'emancipazione dalla propria
cultura di origine, né l'arricchimento personale necessario per l'evoluzione verso forme più nuove
e originali di elaborazione dell'esperienza.
Lo scenario che si prospetta, in questo modo, è quello della replicazione in un circolo vizioso che
non propone sfide e non offre spunti di riflessione, in cui i figli finiscono per assumere
inesorabilmente il ruolo dei propri genitori, in un continuo e incessante processo di clonazione.
La chiusura rigida all'interno di contenuti già dati e di pensieri già elaborati non permette il
confronto con il diverso, con il nuovo, con ciò che è esterno e, in quanto tale, non accettabile e
non assimilabile.
La maturazione di un pensiero personale e originale sulle modalità di lettura e categorizzazione
dell'esperienza individuale e familiare rappresenta la base per l'elaborazione del lutto legato alla
perdita delle identificazioni genitoriali, per l'avvicinamento all'universo sociorelazionale
allargato, nonché per l'ideazione di una progettualità futura che non rischi di rimanere imbrigliata
da regole e processi già dati.
L’elaborazione nel gruppo di pari di contenuti mentali non facilmente elaborabili costituisce un
importante supporto emotivo per il soggetto, che sa di poter contare su uno spazio sia fisico sia
mentale nel quale il mondo e il pensiero familiare possono essere compresi e attraversati
criticamente. La possibilità che il soggetto adolescente si concede di rivivere in gruppi diversi
da quello familiare esperienze e contenuti tramandati dalla dimensione familiare-
transgenerazionale rappresenta un importante punto di forza, in quanto costituisce un sostegno
psicologico e sociale e un contenimento psichico per esperienze e vissuti ancora non elaborati . Il
gruppo funziona come un contenitore psichico collettivo, che consente lo sviluppo di un senso di
identità soggettiva, che si completa quando la percezione d'essere se stessi è integrata con la
percezione del riconoscimento da parte degli altri.
La stretta relazione tra l'identità soggettiva e il riconoscimento da parte degli altri della propria
identità sociale consente all'adolescente di vivere un'esperienza di continuità di sé che non esige il
rinnegamento dei vissuti e delle esperienze precedenti e pre-esistenti, ma una loro
riconcettualizzazione. Continuità e discontinuità, in questo caso, non sono concetti contrapposti,
ma interconnessioni e spunti dialettici necessari alla crescita.
171
Nell'ambito della clinica gruppoanalitica italiana interessanti risultati sono stati ottenuti con
trattamenti integrati e progressivi. In primo luogo, è necessaria la disponibilità di un
terapeuta esperto, disponibile a mettersi in discussione, a tollerare le difficoltà, capace di
coordinare tramite scambi e supervisioni una rete curante. È necessaria, altresì, la presenza di un
gruppo di operatori e psichiatri disponibili a un autentico scambio relazionale con l'umiltà di
sapere che da solo nessuno può farcela. Determinante, inoltre, è la tempestività del trattamento
che dovrebbe essere intrapreso nelle fasi di esordio della malattia, quando un trattamento
adeguato è ancora in grado di contenere la psicosi e di restituire al paziente la possibilità di esserci
e di pensare alle emozioni, al terrore che hanno prodotto, all'esperienza di considerarsi "matto
e distruttivo", e a superare la convinzione che egli non potrà mai vivere come gli altri. Decisiva,
infine, è la disponibilità della famiglia ad affrontare i costi non solo economici ma soprattutto
emotivi di tutto ciò.
Sembrano aprire molte possibilità le esperienze di trattamenti gruppali con pazienti con disturbi
psicotici, condotti attraverso il lavoro d'integrazione delle reti tra i curanti, che permette di
calibrare variamente i modi e i tempi della cura attraverso il contenimento, la farmacoterapia, il
lavoro con le famiglie, la psicoterapia e/o i gruppi supportivo-interpersonali, la spinta alla
socializzazione, eventuali ricoveri brevi o comunitari ecc.
Dalle casistiche sembra emergere che la maggior parte dei pazienti ottiene
miglioramenti significativi dai trattamenti così organizzati. Per una parte di questi pazienti si può
parlare di guarigione. I costi di questi interventi, sembrano apparentemente elevati, ma a pensarci
bene essi sono irrilevanti (anche in termini economici) rispetto ai costi individuali, familiari e sociali
di una vita fatta di disperazione e angoscia, segnata dal ricorso continuo ai farmaci, dalle ripetute e
drammatiche esperienze di ricovero, dal mancato lavoro, dalle pratiche di sussidio, nonché dalla
diffusione dell'angoscia della malattia psichiatrica a tutta la famiglia allargata.
Gli autori di questo libro ritengono che una lettura multipersonale della sintomatologia aiuti a
comprendere la necessità di calibrare gli interventi sui molteplici livelli della relazionalità e a
pensare progetti che non frammentino (ulteriormente) la realtà mentale e sociorelazionale del
paziente psicotico, l'io dal Noi (come a volte avviene con i lunghissimi ricoveri in comunità, in case
famiglie ecc.), e che nel caso delle nevrosi aiutino il paziente a sciogliere le maglie dei familiari e/o
interpersonali che lo costringono dentro legami mortiferi impedendone lo sviluppo e l'autonomia.
Da questo punto di vista, la gruppoanalisi soggettuale, sganciandosi da una visione individualistica
della persona e della patologia, propone una lettura relazionale della sofferenza come evento che
acquista senso solo all'interno delle relazioni familiari, istituzionali, culturali, comunitarie ecc. in
cui il paziente è inserito. Lettura che implica, parallelamente, l'elaborazione di dispositivi di cura
che tengano conto dei molteplici piani della relazionalità e che ne facciano strumento di
cambiamento. Da questo punto di vista l’approccio forse più esemplificativo è il gruppo
terapeutico, che si configura come un dispositivo volto alla cura del singolo attraverso le relazioni
che questi esperisce all'interno del setting. All'interno del gruppo non è soltanto la relazione
terapeuta-paziente a curare, ma anche le molteplici relazioni che si sviluppano tra tutti i
partecipanti.
Pensare la famiglia
La terapia familiare ha assunto dentro di sé la prospettiva della seconda cibernetica e la tesi della
complessità e ha messo a fuoco la multidimensionalità della problematica umana creando un
nuovo campo di indagine limitrofo e comune alla psicoanalisi.
172
Entrambi scoprono nel peculiare interesse per l’intero sistema familiare transgenerazionale la
possibilità di comprendere le avventure individuali.
173
questa cultura (o matrice familiare) e il mondo interno del bambino determina lo sviluppo di
quella trama relazionale che Foulkes chiama matrice personale.
È compito della matrice familiare porsi come spazio transazionale al fine di consentire al bambino
l’operazione di significazione di sé e della propria storia familiare. La psicopatolgia è il frutto della
costrizione di senso da parte della matrice familiare ed è intesa come un nodo dell’intera rete
transgenerazionale che non lascia spazio all’individuo di individuarsi.
La terapia si pone come luogo di comprensione e trasformazione della storia transgenerazionale e
delle trame che costituiscono l'inconscio familiare ripercuotendosi nel mondo interno di ciascuno
e nel suo modo, apparentemente singolare e autonomo di relazionarsi con il mondo.
La sinergia con la famiglia del paziente sia un elemento discriminante per il buon andamento di un
progetto terapeutico.
Un progetto terapeutico condiviso con la famiglia (che con il proprio patrimonio di conoscenze e
affetti contribuisce alla comprensione dell'accaduto) ha esiti migliori dei trattamenti nei quali, per
mille motivi, non è stato possibile coinvolgerla.
Un assunto fondamentale è che il set e il set(ting) vanno co-costruiti e, successivamente, se è il
caso, anche rimodulati in base ai bisogni espressi nella relazione terapeutica.
L’introduzione dei familiari, dei coniugi, degli amici o dei colleghi è un aspetto importante nella
comprensione dei fenomeni. La moddificazione e rimodulazione del set e del set(ting) serve tale
scopo. La presenza di persone importanti legate alla vita del soggetto consente al terapeuta
gruppoanalitico di cogliere aspetti diversi delle organizzazioni personologiche e patologiche dei
pazienti, talvolta non altrimenti visualizzabili all’interno dei contesti classici di intervento.
Valutare il setting
Supervisione e discussione dei casi sono rimaste a lungo le uniche modalità di osservazione del
setting terapeutico, ma essendo previste per lo più all'interno di percorsi formativi legati a una
"scuola" sono state a lungo caratterizzate dall'autoreferenzialità, e cioè da un'unica forma di
verifica, quella prevista dal proprio modello di intervento, spesso arroccato, diffidente e
inaccessibile a verifiche esterne. Abbiamo col tempo assistito all'introduzione e all'utilizzo di
metodi di registrazione audio e/o video all'interno dei vari setting terapeutici. Questi metodi
rappresentano, rispetto al più tradizionale metodo del resoconto, un grande cambiamento
culturale perché danno al terapeuta la possibilità di osservare, osservarsi ed essere osservato nella
sua pratica e questo ha prodotto un importante salto di qualità rispetto allo sforzo di rendere
comunicabili e condivisibili le esperienze cliniche all'interno della comunità scientifica
e professionale.
178
Risulta molto difficile organizzare la letteratura empirica sulla psicoterapia di gruppo in base
all'orientamento teorico, perché l'assenza di chiarezza rispetto alle teorie impedisce di pervenire a
conclusioni chiare.
Che cosa e come valutare nella terapia di gruppo
Le prime rassegne sistematiche sulla psicoterapia di gruppo risalgono ormai a più di sessant'anni
fa.
Purtroppo, ancora molto spesso, le rassegne sulla psicoterapia di gruppo presentano e analizzano
separatamente gli studi all'interno di due ampie categorie: quelli che verificano l'efficacia del
trattamento di gruppo e quelli che descrivono o predicono i meccanismi del cambiamento
all'interno del gruppo. Poche ricerche correlano invece il processo terapeutico di gruppo con
l'esito.
Nonostante la ricerca empirica abbia ormai dimostrato in modo attendibile l'effectiveness dei
trattamenti di gruppo, i processi terapeutici che possono produrre il miglioramento clinico dei
pazienti non sono stati ancora analizzati a fondo.
Le relazioni all'interno del setting sono multiple e riguardano vari livelli che coinvolgono il
terapeuta, i singoli membri e il gruppo nel suo insieme.
Tutto ciò ha delle notevoli ricadute nella ricerca empirica, che con grandi sforzi si trova a dover
analizzare un set di variabili intrecciate tra loro e difficilmente riducibili a un unico livello di analisi.
Un'ulteriore difficoltà si configura nell'individuazione di strumenti in grado di cogliere tali livelli.
L’intreccio dei fattori terapeutici quali l’alleanza terapeutica, l’empatia, la coesione e il clima di
gruppo sono risultati essere i maggiori responsabili dell’esito positivo di una psicoterapia e sono
stati associati anche al minor tasso di drop out.
Questi costrutti rappresentano aspetti caratterizzanti del processo terapeutico gruppale e i risultati
della ricerca mostrano forti sovrapposizioni e interrelazioni tra queste variabili, rendendo dunque
impossibile, date le molteplici variabili da analizzare, intrecciati tra loro, validare empiricamente
un trattamento gruppoanalitico.
Attualmente, anche se la ricerca in psicoterapia di gruppo utilizza dei dispositivi metodologici
sempre più sofisticati e complessi, le rassegne meta-analitiche su questi trattamenti
evidenziano un'eccessiva eterogeneità che non consente la generalizzazione dei risultati.
Allo stato attuale, quindi, la ricerca sui trattamenti di gruppo si pone ancora degli interrogativi
cruciali: quali sono i principali elementi del processo terapeutico che si attivano in tali terapie? Che
ruolo gioca il fattore temporale (nei trattamenti a lungo termine) rispetto all'esito e allo
sviluppo del processo?
L’obiettivo che si propone nel presente e nel futuro e ridurre il gap tra le esigenze dei clinici e la
ricerca empirica al fine di migliorare l’andamento dei pazienti e ridurre il drop out e concepire una
terapia di gruppo sempre più centrata sui bisogni del paziente e sempre meno
all’autoreferenzialità dei modelli teorici.
La ricerca qualitativa e gli studi single case
Nell’esperienza di ricerca sui gruppi, gli studi single case approfonditi e la ricerca qualitativa basata
a vari livelli sull'intersoggettività si sono dimostrati molto utili e rilevanti. La ricerca sul caso singolo
studia approfonditamente un soggetto o un gruppo di soggetti attraverso rilevazioni ripetute
nel tempo per analizzare in maniera più puntuale il trend del miglioramento del singolo paziente.
Tale metodologia e stata sino a oggi prevalentemente adottata per le terapie individuali, mentre
meno frequente è il suo utilizzo nei setting gruppali, motivo per cui rimangono ancora irrisolte
importanti questioni rispetto al modo più efficace di analizzare i dati che provengono da un gruppo
single case. Nell'ultimo decennio nel campo della ricerca vi è stato un notevole incremento di studi
single case focalizzati sui vari elementi del processo di gruppo.
Negli studi di gruppo single case risultano molto utili le griglie qualitative.
179
Studi processo-esito nelle terapie di gruppo
La ricerca sui gruppi terapeutici ha spesso separato gli studi sull'esito da quelli sul processo e solo
recentemente la comunità scientifica si è focalizzata maggiormente sulla correlazione tra fattori
processuali e outcome. Questo tipo di studi costituisce un naturale prolungamento e
approfondimento degli studi teorici e rappresenta per molti clinici un utile sistema per la
comprensione dei propri dispositivi di cura. In diverse rassegne, infatti, è stata sottolineata
l'importanza di collegare specifici elementi del processo al miglioramento dei pazienti.
Purtroppo non è possibile trarre conclusioni chiare, a causa della variabilità delle misure utilizzate
nelle ricerche, delle caratteristiche dei pazienti e dei differenti trattamenti di gruppo. C'è ancora un
grande bisogno di ulteriori ricerche che studino l'interazione tra le dinamiche del processo di
gruppo e l'esito della terapia, anche perché vi sono molti elementi processuali che non sono stati
sufficientemente indagati (modalità relazionali, interventi del terapeuta) e che, una volta esplorati,
potrebbero contribuire in maniera significativa al miglioramento degli interventi terapeutici.
Lo studio dei fattori terapeutici
I risultati dei primi studi fatti avrebbero potuto segnare una tappa importante nella fondazione di
una base empirica per la comprensione di possibili pattern del processo terapeutico, ma purtroppo
molti problemi metodologici hanno ostacolato tale progresso. Innanzitutto, analizzando la
letteratura internazionale, è ricorrente rintracciare studi che utilizzano un ampio numero di
versioni modificate di uno stesso strumento originale, il che rende impossibile collegare e
confrontare in maniera attendibile i risultati ottenuti. Inoltre, molti studi elencano semplicemente i
fattori terapeutici includendoli in mere classificazioni senza effettuare nessuna connessione con gli
esiti. Infine, gli studi riportano una valutazione dei singoli fattori non collegata all'analisi delle
caratteristiche e dell'andamento del processo terapeutico del gruppo, dunque sono poco
rappresentativi dell'esperienza gruppale e del fatto che in essa le percezioni e i vissuti dei membri
si modificano nel tempo.
Da un ventennio circa molti autori come Kivlighan hanno condotte ricerche volte a connettere e a
confrontare i fattori terapeutici implicati nei gruppi agli esiti del trattamento.
Concludendo: la ricerca sui gruppi terapeutici rappresenta oggi un riferimento importante per la
clinica, poiché aiuta a pensare il dispositivo terapeutico gruppale, a riflettere criticamente sui
risultati, a monitorare il processo e insieme fornisce evidenze empiriche che contribuiscono a
valorizzare e implementare l'uso del gruppo nei diversi contesti terapeutici.
La terapia di gruppo, pur essendo molto diversa da quella individuale, ha dimostrato di essere
altrettanto efficace. In entrambi i casi l'obiettivo è la trasformazione del mondo interno del
paziente, ma la processualità del lavoro terapeutico è radicalmente diversa: nel gruppo i pazienti
sperimentano nuove modalità relazionali e lavorano maggiormente sulle relazioni interpersonali;
nella terapia individuale, invece, l'elaborazione è più concentrata sul mondo intrapsichico del
paziente. Pur essendo entrambi efficaci, riteniamo tuttavia che la terapia di gruppo, in quanto
dispositivo in grado di attivare più velocemente processi trasformativi, possa rivelarsi più adatta
per alcune tipologie di pazienti e maggiormente efficace in merito al rapporto costi/benefici.
Concludendo, è opportuno dire che la sfida utile per il futuro della ricerca sia quello di individuare
e conoscere meglio come si attivano e si promuovono i processi di cambiamento in psicoterapia,
per costruire progetti terapeutici più efficaci che tengano in considerazione le richieste che
provengono dal mondo sociale e politico-sanitario. In questa prospettiva, la ricerca potrebbe
maggiormente orientarsi, per esempio, verso lo studio dei fattori che consentono una prevenzione
dei drop out e delle ricadute e verso la progettazione di strumenti ad alta trasferibilità nella pratica
clinica.
La mafia in psicoterapia
180
Giovanni Falcone fu il primo ad interessarsi del mondo mafioso e si meravigliava di come
l’università palermitana non si fosse addentrata in tale ambito. Egli era capace di gestire un
adeguato setting con tali soggetti.
Ci volle il trauma collettivo delle stragi del 1992 perché le scienze sociali raccogliessero l’invito di
Falcone a esplorare tale fenomeno; inizia anche la stagione dei collaboratori di giustizia che si
sentono liberi di rivelare le vicende criminali da loro organizzate e nelle quali avevano collaborato
molti colletti bianchi del ceto medio.
Lo Verso si interessò al funzionamento della mente mafiosa e dichiarò nel corso degli anni che la
psicologia mafiosa non può essere studiata adottando modelli intrapsichici bensì con modelli
capaci di essere consapevoli della necessità di altri sguardi (politici, economici, giuridici, ecc), e
quindi si rivelò utile adottare la prospettiva gruppoanalitica, capace di approfondire il mondo
psichico e il campo psichico familiare, con tutto ciò che attiene alla sua storia e al suo sfondo
transgenerazionale.
La mafia genera sofferenza alle vittime ma anche ai suoi membri interni, sofferenza che spesso
sfocia nella psicopatologia.
Nell’ottica gruppoanalitica possiamo dire che l’appartenenza al mondo mafioso genera una
matrice di pensiero che ostacola il processo di soggettivazione e impedisce la costruzione di un
percorso di crescita personale; per l’individuo appartenente a tale mondo, risulta difficile uscire da
un pensiero familiare difficile da trasgredire.
Il mafioso costruisce la propria identità all’interno di una famiglia satura, nel senso che non è
pensabile un’autonomia di pensiero per i figli. All’interno di esse prevale un pensiero dicotomico
che divide il noi sociale (visto e interiorizzato come nemico) e il noi familiare (visto e interiorizzato
come amico).
I modelli relazionali delle famiglie mafiose sono psicopatologici perché si impone assoggettamento
psichico ai suoi membri.
È come se la psiche individuale fosse colonizzata sin dall’origine dalla psiche collettiva del proprio
familiare, che è transgenerazionale e allargata sino a ricomprendere la famiglia mafiosa nella quale
l’individuo si identifica totalmente annullando la propria soggettività.
La mafia rappresenta un organizzatore psichico totalizzante per i soggetti appartenenti a questo
mondo, l’identità mafiosa si struttura sull’onnipotenza e contemporaneamente su impotenza e
dipendenza e la forza palesata con atti di violenza nasconde fragilità psicologica. Inoltre, i soggetti
mafiosi si giurano tra loro fedeltà. La disgregazione dei rapporti che il singolo ha con il gruppo
porta alla disidentità di quest’ultimo.
Lo Verso si è chiesto se la mafia continuerà ad esistere o se nel tempo si lascerà biodegradare dalle
culture della post modernità. Il vero pericolo, a suo dire, è se essa si ibriderà con il nuovo
psichismo della cultura post moderna.
Parte prima
2. Mafia e psicoterapia nel privato
Il mafioso non va in psicoterapia con facilità e ogni forma di piacere gli sono sconosciuti. Egli non
ha un’identità soggettiva perché la sua psiche e quella di Cosa nostra si sovrappongono. Egli è una
non persona che non può vivere conflitti interiori.
La psicopatologia nel mondo mafioso assume la forma del non esserci, nel senso che non c’è
un’identità soggettiva ma solo emozioni primitive.
181
Le due caratteristiche che contraddistinguono la loro psicologia è l’assenza di relazioni affettive e
l’agganciamento ad una cultura paranoidea.
Le donne vengono trattate con indifferenza e con apparente rispetto se è donna d’altri.
Lavorare con pazienti del mondo mafioso per via dei frequenti agiti, assenze, discontinuità, è come
se si dovesse lavorare con un intero mondo macro familiare invece di una persona sola; il
terapeuta è diviso tra attenzione al paziente, interesse per il problema e senso di sconfitta per le
impotenze, ed è difficile svolgere un lavoro adeguato di cura psicoterapica senza la conoscenza dei
contesti antropologici in cui il paziente ha vissuto.
4. Donne
Un tempo si pensava che le donne di mafia non sapessero ciò che facevano i loro mariti e cosa
accadeva, ma in realtà loro ne sono consapevoli, solitamente non conoscono i dettagli e non
partecipano alle decisioni, ma anche per loro il potere è tutto. Hanno anche il potere di essere
l’onnipotente moglie di chi ha tutto, che tutti ossequiano e rispettano, ma anche la loro
soggettività e relazionalità (come quella degli uomini) è inesistente.
Estremamente ambivalente si rivela essere il vissuto delle figlie; nella psicopatologia di queste
ragazze rientra il massiccio meccanismo di negazione per il quale i padri, indicati dalla stampa
come efferati assassini sono genitori attenti ed affettuosi. La conflittualità inconscia di queste
donne è chiaramente notevole anche se spesso sembra che loro non si pongano problemi per il
mestiere dei loro uomini. Sembra che il loro ruolo all’interno della mafia stia cambiando,
soprattutto per via dell’
assenza dei loro uomini, che spesso costringe esse a prendere delle decisioni da sole.
Se da un lato le donne vivono ancora la famiglia come un’istituzione forte, fonte di protezione,
dall’altro sembra entrata in crisi la loro monolicità, cambiamento legato soprattutto allo status del
marito. Stati depressivi e ansiosi sono piuttosto evidenti all’interno della pratica clinica perché la
loro identità era strutturata intorno ai loro uomini e al loro ruolo.
5. Cittadini, politici
Altre vittime di mafia è sono l’economia e la politica, soprattutto la democrazia. Quest’ultima è
qualcosa da manipolare, da annullare con il clientelismo e con la corruzione in primo luogo etica
della politica Non esiste il concetto di libertà in una realtà dove si è costretti a pagare il pizzo.
La categoria di mercato e di sviluppo-concorrenza divengono parole vuote perché si era in cerca di
una raccomandazione, anche nel profondo nord.
Dal punto di vista psichico la situazione qui delineata produce patologia: molti amministratori si
sentono in una situazione impossibile. Come loro raccontano, si svegliano con l'angoscia di essere
uccisi dalla mafia o arrestati per complicità.
Parte seconda
Mafia e psicoterapie: ricerche
184
Coloro che chiedono aiuto sono soprattutto i figli dei mafiosi che si vivono come vittime della loro
stessa cultura mafiosa, che ha garantito loro protezione ma allo stesso tempo non dà loro il
permesso psicologico e non solo, di essere padrone delle proprie scelte di vita. Emerge il senso di
colpa generato dal desiderio di tradire l’organizzazione mafiosa, tradire i codici di appartenenza e
cioè l’intera storia transgenerazionale del soggetto.
Per i terapeuti che hanno a che fare con soggetti mafiosi è molto difficile strutturare un'alleanza
terapeutica e avvertono come particolarmente faticoso il mantenimento delle regole del setting
terapeutico.
Il transfert dei pazienti mafiosi è caratterizzato dal pericolo psichico inconscio della creazione di
un legame con l’altro, sia perché l’altro (terapeuta) promuove un percorso di cambiamento. Per
tali pazienti l’altro è oggetto di critiche e non viene riconosciuto come persona.
Alcuni pazienti mettono in atto modalità transferali differenti e in parte opposte; c’è chi
contribuisce attivamente alla costruzione dell'alleanza terapeutica, c’è chi invece si relaziona con il
terapeuta in modo evitante quanto contro dipendente.
Gli psicoterapeuti sembrano attivare con i pazienti delle modalità contrasferali specifiche e in
parte opposte. Questi pazienti suscitano nel terapeuta vissuti ed emozioni legate al desiderio di
creare spazi di protezione a tutela della salute psichica del proprio paziente ma anche vissuti
genitoriali che ispirano la costruzione di un contesto psichico in cui è possibile rivivere un
accudimento sano e rispettoso dell’altro e del suo processo di autonomizzazione.
Le reazioni controtransferali sono di curiosità ma anche inquietudine.
Da una parte ritroviamo un controtransfert portatore di immagini salvifiche e protettive e
dall’altro un vissuto controtransferale e fonte di umiliazione.
Un controtransfert positivo promuove un’alleanza terapeutica positiva nella maggior parte dei
casi, ma il senso di inquietudine connesso alle matrici mafiose del paziente può ostacolare la
costruzione di una buona alleanza terapeutica.
Il mondo relazionale mafioso è di tipo paranoideo, con sospettosità verso gli altri. Il paziente
mostra un sé ipertrofico e dinamiche di evitamento dovute forse al travaglio emotivo doloroso
determinato dallo scontro psicologico dentro di loro tra le sfere relazionali diverse. L’esaltazione
ipertrofica del potere mafioso emerge anche in terapia in cui il paziente mostra questo
atteggiamento del voler tutto e subito. Inoltre, tende all’autoaffermazione prepotente che a sua
volta è mirata a far cadere l’altro piuttosto che di un reale potere. In Sicilia coloro che cercano la
terapia sono soprattutto parenti di uomini d’onore i quali sperano, con la psicoterapia, di ricercare
modelli d’identificazione alternativi.
La psicoterapia con i pazienti mafiosi si pone come obiettivo di sviluppare una maturazione
soggettiva e superare l’appartenenza mafiosa in modo tale che il soggetto possa sentirsi libero di
riconoscere la propria autonomia. Lo scopo futuro è quello di addentrarsi sempre di più nel mondo
mafioso riuscendo a smascherare le maglie deboli della matrice satura.
Psichico di Camorra
Rispetto alla mafia siciliana la camorra è un sistema gelatinoso in grado di mimetizzarsi in una
società multiforme. Essa è un’organizzazione che prevede gerarchie poche definite e non esiste un
capo dei capi. È un organismo simbiotico che si alimenta in modo parassita succhiando la linfa del
contesto sociale circostante. Rispetto a cosa nostra ha un rapporto debole con lo stato e un
diverso controllo dei territori.
Lo psichismo di camorra è egosintonico; crea problemi agli altri più che ai suoi membri. Essa agisce
in continua oscillazione tra interno ed esterno.
L’omosessualità non è considerata un problema.
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Essa condivide con la mafia siciliana l'obiettivo è svuotare di senso ogni dichiarazione sfavorevole
in modo che perda valore: chi si oppone a casa nostra o alla camorra è folle, i pentiti nel linguaggio
mafioso vengono chiamati tragediatori e il tragediatore è chi viene assalito dai dubbi, uno che è
inutile ascoltare.
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