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Introduzione
La psichiatria forense formula un giudizio diagnostico-valutativo e prognostico. Essa ha come
destinatari minori e adulti: vittime, testimoni, imputati e condannati; e consiste nello stabilire le
condizioni di mente della persona in riferimento ad una determinata specie di reato (commesso o
subito) e ad un preciso momento del suo iter giudiziario. Tale processo valutativo viene affidato
allo psichiatra forense.
Nel mondo, se e quando delle regole vengono infrante, possono intervenire, se interpellati, periti e
consulenti per fornire i loro contributi specifici in risposta a quei quesiti posti da diversi operatori
del diritto.
Nell’ambito della psichiatria forense ampiamente intesa, sono da collocare:
• una psichiatria giudiziaria e penitenziaria, che deve occuparsi degli aspetti diagnostici e
terapeutici inerenti l’autore del reato affetto da disturbi mentali, durante la fase della cognizione e
durante quella dell’esecuzione;
• una psichiatria medico-legale, che si occupa dei problemi relativi alle conoscenze e
all’applicazione delle norme deontologiche e, infine, alla responsabilità degli operatori della salute
mentale, dei periti e dei consulenti tecnici.
In tutti gli ambiti trova una sua collocazione pertinente, lo psicologo forense o giudiziario.
Il suo intervento può essere:
- sussidiario: per svolgere accertamenti psichiatrici sull’autore del reato;
- complementare: per valutare la capacità decisionale di un soggetto affetto da disturbo
mentale;
- preminente: in ambito vittimologico; in tema di minore, di affidamento, di adozione.
Questa figura professionale deve aver seguito un training specifico e aver imparato ad applicare le
sue conoscenze in ambito psicodinamico e Psicodiagnostico ai molteplici e specifici problemi della
valutazione forense.
È necessario che affondi le proprie conoscenze in tre grandi contenitori: uno culturale, uno
metodologico e uno giuridico.
La perizia è un esame ad opera di un esperto riconosciuto e qualificato, diretto alla convalida di
una valutazione specifica.
2) Nella fase di esecuzione gli accertamenti disposti dal magistrato sono di un solo tipo e sono volti
a stabilire:
- presenza e persistenza di pericolosità sociale psichiatrica
- le condizioni di mente attuali del condannato ai fini della compatibilità con l’esecuzione della
pena o della misura di sicurezza psichiatrica
-le condizioni di mente dell’internato in vista della concessione di misure alternative
all’internamento.
b) CONTENUTI E FINI
Nella fase di cognizione lo scopo di questa varia a seconda del destinatario dell’accertamento
peritale. Se si tratta di autore del reato, i quesiti sono finalizzati a stabilire:
• L’eventuale esistenza di un vizio totale o parziale di mente dell’indagato o dell’imputato al
momento del fatto.
• la maturità o meno del minorenne infradiciottenne; nonché l’eventuale presenza di un vizio di
mente.
• le condizioni di mente dell’autore di reato durante la fase delle indagini preliminari, fino al rinvio
a giudizio durante il dibattimento.
• in tutti casi, la presenza e la persistenza di pericolosità sociale psichiatrica.
Se si tratta di vittima di reato, l’accertamento psichiatrico è finalizzato ad accertare:
• le condizioni di inferiorità psichica dei soggetti che hanno subito reati sessuali.
• l’eventuale presenza di danni psichici sopravvenuti nelle vittime di maltrattamenti e di violenze
sessuali.
Nei confronti di un testimone, la prestazione forense si prefigge di stabilire:
• idoneità a testimoniare, e nel caso in cui il testimone fosse minorenne, il magistrato può
avvalersi di un esperto in psicologia infantile.
Nella fase di esecuzione il perito deve:
• valutare le condizioni di mente del condannato o dell’internato..
ATTO PERITALE
Emissione da parte del perito di un parere tecnico motivato rispetto ad un caso specifico, che
viene confrontato con la fattispecie normativa attinente allo stesso.
adulti, che siano stati autori di reato, vittime, testimoni, imputati, condannati e internati. Tale
giudizio consiste nello stabilire le condizioni di mente della persona (attiva o passiva) in
riferimento ad una determinata fattispecie di reato (commesso o subito) e ad un preciso momento
del suo iter giudiziario, «in ogni stato e grado del procedimento».
Cosa fa il perito?
Le attività del perito e dei consulenti tecnici sono così regolate:
Art. 228 c.p.p. Attività del perito
«1. Il perito procede alle operazioni necessarie per rispondere ai quesiti. A tal fine può essere
autorizzato dal giudice a prendere visione degli atti, dei documenti e delle cose prodotti dalle parti
dei quali la legge prevede l’acquisizione al fascicolo per il dibattimento.
2. Il perito può essere inoltre autorizzato ad assistere all’esame delle parti e all'assunzione di prove
nonché a servirsi di ausiliari di sua fiducia per lo svolgimento di attività materiali non implicanti
apprezzamenti e valutazioni.
3. Qualora, ai fini dello svolgimento dell’incarico, il perito chieda notizie all’imputato, alla persona
offesa o ad altre persone, gli elementi in tal modo acquisiti possono essere utilizzati solo ai fini
dell’accertamento peritale.
4. Quando le operazioni peritali si svolgono senza la presenza del giudice e sorgono questioni
relative ai poteri del perito e ai limiti dell’incarico, la decisione è rimessa al giudice, senza che ciò
importi la sospensione delle operazioni stesse».
Art. 230 c.p.p. Attività dei consulenti tecnici
«1. I consulenti tecnici possono assistere al conferimento dell’incarico al perito e presentare al
giudice richieste, osservazioni e riserve, delle quali è fatta menzione nel verbale.
2. Essi possono partecipare alle operazioni peritali, proponendo al perito specifiche indagini e
formulando osservazioni e riserve, delle quali deve darsi atto nella relazione.
3. Se sono nominati dopo l’esaurimento delle operazioni peritali, i consulenti tecnici possono
esaminare le relazioni e richiedere al giudice di essere autorizzati a esaminare la persona, la cosa e
il luogo oggetto della perizia.
4. La nomina dei consulenti tecnici e lo svolgimento della loro attività non può ritardare
l’esecuzione della perizia e il compimento delle altre attività processuali».
Si procede quindi alla definizione dei termini temporali della durata delle indagini peritali che a
secondo della tipologia processuale (in ambito penale anche tempi ristretti di 5 o 10 giorni), spesso
60 o 90, più ampi in ambito civile, soprattutto minorile.
Concluse le formalità del conferimento, il procedimento rituale sarà quello del parere orale (art.
227 c.p.p.). È ammessa la presentazione di relazione scritta. Essa, però, secondo il legislatore,
riveste carattere di eccezionalità (art. 227, 5° co., c.p.p.) e la sua lettura (intesa come utilizzabilità
ai fini della decisione) può essere disposta solo dopo l’esame (orale) del perito (art. 511 c.p.p.).
Il consulente tecnico e il perito sono tenuti - qualora richiesti anche dalle parti, oltreché dall’ufficio
- a presenziare all’udienza preliminare o al dibattimento e talvolta ad entrambe per esporre a voce
le conclusioni cui sono pervenuti.
Art. 227 c.p.p. Relazione peritale. Risponde ai quesiti con un parere raccolto in un verbale.
«Concluse le formalità di conferimento dell’incarico, il perito procede immediatamente ai
necessari accertamenti e risponde ai quesiti con parere raccolto nel verbale. 2. Se, per la
complessità dei quesiti, il perito non ritiene di poter dare immediata risposta, può chiedere un
termine al giudice. 3. Quando non ritiene di concedere il termine, il giudice provvede alla
sostituzione del perito; altrimenti fissa la data, non oltre novanta giorni, nella quale il perito stesso
dovrà rispondere ai quesiti e dispone perché ne venga data comunicazione alle parti e ai
consulenti tecnici. 4. Quando risultano necessari accertamenti di particolare complessità, il
termine può essere prorogato dal giudice, su richiesta motivata del perito, anche più volte per
periodi non superiori a trenta giorni. In ogni caso, il termine per la risposta ai quesiti, anche se
prorogato, non può superare i sei mesi. 5. Qualora sia indispensabile illustrare con note scritte il
parere, il perito può chiedere al giudice di essere autorizzato a presentare, nel termine stabilito a
norma dei commi 3 e 4, relazione scritta». I contenuti della relazione debbono rispondere a verità
e nel caso di sospetta volontaria alterazione il perito può essere denunciato per falso in perizia o
per abuso di ufficio a favore di una parte o per frode processuale.
Verità imposta al perito riguarda:
Fatti circostanziali attinenti allo svolgimento delle operazioni peritali
Obbligo di riferire al giudice la totalità delle informazioni e notizie delle quali sia venuto a
conoscenza,
Incompatibilità sopravvenute.
Verità clinica soggettività interpretativa perseguibile come potenzialmente falsa se si
distacca in modo abnorme dalle comuni prassi scientifiche.
3. Il perito sostituito, dopo essere stato citato a comparire per discolparsi, può essere condannato
dal giudice al pagamento a favore della cassa delle ammende di una somma da lire trecentomila a
lire tre milioni.
4. Il perito è altresì sostituito quando è accolta la dichiarazione di astensione o di ricusazione.
5. Il perito sostituito deve mettere immediatamente a disposizione del giudice la documentazione
e i risultati delle operazioni peritali già compiute».
Liquidazione
I tempi che trascorrono dal decreto di liquidazione all’effettiva riscossione dei compensi e delle
spese sostenute sono molto variabili da sede a sede, ma in ogni caso molto lunghi per ragioni
burocratico-amministrative, che quasi mai dipendono dal magistrato. II termine consuetamente
concesso dal pubblico ministero o dal giudice del dibattimento è di 60 giorni.
Spese
Infine è bene sapere che tutte le spese che il perito o il consulente del pubblico ministero
sostengono non vengono rimborsate, se non sono state preventivamente autorizzate; l’uso del
mezzo aereo, in particolare, deve essere autorizzato contestualmente all’ordinanza di nomina;
l’uso del mezzo proprio viene autorizzato nel momento in cui viene formalizzato l’incarico peritale;
tutte le spese sostenute dopo aver consegnato la relazione scritta (ad esempio: citazione in
dibattimento per chiarimenti, magari in una città lontana dalla sede in cui essi risiedono) sono a
carico del perito o del consulente.
Per quanto si riferisce agli accertamenti psicologico-psichiatrici in persona di autori di reato in età
compresa tra i 14 e i 18 anni, essi possono essere compiuti senza precise formalità.
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«Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di
mente da escludere la capacità d’intendere o di volere».
Spiegazione per me: non è punibile chi, nel momento in cui ha commesso reato, era per infermità
in uno stato mentale che esclude totalmente la capacità di intendere e di volere. Esenzione da
ogni pena.
Art. 89 c.p. Vizio parziale di mente
«Chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da
scemare grandemente, senza escluderla, la capacità d’intendere o di volere, risponde del reato
commesso; ma la pena è diminuita».
Spiegazione per me: la pena è ridotta per colui che nel momento in cui ha commesso il reato si
trovava in uno stato di infermità, destinato a scemare gradualmente, e che quindi ha escluso solo
temporaneamente la capacità di intendere e di volere. La pena è diminuita di un terzo.
In altre parole, tutti coloro che, compiuto il diciottesimo anno di età, commettono un reato, sono
imputabili, salvo prova contraria: che, cioè, si tratti di autori che - al momento del fatto per cui si
procede - si trovavano, per infermità, in tale stato di mente da escludere o scemare grandemente
la loro capacità d’intendere o di volere. Il soggetto viene punito solo dopo che è stata accertata la
sua responsabilità e la sua imputabilità (punibilità).
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Quali sono i quesiti che vengono posti al perito e che costituiscono il punto di
partenza del perito?
Tre sono dunque i quesiti che, nella fase della cognizione, con il codice penale e di procedura
penale attualmente in vigore, possono essere posti al perito, con formulazioni che possono essere
molto diverse le une dalle altre:
il primo si riferisce all’accertamento di un eventuale vizio di mente al momento dei fatti e
in riferimento agli stessi;
il secondo alla presenza e persistenza di pericolosità sociale psichiatrica (= necessità di cura
e di controllo);
il terzo riguarda le condizioni di mente attuali.
Il primo ostacolo che deve essere affrontato nel confezionare un parere peritale in materia psichiatrica è
concordare su quali disturbi mentali possono costituire quell’infermità che si traduce in vizio di mente
(criterio n. 1 = il classificare). Si tratta di individuare la categoria in cui collocare convenzionalmente il
paziente. Però ancora una volta occorre ricordare che la giurisprudenza, a parte inevitabili eccezioni, tende
ad ancorare la nozione di infermità di mente ad un tipo di classificazione fondata su criteri clinici circoscritti
e delimitati.
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- i tratti e i disturbi della personalità che si costituiscono in quadri di stato, in modi di essere della
persona (alcuni esempi: disabilità intellettive di grado medio-lieve; psicopatie, stili nevrotici e
perversioni, attualmente riclassificati come disturbi di personalità, disturbi da sostanze psicoattive,
parafìlie; o come sindromi e disturbi psichici e comportamentali dovuti all’uso di sostanze
psicoattive; sindromi nevrotiche, legate a stress e somatoformi; disturbi della personalità e del
comportamento);
- i quadri psicopatologici in fase di remissione o di buona stabilizzazione (assenza di attività
psicopatologica);
- quelli di scarsa, controversa e vaga rappresentatività sintomatologica;
«Valore di malattia»", o, meglio, «significato di infermità» deve essere riconosciuto solo a quei
reati che equivalgono a un sintomo psicopatologico individuato nei quadri clinici di cui si è detto
sopra e scompensato sul piano funzionale.
Da un punto di vista nosografico, si fa fondamentalmente riferimento ai severi disturbi dello
spettro psicotico e ai disturbi gravi di personalità, la cui consistenza, intensità, e rilevanza
psicopatologico clinica e funzionale, ai fini dell’applicazione degli articoli 88 e 89 c. p., deve però
essere tale da aver concretamente inciso sulla capacità di intendere o di volere del soggetto
agente.
Senza questa restrizione interpretativa della nozione di infermità, quasi tutti i soggetti affetti ad
esempio da «disturbi di personalità» avrebbero «diritto» al riconoscimento di un vizio di mente,
essendo il comportamento abnorme parte integrante della nozione stessa di personalità abnorme.
Analogamente, per i comportamenti nevrotici e quelli perversi, quando non costituiscano altro che
uno «stile di vita». Non solo, ma si potrebbe tradurre - sic et simpliciter - in vizio di mente un
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disturbo psicotico, solo perché diagnosticato come tale. Invece è fondamentale stabilire una
correlazione significativa tra funzionamento mentale patologico e reato commesso.
Premesso che il disturbo patologico psichico deve avere in ogni caso compromesso le categorie
giuridiche dell’imputabilità, una soluzione condivisibile potrebbe essere quella di:
A: attribuire il vizio totale di mente solo a quei soggetti nei quali è obiettivabile, al momento del
fatto, una compromissione patologica grave del loro funzionamento mentale e il comportamento
può avere caratteristiche di disorganizzazione, bizzarria, assenza di progettazione e di
pianificazione.Anche se non è sempre così, è ragionevole pensare che, in caso di vizio di mente, un
disturbo mentale possa produrre un disordine comportamentale che precede, accompagna e
segue il reato di gravità diversa, a seconda dell’entità e della quantità di compromissione delle
singole funzioni psichiche, delle condizioni di acuzie o di cronicità; di produzione o di spegnimento
della sintomatologia psicopatologica; di età; di somministrazione o meno di terapie
psicofarmacologiche e psicoterapeutiche; dell’eventuale presenza o meno di alterazioni morfo
funzionali (ipoattività) a carico dei lobi frontali, dell’ippocampo e dell’amigdala. Più aree funzionali
dell’Io saranno investite dal disturbo patologico psichico, più ampia ed evidente sarà la
compromissione comportamentale.
B: destinare la nozione di vizio parziale di mente ad altro trattamento giudiziario.
Diventa comunque fondamentale la conoscenza del soggetto agente, nella misura in cui nell’atto
delinquenziale egli generalmente ha lasciato la firma o tracce personali significative (il modus
operandi), specie quando l’agito criminale si colloca in un continuum rispetto alle caratteristiche
della personalità dell’autore di reato (lo “stile di vita”, nella normalità e nella patologia è unitario)
ricavabili dalla sua storia di vita, per cui l’atto delinquenziale non può essere separato da un suo
modo abituale di essere nel mondo e con gli altri.In ogni caso, l’agito deve essere espressione di
uno scompenso psicopatologico che irrompe nella vita del soggetto e ne interrompe brutalmente
la trama (il quid novi o il quid pluris).
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Dimensione giuridica:
In ambito penale il perito deve adempiere il proprio ufficio senz’altro scopo che quello di far
conoscere la verità e di mantenere il segreto su tutte le operazioni peritali.
Dimensione deontologica:
Il Perito Deve fungere da contenitore che tutela il periziando da intrusioni che violino il setting
peritale. Il perito ha il dovere di informare il periziando e di tutelare il segreto. Il periziando ha il
diritto di acconsentire o di dissentire. Il perito deve sempre riconoscere all’autore e alla vittima di
reato dignità di persone.
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codificati nei procedimenti sulla capacità testimoniale dei minori vittime di abuso. Talvolta
un solo colloquio ad esempio sulla compatibilità con la detenzione.
3. Indagini strumentali e testologiche concordate con i CTP in ogni momento.
4. Acquisizione dei pareri preliminari dei CTP e discussione critica degli stessi.
5. Stesura dell’elaborato
La perizia psichiatrica deve tradursi in un elaborato convincente, obiettivo, documentato, motivato
e comprensibile. Le regole che si devono seguire per rispondere ai quesiti posti dal magistrato,
trovano il loro primo momento unificante della diagnosi. Alcuni criteri da seguire potrebbero
essere:
1º criterio: Per motivi pratici, per avere un linguaggio comune, per trasferire al giudice i nostri
convincimenti, è utile concordare sulla necessità di una classificazione della patologia di mente che
deve essere lineare e comprensibile.
2º criterio: Impostare la classificazione su criteri restrittivi che siano rigorosi ed obiettivi.
3º criterio: Il termine di malattia è riservato solo ai disturbi psicotici, disturbi depressivi maggiori,
ai disturbi gravi di personalità, ai disturbi da dipendenza e complicate e ai disturbi neuro cognitivi.
4º criterio: Bisogna fare una differenza tra il fare una diagnosi categoriale e fare una diagnosi
funzionale.
5º criterio: nel conferire significato di infermità ad un’azione, si valuta il reato in rapporto ad un
sintomo o ad una sindrome psicopatologica. Non si fa non semplicistico riferimento a una
categoria diagnostica, ma ad un funzionamento patologico psichico correlato a quel sintomo e lo si
contestualizza.
Dopodiché:
Se si tratta di soggetto detenuto ricoverato o internato, previa autorizzazione del magistrato, il
perito si recherà nel luogo dove il periziando si trova. Se si tratta di carcere o manicomio criminale
o comunque un luogo fuori dalla sua città, e necessario che si faccia autorizzare l’uso di mezzi
propri per l’espletamento dell’incarico peritale. Altrimenti, le spese di viaggio non gli verranno
rimborsate.
Se si tratta di soggetto libertà, il perito lo convocherà il luogo idoneo e precisato nel verbale
d’incarico. Nel caso in cui il periziando rifiuti di presentarsi, il perito deve informare il magistrato, il
quale provvederà di conseguenza.
L’esame psichiatrico deve limitarsi ad una descrizione attenta, analitica e attuale delle singole
funzioni psichiche e della struttura di personalità del periziando. Deve essere privo di qualsiasi
valutazione o interpretazione. Esso prende successivamente in considerazione: orientamento e
stato di coscienza; atteggiamento mimico, gestuale e motorio; linguaggio; percezioni; memoria;
attenzione; pensiero; intelligenza; affettività; rapporto con la realtà e gli altri; istinti.
I passaggi successivi sono rappresentati:
dall’inquadramento clinico
dalla discussione psichiatrico forense
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Accertamenti particolari
In caso di perizia sulla vittima:
Può essere necessario sentire anche i familiari o altre persone comunque in grado di
fornire informazioni utili alla ricostruzione del clima e del contesto culturale, sociale e
relazionale in cui si è inserita la vicenda processuale, specie quando si tratti di vittima
minorenne.
Di conseguenza occorre:
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diffidare da parole o fatti che il soggetto non dovrebbe conoscere e che quindi potrebbero
essere frutto di suggerimento altrui o di apprendimento per fonti indirette;
diffidare da deposizioni che è in condizioni di lucidità e di buon controllo emotivo, si
arricchiscono di particolari e di dettagli.
1. Indagini cliniche
Queste possono riguardare la richiesta di collaborazione da parte di uno specialista in materia non
psichiatrica, per vari accertamenti. È il caso che più frequentemente si presenta in corso di perizia
psichiatrica è la necessità di somministrare reattivi mentali al periziando. Per tanto ci si riferisce
alla collaborazione di una psicologo. Ma è bene evitare complicazioni procedurali operando in
questo modo:
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• o il perito è espressamente autorizzato, nel momento in cui viene conferito l’incarico peritale, a
compiere tutti gli accertamenti che egli riterrà necessari ed opportuni e ad avvalersi della
collaborazione di quel determinato specialista per l’esecuzione di quel particolare tipo di esame
strumentale, ma la valutazione del quale rimane di sua esclusiva spettanza;
• oppure il perito, di volta in volta, man mano che si presenta la necessità, chiederà al magistrato
di essere autorizzato a sottoporre il periziando a quel particolare accertamento;
• Oppure può chiedere al magistrato di nominare quel determinato specialista quale suo
collaboratore; e questo è il caso in cui lo psicologo non si limita a leggere il materiale
psicodiagnostico raccolto, ma entra nel merito della valutazione psichiatrico forense. Di
conseguenza il magistrato deve provvedere con apposita ordinanza a conferire al nuovo perito
l’incarico. In questo caso, i risultati cui perviene il collaboratore saranno integrati nella relazione
peritale che, tutti gli effetti, diventerà una relazione di perizia collegiale.
2. Indagine di laboratorio
Molti esami di routine o di laboratorio possono venire richiesti in casa di alcolismo tossicomania;
diabete; traumi cranici; epilessie.
Parliamo di esami del sangue, delle urine, dell’HIV eccetera.
3. Esami strumentali
Tra gli esami strumentali possono essere utilizzati:
•l’elettroencefalogramma: registra l’attività bioelettrica cerebrale ed è un esame fondamentale
del leader dell’accertamento dell’epilessia.
• la Tac ( tomografia assiale computerizzata): fornisce un raffinato esame sullo stato delle strutture
cerebrali.
• PET (tomografia ad emissione di positroni); RM ( risonanza magnetica); fMRI ( risonanza
magnetica funzionale): sono strumenti in grado di offrire, ricorrendo a metodologie non invasive,
immagini funzionali del cervello. In particolare, consentono di misurare il consumo di glucosio e il
flusso ematico nelle diverse strutture cerebrali cortico-e sotto-corticali. Una regione cerebrale a
maggiore attività consuma più glucosio e ha un maggiore flusso ematico rispetto ad una regione in
cui neuroni presentano un’attività ridotta.
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“ Non possono essere utilizzati, neppure con il consenso della persona interessata, metodi e
tecniche idonei a influire sulla libertà di auto determinazione o ad alterare la capacità di ricordare
e di valutare i fatti.”
In merito a questi tre metodi è bene ricordare che non esiste alcun fondamento nel sostenere che
questi metodi possono far dire la verità al soggetto in esame. Non è possibile far dichiarare la
verità su fatti realmente accaduti o patiti se la persona sottoposta all’indagine non vuole dirla.
Queste tre tecniche favoriscono la disinibizione del soggetto, per cui è possibile che la persona,
sotto azione di ipnosi o farmaci, comunichi in tempi più rapidi determinati contenuti censurati o
repressi, ma anche recuperabili attraverso il colloquio clinico, purché di essere la persona voglia
parlare. Sono soprattutto la liberazione emotiva e la caduta di barriere difensive ciò che,
indipendentemente dai contenuti, si ottiene utilizzando questi metodi.
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Storicamente un’altra operazione valutativa alle scale Wechsler per adulti è costituita dalla
quantificazione del Deterioramento mentale (D.M.), operazione che si colloca al fianco dell’analisi
del funzionamento cognitivo. Nella valutazione di un deterioramento mentale trova applicazione il
Mini Mental State Evaluation (M.M.S.E.). Tale strumento prevede una serie di domande che
riguardano l’orientamento temporale e spaziale, la memoria a breve termine e di fissazione,
l’attenzione e il calcolo, il linguaggio e le funzioni esecutive. L’applicazione è semplice e veloce (10
minuti). Un punteggio al M.M.S.E. pari a 23 è un punteggio già patologico indicativo di
compromissione cognitiva; particolare attenzione dovrà porsi anche ai punteggi c.d. «borderline»
tra 24 e 26, possibili indicatori di un iniziale deficit neuro cognitivo.
Oltre alle scale W.A.I.S., trovano una loro pertinente indicazione le Matrici progressive di Raven
(P.m. 47 e P.m. 38), i reattivi di memoria di Rey,i test di copiatura e di ripetizione a memoria di
disegni (tra questi, il test di ritenzione visiva di Benton), il test di Bender e altri.
Reattivi di personalità
Nello studio del settore profondo della personalità, particolare applicazione trova il test di
Rorschach. La letteratura specialistica, pur dibattendo sulla validità del metodo delle macchie di
Rorschach, conferma complessivamente come vi siano evidenti prove che il reattivo fornisca dati
utili e validi per quanto riguarda il funzionamento del pensiero (e in particolare il pensiero
psicotico e la qualità cognitiva globale), l’esame di realtà, il disagio affettivo e la capacità di
rappresentazione corretta di sé e degli altri nelle relazioni.
Il Rorschach è solitamente accettato in tal senso a livello intemazionale (pur talora con riferimento
metodologico al Sistema Comprensivo di Exner) e l’uso combinato con il M.M.P.I.-2 e con la
W.A.l.S.-R è ampiamente documentato e di grande interesse per una valutazione completa della
personalità patologica. In particolare, Rorschach e Minnesota trovano una loro pertinente
applicazione sinergica nell’ambito della diagnosi clinica e della valutazione forense dei disturbi di
personalità.
L’utilizzazione specifica del Rorschach può essere quella di:
- offrire utili elementi per risolvere problemi o dubbi diagnostici, molti soggetti patologici, in cui i
meccanismi di difesa, opportunamente mobilitati e rigidamente mantenuti, riescono a mascherare
in ambito di colloqui liberi e di obiettivazione diretta i sottostanti disturbi, «esplodono» quando
viene loro somministrato il test di Rorschach, e riversano nelle interpretazioni, ma soprattutto
nelle elaborazioni e verbalizzazioni, tutta la patologia di cui sono portatori!;
dirimere i quesiti relativi alla simulazione di malattia mentale;
portare utili elementi di approfondimento in tema di idoneità a rendere testimonianza;
documentare, attraverso una obiettivazione più precisa rispetto al semplice approccio
clinico, il grado di destrutturazione o di deterioramento della personalità del periziando.
Nell’ambito della minore età, il test di Rorschach è uno strumento importante per studiare il
funzionamento e l'organizzazione di una personalità. Gli elementi più significanti ricavati in ambito
di indagine applicata a minori dissociali sono i seguenti:
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pensiero mobile, poco maturo e poco differenziato, instabile nelle sue capacità di
attenzione e concentrazione;
mancanza di spontaneità;
carente integrazione e incapacità di stabilire e mantenere veri legami affettivi con il mondo
e gli altri; al contempo, impressionabilità e suggestibilità spiccate;
tendenza a ripiegarsi su se stessi, a chiudersi, a difendersi di fronte all’ansia scatenata da
sentimenti di inadeguatezza, insufficienza e incapacità di fronte alla realtà e nei confronti
della propria identità psicosociale;
scarso interesse per se stessi e per gli altri;
assenza, nella stragrande maggioranza di casi, di segni che depongano per l’esistenza di
gravi e inemendabili disturbi della personalità.
Un altro test proiettivi della personalità è il T.A.T che appare molto indicato per studiare lo stile di
vita, il comportamento e il fine ultimo conseguito dal soggetto, adulto o minore che sia. E la
versione per bambini è chiamata C.A.T.
L’art. 203 c.p. Definisce, in maniera troppo generica, socialmente pericolosa la persona che, anche
se non punibile, ha commesso alcuni dei fatti indicati ed espressi nell’Art. 133. Con la probabiità
che commetta nuovi fatti previsti dalla legge come reato. Nell’art.133 si parla della gravità del
reato e della valutazione agli effetti della pena; la gravità del reato è desunta:
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dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall’oggetto, dal tempo, dal luogo ed ogni altra
modalità dell’azione;
dalla gravità del danno o del pericolo procurato alla persona offesa dal reato;
dall’intensità del dolo o dal grado della colpa.
Il giudice deve tenere conto, della capacità a delinquere del colpevole, desunta da:
i motivi a delinquere e dal carattere del reo;
dai precedenti penali e giudiziari, in generale dalla condotta e dalla vita del reo.
Cosa comporta la pericolosità sociale? Cosa sono le misure di sicurezza?
La pericolosità sociale comporta l’applicazione delle misure di sicurezza che sono dei
provvedimenti con finalità terapeutiche rieducative e risocializzanti per le persone ritenute
socialmente pericolose.
L’Art. 202 c.p. Disciplina l’ applicabilità delle misure di sicurezza. Partiamo dal presupposto che le misure
di sicurezza possono essere applicate soltanto alle persone socialmente pericolose che abbiano
commesso un fatto preveduto dalla legge come reato.
Ma La legge penale determina anche i casi nei quali a persone socialmente pericolose possono
essere applicate misure sicurezza per un fatto non preveduto dalla legge come reato.
Art.206 c.p Applicazione provvisoria delle misure di sicurezza. Infatti: Durante il giudizio, può disporsi che
il minore di età, o l’infermo di mente, o l’ubriaco abituale, o la persona dedita all’uso di sostanze
stupefacenti, siano provvisoriamente ricoverati in un riformatorio o in un ospedale psichiatrico
giudiziario, o in una casa di cura e di custodia. Il giudice revoca l’ordine, quando ritiene che tali
persone non siano più socialmente pericolose.
Art. 207 Revoca della misura di sicurezza. Le misure di sicurezza non possono essere revocate se le
persone ad esse sottoposte non hanno cessato di essere socialmente pericolose. La revoca non
può essere ordinato se non è decorso il tempo corrispondente alla durata minima stabilita dalla
legge per ciascuna misura di sicurezza.
Art. 208 Riesame della pericolosità. Finito il periodo minimo di durata, stabilito dalla legge per
ciascuna misura di sicurezza, il giudice va a riprendere in esame le condizioni della persona che ne
è stata sottoposta, per stabilire se questa è ancora socialmente pericolosa. Qualora la persona
risulti ancora pericolosa, il giudice fissa un nuovo termine per un esame ulteriore. Se il pericolo si
ritiene sia cessato, il giudice può, procedere a nuovi accertamenti.
Art. 212 casi di sospensione. L’esecuzione di una misura di sicurezza applicata ad una persona
imputabile è sospesa se questa deve scontare una pena detentiva, e riprende il suo corso dopo
l’esecuzione della pena se la persona sottoposta ad una misura di sicurezza detentiva e colpita da
un’infermità psichica, il giudice ne ordina il ricovero in una casa di cura e di custodia. Quando sia
cessata l’infermità, il giudice, accertato che la persona e socialmente pericolosa, ordina che se ti
assegnata ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro se non crede di sottoporla a libertà
vigilata.
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Se l’infermità psichica colpisce una persona sottoposta a misura di sicurezza non detentiva
l’Intermobiliare nel ricoverato in manicomio comune, cessa l’esecuzione di dette misure di
sicurezza.
L’art. 215 Specie: indica quali sono le misure di sicurezza detentive e non detentive.
Sono detentive:
1 assegnazione a una colonia agricola o ad una casa di lavoro;
2 il ricovero in una casa di cura e di custodia;
3 il ricovero in un ospedale psichiatrico;
4 il ricovero in un riformatorio giudiziario.
Sono misure di sicurezza non detentive:
1 libertà vigilata
2 il divieto di soggiorno in uno o più comuni;
3 il divieto di frequentare osterie e pubblici spacci di bevande alcoliche;
4 espulsione dello straniero dallo Stato
Quando la legge stabilisce una misura di sicurezza senza indicarne la specie, il giudice dispone che
si applichi la libertà vigilata.
La pericolosità sociale deve sempre essere accertata. Ogni misura di sicurezza personale detentiva
o non detentiva può essere applicata in via provvisoria o in via definitiva. Ma nel caso della perizia
psichiatrica, è chiaro che il perito si pronuncia sulla pericolosità sociale derivata e correlata
all’infermità mentale e non ad altri tipi di pericolosità sociale; deve quindi rispondere al quesito
solo se ha ravvisato un quadro di patologia di mente tale da costituire vizio totale o parziale,
parliamo di pericolosità sociale psichiatrica.
Se ha invece escluso il vizio di mente, non deve rispondere al quesito circa la pericolosità sociale.
In caso di accertato vizio di mente, il perito deve specificare se allo stato attuale, la patologia di
mente persista e sia tale da rendere il periziando socialmente pericoloso.
Dopo aver accertato l’imputabilità e la pericolosità sociale psichiatrica a cosa si può andare incontro?
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Entrambe durano fino a quando persiste la pericolosità sociale psichiatrica del prosciolto.
b) Vizio totale di mente e assenza di pericolosità sociale psichiatrica
= proscioglimento e archiviazione del caso; se il prosciolto era sottoposto ad una misura cautelare,
ne vie ne ordinata la cessazione.
Il malato di mente socialmente non pericoloso, (vizio totale e non socialmente pericoloso) non è
soggetto alla misura di sicurezza psichiatrica. A questo punto, viene prosciolto ed esce a tutti gli
effetti dal circuito giudiziario, senza possibilità alcuna di intervento e di controllo sull’evoluzione
della patologia mentale da parte del sistema della giustizia. In molti casi invece sarebbe almeno da
formalizzare una segnalazione ai servizi psichiatrici di zona, cui spetta il compito di seguire il
soggetto, al pari di tutti gli altri pazienti portatori di disturbi psichici. Allo stato, tutto è affidato alle
iniziative e alla buona volontà dei singoli.
Quali sono le critiche mosse al concetto di pericolosità sociale?
l concetto di pericolosità sociale è stato sottoposto a serrate critiche in ambito giuridico,
psichiatrico e criminologico. Dalle ricerche in tema di predizione della recidiva è emerso che:
La patologia psichiatrica è percentualmente poco rappresentata tra gli autori di reato
ovvero i malati di mente non delinquono in misura superiore al resto della
popolazione;
Non esistono rapporti di equivalenza tra malattia mentale e pericolosità sociale, anche
se persone con doppia diagnosi, malattia mentale e abuso di sostanze risultano
statisticamente al alto rischio di comportamento violento;
La maggior parte dei soggetti socialmente pericolosi appartengono, nella criminalità
individuale, alle cosiddette varianti abnormi dell’essere psichico, spesso forzatamente
iscritte nel vizio di mente, ovvero a forme di criminalità organizzata.
Gli strumenti clinici finora utilizzati per predire il comportamento del malato di mente
autore di reato si sono rivelati imprecisi ed inadeguati.
Allo stato, non esistono dati psicologici e/o psichiatrici adeguati per fornire, previsioni
a medio- lungo termine;
Anche i metodi longitudinale, comparativo e sperimentale (oltre al già citato metodo
clinico) si sono dimostrati fallaci. Dall’irripetibilità ed unicità del comportamento
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Il 1 aprile 2015 ci sono aperte le prime REMS, strutture residenziali per l’esecuzione della misura di
sicurezza personale detentiva, che si sono affiancate alle già esistenti strutture per l’esecuzione della misura
di sicurezza non detentiva della libertà vigilata. I clienti non sono solo infermi di mente, ma anche
socialmente pericolosi. La loro pericolosità sociale deve essere elevata perché possano essere internati con
provvedimento coattivo che riveste caratteristiche di temporaneità. Peccato che nei fatti, vengono
ricoverati e inviati pazienti difficili, per i quali la temporaneità è una caratteristica non realistica, trattandosi
spesso di persone con ritardi mentali di varia gravità, impulsivi e violenti. Non viene fatta nessuna
differenza tra quella che è la pericolosità sociale psichiatrica o quella criminale.Tali strutture devono avere
funzioni terapeutico riabilitative a favore di persone affette da disturbi mentali, autrice di reati e che la
magistratura, ha stabilito essere socialmente pericolose.
Esistono malati di mente e malati di mente delinquenti. Ma non bisogna lasciarsi trasportare dal pregiudizio
secondo il quale un malato di mente è necessariamente delinquente.
L’internamento in una REMS comporta per il malato di mente alcuni problemi, quali:
In realtà sarebbe necessario fare differenza tra pericolosità sociale psichiatrica e quella penale e
organizzare sulla base di questa il percorso che un paziente deve fare.
Il REMS in quanto misura di sicurezza detentiva a carattere coercitivo, affinchè la persona possa essere
inserita lì dentro devono essere osservati i seguenti indicatori:
Presenza e persistenza di disturbi dello spettro psicotico o depressivi maggiori o disturbi gravi della
personalità o del neurosviluppo, scompensati sul piano funzionale ed eventualmente in
comprbidità con altri disturbi mentali o da uso di sostanze;
scarsa o nulla aderenza alle prescrizioni sanitarie e psicofarmacologiche;
assenza di terapie specifiche;
espressioni comportamentali di rabbia incontrollata, che sia auto o etero distruttiva.
Il giudice, ovviamente attraverso una perizia psichiatrica, deve venire a conoscenza delle “qualità soggettive
“(indicatori interni), deve accertare, per assicurare le cure adeguate e per far fronte alla pericolosità sociale
del soggetto, che non esistono misure diverse volte in una struttura psichiatrica giudiziaria di massima
sicurezza.
L’accertamento della pericolosità sociale psichiatrica elevata deve essere effettuata solo in base
alle qualità soggettive della persona e senza tenere conto delle sue condizioni individuali, familiari
e sociali; non si può, e nostra basare un giudizio di pericolosità sociale soldi la mancanza di
programmi terapeutici individuali.
Cosa succede quando gli indicatori interni vanno attenuandosi?
Quando gli indicatori interni vanno attenuandosi e il quadro psicopatologico e comportamentale si
va stabilizzando, nel senso che ha avuto inizio un processo di responsabilizzazione, la
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In teoria una piena capacità processuale dovrebbe essere in grado di valutare e tenere conto di
tutti i seguenti possibili comportamenti:
a) La piena comprensione del processo e dei ruoli dei singoli protagonisti.
b) Comprendere le accuse che gli sono rivolte;
c) Collaborare e con il proprio difensore per prendere decisioni valide;
d) verificare la propria strategia processuale;
e) non fornire prove sfavorevoli;
f) Argomentare e contro argomentare e comprendere la natura dialettica del processo;
differenziare i fatti rilevanti e irrilevanti;
g) rendersi conto della possibilità di essere sottoposto ad una sanzione alla fine del processo;
h) relazionarsi e comportarsi in modo pertinente a seconda del contesto;
i) tollerare lo stress durante prima del processo secondo quella che viene definita capacità di
reggere il contraddittorio;
j) identificare correttamente i fatti e persone ed essere contro esaminato.
Quando la capacità di auto difesa manca, perché seriamente compromessa dalla presenza disturbi
psicotici o funzionali, il processo deve essere sospeso. Viceversa, se l’autore del reato, pur affetto
da disturbi patologici psichici, è in grado di difendersi, può essere ritenuto capace di cosciente
partecipazione, anche se, esempio, delirante, pùrché non delirante sul processo, ma solo nel
processo.
Svolgimento e problemi della perizia d'ufficio
La disposizione di questo tipo di perizia avviene in tutti i casi in cui, per diretta
constatazione del giudice o su istanza della difesa, vi sia il fondato dubbio che il soggetto
non sia in grado di partecipare coscientemente al processo.
Si tratta di una fattispecie invocata di rado, sia perché la sospensione del processo per mesi
o anni, se non per sempre di fronte a infermità mentali di carattere cronico, non è
apprezzata dai giudici, sia perché, nei casi in cui sussisteva già al momento dei fatti la stessa
infermità (come quasi sempre), e molto più logico e agevole valutare direttamente la non
imputabilità ex artt. 88-89 c.p.
È possibile individuare la patologia della competence difensiva nei:
disturbi della memoria;
in disturbi dello stato di coscienza;
alterazioni delle funzioni cognitive legate a processi organici;
disturbi deliranti del pensiero;
disturbi depressivi maggiori;
disturbi gravi di personalità;
in cui rispettivamente le gravi alterazioni patologiche dello stato di coscienza, dell’esame di realtà
e dell’affettività, agiscono negativamente sull’esercizio di quelle facoltà in cui l’autodifesa si
manifesta. In particolare, i disturbi deliranti devono incidere funzionalmente e direttamente sulla
scena processuale, nel senso che occorre che il soggetto deliri non nel processo, ma in maniera
specifica sul processo e nei confronti dei singoli protagonisti dello stesso.
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Simulazione
Che cos’è la simulazione?
Capitolo quanto mai complesso e difficile delle psicosi carcerarie e, in specie, della sindrome di
Ganser (stato crepuscolan isterico, durante il quale il detenuto cerca di recitare, più o meno
consapevolmente, la parte del malato di mente, in conformità a quello che egli ha imparato o
ritiene essere la malattia mentale). La frequenza con cui ciò avviene in ambito forense è dovuta al
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fatto che il periziando non è legato a un contratto terapeutico con il perito o consulente che sia;
non esiste libero accesso da parte dell’indagato/imputato all’accertamento peritale che spesso
non è desiderato né richiesto, ma imposto e subito; il fine non è quello terapeutico, promozionale
della salute, bensì quello di valutare uno stato eli mente in riferimento a un atto di rilevanza
giuridica agito o subito.
In un setting valutativo quale quello peritale è «normale» che il periziando/vittima/convenuto
faccia il suo gioco autotutelante e cerchi di ottenere il massimo vantaggio con il minimo rischio;
amplificare disturbi mentali fino a simulare una malattia psichiatrica è azione dai molti risvolti
positivi (o ritenuti tali) per l’interessato, quali: in ambito penale, non dover rispondere agli
interrogatori del magistrato; poter non partecipare al processo; invalidare la credibilità di
testimonianze, interrogatori, versioni precedentemente resi; godere di trasferimenti in reparti
clinici o psichiatrici o di misure diverse dalla custodia cautelare in carcere; vedersi riconosciuto un
vizio di mente al momento del fatto e via dicendo.
In ambito civile, i vantaggi possono essere quelli di vedersi riconosciuto un danno biologico di
natura psichica a varia genesi e dinamica; ottenere una pensione; godere di un favorevole
riconoscimento del danno e via dicendo.
In un setting esclusivamente clinico, il problema si presenta certamente in misura ridotta, ma non
è assente, per lo meno sotto il profilo dell’allegazione di disurbi fittizi (fisici e/o psichici) o
dell’amplificazione o della simulazione degli stessi. In tal modo si possono ottenere vantaggi clinici
derivanti da queste e altre modalità di inganno all’interno della relazione paziente/cliente-
terapeuta/sanitario.
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è opportuno abbandonare il termine di «psicosi carcerarie» per sostituirlo con quello più
comprensivo, più appropriato e meno impegnativo di «sindromi o disturbi reattivi alla
carcerazione»;
lo psichiatra nell’obiettivare l’esistenza di un alterato stato di coscienza, deve tenere
costantemente presente che possono essere sì «autentici ma anche e troppo spesso
«recitati», al fine evidente di ottenere dei benefici;
la reclusione, di per sé sola, non può generare un quadro psicotico. Essa può invece,
provocare disturbi reattivi variamente connotati, oppure fungere da fattore patoplastico
nello slatentizzare una pregressa condizione di precario equilibrio mentale, o
nell’aggravare preesistenti quadri psicotici più o meno dissimulati, facendo «saltare»
meccanismi di difesa troppo fragili.
E’ quindi indispensabile cercare di porre, nella maniera più rigorosa possibile attraverso una tanto
tempestiva quanto protratta osservazione possibilmente condotta in ambiente psichiatrico idoneo,
una distinzione fra quadri reattivi alla carcerazione (che poi il detenuto in maniera più o meno
consapevole magari elabori soggettivamente, enfatizzandoli, ampliandoli e «aggravandoli» con
disturbi di tipo «patologico») e veri quadri psicotici: i soli rilevanti in ambito forense, ai fini
dell’eventuale accertamento dell’imputabilità del soggetto al momento del fatto reato ma,
soprattutto, della sospensione del procedimento penale o dell’esecuzione dell pena. In questi casi,
il trasferimento in un reparto psichiatrico, fosse anche giudiziario, per l’autore di reato (indagato,
imputato o condannato che sia) è certamente una soluzione meno gravosa rispetto a quella di
rimanere in carcere.
Occorre in fatti sempre tenere presente che in molti di questi «scompensi psicopatologici» si cela il
progetto di sfuggire al procedimento penale e/o agli interrogatori oppure gettare il discredito sulle
dichiarazioni rese.
E’ pertanto fondamentale avere ben presente la posizione giuridica del periziando. Se primario o
recidivo; se delinquente comune o affiliato alla criminalità organizzata; se autore di reato
«bagatellare» o grave ed efferato; se detenuto da breve o da lungo tempo; se con posizione
giuridica certa o incerta; se con storia clinica o meno; se con osservazione psichiatrica carceraria
positiva o no; se con precedenti accertamenti peritali o meno; se avvantaggiato, svantaggiato o
indifferente di fronte a un riconoscimento di patologia mentale rilevante a fini giudiziari.
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Per non parlare poi di coloro che vengono ristretti in carcere e che poi, nel corso delle indagini
preliminari o con sentenza, vengono riconosciuti, a mesi o anni di distanza, non colpevoli per non
aver commesso il fatto o per insufficienza di prove o altro e che hanno sviluppato un più che
comprensibile disturbo reattivo alla detenzione.
L’ analisi psicopatologica è l’unica che può - in tutti questi casi - dimostrare se sia per lo meno
lecito dubitare del loro «significato di malattia» e discriminare i veri malati o comunque coloro che
presentano una sofferenza psichica autentica dii quelli che tali non sono. Ciò è possibile solo se
l’osservazione psichiatrica è tempestiva e protratta, perchè a distanza di mesi o di anni
l’indottrinamento o il contatto con veri malati di mente può avere una pregnanza tale nel soggetto
periziato che «la malattia mentale» da lui presentata nel corso degli accertamenti peritali assume
precise caratteristiche di «veridicità» e di «autenticità».
Non è affatto raro, in altre parole, riscontrare che una sintomatologia ganseriana o diversamente
simulata all’inizio, evolva poi verso un quadro praticamente sovrapponibile ad una psicosi. Ciò
specie nei gracili di mente, in cui la carenza di critica favorisce l’autosuggestione e
l’autoconvincimento di essere «veramente malati»; oppure nelle persone intelligenti, ma la cui
personalità sia fragile e disturbata.
abilità sociali e di capacità di contatto affettivo ed interpersonale, che non possono sfuggire
all’osservazione e al controllo carcerario e sono documentabili attraverso la registrazione dei
comportamenti cui danno luogo nell’ambiente di custodia e la risposta alle terapie
psicofarmacologiche.
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apparentemente, non ha diritto alcuno: il suo dovere, secondo molti periti, è solo quello di fornire
risposto esaurienti ed educate a colui che lo inquisisce.
In questo gioco delle parti però non è possibile dimenticare che periti e consulenti si trovano di
fronte a persone autrici o vittime di atti penalmente o civilmente rilevanti, ma pur sempre persone
con le quali è indispensabile stabilire una relazione il più possibile autentica e significativa, perché
tanto più ricco e articolato è il materiale raccolto, tanto più motivate saranno le risposte ai quesiti.
Il malato di mente autore di reato che non si sente accolto e compreso, non si lascia mai andare a
«confidenze», essendo convinto che venga ascoltato con sufficienza e perplessità. Colludere con lo
psicotico è strategia indispensabile, dunque, se si vuole andare oltre le apparenze ed esplorare i
percorsi psicopatologici.
In altre parole, si vuole dire che la qualità del lavoro peritale discende non solo dalla soluzione di
problemi tecnici, ma anche dalla qualità della relazione umana instaurata con il periziando, che,
come tutte le relazioni umane, è ricca di risvolti negativi e positivi.
Per quanto riguarda quelli negativi, molti sono gli aspetti che possono insidiare la qualità della
relazione con l’autore di reato malato di mente sono:
la presunzione di poter ridurre il colloquio psichiatrico a una intervista del tipo «a domanda
risponde», infiorita in un secondo tempo con questionari, reattivi psicodiagnostici e
protocolli di dubbia validità, perché raccolti in un clima inautentico da un punto di vista
clinico;
la convinzione che si possa arrivare a verità oggettive, ignorando o sottovalutando che è il
periziando che deve conferire i significati ai suoi comportamenti agiti o subiti), senza
forzature di nessun tipo da parte del perito;
l’ancoraggio disperato e rassicurante a codici alfa-numerici sui quali si aprono dotte, ma
spesso inutili, disquisizioni, come se fare psicologia e psichiatria significasse unicamente
descrivere e classificare e non anche comprendere e interpretare;
il procedimento in base al quale si cerca di far percorrere al periziando una strada che il
perito ha precostruito per giungere a quella categoria diagnostica in cui ha già deciso di
collocare la persona in esame.
una iperidentificazione acritica con la vittima, o un rifiuto controtransferale dell’autore;
Sembra inutile, e al limite offensivo, ribadire principi che dovrebbero esseri presenti a tutti noi: ma
è bene ricordare che nessun perito o consulente ha il diritto di aggredire il periziando, di
intimorirlo, di sedurlo, di ricattarlo o di condurlo forzatamente su di un sentiero funzionale a tesi
accusatorie o difensive che altri debbono sviluppare all’interno dei loro specifici ambiti (magistrati
e difensori.
Non è lecito: promettere esiti o minacciare provvedimenti giudiziari che non sono di competenza
peritale; dare del tu al periziando; chiamarlo per nome o con vezzeggiativi o diminutivi; essere
seduttivi; diventare polemici, inquisitori e fiscali sulla ricostruzione dei fatti; offendersi per il
silenzio o l’amnesia volontaria del periziando o la distorsione della verità; estorcere confessioni o
versioni preconfezionate; interrompere costantemente il discorso del periziando impedendogli di
esprimersi; simulare alleanze perverse al solo fine di accattivarselo per ottenere confessioni.
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Per quanto riguarda i risvolti positivi della relazione che possono incrinare fino ad abbattere il
muro della diffidenza e della non collaborazione ricordiamo:
l’autentica disponibilità e curiosità scientifica e umana attestata dal rispetto per la persona
umana: il perito (psicologo o psichiatra che sia) non ha certamente il compito di accertare
la verità processuale, di indurre il periziando a confessare, di giocare sue presunte o reali
abilità inquisitorie. La sua collaborazione con il magistrato deve essere limitata alla risposta
ai quesiti che vengono formulati e collegialmente discussi e concordati;
l’impiego di ascolto, silenzio e compartecipazione, che si traducono nel favorire
consapevolmente e responsabilmente la comunicazione e rincontro e nel considerare
l’Altro una persona che ha una sua storia ricca di un indubbio significato esistenziale e non
un oggetto da osservare con distacco e freddezza e interrogare con atteggiamento
sufficiente o prevenuto.
In altre parole, tutti gli agiti auto- o etero-distruttivi sottesi da uno stato emotivo o passionale
(paura, ira, passione, emozione, provocazione, ferite narcisistiche e via dicendo) che si sono
manifestati repentinamente o dopo un periodo più o meno lungo di non verbalizzati patimenti
relazionali si costituiscono come stati emotivi “semplici”.
Cos’è la gelosia?
Una delle manifestazioni più comuni delle emozioni e della passione è la gelosia.
È uno stato emotivo di dubbio e di tormentosa ansia di chi, con o senza giustificato motivo,teme
che la persona amata gli sia “rubata” da un rivale.
La gelosia non è una prerogativa dei coniugi o degli amanti, ma accompagna ogni essere vivente
dalla nascita alla morte, assumendo un’infinità di espressioni e di manifestazioni, tra le quali quelli
amoroso e sessuale sono soltanto uno degli aspetti in cui la gelosia può manifestarsi. Quello che
cambia sono il modo in cui noi viviamo questo sentimento e l'“oggetto” verso cui lo dirigiamo. Ma
per quanto riguarda la tematica complessa e pluriarticolata della gelosia, «Un conto è vivere
l’emozione o il sentimento di gelosia, un altro è invece essere i vittima dell’idea di gelosia, che, se
persiste, perde le sue connotazioni affettive e finisce per contrarsi nell’esperienza delirante e
lucida di gelosia».
Questi stati dell’animo umano, che talvolta si manifestano come emozioni, talaltra come
sentimenti, talaltra ancora come passioni, fanno gioire o soffrire: mai lasciano indifferenti.
In base al significato che la persona conferisce a questo sentimento si manifesta una reazione che
può essere “di vita” (vivere l’emozione o il sentimento e dare a essi una soluzione individuale o
negoziata con l’altra parte) o “di morte” (non elaborare l’emozione o il sentimento e reagire agli
stessi distruggendo l’altro o l’altra).
La variazione quantitativa di emozioni, sentimenti, pensieri con i contenuti della gelosia (ma non
solo) si distribuisce su di un continuum che va dalla normalità alla patologia e varia con il variare
dell’ambiente socio culturale di appartenenza, dei singoli contesti di vita, e del funzionamento di
base della singola personalità. La caratteristica fondamentale che discrimina questi due sentimenti
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dell’animo umano nelle loro manifestazioni estreme è individuata dalla presenza/assenza di una
dimensione di reciprocità, di condivisione e di alterità nelle relazioni amicali, coniugali, amorose,
filiali, genitoriali, spirituali e via dicendo. Manifestazioni di solo amore o di sola gelosia, scisse in
due emozioni/sentimenti contrapposti e inconciliabili, ci mette costantemente di fronte
all’ambivalenza e contraddittorietà dei nostri vissuti e delle nostre relazioni con gli oggetti interni
ed esterni della nostra esperienza vitale.
Ma nella natura ambivalente, conflittuale e contraddittoria delle persone è però insita la
coesistenza di sentimenti, emozioni, idee di opposto significato (odio e amore, vita e morte,
creatività e distruttività, tenerezza e violenza, compassione e rivalità e via dicendo).
Occorre tenere presenti diversi fattori che possono essere utili a spiegare il fenomeno della
gelosia:
Fattori culturali e sociali
Credenze magiche o superstiziose o religiose o ritualistiche, tematiche legate alla vendetta o
all’onore offeso, fanno sì che quando esse intervengono, un comportamento di gelosia che noi
possiamo ritenere abnorme possa essere compreso e perfettamente ricondotto a regole e norme
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sociali proprie di quella particolare struttura culturale. Così come è altrettanto allarmante il
significato che assumono i contesti di vita in cui da tempo viviamo e in cui è particolarmente
difficile ridefinire i ruoli e i contenuti di un «maschile» e di un «femminile» che nulla hanno più a
che fare con modelli tradizionali di funzioni consolidate e che l’attuale organizzazione sociale irride
e ritiene desueti.
Nel nostro mondo occidentale, infatti, il clima «educativo» è profondamente modificato
dall’obiettivo di ridurre al minimo il tasso di dolore e di frustrazioni narcisistiche.
Né possiamo dimenticare che viviamo immersi in un’organizzazione sociale confusiva, anomica e
contraddittoria, in cui, trionfano l’uso di una cultura violenta; in un mondo che premia la legge, la
logica e gli interessi del più “forte” o del più “furbo”.
Tutto ciò, alimenta comportamenti regressivi e interagisce in maniera negativa sui singoli,
rinforzandone aspetti «mostruosi». Comportamenti assillanti e persecutori vengono giustificati
con la tematica della gelosia che, in realtà, maschera la voglia di possesso e di manipolazione
incondizionata dell’Altro.
Le implicazioni individuali.
Sentimenti ed emozioni del tipo vendetta, vergogna, risentimento, amor proprio esasperato,
rivolta della vanità offesa, timore del ridicolo, paura dell’abbandono sono spesso invocate dal
soggetto che agisce e/o da quello che subisce le espressioni della gelosia. La gelosia si manifesta
come rabbia narcisistica distruttiva.
La dimensione del silenzio.
Spesso non emergono prima del reato espliciti indicatori di disagio; gli attori recitano ciascuno la
propria parte e spesso è difficile distinguere la vittima dal carnefice, l’incube dal succube,
l’induttore dall’esecutore, il forte dal debole.
L ’esternazione persecutoria.
In altri casi, invece, l’aggressione in genere, l’omicidio in particolare, matura nel tempo ed è
preceduta da sospetti, pedinamenti, interrogatori umilianti, minacce più volte formulate, molestie
di vario genere, dubbi esasperanti, congetture, controlli, e via dicendo. Sono indicatori abbastanza
visibili e individuabili.
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della normalità;
dell’abnormità (nevrotica o psicopatica);
degli stati “al limite”;
della psicosi.
La dinamica della perdita si colloca in una dimensione relazionale in cui l’altro è stato vissuto in
una relazione amorosa, che implica il riconoscimento delle rispettive individualità, ma anche la
consapevolezza che vivere significa anche accettare separazioni e del distacchi e che pertanto
l’elaborazione del lutto è parte integrante della capacità di conferire senso e significato a
determinati eventi della vita.
2. La dinamica della perdita nella dimensione abnorme.
La dinamica della perdita può essere ricondotta a una dimensione relazionale perversa propria di
determinati autori di reato connotati da tratti o disturbi di personalità.
In questi casi, per dottrina e giurisprudenza conformi, nulla è la rilevanza psichiatrico-forense
dell’agito distruttivo, perché in questi funzionamenti di personalità (perversione, nevrosi,
psicopatia) genesi (progettazione) e dinamica (esecuzione) del comportamento criminale indicano
che nello svolgimento complessivo e nel resoconto retrospettivo dello stesso, l’autore ha
conservato e conserva, indenni, le aree funzionali del suo Io.
3. La dinamica della perdita nei disturbi gravi di personalità.
La dinamica della perdita in questi soggetti è caratterizzata da una tematica depressiva che si
accompagna, nei casi di scompenso acuto, alla frammentazione dell’unitarietà dell’Io, cui si può
accompagnare una risposta violenta e autodistruttiva.
La gravità del disturbo di personalità si esprime:
O come scissione transitoria che consiste nell’alterazione dell’esame di realtà (e ciò
comprende deliri, allucinazioni, disturbi affettivi maggiori) che descrivono quello che è l’
episodio psicotico; oppure come alterazioni del sentimento di realtà (perdita dei confini tra
mondo interno e mondo esterno; incapacità di differenziare il Sé dal non Sé, distorsioni
percettive) = episodio borderline
O come scissione di base (dominanza di seri vissuti d’inadeguatezza e di persecutorietà,
disforia rabbiosa, senso di vuoto e di freddo interiore, impulsività autodistruttiva,
improvvisi e violenti attacchi di angoscia incoercibile autodiretta, carenze di funzione
riflessiva della coscienza, assenza di una continuità significativa tra il proprio passato e il
proprio presente).
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Il sordomutismo
L’art. 96 c.p. così testualmente recita:
«Non è imputabile il sordomuto che, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva, per
causa della sua infermità, la capacità di intendere o di volere (omissis)».
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Quindi:
Bisogna invece accertare, caso per caso, se il sordomuto - per causa o in conseguenza della sua
infermità - avesse o meno detta capacità. Si tratta, peraltro, d’indagine peritale del tutto
eccezionale e che viene richiesta in pochissimi casi, per cui il relativo capitolo potrebbe benissimo
essere abolito dal codice penale.
Gli studi sulle cause di tale affezione hanno, infatti, ampiamente cambiato la visione e il destino di
siffatti soggetti, un tempo relegati, per impossibilità di interventi terapeutici idonei e
inadeguatezza di criteri eziopatogenetici e diagnostici, nel vasto, confuso, indeterminato gruppo
degli emarginati, etichettato come patologismo aprioristico.
Didatticamente si fanno distinzioni tra:
Sordomutismo puro e sordomutismo sintomatico: il primo è la manifestazione di una
compromissione primaria dell’udito verificatasi durante la vita intrauterina o nei primi
tempi della vita; il secondo è il sintomo di una più complessa lesione encefalica (da fattori
tossici, infettivi, dismetabolici, traumatici, ecc.), che di solito si accompagna a quadri di
insufficienza mentale di maggiore o minore gravità;
Sordomutismo congenito e sordomutismo acquisito: ci si riferisce al momento in cui si è
stabilito il danno, con conseguenze diverse, a seconda che il soggetto abbia perduto l’udito
nei primi anni di vita rispetto al fatto che sia nato già sordo;
Sordomutismo educabile e non educabile;
Sordomutismo trattato e non trattato.
La perdita dell’udito è misurabile in decibel (tramite un apparecchio detto audiometro, attraverso
il quale è possibile ottenere delle curve audiometriche o audiogrammi raffiguranti la perdita in
decibel).
Queste prove sono particolarmente utili per distinguere i quadri patologici organici da quelli
psicogeni, in cui la sordità e il correlato mutacismo sono da attribuire a disturbi nevrotici o psicotici
variamente connotati, piuttosto che ad alterazioni anatomiche.
Come soggetto passivo, può essere vittima del reato di circonvenzione o di reati sessuali.
Per quanto si riferisce alla metodologia dell’accertamento peritale, il perito può avvalersi della
collaborazione di uno o più interpreti, nominati dall’autorità che procede e scelti di preferenza tra
le persone abituate a trattare con il sordo, il muto o il sordomuto (art. 144, comma d), c.p.p.). Il
magistrato, in casi siffatti, autorizza il perito ad avvalersi della collaborazione dell’interprete al
quale conferisce l’incarico (art. 146 c.p.p.).
Maltrattamenti di minori;
Circonvenzione di persona incapace.
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Violenza sessuale di gruppo:Oltre al 'abolizione di ogni distinzione tra violenza carnale e atti di libidine
violenti (esistente invece negli articoli abrogati), un’altra innovazione è costituita dall’articolo che prevede e
punisce la violenza sessuale commessa da più persone.
Adescamento di minori : L’articolo 609 punisce chi ha lo scopo di commettere uno dei reati di
pedopomografia o prostituzione minorile, ovvero violenza sessuale in tutte le sue declinazioni mediante atti
volti a carpire la fiducia del minore di anni 16 attraverso artifici, lusinghe o minacce posti in essere anche
mediante l’utilizzo della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione. È vietato divulgare le
generalità e l’immagine della persona offesa senza il suo consenso.
Infine, per quanto si riferisce ai delitti contro la morale familiare, il codice penale prevede e punisce
l’incesto.
«Chiunque, in modo che ne derivi pubblico scandalo, commette incesto con un discendente o un
ascendente, o con un affine in linea retta, ovvero con una sorella o un fratello, è punito (omissis)».
Se trattasi di relazione incestuosa la pena della reclusione è aumentata; così pure la pena è aumentata, se
trattasi di incesto commesso da persona maggiore di età con persona minore degli anni 18.
Violenza, minaccia, abuso di autorità, inganno, inferiorità psichica o fisica, età: tutti fattori che
possono invalidare il consenso della vittima;
Rapporto di parentela, condizione di adozione o di tutela, ragioni di cura, di educazione, di
istruzione, di vigilanza o di custodia;
Abuso delle qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio nell’esercizio delle
proprie funzioni;
Atti sessuali compiuti in luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico;
Atti sessuali compiuti in presenza di persona minore degli anni quattordici, al fine di farla assistere a
detti atti;
non ci sono i presupposti, perché il comportamento sessuale sia oggetto di procedimento penale.
Inferiorità psichica
Cos’è l’inferiorità psichica?
L’inferiorità psichica è l’incapacità, anche transitoria, di intendere o di volere e quindi di prestare
valido consenso.
L’art. 609 bis2 c.p. parla di “indurre” taluno a compiere atti sessuali, lasciando intendere che il
soggetto attivo compia un’opera di persuasione tale da portare la vittima a prestare un consenso,
seppur invalido.
L’origine dell’inferiorità fisico-psichica è irrilevante, salvo che sia dipesa dal dolo dello stesso
soggetto attivo del reato sessuale, il quale, in questo caso, risponderà di “violenza sessuale”
(avendo agito con violenza).
Quindi in parole povere: siamo di fronte ad una persona che cede all’atto sessuale ma solo perchè
stata persuasa o convinta dopo che l’autore di reato ha sfruttato la sua inferiorità psichica o fisica.
Questo è quello che ho capito io.
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L ’inferiorità fìsica
Per quanto concerne l’inferiorità fisica varia da quella relativa a quella assoluta.
Le condizioni d'inferiorità fisica relativa, di per sé sole considerate, non assumono rilevanza, se
non quando possano favorire una condizione di abuso e comportino una situazione clinica di
inferiorità psichica.
Le condizioni d'inferiorità fisica assoluta, invece, anche alla presenza di un quadro di normalità
psichica, possono implicare una condizione di abuso di per se stessa rilevante a fini forensi.
In dette condizioni la vittima non è, infatti, in grado di opporre resistenza alcuna a qualsiasi
individuo voglia violentare la sua libertà sessuale. Il soggetto passivo, in altre parole, si trova in una
situazione che non gli consente - anche se lo vuole - di opporre resistenza.
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Circonvenzione
E’ dunque necessario dimostrare che - al momento del fatto - era presente un quadro di rilevanza
clinica che ha indotto nella vittima rispettivamente uno stato di suggestibilità particolare (cioè non
direttamente collegabile a patologia psichiatrica maggiore) o patologica (riconducibile cioè a un
disturbo mentale grave e nosograficamente classificato), tale da compromettere la sua capacità
decisionale.
Vittimologia
La vittimologia è quella disciplina che studia il comportamento violento dalla parte della vittima,
ma che non trascura l’autore di reato e il contesto in cui il delitto avviene. Include inoltre lo studio
delle reciproche, possibili interazioni tra vittima, aggressore, sistemi della giustizia penale,
comunicazioni di massa e agenzie di controllo sociale e di aiuto, al fine di giungere a un’esauriente
conoscenza e comprensione dei protagonisti del reato, a scopo terapeutico, preventivo e
riparatorio.
Chi è la vittima?
Persona che, individualmente o collettivamente, ha sofferto una lesione, incluso un danno fisico o
mentale, sofferenza emotiva, perdita economica o una sostanziale compressione o lesione dei
propri diritti fondamentali attraverso atti od omissioni che siano in violazione delle leggi penali
operanti all'interno degli Stati membri, incluse le leggi che proibiscono l'abuso di potere
criminale».
Comportamento violento
A proposito del comportamento violento, mi è caro premettere una distinzione tra:
comportamento violento = condotta attraverso la quale si manifesta la distruttività umana,
l’incapacità di comunicare, l’assenza o la perdita di rapporto significativo con l’altro(a): si
tratta quindi di una condotta contro la vita e al servizio della morte;
comportamento aggressivo = serie di condotte funzionali alla conservazione e alla tutela
dell’individuo e/o della specie: è quindi un movimento verso la vita e non per la morte.
Il comportamento violento non è solo circoscritto alle manifestazioni estreme dell’uccidersi o
dell’uccidere, ma con una frequenza infinitamente superiore si manifesta e si disperde in una
miriade di espressioni che non toccano il corpo come tale, bensì il cuore e la mente. Violenza è
anche il tramonto della tenerezza e del dialogo, il silenzio scontroso, la rassegnazione,
l’indifferenza, la rinuncia, l’abbandono, il dire e il fare intrisi di non rispetto, di rassegnata sfiducia
o di sprezzante disistima.
Attenzionare:
Caratteristiche situazionali.
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Tomo 2
Il minore
Prima di parlare del minore è necessario fare una distinzione tra le Indagini peritali
riguardanti il minore come autore di reato e quelle che lo vedono nelle vesti di
vittima o di testimone.
Nel primo caso, quindi minore come autore di reato, periti e giudici hanno a che
fare con la definizione della controversa nozione di maturità/immaturità, andata
incontro, negli anni recenti, a profonde e rivoluzionarie rivisitazioni.
Negli altri due casi, a differenza di quanto avviene di consueto per l’adulto, il
minore è sostanzialmente esaminato nella sua veste di vittima, e, al contempo, di
testimone con specifico riferimento alla sua idoneità a rendere testimonianza.
Occorre ancora sottolineare due aspetti peculiari che connotano gli accertamenti
e i provvedimenti in ambito minorile:
1. L’intervento tuttora in essere del Tribunale per i Minorenni, con le sue
particolari e specifiche competenze che lo distinguono radicalmente da quello
Ordinario e il ricorso pressoché esclusivo alle discipline psicologiche rispetto a
quelle psichiatriche nel quotidiano lavoro accanto e per il suddetto Tribunale.
2. L’istituendo, contestatissimo Tribunale per la famiglia, che afferisce al Tribunale
ordinario con competenze civilistiche in tema di affidamento e adozione.
La materia minorile tratta di un insieme di norme, regole, prassi che - in ambito
sia civile sia penale - è rivolto sostanzialmente alla tutela di una fascia di età in cui
preminente è la funzione di protezione e di promozione di un armonico e
funzionale sviluppo psicofisico e psicosociale della persona.
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2. Delitti, quali:
delitti contro l’ordine pubblico
agiti distrattivi (delitti contro la vita e l’incolumità personale)
delitti contro la libertà personale (delitti sessuali)
Per minore di età si intende quel periodo della vita che va dai 0 ai 18 anni e che assume una
particolare importanza ai fine dell’accertamento della capacità di intendere e di volere, cui
segue la punibilità del soggetto autore di reato. Nel codice penale italiano si presume che
prima dei 14 anni non esista capacità di intendere e di volere e che, dopo i 18 anni, l’individuo
sia, salvo prova contraria (ed è rilevante solo la patologia di mente) sufficientemente maturo e
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responsabile per conoscere e saper rispettare gli interessi altrui, per autodeterminarsi e per
vivere senza violare la norma penale.
- Quando pertanto l’imputato non ha ancora compiuto i 14 anni, il giudice pronuncia
immediatamente sentenza di non luogo a procedere. (Il caso viene archiviato)
- Per i soggetti in età compresa tra i 14 e i 18 anni, l’art. 98 c.p. fa carico al giudice di
accertare, di volta in volta, se il minore in oggetto, al momento del fatto, avesse
capacità di intendere e di volere. Ci si riferisce in pratica alla maturità mentale. Il discorso
circa l’imputabilità è fatto in termini dicotomici: o il minore in esame è maturo e allora è
imputabile; o è immaturo e allora non è imputabile. Maturo=punibile (ma la pena è
ridotta perché è infradiciottenne) ; Immaturo= non punibile
La messa alla prova è un istituto ben conosciuto nel processo penale a carico d’imputati
minorenni.
Tribunale per i minorenni
L’organo competente per giudicare i minorenni e per emettere qualsiasi altro provvedimento
nei loro confronti (in sede amministrativa e civile) è il Tribunale per i minorenni, che esiste in
ogni distretto sede di Corte d’Appello. È presieduto da un magistrato di Corte d’Appello ed è
composto da giudici togati e da giudici onorari, scelti fra persone dotate di particolari requisiti.
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L’istruttoria nei confronti del minore è condotta sempre e solo dalla Procura della Repubblica
per i minorenni con l’intervento del G.I.P., come per l’adulto.
In caso di ricorso in Appello, il minore compare davanti alla «Sezione minorenni» della Corte
d’Appello, presieduta da un magistrato di Cassazione e composta da consiglieri di Corte
d’Appello togati e onorari.
Il Tribunale per i minorenni ha competenza penale su tutti i minori, sia che commettano reati da
soli sia con altri minorenni o con adulti.
Al giudice è assegnato il compito di motivare sempre in sentenza la decisione presa circa
l’esistenza o la negazione della maturità di ogni minore. Egli può (non deve) avvalersi dell’opera
di collaboratori, al di fuori di ogni formalità di rito o disporre una perizia psichiatrica.
L’art. 9, d.p.r. consente al magistrato (pubblico ministero e giudice del dibattimento) di
procedere ad accertamenti sulla personalità del minorenne.
Per raggiungere tale obiettivo, il pubblico ministero e il giudice: (perché il pubblico ministero?)
«Acquisiscono elementi circa le condizioni e le risorse personali, familiari, sociali e ambientali
del minorenne; possono assumere informazioni da persone che abbiano avuto rapporti con il
minorenne; possono, infine, sentire il parere di esperti, anche senza alcuna formalità».
Al giudice compete l’uso discrezionale dei mezzi opportuni e necessari per assolvere il
complesso, difficile e per molti versi controverso compito di pronunciarsi circa la maturità di un
minore. Nell’operare in tal senso:
1. Nei casi in cui sia stata disposta la custodia cautelare ,egli può utilizzare gli «organi
diagnostici» operanti presso ogni sezione di custodia preventiva per minorenni (si tratta
di uno stabilimento carcerario apposito, separato dal carcere giudiziario per i maschi
adulti e non è più inglobato nelle sezioni femminili delle carceri giudiziarie per le
ragazze). Secondo me è il carcere minorile.
2. In tutti gli altri casi, ricorre ai Servizi operanti sul territorio, ovvero:
Gli uffici di servizio sociale per minorenni;
Gli istituti penali per minorenni;
I centri di prima accoglienza;
Le comunità;
Gli istituti di semilibertà, con servizi diurni per misure cautelari, sostitutive e
alternative.
«I servizi indicati si avvalgono, nell’attuazione dei loro compiti istituzionali, anche della
collaborazione di esperti in pedagogia, psicologia, sociologia e criminologia».
Il parere dei tecnici, richiesto dal magistrato attraverso la Direzione dell’Istituto in cui il minore
è detenuto, è un mezzo che si affianca alla perizia, e può sempre sostituirla, pur senza
costituirne il necessario surrogato.
L 'un mezzo non esclude l'altro, anche se la prassi che va per la maggiore è quella di chiedere la
«relazione di sintesi» (o «osservazione della personalità») e non la perizia, in quanto la perizia è
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disposta, per esperienza personale, solo nei casi di delitti contro la vita e l’incolumità
individuale (omicidio singolo o plurimo, individuale o di gruppo, infanticidio) e contro la libertà
personale (violenza sessuale di gruppo, violenza sessuale seguita dalla morte della vittima): di
reati molto gravi, quindi, a notevole impatto sociale e mass mediatico.
La perizia nei minori = quando e perchè viene chiesta?
La perizia nella minore età è necessariamente, salvo rari casi, soprattutto psicologica, o, meglio,
psico-sociale, essendo quello della maturità l’accertamento che nettamente predomina su
quello dell’esistenza (peraltro assai rara) di un eventuale quadro di patologia di mente. Come
già detto, essa è disposta attraverso le stesse modalità seguite nella maggiore età.
Il magistrato può chiedere allo specialista di soffermarsi «sullo studio della forza di carattere del
minore, sulla capacità di valutare l’importanza di certi valori etici e sulla attitudine a distinguere
il bene dal male, l’onesto dal disonesto, il lecito dall’illecito; nonché l’attitudine a volere
determinarsi nella scelta».
Tornando al discorso di prima:
L’osservazione, quale approfondito studio della personalità del soggetto, comporta la
necessità della considerazione unitaria di tutti gli elementi raccolti, elementi che attengono al
minore, all’ambiente in cui è vissuto e ai possibili sistemi di trattamento. Ne deriva che i vari
specialisti dovrebbero operare insieme, attraverso la costituzione dell’équipe, in cui lo
psichiatra (quando necessario), lo psicologo, l’assistente sociale e l’educatore portano, nella
discussione, i risultati del proprio lavoro. Tali risultati e i dati di fatto acquisiti dovrebbero essere
poi esaminati e considerati insieme, in modo da pervenire a una conclusione che è espressa in
un rapporto unitario o relazione di sintesi.
I risultati dell’équipe sono pareri espressi sotto forma di relazione all’organo qualificato per
decidere sul caso. Lo scopo è di esaminare la personalità del minore e suggerire le misure e il
trattamento rieducativo più idonei per assicurarne il recupero e il reinserimento sociali.
È da segnalare, a questo punto, che là dove è possibile si cerca di mantenere vivo o di ricucire il
rapporto tra il ragazzo e la sua famiglia in quanto il minore ha diritto ad essere rieducato nel
contesto familiare.
Come è cambiato il concetto di famiglia negli ultimi tempi?
Nella valutazione della maturità del minore, il consulente deve tener conto dei profondi cambiamenti
che si sono verificati in questi anni nel ruolo della famiglia, che da normativa è divenuta affettiva e di cui
è possibile segnalare le seguenti caratteristiche differenziali:
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Alcuni corollari di tale cambiamento non obbligatori e costanti, ma di frequente riscontro nella
pratica clinica, sono i seguenti:
amore e accudimento prevalgono o addirittura sostituiscono regole e principi;
l’obiettivo è costruire figli felici che vivono in una famiglia felice, riducendo al minimo il
tasso di dolore mentale e di frustrazioni narcisistiche;
il padre ha assunto il molo matrizzato di persona accudente e soccorrevole; è uomo
bisognoso di approvazione, che blandisce, ricatta, mantiene la dipendenza in maniera
contraddittoria e colpevolizzante;
la madre è una donna che addestra il suo compagno a fare il padre, in subordine ai
bisogni del figlio; pretende la massiccia dipendenza del figlio-bambino per dare e
ricevere gratificazioni narcisistiche (il figlio della madre);
la regola è l’identificazione reciproca con attenzione alle ferite affettive, piuttosto che
alle violazioni delle norme e dei valori;
i genitori mantengono e pretendono la massiccia dipendenza del figlio-bambino per
dare e ricevere gratificazioni narcisistiche;
il figlio, confuso e incerto, privato dei collaudi esistenziali necessari per imparare a
tollerare le inevitabili frustrazioni della vita, non riesce a contrattare il suo «spazio di
libero movimento» e accampa polemicamente il diritto a rimanere un eterno
adolescente
Il tutto può essere tradotto in termini di malfunzionamento nelle relazioni oggettuali genitori-
figli.
A livello più generale
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Immaturità
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cognitivo), tenuto conto della maturità affettiva, peraltro strettamente connessa con la
maturità sociale, concorrendo a individuare quella che consuetamente è nota come
«intelligenza di condotta» o «condotta adeguata».
La maturità affettiva può essere definita come capacità che il ragazzo svi¬luppa nel
controllare le pulsioni e nell’integrare le emozioni.
La maturità sociale, strettamente correlata con la precedente, può essere misurata
attraverso la capacità di adattamento (non di conformismo) alla real¬tà, d’inserimento
gratificante e gratificato in mezzo agli altri.
La confluenza dei fattori cognitivi, emotivi, affettivi e di esperienza pratica di vita, costituiscono
l’ «intelligenza di condotta», che è la capacità di utilizzare detta dotazione per affrontare e
risolvere i problemi dell’esistenza in maniera adattiva ed adeguata.
Quali sono i criteri utilizzabili per definire un minorenne immaturo?
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Inautenticità nei rapporti umani, con alternarsi tra ritiro e inibizione, impulsività e
aggressività, desiderio di stupire e di ottenere un riconoscimento da parte delle persone
adulte, timore del conseguente impegno relazionale; spiccata suggestibilità nei
confronti dell’ambiente esterno, con atteggiamenti ambivalenti di ricerca di
comprensione e affetto e di timore di divenire oggetto d’Altri.
Famiglia normo costituita, ma iperprotettiva: in cui le relazioni sono superficiali e
caratterizzate da solitudine e difficoltà comunicative, ma che ha messo in atto nei
confronti del figlio atteggiamenti ansiogeni di iper-controllo comportamentale
conseguenti al timore di pericoli.
Tutti questi aspetti non possono essere presi in considerazione in maniera isolata, bensì
devono essere collocati in una dimensione integrata, pena una loro valutazione parziale e
scorretta.
Da quanto precede emerge una struttura dell’Io:
o debole, dipendente, tendente a rifugiarsi nel ruolo degradato, ma più protettivo del
delinquente;
o labile, impulsiva, pseudo autonoma, tesa a mascherare stenicamente la propria
insufficienza;
o arida, diffidente, rigida, volta ad identificarsi con figure di prestigio nel mondo della
delinquenza.
Inoltre:
L’assetto culturale e la struttura sociale alla quale ogni persona appartiene esercitano
ovviamente un’indubbia efficacia sull’emissione di comportamenti conformi/difformi,
specie quando il soggetto esce dal suo ambiente di appartenenza (immigrazioni/espatri)
e si trova immerso in un nuovo ambiente a lui/lei non noto in cui le nuove regole non
sono state ancora assimilate, quelle originarie non valgono più (conflitti di cultura).
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Tratti devianti e dissociali coincidono con quelli elencati per porre diagnosi di disturbo
antisociale di personalità nel DSM e sono:
fallimento nel conformarsi alle norme sociali in rispetto a comportamenti legali, come
indicato dal mettere in atto ripetutamente azioni che sono motivo di arresto;
disonestà, come indicato dal mentire ripetutamente, dall’uso di pseudonimi o dal
manipolare gli altri per profitto o piacere personale;
impulsività o incapacità di pianificare;
irritabilità e aggressività, come indicato da ripetuti scontri fisici o aggressioni
sprezzante noncuranza per la sicurezza propria o altrui;
irresponsabilità costante, come indicato dal fallimento ripetuto nel mantenere un
comportamento lavorativo costante o tenere fede agli obblighi finanziari;
mancanza di rimorso, come indicato dall’essere indifferenti o razionalizzare l’avere
ferito, maltrattato o rubato nei confronti di altri.
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per almeno un anno e pervasiva di determinati tratti per poter fare diagnosi di Disturbo
di personalità
Una volta posta diagnosi d’immaturità, occorre in un certo senso «misurare» la stessa.
Quattro sono nella sostanza i criteri cui ci si può attenere:
1. Quello di formulare un giudizio fondandosi su un arbitrario e discutibilissimo proprio
concetto di maturità o immaturità;
2. Quello di confrontare il grado di sviluppo psicosociale di quel ragazzo con quello di
ragazzi ultradiciottenni, ritenuti maturi dalla legge, ma non altrettanto dagli attuali
contributi della psicologia;
3. Quello di confrontare le caratteristiche strutturali e funzionali della personalità in esame
con quelle proprie del gruppo dei pari. La valutazione, a questo livello, dovrebbe
avvenire per quanto concerne l’intelligenza di condotta e le abilità sociali possedute
rispetto al gruppo dei coetanei appartenenti allo stesso ambiente;
4. Quello di stabilire l’incidenza delle caratteristiche psicologiche e/o psicopatologiche
riscontrate nello studio clinico del caso sul funzionamento dell’Io in generale e nello
specifico dell’illecito penale commesso.
- Nel caso dell’infradiciottenne, occorre accertare, caso per caso, il grado di maturità
raggiunto e la conseguente capacità di autodeterminarsi. In caso di sua assenza, il
giovane tra i 14 e i 18 anni viene considerato immaturo, incapace e paragonato
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all’infraquattordicenne, con tutto quello che un tale giudizio comporta sul piano
dell’inferiorità psichica.
- Nel caso in cui sia sostenuta la sua maturità, e quindi la sua capacità di intendere e di
volere e nel caso venga esclusa una condizione di inferiorità psichica (nel senso
sopra specificato), allora deve essere dimostrata la violenza, attraverso indagini che
non competono più al perito.
Nel caso poi di rapporti sessuali nell’ambito familiare, non più di violenza sessuale si tratterà,
ma di incesto (art. 564 c.p.), che esiste come reato solo quando viene commesso in modo che
«ne derivi pubblico scandalo». Altrimenti (se cioè non esiste pubblico scandalo, entrambi i
partner sono consenzienti e il consenso della vittima, purché non infrasedicenne, è valido) il
rapporto incestuoso con discendenti e ascendenti, con affini in linea retta o con fratelli o sorelle
non costituisce reato. La diffusione e l’entità dello stesso (mascherato dalla «cifra nera») è
strettamente correlata ad un insieme di caratteristiche psicologiche del singolo e di fattori
sociali, ambientali e culturali tipici del nucleo familiare in cui il comportamento suddetto viene
posto in essere. L’interesse di questa condotta è prevalentemente criminologico. (Cosa deve
osservare il perito?) Nella criminogenesi e criminodinamica dei reati sessuali commessi
nell’ambito della famiglia, quando scoperti e perseguiti, di solito compaiono con frequenza
significativa fattori sociali di isolamento, disgregazione, promiscuità, bassissimo livello culturale
e ambientale, problemi relazionali tra i coniugi, delega di determinate funzioni dalla madre alla
figlia, assenza di un sistema di valori coeso.
Nelle vittime si osservano quadri varianti di immaturità, conflitti con la figura materna,
diffusione di identità, cui si può aggiungere un deficit intellettivo che talvolta è primitivo, ma più
frequentemente è condizionato da elementi conflittuali reattivi o da carenza di fattori
psicopedagogici, nozionistici, culturali e socio-ambientali. Nell’autore, quando patologia
mentale esiste, essa è costituita soprattutto da disturbi da intossicazione alcoolica con segni di
deterioramento più o meno accentuato ed evidente, o quadri di insufficienza mentale.
Sessualità nei confronti dei bambini: Quali sono gli indicatori da attenzionare?
L’esercizio della sessualità nei confronti di un bambino è sempre indice di perversione e spesso
si integra con una serie di altri comportamenti violenti che a loro volta, producono danni più o
meno gravi nella successiva strutturazione psichica della vittima. Certamente le conseguenze
negative sono tanto più gravi quanto più precoce è l’età del bambino e quanto più prolungato è
il suo permanere immerso in un clima violento: di violenza non solo sessuale.
In letteratura, si segnalano i seguenti indicatori dell’abuso sessuale infantile, indicatori di
frequente riscontro, ma non specifici e non attribuibili solo all’abuso sessuale denunciato:
1. Indicatori cognitivi:
Conoscenze sessuali inadeguate (in eccesso e distorsione) rispetto all’età
Carenti capacità di attenzione
Confusione nel ricordo dei fatti e sovrapposizione dei tempi
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Maltrattamenti di minori
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A questo livello, può avere rilevanza in ambito sia penale (imputabilità dell’autore di reato;
danni psicologici eventuali nella o nelle vittime) sia civile (decadimento della potestà di genitore
e dichiarazione di adottabilità o di affidamento del o dei minori da parte del Tribunale per i
minorenni) un’indagine peritale finalizzata a:
1. Mettere in luce l’esistenza di eventuale patologia di mente in uno o in entrambi i genitori
2. Illustrare gli effetti negativi di tipo psicopedagogico sul bambino sottoposto a
maltrattamenti, sia in presenza sia in assenza della suddetta patologia mentale. Si tratta
di problemi di ardua soluzione, perché spesso vi è un’estrema difficoltà nel fornire la
prova di un nesso causale fondato su dati obiettivi (a parte quelli di rilevanza medico-
legale);
3. Accertare l’eventuale sussistenza di un danno biologico e/o di un danno alla salute della
vittima.
Differenza tra sindrome del battuto e sindrome del bambino maltrattato.
Possiamo definire il maltrattamento come qualsiasi comportamento commissivo od omissivo, attivo o
passivo, che, degradando il bambino da «persona» a «cosa», provochi in lui un danno fisico e/o psichico
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71
C. Lesioni neurologiche
D. Lesioni addominali
Rottura di organi interni; rottura del mesentere; lesioni renali.
E. Lesioni scheletriche
Fratture delle diafisi; distacco epifisario.
F. Abusi sessuali
Violenza sessuale; incesto; corruzione di minorenni; sfruttamento; atti osceni (queste
ultime tre, come espressioni d’imposizione fisica violenta).
G. Avvelenamenti
Somministrazione deliberata e ripetuta di sostanze tossiche, soprattutto psicofarmaci.
A differenza di quelli manifesti, i maltrattamenti occulti (di cui sono parte consistente anche gli
abusi sessuali) sono costituiti da mancanza di protezione, di educazione, di amore, di
accettazione, di coerenza psico-pedagogica e affettiva, da rifiuti variamente espressi e agiti, da
sfruttamenti e trascuratezze di diverso tipo, da atteggiamenti o atti di disprezzo e di
umiliazione, fino a sfociare nell’abbandono psicologico. La loro frequenza è di molto superiore
al maltrattamento fisico (il bambino abbandonato o dimenticato).
Chi sono i bambini maltrattati?
Sono state individuate alcune categorie di bambini bersaglio o bambini a rischio, cioè:
prematuri;
portatori di malformazioni congenite;
deboli e ritardati mentali medio-lievi;
enuretici;
soggetti affetti da deficit motori o sensoriali;
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Gli aspetti metodologici peculiari, che ovviamente possono essere modificati nella loro
successione e arricchiti nella loro articolazione:
1. indagare sulla «costellazione familiare», nelle sue componenti sociale, culturale,
economica, lavorativa;
2. studiare l’incidenza maggiore o minore dell’eventuale presenza di figure sostitutive o
alternative o integrative dei genitori (in specie, eventuali parenti conviventi);
3. là dove possibile, richiedere la collaborazione dei servizi sociosanitari del territorio
(assistenti sociali, operatori della salute mentale e dei servizi matemo-infantili);
4. mettere in luce la presenza di eventuale patologia di mente in uno o in entrambi i
genitori, al fine di accertare l’eventuale esistenza di un vizio di mente con riferimento ai
fatti-reato loro addebitati;
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Le tecniche da utilizzare, come ben sanno coloro che operano in questo settore, sono:
il gioco;
la libera espressione;
il disegno;
altri mezzi di indagine psicodiagnostica.
Ripetiamo; nessun mezzo d’indagine psicodiagnostica serve per accertare se il bambino è stato
o meno abusato; nessun test può confermare o disconfermare una storia di abuso sessuale (la
verità processuale).
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evitare ogni contatto diretto tra chi è indicato come autore del o dei reati o e la vittima
(presunta o reale che sia) o comunque tra questa e altri adulti che potrebbero influire
sulla sua serenità e spontaneità espressive;
controllare le possibili interferenze verbali, emotive e comportamentali di qualsiasi
persona presente sul setting peritale (in particolare, il genitore che assiste il bambino o
troppo piccolo o visibilmente turbato dall’incontro con l’esperto giudiziario);
evitare di rinforzare il bambino quando dice qualche cosa che l’intervistatore voleva
sentirsi dire («ecco proprio questo...»);
evitare di ripetere le stesse domande: il bambino può sentirsi spinto a da¬re una risposta
diversa da quella precedente, pensando che la prima sia sba-gliata;
organizzare le domande secondo una scansione che va da quelle «aper¬te» e «neutrali»
a quelle «chiuse» o «mirate»41;
utilizzare lo specchio unidirezionale quando si somministrano reattivi mentali che
richiedono un rapporto stretto tra esaminatore ed esaminando; non è giustificato
utilizzarlo per tenere fuori della portata del bambino eventuali consulenti. Tutti, infatti,
hanno da rispettare la regola deontologica fonda- mentale, in forza della quale il
bambino è oggetto privilegiato di quella tutela alla quale tutti sono obbligati, qualsiasi
sia il rispettivo ruolo;
chiudere l9incontro in maniera molto amichevole, rassicurante, aperta e rasserenante
per il bambino, evitando atteggiamenti scontrosi o offesi se non si è raggiunto
l’obiettivo che l’intervistatore si era erroneamente prefissato: quello della rivelazione
dell’abuso;
quando e se possibile e opportuno, “restituire” al bambino, con modalità appropriate,
quanto si è venuti a conoscere durante i colloqui con lui avuti, compresa la narrazione
dell’abuso;
fare in modo che il bambino sia ascoltato il minimo delle volte necessarie. '
B. Operazioni da evitare:
prendere per buone parole o fatti che il soggetto non dovrebbe conoscere e che quindi
potrebbero essere frutto di suggerimento altrui o di apprendimento attraverso fonti
indirette;
fare affidamento su deposizioni che man mano si arricchiscono di particolari e di dettagli
o che variano nei contenuti stessi o che appaiono chiaramente finalizzate a stupire e
monopolizzare l’attenzione dell’esaminatore;
affrontare fin dall’inizio l’abuso sessuale oggetto dell’accertamento peritale con
domande dirette ed esplicite;
assumere atteggiamenti seduttivi o ricattatori con il piccolo testimone, o promettendo
o minacciando o colpevolizzandolo, stabilendo, in tal modo, alleanze perverse e
contrarie all’accertamento della verità clinica;
farsi guidare da opinioni personali, o, peggio, da pregiudizi e preconcetti che nulla
giovano al raggiungimento degli obiettivi che ci si prefigge di raggiungere;
responsabilizzare eccessivamente il bambino;
80
81
La rivelazione dell’abuso
Solo nell’ultima fase si affronterà la difficilissima e delicatissima rivelazione dell’abuso. Sarà
allora necessario:
rassicurare il bambino per diminuire, - posto che siano presenti - le paure, il senso di
vergogna e i suoi sensi di colpa, cercando di dargli le spiegazioni che egli è in grado di
recepire;
osservare l’atteggiamento che il soggetto dimostra nei confronti della versione resa;
annotare il racconto orale del bambino, registrandolo con le sue parole, e non con
ricostruzioni, riassunti, traduzioni, riferimenti in terza persona, interpretazioni che
tradiscono la genuinità del racconto (lo stile dell’esposizione); se e quando il bambino
racconta, è importante lasciare fluire liberamente il suo racconto, avendo ben presenti i
parametri e le tappe di sviluppo intellettivo e affettivo infantili;
dare ampio spazio alla libera espressione (verbale, mimica, motoria, ludica); in
particolare, è importan,te osservare gli aspetti simbolici del gioco, del modo di
rappresentare la realtà
non interrompere il fluire del suo racconto, se non con piccoli incoraggiamenti, se
necessari ; è tipica della situazione incestuosa la «congiura del silenzio» imposta dai
familiari o dai parenti che «si vergognano» o colludono con l’aggressore;
usare un linguaggio adatto a quel bambino;
quando è giunto il momento opportuno, porre domande aperte e man mano più
specifiche, ma che mai facciano presupporre che il fatto è accaduto-, occorre
presupporre di non sapere quello che il teste sa e occorre formulare domande
attraverso le quali non si suggerisce niente. Il ricordo è libero quando non è sollecitato
da domande specifiche poste dall’intervistatore, perché i bambini tendono a rispondere
affermativamente a molte domande poste in modo diretto',
alternare al colloquio momenti di gioco senza confondere i ruoli e contaminare il
colloquio clinico con il colloquio investigativo (neutrale, oggettivo, ipotetico, aperto);
rilevare la presenza di elementi incongrui
videoregistrare il colloquio ; osservare anche le prime registrazioni che sono state fatte
dalla polizia o dai genitori al momento del fatto reato;
La testimonianza di un minore in generale e in tema di abusi sessuali in particolare è per
definizione qualcosa dì suscettibile d’infinite modificazioni e manipolazioni, per cui quasi
sempre riveste le caratteristiche di un accertamento non ripetibile.
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La Carta di Noto
La carta di Noto è il frutto dell’apporto integrato, discusso, ed elaborato da giuristi, magistrati,
avvocati, psicologi giuridici, criminologi, psichiatri, neuropsichiatri e altri esperti del settore.
Consta di 12 articoli che costituiscono delle linee guida per tutti coloro che operano nel settore
vittiminologico minorile, con specifico riferimento ai casi di abuso e di violenza in danno di
minori.
Affidamento
Partiamo dal presupposto che la sacralità dell’unione tra un uomo e una donna non discende
tanto dal rito seguito per ufficializzare l’unione, quanto dal compito che spetta ai due coniugi,
quando mettono al mondo dei figli. Infatti, il loro essere un uomo e una donna, da quel
momento in poi, deve coniugarsi con quello di essere divenuti un padre e una madre: il che
comporta compiti, diritti e doveri ben diversi quando ci si trovi in presenza di un ruolo
genitoriale, che comporta l’assunzione di obblighi morali e giuridici nell’accudimento della
prole, siano genitori uniti da matrimonio religioso o civile, siano essi non sposati e non
conviventi, si tratti di coppie omo o eterosessuali.
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I tre articoli principali che disciplinano tali comportamenti sono contenuti all’interno del codice
civile nel capitolo dei diritti e dei doveri che nascono dal matrimonio.
Art. 143 codice civile: Diritti e doveri reciproci dei coniugi
«Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono medesimi doveri
(Costituzione, artt. 29, 30).
Dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla
collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione.
Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria
capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia (193)».
Art. 145 Intervento del giudice
«In caso di disaccordo ciascuno dei coniugi può chiedere, senza formalità, l’intervento del
giudice il quale, sentite le opinioni espresse dai coniugi e, per quanto opportuno, dai figli
conviventi che abbiano compiuto il sedicesimo anno, tenta di raggiungere una soluzione
concordata (316-ter).
Ove questa non sia possibile e il disaccordo concerna la fissazione della residenza, altri affari
essenziali, il giudice, qualora ne sia richiesto espressamente e congiuntamente dai coniugi,
adotta, con provvedimento non impugnabile, la soluzione che ritiene più adeguata alle
esigenze dell’unità e della vita della famiglia».
Art. 147 Doveri verso i figli
«Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la
prole tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli (30
Cost.)».
Separazione
Il problema nasce però nel momento di separazione e sono presenti figli ancora minorenni.
Quando non ci sono figli, il discorso va in ben altra direzione rispetto a quando ci sono dei figli
minori di età. In questo secondo caso, vale un principio fondamentale, che è al contempo
giuridico (la legge), giudiziario (l’applicazione delle norme), etico (i principi morali) e
deontologico (il rispetto dei codici professionali): oggetto di tutela privilegiata è la crescita
della prole.
Ecco allora che il dovere dei genitori, sempre, e quindi anche nei casi di separazione, rimane
quello della primaria tutela dei figli, compito che è sostanzialmente rispettato quando si tratti di
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separazione consensuale, ma che quasi sempre viene dimenticato o posto in secondo piano
quando la separazione è giudiziale nel senso che la coppia genitoriale non è stata in grado di
arrivare a degli accordi, ancorché minimi, rispetto ai figli.
La separazione consensuale è l’istituto giuridico attraverso il quale marito e moglie, di
comune accordo tra loro, decidono di separarsi. All’udienza che sarà fissata dinanzi al
presidente del tribunale, i coniugi devono comparire personalmente per il tentativo
obbligatorio di conciliazione. Il presidente del tribunale può adottare gli eventuali
provvedimenti che riterrà necessari e urgenti. Successivamente, se gli accordi sono
ritenuti equi e non pregiudizievoli per i coniugi e soprattutto per la prole, il tribunale
dispone con decreto l’omologazione delle condizioni (decreto di omologa), così
determinando il diritto la separazione. Le condizioni stabilite in sede di separazione
consensuale potranno comunque essere modificate o revocate qualora intervengano
fatti nuovi che mutano la situazione di uno dei coniugi o il rapporto con i figli.
Alla separazione giudiziale si fa ricorso nel caso in cui non vi sia accordo tra i coniugi e
non può pertanto addivenirsi a una separazione consensuale. La separazione giudiziale
può essere quindi richiesta anche da uno solo dei due coniugi. La prima udienza del
giudizio prevede la comparizione personale dei coniugi davanti al presidente del
tribunale e avviene con le stesse modalità della separazione consensuale. Anche per il
caso di separazione giudiziale, il presidente del tribunale può, in questa fase, adottare i
provvedimenti necessari e urgenti a tutela del coniuge debole e della prole.
Successivamente, il procedimento si svolge secondo le forme del rito ordinario ed il
provvedimento emesso a conclusione ha la forma di sentenza.
In ogni caso:
Art.155 Provvedimento riguardo ai figli
Anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un
rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e
istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di
ciascun ramo genitoriale.
Di conseguenza:
Il giudice che pronuncia la separazione personale dei coniugi adotta i provvedimenti relativi alla
prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa.
Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori
oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro
presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi
deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli. Prende atto,
se non contrari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori. Adotta ogni altro
provvedimento relativo alla prole.
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Nel caso in cui l’affidamento condiviso non sia direttamente contrattabile, che tra i coniugi si
determini un contrasto variamente orientato circa l’affidamento all’uno o all’altro dei figli
minori e che tale situazione non possa essere altrimenti sanabile, il giudice istruttore dispone
consulenza tecnica d’ufficio (C.T.U.) per giungere a una più completa conoscenza della
situazione nella sua globalità e prendere i provvedimenti più idonei.
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La realtà clinica e l’esperienza peritale quotidiana, però, ci insegna che il giudice in molti casi di
separazione legale può solo optare per il male minore, non per la soluzione migliore per i figli,
dal momento che se ciò fosse stato possibile i genitori stessi avrebbero già provveduto in tal
senso, evitando penose diatribe e contrasti difficilmente sanabili davanti a magistrati e
consulenti.
Si dovrebbe poter intervenire prima, non quando e dopo che è iniziato un percorso giudiziario e
la coppia genitoriale è ormai inesorabilmente invischiata, se non travolta nel vortice distruttivo
di uno scontro devastante che quasi sempre cerca una pseudo soluzione, ma non una vera e
sincera riparazione davanti al magistrato.
Qual è la situazione che si prospetta al consulente?
In molti casi, infatti, i consulenti si trovano di fronte a coppie in cui il preesistente e perdurante
legame ha evidenti caratteristiche conflittuali e, al limite, perverse, nel senso che i due partner,
anche se a livelli differenziati, non si riconoscono reciprocamente come soggetti dotati di una
propria individualità, non riescono a separarsi. Di conseguenza, vivono in un vuoto depressivo
creatosi o accentuatosi con la separazione che è riempito dalle loro identificazioni proiettive (le
accuse reciproche e le attribuzioni di responsabilità che vedono sempre l’altro colpevole e
responsabile dei guasti relazionali). Presi come sono nel gioco perverso delle negazioni, delle
scissioni e delle reciproche accuse possono non avere consapevolezza delle ricadute dei loro
conflitti sul benessere dei figli e non possedere capacità di trovare strategie alternative e
riparatorie che vadano al di là di una conflittualità fine a se stessa e che consentano loro di
recuperare almeno la consapevolezza della differenza che passa tra l ’essere un uomo e una
donna rispetto a quella di essere un padre e una madre.
In queste situazioni, come si può pensare che tali persone siano in grado di esercitare nel
rapporto con i figli il principio della condivisione, che significa cogestione del ruolo di genitori e
quindi capacità di contrattare e svolgere le reciproche funzioni a beneficio esclusivo della prole,
con rinuncia a esercitare un potere senza rapporto e volto solo a saziare primariamente
esigenze di vendetta, di ritorsione, di prevaricazione, di ristoro autoprotettivo?
Ecco allora che un affidamento condiviso, quando la separazione non è condivisa (altrimenti
non ci si affosserebbe in un baratro di litigiosità sterile e inconcludente) diventa una meta cui
tendere, per cui la decisione assunta in sentenza deve essere soggetta a verifiche periodiche, al
fine di ottenere almeno il male minore, monitorando costantemente queste coppie altamente
problematiche e conflittuali, richiamandole insistentemente ai loro compiti primari e seguendo
lo sviluppo psicoaffettivo dei figli secondo un modello integrato di intervento che faccia
affidamento essenzialmente sui servizi sociali e sulla neuropsichiatria infantile, finché l’età dei
minori lo permette.
Quando vengono chieste le indagini psicologiche?
L’indagine conoscitiva, che precede ogni tipo di intervento, viene affidata a psicologi o a
psichiatri da soli o in collegio tra di loro, specie quando si sospetti o si abbia notizia
dell’esistenza di patologia mentale in uno dei due coniugi.
Detta indagine è di solito (o dovrebbe essere) essenzialmente articolata nei seguenti punti:
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in riferimento alla nuova situazione creatasi con la separazione, valutare il migliore regime di
affidamento del minore.
L’eventuale percorso psicoterapeutico consigliato ai genitori deve essere affidato ad altri che
non siano i consulenti che hanno valutato la situazione di separazione.
Un’ultima parola sul genitore affidatario o collocatario. Premettiamo che nel caso di
separazione dei genitori, l’affidamento esclusivo del figlio minore a un solo genitore è
provvedimento eccezionale ed è disposto dal giudice solo se l’affidamento condiviso crea
pregiudizio al figlio stesso. Anche se è prassi preferire la madre come affidataria della prole
almeno fino al compimento del sesto-settimo anno di età e proporre l’affidamento al padre - in
detto periodo dell’esistenza - solo in presenza di evidenti, gravi, provate e conclamate carenze
educative, morali e psicologiche della madre, non esistono principi che giustifichino
aprioristicamente un simile orientamento da parte del consulente tecnico d’ufficio o regole alle
quali ci si debba sempre e comunque attenere per adottare tale provvedimento. Le conclusioni
peritali, tra l’altro, si limitano a confermare una decisione che il magistrato ha già preso;
l’intervento del tecnico è quasi sempre tardivo, ed egli può sentirsi in un certo senso
condizionato e costretto a «mantenere la stabilità dell’ambiente di vita del o dei minori».
Infatti, quando è disposta consulenza tecnica d’ufficio ci si trova di fronte a una situazione di
affidamento «provvisorio», che però tende a consolidarsi e che nella stragrande maggioranza
dei casi è fatto alla madre, in conformità ad orientamenti tradizionali della psicologia infantile
che privilegiano in assoluto le cure materne per lo sviluppo armonioso del bambino e che
pongono su di un piano del tutto secondario la figura patema, almeno nei primi anni di vita.
Tale orientamento, che certamente non può essere ritenuto «illuminato» e «attuale», trova le
sue radici, oltre che in pregiudizi creati e alimentati da certe correnti psicologiche, nelle
caratteristiche socio-economiche e culturali che hanno connotato la struttura della famiglia nei
secoli passati.
In una società bloccata e patriarcale il padre, infatti, occupato sul versante «esterno» della
famiglia, aveva pochi legami diretti col bambino durante i primi anni di vita; di conseguenza, la
sua importanza in detto periodo non poteva essere paragonata, per qualità e intensità, a quella
della madre, custode «coatta» del focolare domestico (la “grande madre”).
Oggi, invece, possiamo dire che la situazione sta cambiando: nelle giovani coppie,
particolarmente quando entrambi i coniugi lavorano, è andato sviluppandosi sempre più un
impegno paritario nei confronti dei figli. Il che ha portato a una diversa significatività della
figura paterna, anche per ciò che riguarda i primi mesi di vita del bambino e non solo.
Pertanto la partecipazione e la fornitura di presenza affettivo-relazionale di un padre moderno
sono molto differenti da quelle tipiche dei suoi antenati.
Qual è il quesito che può essere posto?
Il quesito che è proposto dal magistrato al perito è, in genere, formulato nel seguente modo:
«Dica il consulente tecnico d’ufficio, letti gli atti di causa, sentite le parti (i coniugi e le persone
che vivono con l’uno o con l’altra), esaminati il (i) minore(i), compiuti i sopralluoghi negli
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Capacità di accudimento;
Idoneità affettivo-relazionale;
Capacità educativa
I consulenti sono tenuti a pronunciarsi sull’idoneità genitoriale e pertanto è bene tenere i
presenti i seguenti indicatori di idoneità:
Capacità di fornire le cure di base.
Sostegno alla crescita, attraverso atteggiamenti di tenerezza, comprensione ed
accoglienza.
Approvazione ed incoraggiamento durante i processi di crescita, di autonomizzazione e
di allontanamento.
Sostegno ed approvazione nel processo di distanza emotiva, normativa e relazionale.
Capacità di non erogare ricompense che servano a rinsaldare un legame di dipendenza o
mantenere intatto l’accudimento che conserva e non trasforma.
Legittimazione dell’impresa che si va a compiere o che si è appena compiuta.
Capacità di evitare atteggiamenti di collusione, nutrimento, rinforzi narcisistici, intimità
invischiante, potere di esorcizzare il vuoto, il nulla che può esserci in noi.
Capacità di tenere ben distinti i ruoli amicali, coniugali da quelli
parentali(amico/marito/compagno/padre;amica/maglie/compagna/madre).
Capacità di richiamo costante al principio di realtà e al concetto di limite.
Capacità di riconoscimento, di rispetto e di reciproca tutela dei rispettivi ruoli genitoriali.
Quindi:
garantisce un attaccamento sicuro;
sa proporre e modulare il discorso dei limiti, in funzione dell’età e delle caratteristiche
psicologiche del bambino;
incoraggia l’autostima;
favorisce la presa di coscienza dei bisogni e dei desideri e delle loro possibilità concrete
di realizzazione;
aiuta a distinguere tra un sogno o una meta idealizzata e la costruzione di un progetto
concreto;
garantisce la possibilità di sostegno in caso di richiesta o di necessità;
riconoscimento sull’essere piuttosto che sul fare
Pertanto, un genitore in grado di supportare il figlio nel processo di crescita e di progressiva
autonomizzazione dovrebbe essere dotato di alcune capacità quali:
riflessive;
empatico-identificatorie;
di contenimento;
di stabilità affettiva;
di controllo degli agiti;
d’integrazione sociale;
di trasmissione normativa;
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Fermo restando che non ci sono più differenze tra figli nati nel matrimonio e gli altri figli,
resta da stabilire a chi spetti la responsabilità genitoriale.
- È il genitore che ha riconosciuto il figlio ad esercitare la responsabilità genitoriale su
di lui. Se il riconoscimento del figlio, nato fuori del matrimonio, è fatto da entrambi i
genitori, l'esercizio della responsabilità genitoriale spetta ad entrambi.
- Quando però vi sia un genitore che non esercita la responsabilità genitoriale, questi
ha il diritto di vigilare sull'istruzione, sull'educazione e sulle condizioni di vita del
figlio.
La responsabilità genitoriale si esprime, in concreto, attraverso una serie di diritti e
doveri che gravano sui genitori esercenti tale responsabilità, vediamo di riassumerli.
La differenza sta nel fatto che la responsabilità genitoriale, è nozione diversa da quella di
idoneità genitoriale, concretizzandosi la prima come dato oggettivo nel solo l'atto di essere
genitore, la seconda come qualificazione psicologica dello status di padre o madre.
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La diagnosi di questa sindrome è difficilissima, perché deve tenere conto del funzionamento
mentale del genitore che denuncia i sintomi di sofferenza del figlio e dei riscontri clinici
negativi (= mancanza di segni clinici) sul figlio, che devono concordare tra di loro.
Pi capirini: bisogna capire che problemi mentali ha la madre che vede e fa presente al medico (rompendogli le
palle) malattie in suo figlio che in realtà non ha.
La storia clinica del minore è quindi il principale documento di cui deve entrare in possesso il
consulente, prima di procedere nelle sue indagini e di formulare giudizi tanto pesanti quanto
errati definendo come maltrattanti e patologici, e quindi non idonei nelle loro funzioni, certi
genitori che tali non sono. Per contro, se verificato, occorre tenere presente che le
conseguenze possono essere anche gravi e possono emergere nel momento in cui il bambino
cresce e diventa adolescente, entrando in una fase della vita che per definizione implica una
serie di problemi legati alla definizione dell’identità corporea. Il rischio è di continuare a
percepire il proprio corpo come “malato” e di strutturare funzionamenti patologici psichici, in
cui sono centrali il disturbo di- smorfofobico e quello ipocondriaco.
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strumento di vendetta del mortale scontro tra due genitori che hanno perduto ogni capacità di
amarsi, di rispettarsi e di mantenere distinti il ruolo di compagni da quello di genitori.
Alla presenza di reali abusi o segni di evidente trascuratezza la nozione di PAS non è applicabile
(Gardner 1985).
La PAS, secondo Gardner, sarebbe prodotta da parte di un genitore patologico (genitore
alienante) che farebbe una specie di lavaggio del cervello ai figli fino a portarli a perdere il
contatto con la realtà degli affetti, e ad esibire astio e disprezzo ingiustificato e continuo verso
l’altro genitore (genitore alienato).
o Le tecniche di “programmazione” del genitore alienante, tipicamente comprendono
l’uso di espressioni denigratorie riferite all’altro genitore; false accuse di trascuratezza,
violenza o abuso (nei casi peggiori, anche abuso sessuale);
o la costruzione di una “realtà virtuale familiare” di terrore e vessazione che genera, nei
figli, profondi sentimenti di paura, diffidenza e odio verso il genitore alienato.
o I figli, quindi, si alleerebbero con il genitore “sofferente”; si mostrerebbero come
contagiati da questa sofferenza, e inizierebbero ad appoggiare la visione del genitore
alienante, esprimendo, in modo apparentemente autonomo, astio, disprezzo e
denigrazione contro il genitore alienato.
La “programmazione” arriverebbe, secondo Gardner, a distruggere la relazione fra figli e
genitore alienato, perché i bambini arriverebbero a rifiutare qualunque contatto, anche
solamente telefonico, con il genitore alienato.
Perché si possa parlare di PAS, però, è necessario che l’astio, il disprezzo, il rifiuto non siano
giustificati (o giustificabili) da reali mancanze, trascuratezze o addirittura violenze del genitore
alienato. Cosa bisogna attenzionare?
Per valutare la presenza di PAS è necessario verificare i seguenti criteri:
o il bambino riferisce l’abuso solo se spronato dal genitore che sostiene la denuncia;
o esiste una contraddizione tra accusa del minore e presenza confortevole del genitore
accusato;
o c’è una partecipazione vivace e litigiosa del genitore che sostiene la denuncia;
o nel minore è presente la tendenza a manipolare oppure presenta un evidente bisogno di
compiacere.
La PAS è caratterizzata da 8 sintomi primari, espressi dai figli:
1. La campagna di denigrazione: il genitore permette che vi sia una mancanza di rispetto
verso l’altro coniuge e in molti casi la può anche favorire.
2. La razionalizzazione debole dell’astio che il bimbo mostra nei confronti del genitore non
affidatario si esprime con motivazioni illogiche, del tipo: “non voglio vedere mio padre
perché mi manda a letto presto”.
3. La mancanza di ambivalenza: il genitore rifiutato è descritto dal bimbo come del tutto
negativo.
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È chiaro che occorre documentare con estrema accuratezza da un lato la patologia relazionale
esistente tra genitore alienante e figlio (deve essere di tipo esclusivo e invischiante, fino a
essere simbiotico) e dall’altro l'inconsistenza della denunciata negatività del genitore alienato
di fronte agli atteggiamenti e ai comportamenti ostili, provocatori e di palese rifiuto manifestati
dal figlio. Mai si potrà omettere l’accertamento dell’esclusivo interesse del minore, quale il
diritto di visita del genitore nón affidatario e gli incontri tra i due, a meno che siano presenti
chiare, documentate e incontrovertibili dinamiche alienanti e un rifiuto fondato del minore a
incontrare il genitore non affidatario.
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La Convenzione di Lanzarote
La normativa
Il 25.10.2007, in Lanzarote (un’isola nell’arcipelago delle Canarie) il Comitato dei Ministri del
Consiglio d’Europa adottò una convenzione secondo la quale tutti i Paesi aderenti
s’impegnavano a rafforzare la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale,
adottando criteri e misure comuni sia per la prevenzione del fenomeno, sia per la punizione dei
colpevoli e la tutela delle vittime.
Tra le novità più importanti introdotte dalla Convenzione di Lanzarote furono due nuovi reati:
l’istigazione a pratiche di pedofilia e di pedopopornografia e l’adescamento di minorenni e
furono previste pene più severe per tutta una serie di reati quali i maltrattamenti in famiglia a
danno di minori, l’associazione a delinquere finalizzata alla commissione dei reati a sfondo
sessuale a danno di minori, la prostituzione e la pornografia minorile e l’impossibilità di
dichiarare di non essere a conoscenza della minore età della persona offesa nel caso di
commissione di un delitto in danno di minori. Tale convenzione il 19.9.2012 è stata finalmente
ratificata anche in Italia dopo numerose modifiche e integrazioni operate negli anni da Camera
e Senato ed è divenuta legge nel 2012.
Con questa convenzione sono numerose le novità introdotte all’interno del codice penale, tipo:
1. La parola pedofilia entra nel codice penale italiano
Chiunque, con qualsiasi mezzo e con qualsiasi forma di espressione, pubblicamente istiga a
commettere, in danno di minori, uno o più delitti previsti dagli arti 600 bis, 600 ter e 600
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quater, anche se relativi al materiale pornografico, è punito con la reclusione da un anno e sei
mesi a cinque anni.
2. L’art. 572 c.p. (Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli) è stato sostituito dal
seguente art. 572 - Maltrattamenti contro familiari e conviventi.
«Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona della famiglia
o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni
di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di
un’arte, è punito con la reclusione da due a sei anni».
3. Art. 600-bis — (Prostituzione minorile) prevede aumenti di pena nei confronti di
chiunque:
«induce, favorisce, sfrutta, gestisce, organizza o controlla la prostituzione di un minore
degli anni 18;
commette atti sessuali con un minore tra i 14 e i 18 anni;
utilizzando minori degli anni 18, realizza esibizioni o spettacoli pornografici ovvero
produce materiale pornografico;
recluta o induce minori di anni diciotto a partecipare a esibizioni o spettacoli por-
nografici ovvero dai suddetti spettacoli trae altrimenti profitto;
assiste a esibizioni o spettacoli pomografici in cui siano coinvolti minori degli anni
diciotto».
Ai fini di cui all’art. 600-bis, per pornografia minorile «si intende ogni rappresentazione,
con qualunque mezzo, di un minore degli anni diciotto coinvolto in attività sessuali
esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un
minore degli anni diciotto per scopi sessuali».
Inoltre:
Chiunque abbia commesso un reato sessuale in danno di minore possono sottoporsi ad un
trattamento psicologico con finalità di recupero e sostegno.
La nuova procedura:
prevede anche che nella fase investigativa (e quindi in assenza di contraddittorio, nel
senso che le audizioni predibattimentali sono effettuate dal p.m. o dal difensore
unilateralmente), la polizia giudiziaria (p. g.), il pubblico ministero (p.m.) e il difensore,
quando ascoltano un minore sia come parte offesa sia come teste, siano affiancati da un
esperto in psicologia o in neuropsichiatria infantile in modo da costruire un buon setting
di ascolto del minore.
Altri provvedimenti sono raccolti nei Principi contenuti all’interno della Convenzione.
Per esempio l’articolo 35 disciplina i colloqui con i bambini.
L’Articolo 35: Colloqui con il bambino
«1. Ciascuna Parte adotterà i necessari provvedimenti legislativi o di altro genere affinché:
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i colloqui con il bambino abbiano luogo senza alcun ritardo ingiustificato dopo che i fatti
siano stati segnalati alle autorità competenti;
i colloqui con il bambino abbiano luogo, ove opportuno, presso locali concepiti o
adattati a tale scopo;
i colloqui con il bambino vengano condotti da professionisti addestrati a questo scopo;
nel limite del possibile e, ove opportuno, il bambino sia sempre sentito dalle stesse
persone;
il numero dei colloqui sia limitato al minimo strettamente necessario al corso del
procedimento penale;
il bambino possa essere accompagnato dal suo rappresentante legale, o, in caso, da
maggiorenne di sua scelta, salvo decisione contraria, motivata e assunta nei riguardi di
tale persona.
Le indicazioni della Convenzione contenute in questi due articoli sono di grande interesse per
uno psicologo forense o uno psichiatra infantile, perché la nuova legge che ha ratificato la
Convenzione prevede la presenza, in veste di ausiliare, di «un esperto in psicologia o in
psichiatria infantile addestrato allo scopo», quando polizia giudiziaria, pubblico ministero e
difensore «assumono informazioni da persone minori».
In questa prima fase di iniziale costruzione di una verità processuale in divenire, la polizia
giudiziaria e il pubblico ministero assumono al più presto informazioni essenziali dalle persone
minori (in veste di vittime e contemporaneamente di testimoni), eventualmente avvalendosi
dell’ausilio di un esperto in psicologia o in psichiatria infantile. A parte le situazioni d’immediata
e drammatica evidenza, un vaglio preliminare è essenziale, sia nei casi in cui è il minore stesso
che denuncia l’abuso, sia nei casi in cui è un adulto a farlo.
In nessun caso l’accertamento pur doveroso della verità processuale può avvenire a spese di un
bambino che è stato forse traumatizzato (il fatto processuale è in via di accertamento), ma che
certamente lo può essere durante le indagini che lo riguardano direttamente e che - a causa di
interventi talvolta maldestri che vorrebbero fare immediata “giustizia” e “mettere a posto le
cose” - possono sortire l’effetto di far sentire il bambino doppiamente responsabile per aver
“ceduto” all’adulto o per averlo “mandato in carcere”.
A tal fine, la Procura della Repubblica avvia - in via urgente - i necessari accertamenti per
delineare la verità processuale servendosi della ricostruzione del contesto familiare, ambientale
e sociale in cui i fatti denunciati sarebbero avvenuti. Questi è ascoltato nella maniera più
informale e spontanea possibile dal P.M., che può avvalersi dell’ausilio di un esperto in
psicologia forense o in psichiatria infantile, eventualmente nominato come consulente.
La polizia giudiziaria può essere delegata dal P.M. a sentire il minore. In questo caso, anch’essa
può avvalersi dell’ausilio di un esperto in psicologia forense o in psichiatria infantile o può
essere assistita da un consulente nominato dal procuratore della repubblica.
La necessità (opportunità) di essere assistiti, nella fase investigativa, da un “esperto in
psicologia o in neuropsichiatria infantile” nella veste di ausiliare o di consulente del pubblico
ministero ha lo scopo di:
100
Operazioni da evitare
non assumere atteggiamenti seduttivi o ricattatori con il piccolo testimone
non ergersi a paladino della giustizia, garantendo punizioni o interventi salvifici
non farsi guidare da opinioni personali (i pregiudizi)
evitare domande dirette che confermano nostre ipotesi di partenza o inducenti o
favorenti o suggestive
evitare di ripetere le stesse domande
non fare affidamento su deposizioni i cui contenuti cambiano di continuo, sia
arricchendosi, sia impoverendosi
non stupirsi di fronte ad atteggiamenti verbali o non verbali che mirano a monopolizzare
l’attenzione dell’esaminatore, manipolandolo
101
La valutazione in punto idoneità specifica deve avvenire pertanto solo nel corso dell’incidente
probatorio, sede ufficiale della formazione della prova, quando la vittima di reato narrerà i fatti
di cui ha già eventualmente detto ad altri prima che si iniziasse il procedimento penale e sui
quali occorrerà svolgere ulteriori, specifici ragionamenti clinici e valutativi, anche attraverso
formulazione di specifiche domande in merito alle dichiarazioni rese (= accertamenti peritali
sull’idoneità specifica).
In sintesi: la valutazione tecnica sul “che cosa” il minore narra spetta al giudice e al difensore
(attendibilità e veridicità della testimonianza)', quella clinica sul “come” lo racconta spetta al
consulente e al perito (idoneità generica e specifica).
Fondamentale, a questo punto, è ricordare che - secondo l’età del minore vittima o testimone -
dovranno essere adottate strategie differenziate e specifiche di ascolto e di indagine: una cosa
è esaminare un bambino di 4-5 anni, altra cosa un adolescente di 13-14 anni.
103
Procedimento civile:
In questo settore la perizia d’ufficio prende nome di consulenza tecnica d’ufficio (C.T.U.).
L’iter giudiziario è contrassegnato dalla presenza di due parti, delle quali l’una assume
giuridicamente il ruolo di attore (o creditore), l’altra quella di convenuto (o debitore). I
difensori della parte attrice e di quella convenuta possono nominare dei consulenti di parte
(C.T.P.) «con dichiarazione ricevuta dal cancelliere».
Attore= vittima che richiede un azione legale nei confronti del convenuto. Rappresenta quindi
la parte offesa.
Covenuto= è la persona contro il quale viene fatta un’azione legale da parte dell’attore.
ll consulente tecnico d’ufficio (C.T.U.), in qualità di ausiliario del giudice, viene nominato dal
giudice istruttore con ordinanza.
Ricordiamo che il CTU viene nominato dal giudice, mentre il CTP viene nominato dalle parti.
L’art 191 codice procedura civile regola la nomina del consulente tecnico di ufficio, stabilendo
che questo viene nominato dal giudice con ordinanza, formula i quesiti e fissa l’udienza nella
quale il consulente deve comparire. Possono essere nominati più consulenti soltanto in caso di
grave necessità o quando la legge espressamente lo dispone.
Quindi il giudice Il giudice, per il compimento di singoli atti o per tutto il processo, può farsi
assistere da uno o più consulenti di “particolare” competenza tecnica. I consulenti tecnici
devono essere scelti “normalmente” tra le persone iscritte in albi speciali. Normalmente non
vuol dire esclusivamente, per cui il giudice può anche nominare come consulente uno
specialista non iscritto nell’albo dei consulenti tecnici; ma mentre nel primo caso (quindi se
viene scelto dall’albo) il consulente nominalo ha l’obbligo di prestare il suo ufficio, tranne che
esista un giusto motivo di astensione; nel secondo caso questo obbligo non esiste.
All’udienza di comparizione, il giudice riceve dal consulente «il giuramento di bene e
fedelmente adempiere le funzioni affidategli al solo scopo di far conoscere ai giudici la verità»
(art. 193 c.p.c., giuramento del consulente). In quell’occasione:
il consulente fissa l’inizio delle operazioni peritali o si riserva di farlo mediante lettera
raccomandata da inviare a tutti i consulenti di parte eventualmente nominati;
Sempre il giorno del conferimento dell’incarico peritale, è fissato anche il termine entro
il quale il consulente depositerà il proprio elaborato peritale.
Le attività del consulente del giudice sono precisate negli artt. 62 c 194 c.p.c. (attività
del consulente) e a lui si applicano le disposizioni del codice penale relative ai periti.
Amò non ti appagnare, è identico a tutto ciò che si dice nel primo tomo, solo che qui è in
ambito civile e viene chiamato CTU.
Gli articoli 62 e 194 del codice di procedura civile parlano dell’attività del CTU.
104
Art. 63 codice di procedura civile: Obbligo di assumere l’incarico e ricusazione del consulente
Il consulente scelto tra gli iscritti in un albo ha l’obbligo di prestare il suo ufficio, tranne che il
giudice riconosca che ricorre un giusto motivo di astensione.
E Il consulente può essere ricusato dalle parti per i motivi indicati nell’articolo 51.
PS: qual è l’articolo 51?
Quindi:
Il consulente che non ritiene di accettare l’incarico o quello che, obbligato a prestare il suo
ufficio, intende astenersi, deve farne denuncia o istanza al giudice che l’ha nominato almeno tre
giorni prima dell’udienza di comparizione; nello stesso termine le parti debbono proporre le
loro istanze di ricusazione, depositando nella cancelleria ricorso al giudice istruttore.
Art. 193 c.p.c. - Giuramento del consulente - «All’udienza di comparizione il giudice istruttore
ricorda al consulente l’importanza delle funzioni che è chiamato ad adempiere, e ne riceve il
giuramento di bene e fedelmente adempiere le funzioni affidategli al solo scopo di fare
conoscere ai giudici la verità».
Tutte le attività svolte in udienza possono essere ricostruite come segue:
1. registrazione delle presenze;
2. dichiarazione di accettazione d’incarico del consulente prescelto;
3. giuramento del consulente;
4. dichiarazione delle generalità del CTU;
5. formulazione dei quesiti peritali;
6. dichiarazione del luogo in cui si svolgeranno le operazioni peritali e dell’inizio delle
stesse o del rinvio;
105
Art. 201 c.p.c. - Consulente tecnico di parte - «Il giudice istruttore, con l’ordinanza di nomina del
consulente, assegna alle parti un termine entro il quale possono nominare, con dichiarazione
ricevuta dal cancelliere, un loro consulente tecnico. Il consulente della parte, oltre ad assistere
a norma dell’articolo 194 alle operazioni del consulente del giudice, partecipa all’udienza e alla
camera di consiglio ogni volta che vi interviene il consulente del giudice, per chiarire e svolgere,
con l’autorizzazione del presidente, le sue osservazioni sui risultati delle indagini tecniche».
Il consulente tecnico nominato dalle parti (C.T.P.) ha facoltà di intervenire
nella formulazione del quesito peritale, chiedendone eventuali integrazioni o modifiche;
a livello di metodologia, discutendone limiti, validità, articolazione, aspetti, variazioni e
integrazioni;
nella richiesta che siano svolte determinate indagini e specifici esami o presi in
considerazione determinati atti o documenti,
106
nel produrre eventuale altra documentazione di cui è venuto in possesso e che deve
però essere stata precedentemente depositata e sottoposta al vaglio critico del giudice.
Il C.T.P. non è tenuto a prestare alcun giuramento; il suo compito è quello di seguire passo
passo il procedimento del C.T.U., valutarne la correttezza metodologica, formulare obiezioni,
suggerimenti, osservazioni, deduzioni e controdeduzioni, presentare al consulente del giudice,
entro il termine da questi fissato, le proprie conclusioni, convergenti o divergenti che siano. Egli
non si assume mai un obbligo di risultati, bensì solo di mezzi: pertanto non può essere
considerato inadempiente nel caso di mancato raggiungimento dell’obiettivo atteso dal
committente o addirittura contrario.
Cosa succede se sorgono contrasti tra CTU e CTP?
Se durante lo svolgimento delle operazioni peritali insorgono contrasti metodologici e
procedurali insanabili tra C.T.U. e C.T.P., compito di entrambi è di presentare il problema al
committente, sospendendo temporaneamente il loro lavoro.
Il problema può presentarsi in maniera particolarmente acuta nei casi che riguardano la
valutazione del danno biologico di natura psichica e l’affidamento di minori in caso di
separazione o altro: casi in cui la delicatezza e complessità dell’indagine è inquinata da
soggettivismi interpretativi.
Per parte sua, il C. T. U. deve dimostrare di aver preso effettivamente in seria considerazione le
istanze, le osservazioni, le integrazioni, le valutazioni che gli sono state fornite dai consulenti di
parte, pena la nullità del suo elaborato.
Pertanto il giudice, nella sua sentenza, non può non tenere conto se il C.T.U. ha o meno tenuto
in effettivo conto le osservazioni formulate dai CC.TT.PP. e l’uso che ne ha/non ne ha fatto in
riferimento alle conclusioni da lui formulate e deve prendere in attento esame la fondatezza
delle osservazioni mosse dai consulenti tecnici di parte alle risultanze della C.T.U., non potendo
semplicisticamente e spicciativamente limitarsi a un generico e acritico richiamo alle conclusioni
del consulente da lui nominato.
Il CTU può avvalersi di altri consulenti di sua fiducia.
In punto ausiliari del C.T.U., il giudice, in genere, autorizza il suo consulente ad avvalersi di
persona di sua fiducia, lasciandolo completamente libero di decidere in merito e senza doverne
formalizzare la nomina anche se sarebbe opportuno se la collaborazione di un esperto o di uno
specialista avvenisse sotto il controllo del giudice che deve essere preventivamente informato
di ciò. Il C.T.U., in ogni caso, deve assumersi «la responsabilità morale e scientifica
dell’accertamento e delle conclusioni raggiunte dal collaboratore da lui nominato». II giudice
però ha la possibilità di valutare “a posteriori” la necessità o meno del ricorso a tale esperto
“esterno”.
Lo schema di stesura della relazione prevede: secondo me è inutile imparare tutte queste cose
che già sappiamo.
1. l’autorità che dispone la C.T.U.; nome, cognome, titoli del C.T.U.; data del conferimento
della nomina e dell’udienza di conferimento dell’incarico;
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la responsabilità professionale;
idoneità al lavoro, alla guida, al porto d’armi, allo sport agonistico, ecc.
Mentre nelle discipline forensi, oltre ai primi tre punti elencati sopra, si deve:
o valutare: riportare l’obiettivazione clinica a una determinata problematica medico-legale
o psichiatrico-forense che riguarda, ad esempio:
o idoneità genitoriale;
o capacità di prendere delle decisioni in ambiti specifici (competence);
o quantificazione e qualificazione del danno biologico di natura psichica;
o quantificazione e qualificazione dell’invalidità e dell’incapacità civile.
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Infatti:
L’amministratore di sostegno viene nominato non in presenza di una situazione di incapacità (=
mancanza naturale o legale della capacità di agire, che comporta l’impossibilità di compiere
autonomamente atti giuridicamente validi), bensì di impossibilità (= la condizione generica in
cui una persona si trova di non poter fare una cosa) di prendere una qualsiasi decisione.
Detto ciò,è possibile proporre il seguente percorso metodologico procedurale:
o ai «clinici» (medici internisti e specialisti in genere) dovrebbe spettare il compito di
descrivere e precisare i disturbi che motivano la richiesta dell’A.S.;
o ai «forensi» (medici legali e/o psichiatri e/o psicologi) quello di valutare l’effettiva
incidenza sull’impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere agli interessi
del beneficiario, pronunciandosi anche sulle abilità residue.
Sarebbe auspicabile che in questo settore d’indagine gli accertamenti venissero disposti e
condotti, o perlomeno discussi, da un’equipe composta da clinici e forensi, o attraverso lo
strumento dell’accertamento peritale, o quello della riunione collegiale interdisciplinare simile
quella già operante nel Tribunale della sorveglianza o in quello per i minorenni.
Solo la casistica che si raccoglierà nel tempo e l’esperienza in questo nuovo settore di tutela,
consentiranno di stabilire di quali effetti sarà produttiva questa nuova legge che,
nell’introdurre una forma di tutela morbida, verosimilmente tenderà a svuotare di significato
l’istituto dell’inabilitazione e a riservare quello dell’interdizione ai casi più gravi di incapacità
assoluta.
Inabilitazione e interdizione
Art. 414 c.c. Persone che possono essere interdette
«Il maggiore di età e il minore emancipato, i quali si trovano in condizioni di abituale infermità di
mente che li rende incapaci di provvedere ai propri interessi, sono interdetti quando ciò è
necessario per assicurare la loro adeguata protezione».
Art. 415 c.c. Persone che possono essere inabilitate
«Il maggiore di età infermo di mente, lo stato del quale non è talmente grave da far luogo
all’interdizione, può essere inabilitato.
Possono anche essere inabilitati coloro che, per prodigalità o per abuso abituale di bevande
alcooliche o di stupefacenti, espongono sé o la loro famiglia a gravi pregiudizi economici.
Possono infine essere inabilitati il sordomuto e il cieco dalla nascita o dalla prima infanzia.”
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Non si può pronunziare l’interdizione o l’inabilitazione senza che si sia proceduto all’esame
dell’interdicendo o dell’inabilitando.
Il giudice può in questo esame farsi assistere da un consulente tecnico. Può anche interrogare i
parenti prossimi dell’interdicendo o inabilitando e assumere necessarie informazioni.
Dopo l’esame, qualora sia ritenuto opportuno, può essere nominato un tutore provvisorio
all’interdicendo o un curatore provvisorio all’inabilitando».
Tutore= interdetto
Curatore=inabilitato
Come esplicitato negli articoli di cui sopra, in caso di necessità, urgenza o anche solo
opportunità, il giudice che ha proceduto all’esame dell’interdicendo o dell’inabilitando, se
questi non aveva inoltrato richiesta di nomina di un amministratore di sostegno provvisorio e le
condizioni di mente del soggetto non consentono di provvedere in tal senso, può nominare
provvisoriamente un tutore o un curatore, in attesa che il consulente tecnico da lui incaricato
compia i suoi accertamenti.
114
o esistenza di un’infermità di mente. Valgono gli stessi criteri analizzati per applicare il
vizio di mente ed esposti nella parte dedicata alla trattazione di tale argomento; si può
dire che l’inabilitazione sta all’interdizione come il vizio parziale sta al vizio totale di
mente; di particolare importanza è l’approccio funzionale alla valutazione dell’infermità;
o sua abitualità. A differenza di quanto stabilito nel codice penale, che circoscrive
l’accertamento della capacità di intendere e di volere al momento del fatto, in
quest’ambito l’infermità deve avere caratteristiche di persistenza e di estensione nel
tempo, senza peraltro dover essere irreversibile e inemendabile.
Per guarigione s’intende una remissione del quadro psicopatologico tale da consentire al
soggetto il ripristino delle sue preesistenti capacità di provvedere ai propri interessi economici,
finanziari, amministrativi, relazionali, sociali.
Per stabilizzazione si può intendere una situazione clinica in cui le esacerbazioni
sintomatologiche e gli scompensi ricorrenti sono ben controllati e il malato ha recuperato
sufficienti abilità per gestire in maniera autonoma la propria esistenza, almeno nelle sue
funzioni di base.
Accertata l’infermità e la sua abitualità, occorre valutare la sua incidenza sulla capacità del
soggetto di provvedere ai propri interessi. Per tali sono da intendere anche quelli morali, non
soltanto quelli materiali e patrimoniali. È proprio questa indicazione che conferisce alla
consulenza tecnica un carattere tipicamente medico-legale, in quanto la semplice diagnostica
psichiatrica, come in ambito penale, non risolve il problema valutativo neppure in ambito
civilistico. Trattandosi, infatti, d’interessi diversi che implicano un possesso di abilità sociali a
volte più a volte meno complesse, ne consegue la necessità:
o di individuare quali di esse sono compromesse dall’infermità di mente diagnosticata e
quali no;
o di precisare quali aree di autonomia siano conservate;
o di accertare se siano state o meno somministrate terapie, di qual tipo e per quanto
tempo;
o quale e quanta sia stata la loro efficacia;
o quale incidenza esse abbiano avuto o abbiano in senso positivo, negativo, indifferente
sulle abilità compromesse.
Nella sostanza, dunque, tutti e tre i requisiti sopraelencati devono essere presenti per
assolvere il compito che il magistrato, nel formulare il quesito peritale, pone generalmente
in questi termini:
«Dica il consulente tecnico d’ufficio, esaminati gli atti di causa e la documentazione
prodotta dalle parti, visitato il periziando, compiuti tutti gli accertamenti che riterrà ne-
cessari ed opportuni, acquisita ogni eventuale, ulteriore documentazione clinica, se il
soggetto, per abituale infermità di mente, sia totalmente o parzialmente incapace di
provvedere ai propri interessi e quali atti, di natura ordinaria e/o straordinaria, la parte
convenuta sia in grado di compiere senza l’assistenza di una terza persona».
Cosa fa il tutore in caso di interdizione?
115
Il tutore invece non ha diritti di rappresentanza nel settore dei diritti personalissimi: in primis,
quello alla salute, la cui gestione rimane nelle mani dei sanitari. Il tutore deve però essere
attivamente informato dei provvedimenti di ricovero e di dimissione del tutelato (fino alla
collocazione indotta) che non può essere abbandonato a se stesso. Il fine di questo intervento
non è certamente terapeutico, ma è solo quello di realizzare una collocazione protetta del
tutelato, indipendentemente dal suo assenso e dal suo accordo, che non è male, ma
sicuramente non è obbligatorio ricercare.
Interdizione: L’interdetto, lo abbiamo già detto, non è una persona incapace di intendere e di
volere, bensì una persona incapace di provvedere ai propri interessi: ne consegue che - al limite
- non può sposarsi, non può far testamento, non può donare, non può riconoscere un figlio,
non può compiere atti né di ordinaria (es.: riscuotere la pensione, incassare uno stipendio,
riscuotere interessi da capitale, pagare le tasse, assumere una badante o una collaboratrice
domestica, affittare un alloggio), né di straordinaria (es.: sottoscrivere un mutuo, acquistare e/o
vendere beni, prelevare delle somme da un conto corrente o da altre forme di investimento)
amministrazione. Gli è stata restituita la capacità elettorale. La donna interdetta può richiedere
e ottenere l’interruzione della gravidanza.
116
Il consenso ad accertamenti invasivi e a interventi chirurgici proposti dal medico deve essere
controfirmato dal legale rappresentante che deve dame comunicazione al giudice tutelare.
L’informazione resta un atto dovuto e l’interdetto, come il minore, deve essere ascoltato in
punto consenso/dissenso rispetto al progetto terapeutico prospettato dal medico.
Inabilitazione
L'inabilitazione comporta la perdita esclusiva di alcune capacità inerenti la straordinaria
amministrazione. L’inabilitato non può, ad esempio, acquistare o vendere beni, trasformare o
comunque alienare o modificare il suo patrimonio immobiliare. Può, invece, disporre per
testamento, contrarre matrimonio, compiere atti di ordinaria amministrazione, esercitare il
proprio diritto alla salute.
Può andare a votare
Cosa può fare il curatore in questo caso?
L’inabilitato è assistito da un curatore in tutti gli atti di straordinaria amministrazione. Il
curatore non è legittimato a esprimere per l'inabilitato il suo consenso a interventi medici e
chirurgici, non disponendo di un potere di rappresentanza in questo ambito.
Entrambi i provvedimenti (interdizione e inabilitazione) sono applicati con sentenza da una
sessione civile del Tribunale ordinario e possono essere revocati (art. 429 c.c.), se e quando
vengono meno le condizioni che li hanno determinati.
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Possono essere invalidati anche un testamento e qualsiasi atto civile redatto o compiuto
da un soggetto che, in quel momento, anche se solo transitoriamente, era incapace di
intendere o di volere (rectius: non competente) e, ovviamente, non è interdetto.
E’ superfluo sottolineare l’estrema difficoltà insita in accertamenti peritali che spesso vengono
disposti a notevole distanza dalla stesura dell’atto, su persona magari nel frattempo defunta o
su persona vivente nei cui confronti la parte attrice sostiene la presenza di una incapacità
transitoria invalidante l’atto; o nella quale il quadro psicopatologico è andato incontro a
mutamenti migliorativi o a peggioramenti; su documenti incompleti o frettolosamente
compilati; su testimonianze di ardua e discutibile lettura e interpretazione.
La regola è costituita dalla capacità di testare, mentre l’eccezione è rappresentata
dall’incapacità. Questa può essere determinata o da infermità mentale vera e propria ovvero da
altre cause transitorie; deve in ogni caso essere grave e tanto intensa da togliere al testatore la
capacità di intendere il significato del suo atto o di manifestare liberamente quella (e non altra)
specifica volontà nel momento di redazione della scheda testamentaria.
L'accento è posto, ovviamente, non tanto sull’entità e la gravità della malattia in sé e per sé
considerata, quanto sull’influenza che questa ha avuto nell'impedire al soggetto una
valutazione funzionale adeguata e congrua dei propri atti e l'espressione conseguente di una
libera autodeterminazione.
Cosa bisogna attenzionare?
Occorre pertanto porre massima attenzione non solo agli aspetti formali, ma anche e
soprattutto al contenuto della scheda testamentaria: diverso è il caso in cui il testo è scarno ed
essenziale e in esso vengono indicati uno o due eredi da quello molto articolato e dettagliato in
cui viene istituita una lunga serie di legati. Il contenuto della scheda testamentaria con le
relative disposizioni deve essere in assetto con il modo di esprimersi del testatore e con le
modalità di funzionamento mentale e relazionale proprie del soggetto (lo “stile di vita”). Se
diverso è, si devono esplorare, ragioni e finalismi sottostanti l’atto. La presenza di determinate
clausole che richiedono conoscenze specifiche di diritto può far pensare all’intervento di terzi
nella redazione di un atto che per definizione è un atto privato.
Inoltre è importante conoscere eventuali altre volontà in precedenza espresse, quando e se
l’ultimo testamento (che annulla tutti i precedenti) rappresenta un «quid novi» rispetto a quella
o a quelle costantemente espresse, sostanzialmente discostandosi da esse.
Pertanto:
La dimostrazione è delegata allo psichiatra forense che deve cercare connessioni tra le diverse
schede testamentarie sottoscritte in momenti diversi e l’eventuale presenza di una patologia
mentale che incida sostanzialmente sui contenuti, la forma, la confezione dell’ultima scheda.
L’ipotesi che il testatore, al momento della sottoscrizione della scheda testamentaria sia stato
«privo in maniera assoluta della coscienza dei propri atti ovvero della capacità di
autodeterminarsi», può trovare necessità di accertamento in due momenti ben distinti: quello
in cui la scheda testamentaria è stata compilata senza alcuna formalità particolare, come nel
caso del testamento olografo, e il testatore è ancora in vita;
120
122
Infine, il contraente «il cui consenso fu dato per errore, estorto con violenza, o carpito con
dolo, può chiedere l’annullamento del contratto».
Nel prendere in esame detti documenti occorre innanzi tutto determinare se essi sono
autografi, scritti cioè di pugno del periziando, oppure se sono stati compilati da terzi.
Posto che si tratti di scheda testamentaria o atto di donazione autografi, gli elementi da
prendere in attenta, particolareggiata analisi, sono:
il contenuto del documento.
E’ evidente che un delirante di grandezza o un grave depresso possono rispettivamente
sopravvalutare o sottovalutare quello che realmente possiedono e che possono lasciare agli
eredi o donare a terzi. Così pure l’insufficiente mentale o il soggetto affetto da disturbi mentali
organici si trova nelle condizioni di non essere obiettivo, preciso e critico nelle sue decisioni.
Il modo in cui è stilato il documento.
Esso può offrire utili indicazioni sullo svolgimento dei processi di pensiero, sulla coerenza e sulla
continuità dei nessi logici, sulla conservazione di una normale efficienza intellettiva, o, per
converso, su loro alterazioni patologiche.
La confezione formale.
Eventuali sgrammaticature o errori di ortografia o di sintassi possono essere correlati a deficit
culturali che, se non precisamente analizzati, appaiono indicatori troppo vaghi e suscettibili di
giudizi soggettivi da parte del perito. Come tali, anche sotto il profilo qualitativo, essi non
possono incidere sostanzialmente sulla validità del documento sotto- scritto. Ma se si
dovessero discostare da precedenti scritti che denotano un livello nozionistico e culturale
medio-superiore diventa allora obbligatorio procedere ad un confronto tra un “prima” e
“dopo”, per comprendere l’esatto significato psicopatologico di questi indicatori grafici.
E’ inoltre importante esaminare il tipo di grafìa con la quale è stata confezionata la
scheda testamentaria o la donazione.
Anche se non esistono parallelismi obbligati e univoci, una grafia lineare, sicura, omogenea,
precisa può essere, a buon diritto, ritenuta espressiva di quella coerenza e di quella logicità di
analisi e di giudizio che tanta rilevanza assumono nel considerare valido l’atto.
Ma nei disturbi mentali organici, siano essi acuti o cronici, nonché nei quadri di esaltazione
maniacale, è possibile osservare alterazioni formali della scrittura consistenti soprattutto in
grafia di calibro che va man mano riducendosi fino a divenire illeggibile, con presenza di segni
grafici tratteggiati con linea incerta e tremula, delineando quella che viene definita “insalata di
parole”.
L ’esame comparativo.
È infine fondamentale poter procedere a un esame comparativo con scritti e documenti del
periziando che risalgano a epoca non sospetta: ciò sia per confrontare gli aspetti formali, sia
per sapere se esiste o meno una coerenza di volontà nel tempo (aspetti contenutistici).
123
L’incapacità naturale
L'incapacità naturale, disciplinata dall'art. 428 c.c., concerne la situazione di un soggetto che,
pur non essendo legalmente incapace di agire, sia comunque «per qualsiasi causa, anche
transitoria, incapace di intendere e di volere al momento in cui gli atti sono compiuti».
Occorre distinguere due casi diversi:
1. l’atto compiuto è un negozio unilaterale;
2. l’atto compiuto è un contratto.
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I negozi unilaterali conclusi quando il soggetto è incapace naturale possono essere annullati su
istanza della persona stessa o dei suoi eredi o aventi causa. L’annullamento, però, è possibile
solamente se ne risulta un grave pregiudizio per l’autore.
Il contratto è un negozio giuridico avente natura patrimoniale concluso tra due o più
parti.
Esempio: l’acquisto o la vendita di un immobile, l'affitto di un negozio o di un appartamento, la
concessione di un credito, sono contratti.
I contratti, conclusi quando il soggetto è incapace, possono essere annullati solamente se si
dimostra la malafede dell’altro contraente, cioè solamente se si dimostra che l’altra parte era
consapevole dello stato di incapacità del soggetto. In entrambi i casi l’azione di annullamento si
prescrive in 5 anni dal giorno in cui l’atto è stato compiuto.
A differenza di quanto stabilito per la pronuncia dell’inabilitazione e dell’interdizione, dunque,
alla condizione di mente di cui sopra non è richiesta alcuna connotazione di particolare
qualificazione, durata, stabilità ed abitualità; ne è sufficiente la transitorietà, purché riferita
all’atto compiuto, indipendentemente da condizioni preesistenti o susseguenti l'atto.
Come già detto, lo stato d’incapacità naturale deve essere «totale» per annullare un
testamento (art. 591 c.c.), mentre è sufficiente che sia «parziale» per annullare un atto o un
contratto (artt. 428 e 775 c.c.).
125
Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi
doveri.
Dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale,
alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione.
Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria
capacità-di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia.
Art. 144 Indirizzo della vita familiare e residenza della famiglia
I coniugi concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare e fissano la residenza della
famiglia secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa.
A ciascuno dei coniugi spetta il potere di attuare l’indirizzo concordato.
Art. 147 Doveri verso i figli
Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire ed educare
la prole tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei
figli.
A questo punto il celebrante, ottenuto il consenso di entrambi i nubendi, li dichiara uniti in
matrimonio.
Sussiste matrimonio solo alla presenza di presupposti specifici: diversità di sesso tra gli sposi,
libera e reciproca manifestazione di volontà e scambio dei consensi alla presenza dell’ Ufficiale
di Stato Civile.
Art. 84 Età
«I minori di età non possono contrarre matrimonio.
Il Tribunale, su istanza dell’interessato, accertata la sua maturità psico-fisica e la fondatezza
delle ragioni addotte, sentito il pubblico ministero, i genitori o il tutore, può con decreto
emesso in camera di consiglio ammettere per gravi motivi al matrimonio chi abbia compiuto i 16
anni (omissis)».
Occorrono dunque gravi motivi e che il minore abbia compiuto i sedici anni e non ancora i
diciotto, affinché gli sia concesso di contrarre il matrimonio. Dopo il compimento del 18m0
anno di età, il matrimonio è valido, se non inficiato da altre cause.
La competenza in tale ambito è del Tribunale per i minorenni.
Se le circostanze lo esigono, il tribunale nomina un curatore speciale che assista il minore nella
stipulazione delle convenzioni matrimoniali (art. 90 c.c.).
126
127
In data 21 maggio 2016 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana la
Legge n. 76/2016, ovverossia la Legge sulle Unioni Civili e Coppie di Fatto. Si tratta di una legge
costituita da un solo articolo suddiviso in due parti che regolano:
- le unioni civili tra persone maggiorenni dello stesso sesso; si tratta di un legame diverso dal
matrimonio fra eterosessuali, anche se presenta molti doveri e diritti in comune. Il comma 20
dice ancora esplicitamente che, al fine di tutelare diritti e doveri, «le disposizioni che si
riferiscono al matrimonio» in tutte le altre leggi, e quelle che contengono le parole “coniuge” e
“coniugi”, si intendono applicate anche alle persone che si uniscono civilmente; queste unioni
vengono formalizzate davanti a un ufficiale di stato civile, alla presenza di due testimoni, con
acquisizione di stessi diritti e assunzione di stessi doveri; se l’unione dovesse cessare, le parti
hanno diritto all’eredità, alla pensione di reversibilità e al mantenimento; la separazione
avviene davanti al l’ufficiale di stato civile, quando le parti ne manifestano la volontà (anche
disgiunta); non è possibile che il genitore non biologico adotti il figlio, naturale o adottivo, del
partner, ma non è vietato che i giudici si possano pronunciare caso per caso;
- le convivenze di fatto; esse sono costituite da due persone maggiorenni (sia etero che
omosessuali) non legate da vincoli giuridici ma da un legame affettivo e che possono regolare i
propri rapporti patrimoniali attraverso un contratto di convivenza, che prevede obbligo
reciproco di assistenza morale e materiale, reversibilità della pensione e diritto di eredità,
assistenza ospedaliera e penitenziaria, residenza, modalità di contribuzione alla vita comune,
comunione dei beni. Oltre che in caso di morte o di matrimonio, la convivenza si risolve per
accordo delle parti o per volontà unilaterale.
Quali sono le conseguenze dell’annullamento rispetto ai figli? I figli nati, concepiti, riconosciuti e
adottatati durante un matrimonio in seguito dichiarato nullo non subiscono alcuna modifica
nella loro situazione giuridica: mantengono cioè tutti i diritti e tutti i doveri nei confronti dei due
genitori, sia rispetto al passato sia al futuro. Vi è solo un’eccezione: se il matrimonio è annullato
per bigamia o per parentela e entrambi i genitori erano in malafede, i figli non vengono più
considerati legittimi, ma assumono la qualità di figli naturali.
L’identità psicosessuale
L’identità psicosessuale è un processo individuale di acquisizione, di strutturazione e di
consolidamento di una identità di genere, che prevede fasi differenti e progressive nello
sviluppo individuale cognitivo, affettivo, relazionalo e sociale e la cui base biologica si trova nel
corredo cromosomico che per il maschio è 46/xy e per la femmina 46/xx e la conseguente
percezione del proprio schema corporeo.
L’identità di genere può essere disturbata da vari processi che non possono essere esaminati in
questa sede, ma che, quando si tratti di rettificazione di attribuzione di sesso o di intervento di
conversione, possono essere oggetto di accertamenti psicologico-psichiatrici disposti dal
magistrato o acquisiti dallo stesso attraverso consulenti di parte.
Inoltre, il Tribunale (art. 3) può autorizzare il trattamento medicochirurgico con sentenza,
ovviamente quando risulti necessario un adeguamento dei caratteri sessuali.
128
Danno psichico
Il danno psichico trova il proprio riconoscimento nel concetto di danno biologico, quale
menomazione dell’integrità psichica della persona in sé e per sé considerata.
Il valore persona (uomo o donna che sia), in quanto tale, non si esaurisce dunque nella sola
attitudine a produrre reddito, ma esprime tutte le funzioni naturali del soggetto
nell’integrazione delle sue dimensioni biologiche, psicologiche e sociali.
Ma è bene sottolineare che quando si parla di «danno psichico», in realtà, ci si riferisce al
«danno biologico di natura psichica».
Questo è un discorso controverso che scaturisce dai profondi mutamenti che si sono verificati
negli ultimi decenni nella dottrina e nella prassi psichiatrica. Infatti, è mutato il concetto medico
secondo cui la medicina si occupava della malattia; oggi, la medicina per il cambiato clima
culturale e sociale non si occupa della malattia, ma della persona malata o ancora meglio della
persona in sé considerata, nella sua integrità psicofisica.
129
Ad oggi, la distinzione tra danno biologico e danno psichico è da considerare acquisita, il primo
essendo afferente al sistema nervoso in quanto apparato anatomico e funzionale, costituito da
encefalo, organi di senso, nervi periferici, il secondo afferendo alla psiche.
Ma In buona sostanza, quando parliamo di danno psichico, bisognerà comunque dimostrare
che, in seguito e in conseguenza a un danno ingiusto altrui (doloso, colposo o
preterintenzionale che sia stato), è sopravvenuta un’effettiva lesione dell’integrità psicofisica
del soggetto in esame (danno biologico), lesione che ha seriamente minato il suo
funzionamento mentale e relazionale con caratteristiche di temporaneità o di permanenza
(danno alla salute) e che ha comportato e comporta interventi sanitari (farmacologici e
psicoterapeutici).
Prima di affrontare criteriologia e metodologia valutative, è necessario ricordare che il danno
biologico di natura psichica può essere o diretta conseguenza di:
traumi cranio-encefalici;
maltrattamenti, abusi e violenze a vario titolo inferte a bambini, adulti e anziani;
mobbing (i maltrattamenti sul luogo di lavoro);
stalking (la sindrome del molestatore assillante);
il bullismo;
altri traumi fisici (lesioni personali);
sequestri di persona;
o derivare indirettamente da:
un lutto da morte di un familiare o di una persona significativa (danno da
rimbalzo);
il gravame psicofisico derivante dal dover assistere un familiare non più
autosufficiente per evento lesivo altrui.
In altre parole, il danno biologico di natura psichica diretto è la conseguenza di un evento
lesivo nel soggetto che ne è stato colpito. Il danno biologico di natura psichica indiretto è il
riflesso che su altri ha il danno che ha colpito quella persona.
Appare opportuno segnalare inoltre che il settore del risarcimento del danno, in continua
evoluzione, negli ultimi anni, allargando i propri confini, è giunto ad Interessarsi anche di eventi
quali il concepimento, la gestazione e il parto, ponendo i giuristi e i medici legali di fronte a
questioni di non facile soluzione. Ci si riferisce in particolare al danno da nascita indesiderata
(wrongful birth).
La nascita indesiderata o la nascita di un figlio malformato possono dar luogo oltreché a un
danno esistenziale e a un danno morale, ad un danno biologico di natura psichica. La Corte di
Cassazione si è già espressa su casi di danni da nascita indesiderata, una delle quali da
considerare particolarmente innovativa in quanto con la stessa viene riconosciuto il danno
esistenziale subito dai genitori per la nascita di un figlio handicappato.
130
Da ricordare infine il danno da wrongful life, con questo termine ci si riferisce ad una condizione
in cui un bambino che nasca con malformazioni o patologie congenite o comunque con una
condizione di svantaggio esistenziale e la cui nascita o la presenza di tali patologie sia da
ricondurre alla responsabilità di terzi, intenti una causa perché vengano riconosciuti e quindi
risarciti i danni alla propria persona.
maggior parte dei casi, il quadro clinico come stabilizzato. A questa schematizzazione sfuggono
i minori, nei quali solo a distanza di molti anni si possono manifestare disturbi psichici,
situazione questa che oggi può essere solo evidenziata, e per la quale è necessario individuare
una opportuna metodologia.
Il secondo problema è quello che riguarda l’inquadramento clinico della condizione psichica
presentata dal soggetto esaminato. Si tratta di appurare la reale esistenza di una vera e ben
definita patologia psichica, comportante una compromissione obiettiva, durevole e quindi
permanente della personalità dell’individuo, la quale incida sull’equilibrio e sulla efficienza del
soggetto.
Il terzo problema è quello attinente al nesso causale, e cioè ai rapporti esistenti tra l’evento
psicotraumatizzante ed il quadro clinico obiettivato.
Si tratta di esaminare il caso clinico in riferimento ed alcune ipotesi interpretative e cioè se
l’evento traumatizzante la psiche sia da considerare come causa efficiente o come concausa,
oppure momento occasionale o acceleratore o aggravatore, secondo le definizioni che
riportiamo qui di seguito:
causa efficiente: è la causa senza la quale non può venire prodotto un determinato
effetto;
concansa: un determinato effetto si può realizzare solo dall’azione comune di più cause,
mentre ognuna da sola non avrebbe portato alcun effetto o ne avrebbe prodotto uno
diverso;
Causa occasionale: o momento liberatore della causa. Ha minima importanza, è
assolutamente inidoneo a produrre l’effetto, può essere sostituito con altri eventi simili;
causa acceleratrice o momento acceleratore: è un evento concausale od occasionale
che, pur non modificando quantitativamente l’effetto di una causa, ne accelera
l’effettuazione;
causa aggravante o momento aggravatore: è una concausa che modifica
quantitativamente l’effetto che sarebbe derivato da una data causa.
Il danno esistenziale
Il danno esistenziale è ravvisabile nel caso di alterazione, ad opera di fatto illecito di terzi, delle
normali quotidiane attività dell’individuo, tra le quali attività familiari, sociali, di svago, culturali,
di intrattenimento, di riposo e di relax, cui ciascun soggetto ha diritto e che incidono, con
modalità e gradi diversi, conseguenti alla diversa sensibilità individuale e struttura della
personalità, nella sfera psichica del soggetto leso, potendo anche alterare in misura più o meno
rilevante i predetti rapporti familiari, sociali, culturali, affettivi, ecc. Nei casi più gravi può anche
insorgere una vera e propria malattia psichica; in tal caso, tuttavia, anche al fine di evitare
duplicazioni risarcitorie, il danno va qualificato come biologico in senso stretto e liquidato sotto
tale voce. Trattasi di danno diretto.
La modificazione peggiorativa della vita della vittima, conseguenza diretta o indiretta del fatto
illecito altrui, qualora non sia ravvisabile un danno biologico, in base ai normali ed usuali criteri
di accertamento del danno, resterebbe sfornita di tutela risarcitoria.
132
da trauma indiretto non meno di 18-24 mesi. Tale lasso di tempo è più che sufficiente per
risolvere una reazione da lutto «semplice» o «normale» e affrontare il problema
diagnostico-differenziale con una reazione da lutto «complicata» o con un Disturbo
distimico o con un episodio depressivo maggiore o medio o grave o, peggio, con uno
scompenso psicotico di natura schizofrenica e così via.
135
Questi obblighi gravano su tutti coloro che compiono una professione sanitaria, in particolare
se psichiatrica, dove la tutela forte o morbida è atto dovuto a protezione del paziente
psichiatrico.
In tutti i casi, il medico ha il dovere di informare il paziente sulla malattia e sulla terapia
praticabile; il malato può quindi consentire o meno alla prestazione medica, ad eccezione del
minore e dell’interdetto, rappresentati rispettivamente da coloro che esercitano la potestà
genitoriale e dal tutore. Ma entrambi hanno il diritto di essere informati e devono essere
ascoltati.
Il trattamento senza consenso é da ritenersi arbitrario e tale da costituire violenza privata,
salvo che non ricorrano le condizioni dello stato di necessità.
È questo il caso in cui il medico deve intervenire in condizioni di emergenza, ovvero quando il
soggetto è in una situazione grave che non gli consente di comprendere le proprie condizioni
morbose e di esprimere un valido consenso; allora è ovvio il dovere di intervenire e di prestare
l’assistenza al fine di evitare il danno o il maggior danno.
Ma il medico tenga presente che, anche se ha agito in stato di necessità, ma dal suo intervento
è derivato un danno alla persona, al danneggiato é dovuto un risarcimento.
136
Negli anni passati la medicina era vista come un’arte socialmente utile e il medico come
benefattore dell’umanità. Pertanto la tematica del consenso non aveva alcun interesse per il
medico, il paziente o il sistema sociale e giudiziario.
Ma nel corso degli anni la medicina si è trasformata in una professione ad elevato contenuto
scientifico, il medico è diventato un professionista e il paziente si è trasformato in un cliente.
Infatti il rapporto medico paziente è diventato un vero e proprio contratto ai sensi del codice
civile, e quindi con obblighi reciproci legalmente riconosciuti, quali:
doveri di diligenza, prudenza da parte del medico;
Pretesa da parte del paziente di una corretta prestazione professionale;
rispetto del contratto da parte di entrambi i contraenti.
Un contratto, è valido solo se stipulato tra persone libere di decidere e informate sulla natura
della prestazione che costituisce oggetto dell’obbligazione.
In tutti casi in cui il sanitario interviene a prescindere dal consenso informato, sorge il problema
Che porta a chiedere se la condotta del medico che ha sottoposto il paziente a interventi
medici/chirurgici in mancanza di valido consenso informato abbia o meno rilevanza penale.
Il linea di principio, se il consenso prestato dal paziente non è valido, poi addirittura assente
possono configurarsi due tipi di responsabilità penale:
• la responsabilità colposa che si presenta quando il consenso all’intervento terapeutico è
stato raccolto in modo non corretto per comportamento negligente da parte del medico.
• la responsabilità dolosa quando l’atto medico è volontariamente compiuto senza il
consenso del paziente o contro la sua volontà. In questo caso il medico va incontro a violenza
privata, lesioni personali, omicidio preterintenzionale.
137
138
In generale, questa forma di TSO extra ospedaliero, risponda prima di esigenze di continuità
terapeutica, riveste carattere di temporaneità, è disposta su semplice proposta da parte del
curante e viene sciolta appena trascorso il tempo necessario per la somministrazione di quei
farmaci indispensabili.
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[2] 2 Nell’ambito di programmi epidemiologici, solo però con la garanzia del più assoluto e
rigoroso anonimato.
Al di Fuori di questi due casi in cui la legge, a determinate condizioni, consente di eseguire il test
anche senza il consenso dell’interessato, è vietato ai datori di lavoro, pubblici e privati, lo
svolgimento di indagini a volte ad accertare nei dipendenti o persone prese in considerazione
per l’instaurazione di un rapporto di lavoro, l’esistenza di uno stato di siero positività.
Così come è giusto sottolineare che non costituiscono giusta causa di licenziamento né la
condizione di siero positivo, né l’appartenenza a gruppi a rischio.
Chi è sottoposto obbligatoriamente al test dell HIV?
Sono sottoposti obbligatoriamente al test per l’HIV:
i donatori di sangue e di emoderivati;
i donatori di sperma, tessuti, organi e midollo osseo.
L’informazione e il consenso del donatore rimangono atti dovuti.
La comunicazione dei risultati è rigorosamente riservata e deve essere data esclusivamente
alla persona interessata dall’accertamento. Pertanto, non ai familiari, né al partner sessuale del
soggetto, se non con il suo esplicito, chiaro, espresso consenso. Fanno eccezione i soggetti
legalmente o naturalmente incapaci.
Il medico deve informare correttamente e completamente suo paziente. Questo è l’unico
titolare del diritto assoluto a conoscere la verità, egli deve essere comunicata con le dovute
garanzie di metodo e di rispetto, in modo che gli possa liberamente e responsabilmente
prendere le decisioni in riferimento a due tipi di cautela da adottare: per contrastare
l’evoluzione della malattia e per evitare la diffusione del contagio.
Il medico, infine, deve informare il soggetto siero positivo delle possibili conseguenze penali su
eventuali comportamenti scorretti nei confronti di terzi.
Prelievi ematici
È costituzionalmente illegittimo che il giudice nell’ambito delle operazioni peritali, disponga
misure che comunque incidono sulla libertà personale dell’indagato o dell’imputato o di terzi, al
di fuori di quelle specificatamente previsti nei casi e nei modi dalla legge.
Prima era fatto divieto al giudice di disporre coattivamente il prelievo ematico, fin quando poi
non è stata promulgata una legge che specificasse “i casi e modi” in cui ciò fosse possibile.
Tale norma consente il prelievo di campioni biologici su indagati, imputati o terzi, nell’ambito
della perizia giudiziale, al ricorrere di determinati presupposti e dentro dati limiti; questa perizia
può essere disposta solo quando si procede per:
140
delitti non colposo, tentati o consumati, per i quali è prevista la pena dell’ergastolo o
della reclusione superiore nel massimo a tre anni.
Ulteriore requisito È rappresentato dalla necessità di procedere al prelievo (di capelli,
peli o mucosa del cavo orale) per la finalità di effettuare la determinazione del profilo
del DNA.
Inoltre è previsto che debba mancare il consenso della persona da sottoporre all’esame
peritale e che lo stesso esame risulti assolutamente indispensabile.
In questi casi il giudice può disporre con un’ordinanza motivata, l’esecuzione della perizia. Non
possono disporsi operazioni che contrastano con espressi divieti di legge o che possono
mettere in pericolo la vita della persona. Il perito deve eseguire le operazioni nel rispetto della
dignità e del pudore del soggetto. Devono essere preferite tecniche meno invasive.
parole non vi è una soglia massima di tolleranza. Non esiste pertanto, uno strumento
equivalente per accertare lo stato di alterazione psicofisica conseguente all’uso di sostanze
stupefacenti e ciò avviene perché nel caso di assunzione di sostanze stupefacenti gli effetti
permangono nel tempo, sicché l’esame tecnico potrebbe avere un esito positivo anche in
relazione a un soggetto che ha assunto con costanza la droga nei giorni addietro. Oltre
all’accertamento scientifico della presenza di sostanze stupefacenti nei liquidi fisiologici del
conducente, per integrare il reato di guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti occorre
altresì la prova che la guida sia stata alterata dall’assunzione di stupefacenti.
È pacifico che il prelievo di liquidi organici comporti però un intervento invasivo e quindi una
lesione dell’integrità fisica del paziente: il che è possibile solo previa acquisizione del suo
consenso informato.
Trasfusioni di sangue
Occorre preliminarmente puntualizzare che in tema di trasfusioni di sangue e di
somministrazione di emoderivati, è previsto il consenso informato scritto del ricevente la
trasfusione e fa coincidere lo stato di necessità, ovvero il momento in cui medico può
intervenire anche senza il consenso, con l’imminente pericolo di vita. E, nessuna norma di legge
può imporre il trattamento emotrasfusioni male coattivamente e la stessa autorità giudiziaria
non può adottare un provvedimento su paziente competente e dissenziente come i testimoni
di Geova. Infatti se il testimone di Geova nega il consenso alla terapia, il medico deve fermarsi:
nell’ipotesi di pericolo grave immediato per la vita del paziente, il dissenso del
medesimo deve essere oggetto di manifestazione espressa.
In assenza di un chiaro di senso e in presenza di condizioni critiche per la
sopravvivenza, il medico ha l’obbligo di agire;
un emotrasfusione eseguita contro la volontà del paziente lucido, anche se in
condizioni critiche, costituisce danno risarcibile e lesione colposa.
Per quanto riguarda le donazioni di sangue: sono consentiti la donazione di sangue, nonché il
prelievo di cellule staminali:
all’interno delle strutture autorizzate dalle regioni;
le attività possono essere effettuate in persone di almeno 18 anni di età, previa
espressione del consenso informato e verifica della loro idoneità fisica.
per le persone di età inferiore ai 18 anni il consenso è espresso degli esercenti la potestà
a dei genitori o del tutore o del giudice tutelare.
È bene sottolineare che quando vi sia un pericolo imminente di vita il medico può procedere a
trasfusioni di sangue anche senza il consenso del paziente, a meno che non vi sia stato un
142
Istigazione al suicidio
È punito anche chi determina altri a suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne
agevola in qualsiasi modo l’esecuzione. Le pene sono aumentate se la persona istigata o aiutata
si trova in una di queste condizioni: minore degli anni 18; persona inferma di mente o che si
trova in condizioni di deficienza psichica per un’altra infermità o per l’abuso di sostanze
alcoliche o stupefacenti. È divieto per il medico compiere qualsiasi azione che provochi o
contribuisca a provocare la morte del suo paziente.
Cartella clinica
La cartella e diario clinico sono documenti sanitari importantissimi che devono essere compilati
con la massima cura, correttezza e completezza. La cartella clinica è uno strumento
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Capitolo 3
Segreto professionale= Il segreto professionale indica un obbligo normativo a carico di alcune
figure professionali di non rivelare o pubblicizzare informazioni, delle quali esse siano a
conoscenza, per motivi di lavoro, per le quali vi è imposto uno specifico obbligo di segretezza.
Può riguardare il libero professionista, il lavoratore subordinato o anche il dipendente pubblico,
e spesso è tanto un obbligo deontologico oltre che giuridico.
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Segreto d’ufficio=Il dovere, imposto agli impiegati pubblici, di non comunicare all’esterno
dell’amministrazione notizie o informazioni di cui siano venuti a conoscenza nell’esercizio delle
loro funzioni, ovvero che riguardino l’attività amministrativa in corso di svolgimento o già
conclusa.
Legge sulla privacy= Per "tutela della privacy" si intende il DIRITTO alla protezione dei dati
personali. "La presente legge garantisce che il trattamento dei dati personali si svolga nel
rispetto dei diritti, delle libertà fondamentali, nonché della dignità delle persone fisiche, con
particolare riferimento alla riservatezza e alla dignità personale; garantisce altresì i diritti delle
persone giuridiche e di ogni altro ente o associazione".
Segreto professionale
Il segreto e tutto ciò che è stato appreso nell’esercizio della professione, che concerne la sfera
intima, personale della persona assistita e che non deve essere divulgato. La tutela del segreto
garantisce il paziente da ogni indebita intrusione nel suo mondo privato.
La fiducia, l’alleanza, il lavorare insieme, sono componenti della relazione terapeutica che
entrano in gioco solo se è garantita dal segreto.
Obbligo di mantenere il segreto è un imperativo giuridico, deontologico e morale che grava su
tutto il personale sanitario. Tale è da considerare anche lo psicologo che, oltre nel privato,
opera nell’ambito del servizio sanitario nazionale o in altri enti pubblici. La rivelazione del
segreto, quando indebita e non giustificata, è sanzionato dalla norma in vigore e dalla legge
sulla privacy che tutela le persone e altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali.
La morte del paziente non esulano Il medico e lo psicologo dall’obbligo del segreto. Nel caso di
collaborazione con altri soggetti tenuti al segreto professionale, il sanitario può condividere
soltanto le informazioni strettamente necessarie in relazione al tipo di collaborazione da
effettuare. L’Informazione a terzi (compresi familiari e parenti), a parte le eccezioni, non è
consentita, se non per esplicita volontà normalmente espressa dalla parte del paziente e
competente. Ma i sanitari possono ricevere informazioni dai familiari e da terzi; parliamo di
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informazioni che specie nei casi in cui il paziente non è competente, possono essere utilizzate
per impostare la diagnosi e la terapia e per coinvolgere i familiari nel processo terapeutico.
In sintesi possiamo dire che:
il paziente adulto competente ha il diritto di essere informato, è l’unico titolare del
segreto;
ha pure il diritto di rinunciare a ricevere le informazioni relative al suo stato di salute;
rinuncia e richieste devono essere circoscritte e devono essere formalizzate attraverso
una dichiarazione scritta firmata e controfirmata;
l’obbligo al segreto vale in tutti casi in cui genitori chiedono informazioni circa la vita
sessuale dei loro figli età compresa tra i 14 e i 18 anni; è deontologicamente corretto
informare preliminarmente di ciò il minore tra i 12 e i 18;
in caso di pazienti interdetti la certificazione può essere rilasciata al tutore, in seguito
alla sua richiesta e previa informazione dell’interdetto, se in grado di recepirla;
in caso di richiesta orale o scritta da parte dell’amministratore di sostegno, queste
possono essere lasciato solo previo consenso del paziente.
La rivelazione può essere invece:
imposta dalla legge in seguito a denunce di pubblico ufficiale, richiesta di referti,
relazioni, perizie. Si tratta di un obbligo di legge, di un dovere, che molti casi si sostanzia
in una trasmissione di segreto professionale o d’ufficio;
richiesta dei genitori nell’interesse di un minore degli anni 18;
richiesta da tutore nell’interesse dell’interdetto;
disposta dal giudice in caso di testimonianza.
A questo proposito, salvaguardia del segreto professionale e del segreto d’ufficio; l’astenersi è
un diritto; il testimoniare non è un obbligo.
L’operatore è esonerato dal segreto, ed è addirittura obbligato alla segnalazione scritta in caso
di maltrattamenti o abusi di qualsiasi genere, specie, quando si è muniti di elementi sufficienti
per ritenere fondato l’abbandono, il ma trattamento, l’abuso o la violenza o quant’altro leda il
diritto alla salute.
Ma come comportarsi nel caso in cui tale segnalazione espone il proprio paziente (autore di
reati) a procedimento penale? A tal proposito alcune situazioni di più frequente riscontro sono:
1. 1 il paziente parla direttamente con il suo curante, ammettendo condotte illecite e lesive
in danno dei propri familiari o di altri minori e di soggetti deboli, chiedendo aiuto. Se
mancano i caratteri dell’urgenza, non si segna il caso all’autorità giudiziaria, si rispetta il
146
Mai si deve dimenticare che i provvedimenti del sanitario devono ottemperare non solo
obblighi contrattuali, ma anche di protezione e di tutela primaria del paziente che, quando si
affida sanitario, si Attende un intervento curativo e non poliziesco.
Premessa: i delitti perseguibili d’ufficio sono: delitti contro la vita; delitti contro l’incolumità
individuale; delitti contro l’incolumità pubblica; delitti sessuali nei casi previsti; delitto di aborto;
delitto contro la libertà; delitto contro la famiglia.
La rivelazione è imposta dalla legge quando viene richiesta la presentazione di referti, rapporti,
relazioni, consulenze e perizie.
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148
Il consenso informato
Cosa si intende per consenso?
Per consenso si intende un atto giuridico, il permesso con cui qualcuno conferisce a qualcun
altro il potere di agire a tutela e difesa dei suoi interessi.
Il consenso è giuridicamente rilevante soltanto se valido è, per essere tale, deve essere dato da
persona che:
• Dispone di tale diritto;
• È legittimata a consentire;
• Ha la capacità ed è libero di agire.
• È informata e consapevole del significato e delle conseguenze sia positive e
negative di quello specifico atto che su di lei verrà compiuto; di conseguenza,
ha manifestato validamente il suo consenso; non lo ha revocato e non è stato
condizionata e consentire.
Il codice deontologico degli psicologi italiani, in merito al consenso informato afferma che: lo
psicologo, nella fase iniziale del rapporto professionale, fornisce all’individuo, gruppo,
l’istituzione o alla comunità, informazioni adeguate e comprensibili circa le sue prestazioni, le
finalità e le modalità delle stesse, nonché il grado i limiti giuridici della riservatezza. Pertanto
opera in modo che chi ne ha diritto possa esprimere un consenso informato. Se la prestazione
professionale a carattere di continuità nel tempo, dovrei esserne indicata, la prevedibile durata.
Un intervento nel campo della salute non può essere effettuato se non dopo che la persona
interessata abbia dato consenso libero e informato. Inoltre la persona interessata può in
qualsiasi momento, liberamente ritirare il proprio consenso.
In ogni caso, il consenso è l’ultimo di una sequenza di cui passaggi obbligati sono:
l’informazione, la comprensione, la scelta, la restituzione. Inoltre la dottrina medico-legale ha
più volte ribadito che il consenso deve essere personale, libero, consapevole, manifesto,
partecipe e revocabile. Il paziente competente è l’unico soggetto legittimato a consentire
trattamenti che incidono sul proprio corpo o sulla propria qualità di vita; quindi il consenso
espresso da un terzo al posto del titolare del diritto non è mai valido.
Informazione:
Informare significa dire qualche cosa, rendere consapevole qualcuno di un fatto, di un
processo, di un intervento.
L’informazione si distingue in generica e specifica.
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Info generica:
Il sanitario informa quando si presenta e si identifica; quando chiarisce la sua funzione, i
contenuti e gli obiettivi che sono propri del suo lavoro terapeutico; quando spiega che il suo
intervento è un’offerta d’aiuto, una possibilità di lavorare insieme. A tal fine, non deve parlare
di futuri grandiosi o di falsi obiettivi o di guarigioni miracolose, ma semplicemente presentarsi
come una persona che possiede una competenza specifica, frutto di un tirocinio formativo,
disposta a lavorare qui e ora con il suo paziente.
Info specifica:
Consiste nella comunicazione della diagnosi, delle prospettive terapeutiche, delle conseguenze
anche negative della terapia o della mancata terapia e della prognosi. Spiega L’ Inquadramento
diagnostico, parla dei tempi, modi, contenuti, aspetti positivi e negativi dell’intervento; delle
conseguenze del non intervento o anche solo dell’invio stesso. Sono tutti messaggi
unidirezionali, che partono dall’operatore e vanno al destinatario, senz’altro scopo che quello
di informare.
Non bisogna dimenticare che il paziente può anche non comprendere bene ciò che gli viene
riferito, seconda delle condizioni psichiche del soggetto presente nel momento in cui si decide
il se, come e quando fare. In generale, una distorsione della comprensione può dipendere, oltre
che da disturbi mentali in atto e indipendentemente dal tipo del contenuto dell’informazione
data, dalle condizioni psicologiche del paziente nel momento in cui è informato. Infatti la
risposta che il paziente può dare può dipendere da diversi fattori: dal trovarsi di fronte al primo
incontro con un sanitario, dal dover o meno affrontare una patologia seria; varia con il variare
dell’età, del sesso, dello stato sociale, del livello culturale di base.
Comunicare:
Comunicare diverso dall’informare in quanto comunicare significa, informare
compartecipazione, buona empatia.
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Tali situazioni vengono prese in considerazione quando la persona va incontro ad uno stato di
impossibilità di esprimere la propria volontà e il paziente non è più competente.
Ma l’attuale codice di deontologia medica, prevede che:
il medico non abbandoni il paziente con prognosi infausta o con definitiva
compromissione dello stato di coscienza, ma continua ad assisterlo; e se in condizioni
terminali impronta la propria opera alla sedazione del dolore e al sollievo della
sofferenza tutelando la dignità e la qualità della vita. Il medico, in caso di definitiva
compromissione dello stato di coscienza del paziente, prosegue la terapia del dolore e
nelle cure palliative, attuando trattamenti di sostegno delle funzioni vitali finché ritenuti
proporzionati, ma tenendo conto delle dichiarazioni anticipate di trattamento.
Accanimento terapeutico e eutanasia sono due aspetti che esulano dal corretto operare del
sanitario. Il medico, anche su richiesta del paziente, non deve effettuare nè favorire atti
finalizzati a provocarne la morte.
Si definisce accanimento terapeutico un trattamento ritenuto palesemente inefficace in
relazione all’obiettivo, a cui si aggiunge la presenza di un rischio elevato per il paziente di
ulteriori sofferenze, ma che viene ugualmente proposto dal medico.
Tali sono quei trattamenti inutili, sproporzionati, violentemente imposti al paziente solo per
mantenerlo artificialmente in vita senza alcun altro vantaggio.
Per eutanasia si intende un comportamento attivo da parte di un soggetto finalizzato a
provocare la morte indolore di un altro soggetto, assecondando la sua volontà espressa e
consapevole, Per liberarlo, in occasione di una malattia irreversibile, da insopportabili
sofferenze o per aiutarlo a porre fine a una vita ritenuta non più dignitosa.
Il suicidio assistito consiste nell’azione direttamente a messo in atto dal paziente con
l’assistenza del sanitario. In Italia, sia L eutanasia attiva che il suicidio assistito sono pratiche
vietate dalla legge.
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