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Trattato di psichiatria forense

Criminologia - Criminologia Generale  ( Università degli Studi di Bari Aldo Moro)

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Introduzione
La psichiatria forense formula un giudizio diagnostico-valutativo e prognostico. Essa ha come
destinatari minori e adulti: vittime, testimoni, imputati e condannati; e consiste nello stabilire le
condizioni di mente della persona in riferimento ad una determinata specie di reato (commesso o
subito) e ad un preciso momento del suo iter giudiziario. Tale processo valutativo viene affidato
allo psichiatra forense.
Nel mondo, se e quando delle regole vengono infrante, possono intervenire, se interpellati, periti e
consulenti per fornire i loro contributi specifici in risposta a quei quesiti posti da diversi operatori
del diritto.
Nell’ambito della psichiatria forense ampiamente intesa, sono da collocare:
• una psichiatria giudiziaria e penitenziaria, che deve occuparsi degli aspetti diagnostici e
terapeutici inerenti l’autore del reato affetto da disturbi mentali, durante la fase della cognizione e
durante quella dell’esecuzione;
• una psichiatria medico-legale, che si occupa dei problemi relativi alle conoscenze e
all’applicazione delle norme deontologiche e, infine, alla responsabilità degli operatori della salute
mentale, dei periti e dei consulenti tecnici.
In tutti gli ambiti trova una sua collocazione pertinente, lo psicologo forense o giudiziario.
Il suo intervento può essere:
- sussidiario: per svolgere accertamenti psichiatrici sull’autore del reato;
- complementare: per valutare la capacità decisionale di un soggetto affetto da disturbo
mentale;
- preminente: in ambito vittimologico; in tema di minore, di affidamento, di adozione.
Questa figura professionale deve aver seguito un training specifico e aver imparato ad applicare le
sue conoscenze in ambito psicodinamico e Psicodiagnostico ai molteplici e specifici problemi della
valutazione forense.
È necessario che affondi le proprie conoscenze in tre grandi contenitori: uno culturale, uno
metodologico e uno giuridico.
La perizia è un esame ad opera di un esperto riconosciuto e qualificato, diretto alla convalida di
una valutazione specifica.

a) TIPOLOGIA Chi dispone perizia?


1) Nella fase di cognizione, le indagini del perito che si possono disporre secondo codice di
procedura penale sono essenzialmente di tre tipi e cioè:
- la consulenza tecnica è disposta dal pubblico ministero (art. 359 del c.p.p.) o in presenza delle
parti (art. 360 c.p.p.)
- perizia d’ufficio disposta dal GIP (nell’ambito di un incidente probatorio (art. 392 c.p.p.), nel
contesto del quale i risultati della stessa potranno acquisire valore di prova ai fini del successivo
dibattimento (art. 220 c.p.p.) in presenza delle parti.
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- perizia d’ufficio disposta dal giudice dibattimentale


L’incarico viene comunicato al perito in modo formale con notifica e nello stesso sono indicati
data, ora e luogo del conferimento, unitamente agli estremi del procedimento (numero
classificatorio, giudice, parti, ecc.). Di solito il giudice contatta prima il consulente per concordare
data ed ora, ma non è obbligato. La presentazione alla convocazione è obbligatoria e l’eventuale
assenza deve essere comunicata in modo formale.

2) Nella fase di esecuzione gli accertamenti disposti dal magistrato sono di un solo tipo e sono volti
a stabilire:
- presenza e persistenza di pericolosità sociale psichiatrica
- le condizioni di mente attuali del condannato ai fini della compatibilità con l’esecuzione della
pena o della misura di sicurezza psichiatrica
-le condizioni di mente dell’internato in vista della concessione di misure alternative
all’internamento.

b) CONTENUTI E FINI
Nella fase di cognizione lo scopo di questa varia a seconda del destinatario dell’accertamento
peritale. Se si tratta di autore del reato, i quesiti sono finalizzati a stabilire:
• L’eventuale esistenza di un vizio totale o parziale di mente dell’indagato o dell’imputato al
momento del fatto.
• la maturità o meno del minorenne infradiciottenne; nonché l’eventuale presenza di un vizio di
mente.
• le condizioni di mente dell’autore di reato durante la fase delle indagini preliminari, fino al rinvio
a giudizio durante il dibattimento.
• in tutti casi, la presenza e la persistenza di pericolosità sociale psichiatrica.
Se si tratta di vittima di reato, l’accertamento psichiatrico è finalizzato ad accertare:
• le condizioni di inferiorità psichica dei soggetti che hanno subito reati sessuali.
• l’eventuale presenza di danni psichici sopravvenuti nelle vittime di maltrattamenti e di violenze
sessuali.
Nei confronti di un testimone, la prestazione forense si prefigge di stabilire:
• idoneità a testimoniare, e nel caso in cui il testimone fosse minorenne, il magistrato può
avvalersi di un esperto in psicologia infantile.
Nella fase di esecuzione il perito deve:
• valutare le condizioni di mente del condannato o dell’internato..

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• valutare la presenza e persistenza di pericolosità sociale psichiatrica dell’autore di reato al


momento dell’applicazione della misura stessa e successivamente, al fine della sostituzione o della
prosecuzione della stessa.
In ogni caso compito peritale è:
• obbedire al diritto.
• analizzare gli aspetti oggettivi di comportamenti infatti aventi rilevanza giuridica e conferire ad
essi dei significati e utilizzando referti teorici e metodologia appropriate.

In ambito civile andrà a valutare fattispecie diverse,come:


- Capacità di agire,
- Idoneità genitoriale,
- Capacità lavorativa,
- Danno biologico- psicologico

ATTO PERITALE
Emissione da parte del perito di un parere tecnico motivato rispetto ad un caso specifico, che
viene confrontato con la fattispecie normativa attinente allo stesso.

I momenti della perizia:


Nella struttura dell’attuale processo penale l’attività psichiatrico-forense relativa all’indagato o
all’imputato può venire esercitata nei seguenti momenti.

al) Accertamenti tecnici ripetibili:


Svolti autonomamente dal pubblico ministero o dalle parti private nella fase delle indagini
preliminari, attraverso la nomina di propri consulenti tecnici.
Art. 359 c.p.p. Consulenti tecnici del pubblico ministero
«1. Il pubblico ministero, quando procede ad accertamenti, rilievi segnaletici, descrittivi o
fotografici e ad ogni altra operazione tecnica per cui sono necessarie specifiche competenze, può
nominare e avvalersi di consulenti, che non possono rifiutare la loro opera.”

a2) Accertamenti tecnici non ripetibili - art. 360 c.p.p


Quando gli accertamenti previsti dall’art. 359 riguardano persone, cose o luoghi il cui stato è
soggetto a modificazione, il pubblico ministero avvisa, senza ritardo, la persona sottoposta alle
indagini, la persona offesa dal reato e i difensori del giorno, dell’ora e del luogo fissati per il
conferimento dell’incarico e della facoltà di nominare consulenti tecnici.
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b) Accertamenti richiesti dalle parti e disposti, attraverso l’incidente probatorio, nella


fase delle indagini preliminari, dal giudice per le indagini preliminari. Art 392 c.p.p

c) Accertamenti disposti nel battimento. Art. 508 c.p.p.


Che si tratti di consulenze di parte o di perizie d’ufficio, tutti questi accertamenti vengono discussi
in contraddittorio, sotto forma di esame diretto e di controesame davanti al giudice delle indagini
preliminari o davanti al giudice del dibattimento. Periti e consulenti vengono esaminati come
testimoni.

Periti e consulenti sono esaminati come i testimoni?


Art. 501 c.p.p. Esame dei periti e dei consulenti tecnici
«1. Per l’esame dei periti e dei consulenti tecnici si osservano le disposizioni sull’esame dei
testimoni, in quanto applicabili.
2. Il perito e il consulente tecnico hanno in ogni caso facoltà di consultare documenti, note scritte
e pubblicazioni, che possono essere acquisite anche di ufficio».
In particolare, nel giudizio ordinario non è la consulenza tecnica a costituire prova, ma sono le
dichiarazioni rese dal consulente tecnico nel corso dell’esame dibattimentale, ossia nel
contraddittorio tra le parti, cui segue, l’acquisizione di eventuali relazioni scritte.
Non risolto è il problema se il consulente tecnico del pubblico ministero sia o meno sempre
assimilabile al testimone. Secondo la giurisprudenza dominante, il perito e i consulenti tecnici
sentiti in dibattimento hanno la veste di testimoni, tuttavia la deposizione dibattimentale si integra
con la relazione che ne forma parte integrante. Deve essere inoltre evidenziato che perito e
consulenti tecnici sono chiamati a formulare un parere tecnico rispetto al quale il giudice può
discostarsi, purché argomenti la propria diversa opinione.
Ad oggi la giurisprudenza maggioritaria ritiene che il consulente del pubblico ministero è chiamato
a collaborare con la giustizia in veste di persona informata sui fatti rilevanti per la decisione. Ha il
dovere di obiettività e imparzialità e non può esimersi dal dire la verità. (falsa testimonianza?)
Inoltre:

Chi non può essere chiamato come perito?

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Art. 222 Incapacità e incompatibilità del perito


«1. Non può prestare ufficio di perito, a pena di nullità:
a) il minorenne, l’interdetto, l’inabilitato e chi è affetto da infermità di mente;
b) chi è interdetto anche temporaneamente dai pubblici uffici ovvero è interdetto o sospeso
dall’esercizio di una professione o di un’arte;
c) chi è sottoposto a misure di sicurezza personali o a misure di prevenzione;
d) chi non può essere assunto come testimone o ha facoltà di astenersi dal testimoniare o chi è
chiamato a prestare ufficio di testimone o di interprete;
è) chi è stato nominato consulente tecnico nello stesso procedimento o in un procedimento
connesso».

Art. 225 Nomina del consulente tecnico


«1. Disposta la perizia, il pubblico ministero e le parti hanno facoltà di nominare propri consulenti
tecnici in numero non superiore, per ciascuna parte, a quello dei periti.”

Quando è ammessa perizia ?


La normativa che concerne l’attività peritale è regolata nel libro III {Prove), titolo II {Mezzi di
prova), capo VI, artt. 220-233 c.p.p.
Precisa l’art. 220 Oggetto della perizia:
«1. La perizia è ammessa quando occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che
richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche.

Quando non è ammessa perizia?


2. non sono ammesse perizie per stabilire l’abitualità o la professionalità nel reato, la tendenza a
delinquere, il carattere e la personalità dell’imputato e in genere le qualità psichiche indipendenti
da cause patologiche».

Quindi cos’è la perizia?


«Uno strumento tecnico per l’interpretazione e la soluzione di tutti i problemi e le questioni che richiedono
specifiche competenze tecniche, scientifiche e artistiche» .

In altre parole, la perizia/consulenza psichiatrica consiste in un accertamento tecnico volto a


formulare un giudizio fondamentalmente diagnostico- valutativo finalizzato a rispondere a specifici
quesiti che esamineremo nelle diverse parti di questo Trattato. Esso ha come destinatari minori e

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adulti, che siano stati autori di reato, vittime, testimoni, imputati, condannati e internati. Tale
giudizio consiste nello stabilire le condizioni di mente della persona (attiva o passiva) in
riferimento ad una determinata fattispecie di reato (commesso o subito) e ad un preciso momento
del suo iter giudiziario, «in ogni stato e grado del procedimento».

Come viene scelto il perito?


Il giudice sceglie il perito «tra gli iscritti negli appositi albi o tra persone fomite di particolare
competenza nella specifica disciplina», ma nella prassi non avviene sempre così, nel senso che il
giudice può decidere di nominare perito una persona di cui si fida e che ritiene competente per la
valutazione richiesta, decidendo in maniera del tutto autonoma, purché non ci siano motivi di
astensione o di ricusazione del perito.
In particolare, essendo la perizia psichiatrica (come qualsiasi altra perizia o consulenza) un atto
non semplicemente diagnostico, bensì fondamentalmente valutativo, è chiaro che - a mio avviso-
competente nel redigere il parere richiesto non necessariamente deve essere uno psichiatra, ma
può trattarsi anche di altro “esperto” (a esempio uno psicologo), purché entrambi fomiti di solida
e accertata specifica formazione forense. Tra l’altro, nulla vieta che il giudice autorizzi o l’uno o
l’altro ad avvalersi di un ausiliare, rispettivamente psicologo o psichiatra per la parte di sua
competenza o addirittura li nomini in collegio (= perizia collegiale).

Cosa succede quando viene nominato il perito?


art. 221 c.p.p., nomina del perito
Il giorno fissato per il conferimento dell’incarico peritale, alla presenza del pubblico ministero e dei
difensori delle parti, chiede al perito (o ai periti) di declinare le proprie generalità; accerta che non
ricorrano cause di incompatibilità o incapacità del o dei periti, lo avverte degli obblighi e delle
responsabilità previste dalla legge penale; lo invita quindi a rendere la seguente dichiarazione
sostitutiva del giuramento di rito.
In concomitanza con la nomina del CTU le parti ai sensi dell’art. 2010 c.p.c. possono nominare i
CTP che hanno facoltà di assistere alle operazioni peritali e che possono partecipare all’udienza
ogni volta vi sia convocato il CTU al fine di garantire la corretta tutela dei diritti del proprio assistito
e di contribuire all’opera di accertamento della verità che ha motivato la disposizione della stessa
CTU.
Il CTP può partecipare attivamente alle indagini e può depositare un proprio elaborato scritto
contenente le deduzioni e le eventuali critiche desunte dagli accertamenti svolti, sotto forma di
nota preliminare da consegnare al CTU prima delle conclusioni peritali o come nota di replica
all’elaborato peritale.
IL CTP HA UNA SPECIFICA FUNZIONE DI CONTROLLO SULLA CORRETTEZZA METODOLOGICA,
SCIENTIFICA E PROCEDURALE DEL LAVORO DEL CTU, DIRETTA A GRANTIRE L’ADEMPIMENTO
DELL’INTERESSE DELLA PARTE IN CAUSA, IN MODO NON MOLTO DISSIMILE DALL’AVVOCATO

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Cosa prevede il giuramento? A quali provvedimenti può andare incontro il perito


se lo viola?
In sede di incarico, dopo l’identificazione di generalità e competenze del perito si richiede allo
stesso l’effettuazione del giuramento o di una dichiarazione di impegno.
“Consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo nello svolgimento dell’incarico,
mi impegno ad adempiere al mio ufficio senz’altro scopo che quello di far conoscere la verità e
mantenere il segreto su tutte le operazioni peritali”. Art. 226 c.p.p
Questa responsabilizzazione formale sottende una prospettiva di sanzione per l’eventuale
violazione dei termini dell’incarico e delle incombenze ad esso correlate.
Il perito debba far conoscere la verità e mantenere il segreto su tutte le operazioni peritali (art.
226, 1° co., c.p.p.), e che possa utilizzare solo ai fini dell’accertamento peritale le notizie chieste
all’imputato, alla parte offesa o ad altre persone.
La violazione di questi obblighi è sanzionata rispettivamente dagli artt. 372 c.p. (falsa
testimonianza) e 373 c.p. (falsa perizia o interpretazione), e 326 c.p. (rivelazione ed utilizzazione di
segreti d’ufficio). In altre parole, è raccomandata la massima riservatezza circa i dati acquisiti.
Questo obbligo riguarda anche ogni tipo di comunicazione con i familiari, con i curanti e con quanti
altri i periti consultino per ricavare notizie utili alla ricostruzione della storia clinica del periziando. I
periti possono ricevere informazioni, ma non trasmetterne, essendo loro obbligo custodire e
garantire la relazione con il committente.

Cos’è la verità clinica?


Per quanto concerne l’obbligo di dire la verità, si ricordi che non si tratta certamente né di verità
storica, né di verità processuale: bensì di verità clinica. Per tale intendiamo l’insieme degli
elementi anamnestici, clinici e di sussidio diagnostico necessari per rispondere ai quesiti posti dal
magistrato. Essi soli costituiscono «oggetto e fondamento» della perizia psicologica e di quella
psichiatrica, ed essi soli possono essere utilizzati per la valutazione forense.

Quali i criteri per disporre una perizia psichiatrica?


Alcuni sono di tipo obiettivo, altri di tipo soggettivo.
Tra i primi:
- innanzi tutto la notizia diretta o indiretta della presenza di disturbi mentali nell’autore o nella
vittima, la cui possibile incidenza sul fatto reato deve essere accertata;
- la presenza di un quadro di scompenso psichico in atto, che faccia parte o meno di una storia
psichiatrica;

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- il verificarsi di uno scompenso durante la custodia cautelare o l’esecuzione di una condanna o


l’applicazione di una misura di sicurezza non psichiatrica;
- l’incongruenza e la bizzarria del comportamento oggetto di indagine.
Tra i secondi:
- la gravità e l’efferatezza del delitto e/o la reazione sociale da esso suscitata;
- l’appartenenza a una classe sociale che preconcetti e pregiudizi vogliono immune da condotte
criminali;

Cosa fa il perito?
Le attività del perito e dei consulenti tecnici sono così regolate:
Art. 228 c.p.p. Attività del perito
«1. Il perito procede alle operazioni necessarie per rispondere ai quesiti. A tal fine può essere
autorizzato dal giudice a prendere visione degli atti, dei documenti e delle cose prodotti dalle parti
dei quali la legge prevede l’acquisizione al fascicolo per il dibattimento.
2. Il perito può essere inoltre autorizzato ad assistere all’esame delle parti e all'assunzione di prove
nonché a servirsi di ausiliari di sua fiducia per lo svolgimento di attività materiali non implicanti
apprezzamenti e valutazioni.
3. Qualora, ai fini dello svolgimento dell’incarico, il perito chieda notizie all’imputato, alla persona
offesa o ad altre persone, gli elementi in tal modo acquisiti possono essere utilizzati solo ai fini
dell’accertamento peritale.
4. Quando le operazioni peritali si svolgono senza la presenza del giudice e sorgono questioni
relative ai poteri del perito e ai limiti dell’incarico, la decisione è rimessa al giudice, senza che ciò
importi la sospensione delle operazioni stesse».
Art. 230 c.p.p. Attività dei consulenti tecnici
«1. I consulenti tecnici possono assistere al conferimento dell’incarico al perito e presentare al
giudice richieste, osservazioni e riserve, delle quali è fatta menzione nel verbale.
2. Essi possono partecipare alle operazioni peritali, proponendo al perito specifiche indagini e
formulando osservazioni e riserve, delle quali deve darsi atto nella relazione.
3. Se sono nominati dopo l’esaurimento delle operazioni peritali, i consulenti tecnici possono
esaminare le relazioni e richiedere al giudice di essere autorizzati a esaminare la persona, la cosa e
il luogo oggetto della perizia.
4. La nomina dei consulenti tecnici e lo svolgimento della loro attività non può ritardare
l’esecuzione della perizia e il compimento delle altre attività processuali».

Quali sono i tempi della perizia?

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Si procede quindi alla definizione dei termini temporali della durata delle indagini peritali che a
secondo della tipologia processuale (in ambito penale anche tempi ristretti di 5 o 10 giorni), spesso
60 o 90, più ampi in ambito civile, soprattutto minorile.
Concluse le formalità del conferimento, il procedimento rituale sarà quello del parere orale (art.
227 c.p.p.). È ammessa la presentazione di relazione scritta. Essa, però, secondo il legislatore,
riveste carattere di eccezionalità (art. 227, 5° co., c.p.p.) e la sua lettura (intesa come utilizzabilità
ai fini della decisione) può essere disposta solo dopo l’esame (orale) del perito (art. 511 c.p.p.).
Il consulente tecnico e il perito sono tenuti - qualora richiesti anche dalle parti, oltreché dall’ufficio
- a presenziare all’udienza preliminare o al dibattimento e talvolta ad entrambe per esporre a voce
le conclusioni cui sono pervenuti.
Art. 227 c.p.p. Relazione peritale. Risponde ai quesiti con un parere raccolto in un verbale.
«Concluse le formalità di conferimento dell’incarico, il perito procede immediatamente ai
necessari accertamenti e risponde ai quesiti con parere raccolto nel verbale. 2. Se, per la
complessità dei quesiti, il perito non ritiene di poter dare immediata risposta, può chiedere un
termine al giudice. 3. Quando non ritiene di concedere il termine, il giudice provvede alla
sostituzione del perito; altrimenti fissa la data, non oltre novanta giorni, nella quale il perito stesso
dovrà rispondere ai quesiti e dispone perché ne venga data comunicazione alle parti e ai
consulenti tecnici. 4. Quando risultano necessari accertamenti di particolare complessità, il
termine può essere prorogato dal giudice, su richiesta motivata del perito, anche più volte per
periodi non superiori a trenta giorni. In ogni caso, il termine per la risposta ai quesiti, anche se
prorogato, non può superare i sei mesi. 5. Qualora sia indispensabile illustrare con note scritte il
parere, il perito può chiedere al giudice di essere autorizzato a presentare, nel termine stabilito a
norma dei commi 3 e 4, relazione scritta». I contenuti della relazione debbono rispondere a verità
e nel caso di sospetta volontaria alterazione il perito può essere denunciato per falso in perizia o
per abuso di ufficio a favore di una parte o per frode processuale.
Verità imposta al perito riguarda:
Fatti circostanziali attinenti allo svolgimento delle operazioni peritali
Obbligo di riferire al giudice la totalità delle informazioni e notizie delle quali sia venuto a
conoscenza,
Incompatibilità sopravvenute.
Verità clinica soggettività interpretativa perseguibile come potenzialmente falsa se si
distacca in modo abnorme dalle comuni prassi scientifiche.

Il perito può essere sostituito? Si.


Art. 231 c.p.p. Sostituzione del perito
«1. Il perito può essere sostituito se non fornisce il proprio parere nel termine fissato o se la
richiesta di proroga non è accolta ovvero se svolge negligentemente l’incarico affidatogli.
2. Il giudice, sentito il perito, provvede con ordinanza alla sua sostituzione, salvo che il ritardo o
l’inadempimento sia dipeso da cause a lui non imputabili.

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3. Il perito sostituito, dopo essere stato citato a comparire per discolparsi, può essere condannato
dal giudice al pagamento a favore della cassa delle ammende di una somma da lire trecentomila a
lire tre milioni.
4. Il perito è altresì sostituito quando è accolta la dichiarazione di astensione o di ricusazione.
5. Il perito sostituito deve mettere immediatamente a disposizione del giudice la documentazione
e i risultati delle operazioni peritali già compiute».

Liquidazione
I tempi che trascorrono dal decreto di liquidazione all’effettiva riscossione dei compensi e delle
spese sostenute sono molto variabili da sede a sede, ma in ogni caso molto lunghi per ragioni
burocratico-amministrative, che quasi mai dipendono dal magistrato. II termine consuetamente
concesso dal pubblico ministero o dal giudice del dibattimento è di 60 giorni.

Spese
Infine è bene sapere che tutte le spese che il perito o il consulente del pubblico ministero
sostengono non vengono rimborsate, se non sono state preventivamente autorizzate; l’uso del
mezzo aereo, in particolare, deve essere autorizzato contestualmente all’ordinanza di nomina;
l’uso del mezzo proprio viene autorizzato nel momento in cui viene formalizzato l’incarico peritale;
tutte le spese sostenute dopo aver consegnato la relazione scritta (ad esempio: citazione in
dibattimento per chiarimenti, magari in una città lontana dalla sede in cui essi risiedono) sono a
carico del perito o del consulente.
Per quanto si riferisce agli accertamenti psicologico-psichiatrici in persona di autori di reato in età
compresa tra i 14 e i 18 anni, essi possono essere compiuti senza precise formalità.

Infermità di mente e imputabilità.


Nei confronti dell’autore di reato, la perizia che viene richiesta nella fase di cognizione è solo ed
esclusivamente psichiatrica.
Partiamo dal presupposto che in Italia vige il principio secondo il quale: tutti gli autori di reato
sono imputabili (punibili) di fronte la legge, salvo prova contraria.
Quindi tutti sono punibili, a meno che non si portino alla luce situazioni che facciano emergere il
contrario. Queste situazioni (che fanno emergere il contrario) sono disciplinate dagli articoli che
vanno dall’88 al 98 del codice penale.
Attualmente nel nostro codice penale l’imputabilità dell’autore di reato è regolata dall’ art. 85 che
dice:
«Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se, al momento in cui
lo ha commesso, non era imputabile. E’ imputabile chi ha la capacità d’intendere e di volere».
Spiegazione per me: nessuno può essere punito se nel momento in cui ha commesso un reato, non
era in grado di intendere e di volere. Infatti è punibile chi ha la capacità di intendere e di volere.
Art. 88 c.p. Vizio totale di mente

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«Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di
mente da escludere la capacità d’intendere o di volere».
Spiegazione per me: non è punibile chi, nel momento in cui ha commesso reato, era per infermità
in uno stato mentale che esclude totalmente la capacità di intendere e di volere. Esenzione da
ogni pena.
Art. 89 c.p. Vizio parziale di mente
«Chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da
scemare grandemente, senza escluderla, la capacità d’intendere o di volere, risponde del reato
commesso; ma la pena è diminuita».
Spiegazione per me: la pena è ridotta per colui che nel momento in cui ha commesso il reato si
trovava in uno stato di infermità, destinato a scemare gradualmente, e che quindi ha escluso solo
temporaneamente la capacità di intendere e di volere. La pena è diminuita di un terzo.
In altre parole, tutti coloro che, compiuto il diciottesimo anno di età, commettono un reato, sono
imputabili, salvo prova contraria: che, cioè, si tratti di autori che - al momento del fatto per cui si
procede - si trovavano, per infermità, in tale stato di mente da escludere o scemare grandemente
la loro capacità d’intendere o di volere. Il soggetto viene punito solo dopo che è stata accertata la
sua responsabilità e la sua imputabilità (punibilità).

Cosa si intende per capacità di intendere e di volere? Generalmente si definisce la


capacità di intendere come l’idoneità che un soggetto - al momento del fatto - possedeva a
comprendere (non solo a capire, quindi) il valore e, quindi, il disvalore sociale di quell’azione. La
capacità di volere è il potere di controllo che un soggetto ha dei propri stimoli e impulsi ad agire.
Qualora fossero presenti entrambi le condizioni allora il soggetto è imputabile (punibile).

Quali sono le cause che compromettono la capacità di intendere o di volere?


Secondo la legge italiana, come abbiamo già detto, nessuno può essere punito per un reato se, nel
momento in cui lo ha commesso, esistevano cause che potevano compromettere gravemente o
annullare la sua capacità di intendere o di volere, cioè la sua imputabilità.
Ciò avviene:
- nei casi di intossicazione acuta da alcool o da stupefacenti derivata da caso fortuito o forza
maggiore (artt. 91 e 93 c.p.);
- nei casi in cui l’autore di reato è stato reso da altri incapace di intendere o di volere (art. 86 c.p.);
- quando, infine, si tratta di minore in età compresa tra i 14 e i 18 anni che, per immaturità, non
aveva ancora capacità d’intendere e di volere al momento del fatto (art. 98 c.p.).
A parte quest’ultima situazione in cui l’imputabilità del minore infradiciottenne è subordinata
all’accertamento della sua maturità psico-sociale (prima del compimento dei 14 anni esiste una
presunzione di incapacità, ex art. 97, nei primi tre casi l’incapacità deve sempre essere
riconducibile a un'infermità di mente, a sua volta produttiva di vizio totale o parziale.

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Quali sono i quesiti che vengono posti al perito e che costituiscono il punto di
partenza del perito?
Tre sono dunque i quesiti che, nella fase della cognizione, con il codice penale e di procedura
penale attualmente in vigore, possono essere posti al perito, con formulazioni che possono essere
molto diverse le une dalle altre:
 il primo si riferisce all’accertamento di un eventuale vizio di mente al momento dei fatti e
in riferimento agli stessi;
 il secondo alla presenza e persistenza di pericolosità sociale psichiatrica (= necessità di cura
e di controllo);
 il terzo riguarda le condizioni di mente attuali.

Pertanto il punto di partenza del perito è?


Che si tratti di consulenza tecnica (disposta dal pubblico ministero, ex artt. 359 e 360 c.p.p. o dalle parti
private) o di perizia d’ufficio (disposta dal G.I.P., ex art. 328 c.p.p. o dal giudice del dibattimento, ex art. 508
c.p.p.) essa ha come obiettivo primario quello di accertare l’eventuale esistenza di una infermità.
L’infermità Opportunamente «graduata», costituisce quel vizio di mente che esclude o scema grandemente
l’imputabilità dell’autore di reato, al momento del fatto.

(criterio n. 1 = il classificare). Criterio nosografico

Il primo ostacolo che deve essere affrontato nel confezionare un parere peritale in materia psichiatrica è
concordare su quali disturbi mentali possono costituire quell’infermità che si traduce in vizio di mente
(criterio n. 1 = il classificare). Si tratta di individuare la categoria in cui collocare convenzionalmente il
paziente. Però ancora una volta occorre ricordare che la giurisprudenza, a parte inevitabili eccezioni, tende
ad ancorare la nozione di infermità di mente ad un tipo di classificazione fondata su criteri clinici circoscritti
e delimitati.

(criterio n. 2 = l'attribuire). Criterio psicopatologico


Si passa così dal criterio nosografico a quello psicopatologico, (criterio n. 2 = / 'attribuire) e si
descrivono e si analizzano i disturbi psicopatologici in atto sotto il profilo sia qualitativo, sia
quantitativo.
E pertanto da ritenere inaccettabile il salto metodologico del perito che, avendo identificato un
disturbo mentale, attribuisce, per ciò stesso, valore di malattia all’atto-reato, stabilendo una
qualche analogia o corrispondenza tra presenza di quello e vizio di mente (criterio medico-
psichiatrico). Esistono infatti malati di mente in buona fase di remissione o di spegnimento della
malattia nei quali l’atto non è un equivalente psicopatologico, e, per contro, gravi nevrotici
scompensati (sintomatologia in fase florida) in cui il reato è connesso alla patologia conflittuale.

Cosa non costituisce infermità di mente?


Sotto il profilo strettamente nosografico, convenzionalmente possono venire esclusi dalla nozione
di infermità di mente

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- i tratti e i disturbi della personalità che si costituiscono in quadri di stato, in modi di essere della
persona (alcuni esempi: disabilità intellettive di grado medio-lieve; psicopatie, stili nevrotici e
perversioni, attualmente riclassificati come disturbi di personalità, disturbi da sostanze psicoattive,
parafìlie; o come sindromi e disturbi psichici e comportamentali dovuti all’uso di sostanze
psicoattive; sindromi nevrotiche, legate a stress e somatoformi; disturbi della personalità e del
comportamento);
- i quadri psicopatologici in fase di remissione o di buona stabilizzazione (assenza di attività
psicopatologica);
- quelli di scarsa, controversa e vaga rappresentatività sintomatologica;

Cosa viene preso in considerazione per applicare gli articoli 88 e 89?


Possono venire presi in considerazione, come premessa per l’applicazione degli artt. 88 e 89 c.p., i
quadri in cui è in atto:
- un evidente scompenso patologico psichico (ad esempio: episodi psicotici acuti, anche noti come
disturbi psicotici acuti o sindromi psicotiche acute e transitorie);
- disturbi mentali organici (seri Disturbi dello sviluppo intellettivo e Disturbi neurocognitivi
maggiori)
- le c.d. infermità fìsiche, purché abbiano inciso in maniera evidente, rilevante e grave sul
funzionamento mentale dell’agente al momento e in riferimento al fatto reato;
- un disturbo grave di personalità in cui sono documentabili episodi di «scompensi» in senso
borderline o francamente psicotico.

«Valore di malattia»", o, meglio, «significato di infermità» deve essere riconosciuto solo a quei
reati che equivalgono a un sintomo psicopatologico individuato nei quadri clinici di cui si è detto
sopra e scompensato sul piano funzionale.
Da un punto di vista nosografico, si fa fondamentalmente riferimento ai severi disturbi dello
spettro psicotico e ai disturbi gravi di personalità, la cui consistenza, intensità, e rilevanza
psicopatologico clinica e funzionale, ai fini dell’applicazione degli articoli 88 e 89 c. p., deve però
essere tale da aver concretamente inciso sulla capacità di intendere o di volere del soggetto
agente.
Senza questa restrizione interpretativa della nozione di infermità, quasi tutti i soggetti affetti ad
esempio da «disturbi di personalità» avrebbero «diritto» al riconoscimento di un vizio di mente,
essendo il comportamento abnorme parte integrante della nozione stessa di personalità abnorme.
Analogamente, per i comportamenti nevrotici e quelli perversi, quando non costituiscano altro che
uno «stile di vita». Non solo, ma si potrebbe tradurre - sic et simpliciter - in vizio di mente un

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disturbo psicotico, solo perché diagnosticato come tale. Invece è fondamentale stabilire una
correlazione significativa tra funzionamento mentale patologico e reato commesso.
Premesso che il disturbo patologico psichico deve avere in ogni caso compromesso le categorie
giuridiche dell’imputabilità, una soluzione condivisibile potrebbe essere quella di:
A: attribuire il vizio totale di mente solo a quei soggetti nei quali è obiettivabile, al momento del
fatto, una compromissione patologica grave del loro funzionamento mentale e il comportamento
può avere caratteristiche di disorganizzazione, bizzarria, assenza di progettazione e di
pianificazione.Anche se non è sempre così, è ragionevole pensare che, in caso di vizio di mente, un
disturbo mentale possa produrre un disordine comportamentale che precede, accompagna e
segue il reato di gravità diversa, a seconda dell’entità e della quantità di compromissione delle
singole funzioni psichiche, delle condizioni di acuzie o di cronicità; di produzione o di spegnimento
della sintomatologia psicopatologica; di età; di somministrazione o meno di terapie
psicofarmacologiche e psicoterapeutiche; dell’eventuale presenza o meno di alterazioni morfo
funzionali (ipoattività) a carico dei lobi frontali, dell’ippocampo e dell’amigdala. Più aree funzionali
dell’Io saranno investite dal disturbo patologico psichico, più ampia ed evidente sarà la
compromissione comportamentale.
B: destinare la nozione di vizio parziale di mente ad altro trattamento giudiziario.
Diventa comunque fondamentale la conoscenza del soggetto agente, nella misura in cui nell’atto
delinquenziale egli generalmente ha lasciato la firma o tracce personali significative (il modus
operandi), specie quando l’agito criminale si colloca in un continuum rispetto alle caratteristiche
della personalità dell’autore di reato (lo “stile di vita”, nella normalità e nella patologia è unitario)
ricavabili dalla sua storia di vita, per cui l’atto delinquenziale non può essere separato da un suo
modo abituale di essere nel mondo e con gli altri.In ogni caso, l’agito deve essere espressione di
uno scompenso psicopatologico che irrompe nella vita del soggetto e ne interrompe brutalmente
la trama (il quid novi o il quid pluris).

Cosa succede al momento dell’incarico?


Al momento dell’incarico il perito deve indicare:
Data e luogo dell’inizio dell’indagine peritale;
Richiesta di autorizzazioni necessarie
Copia cartella clinica carceraria em di atti rilevanti;
Uso mezzo proprio;
Uso aereo ed altro per spostamenti;
Eventuali pernottamenti;
Uso di ausiliari o indagini tecniche strumentali;

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Autorizzazioni per collaboratori;


Autorizzazioni per registrazioni;
Uso di pc portatili in ambiente carcerario.
Acquisire il fascicolo processuale
Rispettando i termini con eventuale proroghe autorizzate il perito deposita la sua relazione,
facendone copia per le parti, in cancelleria in modo formale con tutti gli allegati: tests mentali,
certificazioni acquisite, note deli CTP, registrazioni delle sedute se effettuate.

Quali sono le dimensioni di una perizia?


Dimensione clinica:

Partiamo dal presupposto che il ragionamento forense si differenzia sostanzialmente da quello


clinico: quello clinico è finalizzato alla cura di un paziente, quello forense alla valutazione di uno
stato di mente di un periziando. Ne consegue che non si devono confondere: Il processo con la
terapia, il colloquio clinico con quello peritale, funzioni di terapeuta con quella di valutatore, il
segreto professionale con il segreto d’ufficio; la verità processuale con quella clinica.

Dimensione giuridica:

In ambito penale il perito deve adempiere il proprio ufficio senz’altro scopo che quello di far
conoscere la verità e di mantenere il segreto su tutte le operazioni peritali.
Dimensione deontologica:
Il Perito Deve fungere da contenitore che tutela il periziando da intrusioni che violino il setting
peritale. Il perito ha il dovere di informare il periziando e di tutelare il segreto. Il periziando ha il
diritto di acconsentire o di dissentire. Il perito deve sempre riconoscere all’autore e alla vittima di
reato dignità di persone.

Come si svolge una perizia?


Lo svolgimento di una perizia prevede diversi passaggi. Questi sono:
1. Lettura degli atti (storia ed anamnesi giudiziaria e clinica attenta e dettagliata: ovvero serve
a conoscere il tipo di reato che è addebitato al periziando, o di cui è vittima o di cui è
testimone; serve a conoscere le varie dichiarazioni rese durante gli interrogatori
dall’indagato, dalla vittima o dal testimone; serve ad acquisire la documentazione clinica
psichiatrica relativa ai ricoveri del periziando; serve a conoscere la storia di vita del
periziando, storia personale e familiare. Sono importanti gli audio e i video specie se si
tratta di bambini minori abusati.)
2. Colloqui: almeno 2 per la perizia in tema di imputabilità o pericolosità sociale, molteplici
negli accertamenti in tema di affidamento familiare, molteplici ed ancora più attenti e

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codificati nei procedimenti sulla capacità testimoniale dei minori vittime di abuso. Talvolta
un solo colloquio ad esempio sulla compatibilità con la detenzione.
3. Indagini strumentali e testologiche concordate con i CTP in ogni momento.
4. Acquisizione dei pareri preliminari dei CTP e discussione critica degli stessi.
5. Stesura dell’elaborato
La perizia psichiatrica deve tradursi in un elaborato convincente, obiettivo, documentato, motivato
e comprensibile. Le regole che si devono seguire per rispondere ai quesiti posti dal magistrato,
trovano il loro primo momento unificante della diagnosi. Alcuni criteri da seguire potrebbero
essere:
1º criterio: Per motivi pratici, per avere un linguaggio comune, per trasferire al giudice i nostri
convincimenti, è utile concordare sulla necessità di una classificazione della patologia di mente che
deve essere lineare e comprensibile.
2º criterio: Impostare la classificazione su criteri restrittivi che siano rigorosi ed obiettivi.
3º criterio: Il termine di malattia è riservato solo ai disturbi psicotici, disturbi depressivi maggiori,
ai disturbi gravi di personalità, ai disturbi da dipendenza e complicate e ai disturbi neuro cognitivi.
4º criterio: Bisogna fare una differenza tra il fare una diagnosi categoriale e fare una diagnosi
funzionale.
5º criterio: nel conferire significato di infermità ad un’azione, si valuta il reato in rapporto ad un
sintomo o ad una sindrome psicopatologica. Non si fa non semplicistico riferimento a una
categoria diagnostica, ma ad un funzionamento patologico psichico correlato a quel sintomo e lo si
contestualizza.
Dopodiché:
Se si tratta di soggetto detenuto ricoverato o internato, previa autorizzazione del magistrato, il
perito si recherà nel luogo dove il periziando si trova. Se si tratta di carcere o manicomio criminale
o comunque un luogo fuori dalla sua città, e necessario che si faccia autorizzare l’uso di mezzi
propri per l’espletamento dell’incarico peritale. Altrimenti, le spese di viaggio non gli verranno
rimborsate.
Se si tratta di soggetto libertà, il perito lo convocherà il luogo idoneo e precisato nel verbale
d’incarico. Nel caso in cui il periziando rifiuti di presentarsi, il perito deve informare il magistrato, il
quale provvederà di conseguenza.
L’esame psichiatrico deve limitarsi ad una descrizione attenta, analitica e attuale delle singole
funzioni psichiche e della struttura di personalità del periziando. Deve essere privo di qualsiasi
valutazione o interpretazione. Esso prende successivamente in considerazione: orientamento e
stato di coscienza; atteggiamento mimico, gestuale e motorio; linguaggio; percezioni; memoria;
attenzione; pensiero; intelligenza; affettività; rapporto con la realtà e gli altri; istinti.
I passaggi successivi sono rappresentati:
 dall’inquadramento clinico
 dalla discussione psichiatrico forense
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 le risposte ai quesiti posti. È importante esplicitare da parte nostra il procedimento è il


metodo attraverso i quali si è pervenuti alle conclusioni per consentire agli altri di
controllare.

Accertamenti particolari
 In caso di perizia sulla vittima:
 Può essere necessario sentire anche i familiari o altre persone comunque in grado di
fornire informazioni utili alla ricostruzione del clima e del contesto culturale, sociale e
relazionale in cui si è inserita la vicenda processuale, specie quando si tratti di vittima
minorenne.

 In caso di perizia sugli atti:


 Problemi specifici possono sorgere quando venga disposta una perizia storica; quando cioè,
si tratta di stabilire le condizioni di mente di un defunto. Allora il lavoro dovrà essere svolto
sugli atti e la valutazione dovrà essere esperita su tre assi portanti:
1º dati clinici
2º dati documentali
3º dati testimoniali
I primi due sono affidabili, perché obiettivi. Relativamente al dato testimoniale si ricordi che
valutazioni di comportamenti e atteggiamenti fatte da non esperti o da non competenti in materia
o comunque da testimoni citati dalle parti, specie se raccolti a distanza di tempo, devono essere
considerate con estrema prudenza.
 In caso di perizia su una persona anziana vittima di reato: che sia portatrice o no di
patologia senile occorre:
1. allenarsi a cogliere i primi segni di affaticamento e di caduta del rendimento nel colloquio;
2. esaminare il periziando, visitandolo sia al mattino sia verso sera;
3. ridurre al minimo ogni forma di ufficialità, presentando l’ indagine con parole molto
semplici e chiare;
4. in linea di massima, recarsi a casa del periziando piuttosto che convocarlo in studio;
5. mantenere massima serenità;
6. stare molto attenti a non suggerire risposte e non sollecitare ricordi fittizi.

 L’ esame sul testimone richiede particolare attenzione.


Infatti la testimonianza, pur quando prende le mosse dalla percezione diretta dei fatti, e il risultato
dell’elaborazione di tale percezione e contiene sempre, un giudizio che ritenga di influenze
affettive, culturali e ambientali.

Di conseguenza occorre:

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 diffidare da parole o fatti che il soggetto non dovrebbe conoscere e che quindi potrebbero
essere frutto di suggerimento altrui o di apprendimento per fonti indirette;
 diffidare da deposizioni che è in condizioni di lucidità e di buon controllo emotivo, si
arricchiscono di particolari e di dettagli.

Tenere in considerazione che sulla testimonianza resa influiscono:

Le caratteristiche della personalità; l’età; la distanza temporale dell’evento traumatico; la carica


emotiva che l’ho accompagnato; i fattori socioculturali.

Sarebbe necessario pertanto:

Registrare; osservare; annotare la presenza o l’assenza di elementi contrastanti o contraddittori.

Indagini cliniche, di laboratorio e strumentali


Previa autorizzazione del magistrato, il perito può sottoporre il periziando a tutti gli esami clinici,
strumentali e di laboratorio che riterrà utili per assolvere il compito affidatogli.

1. Indagini cliniche
Queste possono riguardare la richiesta di collaborazione da parte di uno specialista in materia non
psichiatrica, per vari accertamenti. È il caso che più frequentemente si presenta in corso di perizia
psichiatrica è la necessità di somministrare reattivi mentali al periziando. Per tanto ci si riferisce
alla collaborazione di una psicologo. Ma è bene evitare complicazioni procedurali operando in
questo modo:

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• o il perito è espressamente autorizzato, nel momento in cui viene conferito l’incarico peritale, a
compiere tutti gli accertamenti che egli riterrà necessari ed opportuni e ad avvalersi della
collaborazione di quel determinato specialista per l’esecuzione di quel particolare tipo di esame
strumentale, ma la valutazione del quale rimane di sua esclusiva spettanza;
• oppure il perito, di volta in volta, man mano che si presenta la necessità, chiederà al magistrato
di essere autorizzato a sottoporre il periziando a quel particolare accertamento;
• Oppure può chiedere al magistrato di nominare quel determinato specialista quale suo
collaboratore; e questo è il caso in cui lo psicologo non si limita a leggere il materiale
psicodiagnostico raccolto, ma entra nel merito della valutazione psichiatrico forense. Di
conseguenza il magistrato deve provvedere con apposita ordinanza a conferire al nuovo perito
l’incarico. In questo caso, i risultati cui perviene il collaboratore saranno integrati nella relazione
peritale che, tutti gli effetti, diventerà una relazione di perizia collegiale.

2. Indagine di laboratorio
Molti esami di routine o di laboratorio possono venire richiesti in casa di alcolismo tossicomania;
diabete; traumi cranici; epilessie.
Parliamo di esami del sangue, delle urine, dell’HIV eccetera.

3. Esami strumentali
Tra gli esami strumentali possono essere utilizzati:
•l’elettroencefalogramma: registra l’attività bioelettrica cerebrale ed è un esame fondamentale
del leader dell’accertamento dell’epilessia.
• la Tac ( tomografia assiale computerizzata): fornisce un raffinato esame sullo stato delle strutture
cerebrali.
• PET (tomografia ad emissione di positroni); RM ( risonanza magnetica); fMRI ( risonanza
magnetica funzionale): sono strumenti in grado di offrire, ricorrendo a metodologie non invasive,
immagini funzionali del cervello. In particolare, consentono di misurare il consumo di glucosio e il
flusso ematico nelle diverse strutture cerebrali cortico-e sotto-corticali. Una regione cerebrale a
maggiore attività consuma più glucosio e ha un maggiore flusso ematico rispetto ad una regione in
cui neuroni presentano un’attività ridotta.

Un discorso a parte meritano:


• narcoanalisi, ipnoanalisi e lisergoanalisi.
Questi sono metodi di indagine diagnostica non utilizzati in psichiatria forense in quanto vi sono
limiti costituzionalmente imposti al giudice nel disporre di questi mezzi istruttori.
L’art 188 c.p.p disciplina che:

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“ Non possono essere utilizzati, neppure con il consenso della persona interessata, metodi e
tecniche idonei a influire sulla libertà di auto determinazione o ad alterare la capacità di ricordare
e di valutare i fatti.”
In merito a questi tre metodi è bene ricordare che non esiste alcun fondamento nel sostenere che
questi metodi possono far dire la verità al soggetto in esame. Non è possibile far dichiarare la
verità su fatti realmente accaduti o patiti se la persona sottoposta all’indagine non vuole dirla.
Queste tre tecniche favoriscono la disinibizione del soggetto, per cui è possibile che la persona,
sotto azione di ipnosi o farmaci, comunichi in tempi più rapidi determinati contenuti censurati o
repressi, ma anche recuperabili attraverso il colloquio clinico, purché di essere la persona voglia
parlare. Sono soprattutto la liberazione emotiva e la caduta di barriere difensive ciò che,
indipendentemente dai contenuti, si ottiene utilizzando questi metodi.

4. Tecniche di audio e video registrazione


Nell’autore di reato, nella vittima e nel testimone, le condizioni psichiche sono suscettibili di
modificazioni, tanto più quanto più violento, repentino e brutale, è stato il fatto reato. Infatti
hanno molta importanza le osservazioni fatte e le dichiarazioni “rese a caldo” e nell’immediatezza
del fatto delittuoso rispetto a quelle che vengono raccolte a distanza di tempo. In tutti questi casi,
nei limiti del possibile, le dichiarazioni devono al più presto essere a audio-video-registrate, in
quanto la memoria e le emozioni possono giocare brutti scherzi ma mano che ci si allontana dal
momento dell’evento e sulla testimonianza interferiscono negativamente fattori secondari che
possono modificare il ricordo. Questa è un’esigenza clinica, per ora non regolata da precise norme
giudiziarie. Per un perito è molto importante poter visionare la video registrazione dei primi
interrogatori, specie per tutto ciò che concerne il non verbale. Anche perché il perito può essere
che venga interpellato in un secondo momento. Generalmente le prime dichiarazioni vengono
raccolte da poliziotti o carabinieri e di conseguenza le prime trascrizioni risentono già della
manipolazione altrui.
Il ricorso alle audio o video registrazioni, garantisce al perito la possibilità di:
• capire cosa è stato detto e come il soggetto di espresso.
• poter esaminare in qualsiasi momento il contenuto degli incontri;
• conservare prova diretta di tutti gli interventi e delle procedure corrette e scorrette e messa in
atto dagli esperti;
• Poter escludere dubbi riserve su eventuali manipolazioni delle dichiarazioni raccolte.

I test mentali in ambito forense


Di utile complemento per un inquadramento diagnostico approfondito e completo è l’applicazione
di reattivi mentali. Essi rappresentano situazioni stimolo standardizzate e più o meno strutturate
che evocano nell’esaminando risposte verbali, mimiche e gestuali .

Convenzionalmente e praticamente i test di uso nella pratica clinica e forense si possono


distinguere in:

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 test di efficienza mentale;


 test di personalità;
 test neuropsicologici.
In linea generale, i test di efficienza mentale permettono di valutare il funzionamento cognitivo
globale e le singole funzioni psichiche di un individuo; i test di personalità invece esplorano la
personalità nella sua globalità oppure in qualche sua specifica dimensione. Il numero di test
mentali che trovano una effettiva, ampia, abituale utilizzazione nell’esame peritale non sia molto
elevato, anche se la tendenza è quella di produrne sempre di più: alcuni, sostengono, a causa della
enorme difformità e dispersività diagnostica; altri, e io tra quelli, per la mancanza di una seria
formazione clinica che tende a essere sostituita dalle batterie testologiche.
I test possono essere applicati dal perito stesso. Oppure egli può chiedere che il magistrato nomini
un esperto in psicologia clinica, secondo le modalità più sopra descritte. Essendo scorretto e
pericoloso e quindi da evitare giungere a una diagnosi clinica attraverso i test, sarà il perito, da
solo o in collegio, a valutarne i risultati e a collocarli in maniera pertinente nella discussione clinica
e psichiatrico-forense, di volta in volta decidendo, in accordo con lo psicologo, a quali ricorrere e
dare peso e il momento della loro somministrazione.
Reattivi di efficienza mentale
Sono i reattivi che misurano la funzione quantificabile del pensiero e cioè l’intelligenza, altrimenti
intesa come capacità che l’individuo possiede di comprendere, affrontare e risolvere in maniera
adeguata ed adattiva i problemi della vita (se non turbato da disturbi psichici): il comportamento
intelligente o intelligenza di condotta. Essa è una funzione dell 'intera personalità e non dipende
soltanto da fattori di tipo cognitivo. L’intelligenza, in quanto funzione misurabile del pensiero, è
espressa in un numero che prende nome di quoziente di intelligenza (Q.l.) e che si ricava dal
rapporto tra il punteggio ottenuto dall’esaminando e il punteggio medio di una popolazione
normale di pari età. Quindi:
Q.l. = Risultato ottenuto dell’esaminando -Risultato medio di una popolazione della medesima età
Per misurare il Q.l. si utilizzano l’adattamento italiano della scala di intelligenza W.A.l.S. {Wechsler
Adult Intelligence Scale, 1955; ed it. 1974) e il suo più recente aggiornamento (W.A.l.S.-R, 1981;
ed. it. 1997). Di quest’ultima, esiste anche una taratura per la popolazione italiana (1997).
Dal punto di vista clinico, la discrepanza tra la parte verbale e di performance può essere associata
a specifici tipi di patologia psichica, permettendo di descrivere meglio il tipo di intelligenza.
In particolare il Q.l. verbale è maggiore del Q.l. di performance nei pazienti con patologia organica
cerebrale, negli psicotici e nei nevrotici mentre il Q.l. di performance risulta maggiore del Q.l.
verbale negli adolescenti psicopatici e nei pazienti con deficit o ritardi mentali.
Q.I.V. > Q.I.P.
Depressione, Schizofrenia, Psicosi maniaco depressiva (disturbo bipolare), Demenze
Q.I.P. > Q.I.V
Comportamento deviante, Autismo, Dislessia, Ritardo mentale

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Storicamente un’altra operazione valutativa alle scale Wechsler per adulti è costituita dalla
quantificazione del Deterioramento mentale (D.M.), operazione che si colloca al fianco dell’analisi
del funzionamento cognitivo. Nella valutazione di un deterioramento mentale trova applicazione il
Mini Mental State Evaluation (M.M.S.E.). Tale strumento prevede una serie di domande che
riguardano l’orientamento temporale e spaziale, la memoria a breve termine e di fissazione,
l’attenzione e il calcolo, il linguaggio e le funzioni esecutive. L’applicazione è semplice e veloce (10
minuti). Un punteggio al M.M.S.E. pari a 23 è un punteggio già patologico indicativo di
compromissione cognitiva; particolare attenzione dovrà porsi anche ai punteggi c.d. «borderline»
tra 24 e 26, possibili indicatori di un iniziale deficit neuro cognitivo.
Oltre alle scale W.A.I.S., trovano una loro pertinente indicazione le Matrici progressive di Raven
(P.m. 47 e P.m. 38), i reattivi di memoria di Rey,i test di copiatura e di ripetizione a memoria di
disegni (tra questi, il test di ritenzione visiva di Benton), il test di Bender e altri.

Reattivi di personalità
Nello studio del settore profondo della personalità, particolare applicazione trova il test di
Rorschach. La letteratura specialistica, pur dibattendo sulla validità del metodo delle macchie di
Rorschach, conferma complessivamente come vi siano evidenti prove che il reattivo fornisca dati
utili e validi per quanto riguarda il funzionamento del pensiero (e in particolare il pensiero
psicotico e la qualità cognitiva globale), l’esame di realtà, il disagio affettivo e la capacità di
rappresentazione corretta di sé e degli altri nelle relazioni.
Il Rorschach è solitamente accettato in tal senso a livello intemazionale (pur talora con riferimento
metodologico al Sistema Comprensivo di Exner) e l’uso combinato con il M.M.P.I.-2 e con la
W.A.l.S.-R è ampiamente documentato e di grande interesse per una valutazione completa della
personalità patologica. In particolare, Rorschach e Minnesota trovano una loro pertinente
applicazione sinergica nell’ambito della diagnosi clinica e della valutazione forense dei disturbi di
personalità.
L’utilizzazione specifica del Rorschach può essere quella di:
- offrire utili elementi per risolvere problemi o dubbi diagnostici, molti soggetti patologici, in cui i
meccanismi di difesa, opportunamente mobilitati e rigidamente mantenuti, riescono a mascherare
in ambito di colloqui liberi e di obiettivazione diretta i sottostanti disturbi, «esplodono» quando
viene loro somministrato il test di Rorschach, e riversano nelle interpretazioni, ma soprattutto
nelle elaborazioni e verbalizzazioni, tutta la patologia di cui sono portatori!;
 dirimere i quesiti relativi alla simulazione di malattia mentale;
 portare utili elementi di approfondimento in tema di idoneità a rendere testimonianza;
 documentare, attraverso una obiettivazione più precisa rispetto al semplice approccio
clinico, il grado di destrutturazione o di deterioramento della personalità del periziando.
Nell’ambito della minore età, il test di Rorschach è uno strumento importante per studiare il
funzionamento e l'organizzazione di una personalità. Gli elementi più significanti ricavati in ambito
di indagine applicata a minori dissociali sono i seguenti:

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 pensiero mobile, poco maturo e poco differenziato, instabile nelle sue capacità di
attenzione e concentrazione;
 mancanza di spontaneità;
 carente integrazione e incapacità di stabilire e mantenere veri legami affettivi con il mondo
e gli altri; al contempo, impressionabilità e suggestibilità spiccate;
 tendenza a ripiegarsi su se stessi, a chiudersi, a difendersi di fronte all’ansia scatenata da
sentimenti di inadeguatezza, insufficienza e incapacità di fronte alla realtà e nei confronti
della propria identità psicosociale;
 scarso interesse per se stessi e per gli altri;
 assenza, nella stragrande maggioranza di casi, di segni che depongano per l’esistenza di
gravi e inemendabili disturbi della personalità.
Un altro test proiettivi della personalità è il T.A.T che appare molto indicato per studiare lo stile di
vita, il comportamento e il fine ultimo conseguito dal soggetto, adulto o minore che sia. E la
versione per bambini è chiamata C.A.T.

Poi possono essere utilizzati Test di disegno e questionari.

Pericolosità sociale psichiatrica


Cos’è la pericolosità sociale psichiatrica?

L’art. 203 c.p. Definisce, in maniera troppo generica, socialmente pericolosa la persona che, anche
se non punibile, ha commesso alcuni dei fatti indicati ed espressi nell’Art. 133. Con la probabiità
che commetta nuovi fatti previsti dalla legge come reato. Nell’art.133 si parla della gravità del
reato e della valutazione agli effetti della pena; la gravità del reato è desunta:

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 dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall’oggetto, dal tempo, dal luogo ed ogni altra
modalità dell’azione;
 dalla gravità del danno o del pericolo procurato alla persona offesa dal reato;
 dall’intensità del dolo o dal grado della colpa.
Il giudice deve tenere conto, della capacità a delinquere del colpevole, desunta da:
 i motivi a delinquere e dal carattere del reo;
 dai precedenti penali e giudiziari, in generale dalla condotta e dalla vita del reo.
Cosa comporta la pericolosità sociale? Cosa sono le misure di sicurezza?

La pericolosità sociale comporta l’applicazione delle misure di sicurezza che sono dei
provvedimenti con finalità terapeutiche rieducative e risocializzanti per le persone ritenute
socialmente pericolose.
L’Art. 202 c.p. Disciplina l’ applicabilità delle misure di sicurezza. Partiamo dal presupposto che le misure
di sicurezza possono essere applicate soltanto alle persone socialmente pericolose che abbiano
commesso un fatto preveduto dalla legge come reato.
Ma La legge penale determina anche i casi nei quali a persone socialmente pericolose possono
essere applicate misure sicurezza per un fatto non preveduto dalla legge come reato.
Art.206 c.p Applicazione provvisoria delle misure di sicurezza. Infatti: Durante il giudizio, può disporsi che
il minore di età, o l’infermo di mente, o l’ubriaco abituale, o la persona dedita all’uso di sostanze
stupefacenti, siano provvisoriamente ricoverati in un riformatorio o in un ospedale psichiatrico
giudiziario, o in una casa di cura e di custodia. Il giudice revoca l’ordine, quando ritiene che tali
persone non siano più socialmente pericolose.
Art. 207 Revoca della misura di sicurezza. Le misure di sicurezza non possono essere revocate se le
persone ad esse sottoposte non hanno cessato di essere socialmente pericolose. La revoca non
può essere ordinato se non è decorso il tempo corrispondente alla durata minima stabilita dalla
legge per ciascuna misura di sicurezza.
Art. 208 Riesame della pericolosità. Finito il periodo minimo di durata, stabilito dalla legge per
ciascuna misura di sicurezza, il giudice va a riprendere in esame le condizioni della persona che ne
è stata sottoposta, per stabilire se questa è ancora socialmente pericolosa. Qualora la persona
risulti ancora pericolosa, il giudice fissa un nuovo termine per un esame ulteriore. Se il pericolo si
ritiene sia cessato, il giudice può, procedere a nuovi accertamenti.

Art. 212 casi di sospensione. L’esecuzione di una misura di sicurezza applicata ad una persona
imputabile è sospesa se questa deve scontare una pena detentiva, e riprende il suo corso dopo
l’esecuzione della pena se la persona sottoposta ad una misura di sicurezza detentiva e colpita da
un’infermità psichica, il giudice ne ordina il ricovero in una casa di cura e di custodia. Quando sia
cessata l’infermità, il giudice, accertato che la persona e socialmente pericolosa, ordina che se ti
assegnata ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro se non crede di sottoporla a libertà
vigilata.
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Se l’infermità psichica colpisce una persona sottoposta a misura di sicurezza non detentiva
l’Intermobiliare nel ricoverato in manicomio comune, cessa l’esecuzione di dette misure di
sicurezza.
L’art. 215 Specie: indica quali sono le misure di sicurezza detentive e non detentive.
Sono detentive:
1 assegnazione a una colonia agricola o ad una casa di lavoro;
2 il ricovero in una casa di cura e di custodia;
3 il ricovero in un ospedale psichiatrico;
4 il ricovero in un riformatorio giudiziario.
Sono misure di sicurezza non detentive:
1 libertà vigilata
2 il divieto di soggiorno in uno o più comuni;
3 il divieto di frequentare osterie e pubblici spacci di bevande alcoliche;
4 espulsione dello straniero dallo Stato
Quando la legge stabilisce una misura di sicurezza senza indicarne la specie, il giudice dispone che
si applichi la libertà vigilata.
La pericolosità sociale deve sempre essere accertata. Ogni misura di sicurezza personale detentiva
o non detentiva può essere applicata in via provvisoria o in via definitiva. Ma nel caso della perizia
psichiatrica, è chiaro che il perito si pronuncia sulla pericolosità sociale derivata e correlata
all’infermità mentale e non ad altri tipi di pericolosità sociale; deve quindi rispondere al quesito
solo se ha ravvisato un quadro di patologia di mente tale da costituire vizio totale o parziale,
parliamo di pericolosità sociale psichiatrica.
Se ha invece escluso il vizio di mente, non deve rispondere al quesito circa la pericolosità sociale.
In caso di accertato vizio di mente, il perito deve specificare se allo stato attuale, la patologia di
mente persista e sia tale da rendere il periziando socialmente pericoloso.

Dopo aver accertato l’imputabilità e la pericolosità sociale psichiatrica a cosa si può andare incontro?

Le conseguenze dell’accertamento sull’imputabilità e sulla pericolosità possono essere:


a) Vizio totale di mente + pericolosità sociale
Se elevata = proscioglimento e internamento in ospedale psichiatrico giudiziario
Se attenuata = libertà vigilata.

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Entrambe durano fino a quando persiste la pericolosità sociale psichiatrica del prosciolto.
b) Vizio totale di mente e assenza di pericolosità sociale psichiatrica
= proscioglimento e archiviazione del caso; se il prosciolto era sottoposto ad una misura cautelare,
ne vie ne ordinata la cessazione.

c) Vizio parziale di mente + pericolosità sociale


= pena diminuita di un terzo, cui segue l’internamento in casa di cura e custodia, in presenza e in
persistenza di pericolosità sociale psichiatrica elevata', oppure libertà vigilata, in caso di
pericolosità sociale attenuata.

d) Vizio parziale di mente e assenza di pericolosità sociale


= pena ridotta di un terzo e nessuna applicazione della misura di sicurezza psichiatrica.

Il malato di mente socialmente non pericoloso, (vizio totale e non socialmente pericoloso) non è
soggetto alla misura di sicurezza psichiatrica. A questo punto, viene prosciolto ed esce a tutti gli
effetti dal circuito giudiziario, senza possibilità alcuna di intervento e di controllo sull’evoluzione
della patologia mentale da parte del sistema della giustizia. In molti casi invece sarebbe almeno da
formalizzare una segnalazione ai servizi psichiatrici di zona, cui spetta il compito di seguire il
soggetto, al pari di tutti gli altri pazienti portatori di disturbi psichici. Allo stato, tutto è affidato alle
iniziative e alla buona volontà dei singoli.
Quali sono le critiche mosse al concetto di pericolosità sociale?
l concetto di pericolosità sociale è stato sottoposto a serrate critiche in ambito giuridico,
psichiatrico e criminologico. Dalle ricerche in tema di predizione della recidiva è emerso che:
 La patologia psichiatrica è percentualmente poco rappresentata tra gli autori di reato
ovvero i malati di mente non delinquono in misura superiore al resto della
popolazione;
 Non esistono rapporti di equivalenza tra malattia mentale e pericolosità sociale, anche
se persone con doppia diagnosi, malattia mentale e abuso di sostanze risultano
statisticamente al alto rischio di comportamento violento;
 La maggior parte dei soggetti socialmente pericolosi appartengono, nella criminalità
individuale, alle cosiddette varianti abnormi dell’essere psichico, spesso forzatamente
iscritte nel vizio di mente, ovvero a forme di criminalità organizzata.
 Gli strumenti clinici finora utilizzati per predire il comportamento del malato di mente
autore di reato si sono rivelati imprecisi ed inadeguati.
 Allo stato, non esistono dati psicologici e/o psichiatrici adeguati per fornire, previsioni
a medio- lungo termine;
 Anche i metodi longitudinale, comparativo e sperimentale (oltre al già citato metodo
clinico) si sono dimostrati fallaci. Dall’irripetibilità ed unicità del comportamento
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umano, discende l’impossibilità di prevedere condotte future con criteri di probabilità


e tanto meno di certezza;
Cosa sono le REMS?

Il 1 aprile 2015 ci sono aperte le prime REMS, strutture residenziali per l’esecuzione della misura di
sicurezza personale detentiva, che si sono affiancate alle già esistenti strutture per l’esecuzione della misura
di sicurezza non detentiva della libertà vigilata. I clienti non sono solo infermi di mente, ma anche
socialmente pericolosi. La loro pericolosità sociale deve essere elevata perché possano essere internati con
provvedimento coattivo che riveste caratteristiche di temporaneità. Peccato che nei fatti, vengono
ricoverati e inviati pazienti difficili, per i quali la temporaneità è una caratteristica non realistica, trattandosi
spesso di persone con ritardi mentali di varia gravità, impulsivi e violenti. Non viene fatta nessuna
differenza tra quella che è la pericolosità sociale psichiatrica o quella criminale.Tali strutture devono avere
funzioni terapeutico riabilitative a favore di persone affette da disturbi mentali, autrice di reati e che la
magistratura, ha stabilito essere socialmente pericolose.

Esistono malati di mente e malati di mente delinquenti. Ma non bisogna lasciarsi trasportare dal pregiudizio
secondo il quale un malato di mente è necessariamente delinquente.

L’internamento in una REMS comporta per il malato di mente alcuni problemi, quali:

 L’enfasi sulle esigenze di controllo e non di cura


 La commistione con soggetti che presentano disturbi della personalità

In realtà sarebbe necessario fare differenza tra pericolosità sociale psichiatrica e quella penale e
organizzare sulla base di questa il percorso che un paziente deve fare.

Il REMS in quanto misura di sicurezza detentiva a carattere coercitivo, affinchè la persona possa essere
inserita lì dentro devono essere osservati i seguenti indicatori:

 Presenza e persistenza di disturbi dello spettro psicotico o depressivi maggiori o disturbi gravi della
personalità o del neurosviluppo, scompensati sul piano funzionale ed eventualmente in
comprbidità con altri disturbi mentali o da uso di sostanze;
 scarsa o nulla aderenza alle prescrizioni sanitarie e psicofarmacologiche;
 assenza di terapie specifiche;
 espressioni comportamentali di rabbia incontrollata, che sia auto o etero distruttiva.

Il giudice, ovviamente attraverso una perizia psichiatrica, deve venire a conoscenza delle “qualità soggettive
“(indicatori interni), deve accertare, per assicurare le cure adeguate e per far fronte alla pericolosità sociale
del soggetto, che non esistono misure diverse volte in una struttura psichiatrica giudiziaria di massima
sicurezza.

L’accertamento della pericolosità sociale psichiatrica elevata deve essere effettuata solo in base
alle qualità soggettive della persona e senza tenere conto delle sue condizioni individuali, familiari
e sociali; non si può, e nostra basare un giudizio di pericolosità sociale soldi la mancanza di
programmi terapeutici individuali.
Cosa succede quando gli indicatori interni vanno attenuandosi?
Quando gli indicatori interni vanno attenuandosi e il quadro psicopatologico e comportamentale si
va stabilizzando, nel senso che ha avuto inizio un processo di responsabilizzazione, la

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sintomatologia psicotica Florida si è attenuata, si va realizzando una progressiva capacità di


controllo e di regolazione emotiva, il funzionamento relazionale é migliorato, la qualità di vita è
andata in contro a miglioramenti, si deve obbligatoriamente prevedere un’attenuazione della
misura hard e l’adozione di misure soft. Entrano in gioco gli indicatori esterni alla patologia di Cui il
soggetto è portatore. Essi consistono nel: le caratteristiche dell’ambiente familiare sociale di
appartenenza, la disponibilità di progetti terapeutici da parte dei servizi psichiatrici di zona, la
possibilità o meno di re inserimento lavorativo o di soluzioni alternative; l’opportunità alternative
di sistemazione logistica ovvero abitativa e lavorativa.
L’eventuale presenza di un amministratore di sostegno potrebbe aiutare questi pazienti nella
scelta e nella prosecuzione delle cure, affiancandoli, sostenendoli e consigliandoli in questo
difficile operazioni di reinserimento familiare, lavorativo e sociale. La Valutazione di questi
indicatori si presenta particolarmente delicata nei casi in cui gli autori del reato, pur essendo
andati incontro un buon compenso della sintomatologia psicopatologica, sono svantaggiati dal
punto di vista socio ambientale, lavorativo e familiare. Il che comporta un forte impegno da parte
dei servizi e del sistema sociale tutto, che spesso però reagisce con ritardi, scarso impegno e rinvii.
Il perito non deve dare peso determinante o esclusivo a uno o ad un altro degli indicatori descritti.
Nè deve ragionare adottando un modello ipotetico-deduttivo.Una risposta in forma ipotetica e
inaccettabile dal punto di vista giuridico. Egli deve tenere conto dei diversi indicatori per formulare
la sua valutazione clinica, che deve essere frutto del lavoro congiunto con L’ UEPE E DSM. Questi
indicatori, tra l’altro, servono anche per decidere il tipo, i tempi e le modalità di intervento
sociosanitario da attuare e da sottoporre a verifiche periodiche.
È importante che il perito, a conclusione del suo accertamento, precisi i criteri clinici in base quali
ritiene elevata o attenuata la pericolosità sociale del periziando, prendendo atto della presenza e
della qualità degli indicatori interni da lui o da altri sanitari valutati e di quelli esterni accertati
dall’UEPE. Cerca esperti in criminologia

L’incapacità dell’indagato e dell’imputato per infermità di mente: capacità


processuale. Integrato con slides.
Essendo Il processo penale italiano inserito in un contesto accusatorio, è importante determinare
se l’indagato o imputato, in cui sia in atto o si sospetti l’esistenza di una patologia mentale, siano o
meno in grado di esercitare una valida difesa. Gli Articoli del codice di procedura penale compresi
dal 70 al 73 regolano il trattamento giuridico e sanitario dell’autore del reato, nel quale sia in atto
un quadro di infermità mentale che gli impedisce una cosciente partecipazione al processo.

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In teoria una piena capacità processuale dovrebbe essere in grado di valutare e tenere conto di
tutti i seguenti possibili comportamenti:
a) La piena comprensione del processo e dei ruoli dei singoli protagonisti.
b) Comprendere le accuse che gli sono rivolte;
c) Collaborare e con il proprio difensore per prendere decisioni valide;
d) verificare la propria strategia processuale;
e) non fornire prove sfavorevoli;
f) Argomentare e contro argomentare e comprendere la natura dialettica del processo;
differenziare i fatti rilevanti e irrilevanti;
g) rendersi conto della possibilità di essere sottoposto ad una sanzione alla fine del processo;
h) relazionarsi e comportarsi in modo pertinente a seconda del contesto;
i) tollerare lo stress durante prima del processo secondo quella che viene definita capacità di
reggere il contraddittorio;
j) identificare correttamente i fatti e persone ed essere contro esaminato.
Quando la capacità di auto difesa manca, perché seriamente compromessa dalla presenza disturbi
psicotici o funzionali, il processo deve essere sospeso. Viceversa, se l’autore del reato, pur affetto
da disturbi patologici psichici, è in grado di difendersi, può essere ritenuto capace di cosciente
partecipazione, anche se, esempio, delirante, pùrché non delirante sul processo, ma solo nel
processo.
Svolgimento e problemi della perizia d'ufficio
 La disposizione di questo tipo di perizia avviene in tutti i casi in cui, per diretta
constatazione del giudice o su istanza della difesa, vi sia il fondato dubbio che il soggetto
non sia in grado di partecipare coscientemente al processo.
 Si tratta di una fattispecie invocata di rado, sia perché la sospensione del processo per mesi
o anni, se non per sempre di fronte a infermità mentali di carattere cronico, non è
apprezzata dai giudici, sia perché, nei casi in cui sussisteva già al momento dei fatti la stessa
infermità (come quasi sempre), e molto più logico e agevole valutare direttamente la non
imputabilità ex artt. 88-89 c.p.
È possibile individuare la patologia della competence difensiva nei:
 disturbi della memoria;
 in disturbi dello stato di coscienza;
 alterazioni delle funzioni cognitive legate a processi organici;
 disturbi deliranti del pensiero;
 disturbi depressivi maggiori;
 disturbi gravi di personalità;
in cui rispettivamente le gravi alterazioni patologiche dello stato di coscienza, dell’esame di realtà
e dell’affettività, agiscono negativamente sull’esercizio di quelle facoltà in cui l’autodifesa si
manifesta. In particolare, i disturbi deliranti devono incidere funzionalmente e direttamente sulla
scena processuale, nel senso che occorre che il soggetto deliri non nel processo, ma in maniera
specifica sul processo e nei confronti dei singoli protagonisti dello stesso.

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COMPATIBILITA’ CON LA DETENZIONE (SLIDE)


La normativa vigente prevede
 nel caso in cui sussistano condizioni cliniche tali da non rendere compatibile il diritto della
persona alla salute con il regime detentivo, possano essere – previo esame medico –
disposte misure alternative alla detenzione, di carattere transitorio (ricovero ospedaliero) o
più protratto (detenzione domiciliare e altro).
II problema valutativo si pone in due alternative:
 1. per i soggetti già condannati in modo definitivo, che quindi si trovano in condizione di
esecuzione della pena,
 2. i soggetti sottoposti a misure cautelari, ovvero – come si diceva una volta – «in attesa di
giudizio», cioè sottoposti a indagini o interessati da processo, quindi non ancora
condannati.
I soggetti in esecuzione della pena per condanna definitiva possono avere la pena sospesa
obbligatoriamente (art. 146 c.p.) quando sia presente AIDS conclamato
 «ovvero altra malattia particolarmente grave per effetto della quale le condizioni di
salute risultano incompatibili con una stato di detenzione, quando la persona si
trova in una fase di malattia cosi avanzata da non rispondere secondo le
certificazioni del servizio sanitario penitenziario »,
 oppure facoltativamente (art. 147 c.p.) «quando sussista una condizione di grave
infermità fisica», escludendo perciò le infermità mentali, che sono regolate, invece,
dall'art. 148 c.p. «infermità psichica sopravvenuta al condannato”.
La norma di cui all'art. 148, si applica ai detenuti nei quali si sviluppi una grave malattia psichiatrica
dopo una condanna definitiva.
 Se la pena è inferiore ai tre anni il magistrato può disporre che il differimento sia effettuato
in un — ormai inesistente — ospedale psichiatrico, ovvero, a oggi, in una struttura del
Dipartimento di Salute Mentale;
 Se la pena è superiore, e previsto l'internamento in Ospedale Psichiatrico Giudiziario.

Simulazione
Che cos’è la simulazione?
Capitolo quanto mai complesso e difficile delle psicosi carcerarie e, in specie, della sindrome di
Ganser (stato crepuscolan isterico, durante il quale il detenuto cerca di recitare, più o meno
consapevolmente, la parte del malato di mente, in conformità a quello che egli ha imparato o
ritiene essere la malattia mentale). La frequenza con cui ciò avviene in ambito forense è dovuta al

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fatto che il periziando non è legato a un contratto terapeutico con il perito o consulente che sia;
non esiste libero accesso da parte dell’indagato/imputato all’accertamento peritale che spesso
non è desiderato né richiesto, ma imposto e subito; il fine non è quello terapeutico, promozionale
della salute, bensì quello di valutare uno stato eli mente in riferimento a un atto di rilevanza
giuridica agito o subito.
In un setting valutativo quale quello peritale è «normale» che il periziando/vittima/convenuto
faccia il suo gioco autotutelante e cerchi di ottenere il massimo vantaggio con il minimo rischio;
amplificare disturbi mentali fino a simulare una malattia psichiatrica è azione dai molti risvolti
positivi (o ritenuti tali) per l’interessato, quali: in ambito penale, non dover rispondere agli
interrogatori del magistrato; poter non partecipare al processo; invalidare la credibilità di
testimonianze, interrogatori, versioni precedentemente resi; godere di trasferimenti in reparti
clinici o psichiatrici o di misure diverse dalla custodia cautelare in carcere; vedersi riconosciuto un
vizio di mente al momento del fatto e via dicendo.
In ambito civile, i vantaggi possono essere quelli di vedersi riconosciuto un danno biologico di
natura psichica a varia genesi e dinamica; ottenere una pensione; godere di un favorevole
riconoscimento del danno e via dicendo.
In un setting esclusivamente clinico, il problema si presenta certamente in misura ridotta, ma non
è assente, per lo meno sotto il profilo dell’allegazione di disurbi fittizi (fisici e/o psichici) o
dell’amplificazione o della simulazione degli stessi. In tal modo si possono ottenere vantaggi clinici
derivanti da queste e altre modalità di inganno all’interno della relazione paziente/cliente-
terapeuta/sanitario.

Da cosa differisce la simulazione?


Sia nell’I.C.D.-10, sia nel d.s.m. sindrome di Ganser e simulazione sono tenute distinte, perché
nella simulazione è chiaro il meccanismo cosciente ili produrre intenzionalmente sintomi fisici e/
psichici e il proposito di amplificarIi o di esagerarli, al fine di richiamare su di sé prepotentemente
l’attenzione altrui e ottenere determinati benefici lucidamente perseguiti.
Nella sindrome di Ganser, invece, la componente intenzionale sarebbe più sfumata e prevarrebbe
quella isterica più elegantemente denominata dissociativa, con evidenti e accentuati aspetti
confusionali e crepuscolari psicogeni.
L'amplificazione può essere parte integrante della simulazione, ma può anche rappresentare il
tipo di funzionamento di determinati disturbi di personalità o una normale, soggettiva, comune e
comprensibile elaborazione della sofferenza psichica.
A loro volta, sindrome di Ganser e simulazione sono tenute distinte dai Disturbi fittizi, in cui nella
produzione o simulazione intenzionali di segni o sintomi fisici o psichici sono assenti incentivi
esterni per tale comportamento (per es. un vantaggio economico, l’evitamento di responsabilità
legali, o il miglioramento del proprio benessere fisico, come nella Simulazione QUESTE COSE
MANCANO).
Puntualizzare quanto segue:

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 è opportuno abbandonare il termine di «psicosi carcerarie» per sostituirlo con quello più
comprensivo, più appropriato e meno impegnativo di «sindromi o disturbi reattivi alla
carcerazione»;
 lo psichiatra nell’obiettivare l’esistenza di un alterato stato di coscienza, deve tenere
costantemente presente che possono essere sì «autentici ma anche e troppo spesso
«recitati», al fine evidente di ottenere dei benefici;
 la reclusione, di per sé sola, non può generare un quadro psicotico. Essa può invece,
provocare disturbi reattivi variamente connotati, oppure fungere da fattore patoplastico
nello slatentizzare una pregressa condizione di precario equilibrio mentale, o
nell’aggravare preesistenti quadri psicotici più o meno dissimulati, facendo «saltare»
meccanismi di difesa troppo fragili.
E’ quindi indispensabile cercare di porre, nella maniera più rigorosa possibile attraverso una tanto
tempestiva quanto protratta osservazione possibilmente condotta in ambiente psichiatrico idoneo,
una distinzione fra quadri reattivi alla carcerazione (che poi il detenuto in maniera più o meno
consapevole magari elabori soggettivamente, enfatizzandoli, ampliandoli e «aggravandoli» con
disturbi di tipo «patologico») e veri quadri psicotici: i soli rilevanti in ambito forense, ai fini
dell’eventuale accertamento dell’imputabilità del soggetto al momento del fatto reato ma,
soprattutto, della sospensione del procedimento penale o dell’esecuzione dell pena. In questi casi,
il trasferimento in un reparto psichiatrico, fosse anche giudiziario, per l’autore di reato (indagato,
imputato o condannato che sia) è certamente una soluzione meno gravosa rispetto a quella di
rimanere in carcere.
Occorre in fatti sempre tenere presente che in molti di questi «scompensi psicopatologici» si cela il
progetto di sfuggire al procedimento penale e/o agli interrogatori oppure gettare il discredito sulle
dichiarazioni rese.
E’ pertanto fondamentale avere ben presente la posizione giuridica del periziando. Se primario o
recidivo; se delinquente comune o affiliato alla criminalità organizzata; se autore di reato
«bagatellare» o grave ed efferato; se detenuto da breve o da lungo tempo; se con posizione
giuridica certa o incerta; se con storia clinica o meno; se con osservazione psichiatrica carceraria
positiva o no; se con precedenti accertamenti peritali o meno; se avvantaggiato, svantaggiato o
indifferente di fronte a un riconoscimento di patologia mentale rilevante a fini giudiziari.

Come e perché sfruttano la simulazione le varie criminalità?


E’ caratteristica della cultura mafiosa e camorristica quella di allegare disturbi mentali che, magari
coltivati da consulenti compiacenti, assumono vesti sempre più evidenti di «patologia mentale»
sfruttabile e fini forensi (proscioglimenti e/ o internamenti in ambito psichiatrico da cui è più facile
uscire per brevi licenze e permessi che non dal carcere) o essere addirittura dimessi per revoca
della misura di sicurezza, essendo venuta meno una peraltro inesistente pericolosità sociale
psichiatrica.
Molto diverso è il caso della delinquenza economico-finanziaria in cui l’indagato (l’imputato o il
condannato), se «malato», allega disturbi non psichiatrici, bensì di competenza internistica, con
concomitanti disturbi depressivo-ansiosi reattivi.

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Per non parlare poi di coloro che vengono ristretti in carcere e che poi, nel corso delle indagini
preliminari o con sentenza, vengono riconosciuti, a mesi o anni di distanza, non colpevoli per non
aver commesso il fatto o per insufficienza di prove o altro e che hanno sviluppato un più che
comprensibile disturbo reattivo alla detenzione.
L’ analisi psicopatologica è l’unica che può - in tutti questi casi - dimostrare se sia per lo meno
lecito dubitare del loro «significato di malattia» e discriminare i veri malati o comunque coloro che
presentano una sofferenza psichica autentica dii quelli che tali non sono. Ciò è possibile solo se
l’osservazione psichiatrica è tempestiva e protratta, perchè a distanza di mesi o di anni
l’indottrinamento o il contatto con veri malati di mente può avere una pregnanza tale nel soggetto
periziato che «la malattia mentale» da lui presentata nel corso degli accertamenti peritali assume
precise caratteristiche di «veridicità» e di «autenticità».
Non è affatto raro, in altre parole, riscontrare che una sintomatologia ganseriana o diversamente
simulata all’inizio, evolva poi verso un quadro praticamente sovrapponibile ad una psicosi. Ciò
specie nei gracili di mente, in cui la carenza di critica favorisce l’autosuggestione e
l’autoconvincimento di essere «veramente malati»; oppure nelle persone intelligenti, ma la cui
personalità sia fragile e disturbata.

Come si capisce se una persona simula?


In linea di massima, il simulatore, almeno nei periodi iniziali:
 dà ad osservare sintomi singoli, isolati, non legati da una correlazione patologica e non
riconducibili a uno «stile di vita» che, anche nella malattia mentale, mantiene una sua
coerenza e peculiarità espressive; pertanto, riproduce sintomi e comportamenti,
imitandoli;
 dà ad osservare sintomi singoli, isolati, non legati da una correlazione patologica e non
riconducibili a uno «stile di vita» che, anche nella malattia mentale, mantiene una sua
coerenza e peculiarità espressive; pertanto, riproduce sintomi e comportamenti,
imitandoli;
 inizia esibendo ed elencando spontaneamente e con immediatezza espressiva i propri
disturbi «patologici», a differenza del vero malato di mente che costantemente li dissimula
o accuratamente li minimizza;
 non è in grado di mantenere la distanza emotiva che invece il malato di mente dà
immediatamente e costantemente ad osservare nella relazione con il perito;
 è molto meno coerente, costante e convincente rispetto al vero malato psichico;
 richiama prepotentemente l’attenzione dell’esaminatore denunciando stati crepuscolari di
coscienza (dal semplice ottundimento, allo stupore, allo stato onirico) e quadri pseudo-
demenziali (perdita, completa o quasi, di tutte le nozioni, anche le più elementari, apprese
nella scuola e nella vita; disorientamento temporo-spaziale, ignoranza del proprio nome e
di quello dei familiari, dimenticanza di ogni notizia anamnestica, familiare o personale,
passata o recente = pseudodemenza isterica); però, nel corso dell’obiettivazione clinica
diretta o in regime ili osservazione condotta all’insaputa del soggetto, non si registra un
vero comportamento demenziale e sono osservabili chiare ed evidenti discordanze negli
attegiamenti, nella cura del corpo, nello stato di nutrizione, ecc. rispetto a quanto
denunciato dal soggetto;
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 descrive deliri e allucinazioni, definendoli con i loro termini precisi e appropriati e ne


sottolinea resistenza all’esaminatore. Ora, un delirio e un’allucinazione che sono
riconosciuti in maniera così esatta e cosciente dal «malato» cessano per ciò solo di esistere
come disturbi psicopatologici (tranne che si tratti di malato di mente «acculturato»; ma
allora si hanno o si debbono avere notizie documentate di ciò);
 presenta un atteggiamento mimico, gestuale e comportamentale di intenso sforzo
mentale, volto a richiamare insistentemente l’attenzione dell’esaminatoroìsforzo mentale,
volto a richiamare insistentemente l’attenzione dell’esaminatore;
 elenca reiterativamente disturbi psicosomatici, cenestopatici ed ipocondriaci, di cui
amplifica il «valore di malattia»;
 rifiuta le terapie farmacologiche che gli vengono proposte, denunciandone In sostanziale
inefficacia per la cura della sua « sofferenza » psichica o finge di assumere i farmaci che gli
sono stati prescritti.
 evidente è la componente falsamente partecipata, recitata e finalistica, sia nell’emissione
dei comportamenti, sia nell’elencazione dei disturbi patologici maggiori (allucinazioni e
deliri);
 le amnesie non sono uniformi, sono troppo estese e riguardano prevalentemente o
esclusivamente episodi sfavorevoli a fine defensionale, mentre sono conservati gli aspetti
vantaggiosi (amnesie psicogene);
 risposte insensate, assurde (il «parlar di traverso»), perseverazioni motorie, aprassie,
asimbolie, denominazione delle dita, il «calcolar di traverso», sono sintomi che depongono
per la simulazione;
 malumore, ottusità emotiva, disforia, ipocondria, alterazioni del ritmo sonno-veglia sono
quanto mai variabili, contraddittorie ed imprevedibili;
 altre volte, il soggetto sviluppa quadri di arresto psicomotorio, di tipo acinetico-stuporoso
(stupore isterico), o manifesta stereotipie o manierismi gestuali o verbali o altre
paracinesie chiaramente finalizzate;
 spesso il simulatore emette dei comportamenti puerili, bamboleggia, fa l’ingenuo,
drammatizza, presenta variazioni tipicamente infantili dell’umore, si comporta come un
bambino, ha paure di vario genere, disegna pupazzetti, cerca la mamma (infantilismo
isterico), parla farfugliando;
 la risposta all’eventuale somministrazione di psicofarmaci è paradossale o comunque non
corrispondente a quella che dà il soggetto affetto da autentici disturbi psicotici; induce
negli osservatori inquadramenti diagnostici fortemente discordanti;
 il disturbo schizofrenico (quello più frequentemente diagnosticato dinanzi alla caotica e
disordinata congerie di sintomi presentati) non va incontro alla sua evoluzione, ma subisce
oscillazioni e miglioramenti che non sono in assetto con il decorso della malattia;
 Infine il simulatore quasi sempre si «ammala» e «guarisce» molto rapidamente, in
correlazione con l’andamento del procedimento penale. Traspare, in altre parole, il
meccanismo finalistico volto ad evitare situazioni spiacevoli o dolorose o pericolose e
responsabilità nei confronti del reato addebitatogli.
Il contrario, invece, accade nel vero malato di mente. La vera malattia mentale comporta
manifestazioni cliniche acute o subacute e, a lungo andare, se non o mal curata, segni di
destrutturazione e di deterioramento della personalità, di compromissione grave o di perdita di
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abilità sociali e di capacità di contatto affettivo ed interpersonale, che non possono sfuggire
all’osservazione e al controllo carcerario e sono documentabili attraverso la registrazione dei
comportamenti cui danno luogo nell’ambiente di custodia e la risposta alle terapie
psicofarmacologiche.

La dissimulazione di malattia mentale


In ambito psicopatologico, dissimulare significa nascondere, minimizzare, non lasciare spazio alla
propria individualità ed espressività, non far trasparire o far trasparire solo in parte la propria
sofferenza e i segni della propria malattia.
I disturbi più frequentemente dissimulati sono quelli deliranti e quelli depressivi maggiori. La
«maschera» è spesso costruita con un insieme di atteggiamenti o comportamenti scontrosi,
diffidenti e irritanti, che possono essere spicciativamente confinati in un Disturbo di personalità,
invece di essere collocati nella loro esatta dimensione psicopatologico difensiva.
Le cause della dissimulazione in parte sono intrinseche alla patologia stessa in parte si organizzano
nel contesto relazionale in cui il malato viene a trovarsi.
Le motivazioni che si trovano alla base dei processi dissimulatori possono pertanto essere
raggruppate in categorie soggettive, oggettive e situazionali.
1. Le caratteristiche soggettive sono quelle che dipendono essenzialmente dalla patologia di
cui i soggetti sono portatori: deliri di persecuzione, di riferimento, di veneficio, di
influenzamento, e via dicendo. Questi disturbi, nella loro autonomia psicopatologica, sono
in grado di indurre il malato a nascondere, evitare, eludere, per paura di subire le
conseguenze che direttamente scaturiscono dalle tematiche deliranti. E ancora. L’assenza
di consapevolezza di malattia fa sì che la persona, convinta di essere nel giusto, agisca in
assetto con la psicosi: paura e malfidenza sono le ragioni principali addotte per spiegare la
reticenza ad aprirsi e parlare. Analogamente, per le alterazioni nel rapporto con la realtà e
con gli Altri.
 Nei Disturbi depressivi, poi, la gravità della sintomatologia viene minimizzata e nascosta
all’osservatore, per timore della messa in atto degli inevitabili provvedimenti sanitari e
di controllo. Disturbi di personalità variamente aggettivati che spesso
accompagnano i processi psicotici possono per canto loro trarre in inganno, perché
manifestati e agiti con maggiore immediatezza e facilità di quelli psicotici.
 Quante volte tratti narcisistici o antisociali di personalità o difese ipomaniacali hanno
giocato un «brutto tiro» al perito che, di fronte a comportamenti determinati da questi
assetti clinici reagisce sviluppando un tranfert negativo legato a sua volta al suo Sé
grandioso.
2. Le caratteristiche oggettive possono essere costituite dal fatto che il soggetto pratica delle
terapie che attenuano o mascherano la sintomatologia, specie quella produttiva e florida. Oppure
può succedere che l’osservazione inizi quando il quadro di scompenso acuto è andato incontro ad
una sua spontanea evoluzione clinica.
In altri casi, invece, l’incontro perito - periziando avviene nel periodo che immmediatamente
segue il reato, periodo in cui la sintomatologia florida si è momentaneamente scaricata nel

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passaggio all’atto, seguendo il fenomeno della deplezione psicotica. Un allontanamento o uno


spegnimento o un raffreddamento della fase di scompenso sono tutte ragioni per cui l’osservatore
può trovarsi di fronte un quadro criptico, mascherato, in cui le componenti psicotiche sono
estremamente attenuate.
3. Le caratteristiche del contesto. Il contesto di esame è importantissimo, nel senso che
l’osservazione condotta nel giudiziario è connotata da quella mancanza di spontaneità e di libero
accesso che invece caratterizzano di consueto il lavoro clinico. Il periziando subisce un’indagine di
cui quasi sempre non conosce gli esatti termini oppure li conosce in maniera confusa e
preconcetta; magari è Indagato o imputato di un grave reato e i periti lo incontrano in una
struttura carceraria o manicomiale spesso non accogliente e non rispettosa della privacy. Quante
volte periti e periziandi vengono disturbati da rumori fastidiosi, da andirivieni di altro personale
che opera nella struttura, dallo sbattere di porte, dal doversi incontrare nei parlatori di un carcere
o in una infermeria o in un c.d. repartino clinico, dove altri entrano ed escono. Non sempre è così,
ma certamente troppo spesso veniamo accolti e relegati in spazi che per nulla agevolano il nostro
lavoro.
Il contesto in cui si svolgono gli incontri peritali, dunque, risente di inevitabili restrizioni dello
«spazio di libero movimento», psicologico e logistico.
Per queste ragioni, occorre incontrare il periziando in una stanza silenziosa, appartata, tranquilla e,
salvo casi estremi, senza l’assistenza del personale di custodia, la cui presenza spesso viene
imposta dalla direzione del carcere per ragioni ili sicurezza e di tutela dei periti, ma che nella più
parte dei casi può essere evitata.
4. La caratteristiche della relazione. A questo livello, abbiamo osservato e vogliamo segnalare in
questa sede alcuni aspetti della relazione peritale che incidono profondamente sul rapporto
periziando-perito.
Tante volte la dissimulazione, almeno nei primi incontri, è il diretto prodotto dell’atteggiamento
reciproco di diffidenza, fastidio, sfiducia e sospettosità, a sua volta determinato dalla mancanza di
libero accesso all’incontro stesso.
Se tra perito e periziando si crea un incontro inizialmente inautentico, coatto, artificioso, ognuno
finisce per fare il suo gioco autotutelante e autoprotettivo, quando non addirittura pregiudicato da
interessi «altri»: nell’attività d’ufficio, dal proposito velleitario di «fare giustizia».
Se poi il clinico orienta le sue domande in una direzione prestabilita al fine di confortare l’ipotesi
diagnostica che si è aprioristicamente costruita in mente, blocca il malato nella sua libera
espressione.
Inoltre egli è collocato in una posizione di potere nei confronti di chi ha da subire l’indagine
disposta dal magistrato. L’autore di reato si è «macchiato» davanti al sistema sociale e della
giustizia, è un «diverso», un «criminale», quando non un «folle», uno che si può guardare
«dall’alto al basso».
Il periziato, pertanto, viene avvicinato come un soggetto inferiore. Egli è uno su cui il perito può
calare la ponderosa mannaia del suo sapere per sezionarne (= analizzarne) e spiegarne (= la
diagnosi che si picca di risolvere anche il problema del perché) il comportamento. Il periziando,
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apparentemente, non ha diritto alcuno: il suo dovere, secondo molti periti, è solo quello di fornire
risposto esaurienti ed educate a colui che lo inquisisce.
In questo gioco delle parti però non è possibile dimenticare che periti e consulenti si trovano di
fronte a persone autrici o vittime di atti penalmente o civilmente rilevanti, ma pur sempre persone
con le quali è indispensabile stabilire una relazione il più possibile autentica e significativa, perché
tanto più ricco e articolato è il materiale raccolto, tanto più motivate saranno le risposte ai quesiti.
Il malato di mente autore di reato che non si sente accolto e compreso, non si lascia mai andare a
«confidenze», essendo convinto che venga ascoltato con sufficienza e perplessità. Colludere con lo
psicotico è strategia indispensabile, dunque, se si vuole andare oltre le apparenze ed esplorare i
percorsi psicopatologici.
In altre parole, si vuole dire che la qualità del lavoro peritale discende non solo dalla soluzione di
problemi tecnici, ma anche dalla qualità della relazione umana instaurata con il periziando, che,
come tutte le relazioni umane, è ricca di risvolti negativi e positivi.
Per quanto riguarda quelli negativi, molti sono gli aspetti che possono insidiare la qualità della
relazione con l’autore di reato malato di mente sono:
 la presunzione di poter ridurre il colloquio psichiatrico a una intervista del tipo «a domanda
risponde», infiorita in un secondo tempo con questionari, reattivi psicodiagnostici e
protocolli di dubbia validità, perché raccolti in un clima inautentico da un punto di vista
clinico;
 la convinzione che si possa arrivare a verità oggettive, ignorando o sottovalutando che è il
periziando che deve conferire i significati ai suoi comportamenti agiti o subiti), senza
forzature di nessun tipo da parte del perito;
 l’ancoraggio disperato e rassicurante a codici alfa-numerici sui quali si aprono dotte, ma
spesso inutili, disquisizioni, come se fare psicologia e psichiatria significasse unicamente
descrivere e classificare e non anche comprendere e interpretare;
 il procedimento in base al quale si cerca di far percorrere al periziando una strada che il
perito ha precostruito per giungere a quella categoria diagnostica in cui ha già deciso di
collocare la persona in esame.
 una iperidentificazione acritica con la vittima, o un rifiuto controtransferale dell’autore;
Sembra inutile, e al limite offensivo, ribadire principi che dovrebbero esseri presenti a tutti noi: ma
è bene ricordare che nessun perito o consulente ha il diritto di aggredire il periziando, di
intimorirlo, di sedurlo, di ricattarlo o di condurlo forzatamente su di un sentiero funzionale a tesi
accusatorie o difensive che altri debbono sviluppare all’interno dei loro specifici ambiti (magistrati
e difensori.
Non è lecito: promettere esiti o minacciare provvedimenti giudiziari che non sono di competenza
peritale; dare del tu al periziando; chiamarlo per nome o con vezzeggiativi o diminutivi; essere
seduttivi; diventare polemici, inquisitori e fiscali sulla ricostruzione dei fatti; offendersi per il
silenzio o l’amnesia volontaria del periziando o la distorsione della verità; estorcere confessioni o
versioni preconfezionate; interrompere costantemente il discorso del periziando impedendogli di
esprimersi; simulare alleanze perverse al solo fine di accattivarselo per ottenere confessioni.

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Per quanto riguarda i risvolti positivi della relazione che possono incrinare fino ad abbattere il
muro della diffidenza e della non collaborazione ricordiamo:
 l’autentica disponibilità e curiosità scientifica e umana attestata dal rispetto per la persona
umana: il perito (psicologo o psichiatra che sia) non ha certamente il compito di accertare
la verità processuale, di indurre il periziando a confessare, di giocare sue presunte o reali
abilità inquisitorie. La sua collaborazione con il magistrato deve essere limitata alla risposta
ai quesiti che vengono formulati e collegialmente discussi e concordati;
 l’impiego di ascolto, silenzio e compartecipazione, che si traducono nel favorire
consapevolmente e responsabilmente la comunicazione e rincontro e nel considerare
l’Altro una persona che ha una sua storia ricca di un indubbio significato esistenziale e non
un oggetto da osservare con distacco e freddezza e interrogare con atteggiamento
sufficiente o prevenuto.

STATI EMOTIVI E PASSIONALI


L’art. 90 del codice penale (stati emotivi o passionali) testualmente recita:
«Gli stati emotivi o passionali non escludono né diminuiscono l’imputabilità».
In altre parole, in un reato sotteso da un’improvvisa emozione o da una passione più o meno
lungamente elaborata e sofferta, questi stati propri dell’animo umano sono ininfluenti ai fini
dell’applicazione degli artt. 88 e 89 c.p. Di per sé soli considerati, essi rappresentano, per volontà
del legislatore, condizioni psicologiche e non già psicopatologiche dell’essere umano.
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In altre parole, tutti gli agiti auto- o etero-distruttivi sottesi da uno stato emotivo o passionale
(paura, ira, passione, emozione, provocazione, ferite narcisistiche e via dicendo) che si sono
manifestati repentinamente o dopo un periodo più o meno lungo di non verbalizzati patimenti
relazionali si costituiscono come stati emotivi “semplici”.

Quando gli stati emotivi assumono rilevanza giuridica/psichiatrico-forense?


Queste condizioni dell’animo umano, invece, assumono rilevanza psichiatrico-forense come stati
emotivi “complessi”, quando si integrano in un quadro di patologia di mente di cui sono
sintomatici (es.: delirio di gelosia nei cronici intossicati da alcool; condotta emotiva di insufficienza
mentale o di demente; acting-out di uno schizofrenico allucinato e/o delirante; un disturbo
mentale transitorio, ecc.). Oppure quando sono riassorbiti in un quadro di immaturità tale da
escludere la capacità di intendere o di volere del minore in età compresa tra i 14 e i 18 anni (art.
98 c.p.). Il dettato dell’art. 90 c.p., dunque, esclude la rilevanza delle «reazioni a corto circuito» e
delle «reazioni psicogene» sulla capacità di intendere o di volere nel reato d’impeto, salvo che si
integrino in un’infermità mentale clinicamente apprezzabile quale una sindrome o un disturbo
patologico psichico che rientri in una delle classificazioni note e accreditate presso la comunità
scientifica (Disturbi Gravi di Personalità e Disturbi Psicotici in fase di scompenso).

Cos’è la gelosia?
Una delle manifestazioni più comuni delle emozioni e della passione è la gelosia.
È uno stato emotivo di dubbio e di tormentosa ansia di chi, con o senza giustificato motivo,teme
che la persona amata gli sia “rubata” da un rivale.
La gelosia non è una prerogativa dei coniugi o degli amanti, ma accompagna ogni essere vivente
dalla nascita alla morte, assumendo un’infinità di espressioni e di manifestazioni, tra le quali quelli
amoroso e sessuale sono soltanto uno degli aspetti in cui la gelosia può manifestarsi. Quello che
cambia sono il modo in cui noi viviamo questo sentimento e l'“oggetto” verso cui lo dirigiamo. Ma
per quanto riguarda la tematica complessa e pluriarticolata della gelosia, «Un conto è vivere
l’emozione o il sentimento di gelosia, un altro è invece essere i vittima dell’idea di gelosia, che, se
persiste, perde le sue connotazioni affettive e finisce per contrarsi nell’esperienza delirante e
lucida di gelosia».
Questi stati dell’animo umano, che talvolta si manifestano come emozioni, talaltra come
sentimenti, talaltra ancora come passioni, fanno gioire o soffrire: mai lasciano indifferenti.

In base al significato che la persona conferisce a questo sentimento si manifesta una reazione che
può essere “di vita” (vivere l’emozione o il sentimento e dare a essi una soluzione individuale o
negoziata con l’altra parte) o “di morte” (non elaborare l’emozione o il sentimento e reagire agli
stessi distruggendo l’altro o l’altra).
La variazione quantitativa di emozioni, sentimenti, pensieri con i contenuti della gelosia (ma non
solo) si distribuisce su di un continuum che va dalla normalità alla patologia e varia con il variare
dell’ambiente socio culturale di appartenenza, dei singoli contesti di vita, e del funzionamento di
base della singola personalità. La caratteristica fondamentale che discrimina questi due sentimenti
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dell’animo umano nelle loro manifestazioni estreme è individuata dalla presenza/assenza di una
dimensione di reciprocità, di condivisione e di alterità nelle relazioni amicali, coniugali, amorose,
filiali, genitoriali, spirituali e via dicendo. Manifestazioni di solo amore o di sola gelosia, scisse in
due emozioni/sentimenti contrapposti e inconciliabili, ci mette costantemente di fronte
all’ambivalenza e contraddittorietà dei nostri vissuti e delle nostre relazioni con gli oggetti interni
ed esterni della nostra esperienza vitale.
Ma nella natura ambivalente, conflittuale e contraddittoria delle persone è però insita la
coesistenza di sentimenti, emozioni, idee di opposto significato (odio e amore, vita e morte,
creatività e distruttività, tenerezza e violenza, compassione e rivalità e via dicendo).

Normalità e perversione della gelosia


Ma rispetto ai funzionamenti mentali è possibile individuare una normalità della gelosia e una
perversione della gelosia.
Normalità: Essa, come condizione dell’animo umano, è espressione delle nostre fisiologiche
insicurezze, paure e ansie, e quando s’integra con emozioni e sentimenti di complicità, tenerezza,
rispetto, reciproca comprensione e condivisione, può far parte del ventaglio delle manifestazioni
amorose, affettive, amicali, che non riducono, bensì arricchiscono il ventaglio delle espressioni del
vivere una relazione significativa con l’altro. In altre parole, chi ama è anche geloso custode della
complicità e dell’intimità dei vissuti amorosi che appartengono alla coppia che si manifestano con
modalità esclusive e specifiche. Detta simmetria prende nome di RELAZIONE ed è centrata sul
riconoscimento delle rispettive individualità, capacità di reciproca donazione e gratificazione,
condivisione e tolleranza delle frustrazioni con accettazione delle separazione e del distacco,
elaborazione del lutto. Sintomatica del narcisismo benigno. Rapporto bilaterale.
Perversione: La perversione della gelosia, sintomatica di un funzionamento narcisistico maligno
della personalità, consiste invece nel congelamento monotematico e compulsivo su di una
modalità unilaterale di concepire il rapporto con l’altro; questo malfunzionamento mentale e
relazionale si cristallizza in una forma perversa di rapportarsi all’altro, con perdita di ogni
connotato e di ogni modulazione emotiva. Detta asimmetria prende nome di PERVERSIONE e si
identifica con la degradazione dell’Altro da persona a cosa cui seguono il bisogno tirannico di
gratificazioni, di controllo e di risarcimenti variamente orientati, intolleranza alle frustrazioni,
rabbia narcisistica, passaggi all’atto i più vari.
La patologia della gelosia si traduce in distorsioni cognitive transitorie e infine in un delirio di
gelosia, che condiziona in maniera stabile e duratura tutti i comportamenti del geloso.

Occorre tenere presenti diversi fattori che possono essere utili a spiegare il fenomeno della
gelosia:
 Fattori culturali e sociali
Credenze magiche o superstiziose o religiose o ritualistiche, tematiche legate alla vendetta o
all’onore offeso, fanno sì che quando esse intervengono, un comportamento di gelosia che noi
possiamo ritenere abnorme possa essere compreso e perfettamente ricondotto a regole e norme

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sociali proprie di quella particolare struttura culturale. Così come è altrettanto allarmante il
significato che assumono i contesti di vita in cui da tempo viviamo e in cui è particolarmente
difficile ridefinire i ruoli e i contenuti di un «maschile» e di un «femminile» che nulla hanno più a
che fare con modelli tradizionali di funzioni consolidate e che l’attuale organizzazione sociale irride
e ritiene desueti.
Nel nostro mondo occidentale, infatti, il clima «educativo» è profondamente modificato
dall’obiettivo di ridurre al minimo il tasso di dolore e di frustrazioni narcisistiche.
Né possiamo dimenticare che viviamo immersi in un’organizzazione sociale confusiva, anomica e
contraddittoria, in cui, trionfano l’uso di una cultura violenta; in un mondo che premia la legge, la
logica e gli interessi del più “forte” o del più “furbo”.
Tutto ciò, alimenta comportamenti regressivi e interagisce in maniera negativa sui singoli,
rinforzandone aspetti «mostruosi». Comportamenti assillanti e persecutori vengono giustificati
con la tematica della gelosia che, in realtà, maschera la voglia di possesso e di manipolazione
incondizionata dell’Altro.
 Le implicazioni individuali.
Sentimenti ed emozioni del tipo vendetta, vergogna, risentimento, amor proprio esasperato,
rivolta della vanità offesa, timore del ridicolo, paura dell’abbandono sono spesso invocate dal
soggetto che agisce e/o da quello che subisce le espressioni della gelosia. La gelosia si manifesta
come rabbia narcisistica distruttiva.
 La dimensione del silenzio.
Spesso non emergono prima del reato espliciti indicatori di disagio; gli attori recitano ciascuno la
propria parte e spesso è difficile distinguere la vittima dal carnefice, l’incube dal succube,
l’induttore dall’esecutore, il forte dal debole.
 L ’esternazione persecutoria.
In altri casi, invece, l’aggressione in genere, l’omicidio in particolare, matura nel tempo ed è
preceduta da sospetti, pedinamenti, interrogatori umilianti, minacce più volte formulate, molestie
di vario genere, dubbi esasperanti, congetture, controlli, e via dicendo. Sono indicatori abbastanza
visibili e individuabili.

La patologia individuale. Gelosia nelle patologie.


Da un punto di vista nosografico, i Disturbi Mentali che di solito si trovano alla radice della gelosia
patologica sono rappresentati da
 Scompensi psicotici acuti; disturbi deliranti; psicosi involutive; alcool e tossicodipendenze;
sviluppi di personalità.
La diagnosi differenziale tra gelosia delirante e non delirante non può, in questo difficile ambito,
limitarsi al riconoscimento di un’ideazione e di pensieri non usuali, ma deve tenere conto
1. Del modo in cui la tematica prevalente o esclusiva viene espressa;

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2. Della correlazione che la medesima ha o meno con un funzionamento di natura patologica


psichica;
3. Della presenza o meno di altri indicatori clinici di disturbo mentale maggiore.

La gelosia come indicatore di un funzionamento perverso


Esistono forme di gelosia molto frequenti e non necessariamente patologica alla cui base si può
trovare un funzionamento di personalità caratterizzato da tratti narcisistici e paranoidei (gelosia,
possessività, diffidenza, intransigenza, ricerca esasperata di rinforzi, insicurezza, angosce
variamente orientate) che si possono mescolare tra di loro in misura più o meno ampia.
La richiesta psicologica che il geloso rivolge all’oggetto delle sue “attenzioni” è comunque quella di
essere rassicurato o risarcito. Infatti, in generale, tutti i comportamenti e i delitti legati alla
tematica della gelosia sono sottesi da un’incapacità di elaborare la perdita, vissuta come seria
ferita narcisistica. In un rapporto affettivo che finisce, ad esempio, il soggetto, per difendersi
dall’angoscia di perdita e d’impotenza legata alla sua incapacità di accettare la rottura dello stesso,
mette distanza, disumanizza l’oggetto del proprio desiderio. Incapace di superare la ferita
narcisistica e di istituire legami oggettuali di natura benigna, colui o colei il cui funzionamento
psicologico è orientato verso la perversione usa rabbia e ostilità contro l’altro da Sé, ricorrendo a
meccanismi di funzionamento psichico primitivi.
Nela dinamica della depressione delirante il quadro è dominato dal delirio di gelosia nei confronti
del partner con seguito di maltrattamenti, lesioni, percosse fino all’omicidio. A questa convinzione
il soggetto arriva senza un motivo accertato ed essa è fondata su deduzioni non corrette
supportate da piccoli indizi interpretati come «prove evidenti», raccolte e usate per giustificare il
delirio. Il soggetto generalmente cerca il confronto con il coniuge e tenta di intervenire contro
l’infedeltà immaginaria (per es. restringendo l’autonomia del coniuge, seguendolo segretamente,
investigando sul presunto amante, attaccando fisicamente il proprio coniuge).

La dinamica della perdita


Che tratti di gelosia “normale”, “perversa” o “patologica”, il problema è sostanzialmente quello
della perdita, non tanto del tradimento. La perdita dell’oggetto da cui si esigono rassicurazioni
perverse o patologiche provoca e ingloba una perdita ben più estesa. Il paziente perde (o teme o è
convinto di perdere) la sua capacità di piacere, la sua ragione di vivere, il suo valore personale, la
sua identità sociale.
La tematica della gelosia assume connotazioni che vanno dalla “normalità” alla “psicosi” a seconda
dell’uso che della stessa fa la persona che è stata collocata in una delle quattro dimensioni
fondamentali del funzionamento psichico individuale e cioè quelle:

 della normalità;
 dell’abnormità (nevrotica o psicopatica);
 degli stati “al limite”;
 della psicosi.

1. La dinamica della perdita nella dimensione normale.


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La dinamica della perdita si colloca in una dimensione relazionale in cui l’altro è stato vissuto in
una relazione amorosa, che implica il riconoscimento delle rispettive individualità, ma anche la
consapevolezza che vivere significa anche accettare separazioni e del distacchi e che pertanto
l’elaborazione del lutto è parte integrante della capacità di conferire senso e significato a
determinati eventi della vita.
2. La dinamica della perdita nella dimensione abnorme.
La dinamica della perdita può essere ricondotta a una dimensione relazionale perversa propria di
determinati autori di reato connotati da tratti o disturbi di personalità.
In questi casi, per dottrina e giurisprudenza conformi, nulla è la rilevanza psichiatrico-forense
dell’agito distruttivo, perché in questi funzionamenti di personalità (perversione, nevrosi,
psicopatia) genesi (progettazione) e dinamica (esecuzione) del comportamento criminale indicano
che nello svolgimento complessivo e nel resoconto retrospettivo dello stesso, l’autore ha
conservato e conserva, indenni, le aree funzionali del suo Io.
3. La dinamica della perdita nei disturbi gravi di personalità.
La dinamica della perdita in questi soggetti è caratterizzata da una tematica depressiva che si
accompagna, nei casi di scompenso acuto, alla frammentazione dell’unitarietà dell’Io, cui si può
accompagnare una risposta violenta e autodistruttiva.
La gravità del disturbo di personalità si esprime:
 O come scissione transitoria che consiste nell’alterazione dell’esame di realtà (e ciò
comprende deliri, allucinazioni, disturbi affettivi maggiori) che descrivono quello che è l’
episodio psicotico; oppure come alterazioni del sentimento di realtà (perdita dei confini tra
mondo interno e mondo esterno; incapacità di differenziare il Sé dal non Sé, distorsioni
percettive) = episodio borderline
 O come scissione di base (dominanza di seri vissuti d’inadeguatezza e di persecutorietà,
disforia rabbiosa, senso di vuoto e di freddo interiore, impulsività autodistruttiva,
improvvisi e violenti attacchi di angoscia incoercibile autodiretta, carenze di funzione
riflessiva della coscienza, assenza di una continuità significativa tra il proprio passato e il
proprio presente).

4. La dinamica della perdita nei disturbi psicotici.


La tematica della gelosia può essere sintomatica di un funzionamento francamente psicotico o di
uno scompenso acuto, che si riscontra nella paranoia, nella schizofrenia paranoide, nelle psicosi
tossiche e in quelle involutive.
Nei casi più evidenti e clamorosi di scompenso borderline o psicotico, si possono rintracciare nel
soggetto in esame i seguenti indicatori d’indubbio significato patologico psichico:
 presenza di fattori stressanti che precedono lo scompenso;
 frattura rispetto allo stile di vita abituale;
 evidente sproporzione della reazione (“quid novi” e “quid pluris”);
 compromissione dello stato di coscienza e presenza di dismnesia;

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 disturbi della percezione;


 idee deliranti non organizzate;
 gravi turbe dell’affettività e del tono timico;
 compromissione rilevante e grave delle funzioni autonome dell’Io.
 comportamento organizzato/disorganizzato.
Nei casi meno conclamati, la patologia può rispettare alcune aree funzionali dell’Io, la cui
conservazione potrebbe convenzionalmente consentire di graduare il vizio di mente da “totale” a
“parziale”.
Questo tipo d’impostazione assume tutta la sua rilevanza quando si affronta l’aspetto valutativo
psichiatrico forense, perché il poter conferire o meno significato di infermità a un agito violento ha
pesanti ripercussioni sul trattamento penale dell’autore di reato, non solo in punto vizio di mente,
ma anche con riferimento al complesso tema della sua pericolosità sociale psichiatrica e giuridica,
nonché alla concessione o meno di misure coercitive o alternative, rispettivamente applicabili
nella fase della cognizione e della esecuzione della pena detentiva.
In una valutazione psichiatrico forense tutti questi aspetti non possono essere sottaciuti o ignorati
alla radice, pena l’impossibilità di giungere al nocciolo della questione: rispondere ai quesiti
peritali in termini di vizio di mente e pericolosità sociale psichiatrica.
Inoltre, è fondamentale a livello preventivo e di intervento:
 essere in grado di stabilire e mantenere relazioni oggettuali mature;
 acquisire la capacità di elaborare il lutto derivante dall’abbandono reale, paventato o
presunto da parte degli oggetti relazionali;
 essere in grado di dare senso, significato e contenuti alle nostre solitudini e ai nostri
distacchi.

Il sordomutismo
L’art. 96 c.p. così testualmente recita:
«Non è imputabile il sordomuto che, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva, per
causa della sua infermità, la capacità di intendere o di volere (omissis)».

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Quindi:
Bisogna invece accertare, caso per caso, se il sordomuto - per causa o in conseguenza della sua
infermità - avesse o meno detta capacità. Si tratta, peraltro, d’indagine peritale del tutto
eccezionale e che viene richiesta in pochissimi casi, per cui il relativo capitolo potrebbe benissimo
essere abolito dal codice penale.
Gli studi sulle cause di tale affezione hanno, infatti, ampiamente cambiato la visione e il destino di
siffatti soggetti, un tempo relegati, per impossibilità di interventi terapeutici idonei e
inadeguatezza di criteri eziopatogenetici e diagnostici, nel vasto, confuso, indeterminato gruppo
degli emarginati, etichettato come patologismo aprioristico.
Didatticamente si fanno distinzioni tra:
 Sordomutismo puro e sordomutismo sintomatico: il primo è la manifestazione di una
compromissione primaria dell’udito verificatasi durante la vita intrauterina o nei primi
tempi della vita; il secondo è il sintomo di una più complessa lesione encefalica (da fattori
tossici, infettivi, dismetabolici, traumatici, ecc.), che di solito si accompagna a quadri di
insufficienza mentale di maggiore o minore gravità;
 Sordomutismo congenito e sordomutismo acquisito: ci si riferisce al momento in cui si è
stabilito il danno, con conseguenze diverse, a seconda che il soggetto abbia perduto l’udito
nei primi anni di vita rispetto al fatto che sia nato già sordo;
 Sordomutismo educabile e non educabile;
 Sordomutismo trattato e non trattato.
La perdita dell’udito è misurabile in decibel (tramite un apparecchio detto audiometro, attraverso
il quale è possibile ottenere delle curve audiometriche o audiogrammi raffiguranti la perdita in
decibel).
Queste prove sono particolarmente utili per distinguere i quadri patologici organici da quelli
psicogeni, in cui la sordità e il correlato mutacismo sono da attribuire a disturbi nevrotici o psicotici
variamente connotati, piuttosto che ad alterazioni anatomiche.
Come soggetto passivo, può essere vittima del reato di circonvenzione o di reati sessuali.
Per quanto si riferisce alla metodologia dell’accertamento peritale, il perito può avvalersi della
collaborazione di uno o più interpreti, nominati dall’autorità che procede e scelti di preferenza tra
le persone abituate a trattare con il sordo, il muto o il sordomuto (art. 144, comma d), c.p.p.). Il
magistrato, in casi siffatti, autorizza il perito ad avvalersi della collaborazione dell’interprete al
quale conferisce l’incarico (art. 146 c.p.p.).

Accertamenti peritali sulla vittima


L’accertamento sulle condizioni di mente di una vittima può essere disposto in quattro casi:
 Reati sessuali;
 Abusi sessuali infantili e aggressioni sessuali in danno di minori;
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 Maltrattamenti di minori;
 Circonvenzione di persona incapace.

Art. 609-bis Violenza sessuale


«Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o
subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.5-10 anni
Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:
 Abusando delle condizioni d’inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento
del fatto;
 Traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.
Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi».
In altre parole, il reato si concreta quando esiste:
 costrizione a compiere o subire atti sessuali mediante violenza o minaccia o abuso di
autorità;
 induzione a compiere o subire atti sessuali:
- mediante abuso delle condizioni di inferiorità psichica o fisica della persona offesa,
al momento del fatto;
- mediante sostituzione di persona.
Sono previste circostanze aggravanti (art. 609-ter. reclusione da sei a dodici anni: 6-12 anni)
quando gli atti sessuali sono commessi su persona (la vittima) che al momento del fatto:
 non ha compiuto gli anni 14;
 non ha compiuto gli anni 16, quando il colpevole ne è l’ascendente o il tutore o il genitore
anche adottivo;
 è sottoposta a limitazioni della libertà personale;
 all’interno o nelle immediate vicinanze di un istituto di istruzione o di formazione
frequentato dal minore;
 nei confronti di donna in stato di gravidanza;
o da persona (/ ’autore) che:
 ricorre all’uso di armi o di sostanze alcooliche, narcotiche o stupefacenti o di altri strumenti
o sostanze gravemente lesivi della salute della persona offesa;
 travisi o simuli la qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio.
Un’altra aggravante (pena tra sette e quattordici anni) è rappresentata dal fatto che la vittima non
abbia compiuto gli anni dieci.
“Chiunque compie atti sessuali in presenza di persona minore di anni quattordici, al fine di farla assistere, è
punito “. Può provocare violenza assistita. Analogamente, se gli mostra materiale pornografico al fine di
indurlo a compiere atti sessuali.

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Violenza sessuale di gruppo:Oltre al 'abolizione di ogni distinzione tra violenza carnale e atti di libidine
violenti (esistente invece negli articoli abrogati), un’altra innovazione è costituita dall’articolo che prevede e
punisce la violenza sessuale commessa da più persone.

Adescamento di minori : L’articolo 609 punisce chi ha lo scopo di commettere uno dei reati di
pedopomografia o prostituzione minorile, ovvero violenza sessuale in tutte le sue declinazioni mediante atti
volti a carpire la fiducia del minore di anni 16 attraverso artifici, lusinghe o minacce posti in essere anche
mediante l’utilizzo della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione. È vietato divulgare le
generalità e l’immagine della persona offesa senza il suo consenso.

Infine, per quanto si riferisce ai delitti contro la morale familiare, il codice penale prevede e punisce
l’incesto.

Art. 564 Incesto

«Chiunque, in modo che ne derivi pubblico scandalo, commette incesto con un discendente o un
ascendente, o con un affine in linea retta, ovvero con una sorella o un fratello, è punito (omissis)».

Se trattasi di relazione incestuosa la pena della reclusione è aumentata; così pure la pena è aumentata, se
trattasi di incesto commesso da persona maggiore di età con persona minore degli anni 18.

Se non ricorrono le condizioni dinanzi elencate, cioè:

 Violenza, minaccia, abuso di autorità, inganno, inferiorità psichica o fisica, età: tutti fattori che
possono invalidare il consenso della vittima;
 Rapporto di parentela, condizione di adozione o di tutela, ragioni di cura, di educazione, di
istruzione, di vigilanza o di custodia;
 Abuso delle qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio nell’esercizio delle
proprie funzioni;
 Atti sessuali compiuti in luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico;
 Atti sessuali compiuti in presenza di persona minore degli anni quattordici, al fine di farla assistere a
detti atti;

non ci sono i presupposti, perché il comportamento sessuale sia oggetto di procedimento penale.

Inferiorità psichica
Cos’è l’inferiorità psichica?
L’inferiorità psichica è l’incapacità, anche transitoria, di intendere o di volere e quindi di prestare
valido consenso.
L’art. 609 bis2 c.p. parla di “indurre” taluno a compiere atti sessuali, lasciando intendere che il
soggetto attivo compia un’opera di persuasione tale da portare la vittima a prestare un consenso,
seppur invalido.
L’origine dell’inferiorità fisico-psichica è irrilevante, salvo che sia dipesa dal dolo dello stesso
soggetto attivo del reato sessuale, il quale, in questo caso, risponderà di “violenza sessuale”
(avendo agito con violenza).
Quindi in parole povere: siamo di fronte ad una persona che cede all’atto sessuale ma solo perchè
stata persuasa o convinta dopo che l’autore di reato ha sfruttato la sua inferiorità psichica o fisica.
Questo è quello che ho capito io.
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Malattia mentale e inferiorità psichica


La malattia mentale (che raggruppa genericamente tutti i disturbi mentali) non è più
esplicitamente contemplata come causa specifica aggravante il reato, ma è riassorbita nella
nozione molto più appropriata e pertinente di inferiorità psichica. Si pone, cioè, l’accento
sull’eventuale effetto del disturbo mentale sul funzionamento psichico e sulla capacità di decidere
della vittima e non sulla malattia come elemento di per se sufficiente per sostenere l’esistenza
della suddetta inferiorità. È abolito, in tal modo, ogni presunto parallelismo tra disturbo mentale e
inferiorità psichica.
Per comprendere meglio: per esserci inferiorità psichica è necessario che la persona si trovi in una
posizione di debolezza che viene sfruttata dalla persona autrice di reato. La vittima, essendo
debole, cede alle pressioni esterne, possibilmente finendo anche per avere un ruolo attivo. Ma ciò
non toglie che comunque è stata indotta a farlo.
Quindi sì, può esserci un disturbo mentale di cui l’autore si è approfittato, così come può non
esserci disturbo, ma un’alterazione di coscienza transitoria di cui si è comunque approfittato. La
persona può aver fatto anche uso di alcolici. Essendo ubriaca è facilmente persuadibile.
Quindi:
In altre parole, è superata la concezione di una violenza sessuale consistente in un passivo subire
da parte della vittima e si introduce un concetto molto più ampio, secondo il quale si ammette che
la vittima si possa anche trovare nella condizione attiva, partecipe di colei che compie o subisce
atti sessuali. Se però, in questi casi, la partecipazione e il consenso sono il frutto dell’induzione,
della persuasione, dell’incitamento da parte di persona che si approfitta, si avvantaggia, si avvale
(= abusa) delle condizioni d’inferiorità fisica o psichica della persona offesa, allora si parla di
violenza sessuale (art. 609-bis).
In tutti questi casi, infatti, il consenso è viziato, non libero, condizionato. Se non c’è «inferiorità»
manca, però, il presupposto giuridico per l’abuso.

Cosa viene chiesto al perito?


Le nozioni di inferiorità e di deficienza psichica sono nozioni cliniche, la cui rilevanza penale (se in
quel contesto sapere che una persona è inferiore psichicamente è utile o meno) spetta al giudice e
non al perito accertare.
Al perito viene chiesto di accertare se nel contesto penalmente rilevante e in riferimento al fatto
per cui si procede, il funzionamento mentale della persona fosse alterato, tale da renderlo persona
in condizioni di inferiorità mentale.
Al perito/consulente potrebbe, pertanto, essere posto un quesito di questo tipo:
«Ricostruisca il perito l’identikit clinico di C.R. (nome e cognome della vittima), analizzandone
aspetti funzionali, relazionali e sistemici. Accerti se, nel contesto penalmente rilevante e in
riferimento al fatto per cui si procede, il funzionamento mentale di C.R. fosse tale da renderlo
clinicamente persona in condizioni di inferiorità di mente».

Cos’è l’inferiorità fisica?


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L ’inferiorità fìsica
Per quanto concerne l’inferiorità fisica varia da quella relativa a quella assoluta.
Le condizioni d'inferiorità fisica relativa, di per sé sole considerate, non assumono rilevanza, se
non quando possano favorire una condizione di abuso e comportino una situazione clinica di
inferiorità psichica.
Le condizioni d'inferiorità fisica assoluta, invece, anche alla presenza di un quadro di normalità
psichica, possono implicare una condizione di abuso di per se stessa rilevante a fini forensi.
In dette condizioni la vittima non è, infatti, in grado di opporre resistenza alcuna a qualsiasi
individuo voglia violentare la sua libertà sessuale. Il soggetto passivo, in altre parole, si trova in una
situazione che non gli consente - anche se lo vuole - di opporre resistenza.

In che cosa consiste la circonvenzione di incapace?


L’art. 643 c.p. così testualmente recita:
«Chiunque, per procurare a sé o ad altri un profitto, abusando dei bisogni, delle passioni, o
dell’inesperienza di una persona minore, ovvero abusando dello stato di infermità o deficienza
psichica di una persona, anche se non interdetta o inabilitata, la induce a compiere un atto, che
importi qualsiasi effetto giuridico per lei o per altri dannoso, è punito (omissis)».
- Oggetto della tutela è la protezione da ogni forma di sfruttamento subdolo di persone che
si trovino «in condizioni psichiche particolari» (v. oltre).
 Soggetto attivo del reato è «chiunque».
 Soggetto passivo è il minore degli anni 18 o la persona maggiorenne in stato di infermità o
di deficienza psichica.
A differenza della truffa, la circonvenzione è reato di pericolo e non di danno; come già detto,
presuppone particolari condizioni nel soggetto passivo, non implica di necessità l ’uso di artifici o
raggiri, essendo sufficienti consigli, esortazioni, blandizie, lusinghe, l’isolamento con promessa di
assistenza, mantenimento, tutela e altro. Si consuma inducendo, attraverso il meccanismo di
abuso-approfittamento normativamente descritto, l’incapace a compiere un atto che importi un
qualsiasi effetto giuridico (potenzialmente) «dannoso», non essendo peraltro necessario che, poi,
in concreto, l’effetto dannoso si sia materialmente verificato.
Ma se il vantaggio che il soggetto attivo procura a sé o ad altri viene conseguito con violenza o
minaccia, il titolo di reato sarà quello di estorsione (art. 629 c.p.).
E’ necessario: che l’agente abusi, ossia che - essendo a conoscenza delle stesse - approfitti
consapevolmente' delle particolari condizioni di mente del soggetto passivo «per procurare a sé o
ad altri profitto», cioè per indurre, persuadere la vittima al compimento di atti che importino
conseguenze giuridiche per lei o per altri dannose. Il «profitto» non è solo di ordine materiale,
economico-patrimoniale (donazioni, confessioni di debito, procure, ecc.), ma anche di altra natura,
come la promessa di matrimonio, il riconoscimento di un figlio naturale, la confessione di un reato
mai compiuto.
Cosa fa il perito in questo caso?

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L’incombenza affidata al perito è di accertare le condizioni dì circonvenibilità per deficienza


psichica o per infermità di mente del soggetto passivo (= la verità clinica), non di pronunciarsi
sull’avvenuta o meno circonvenzione (= la verità processuale). Questo compito compete
esclusivamente al magistrato e, proceduralmente, segue l’accertamento peritale.
Ovvero: accertare se la persona si trovava in una condizione tale per cui era possibile
circonvenirlo. Non deve dire se effettivamente è stato circonvenuto o meno.

Cos’è la deficienza psichica?


La deficienza psichica è invece un concetto giuridico, non clinico, attraverso l’introduzione del
quale, come nel caso dell’inferiorità psichica per i reati sessuali, il legislatore ha inteso offrire la
massima tutela alla vittima di tale reato.
Secondo un principio dominante nella giurisprudenza, rientra nell’ambito della deficienza psichica
qualsiasi alterazione mentale, anche transitoria, che alteri la capacità di intendere o di volere del
soggetto passivo, compromettendone la corretta autonomia decisionale.
Al riguardo, lo stato di infermità o deficienza psichica del soggetto passivo non deve
necessariamente consistere in una vera e propria malattia mentale, ma può sostanziarsi in tutte le
forme in cui vi siano un’incisiva menomazione delle facoltà di discernimento o di determinazione
volitiva, un abbassamento intellettuale e delle capacità di critica, tali da diminuire i poteri di difesa
contro le insinuazioni e le insidie e da rendere possibile l’intervento suggestivo dell’agente; deve
cioè essere esclusa la capacità del circonvenuto di avere oculata cura dei proprie interessi».

Circonvenzione
E’ dunque necessario dimostrare che - al momento del fatto - era presente un quadro di rilevanza
clinica che ha indotto nella vittima rispettivamente uno stato di suggestibilità particolare (cioè non
direttamente collegabile a patologia psichiatrica maggiore) o patologica (riconducibile cioè a un
disturbo mentale grave e nosograficamente classificato), tale da compromettere la sua capacità
decisionale.

Capacità che — sia pur «alterata» — deve sempre essere presente .

Vittimologia
La vittimologia è quella disciplina che studia il comportamento violento dalla parte della vittima,
ma che non trascura l’autore di reato e il contesto in cui il delitto avviene. Include inoltre lo studio
delle reciproche, possibili interazioni tra vittima, aggressore, sistemi della giustizia penale,
comunicazioni di massa e agenzie di controllo sociale e di aiuto, al fine di giungere a un’esauriente
conoscenza e comprensione dei protagonisti del reato, a scopo terapeutico, preventivo e
riparatorio.

Quali sono le due fasi della vittimologia?


Le due fasi della vittimologia sono:
 La conoscenza: studio delle interazioni tra autore e vittima
 L’intervento: che fare per meglio rispondere ai bisogni della vittima (e dell’autore).
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Chi è la vittima?
Persona che, individualmente o collettivamente, ha sofferto una lesione, incluso un danno fisico o
mentale, sofferenza emotiva, perdita economica o una sostanziale compressione o lesione dei
propri diritti fondamentali attraverso atti od omissioni che siano in violazione delle leggi penali
operanti all'interno degli Stati membri, incluse le leggi che proibiscono l'abuso di potere
criminale».

Comportamento violento
A proposito del comportamento violento, mi è caro premettere una distinzione tra:
 comportamento violento = condotta attraverso la quale si manifesta la distruttività umana,
l’incapacità di comunicare, l’assenza o la perdita di rapporto significativo con l’altro(a): si
tratta quindi di una condotta contro la vita e al servizio della morte;
 comportamento aggressivo = serie di condotte funzionali alla conservazione e alla tutela
dell’individuo e/o della specie: è quindi un movimento verso la vita e non per la morte.
Il comportamento violento non è solo circoscritto alle manifestazioni estreme dell’uccidersi o
dell’uccidere, ma con una frequenza infinitamente superiore si manifesta e si disperde in una
miriade di espressioni che non toccano il corpo come tale, bensì il cuore e la mente. Violenza è
anche il tramonto della tenerezza e del dialogo, il silenzio scontroso, la rassegnazione,
l’indifferenza, la rinuncia, l’abbandono, il dire e il fare intrisi di non rispetto, di rassegnata sfiducia
o di sprezzante disistima.

Come tracciare linee di intervento a favore della vittima?


Un approccio al problema che voglia tracciare linee che aiutino a comprendere e, di conseguenza,
a costruire ipotesi di intervento, è quello di analizzare il rapporto che si è venuto a creare tra
vittima e carnefice, ricercare (dalla parte dell’autore e della vittima) i motivi che hanno spinto
l’autore a scegliere quel dato soggetto piuttosto che un altro, sapere se sia stato sollecitato,
provocato o meno dalla sua vittima, magari senza che questa se ne sia resa conto. Questa modalità
conoscitiva può offrire un contributo importante non solo alla comprensione del reato commesso,
ma anche all’aiuto di chi lo ha subito a capirne il perché e a superare i traumi che ne sono derivati
e che ne possono derivare. Reali o presunte che siano, le caratteristiche relazionali e situazionali
devono pertanto essere sempre esplorate per comprendere appieno i ruoli rispettivamente
assunti. Dalla neutralità alla provocazione esiste tutta una serie di variabili e di sfumature che
animano e caratterizzano gli scenari di violenza. Il rapporto che lega la vittima al suo carnefice, poi,
può produrre addirittura una vera e propria inversione di funzioni, con assunzione da parte della
vittima del ruolo di elemento scatenante e determinante l’evento.

Attenzionare:
 Caratteristiche situazionali.

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Un soggetto, infatti, può diventare criminale o vittima secondo le circostanze; la vulnerabilità di


una persona può derivare dal fatto di risiedere in determinate aree urbane, in cui elevata è la
possibilità di avere contatti con delinquenti.
 Caratteristiche culturali e sociali.
Minoranze, istituzioni e collettività costituiscono un altro fertile serbatoio che fornisce vittime e
carnefici. Esistono poi dei casi in cui la vittimizzazione di un componente è l’espressione di un tipo
particolare di cultura che vede la violenza come il modello condiviso e accettato di comunicazione
interpersonale.
 Situazioni di conflittualità e ambivalenza autore/vittima.
In una relazione altamente conflittuale, l’autore può perdere (o teme o è convinto di perdere o di
non possedere) la sua capacità di piacere, la sua ragione di vivere, il suo valore personale, la sua
identità sociale e si sente non tanto offeso quanto devalorizzato; soffre di un convincimento più o
meno profondo e problematizzato di indegnità e di incapacità amorosa e non si sente (più)
risarcito nei propri bisogni di rassicurazione e di riconoscimento di status che gli danno il senso del
suo esistere. Analoga dinamica può essere riscontrata nella vittima partecipe, quando è la stessa
che si propone in maniera molto ambivalente come colei che respinge/rifiuta e, al contempo,
cerca/desidera il suo carnefice, per ottenere con la violenza quei rinforzi narcisistici che solo il
carnefice è, a suo avviso, in grado di fornirle.
Per quanto riguarda le caratteristiche individuali delle vittime, occorre tenere presente che
caratteristiche biofisiologiche (età e sesso), psicologiche (tratti di personalità) e/o sociali
(professione, status, condizioni di vita, situazione economica) possono predisporre certi individui
piuttosto che altri a divenire vittime di reato. Un aspetto molto sottolineato dagli psicologi del
profondo è quello e del ruolo giocato dai tratti di personalità della vittima nel conferire significati
all’abuso subito.
A parte questi e altri tratti di personalità che possono costituirsi in veri e propri disturbi di
personalità (dipendente e narcisista, ad esempio) talvolta anche gravi (funzionamenti borderline),
non si dimentichi la vulnerabilità degli insufficienti mentali nei quali il deficit intellettivo talvolta è
primitivo, ma più frequentemente è condizionato da elementi conflittuali reattivi o da carenza di
fattori psicopedagogici, nozionistici, culturali e socio-ambientali (cc.dd. fattori secondari); dei
ciclotimici in fase ipomaniacale; degli schizofrenici nella fase iniziale della loro malattia; degli
organici: ognuno di questi pazienti contribuisce in maniera differenziata e specifica alla costruzione
del contesto e della situazione vittimologica, giocando ruoli estremamente variabili a seconda del
tipo di rapporto che si instaura con l’aggressore o l’induttore. Inoltre, un contributo non certo
indifferente danno soggetti alcool e tossicodipendenti.

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Tomo 2
Il minore
Prima di parlare del minore è necessario fare una distinzione tra le Indagini peritali
riguardanti il minore come autore di reato e quelle che lo vedono nelle vesti di
vittima o di testimone.
Nel primo caso, quindi minore come autore di reato, periti e giudici hanno a che
fare con la definizione della controversa nozione di maturità/immaturità, andata
incontro, negli anni recenti, a profonde e rivoluzionarie rivisitazioni.
Negli altri due casi, a differenza di quanto avviene di consueto per l’adulto, il
minore è sostanzialmente esaminato nella sua veste di vittima, e, al contempo, di
testimone con specifico riferimento alla sua idoneità a rendere testimonianza.
Occorre ancora sottolineare due aspetti peculiari che connotano gli accertamenti
e i provvedimenti in ambito minorile:
1. L’intervento tuttora in essere del Tribunale per i Minorenni, con le sue
particolari e specifiche competenze che lo distinguono radicalmente da quello
Ordinario e il ricorso pressoché esclusivo alle discipline psicologiche rispetto a
quelle psichiatriche nel quotidiano lavoro accanto e per il suddetto Tribunale.
2. L’istituendo, contestatissimo Tribunale per la famiglia, che afferisce al Tribunale
ordinario con competenze civilistiche in tema di affidamento e adozione.
La materia minorile tratta di un insieme di norme, regole, prassi che - in ambito
sia civile sia penale - è rivolto sostanzialmente alla tutela di una fascia di età in cui
preminente è la funzione di protezione e di promozione di un armonico e
funzionale sviluppo psicofisico e psicosociale della persona.

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Pertanto il giudizio e la punizione, a torto o a ragione, sono stati


progressivamente posti in secondo piano rispetto agli obblighi etici e giuridici.
Ne è conseguito che il “proteggere” e “l’aiutare” il minore dissociale o
delinquente hanno assunto una funzione più preminente sul “sanzionare” e
“neutralizzare”; quindi il “comprendere” ha occupato spazi sempre più ampi.

Il minore autore di reato


Il trattamento giuridico
Art. 97 c.p. Minore degli anni 14
«Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva compiuto i 14 anni».
Art. 98 c.p. Minore degli anni 18
«E’ imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, aveva compiuto i 14 anni, ma non
ancora i 18, se aveva capacità di intendere e di volere; ma la pena è diminuita» .
I comportamenti di più frequente riscontro sono:
1. Devianze, quali:
 fughe da casa
 inadempienze scolari
 alcool e tossicodipendenze,
 alterazioni della condotta sessuale
 tentativi di suicidio
 comportamenti oppositivo-provocatori
 trasgressioni delle norme sociali

2. Delitti, quali:
 delitti contro l’ordine pubblico
 agiti distrattivi (delitti contro la vita e l’incolumità personale)
 delitti contro la libertà personale (delitti sessuali)
Per minore di età si intende quel periodo della vita che va dai 0 ai 18 anni e che assume una
particolare importanza ai fine dell’accertamento della capacità di intendere e di volere, cui
segue la punibilità del soggetto autore di reato. Nel codice penale italiano si presume che
prima dei 14 anni non esista capacità di intendere e di volere e che, dopo i 18 anni, l’individuo
sia, salvo prova contraria (ed è rilevante solo la patologia di mente) sufficientemente maturo e

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responsabile per conoscere e saper rispettare gli interessi altrui, per autodeterminarsi e per
vivere senza violare la norma penale.
- Quando pertanto l’imputato non ha ancora compiuto i 14 anni, il giudice pronuncia
immediatamente sentenza di non luogo a procedere. (Il caso viene archiviato)
- Per i soggetti in età compresa tra i 14 e i 18 anni, l’art. 98 c.p. fa carico al giudice di
accertare, di volta in volta, se il minore in oggetto, al momento del fatto, avesse
capacità di intendere e di volere. Ci si riferisce in pratica alla maturità mentale. Il discorso
circa l’imputabilità è fatto in termini dicotomici: o il minore in esame è maturo e allora è
imputabile; o è immaturo e allora non è imputabile. Maturo=punibile (ma la pena è
ridotta perché è infradiciottenne) ; Immaturo= non punibile

Le conseguenze pratiche sono le seguenti:


1. Se il minore è riconosciuto maturo, è dichiarato imputabile. Il processo e l’eventuale sua
condanna, però, sono subordinate alle seguenti altre soluzioni che debbono essere
adottate in via prioritaria:
- Sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto (archiviazione del caso);
- Sospensione del processo e messa alla prova;
- Dichiarazione di estinzione del reato per esito positivo della prova;
- Se la sentenza di condanna consiste in una pena detentiva non superiore a due anni, il
giudice può sostituirla con la sanzione della semidetenzione o della libertà controllata.
- Se la condanna non supera i tre anni di reclusione, al minore imputabile può essere
concessa la sospensione condizionale della pena.
La pena della reclusione è irrogata solo se è possibile terminare il processo con una sentenza di
condanna superiore a tre anni di detenzione. Il riferimento è a tutti quei reati che consentono al
giudice di disporre la custodia cautelare.
Messa alla prova vuol dire:l’esecuzione del lavoro di pubblica utilità, consistente in una
prestazione gratuita in favore della collettività; l’attuazione di condotte riparative, volte ad
eliminare le conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato; il risarcimento del danno
cagionato e, ove possibile, l’attività di mediazione con la vittima del reato.
2. Nel caso sia dichiarato immaturo, non sarà imputabile e quindi non potrà essere né
processato né condannato: verrà, cioè, prosciolto per immaturità (ex art. 98 c.p.).

La messa alla prova è un istituto ben conosciuto nel processo penale a carico d’imputati
minorenni.
Tribunale per i minorenni

L’organo competente per giudicare i minorenni e per emettere qualsiasi altro provvedimento
nei loro confronti (in sede amministrativa e civile) è il Tribunale per i minorenni, che esiste in
ogni distretto sede di Corte d’Appello. È presieduto da un magistrato di Corte d’Appello ed è
composto da giudici togati e da giudici onorari, scelti fra persone dotate di particolari requisiti.
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L’istruttoria nei confronti del minore è condotta sempre e solo dalla Procura della Repubblica
per i minorenni con l’intervento del G.I.P., come per l’adulto.
In caso di ricorso in Appello, il minore compare davanti alla «Sezione minorenni» della Corte
d’Appello, presieduta da un magistrato di Cassazione e composta da consiglieri di Corte
d’Appello togati e onorari.
Il Tribunale per i minorenni ha competenza penale su tutti i minori, sia che commettano reati da
soli sia con altri minorenni o con adulti.
Al giudice è assegnato il compito di motivare sempre in sentenza la decisione presa circa
l’esistenza o la negazione della maturità di ogni minore. Egli può (non deve) avvalersi dell’opera
di collaboratori, al di fuori di ogni formalità di rito o disporre una perizia psichiatrica.
L’art. 9, d.p.r. consente al magistrato (pubblico ministero e giudice del dibattimento) di
procedere ad accertamenti sulla personalità del minorenne.
Per raggiungere tale obiettivo, il pubblico ministero e il giudice: (perché il pubblico ministero?)
«Acquisiscono elementi circa le condizioni e le risorse personali, familiari, sociali e ambientali
del minorenne; possono assumere informazioni da persone che abbiano avuto rapporti con il
minorenne; possono, infine, sentire il parere di esperti, anche senza alcuna formalità».
Al giudice compete l’uso discrezionale dei mezzi opportuni e necessari per assolvere il
complesso, difficile e per molti versi controverso compito di pronunciarsi circa la maturità di un
minore. Nell’operare in tal senso:
1. Nei casi in cui sia stata disposta la custodia cautelare ,egli può utilizzare gli «organi
diagnostici» operanti presso ogni sezione di custodia preventiva per minorenni (si tratta
di uno stabilimento carcerario apposito, separato dal carcere giudiziario per i maschi
adulti e non è più inglobato nelle sezioni femminili delle carceri giudiziarie per le
ragazze). Secondo me è il carcere minorile.
2. In tutti gli altri casi, ricorre ai Servizi operanti sul territorio, ovvero:
 Gli uffici di servizio sociale per minorenni;
 Gli istituti penali per minorenni;
 I centri di prima accoglienza;
 Le comunità;
 Gli istituti di semilibertà, con servizi diurni per misure cautelari, sostitutive e
alternative.

«I servizi indicati si avvalgono, nell’attuazione dei loro compiti istituzionali, anche della
collaborazione di esperti in pedagogia, psicologia, sociologia e criminologia».
Il parere dei tecnici, richiesto dal magistrato attraverso la Direzione dell’Istituto in cui il minore
è detenuto, è un mezzo che si affianca alla perizia, e può sempre sostituirla, pur senza
costituirne il necessario surrogato.
L 'un mezzo non esclude l'altro, anche se la prassi che va per la maggiore è quella di chiedere la
«relazione di sintesi» (o «osservazione della personalità») e non la perizia, in quanto la perizia è

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disposta, per esperienza personale, solo nei casi di delitti contro la vita e l’incolumità
individuale (omicidio singolo o plurimo, individuale o di gruppo, infanticidio) e contro la libertà
personale (violenza sessuale di gruppo, violenza sessuale seguita dalla morte della vittima): di
reati molto gravi, quindi, a notevole impatto sociale e mass mediatico.
La perizia nei minori = quando e perchè viene chiesta?

La perizia nella minore età è necessariamente, salvo rari casi, soprattutto psicologica, o, meglio,
psico-sociale, essendo quello della maturità l’accertamento che nettamente predomina su
quello dell’esistenza (peraltro assai rara) di un eventuale quadro di patologia di mente. Come
già detto, essa è disposta attraverso le stesse modalità seguite nella maggiore età.

Il magistrato può chiedere allo specialista di soffermarsi «sullo studio della forza di carattere del
minore, sulla capacità di valutare l’importanza di certi valori etici e sulla attitudine a distinguere
il bene dal male, l’onesto dal disonesto, il lecito dall’illecito; nonché l’attitudine a volere
determinarsi nella scelta».
Tornando al discorso di prima:
L’osservazione, quale approfondito studio della personalità del soggetto, comporta la
necessità della considerazione unitaria di tutti gli elementi raccolti, elementi che attengono al
minore, all’ambiente in cui è vissuto e ai possibili sistemi di trattamento. Ne deriva che i vari
specialisti dovrebbero operare insieme, attraverso la costituzione dell’équipe, in cui lo
psichiatra (quando necessario), lo psicologo, l’assistente sociale e l’educatore portano, nella
discussione, i risultati del proprio lavoro. Tali risultati e i dati di fatto acquisiti dovrebbero essere
poi esaminati e considerati insieme, in modo da pervenire a una conclusione che è espressa in
un rapporto unitario o relazione di sintesi.
I risultati dell’équipe sono pareri espressi sotto forma di relazione all’organo qualificato per
decidere sul caso. Lo scopo è di esaminare la personalità del minore e suggerire le misure e il
trattamento rieducativo più idonei per assicurarne il recupero e il reinserimento sociali.
È da segnalare, a questo punto, che là dove è possibile si cerca di mantenere vivo o di ricucire il
rapporto tra il ragazzo e la sua famiglia in quanto il minore ha diritto ad essere rieducato nel
contesto familiare.
Come è cambiato il concetto di famiglia negli ultimi tempi?

Nella valutazione della maturità del minore, il consulente deve tener conto dei profondi cambiamenti
che si sono verificati in questi anni nel ruolo della famiglia, che da normativa è divenuta affettiva e di cui
è possibile segnalare le seguenti caratteristiche differenziali:

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Alcuni corollari di tale cambiamento non obbligatori e costanti, ma di frequente riscontro nella
pratica clinica, sono i seguenti:
 amore e accudimento prevalgono o addirittura sostituiscono regole e principi;
 l’obiettivo è costruire figli felici che vivono in una famiglia felice, riducendo al minimo il
tasso di dolore mentale e di frustrazioni narcisistiche;
 il padre ha assunto il molo matrizzato di persona accudente e soccorrevole; è uomo
bisognoso di approvazione, che blandisce, ricatta, mantiene la dipendenza in maniera
contraddittoria e colpevolizzante;
 la madre è una donna che addestra il suo compagno a fare il padre, in subordine ai
bisogni del figlio; pretende la massiccia dipendenza del figlio-bambino per dare e
ricevere gratificazioni narcisistiche (il figlio della madre);
 la regola è l’identificazione reciproca con attenzione alle ferite affettive, piuttosto che
alle violazioni delle norme e dei valori;
 i genitori mantengono e pretendono la massiccia dipendenza del figlio-bambino per
dare e ricevere gratificazioni narcisistiche;
 il figlio, confuso e incerto, privato dei collaudi esistenziali necessari per imparare a
tollerare le inevitabili frustrazioni della vita, non riesce a contrattare il suo «spazio di
libero movimento» e accampa polemicamente il diritto a rimanere un eterno
adolescente
Il tutto può essere tradotto in termini di malfunzionamento nelle relazioni oggettuali genitori-
figli.
A livello più generale

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- la predicazione e l’esemplificazione contraddittoria di valori e regole da parte del mondo


dei c.d. adulti (governanti, genitori, insegnanti, educatori che siano);
- la vanificazione del discorso dei limiti e il loro progressivo liquefarsi;
- il protrarsi dell’accudimento ben oltre il diciottesimo anno di età, con adolescenze che
spesso durano ben oltre il 25° anno e oltre;
- il mito di una felicità cui si ha aprioristicamente diritto e che non si deve conquistare nel
quotidiano;
- l’incapacità/impossibilità di elaborare i conflitti (primo fra tutti quello generazionale), i
distacchi e le perdite;
- il mancato processo di separazione-individuazione o, meglio, l’impossibilità di
contrattare il proprio spazio di libero movimento,
- il consolidarsi di relazioni oggettuali parziali, usate per quello che e fino a quando
servono;
Sono questi i fattori più importanti che, variamente combinati tra di loro, nell’età evolutiva
impediscono la possibilità di stabilire relazioni oggettuali totali e ostacolano il processo di
maturazione. Quando questo processo non si compie o è seriamente ostacolato dai fattori
poco prima esaminati, è probabile la messa in atto nell’adolescenza di atteggiamenti e/o di
condotte problematiche spicciativamente riassunte nel giudizio di «immaturità» e di volta in
volta oggetto di interesse e di intervento da parte di psicologi-, psichiatri, pedagoghi, agenzie di
controllo sociale, istituzioni giudiziarie

Immaturità

Il significato di “immaturità” o meno all’azione commessa o subita richiede pertanto che


l’analisi e la valutazione si spostino sul piano della psicologia/psicopatologia; o, meglio,
dell’esame degli eventuali disturbi che sottendono gli alterati funzionamenti dell’Io.
Quindi si comprende se il bambino è maturo o meno attraverso l’analisi del funzionamento
dell’Io. Motivo per il quale intervengono gli psicologi.
Diventa pertanto centrale la nozione di autonomia funzionale dell’Io.
Tutto ciò per ricordare che la valutazione della maturità /immaturità di un minore è lungi
dall’essere rigorosamente tecnica, risente inevitabilmente di riferimenti soggettivi poco tecnici
e tutt’altro che scientifici.
Si distinguono quattro livelli di maturità: biologica, intellettiva, affettiva e sociale.
 Sulla maturità biologica c’è ben poco da dire, se non ricordare quale importanza rivesta -
a livello psicologico - un armonico sviluppo del corpo e quali complessi d’inferiorità e
ritardi maturativi possano derivare o da un’eccessiva, rapida e precoce evoluzione
somatica o dalla presenza di menomazioni, rallentamenti o dismorfismi di crescita.
 Per quanto concerne la maturità intellettiva, c’è da osservare che il riferimento che più
consuetamente si trova in letteratura non è più al semplice valore del quoziente
d’intelligenza (Q.I.), bensì allo studio qualitativo della stessa (= il funzionamento

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cognitivo), tenuto conto della maturità affettiva, peraltro strettamente connessa con la
maturità sociale, concorrendo a individuare quella che consuetamente è nota come
«intelligenza di condotta» o «condotta adeguata».
 La maturità affettiva può essere definita come capacità che il ragazzo svi¬luppa nel
controllare le pulsioni e nell’integrare le emozioni.
 La maturità sociale, strettamente correlata con la precedente, può essere misurata
attraverso la capacità di adattamento (non di conformismo) alla real¬tà, d’inserimento
gratificante e gratificato in mezzo agli altri.
La confluenza dei fattori cognitivi, emotivi, affettivi e di esperienza pratica di vita, costituiscono
l’ «intelligenza di condotta», che è la capacità di utilizzare detta dotazione per affrontare e
risolvere i problemi dell’esistenza in maniera adattiva ed adeguata.
Quali sono i criteri utilizzabili per definire un minorenne immaturo?

Per poter parlare di immaturità è necessario attenzionare i seguenti aspetti:

 Livello intellettivo deficitario (ritardi di maturazione, mancante o inadeguata


acculturazione, analfabetismo di ritorno o scolarizzazione insufficiente, sotto
rendimento contingente variamente motivato, difetti primari del patrimonio originario);
oppure livello intellettivo nella norma con difetti settoriali a carico delle funzioni di
analisi, critica, sintesi, giudizio, anticipazione e previsione delle conseguenze dei propri
comportamenti; pensiero stereotipato, con limitazione di interessi e adesione alla realtà
di tipo passivo; evidenti difficoltà nell’elaborazione e comprensione di situazioni
complesse;
 Affettività povera, coartata, bloccata; oppure affettività labile, infantile, facilmente
scompensabile: gestione della componente affettiva non ancora adeguata; volontà di
adattamento in una personalità, che non riesce a integrare l’elaborazione e la riflessione
con l’azione; alternarsi tra ritiro e inibizione da un lato, impulsività e condotte emotive
dall’altro;
 Diffusività dell’lo: con mancata o inadeguata identificazione nel proprio ruolo personale
e sociale;
 Insufficiente costruzione del Sé: limitate capacità di impegno; progettazione e
pianificazione del presente e del futuro generiche e puerili; atteggiamenti di inerzia,
passività e attesa o progetti velleitari e pseudo autonomi; forte senso di inferiorità
associato a svalutazione personale, con aspetti depressivi e mancanza di libero e
spontaneo adattamento; identificazione sessuale non ancora definita; relazioni
eterosessuali caratterizzate da vissuti di negatività, minaccia o conflittualità; rapporto
con la sessualità inadeguato, per mancanza di integrazione e armonizzazione di tale
componente all’interno della personalità;
 Difficoltà di comunicazione variamente espresse e orientate sia verso il mondo dei
coetanei che degli adulti, con «deleghe» di diverso tipo; dal punto di vista affettivo-
relazionale, significativa difficoltà nei rapporti umani, con forte inibizione e
disadattamento sul piano emotivo e tendenza al ritiro dall’espansione relazionale o
intrusività e ipersocievolezza convenzionali;

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 Inautenticità nei rapporti umani, con alternarsi tra ritiro e inibizione, impulsività e
aggressività, desiderio di stupire e di ottenere un riconoscimento da parte delle persone
adulte, timore del conseguente impegno relazionale; spiccata suggestibilità nei
confronti dell’ambiente esterno, con atteggiamenti ambivalenti di ricerca di
comprensione e affetto e di timore di divenire oggetto d’Altri.
 Famiglia normo costituita, ma iperprotettiva: in cui le relazioni sono superficiali e
caratterizzate da solitudine e difficoltà comunicative, ma che ha messo in atto nei
confronti del figlio atteggiamenti ansiogeni di iper-controllo comportamentale
conseguenti al timore di pericoli.
Tutti questi aspetti non possono essere presi in considerazione in maniera isolata, bensì
devono essere collocati in una dimensione integrata, pena una loro valutazione parziale e
scorretta.
Da quanto precede emerge una struttura dell’Io:
 o debole, dipendente, tendente a rifugiarsi nel ruolo degradato, ma più protettivo del
delinquente;
 o labile, impulsiva, pseudo autonoma, tesa a mascherare stenicamente la propria
insufficienza;
 o arida, diffidente, rigida, volta ad identificarsi con figure di prestigio nel mondo della
delinquenza.

Le caratteristiche strutturali e funzionali dell’Io possono dunque essere compromesse da:


 un quadro significativo di immaturità che abbia inciso sostanzialmente sulla genesi e
sulla dinamica del fatto-reato;
 un difetto cognitivo originario inemendato;
 la presenza di caratteristiche antisociali;
 un funzionamento borderline di personalità;
 una dimensione psicotica.

Inoltre:
 L’assetto culturale e la struttura sociale alla quale ogni persona appartiene esercitano
ovviamente un’indubbia efficacia sull’emissione di comportamenti conformi/difformi,
specie quando il soggetto esce dal suo ambiente di appartenenza (immigrazioni/espatri)
e si trova immerso in un nuovo ambiente a lui/lei non noto in cui le nuove regole non
sono state ancora assimilate, quelle originarie non valgono più (conflitti di cultura).

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 Tratti devianti e dissociali coincidono con quelli elencati per porre diagnosi di disturbo
antisociale di personalità nel DSM e sono:
 fallimento nel conformarsi alle norme sociali in rispetto a comportamenti legali, come
indicato dal mettere in atto ripetutamente azioni che sono motivo di arresto;
 disonestà, come indicato dal mentire ripetutamente, dall’uso di pseudonimi o dal
manipolare gli altri per profitto o piacere personale;
 impulsività o incapacità di pianificare;
 irritabilità e aggressività, come indicato da ripetuti scontri fisici o aggressioni
 sprezzante noncuranza per la sicurezza propria o altrui;
 irresponsabilità costante, come indicato dal fallimento ripetuto nel mantenere un
comportamento lavorativo costante o tenere fede agli obblighi finanziari;
 mancanza di rimorso, come indicato dall’essere indifferenti o razionalizzare l’avere
ferito, maltrattato o rubato nei confronti di altri.

In ambiti più strettamente psicopatologici si possono includere:


 A. Il funzionamento borderline di personalità, di cui sono indicatori importanti i seguenti
tratti e comportamenti:
 Abuso di sostanze alcooliche e/o stupefacenti
 Automutilazioni, Ustioni, Tagli ripetuti; Suicidio attuato o tentato
 Disturbi del comportamento alimentare
 Trasgressioni ripetute delle regole sociali, familiari, lavorative
 Condotte reattive ed esplosive e rabbiose nel corso di relazioni interpersonali difettose
e instabili
 Infrazioni ripetute che comportano l’arresto e la carcerazione
 Liti e aggressioni ripetute
 Condotte sessuali abnormi e devianti; promiscuità sessuale; prostituzione; erotomania
 Comportamenti antisociali di vario genere
 Guida spericolata e ricerca di situazioni di rischio
 Stile di vita improntato a evitamento, dipendenza, disforia rabbiosa, ansia
 Mendacio, stile di vita caotico e abnorme reattività
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 B. il funzionamento psicotico, che si riconosce attraverso i seguenti indicatori:


 la compromissione transitoria o persistente dell’esame di realtà (deliri e alluci nazioni,
disturbi gravi dell’umore, deterioramento cognitivo)
 il ricorso all’utilizzazione di meccanismi primari di difesa (scissione, identificazione
proiettiva, negazione, idealizzazione, svalutazione, diniego)
 l’autismo con alterazioni gravi dell’affettività contatto, impulsività incontrollata,
comportamento disorganizzato e/o bizzarro
 i disturbi dell’identità; i confini dell’Io sono gravemente alterati (diffusività dell’Io), fino
alla loro frantumazione e perdita; il Sé è investito e temporaneamente disorganizzato
dalla tempesta psicotica; se l’episodio acuto non si risolve, 1 Io si riorganizza da un punto
di vista cognitivo e affettivo relazionale sui nuclei psicotici
 talvolta la presenza di una corazza difensiva caratterizzata da iper controllo e freddezza,
sotto la quale si cela una notevole labilità e impulsività o rifugio protettivo nel magico.
 Detti funzionamenti patologici possono essere utili al fine dell’applicazione degli art. 88 e
89 c.p. (vizio di mente, totale o parziale)
 Il minore può essere ritenuto dal giudicante socialmente pericoloso (art. 203 c.p.),
soltanto per i reati della fascia più grave: delitti non colposi per i quali la legge stabilisce la
pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a nove anni; infine, in
ogni caso, per il delitto di violenza sessuale sarà possibile il suo collocamento coatto in
una comunità.
 In nessun caso è possibile l’internamento del minore in REMS.
 In punto pericolosità sociale occorre precisare che l’attenzione degli studiosi e degli
operatori del diritto e della rieducazione è centrata sulla valutazione dei fattori di
rischio, individuali, culturali e ambientali che possono da un lato essere correlati con la
recidiva in comportamenti antisociali o delinquenziali, dall’altro con i processi di
responsabilizzazione sui quali si basa ogni tipo di intervento nella minore età, che, nel
contesto della retribuzione penale (quando e se applicata), deve certamente privilegiare
percorsi dinamici di rieducazione e di risocializzazione, piuttosto che statiche e spesso
controproducenti misure di controllo e di neutralizzazione.
 Nel caso di patologia di mente, se questa non è di rilevante entità, se ne tiene conto
anche e soprattutto per la sua incidenza sui processi di maturazione del minore. Di
conseguenza, specie nei casi di deficit intellettivi o di significative disarmonie del
comportamento, il vizio di mente può sussistere con l’immaturità, nel senso che le due
situazioni sono conciliabili.
 La diagnosi di disturbo di personalità non dovrebbe mai essere fatta in età evolutiva o
comunque dovrebbe essere posta con grande cautela, proprio perché la personalità è
«in fieri». In un soggetto inferiore a 18 anni, si deve dimostrare la presenza continuativa

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per almeno un anno e pervasiva di determinati tratti per poter fare diagnosi di Disturbo
di personalità
Una volta posta diagnosi d’immaturità, occorre in un certo senso «misurare» la stessa.
Quattro sono nella sostanza i criteri cui ci si può attenere:
1. Quello di formulare un giudizio fondandosi su un arbitrario e discutibilissimo proprio
concetto di maturità o immaturità;
2. Quello di confrontare il grado di sviluppo psicosociale di quel ragazzo con quello di
ragazzi ultradiciottenni, ritenuti maturi dalla legge, ma non altrettanto dagli attuali
contributi della psicologia;
3. Quello di confrontare le caratteristiche strutturali e funzionali della personalità in esame
con quelle proprie del gruppo dei pari. La valutazione, a questo livello, dovrebbe
avvenire per quanto concerne l’intelligenza di condotta e le abilità sociali possedute
rispetto al gruppo dei coetanei appartenenti allo stesso ambiente;
4. Quello di stabilire l’incidenza delle caratteristiche psicologiche e/o psicopatologiche
riscontrate nello studio clinico del caso sul funzionamento dell’Io in generale e nello
specifico dell’illecito penale commesso.

Il minore vittima di reato


 Abusi sessuali
Il minore è oggetto di particolare tutela nei delitti contro la libertà personale. E’ stata stabilita
un’età (14 anni) di sotto alla quale, esiste in ogni caso il reato sessuale, anche se il
congiungimento carnale o altra condotta rilevante sotto questo profilo sono stati compiuti
senza violenza o senza minaccia o sono stati addirittura accettati o provocati dal minore. Anche
il grado di naturale subordinazione nei confronti «dell’ascendente o del tutore o di altra
persona cui il minore degli anni 16 è affidato per ragioni di cura, di educazione, istruzione,
vigilanza o custodia» può rappresentare una condizione che, nei casi di specie, implica un senso
di concreta e chiara (non generica e aspecifica) inferiorità e una conseguente, condizionata
partecipazione all’atto sessuale.
Cosa fa il perito in questo caso?

- Nel caso dell’infradiciottenne, occorre accertare, caso per caso, il grado di maturità
raggiunto e la conseguente capacità di autodeterminarsi. In caso di sua assenza, il
giovane tra i 14 e i 18 anni viene considerato immaturo, incapace e paragonato
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all’infraquattordicenne, con tutto quello che un tale giudizio comporta sul piano
dell’inferiorità psichica.
- Nel caso in cui sia sostenuta la sua maturità, e quindi la sua capacità di intendere e di
volere e nel caso venga esclusa una condizione di inferiorità psichica (nel senso
sopra specificato), allora deve essere dimostrata la violenza, attraverso indagini che
non competono più al perito.
Nel caso poi di rapporti sessuali nell’ambito familiare, non più di violenza sessuale si tratterà,
ma di incesto (art. 564 c.p.), che esiste come reato solo quando viene commesso in modo che
«ne derivi pubblico scandalo». Altrimenti (se cioè non esiste pubblico scandalo, entrambi i
partner sono consenzienti e il consenso della vittima, purché non infrasedicenne, è valido) il
rapporto incestuoso con discendenti e ascendenti, con affini in linea retta o con fratelli o sorelle
non costituisce reato. La diffusione e l’entità dello stesso (mascherato dalla «cifra nera») è
strettamente correlata ad un insieme di caratteristiche psicologiche del singolo e di fattori
sociali, ambientali e culturali tipici del nucleo familiare in cui il comportamento suddetto viene
posto in essere. L’interesse di questa condotta è prevalentemente criminologico. (Cosa deve
osservare il perito?) Nella criminogenesi e criminodinamica dei reati sessuali commessi
nell’ambito della famiglia, quando scoperti e perseguiti, di solito compaiono con frequenza
significativa fattori sociali di isolamento, disgregazione, promiscuità, bassissimo livello culturale
e ambientale, problemi relazionali tra i coniugi, delega di determinate funzioni dalla madre alla
figlia, assenza di un sistema di valori coeso.
Nelle vittime si osservano quadri varianti di immaturità, conflitti con la figura materna,
diffusione di identità, cui si può aggiungere un deficit intellettivo che talvolta è primitivo, ma più
frequentemente è condizionato da elementi conflittuali reattivi o da carenza di fattori
psicopedagogici, nozionistici, culturali e socio-ambientali. Nell’autore, quando patologia
mentale esiste, essa è costituita soprattutto da disturbi da intossicazione alcoolica con segni di
deterioramento più o meno accentuato ed evidente, o quadri di insufficienza mentale.
Sessualità nei confronti dei bambini: Quali sono gli indicatori da attenzionare?
L’esercizio della sessualità nei confronti di un bambino è sempre indice di perversione e spesso
si integra con una serie di altri comportamenti violenti che a loro volta, producono danni più o
meno gravi nella successiva strutturazione psichica della vittima. Certamente le conseguenze
negative sono tanto più gravi quanto più precoce è l’età del bambino e quanto più prolungato è
il suo permanere immerso in un clima violento: di violenza non solo sessuale.
In letteratura, si segnalano i seguenti indicatori dell’abuso sessuale infantile, indicatori di
frequente riscontro, ma non specifici e non attribuibili solo all’abuso sessuale denunciato:
1. Indicatori cognitivi:
 Conoscenze sessuali inadeguate (in eccesso e distorsione) rispetto all’età
 Carenti capacità di attenzione
 Confusione nel ricordo dei fatti e sovrapposizione dei tempi

2. Indicatori fisici (più suggestivi in tal senso):


 Disturbi psicosomatici del tratto gastroenterico Ritardo o arresto della crescita

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 Aspetto gravemente sofferente (ipotonia muscolare, pallore, pannicolo adiposo ridotto


al minimo e altro)
 Lesioni traumatiche all’apparato genitale o anale (pruriti, dolore, emorragie, infezioni,
contusioni, graffi, ferite, infiammazioni)
 Abnorme apertura vaginale (con o senza perforazione dell’imene)
 Presenza di liquido seminale
 Presenza di corpi estranei in vagina o ano
 Biancheria intima strappata, sporca o insanguinata
 Difficoltà nel camminare e nel sedersi
 Malattie sessualmente trasmesse o veneree
 Gravidanza
 Incontinenza urinaria e fecale

3. Indicatori comportamentali ed emotivi (aspecifici e potenziali fonti di equivoci)


 Disturbi del sonno, insonnia, pavor nocturnus
 Crisi acute di ansia con episodi di pianto apparentemente immotivato
 Reattività fisiologica all’esposizione a eventi che simboleggiano o assomigliano a
qualche aspetto dell’evento traumatico
 Paura e/o sfiducia degli adulti
 Disturbi, difficoltà o mancanza del controllo emozionale
 Ipocondria
 Ipervigilanza
 Esagerate risposte di allarme
 Disturbi del linguaggio e balbuzie
 Giochi sessuali inadeguati per l’età
 Depressione
 Comportamento seduttivo eccessivo per l’età
 Inversione dei ruoli
 Bassa auto-stima, sfiducia in se stessi, mancanza di confidenza
 Problemi con i pari, mancanza di coinvolgimento e isolamento sociale
 Tentativi di suicidio, abuso di sostanze stupefacenti e alcool (specialmente in età
adolescenziale)
 Minacce verbali e fisiche come reazione a tentativi e/o manifestazioni variamente
orientate di contatto fisico
 Atteggiamenti ribelli e provocatori
 Enuresi
 Masturbazione talora compulsiva e senza osservanza per le limitazioni delle nor¬me
sociali e le regole del gruppo
 Disegni o atti che indicano la conoscenza di esperienze sessuali inappropriate all’età (in
specie nei bambini piccoli)
 Promiscuità sessuali, gravidanze, prostituzione (negli adolescenti).

1= abuso sessuale 2=maltrattamento minore

 Maltrattamenti di minori
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Recita testualmente il codice penale:


Art. 571 Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina
«Chiunque abusa dei mezzi di correzione o di disciplina in danno di una persona sottoposta
alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o
custodia, ovvero per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito, se dal fatto deriva
il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente, con la reclusione fino a sei mesi.»
Art. 572 Maltrattamenti in famiglia o verso i fanciulli
«Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona sottoposta
alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o
custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da uno
a cinque anni.
Se dal fatto deriva una lesione personale grave (583), si applica la reclusione da quattro a
otto anni; se ne deriva una lesione gravissima (583, 2° comma), la reclusione da sette a
quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a venti anni (603)».
Abusare dei mezzi di correzione= sei mesi
Maltrattare= 1-5 anni
Lesione grave = 4-8 anni
Lesione gravissima 7-15 anni
Morte= 12-20 anni

In situazione di maltrattamento cosa fa il perito? Di cosa si occupa?

A questo livello, può avere rilevanza in ambito sia penale (imputabilità dell’autore di reato;
danni psicologici eventuali nella o nelle vittime) sia civile (decadimento della potestà di genitore
e dichiarazione di adottabilità o di affidamento del o dei minori da parte del Tribunale per i
minorenni) un’indagine peritale finalizzata a:
1. Mettere in luce l’esistenza di eventuale patologia di mente in uno o in entrambi i genitori
2. Illustrare gli effetti negativi di tipo psicopedagogico sul bambino sottoposto a
maltrattamenti, sia in presenza sia in assenza della suddetta patologia mentale. Si tratta
di problemi di ardua soluzione, perché spesso vi è un’estrema difficoltà nel fornire la
prova di un nesso causale fondato su dati obiettivi (a parte quelli di rilevanza medico-
legale);
3. Accertare l’eventuale sussistenza di un danno biologico e/o di un danno alla salute della
vittima.
Differenza tra sindrome del battuto e sindrome del bambino maltrattato.
Possiamo definire il maltrattamento come qualsiasi comportamento commissivo od omissivo, attivo o
passivo, che, degradando il bambino da «persona» a «cosa», provochi in lui un danno fisico e/o psichico

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più o meno rilevabile e consistente, a seconda che si tratti di maltrattamenti manifesti o di


maltrattamenti occulti.
1. Il bambino maltrattato è sempre e comunque il portatore, il testimone di problemi multipli che
investono il nucleo familiare (o i centri o gli istituti deputati ad accogliere l’infanzia
abbandonata) in quel determinato momento storico, giuridico, culturale ed economico, ed egli è
quindi la spia, il veicolo di una sofferenza che va ben oltre la sua persona. In particolare, la
violenza assistita è una forma di maltrattamento psicologico che si verifica prevalentemente in
ambito familiare, in presenza di violenza domestica. La sindrome del bambino maltrattato
propriamente detta, pur non escludendo quella del bambino battuto che, come già detto,
spesso ne è parte integrante, consiste soprattutto in varie forme di maltrattamento emotivo.
Ecco che allora parlare del «bambino maltrattato» significa:
 Analizzare le caratteristiche storiche, economiche e sociali della famiglia in cui detto
comportamento è stato denunciato (aspetto micro sociale);
 Studiare gli aspetti transazionali del rapporto genitori-figli (aspetto relazionale);
 Esaminare le caratteristiche individuali di quell’autore e di quella vittima di maltrattamenti
(aspetto individuale).

2. La sindrome del bambino battuto e manifestamente maltrattato si riferisce agli effetti di


violenze traumatiche e/o sessuali. Sulla scorta della letteratura consultata, il bambino battuto
presenta lesioni fisiche abbastanza caratteristiche, per lo più provocate a «mani nude» o me-
diante oggetti di varia natura.
I maltrattamenti «a mani nude» consistono in: schiaffi, pugni, calci, graffi, pizzicotti e scuotimento.
Gli strumenti più usati per provocare lesioni sono i seguenti: bastone, frusta, catene, aghi per cucire,
rasoi e lamette da barba, corde e lacci, cinture, sorgenti di calore quali sigarette, stufe, termosifoni, ferri
da stiro, liquidi, ecc.

I maltrattamenti manifesti si distinguono in:


A. Lesioni cutanee, a loro volta suddivise in
 Effetti di violenze traumatiche o termiche;
 Abrasioni;
 Ferite;
 Ustioni;
 Morsicature umane;
 Effetti di trascuratezza da parte dei genitori:
 Ripetute infezioni;
 Morsicature di animali;
 Scarsa igiene
B. Lesioni oculari
 Ematoma peri orbitale; emorragie intraoculari; lussazione del cristallino; distacco di
retina.

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C. Lesioni neurologiche

D. Lesioni addominali
 Rottura di organi interni; rottura del mesentere; lesioni renali.

E. Lesioni scheletriche
 Fratture delle diafisi; distacco epifisario.

F. Abusi sessuali
 Violenza sessuale; incesto; corruzione di minorenni; sfruttamento; atti osceni (queste
ultime tre, come espressioni d’imposizione fisica violenta).

G. Avvelenamenti
 Somministrazione deliberata e ripetuta di sostanze tossiche, soprattutto psicofarmaci.

H. Sindrome di Mùnchausen per procura


 Questa sindrome è dovuta sia a genitori che provocano malattie nei figli, per lo più
mediante somministrazione di farmaci, onde ottenere l’attenzione e l’interessamento
del medico, sia al medico stesso che mette in atto gli interventi più vari e assurdi
sollecitato da siffatti genitori («maltrattamento iatrogeno»).
I. Morte
 Per asfissia; per lesioni addominali; per lesioni del cervello da succussione o da trauma
diretto. Questa forma di maltrattamento si colloca al 4° posto fra le cause di morte
infantili nei primi 5 anni di vita.

A differenza di quelli manifesti, i maltrattamenti occulti (di cui sono parte consistente anche gli
abusi sessuali) sono costituiti da mancanza di protezione, di educazione, di amore, di
accettazione, di coerenza psico-pedagogica e affettiva, da rifiuti variamente espressi e agiti, da
sfruttamenti e trascuratezze di diverso tipo, da atteggiamenti o atti di disprezzo e di
umiliazione, fino a sfociare nell’abbandono psicologico. La loro frequenza è di molto superiore
al maltrattamento fisico (il bambino abbandonato o dimenticato).
Chi sono i bambini maltrattati?

Sono state individuate alcune categorie di bambini bersaglio o bambini a rischio, cioè:
 prematuri;
 portatori di malformazioni congenite;
 deboli e ritardati mentali medio-lievi;
 enuretici;
 soggetti affetti da deficit motori o sensoriali;
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 adottati, figliastri e contesi;


 bambini messi a balia;
 bambini rientrati in famiglia dopo assenze più o meno lunghe;
 bambini nati dopo il primogenito (specie gli ultimo nati: sindrome di
Cenerentola);
 bambini introversi e con livello di ansia elevato;
 bambini ipercinetici e iperattivi;
 bambini disforici e instabili emotivamente;
 bambini con deficit settoriali nell’apprendimento scolastico.
Si è cercato anche di far un identikit dei genitori che esercitano violenza sui figli e si è visto che
spesso si tratta di genitori che:
spesso si tratta di genitori:
 che sono stati, a loro volta, bambini maltrattati o violentati;
 che sono cresciuti in un ambiente connotato da violenza (apprendimento diretto del
modello violento);
 con infanzia difficile e deprivata a vari livelli;
 la caratteristica psicologica più evidente è l’instabilità emotiva, unita alla cattiva o
confusiva immagine del proprio Sé e alla contraddittorietà pedagogica, spesso in
famiglie in crisi per: infedeltà; problemi sessuali; problemi economici; alcoolismo ed
uso di stupefacenti; migrazione; ecc.;
 se sono presenti disturbi patologici psichici, questi sono statisticamente
rappresentati di solito da psicosi organiche e quadri depressivi con tentativi di
suicidio;
 spesso si tratta di genitori alcool e/o tossicodipendenti.

Cosa deve attenzionare un perito?

Gli aspetti metodologici peculiari, che ovviamente possono essere modificati nella loro
successione e arricchiti nella loro articolazione:
1. indagare sulla «costellazione familiare», nelle sue componenti sociale, culturale,
economica, lavorativa;
2. studiare l’incidenza maggiore o minore dell’eventuale presenza di figure sostitutive o
alternative o integrative dei genitori (in specie, eventuali parenti conviventi);
3. là dove possibile, richiedere la collaborazione dei servizi sociosanitari del territorio
(assistenti sociali, operatori della salute mentale e dei servizi matemo-infantili);
4. mettere in luce la presenza di eventuale patologia di mente in uno o in entrambi i
genitori, al fine di accertare l’eventuale esistenza di un vizio di mente con riferimento ai
fatti-reato loro addebitati;

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5. svolgere un’indagine accurata sulla personalità di entrambi i genitori, analizzandone la


struttura, lo «stile di vita», le compensazioni adottate, le mete perseguite, i vissuti nei
confronti del o dei figli, il tipo di inserimento e di gradimento lavorativo, sociale e
ambientale;
6. studiare la dinamica di coppia nei suoi riflessi sul o sui figli (in specie, l’ostilità e il rancore
dell’un genitore nei confronti dell’altro e i conflitti di coppia variamente strutturati e
orientati);
7. analizzare, attraverso colloqui liberi ed eventuale somministrazione di reattivi mentali, i
vissuti del bambino nei confronti di entrambi i genitori (vissuti positivi e negativi quali:
perdita, rivalità, indifferenza, angoscia, negatività, opposizione e altri), nonché il
significato transazionale di determinati comportamenti o atteggiamenti (bambini tristi e
aggressivi, smarriti e isolati, precocemente cresciuti, bambini che fuggono; bambini con
insuccessi scolastici ripetuti; bambini disadattati o antisociali). Questa parte d’indagine
deve essere svolta con estrema prudenza, per evitare processi di vittimizzazione
secondaria';
8. illustrare, nei limiti dell’accertabile, gli effetti negativi di tipo psicopedagogico sul
bambino sottoposto a maltrattamenti, sia in presenza sia in assenza di patologia
mentale negli adulti per lui significativi.
Accertati da parte dell’Autorità giudiziaria i comportamenti processualmente rilevanti, si pone
il difficilissimo e complesso quesito della valutazione del danno psichico conseguente ai
maltrattamenti, agli abusi e alle violenze subite (il problema si presenta nella sua identica
complessità e drammaticità clinica che si tratti di vittima minore o adulta).
Vari studi e l’esperienza pratica con casi giudiziari e clinici indicherebbero che non tutti coloro
che sono esposti a uno o più eventi traumatici - quale per esempio l’abuso sessuale - sviluppano
un disagio clinicamente rilevante e connotato da un corredo sintomatologico specifico. Non
solo: ma un certo numero di sicure vittime di abuso sessuale non presenta disturbi correlati
all'abuso.
L’evidenza di comportamenti legati allo stress non deve essere un fattore determinante
primario per credere che un bambino abbia subito un abuso sessuale. Analogamente, l’assenza
di tali reazioni comportamentali non deve indurre un professionista a concludere che il
bambino non è stato oggetto di abuso.
Richiamiamo ancora una volta l’attenzione di coloro che operano in questo diffìcilissimo,
complesso e delicato settore di indagini sulla seguente tabella, in cui si documenta molto
chiaramente la coincidenza (e quindi / ’aspecificità) di sintomi da abuso con sintomi da
separazione tra i genitori.

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Aggiungi tabella dei comportamenti sessualizzati

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La testimonianza del minore


Fino a un recente passato, era radicato il convincimento che la testimonianza dei fanciulli fosse
sospetta e molta letteratura psicologica e psichiatrica è stata concorde nell’attribuire alla
stessa un valore del tutto relativo; tale posizione è stata giustificata con la presenza nel
bambino e nell’adolescente - specie in riferimento a maltrattamenti in famiglia e reati sessuali -
di bisogni di rivalsa o di vendetta, di richieste di attenzione e di affetto, di paura di punizioni, di
copertura di altre persone, di desiderio di scindere o di riunire la coppia parentale, e così via. Poi
si è radicata la convinzione che il bambino, anche in tenerissima età, sia un testimone
attendibile e credibile, che ha la capacità di cogliere fedelmente i fatti.
D’altro canto, non si può sottovalutare la presenza “fisiologica” di elementi di tipo immaturo,
d’ideazione magica, di facile suggestionabilità, d’incapacità. Pertanto: quando dichiarazioni
accusatorie provengono da minori, il giudice ha l’obbligo di sottoporle ad attento esame
critico...al fine di escludere ogni possibilità di dubbio.
Ma occorre tenere presente che vi sono delle aree critiche che è necessario attenzionare:
Prima area critica: capacità di comprensione
 il grado di comprensione quali-quantitativo del linguaggio è tanto più ridotto quanto più
piccolo è il bambino; sotto i quattro anni di età, il bambino non ha competenza
linguistica e manca della capacità di riconoscere il significato semantico di parole e di
concetti; tra i quattro e i sei anni il bambino da pochissime risposte affidabili ;
l’affidabilità aumenta dai sei ai tredici anni.
 le difficoltà di comprensione derivano soprattutto dal modo di formulare le domande
stesse; più i bambini sono piccoli e maggiori sono le difficoltà che incontrano; più le
domande sono ripetute e meno è favorita la comprensione delle stesse;
 un bambino di 4-5 anni non comprende, per esempio, il significato di una frase negativa,
di una frase passiva o di una subordinata; se il bambino dà comunque una risposta,
questa sarà del tutto casuale, probabilmente molto condizionata da fattori suggestivi
contenuti nel modo di formulare la domanda stessa;
Seconda area critica: la memoria
 Le ricerche effettuate sulla capacità mnestica dei bambini al di sotto dei cinque anni fino
all’età dei sei-sette anni almeno, hanno accertato che la memoria a breve termine va
incontro a un incremento rapidissimo dalla prima infanzia fino ai sette anni di età; i
ricordi, però, possono subire sia manipolazioni interne- (possibilità di confusione dei
ricordi con fantasie), sia esterne (possibilità di contaminazione dei ricordi reali da parte
di suggestioni o racconti di altre persone). Pertanto:
 I bambini piccoli ricordano cose che hanno vissuto, cose che hanno sentito raccontare,
cose che hanno immaginato, senza essere in grado di operare discriminazioni, perché
non hanno ancora acquisito la capacità di distinguere la esperienze reali da quelle
immaginarie.

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Terza area critica: competenza linguistica


 La capacità linguistica nella narrazione trova i propri limiti naturali negli aspetti sintattici,
lessicali e semantici che il bambino affronta con le domande; quella che può sembrare
una fantasia o inadeguatezza nel distinguere la realtà dalla fantasia (accertamento di
spettanza peritale), spesso corrisponde a un fatto realmente accaduto (accertamento di
spettanza giudiziaria) o viceversa;
 Il grado di complessità e d'impatto emotivo dell’evento interferisce sulla sua
rievocazione;
 Il ricordo libero e spontaneo (senza domande specifiche, cioè) dei bambini (anche di 4
anni) può essere accurato (anche se non troppo articolato) come il ricordo di un adulto;
 I bambini possono però facilmente modificare la descrizione di ciò che hanno vissuto e/o
percepito, non tanto per caratteristiche psicologiche individuali, quanto per effetto del
contesto (interviste viziate e mal condotte, interviste suggestive, contagio ansioso dei
genitori, domande ripetute e insistenti, ecc.);
Quarta area critica: suggestionabilità e influenzabilità
 Per suggestibilità, specifica nella fattispecie, si può intendere la maggiore o minore
possibilità che un soggetto assorba, faccia sue, assimili informazioni relative all’evento
dopo che questo è accaduto o è stato narrato e le includa nel magazzino della memoria
come facenti parte dell’evento stesso. La suggestionabilità generica, invece, è la
possibilità di farsi influenzare o essere influenzati da avvenimenti, parole, atteggiamenti,
più o meno provvisti di carica emotiva.
 Di fatto i bambini tendono a dire «sì» a molte domande poste in modo diretto,
soprattutto se chi pone le domande viene visto o si impone come figura affettiva,
autoritaria e inquisitoria.
 Fino a due anni il bambino è poco suggestibile, per insufficiente sviluppo del proprio Sé
e della propria identità; negli anni successivi la suggestibilità cresce fino ai 7/8 anni per
poi decrescere fino ai 15-16 anni; subentrano poi meccanismi psicologici e relazionali
(complessuali e/o conflittuali) che possono sottendere menzogne intenzionali, specie
nell’ambito familiare;
 I bambini usano la risposta «no» diversamente dal significato comune di negazione (ad
esempio: «voglio finire il colloquio»; «non ho voglia»; «non ricordo»);
Quinta area critica: la cronologia dell’evento
 Il trascorrere del tempo incide sul contenuto ricordo e sulle modalità di rievocazione, a
prescindere dal tipo di evento, dalla sua complessità, dalla sua intensità oggettiva e dalla
risonanza emotiva elicitata; tanto più piccolo è il bambino, tanto più lungo è l’intervallo
di tempo tra l’evento e il ricordo, meno idoneo sarà a testimoniare.
Sesta area critica: la risonanza emotiva
 La risposta emotiva che il bambino dà a un accadimento che interessa la sua vita
dipende strettamente dal contenuto emotigeno dello stesso e dipende
dall’atteggiamento non verbale dell’agente; il bambino apprende il significato emotivo
dell’evento dall’adulto significativo; quindi le risposte emotive del bambino possono
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essere indotte dall’adulto che reagisce a determinati eventi o informazioni o


comunicazioni di vita con emotività altamente espressa.
Oltre queste sei aree critiche (capacità di comprensione; capacità linguistica; suggestibilità e
influenzabilità; distanza temporale dell’evento; risposte emotive; emotività e tempo) devono
essere tenute in attenta considerazione le false dichiarazioni e le false negazioni.
Le false dichiarazioni sono solitamente scarne, scarsamente credibili, contraddittorie e
imprecise. Secondo i dati della letteratura, accadono maggiormente:
 nelle separazioni contestate e conflittuali, allorché il bambino è indotto ad allearsi con
un genitore per accusare l’altro;
 in adolescenza, quando si accusa un adulto per rivalsa, per vendicare un torto, per
poterlo maggiormente controllare;
 quando il minore denuncia un adulto che poi si accerterà essere diverso da quello che ha
compiuto effettivamente l’abuso;
 in situazioni in cui vi è un disturbo psicotico (follia a due o follia di gruppo);
Le false negazioni, invece, consistono in:
 omissioni di dettagli importanti;
 rifiuto esplicito di esporre i fatti;
 ritrattazione di quanto esposto in precedenza.
 La valutazione più adeguata di tutte queste situazioni è legata a criteri inerenti
l’esperienza e la competenza clinica dell’esperto che ha il compito di raccogliere la
testimonianza del minore.
Da tutto quanto in precedenza esposto, discende una prima regola fonda mentale: il bambino
deve essere sentito quanto prima da personale specializzato, riducendo al minimo
indispensabile gli incontri con il piccolo periziando. La valutazione clinica della sua idoneità
mentale assume un’importanza fondamentale nei processi indiziari, dei quali la «chiave di vol-
ta» è appunto il racconto del bambino unico testimone dell’accaduto.
Come si fa a capire se quel minore è idoneo a testimoniare? La valutazione clinica dell'idoneità
mentale a rendere testimonianza richiede l’esplorazione delle seguenti aree:

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Le tecniche da utilizzare, come ben sanno coloro che operano in questo settore, sono:
 il gioco;
 la libera espressione;
 il disegno;
 altri mezzi di indagine psicodiagnostica.
Ripetiamo; nessun mezzo d’indagine psicodiagnostica serve per accertare se il bambino è stato
o meno abusato; nessun test può confermare o disconfermare una storia di abuso sessuale (la
verità processuale).

Le aree da esplorare sono essenzialmente le seguenti:


 il contesto ambientale, sociale e culturale in cui il fatto dichiarato dalla vittima è
avvenuto;
 l’appropriatezza e la congruità espositive della persona in osservazione peritale;
 i suoi atteggiamenti espressivi (= il non verbale);
 l’adeguatezza delle emozioni;
 il tipo di affettività - contatto;
 le funzioni relazionali.

La metodologia dell’intervista da utilizzare:


Anche se tutte le metodologie scientifiche possono essere messe in discussione e non esistono
regole universalmente condivise, il procedimento dell’intervista al bambino e al minore non
può omettere questi punti fondamentali, a loro volta suddivisi in:
A. Operazioni condivise.
 videoregistrare o, almeno, registrare tutto quanto avviene nel setting peritale,
prendendo accurata nota di tutto quanto accade sulla scena peritale;
 assumere nel corso del primo incontro (che purtroppo spesso non coincide con il primo
interrogatorio fatto da ufficiali di polizia, avvocati e pubblici ministeri e non va esente da
domande suggestive o tendenziose) una posizione di ascolto neutrale per cercare di far
descrivere che cosa sia accaduto nella realtà. Non si devono porre le domande come se
si sapesse già che cosa è successo, chiedendo quindi al bambino, più o meno
direttamente, di confermare quello che si sta dicendo;
 adottare il metodo falsificazionista, evitando di porre domande che «presuppongono»
che l’ipotesi di partenza sia corretta («probabilmente c’è stato un abuso»);
 evitare nel corso dell’intervista (rinviandole in chiusura della stessa) domande dirette o
inducenti e le domande a cui si possono dare risposte sì - no o pochi altri tipi; i bambini
infatti tendono a rispondere affermativamente a molte domande poste in modo diretto
dall’adulto;
 utilizzare gli stessi vocaboli usati dal bambino;

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 evitare ogni contatto diretto tra chi è indicato come autore del o dei reati o e la vittima
(presunta o reale che sia) o comunque tra questa e altri adulti che potrebbero influire
sulla sua serenità e spontaneità espressive;
 controllare le possibili interferenze verbali, emotive e comportamentali di qualsiasi
persona presente sul setting peritale (in particolare, il genitore che assiste il bambino o
troppo piccolo o visibilmente turbato dall’incontro con l’esperto giudiziario);
 evitare di rinforzare il bambino quando dice qualche cosa che l’intervistatore voleva
sentirsi dire («ecco proprio questo...»);
 evitare di ripetere le stesse domande: il bambino può sentirsi spinto a da¬re una risposta
diversa da quella precedente, pensando che la prima sia sba-gliata;
 organizzare le domande secondo una scansione che va da quelle «aper¬te» e «neutrali»
a quelle «chiuse» o «mirate»41;
 utilizzare lo specchio unidirezionale quando si somministrano reattivi mentali che
richiedono un rapporto stretto tra esaminatore ed esaminando; non è giustificato
utilizzarlo per tenere fuori della portata del bambino eventuali consulenti. Tutti, infatti,
hanno da rispettare la regola deontologica fonda- mentale, in forza della quale il
bambino è oggetto privilegiato di quella tutela alla quale tutti sono obbligati, qualsiasi
sia il rispettivo ruolo;
 chiudere l9incontro in maniera molto amichevole, rassicurante, aperta e rasserenante
per il bambino, evitando atteggiamenti scontrosi o offesi se non si è raggiunto
l’obiettivo che l’intervistatore si era erroneamente prefissato: quello della rivelazione
dell’abuso;
 quando e se possibile e opportuno, “restituire” al bambino, con modalità appropriate,
quanto si è venuti a conoscere durante i colloqui con lui avuti, compresa la narrazione
dell’abuso;
 fare in modo che il bambino sia ascoltato il minimo delle volte necessarie. '

B. Operazioni da evitare:
 prendere per buone parole o fatti che il soggetto non dovrebbe conoscere e che quindi
potrebbero essere frutto di suggerimento altrui o di apprendimento attraverso fonti
indirette;
 fare affidamento su deposizioni che man mano si arricchiscono di particolari e di dettagli
o che variano nei contenuti stessi o che appaiono chiaramente finalizzate a stupire e
monopolizzare l’attenzione dell’esaminatore;
 affrontare fin dall’inizio l’abuso sessuale oggetto dell’accertamento peritale con
domande dirette ed esplicite;
 assumere atteggiamenti seduttivi o ricattatori con il piccolo testimone, o promettendo
o minacciando o colpevolizzandolo, stabilendo, in tal modo, alleanze perverse e
contrarie all’accertamento della verità clinica;
 farsi guidare da opinioni personali, o, peggio, da pregiudizi e preconcetti che nulla
giovano al raggiungimento degli obiettivi che ci si prefigge di raggiungere;
 responsabilizzare eccessivamente il bambino;

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 trasmettergli l’impressione che è stato vittima di un fatto «mostruoso», che rende


terribile e terrificante nel suo immaginario quanto egli dice essergli accaduto;
 evitare interviste ripetute condotte da operatori diversi.

Le regole da tenere presenti sono invece quelle di:


 contestualizzare i fatti che hanno determinato l’intervento dell’esperto, accertando se il
bambino è ancora inserito nel suo nucleo familiare d’origine o ne è stato allontanato
per essere affidato a un’istituzione o ad altri; gli ordini di protezione prevedono
l’allontanamento del genitore abusante o presunto tale, invece che del minore ;diverso
è quindi il vissuto del bambino nell’uno e nell’altro caso e, di conseguenza, il suo
atteggiamento di fronte all’esaminatore;
 esaminare gli atti processuali, per sapere come si è venuti a conoscenza del fatto-reato,
da parte di chi, quando e perché; particolare attenzione deve essere riservata alla
ricostruzione di come è nata la vicenda processuale, se il bambino presunta vittima di
abuso sessuale è testimone unico o meno, chi sono gli eventuali altri testimoni e come
sono entrati nella vicenda processuale, dove e con chi sono avvenute le prime
rivelazioni, come sono state raccolte e quando trasferite all’autorità giudiziaria.
Cosa deve fare un perito?
 sapere quanti incontri il minore ha già avuto prima dell’accertamento in atto e in
quale contesto relazionale;
 sapere con chi il minore ha già rivelato il “segreto” (fondamentale la prima
rivelazione, che non è necessariamente quella che si colloca in una ben precisa
cronologia, ma che costituisce il primum movens dell’intervento giudiziario);
 sapere quanti incontri il minore ha già avuto prima dell’accertamento in atto e in
quale contesto relazionale;
 raccogliere informazioni sulle caratteristiche ambientali e socio- culturali in cui vive la
presunta vittima, indipendentemente dal fatto.
 prendere in esame le caratteristiche cliniche proprie della vittima, a tal fine occorre:
 accertare su quale piano emotivo si colloca la storia dei presunti o reali abusi; quale
emozione, cioè, ha accompagnato la prima versione, se questa è stata spontanea o
legata a un clima inquisitorio; come si sono svolti i successivi resoconti (il come, il
dove e il perché);
 adattare la metodologia d’indagine a quella persona abusata, tenendo conto innanzi
tutto della sua età; le tecniche d’intervista, infatti, sono diverse secondo l’età della
vittima e della significanza che il presunto abusante assume nei suoi confronti;
 prendere in esame le caratteristiche cliniche proprie della vittima, a tal fine occorre:
 organizzare il colloquio, preparando un ambiente accogliente da riproporre come
contesto costante di incontro, creando uno spazio cognitivo ed espressivo di «libero
movimento» e dando un’adeguata informazione al bambino.

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 registrare semplicemente quello che il soggetto dichiara (il verbale) e


l’atteggiamento emotivo e comportamentale che accompagna il suo dire (il non
verbale)
 diffidare radicalmente di tutti quelli che partono dal convincimento aprioristico che il
bambino dichiari sempre la verità.

La rivelazione dell’abuso
Solo nell’ultima fase si affronterà la difficilissima e delicatissima rivelazione dell’abuso. Sarà
allora necessario:
 rassicurare il bambino per diminuire, - posto che siano presenti - le paure, il senso di
vergogna e i suoi sensi di colpa, cercando di dargli le spiegazioni che egli è in grado di
recepire;
 osservare l’atteggiamento che il soggetto dimostra nei confronti della versione resa;
 annotare il racconto orale del bambino, registrandolo con le sue parole, e non con
ricostruzioni, riassunti, traduzioni, riferimenti in terza persona, interpretazioni che
tradiscono la genuinità del racconto (lo stile dell’esposizione); se e quando il bambino
racconta, è importante lasciare fluire liberamente il suo racconto, avendo ben presenti i
parametri e le tappe di sviluppo intellettivo e affettivo infantili;
 dare ampio spazio alla libera espressione (verbale, mimica, motoria, ludica); in
particolare, è importan,te osservare gli aspetti simbolici del gioco, del modo di
rappresentare la realtà
 non interrompere il fluire del suo racconto, se non con piccoli incoraggiamenti, se
necessari ; è tipica della situazione incestuosa la «congiura del silenzio» imposta dai
familiari o dai parenti che «si vergognano» o colludono con l’aggressore;
 usare un linguaggio adatto a quel bambino;
 quando è giunto il momento opportuno, porre domande aperte e man mano più
specifiche, ma che mai facciano presupporre che il fatto è accaduto-, occorre
presupporre di non sapere quello che il teste sa e occorre formulare domande
attraverso le quali non si suggerisce niente. Il ricordo è libero quando non è sollecitato
da domande specifiche poste dall’intervistatore, perché i bambini tendono a rispondere
affermativamente a molte domande poste in modo diretto',
 alternare al colloquio momenti di gioco senza confondere i ruoli e contaminare il
colloquio clinico con il colloquio investigativo (neutrale, oggettivo, ipotetico, aperto);
 rilevare la presenza di elementi incongrui
 videoregistrare il colloquio ; osservare anche le prime registrazioni che sono state fatte
dalla polizia o dai genitori al momento del fatto reato;
La testimonianza di un minore in generale e in tema di abusi sessuali in particolare è per
definizione qualcosa dì suscettibile d’infinite modificazioni e manipolazioni, per cui quasi
sempre riveste le caratteristiche di un accertamento non ripetibile.

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Idoneità mentale generica e specifica


Partiamo dal presupposto che la prima fase degli accertamenti disposti deve riguardare unica-
mente l’idoneità generica del minore.
L’accertamento peritale su quella specifica si riferisce alle dichiarazioni rilasciate dal minore in
sede d’incidente probatorio.

La Carta di Noto
La carta di Noto è il frutto dell’apporto integrato, discusso, ed elaborato da giuristi, magistrati,
avvocati, psicologi giuridici, criminologi, psichiatri, neuropsichiatri e altri esperti del settore.
Consta di 12 articoli che costituiscono delle linee guida per tutti coloro che operano nel settore
vittiminologico minorile, con specifico riferimento ai casi di abuso e di violenza in danno di
minori.

Affidamento
Partiamo dal presupposto che la sacralità dell’unione tra un uomo e una donna non discende
tanto dal rito seguito per ufficializzare l’unione, quanto dal compito che spetta ai due coniugi,
quando mettono al mondo dei figli. Infatti, il loro essere un uomo e una donna, da quel
momento in poi, deve coniugarsi con quello di essere divenuti un padre e una madre: il che
comporta compiti, diritti e doveri ben diversi quando ci si trovi in presenza di un ruolo
genitoriale, che comporta l’assunzione di obblighi morali e giuridici nell’accudimento della
prole, siano genitori uniti da matrimonio religioso o civile, siano essi non sposati e non
conviventi, si tratti di coppie omo o eterosessuali.

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I tre articoli principali che disciplinano tali comportamenti sono contenuti all’interno del codice
civile nel capitolo dei diritti e dei doveri che nascono dal matrimonio.
Art. 143 codice civile: Diritti e doveri reciproci dei coniugi
«Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono medesimi doveri
(Costituzione, artt. 29, 30).
Dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla
collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione.
Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria
capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia (193)».
Art. 145 Intervento del giudice
«In caso di disaccordo ciascuno dei coniugi può chiedere, senza formalità, l’intervento del
giudice il quale, sentite le opinioni espresse dai coniugi e, per quanto opportuno, dai figli
conviventi che abbiano compiuto il sedicesimo anno, tenta di raggiungere una soluzione
concordata (316-ter).
Ove questa non sia possibile e il disaccordo concerna la fissazione della residenza, altri affari
essenziali, il giudice, qualora ne sia richiesto espressamente e congiuntamente dai coniugi,
adotta, con provvedimento non impugnabile, la soluzione che ritiene più adeguata alle
esigenze dell’unità e della vita della famiglia».
Art. 147 Doveri verso i figli
«Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la
prole tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli (30
Cost.)».

Separazione
Il problema nasce però nel momento di separazione e sono presenti figli ancora minorenni.
Quando non ci sono figli, il discorso va in ben altra direzione rispetto a quando ci sono dei figli
minori di età. In questo secondo caso, vale un principio fondamentale, che è al contempo
giuridico (la legge), giudiziario (l’applicazione delle norme), etico (i principi morali) e
deontologico (il rispetto dei codici professionali): oggetto di tutela privilegiata è la crescita
della prole.
Ecco allora che il dovere dei genitori, sempre, e quindi anche nei casi di separazione, rimane
quello della primaria tutela dei figli, compito che è sostanzialmente rispettato quando si tratti di
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separazione consensuale, ma che quasi sempre viene dimenticato o posto in secondo piano
quando la separazione è giudiziale nel senso che la coppia genitoriale non è stata in grado di
arrivare a degli accordi, ancorché minimi, rispetto ai figli.
 La separazione consensuale è l’istituto giuridico attraverso il quale marito e moglie, di
comune accordo tra loro, decidono di separarsi. All’udienza che sarà fissata dinanzi al
presidente del tribunale, i coniugi devono comparire personalmente per il tentativo
obbligatorio di conciliazione. Il presidente del tribunale può adottare gli eventuali
provvedimenti che riterrà necessari e urgenti. Successivamente, se gli accordi sono
ritenuti equi e non pregiudizievoli per i coniugi e soprattutto per la prole, il tribunale
dispone con decreto l’omologazione delle condizioni (decreto di omologa), così
determinando il diritto la separazione. Le condizioni stabilite in sede di separazione
consensuale potranno comunque essere modificate o revocate qualora intervengano
fatti nuovi che mutano la situazione di uno dei coniugi o il rapporto con i figli.

 Alla separazione giudiziale si fa ricorso nel caso in cui non vi sia accordo tra i coniugi e
non può pertanto addivenirsi a una separazione consensuale. La separazione giudiziale
può essere quindi richiesta anche da uno solo dei due coniugi. La prima udienza del
giudizio prevede la comparizione personale dei coniugi davanti al presidente del
tribunale e avviene con le stesse modalità della separazione consensuale. Anche per il
caso di separazione giudiziale, il presidente del tribunale può, in questa fase, adottare i
provvedimenti necessari e urgenti a tutela del coniuge debole e della prole.
Successivamente, il procedimento si svolge secondo le forme del rito ordinario ed il
provvedimento emesso a conclusione ha la forma di sentenza.

In ogni caso:
Art.155 Provvedimento riguardo ai figli
Anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un
rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e
istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di
ciascun ramo genitoriale.

Di conseguenza:
Il giudice che pronuncia la separazione personale dei coniugi adotta i provvedimenti relativi alla
prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa.
Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori
oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro
presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi
deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli. Prende atto,
se non contrari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori. Adotta ogni altro
provvedimento relativo alla prole.

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La potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per


i figli relative all’istruzione, all’educazione e alla salute sono assunte di comune accordo
tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di
disaccordo la decisione è rimessa al giudice.
Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire
che i Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al
mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove
necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di
proporzionalità, da determinare considerando:
 le attuali esigenze del figlio;
 il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori;
 i tempi di permanenza presso ciascun genitore;
 le risorse economiche di entrambi i genitori;
 la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.genitori
esercitino la potestà separatamente.
Il genitore collocatario, è quello presso cui i figli stabiliranno la loro “dimora prevalente”;
quello non collocatario, è quello che avrà l’opportunità di far visita ai figli in giorni ed orari
prestabiliti.
All’articolo 155 segue l’art 155bis: Affidamento a un solo genitore e opposizione all’affidamento
condiviso).
Il giudice può disporre l’affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga con
provvedimento motivato che l'affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore.
Riassumendo:
L’affidamento condiviso a entrambi i genitori, allo stato, rappresenta la scelta di elezione da
parte del legislatore e dei giudici. Pertanto, in sede di separazione e salvo diverso accordo tra i
coniugi, il giudice deve valutare prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a
entrambi i genitori (affidamento condiviso), oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati
(affidamento esclusivo), sempre e comunque considerando l’esclusivo interesse della prole. La
regola, pertanto, è l’affido condiviso (comportante l'esercizio della potestà genitoriale da parte
di entrambi ed una condivisione, appunto, delle decisioni di maggior importanza attinenti alla
sfera personale e patrimoniale del minore), sussistendo un diritto alla bigenitorialità.
L’affido esclusivo è ipotesi eccezionale, giustificabile alla luce di esigenze di maggiore tutela
per il minore.
Quando interviene il CTU? Ctu perché siamo in ambito civile

Nel caso in cui l’affidamento condiviso non sia direttamente contrattabile, che tra i coniugi si
determini un contrasto variamente orientato circa l’affidamento all’uno o all’altro dei figli
minori e che tale situazione non possa essere altrimenti sanabile, il giudice istruttore dispone
consulenza tecnica d’ufficio (C.T.U.) per giungere a una più completa conoscenza della
situazione nella sua globalità e prendere i provvedimenti più idonei.

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La realtà clinica e l’esperienza peritale quotidiana, però, ci insegna che il giudice in molti casi di
separazione legale può solo optare per il male minore, non per la soluzione migliore per i figli,
dal momento che se ciò fosse stato possibile i genitori stessi avrebbero già provveduto in tal
senso, evitando penose diatribe e contrasti difficilmente sanabili davanti a magistrati e
consulenti.
Si dovrebbe poter intervenire prima, non quando e dopo che è iniziato un percorso giudiziario e
la coppia genitoriale è ormai inesorabilmente invischiata, se non travolta nel vortice distruttivo
di uno scontro devastante che quasi sempre cerca una pseudo soluzione, ma non una vera e
sincera riparazione davanti al magistrato.
Qual è la situazione che si prospetta al consulente?
In molti casi, infatti, i consulenti si trovano di fronte a coppie in cui il preesistente e perdurante
legame ha evidenti caratteristiche conflittuali e, al limite, perverse, nel senso che i due partner,
anche se a livelli differenziati, non si riconoscono reciprocamente come soggetti dotati di una
propria individualità, non riescono a separarsi. Di conseguenza, vivono in un vuoto depressivo
creatosi o accentuatosi con la separazione che è riempito dalle loro identificazioni proiettive (le
accuse reciproche e le attribuzioni di responsabilità che vedono sempre l’altro colpevole e
responsabile dei guasti relazionali). Presi come sono nel gioco perverso delle negazioni, delle
scissioni e delle reciproche accuse possono non avere consapevolezza delle ricadute dei loro
conflitti sul benessere dei figli e non possedere capacità di trovare strategie alternative e
riparatorie che vadano al di là di una conflittualità fine a se stessa e che consentano loro di
recuperare almeno la consapevolezza della differenza che passa tra l ’essere un uomo e una
donna rispetto a quella di essere un padre e una madre.
In queste situazioni, come si può pensare che tali persone siano in grado di esercitare nel
rapporto con i figli il principio della condivisione, che significa cogestione del ruolo di genitori e
quindi capacità di contrattare e svolgere le reciproche funzioni a beneficio esclusivo della prole,
con rinuncia a esercitare un potere senza rapporto e volto solo a saziare primariamente
esigenze di vendetta, di ritorsione, di prevaricazione, di ristoro autoprotettivo?
Ecco allora che un affidamento condiviso, quando la separazione non è condivisa (altrimenti
non ci si affosserebbe in un baratro di litigiosità sterile e inconcludente) diventa una meta cui
tendere, per cui la decisione assunta in sentenza deve essere soggetta a verifiche periodiche, al
fine di ottenere almeno il male minore, monitorando costantemente queste coppie altamente
problematiche e conflittuali, richiamandole insistentemente ai loro compiti primari e seguendo
lo sviluppo psicoaffettivo dei figli secondo un modello integrato di intervento che faccia
affidamento essenzialmente sui servizi sociali e sulla neuropsichiatria infantile, finché l’età dei
minori lo permette.
Quando vengono chieste le indagini psicologiche?
L’indagine conoscitiva, che precede ogni tipo di intervento, viene affidata a psicologi o a
psichiatri da soli o in collegio tra di loro, specie quando si sospetti o si abbia notizia
dell’esistenza di patologia mentale in uno dei due coniugi.
Detta indagine è di solito (o dovrebbe essere) essenzialmente articolata nei seguenti punti:

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 svolgere un’indagine psicologico-clinica accurata sulla personalità di entrambi i genitori ,


analizzandone il funzionamento, lo «stile di vita», le compensazioni adottate, le mete
perseguite, i vissuti nei confronti del o dei figli, il tipo di inserimento e di gradimento
lavorativo e sociale;
 studiare la dinamica di coppia nei suoi riflessi sul o sui figli affidandi o affidati (in specie
l’ostilità e il rancore dell’un genitore nei confronti dell’altro e i conflitti di coppia
variamente strutturati e orientati);
 documentare o escludere l’esistenza di un’eventuale patologia di mente in uno o in
entrambi i genitori eindagare se detta patologia è tale da escludere o inficiare nella
sostanza l’idoneità educativa;
 indagare sulla presenza di comportamenti devianti o addirittura criminali in uno o in
entrambi i genitori (alcoolismo, tossicomanie, prostituzione, condanne, ecc.);
 analizzare, attraverso colloqui liberi e impiego di reattivi mentali (Rorschach, C.A.T., test
di disegno, Patte Noire, ecc.) i vissuti del bambino nei confronti di entrambi i genitori
(vissuti positivi e vissuti negativi, quali di perdita, rivalità, indifferenza, angoscia,
negatività, opposizione e altri), nonché il significato di determinati comportamenti
(bambini tristi e aggressivi, smarriti e isolati, precocemente cresciuti, bambini che
friggono; bambini con insuccessi scolastici ripetuti; bambini disadattati o dissociali);
 indagare sulla «costellazione familiare» nelle sue componenti sociale, culturale,
economica, lavorativa;
 analizzare le personalità e studiare l’incidenza maggiore o minore della eventuale
presenza di figure sostitutive o alternative o integrative del genitore affidatario (in
specie, eventuali parenti conviventi);
 indicare tempi, modalità e luoghi attraverso i quali articolare l’affidamento nei casi in cui
questo non sia condiviso da entrambi i coniugi.
Fin là dove è possibile, è importante che il consulente d’ufficio e quelli di parte (che in questo
caso sono tenuti a lavorare insieme, essendo l’unico fine del loro operare quello di tutelare il o i
minori e non già gli interessi e i particolarismi del o della cliente) si adoperino nel favorire gli
incontri anche con il genitore al quale il bambino non è stato o non verrà affidato.
È inoltre molto utile osservarlo nel rapporto con i genitori e - in genere - con le persone cui è
affidato o affidando, per cogliere il tipo di transazione esistente.
È ancora il caso di ricordare che l’esistenza di un contrasto variamente articolato tra i coniugi,
fino a una sua insanabilità, non implica necessariamente e sempre una loro incapacità
educativa. Invero, un uomo e una donna possono essere inidonei nella loro reciproca funzione
di coniugi senza che ciò implichi necessariamente inidoneità nello svolgimento del compito di
genitori, anche se spesso - in queste situazioni - si assiste a un uso strumentale del o dei figli per
umiliare l’altro genitore o per esibire in maniera aggressiva e polemica le proprie presunte
«abilità» educative o per ottenere altre compensazioni “fittizie”.
Ovviamente, questi tipi d’intervento non hanno nulla di “terapeutico”, nel senso che chi valuta
non può curare, ma deve compiutamente fotografare il contesto e il funzionamento
psicologico (o psicopatologico) delle parti in causa, dettagliare le rispettive attitudini genitoriali

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in riferimento alla nuova situazione creatasi con la separazione, valutare il migliore regime di
affidamento del minore.
L’eventuale percorso psicoterapeutico consigliato ai genitori deve essere affidato ad altri che
non siano i consulenti che hanno valutato la situazione di separazione.
Un’ultima parola sul genitore affidatario o collocatario. Premettiamo che nel caso di
separazione dei genitori, l’affidamento esclusivo del figlio minore a un solo genitore è
provvedimento eccezionale ed è disposto dal giudice solo se l’affidamento condiviso crea
pregiudizio al figlio stesso. Anche se è prassi preferire la madre come affidataria della prole
almeno fino al compimento del sesto-settimo anno di età e proporre l’affidamento al padre - in
detto periodo dell’esistenza - solo in presenza di evidenti, gravi, provate e conclamate carenze
educative, morali e psicologiche della madre, non esistono principi che giustifichino
aprioristicamente un simile orientamento da parte del consulente tecnico d’ufficio o regole alle
quali ci si debba sempre e comunque attenere per adottare tale provvedimento. Le conclusioni
peritali, tra l’altro, si limitano a confermare una decisione che il magistrato ha già preso;
l’intervento del tecnico è quasi sempre tardivo, ed egli può sentirsi in un certo senso
condizionato e costretto a «mantenere la stabilità dell’ambiente di vita del o dei minori».
Infatti, quando è disposta consulenza tecnica d’ufficio ci si trova di fronte a una situazione di
affidamento «provvisorio», che però tende a consolidarsi e che nella stragrande maggioranza
dei casi è fatto alla madre, in conformità ad orientamenti tradizionali della psicologia infantile
che privilegiano in assoluto le cure materne per lo sviluppo armonioso del bambino e che
pongono su di un piano del tutto secondario la figura patema, almeno nei primi anni di vita.
Tale orientamento, che certamente non può essere ritenuto «illuminato» e «attuale», trova le
sue radici, oltre che in pregiudizi creati e alimentati da certe correnti psicologiche, nelle
caratteristiche socio-economiche e culturali che hanno connotato la struttura della famiglia nei
secoli passati.
In una società bloccata e patriarcale il padre, infatti, occupato sul versante «esterno» della
famiglia, aveva pochi legami diretti col bambino durante i primi anni di vita; di conseguenza, la
sua importanza in detto periodo non poteva essere paragonata, per qualità e intensità, a quella
della madre, custode «coatta» del focolare domestico (la “grande madre”).
Oggi, invece, possiamo dire che la situazione sta cambiando: nelle giovani coppie,
particolarmente quando entrambi i coniugi lavorano, è andato sviluppandosi sempre più un
impegno paritario nei confronti dei figli. Il che ha portato a una diversa significatività della
figura paterna, anche per ciò che riguarda i primi mesi di vita del bambino e non solo.
Pertanto la partecipazione e la fornitura di presenza affettivo-relazionale di un padre moderno
sono molto differenti da quelle tipiche dei suoi antenati.
Qual è il quesito che può essere posto?
Il quesito che è proposto dal magistrato al perito è, in genere, formulato nel seguente modo:
«Dica il consulente tecnico d’ufficio, letti gli atti di causa, sentite le parti (i coniugi e le persone
che vivono con l’uno o con l’altra), esaminati il (i) minore(i), compiuti i sopralluoghi negli

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appartamenti dell’uno o dell’altro coniuge, assunte le opportune informazioni e svolte tutte le


indagini necessarie ed opportune
quale sia la situazione più adeguata in merito all’affidamento del (dei) mino re(i), nell’esclusivo
suo (loro) interesse e in base alle esigenze materiali, morali e psicologiche dello (degli)
stesso(i);
indichi(no) inoltre quali siano le modalità concrete più opportune per il genitore non affidatario
di periodicamente vedere e tenere con sé il (i) figlio(i), nonché eventuali prescrizioni che sia
opportuno che il giudice dia al genitore affidatario ex art. 155 c.c.».
 A proposito di quest’ultimo inciso relativo a «eventuali prescrizioni che il giudice può
dare al genitore affidatario», la norma ha subito discutibili e a mio avviso, arbitrarie
dilatazioni fino a sostenere la possibilità/opportunità/necessità di disporre una
consulenza tecnica trasformativa.
La CTU trasformativa, intesa come percorso “rieducativo” coatto dei genitori, comunque inteso, è
un controsenso logico, formale e sostanziale.
Questo tipo di C.T.U., vera mostruosità giuridica, dimentica che il setting peritale è
caratterizzato da:
 Assenza di un libero accesso del periziando e del perito all’accertamento
 Il periziando è persona da valutare e non da curare
 Assenza di un iniziale approccio fiduciario
 Ricerca del massimo vantaggio con il minimo danno da parte del periziando, dai
difensori e dai consulenti delle parti
 Posizione di potere del perito
e che il ragionamento forense si differenzia sostanzialmente da quello clinico; questo è
finalizzato alla cura di un paziente, quello alla valutazione di uno stato di mente di un
periziando. Esiste pertanto una differenza sostanziale nell’uso del colloquio clinico e degli
strumenti diagnostici in ambito clinico, perché nel concetto di “prendersi cura di” non si
devono accertare aspetti e capacità, come accade invece in ambito di valutazione forense,
penale o civile.
Nessun giudice può prescrivere un trattamento o un altro senza il libero consenso degli
interessati, se non nei casi esplicitamente contemplati dalla legge.

Affidamento e adozione nei casi di abbandono


Per affidamento s’intende un provvedimento circoscritto nel tempo e revocabile, che vicaria
l’assenza o la non disponibilità temporanea di un ambiente familiare idoneo a realizzare il
diritto del minore a essere educato nella propria famiglia. Non di sostituzione della coppia
parentale e della famiglia in senso lato intesa si tratta quindi, ma di delega temporanea e
consensuale del compito parentale a soggetti destinatari dell’affidamento a scopo educativo
del minore. L’affidamento familiare cessa con provvedimento della stessa autorità che lo ha
disposto, valutato l’interesse del minore, quando sia venuta meno la situazione di difficoltà
temporanea della famiglia d’origine che lo ha determinato.

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Per adozione, invece, s’intende un provvedimento finalizzato a dare a un minore dichiarato in


stato di abbandono morale e materiale una famiglia che sostituisca a tutti gli effetti
quell’originaria andata perduta o mai esistita o rappresentata da genitori incapaci di fornire
adeguata assistenza morale e materiale e non disponibili a ovviare a tale stato di cose (fino ai
parenti entro il IV grado).
A chi è consentita l’adozione?
1. L’adozione è consentita a coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni. Tra i coniugi non
deve sussistere e non deve avere avuto luogo negli ultimi tre anni separazione personale
neppure di fatto.
2. I coniugi devono essere affettivamente idonei e capaci di educare, istruire e mantenere i
minori che intendano adottare.
L’adozione è consentita a favore dei minori dichiarati in stato di adottabilità. Sono dichiarati in
stato di adottabilità,i minori in cui sia accertata la situazione di abbandono perché privi di
assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, purché la
mancanza di assistenza non sia dovuta a forza maggiore di carattere transitorio.
 Il minore, il quale ha compiuto gli anni quattordici, non può essere adottato se non
presta personalmente il proprio consenso, che deve essere manifestato anche quando il
minore compia l’età predetta nel corso del procedimento. Il consenso dato può
comunque essere revocato sino alla pronuncia definitiva dell’adozione.
 Se l’adottando ha compiuto gli anni dodici deve essere personalmente sentito; se ha
un’età inferiore deve essere sentito, in considerazione della sua capacità di di-
scernimento».
La competenza in tema di adozione è del Tribunale per i minorenni.
Il tribunale per i minorenni, dispone l’esecuzione delle adeguate indagini, ricorrendo ai servizi
socioassistenziali degli enti locali singoli o associati, nonché avvalendosi delle competenti
professionalità delle aziende sanitarie locali ed ospedaliere (omissis);
Le indagini, che devono essere tempestivamente avviate e concludersi entro centoventi giorni,
riguardano in particolare la capacità di educare il minore, la situazione personale ed economica,
la salute, l’ambiente familiare dei richiedenti, i motivi per i quali questi ultimi desiderano
adottare il minore.
Il tribunale per i minorenni, in base alle indagini effettuate, sceglie tra le coppie che hanno
presentato domanda quella maggiormente in grado di corrispondere alle esigenze del minore»
Cosa fa il perito in questi casi?
Fotocopia e allega i vari quesiti che possono essere richiesti.

Idoneità genitoriale vs responsabilità genitoriale


Che cos’è l’idoneità genitoriale? Quali sono gli indicatori di idoneità?
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L’ idoneità genitoriale presuppone:

 Capacità di accudimento;
 Idoneità affettivo-relazionale;
 Capacità educativa
I consulenti sono tenuti a pronunciarsi sull’idoneità genitoriale e pertanto è bene tenere i
presenti i seguenti indicatori di idoneità:
 Capacità di fornire le cure di base.
 Sostegno alla crescita, attraverso atteggiamenti di tenerezza, comprensione ed
accoglienza.
 Approvazione ed incoraggiamento durante i processi di crescita, di autonomizzazione e
di allontanamento.
 Sostegno ed approvazione nel processo di distanza emotiva, normativa e relazionale.
 Capacità di non erogare ricompense che servano a rinsaldare un legame di dipendenza o
mantenere intatto l’accudimento che conserva e non trasforma.
 Legittimazione dell’impresa che si va a compiere o che si è appena compiuta.
 Capacità di evitare atteggiamenti di collusione, nutrimento, rinforzi narcisistici, intimità
invischiante, potere di esorcizzare il vuoto, il nulla che può esserci in noi.
 Capacità di tenere ben distinti i ruoli amicali, coniugali da quelli
parentali(amico/marito/compagno/padre;amica/maglie/compagna/madre).
 Capacità di richiamo costante al principio di realtà e al concetto di limite.
 Capacità di riconoscimento, di rispetto e di reciproca tutela dei rispettivi ruoli genitoriali.
Quindi:
 garantisce un attaccamento sicuro;
 sa proporre e modulare il discorso dei limiti, in funzione dell’età e delle caratteristiche
psicologiche del bambino;
 incoraggia l’autostima;
 favorisce la presa di coscienza dei bisogni e dei desideri e delle loro possibilità concrete
di realizzazione;
 aiuta a distinguere tra un sogno o una meta idealizzata e la costruzione di un progetto
concreto;
 garantisce la possibilità di sostegno in caso di richiesta o di necessità;
 riconoscimento sull’essere piuttosto che sul fare
Pertanto, un genitore in grado di supportare il figlio nel processo di crescita e di progressiva
autonomizzazione dovrebbe essere dotato di alcune capacità quali:
 riflessive;
 empatico-identificatorie;
 di contenimento;
 di stabilità affettiva;
 di controllo degli agiti;
 d’integrazione sociale;
 di trasmissione normativa;
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 di bassa emotività espressa;


 di coerenza e costanza relazionali.
 deve essere in grado di tollerare ed elaborare il conflitto intergenerazionale

Cos’è la responsabilità genitoriale?


L’art 316 c.c parla di responsabilità genitoriale.
«Entrambi i genitori hanno la responsabilità genitoriale che è esercitata di comune accordo
tenendo conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni del figlio. I genitori di
comune accordo stabiliscono la residenza abituale del minore. In caso di contrasto su questioni
di particolare importanza ciascuno dei genitori può ricorrere senza formalità al giudice
indicando i provvedimenti che ritiene più idonei.”
 La responsabilità genitoriale si ha in tutti i casi in cui vi siano dei figli, prescindendo dal
fatto che questi siano nati all’interno o al di fuori del matrimonio.
 È esercitata di comune accordo da entrambi i genitori; sempre di comune accordo i
genitori stabiliscono la residenza abituale del minore.
 Questa non cessa a seguito di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili,
annullamento, nullità del matrimonio.
 Se uno dei genitori è impossibilitato all’esercizio della responsabilità per lontananza,
incapacità o altro impedimento questa è esercitata in modo esclusivo dall’altro.
 In caso di contrasto sull’esercizio della responsabilità, ma solo su questioni di particolare
importanza, ciascuno dei genitori può ricorrere senza formalità al giudice indicando i
provvedimenti che ritiene più idonei.
- In questi casi il giudice, sentiti i genitori e ascoltato il figlio minore che abbia
compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento,
suggerisce le determinazioni che ritiene più utili nell'interesse del figlio e dell'unità
familiare.
- Se però il contrasto permane il giudice attribuisce il potere di decisione a quello dei
genitori che, nel singolo caso, ritiene il più idoneo a curare l'interesse del figlio.

 Fermo restando che non ci sono più differenze tra figli nati nel matrimonio e gli altri figli,
resta da stabilire a chi spetti la responsabilità genitoriale.
- È il genitore che ha riconosciuto il figlio ad esercitare la responsabilità genitoriale su
di lui. Se il riconoscimento del figlio, nato fuori del matrimonio, è fatto da entrambi i
genitori, l'esercizio della responsabilità genitoriale spetta ad entrambi.
- Quando però vi sia un genitore che non esercita la responsabilità genitoriale, questi
ha il diritto di vigilare sull'istruzione, sull'educazione e sulle condizioni di vita del
figlio.
 La responsabilità genitoriale si esprime, in concreto, attraverso una serie di diritti e
doveri che gravano sui genitori esercenti tale responsabilità, vediamo di riassumerli.

 1. Doveri di mantenimento verso i figli;


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 2.Rappresentanza del minore e amministrazione dei suoi beni;


 3. Usufrutto legale sui beni del figlio;
 4. Decadenza dalla responsabilità genitoriale;
 5. Ascolto del minore;
 6.La responsabilità nella crisi della coppia;
 7. Assegnazione della casa familiare;
 8. Affidamento a un solo genitore.

La differenza sta nel fatto che la responsabilità genitoriale, è nozione diversa da quella di
idoneità genitoriale, concretizzandosi la prima come dato oggettivo nel solo l'atto di essere
genitore, la seconda come qualificazione psicologica dello status di padre o madre.

La sindrome di Munchausen per procura


Questa sindrome è dovuta sia a genitori che provocano malattie nei figli, per lo più mediante
somministrazione di farmaci, onde ottenere l’attenzione e l’interessamento del medico, sia al
medico stesso che mette in atto gli interventi più vari e assurdi sollecitato da siffatti genitori
(«maltrattamento iatrogeno»). In parole povere per capirla. Ma tu devi ripetere quello di sotto.
Questa sindrome è caratterizzata da patologie denunciate come presenti nella storia clinica
del bambino, da una sintomatologia persistente o ricorrente (diarree, febbri, crisi epilettiche,
esami di laboratorio artatamente alterati, ecc.) raccontata dalla madre o dal padre e da un
conseguente accanimento terapeutico, che non trova giustificazione e spiegazione clinica
alcuna.

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La diagnosi di questa sindrome è difficilissima, perché deve tenere conto del funzionamento
mentale del genitore che denuncia i sintomi di sofferenza del figlio e dei riscontri clinici
negativi (= mancanza di segni clinici) sul figlio, che devono concordare tra di loro.
Pi capirini: bisogna capire che problemi mentali ha la madre che vede e fa presente al medico (rompendogli le
palle) malattie in suo figlio che in realtà non ha.

Di solito, il bambino, che è accompagnato da diversi medici con frequenza eccessiva e


immotivata e con richieste prescrittive e angoscianti da parte di un genitore erroneamente
convinto che il proprio figlio sia malato, collude (adotta un comportamento pertinente con ciò
che dice il genitore) con il genitore e simula la malattia, i cui sintomi scompaiono quando il
bambino è separato dal genitore che “fabbrica” e “manipola” la sua condizione di malattia .
Ma se i sintomi rimangono al massimo di un genitore ansioso, iperprotettivo,iper-accudente: e
quindi di per se stesso non patologico.

La storia clinica del minore è quindi il principale documento di cui deve entrare in possesso il
consulente, prima di procedere nelle sue indagini e di formulare giudizi tanto pesanti quanto
errati definendo come maltrattanti e patologici, e quindi non idonei nelle loro funzioni, certi
genitori che tali non sono. Per contro, se verificato, occorre tenere presente che le
conseguenze possono essere anche gravi e possono emergere nel momento in cui il bambino
cresce e diventa adolescente, entrando in una fase della vita che per definizione implica una
serie di problemi legati alla definizione dell’identità corporea. Il rischio è di continuare a
percepire il proprio corpo come “malato” e di strutturare funzionamenti patologici psichici, in
cui sono centrali il disturbo di- smorfofobico e quello ipocondriaco.

La sindrome da alienazione parentale


La PAS (Parental Alienation Syndrome) è oggetto di dibattito e ricerca, in ambito scientifico e
giuridico, da quando è stata originariamente proposta dallo psichiatra statunitense Richard A.
Gardner nel 198 5.
Si tratta di una patologia relazionale, per molti versi ipotetica e controversa, che insorge e si
inasprisce essenzialmente nel contesto delle controversie che riguardano l’affidamento dei figli
nei casi di separazione. La sua principale manifestazione è la campagna di denigrazione da
parte del figlio nei confronti di un genitore, una campagna che non ha giustificazione. Essa è
la conseguenza del fatto che uno dei due genitori ha fatto opera costante di demolizione
dell’altro genitore, al fine di cancellarlo dalla mente del minore, che in tal modo diventa

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strumento di vendetta del mortale scontro tra due genitori che hanno perduto ogni capacità di
amarsi, di rispettarsi e di mantenere distinti il ruolo di compagni da quello di genitori.
Alla presenza di reali abusi o segni di evidente trascuratezza la nozione di PAS non è applicabile
(Gardner 1985).
La PAS, secondo Gardner, sarebbe prodotta da parte di un genitore patologico (genitore
alienante) che farebbe una specie di lavaggio del cervello ai figli fino a portarli a perdere il
contatto con la realtà degli affetti, e ad esibire astio e disprezzo ingiustificato e continuo verso
l’altro genitore (genitore alienato).
o Le tecniche di “programmazione” del genitore alienante, tipicamente comprendono
l’uso di espressioni denigratorie riferite all’altro genitore; false accuse di trascuratezza,
violenza o abuso (nei casi peggiori, anche abuso sessuale);
o la costruzione di una “realtà virtuale familiare” di terrore e vessazione che genera, nei
figli, profondi sentimenti di paura, diffidenza e odio verso il genitore alienato.
o I figli, quindi, si alleerebbero con il genitore “sofferente”; si mostrerebbero come
contagiati da questa sofferenza, e inizierebbero ad appoggiare la visione del genitore
alienante, esprimendo, in modo apparentemente autonomo, astio, disprezzo e
denigrazione contro il genitore alienato.
La “programmazione” arriverebbe, secondo Gardner, a distruggere la relazione fra figli e
genitore alienato, perché i bambini arriverebbero a rifiutare qualunque contatto, anche
solamente telefonico, con il genitore alienato.
Perché si possa parlare di PAS, però, è necessario che l’astio, il disprezzo, il rifiuto non siano
giustificati (o giustificabili) da reali mancanze, trascuratezze o addirittura violenze del genitore
alienato. Cosa bisogna attenzionare?
Per valutare la presenza di PAS è necessario verificare i seguenti criteri:
o il bambino riferisce l’abuso solo se spronato dal genitore che sostiene la denuncia;
o esiste una contraddizione tra accusa del minore e presenza confortevole del genitore
accusato;
o c’è una partecipazione vivace e litigiosa del genitore che sostiene la denuncia;
o nel minore è presente la tendenza a manipolare oppure presenta un evidente bisogno di
compiacere.
La PAS è caratterizzata da 8 sintomi primari, espressi dai figli:
1. La campagna di denigrazione: il genitore permette che vi sia una mancanza di rispetto
verso l’altro coniuge e in molti casi la può anche favorire.
2. La razionalizzazione debole dell’astio che il bimbo mostra nei confronti del genitore non
affidatario si esprime con motivazioni illogiche, del tipo: “non voglio vedere mio padre
perché mi manda a letto presto”.
3. La mancanza di ambivalenza: il genitore rifiutato è descritto dal bimbo come del tutto
negativo.

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4. Il fenomeno del pensatore indipendente; cioè la determinazione del bimbo ad affermare


che ha elaborato da solo i termini della campagna di denigrazione, senza nessuna
influenza.
5. L’appoggio automatico del genitore alienante: una presa di posizione del bimbo sempre
e solo a favore del genitore affidatario.
6. L’assenza del senso di colpa, tutte le espressioni di disprezzo nei confronti del genitore
escluso avvengono senza sentimenti di colpa nel bimbo.
7. Gli scenari presi in prestito, sono affermazioni del bimbo che non possono venire da lui,
come per esempio l’utilizzo di termini che non sono propri di un bimbo di quell’età.
8. L’estensione delle ostilità alla famiglia allargata del genitore rifiutato, che coinvolge
nell’alienazione la famiglia, gli amici e le nuove relazioni affettive (una compagna o un
compagno) del genitore rifiutato.
Altri quattro criteri diagnostici sono stati identificati in seguito:
9. difficoltà di transizione nel momento in cui il figlio si separa dal genitore alienante per
trascorrere il periodo di visita con il genitore alienato;
10. comportamento antagonistico o distruttivo durante le visite presso il genitore alienato;
11. legame patologico o paranoide con il genitore alienante;
12. legame forte e sano con il genitore alienato prima che intervenisse il processo di
alienazione.
Richard Gardner afferma che, a suo parere, l’instillazione incontrollata di PAS sarebbe una vera
e propria forma di violenza emotiva, capace di produrre significative psicopatologie sia nel
presente che nella vita futura dei bambini coinvolti. Tra queste conseguenze, vi sarebbero gravi
processi psicopatologici quali:
 esame di realtà alterato;
 narcisismo;
 indebolimento della capacità di provare simpatia ed empatia;
 mancanza di rispetto per l’autorità, estesa anche a figure non genitoriali;
 paranoia;
 psicopatologie legate all’identità di genere.

È chiaro che occorre documentare con estrema accuratezza da un lato la patologia relazionale
esistente tra genitore alienante e figlio (deve essere di tipo esclusivo e invischiante, fino a
essere simbiotico) e dall’altro l'inconsistenza della denunciata negatività del genitore alienato
di fronte agli atteggiamenti e ai comportamenti ostili, provocatori e di palese rifiuto manifestati
dal figlio. Mai si potrà omettere l’accertamento dell’esclusivo interesse del minore, quale il
diritto di visita del genitore nón affidatario e gli incontri tra i due, a meno che siano presenti
chiare, documentate e incontrovertibili dinamiche alienanti e un rifiuto fondato del minore a
incontrare il genitore non affidatario.

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I provvedimenti e gli ordini di protezione


Esistono anche altre misure che proteggono tutto il nucleo familiare dalle condotte
pregiudizievoli e/o violente di uno dei coniugi o conviventi in danno dell’altro
coniuge/convivente e/o dei figli, attraverso la «misura cautelare dell’allontanamento dalla casa
familiare» (art. 1) e gli «ordini di protezione contro gli abusi familiari» (art. 2).
Dopo l’art. 282 c.p.p. è stato infatti inserito il seguente:
Art. 282-bis Allontanamento dalla casa familiare
«1. Con il provvedimento che dispone l’allontanamento il giudice prescrive all’imputato di
lasciare immediatamente la casa familiare, ovvero di non farvi rientro, e di non accedervi senza
l’autorizzazione del giudice che procede. L’eventuale autorizzazione può prescrivere
determinate modalità di visita.
2. Il giudice, qualora sussistano esigenze di tutela dell’incolumità della persona offesa o dei suoi
prossimi congiunti, può inoltre prescrivere all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati
abitualmente frequentati dalla persona offesa, in particolare il luogo di lavoro, il domicilio della
famiglia di origine o dei prossimi congiunti, salvo che la frequentazione sia necessaria per
motivi di lavoro. In tale ultimo caso il giudice prescrive le relative modalità e può imporre
limitazioni. (Omissis)».

La Convenzione di Lanzarote
La normativa
Il 25.10.2007, in Lanzarote (un’isola nell’arcipelago delle Canarie) il Comitato dei Ministri del
Consiglio d’Europa adottò una convenzione secondo la quale tutti i Paesi aderenti
s’impegnavano a rafforzare la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale,
adottando criteri e misure comuni sia per la prevenzione del fenomeno, sia per la punizione dei
colpevoli e la tutela delle vittime.
Tra le novità più importanti introdotte dalla Convenzione di Lanzarote furono due nuovi reati:
l’istigazione a pratiche di pedofilia e di pedopopornografia e l’adescamento di minorenni e
furono previste pene più severe per tutta una serie di reati quali i maltrattamenti in famiglia a
danno di minori, l’associazione a delinquere finalizzata alla commissione dei reati a sfondo
sessuale a danno di minori, la prostituzione e la pornografia minorile e l’impossibilità di
dichiarare di non essere a conoscenza della minore età della persona offesa nel caso di
commissione di un delitto in danno di minori. Tale convenzione il 19.9.2012 è stata finalmente
ratificata anche in Italia dopo numerose modifiche e integrazioni operate negli anni da Camera
e Senato ed è divenuta legge nel 2012.
Con questa convenzione sono numerose le novità introdotte all’interno del codice penale, tipo:
1. La parola pedofilia entra nel codice penale italiano
Chiunque, con qualsiasi mezzo e con qualsiasi forma di espressione, pubblicamente istiga a
commettere, in danno di minori, uno o più delitti previsti dagli arti 600 bis, 600 ter e 600
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quater, anche se relativi al materiale pornografico, è punito con la reclusione da un anno e sei
mesi a cinque anni.
2. L’art. 572 c.p. (Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli) è stato sostituito dal
seguente art. 572 - Maltrattamenti contro familiari e conviventi.
«Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona della famiglia
o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni
di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di
un’arte, è punito con la reclusione da due a sei anni».
3. Art. 600-bis — (Prostituzione minorile) prevede aumenti di pena nei confronti di
chiunque:
 «induce, favorisce, sfrutta, gestisce, organizza o controlla la prostituzione di un minore
degli anni 18;
 commette atti sessuali con un minore tra i 14 e i 18 anni;
 utilizzando minori degli anni 18, realizza esibizioni o spettacoli pornografici ovvero
produce materiale pornografico;
 recluta o induce minori di anni diciotto a partecipare a esibizioni o spettacoli por-
nografici ovvero dai suddetti spettacoli trae altrimenti profitto;
 assiste a esibizioni o spettacoli pomografici in cui siano coinvolti minori degli anni
diciotto».
 Ai fini di cui all’art. 600-bis, per pornografia minorile «si intende ogni rappresentazione,
con qualunque mezzo, di un minore degli anni diciotto coinvolto in attività sessuali
esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un
minore degli anni diciotto per scopi sessuali».
Inoltre:
Chiunque abbia commesso un reato sessuale in danno di minore possono sottoporsi ad un
trattamento psicologico con finalità di recupero e sostegno.
La nuova procedura:
 prevede anche che nella fase investigativa (e quindi in assenza di contraddittorio, nel
senso che le audizioni predibattimentali sono effettuate dal p.m. o dal difensore
unilateralmente), la polizia giudiziaria (p. g.), il pubblico ministero (p.m.) e il difensore,
quando ascoltano un minore sia come parte offesa sia come teste, siano affiancati da un
esperto in psicologia o in neuropsichiatria infantile in modo da costruire un buon setting
di ascolto del minore.
Altri provvedimenti sono raccolti nei Principi contenuti all’interno della Convenzione.
Per esempio l’articolo 35 disciplina i colloqui con i bambini.
L’Articolo 35: Colloqui con il bambino
«1. Ciascuna Parte adotterà i necessari provvedimenti legislativi o di altro genere affinché:

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 i colloqui con il bambino abbiano luogo senza alcun ritardo ingiustificato dopo che i fatti
siano stati segnalati alle autorità competenti;
 i colloqui con il bambino abbiano luogo, ove opportuno, presso locali concepiti o
adattati a tale scopo;
 i colloqui con il bambino vengano condotti da professionisti addestrati a questo scopo;
 nel limite del possibile e, ove opportuno, il bambino sia sempre sentito dalle stesse
persone;
 il numero dei colloqui sia limitato al minimo strettamente necessario al corso del
procedimento penale;
 il bambino possa essere accompagnato dal suo rappresentante legale, o, in caso, da
maggiorenne di sua scelta, salvo decisione contraria, motivata e assunta nei riguardi di
tale persona.

Le indicazioni della Convenzione contenute in questi due articoli sono di grande interesse per
uno psicologo forense o uno psichiatra infantile, perché la nuova legge che ha ratificato la
Convenzione prevede la presenza, in veste di ausiliare, di «un esperto in psicologia o in
psichiatria infantile addestrato allo scopo», quando polizia giudiziaria, pubblico ministero e
difensore «assumono informazioni da persone minori».
In questa prima fase di iniziale costruzione di una verità processuale in divenire, la polizia
giudiziaria e il pubblico ministero assumono al più presto informazioni essenziali dalle persone
minori (in veste di vittime e contemporaneamente di testimoni), eventualmente avvalendosi
dell’ausilio di un esperto in psicologia o in psichiatria infantile. A parte le situazioni d’immediata
e drammatica evidenza, un vaglio preliminare è essenziale, sia nei casi in cui è il minore stesso
che denuncia l’abuso, sia nei casi in cui è un adulto a farlo.
In nessun caso l’accertamento pur doveroso della verità processuale può avvenire a spese di un
bambino che è stato forse traumatizzato (il fatto processuale è in via di accertamento), ma che
certamente lo può essere durante le indagini che lo riguardano direttamente e che - a causa di
interventi talvolta maldestri che vorrebbero fare immediata “giustizia” e “mettere a posto le
cose” - possono sortire l’effetto di far sentire il bambino doppiamente responsabile per aver
“ceduto” all’adulto o per averlo “mandato in carcere”.
A tal fine, la Procura della Repubblica avvia - in via urgente - i necessari accertamenti per
delineare la verità processuale servendosi della ricostruzione del contesto familiare, ambientale
e sociale in cui i fatti denunciati sarebbero avvenuti. Questi è ascoltato nella maniera più
informale e spontanea possibile dal P.M., che può avvalersi dell’ausilio di un esperto in
psicologia forense o in psichiatria infantile, eventualmente nominato come consulente.
La polizia giudiziaria può essere delegata dal P.M. a sentire il minore. In questo caso, anch’essa
può avvalersi dell’ausilio di un esperto in psicologia forense o in psichiatria infantile o può
essere assistita da un consulente nominato dal procuratore della repubblica.
La necessità (opportunità) di essere assistiti, nella fase investigativa, da un “esperto in
psicologia o in neuropsichiatria infantile” nella veste di ausiliare o di consulente del pubblico
ministero ha lo scopo di:
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 definire preliminarmente il setting di incontro e i reciproci ruoli, offrendo tutti gli


indispensabili chiarimenti e aiuti alla parte investigante;
 mediare nella raccolta delle dichiarazioni per consentire alla parte investigante di
formulare domande adeguate e raccogliere «al meglio» i racconti della (presunta)
vittima;
 garantire le corrette procedure di accoglienza e di ascolto del minore, quali previste
dalla Lanzarote e non svolgere funzioni di psicopoliziotti;
 in caso di difficoltà sopravvenute nel corso dell’audizione, interrompere rincontro e
discutere sulle necessarie modificazioni del setting di ascolto;
 garantire una metodologia corretta nell’ascolto del minore.
Richiamo nuovamente, in particolare, l’attenzione sull’atteggiamento e sul comportamento
che deve assumerne l'ufficiale di polizia giudiziaria che raccoglie la testimonianza del minore:
Operazioni condivise
 videoregistrare o, almeno, registrare tutto quanto avviene nel setting peritale
 assumere una posizione di ascolto neutrale
 se frutto di racconto spontaneo, raccogliere la versione dell’abuso subito
semplicemente registrandolo, mai commentandolo o approfondendone aspetti
particolari
 registrare i segni di disagio emotivo e comportamentale eventualmente esternati e
osservati, senza attribuire loro un particolare significato, dal momento che, a parte
quelli fisici, non esistono indicatori specifici di situazioni di abuso
 chiudere l’incontro in maniera molto amichevole, rassicurante e rasserenante, anche
quando non si è raccolto nulla di significativo da un punto di vista giudiziario.

Operazioni da evitare
 non assumere atteggiamenti seduttivi o ricattatori con il piccolo testimone
 non ergersi a paladino della giustizia, garantendo punizioni o interventi salvifici
 non farsi guidare da opinioni personali (i pregiudizi)
 evitare domande dirette che confermano nostre ipotesi di partenza o inducenti o
favorenti o suggestive
 evitare di ripetere le stesse domande
 non fare affidamento su deposizioni i cui contenuti cambiano di continuo, sia
arricchendosi, sia impoverendosi
 non stupirsi di fronte ad atteggiamenti verbali o non verbali che mirano a monopolizzare
l’attenzione dell’esaminatore, manipolandolo

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 non affrontare il tema dell’abuso sessuale oggetto dell’accertamento peritale con


domande dirette ed esplicite
 non responsabilizzare eccessivamente il testimone.
L ’ausiliare “esperto ” non rivolge mai al minore domande dirette alla ricostruzione dei fatti per
cui si procede, ma lavora con la P.G. nel condurre con la massima correttezza possibile
rincontro con il minore.
Nel caso in cui il minore, spontaneamente, narri a chi raccoglie la denuncia il fatto o i fatti di cui
si dichiara vittima o testimone, in questa fase di indagini iniziali è buona prassi che l’estensore
del rapporto si limiti a registrare le dichiarazioni, senza porre domande o procedere a
contestazioni di sorta.
Nel caso in cui l’esperto intervenga come consulente del pubblico ministero, avrà anche il
compito di:
 fare un profilo di personalità del minore, onde accertarne il funzionamento mentale
globale (la verità clinica), seguendo una metodologia appropriata;
 svolgere un accertamento in punto idoneità generica del minore a rendere
testimonianza.
La fono-video-registrazione se eseguita nella fase investigativa con le dovute garanzie
deontologiche e metodologiche, può costituire elemento di prova al processo, senza più
necessità di ascoltare il minore (audizione protetta).
Nella legge di ratifica non è esplicitato alcun obbligo di fonovideo- registrazione nella fase
predibattimentale. La scelta è lasciata alla discrezionalità delle parti.
Tale obbligo permane solo nel corso dell’incidente probatorio.
Procedura:
1 Fase investigativa
2 Terminata la fase investigativa o pre-dibattimentale, il pubblico ministero, esperito ogni
possibile accertamento, costruita una verità processuale di cui sia convinto e acquisita una
verità clinica fornitagli dal suo consulente, procede a una prima sintesi di queste due verità e, se
ha dati sufficienti per procedere, accertato che il minore è in grado di affrontare un atto per lui
sicuramente impegnativo, chiede al Giudice per le Indagini Preliminari di disporre l’incidente
probatorio, sede privilegiata di acquisizione delle dichiarazioni del minore presunta vittima di
abusi sessuali.
2 Incidente probatorio
È fondamentale attivare, il più presto possibile rispetto alla notizia dell’abuso, l’incidente
probatorio nel corso del quale poter assumere le dichiarazioni del minore in punto accadimenti
specifici che possono avere rilevanza penale e quindi disporre la perizia d’ufficio per accertare
«qui e ora» la sua idoneità specifica.
Simo Ricordiamoci che l’idoneità generica viene accertata in fase investigativa, mentre quella
specifica in fase di incidente probatorio se viene disposta perizia.
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La valutazione in punto idoneità specifica deve avvenire pertanto solo nel corso dell’incidente
probatorio, sede ufficiale della formazione della prova, quando la vittima di reato narrerà i fatti
di cui ha già eventualmente detto ad altri prima che si iniziasse il procedimento penale e sui
quali occorrerà svolgere ulteriori, specifici ragionamenti clinici e valutativi, anche attraverso
formulazione di specifiche domande in merito alle dichiarazioni rese (= accertamenti peritali
sull’idoneità specifica).
In sintesi: la valutazione tecnica sul “che cosa” il minore narra spetta al giudice e al difensore
(attendibilità e veridicità della testimonianza)', quella clinica sul “come” lo racconta spetta al
consulente e al perito (idoneità generica e specifica).
Fondamentale, a questo punto, è ricordare che - secondo l’età del minore vittima o testimone -
dovranno essere adottate strategie differenziate e specifiche di ascolto e di indagine: una cosa
è esaminare un bambino di 4-5 anni, altra cosa un adolescente di 13-14 anni.

La consulenza tecnica in ambito civile


La capacità civile è costituita dalla capacità giuridica (che si acquista al momento della nascita,
art. 1 c.c.) e dalla capacità di agire (che si acquista al compimento del 18° anno, art. 2 c.c.). Con il
raggiungimento della maggiore età, si acquista la capacità personale di votare, di disporre per
testamento, di stipulare contratti, di stare in giudizio, di donare, di contrarre matrimonio, di
assumere decisioni autonome nel campo della salute. La capacità di succedere si acquista con
la nascita.
Capacità giuridica= nascita
Capacità di agire=18 anni
Capacità di succedere= nascita

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Procedimento civile:
In questo settore la perizia d’ufficio prende nome di consulenza tecnica d’ufficio (C.T.U.).
L’iter giudiziario è contrassegnato dalla presenza di due parti, delle quali l’una assume
giuridicamente il ruolo di attore (o creditore), l’altra quella di convenuto (o debitore). I
difensori della parte attrice e di quella convenuta possono nominare dei consulenti di parte
(C.T.P.) «con dichiarazione ricevuta dal cancelliere».
Attore= vittima che richiede un azione legale nei confronti del convenuto. Rappresenta quindi
la parte offesa.
Covenuto= è la persona contro il quale viene fatta un’azione legale da parte dell’attore.
ll consulente tecnico d’ufficio (C.T.U.), in qualità di ausiliario del giudice, viene nominato dal
giudice istruttore con ordinanza.
Ricordiamo che il CTU viene nominato dal giudice, mentre il CTP viene nominato dalle parti.
L’art 191 codice procedura civile regola la nomina del consulente tecnico di ufficio, stabilendo
che questo viene nominato dal giudice con ordinanza, formula i quesiti e fissa l’udienza nella
quale il consulente deve comparire. Possono essere nominati più consulenti soltanto in caso di
grave necessità o quando la legge espressamente lo dispone.
Quindi il giudice Il giudice, per il compimento di singoli atti o per tutto il processo, può farsi
assistere da uno o più consulenti di “particolare” competenza tecnica. I consulenti tecnici
devono essere scelti “normalmente” tra le persone iscritte in albi speciali. Normalmente non
vuol dire esclusivamente, per cui il giudice può anche nominare come consulente uno
specialista non iscritto nell’albo dei consulenti tecnici; ma mentre nel primo caso (quindi se
viene scelto dall’albo) il consulente nominalo ha l’obbligo di prestare il suo ufficio, tranne che
esista un giusto motivo di astensione; nel secondo caso questo obbligo non esiste.
All’udienza di comparizione, il giudice riceve dal consulente «il giuramento di bene e
fedelmente adempiere le funzioni affidategli al solo scopo di far conoscere ai giudici la verità»
(art. 193 c.p.c., giuramento del consulente). In quell’occasione:
 il consulente fissa l’inizio delle operazioni peritali o si riserva di farlo mediante lettera
raccomandata da inviare a tutti i consulenti di parte eventualmente nominati;
 Sempre il giorno del conferimento dell’incarico peritale, è fissato anche il termine entro
il quale il consulente depositerà il proprio elaborato peritale.
 Le attività del consulente del giudice sono precisate negli artt. 62 c 194 c.p.c. (attività
del consulente) e a lui si applicano le disposizioni del codice penale relative ai periti.
Amò non ti appagnare, è identico a tutto ciò che si dice nel primo tomo, solo che qui è in
ambito civile e viene chiamato CTU.

Gli articoli 62 e 194 del codice di procedura civile parlano dell’attività del CTU.

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Art. 62 codice procedura civile: Attività del consulente


Il consulente compie le indagini che gli sono commesse dal giudice e fornisce, in udienza e in
camera di consiglio, i chiarimenti che il giudice gli richiede a norma degli articoli 194 e seguenti.
Art. 194 codice procedura civile: Attività del consulente
Il consulente tecnico assiste alle udienze alle quali è invitato dal giudice istruttore; compie,
anche fuori della circoscrizione giudiziaria, le indagini di cui all’art. 62, da sé solo o insieme al
giudice a seconda della sua disposizione. Può essere autorizzato a domandare chiarimenti alle
parti, ad assumere informazioni da terzi e a eseguire piante, calchi e rilievi.
Anche quando il giudice dispone che il consulente compia indagini da sé solo, le parti possono
intervenire alle operazioni in persona e a mezzo dei propri consulenti tecnici di parte e possono
presentare al consulente, per iscritto o a voce, osservazioni e istanze».

Art. 63 codice di procedura civile: Obbligo di assumere l’incarico e ricusazione del consulente
Il consulente scelto tra gli iscritti in un albo ha l’obbligo di prestare il suo ufficio, tranne che il
giudice riconosca che ricorre un giusto motivo di astensione.
E Il consulente può essere ricusato dalle parti per i motivi indicati nell’articolo 51.
PS: qual è l’articolo 51?

Quindi:
Il consulente che non ritiene di accettare l’incarico o quello che, obbligato a prestare il suo
ufficio, intende astenersi, deve farne denuncia o istanza al giudice che l’ha nominato almeno tre
giorni prima dell’udienza di comparizione; nello stesso termine le parti debbono proporre le
loro istanze di ricusazione, depositando nella cancelleria ricorso al giudice istruttore.

Art. 193 c.p.c. - Giuramento del consulente - «All’udienza di comparizione il giudice istruttore
ricorda al consulente l’importanza delle funzioni che è chiamato ad adempiere, e ne riceve il
giuramento di bene e fedelmente adempiere le funzioni affidategli al solo scopo di fare
conoscere ai giudici la verità».
Tutte le attività svolte in udienza possono essere ricostruite come segue:
1. registrazione delle presenze;
2. dichiarazione di accettazione d’incarico del consulente prescelto;
3. giuramento del consulente;
4. dichiarazione delle generalità del CTU;
5. formulazione dei quesiti peritali;
6. dichiarazione del luogo in cui si svolgeranno le operazioni peritali e dell’inizio delle
stesse o del rinvio;

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7. autorizzazione all’acquisizione di eventuale documentazione clinica, ovunque esistente;


8. autorizzazione a rimborsi spese di viaggio;
9. autorizzazione ad accedere nei luoghi in cui si trovi eventualmente ospitata o ricoverata
la persona da esaminare;
10. autorizzazione ad avvalersi di esperti ausiliari (eventuale);
11. nomina dei consulenti tecnici di parte o rinvio;
12. termine d’invio della relazione alle parti;
13. termine alle parti per proporre le loro osservazioni alla relazione del CTU;
14. termine di deposito della relazione definitiva;
15. termine di rinvio del procedimento;
16. disposizione del fondo spese;
17. consegna al CTU dei fascicoli di parte;
18. sottoscrizione del verbale da parte del CTU e di tutti i presenti all’udienza di
conferimento.
Il quesito peritale, già contenuto nello stesso provvedimento di nomina del consulente, deve
essere il più specifico e articolato possibile; la sua corretta formulazione dovrebbe essere il
prodotto di un accordo almeno tra il giudice e il suo consulente, giacché quesiti imprecisi, vaghi,
frettolosi, aspecifici, esitano in risposte altrettanto vaghe, imprecise e, al limite, errate.
Dopo che il consulente avrà iniziato le sue indagine, si forma processo verbale, soprattutto se le
indagini sono condotte insieme al giudice istruttore, ma anche in questo caso potrebbe
richiedere una relazione scritta oltre al processo verbale. Ma se il giudice istruttore non
dovesse essere presente allora il consulente deve necessariamente redigere una relazione
scritta nella quale inserisce anche le osservazioni e le istanze delle parti. La relazione deve
essere trasmessa dal consulente alle parti costituite nel termine stabilito dal giudice.
Il giudice issa il termine entro il quale le parti devono trasmettere al consulente le proprie
osservazioni sulla relazione e il termine, anteriore alla successiva udienza, entro il quale il
consulente deve depositare in cancelleria la relazione, le osservazioni delle parti e una sintetica
valutazione sulle stesse». (art 195 c.p.c.)

Art. 201 c.p.c. - Consulente tecnico di parte - «Il giudice istruttore, con l’ordinanza di nomina del
consulente, assegna alle parti un termine entro il quale possono nominare, con dichiarazione
ricevuta dal cancelliere, un loro consulente tecnico. Il consulente della parte, oltre ad assistere
a norma dell’articolo 194 alle operazioni del consulente del giudice, partecipa all’udienza e alla
camera di consiglio ogni volta che vi interviene il consulente del giudice, per chiarire e svolgere,
con l’autorizzazione del presidente, le sue osservazioni sui risultati delle indagini tecniche».
Il consulente tecnico nominato dalle parti (C.T.P.) ha facoltà di intervenire
 nella formulazione del quesito peritale, chiedendone eventuali integrazioni o modifiche;
 a livello di metodologia, discutendone limiti, validità, articolazione, aspetti, variazioni e
integrazioni;
 nella richiesta che siano svolte determinate indagini e specifici esami o presi in
considerazione determinati atti o documenti,
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 nel produrre eventuale altra documentazione di cui è venuto in possesso e che deve
però essere stata precedentemente depositata e sottoposta al vaglio critico del giudice.
Il C.T.P. non è tenuto a prestare alcun giuramento; il suo compito è quello di seguire passo
passo il procedimento del C.T.U., valutarne la correttezza metodologica, formulare obiezioni,
suggerimenti, osservazioni, deduzioni e controdeduzioni, presentare al consulente del giudice,
entro il termine da questi fissato, le proprie conclusioni, convergenti o divergenti che siano. Egli
non si assume mai un obbligo di risultati, bensì solo di mezzi: pertanto non può essere
considerato inadempiente nel caso di mancato raggiungimento dell’obiettivo atteso dal
committente o addirittura contrario.
Cosa succede se sorgono contrasti tra CTU e CTP?
Se durante lo svolgimento delle operazioni peritali insorgono contrasti metodologici e
procedurali insanabili tra C.T.U. e C.T.P., compito di entrambi è di presentare il problema al
committente, sospendendo temporaneamente il loro lavoro.
Il problema può presentarsi in maniera particolarmente acuta nei casi che riguardano la
valutazione del danno biologico di natura psichica e l’affidamento di minori in caso di
separazione o altro: casi in cui la delicatezza e complessità dell’indagine è inquinata da
soggettivismi interpretativi.
Per parte sua, il C. T. U. deve dimostrare di aver preso effettivamente in seria considerazione le
istanze, le osservazioni, le integrazioni, le valutazioni che gli sono state fornite dai consulenti di
parte, pena la nullità del suo elaborato.
Pertanto il giudice, nella sua sentenza, non può non tenere conto se il C.T.U. ha o meno tenuto
in effettivo conto le osservazioni formulate dai CC.TT.PP. e l’uso che ne ha/non ne ha fatto in
riferimento alle conclusioni da lui formulate e deve prendere in attento esame la fondatezza
delle osservazioni mosse dai consulenti tecnici di parte alle risultanze della C.T.U., non potendo
semplicisticamente e spicciativamente limitarsi a un generico e acritico richiamo alle conclusioni
del consulente da lui nominato.
Il CTU può avvalersi di altri consulenti di sua fiducia.
In punto ausiliari del C.T.U., il giudice, in genere, autorizza il suo consulente ad avvalersi di
persona di sua fiducia, lasciandolo completamente libero di decidere in merito e senza doverne
formalizzare la nomina anche se sarebbe opportuno se la collaborazione di un esperto o di uno
specialista avvenisse sotto il controllo del giudice che deve essere preventivamente informato
di ciò. Il C.T.U., in ogni caso, deve assumersi «la responsabilità morale e scientifica
dell’accertamento e delle conclusioni raggiunte dal collaboratore da lui nominato». II giudice
però ha la possibilità di valutare “a posteriori” la necessità o meno del ricorso a tale esperto
“esterno”.
Lo schema di stesura della relazione prevede: secondo me è inutile imparare tutte queste cose
che già sappiamo.
1. l’autorità che dispone la C.T.U.; nome, cognome, titoli del C.T.U.; data del conferimento
della nomina e dell’udienza di conferimento dell’incarico;

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2. la formulazione dei quesiti;


3. le autorizzazioni richieste e concesse
4. il termine assegnato per la consegna dell’elaborato alle parti; delle osservazioni di
queste al C.T.U. e il termine di consegna della relazione definitiva;
5. l’inizio delle operazioni peritali (data e luogo);
6. il diario dello svolgimento delle operazioni peritali (non prescritto, ma opportuno), che,
a sua volta, contempla:
- date e numero degli incontri con i contenuti dei singoli incontri:
- le persone da convocare;
- le tecniche utilizzate per registrare i contenuti (colloquio libero; registrazione;
video registrazione);
- gli ulteriori incontri concordati nel corso delle operazioni peritali;
7. la metodologia seguita, meglio se concordata con le parti;
8. l’oggetto del “contendere”, quale emergente dalla lettura del fascicolo civile e
dall’esposizione dei consulenti delle parti (la ricostruzione della realtà storica)',
9. la documentazione clinica: trascrizione o riassunto di tutti i documenti clinici afferenti al
caso, o allegati agli atti o comunque acquisiti;
10. l’eventuale precedente documentazione psico-forense; riassunto di eventuali altre
consulenze d’ufficio o di parte o memorie comunque consegnate al magistrato o fatte
pervenire dalle parti;
11. l’indagine clinica (la ricostruzione della realtà psicologica), a sua volta articolata nella
raccolta de:
- i dati anamnestici e storici;
- l’esame obiettivo;
- gli esami di laboratorio e le indagini strumentali eseguite;
- gli esami di sussidio diagnostico;
12. le considerazioni cliniche, relative ai singoli soggetti esaminati e alle loro reciproche
relazioni;
13. la discussione psico-forense del caso considerato nei suoi aspetti specifici e generali;
14. le risposte ai quesiti.

Gli ambiti di intervento dell’esperto psico-forense


Quali i settori civilistici in cui può essere richiesto l’intervento valutativo di uno psichiatra o di
uno psicologo forensi?
 amministrazione di sostegno; interdizione; inabilitazione;
 impugnazione di un atto (contratto, testamento, donazione);
 affidamento di minori nei casi di separazione giudiziale;
 affidamento e adozione di minori in stato di abbandono;
 danno biologico di natura psichica, diretto e indiretto;
 invalidità civile, pensionabile, ecc.;
 i problemi del consenso;
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 la responsabilità professionale;
 idoneità al lavoro, alla guida, al porto d’armi, allo sport agonistico, ecc.

In psicologia e in psichiatria cliniche si tratta di:


o obiettivare: descrivere la condizione e il funzionamento mentali di un soggetto in
esame, nel momento in cui è eseguito l’accertamento. L’obiettivazione di uno stato di
mente in ambito clinico prevede il:
o descrivere: consegnare alla parola e allo scritto quanto è stato possibile osservare
obiettivamente e analiticamente una condizione mentale, applicando una categoria alfa
numerica, espressione del classificare, ossia del collocare una persona o una cosa in una
classe, al fine di mettere ordine, di semplificare, di raggruppare sotto un termine
convenzionale elementi complessi;
o individuare gli eventuali indicatori psicopatologici,
o esaminare il funzionamento mentale: come e quanto le aree funzionali dell’Io (funzioni
percettivo-memorizzative; organizzative', previsionali', deci¬sionali) sono «libere» da
patologia inficiante con riferimento:
- alle attività della vita quotidiana;
- ai rapporti affettivi e sociali
- alle capacità di adattamento;
- alla competenza nel prendere decisioni
o stendere un piano d'intervento terapeutico da concordare con il paziente.

Mentre nelle discipline forensi, oltre ai primi tre punti elencati sopra, si deve:
o valutare: riportare l’obiettivazione clinica a una determinata problematica medico-legale
o psichiatrico-forense che riguarda, ad esempio:
o idoneità genitoriale;
o capacità di prendere delle decisioni in ambiti specifici (competence);
o quantificazione e qualificazione del danno biologico di natura psichica;
o quantificazione e qualificazione dell’invalidità e dell’incapacità civile.

È escluso, in tutti i casi, un compito terapeutico (psico o farmaco terapeutico) diretto e


specifico, che deve essere sempre demandato a coloro che hanno compiti di cura.

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Amministrazione di sostegno, interdizione e inabilitazione.


L’Art. 404 c.c. Amministrazione di sostegno
«La persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si
trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, può
essere assistita da un amministratore di sostegno, nominato dal giudice tutelare del luogo in cui
questa ha la residenza o il domicilio».
Chi può presentare domanda?
Soggetti: la richiesta può essere presentata dallo stesso soggetto beneficiario, anche se
minore, interdetto o inabilitato), dal coniuge, dalla persona stabilmente convivente, dai parenti
entro il quarto grado, dai responsabili dei servizi sanitari e sociali direttamente impegnati nella
cura e assistenza della persona: quindi anche dal medico curante o di base.

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L'interdetto e l'inabilitato possono accedere a tale provvedimento solo se contemporanea-


mente presentano istanza di revoca dell’interdizione e dell’inabilitazione. Non ho capito che
vuol dire.
Chi ne trae beneficio?
Mentre l’interdizione riguarda solo gli infermi di mente abituali totalmente incapaci, il nuovo
strumento di protezione civilistica viene incontro ai bisogni di qualsiasi persona si trovi in
difficoltà (= impossibilità), anche solo temporanea, a esercitare i propri diritti: quindi non
soltanto soggetti che presentano un’impossibilità di provvedere ai propri interessi per una
«qualsiasi causa che li rende momentaneamente incapaci di intendere o di volere» (un disturbo
mentale transitorio ampiamente inteso), ma anche anziani della quarta età, handicappati
sensoriali, alcool e tossicodipendenti, soggetti colpiti da disturbi cerebrali involutivi,
traumatizzati cranici, disabili fisici e via dicendo, in cui residua una capacità parziale o, in altre
parole, è presente una incapacità parziale dovuta a menomazione fisica o psichica.
Cosa fa l’amministratore di sostegno?
In tutti questi casi, l’amministratore di sostegno assiste, con interventi temporanei o
permanenti, la persona che ha una limitata capacità decisionale o è contingentemente
impossibilitata a provvedere ai propri interessi. In quest’ultimo ambito, a questo «garante»,
nominato, se possibile, in accordo con il paziente o su sua diretta indicazione o con decreto del
giudice tutelare, il medico, assumendo la sua non cedibile posizione di garanzia, prospetta la
complessità e la delicatezza della situazione clinica da affrontare e con lui e il paziente
condivide le scelte da attuare nell’interesse di quest’ultimo.
Quindi:
L’amministratore di sostegno, raccolto il parere del sanitario nella sua posizione di garanzia e
sentiti eventualmente i familiari, preso atto di eventuali volontà precedentemente espresse,
comunica il tutto al giudice tutelare, il quale interviene subito, soprattutto se l’atto ha carattere
di urgenza e la persona interessata non è in grado di esprimere il suo consenso/dissenso o lo
esprime in maniera viziata.
La persona ammessa all’A.S. viene denominata «il beneficiario».
Il decreto di nomina contiene, tra l’altro, la durata dell’incarico che può esser anche a termine
indeterminato; precisa gli atti che può compiere l’amministratore in nome e per conto del
beneficiario e quelli che il beneficiario può compiere solo con l’assistenza dell’amministratore.
La durata dell’incarico, quando a tempo determinato, può essere prorogata dal giudice tulelare
con decreto motivato.
Se l’amministratore di sostegno o il beneficiario compiono atti che violano disposizioni di legge
o quelle contenute nel decreto, questi possono essere annullati su richiesta rispettivamente,
del beneficiario, dei suoi eredi e aventi causa, dell’amministratore di sostegno, del pubblico
ministero (art. 412 c.c.).
Come per i provvedimenti dell’interdizione e dell’inabilitazione, l’A.S., che viene pronunciata dal
giudice tutelare, può essere revocata.

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Art.413 c.p.c Revoca dell’amministrazione di sostegno.


Quando il beneficiario, l’amministratore di sostegno, il pubblico ministero, ritengono che si
siano determinati i presupposti per la cessazione dell’amministrazione di sostegno, o per la
sostituzione dell’amministratore rivolgono istanza motivata al giudice tutelare (omissis). Il
giudice tutelare provvede altresì, anche d’ufficio, alla dichiarazione di cessazione
dell’amministrazione di sostegno quando questa si sia rivelata inidonea a realizzare la piena
tutela del beneficiario. In tale ipotesi, se ritiene che si debba promuovere giudizio di interdi-
zione o di inabilitazione, ne informa il pubblico ministero, affinché vi provveda. In questo caso
l’amministrazione di sostegno cessa con la dichiarazione di interdizione o di inabilitazione».
Controversia tra amministratore di sostegno e tutore.
Dal web:
Nella giurisprudenza, vige la distinzione tra amministratore di sostegno e tutore. Il primo è
nominato quando un soggetto abbia un grado di infermità o impossibilità e il suo compito è di
adeguarsi alle esigenze del soggetto assistito. Il secondo invece, è protettore delle persone
incapaci, quali i minori e gli interdetti per legge.
L'amministratore di sostegno è una figura con compiti di assistenza, sostenimento e
rappresentanza di chi è impossibilitato a provvedere ai normali adempimenti quotidiani, in
maniera totale o parziale.
Gli atti che l'amministratore di sostegno può compiere in nome e per conto del beneficiario, si
distinguono in atti di ordinaria amministrazione (previa autorizzazione del giudice tutelare) e
atti di straordinaria amministrazione (in questo caso l'autorizzazione proverrà da decreto).
Tutti gli atti che non ricadono nella competenza dell'amministratore di sostegno (ovvero quelli
necessari per il soddisfacimento delle esigenze quotidiane) rimangono in capo al soggetto
beneficiario.
L'amministratore di sostegno ha l'obbligo di tener conto dei bisogni e delle aspirazioni del
beneficiario e di informarlo in maniera tempestiva. Si assiste, dunque, ad una sorta di
collaborazione tra amministratore di sostegno e beneficiario; collaborazione assente nel caso
di interdizione, dove l'interdetto è semplicemente sostituito dal tutore.
Libro:
Possono dunque essere oggetto di amministrazione «interessi» non solo patrimoniali, ma
anche «altri», quali il bene salute: più in generale, ogni attività della vita civile giuridicamente
significativa.
La possibilità che l’amministratore di sostegno possa prestare il consenso al trattamento
sanitario al posto e in vece del beneficiario, al di fuori dell’urgenza, è però oggetto di vivaci
controversie perché c’è chi ritiene che questa nuova figura giuridica possa avere un mandato
praticamente sovrapponibile a quello del tutore.
Ma in realtà non bisogna dimenticare che L'amministratore di sostegno ha l'obbligo di tener
conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario e di informarlo in maniera tempestiva. Si

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assiste, dunque, ad una sorta di collaborazione tra amministratore di sostegno e beneficiario;


collaborazione assente nel caso di interdizione, dove l'interdetto è semplicemente sostituito
dal tutore.

Infatti:
L’amministratore di sostegno viene nominato non in presenza di una situazione di incapacità (=
mancanza naturale o legale della capacità di agire, che comporta l’impossibilità di compiere
autonomamente atti giuridicamente validi), bensì di impossibilità (= la condizione generica in
cui una persona si trova di non poter fare una cosa) di prendere una qualsiasi decisione.
Detto ciò,è possibile proporre il seguente percorso metodologico procedurale:
o ai «clinici» (medici internisti e specialisti in genere) dovrebbe spettare il compito di
descrivere e precisare i disturbi che motivano la richiesta dell’A.S.;
o ai «forensi» (medici legali e/o psichiatri e/o psicologi) quello di valutare l’effettiva
incidenza sull’impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere agli interessi
del beneficiario, pronunciandosi anche sulle abilità residue.
Sarebbe auspicabile che in questo settore d’indagine gli accertamenti venissero disposti e
condotti, o perlomeno discussi, da un’equipe composta da clinici e forensi, o attraverso lo
strumento dell’accertamento peritale, o quello della riunione collegiale interdisciplinare simile
quella già operante nel Tribunale della sorveglianza o in quello per i minorenni.
Solo la casistica che si raccoglierà nel tempo e l’esperienza in questo nuovo settore di tutela,
consentiranno di stabilire di quali effetti sarà produttiva questa nuova legge che,
nell’introdurre una forma di tutela morbida, verosimilmente tenderà a svuotare di significato
l’istituto dell’inabilitazione e a riservare quello dell’interdizione ai casi più gravi di incapacità
assoluta.

Inabilitazione e interdizione
Art. 414 c.c. Persone che possono essere interdette
«Il maggiore di età e il minore emancipato, i quali si trovano in condizioni di abituale infermità di
mente che li rende incapaci di provvedere ai propri interessi, sono interdetti quando ciò è
necessario per assicurare la loro adeguata protezione».
Art. 415 c.c. Persone che possono essere inabilitate
«Il maggiore di età infermo di mente, lo stato del quale non è talmente grave da far luogo
all’interdizione, può essere inabilitato.
Possono anche essere inabilitati coloro che, per prodigalità o per abuso abituale di bevande
alcooliche o di stupefacenti, espongono sé o la loro famiglia a gravi pregiudizi economici.
Possono infine essere inabilitati il sordomuto e il cieco dalla nascita o dalla prima infanzia.”

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Non si può pronunziare l’interdizione o l’inabilitazione senza che si sia proceduto all’esame
dell’interdicendo o dell’inabilitando.
Il giudice può in questo esame farsi assistere da un consulente tecnico. Può anche interrogare i
parenti prossimi dell’interdicendo o inabilitando e assumere necessarie informazioni.
Dopo l’esame, qualora sia ritenuto opportuno, può essere nominato un tutore provvisorio
all’interdicendo o un curatore provvisorio all’inabilitando».
Tutore= interdetto
Curatore=inabilitato
Come esplicitato negli articoli di cui sopra, in caso di necessità, urgenza o anche solo
opportunità, il giudice che ha proceduto all’esame dell’interdicendo o dell’inabilitando, se
questi non aveva inoltrato richiesta di nomina di un amministratore di sostegno provvisorio e le
condizioni di mente del soggetto non consentono di provvedere in tal senso, può nominare
provvisoriamente un tutore o un curatore, in attesa che il consulente tecnico da lui incaricato
compia i suoi accertamenti.

Tutela provvisoria o tutela definitiva


o Nella tutela provvisoria il tutore sostituisce il paziente nel ratificare le decisioni
riguardanti la salute che sono comunque prese dal sanitario; conserva e amministra il
patrimonio del malato; può proporne il ricovero e il luogo di cura provvisori, ma anche la
permanenza in famiglia, se il ricovero non è necessario per le cure da praticare; deve
essere informato e collaborare con la sua dimissione o il suo trasferimento in altro luogo
di cura e di assistenza o con la sua permanenza nel luogo in cui risiede, in caso di
opposizione da parte dei parenti che chiedono indebiti trasferimenti e ricoveri in istituti
di cura.
o Nella tutela definitiva il tutore sostituisce il soggetto tutelato nelle decisioni
patrimoniali e personali in cui la competence è totalmente compromessa (sostituzione e
rappresentanza integrale): non in quelle riguardanti la salute, oggetto esclusivo della
relazione paziente-terapeuta; ne propone al giudice tutelare, su progetto dei servizi, la
collocazione; il giudice tutelare delibera sulla collocazione ex art. 371 c.c., previa
audizione, ove possibile, del tutelato; se il tutelato è dissenziente, il giudice tutelare
dispone con ordinanza.
In caso di soggetto non sottoposto a tutela, non esiste possibilità alcuna d’intervento, se non in
regime di T.S.O.
In parole spicciole : che fa il CTU?
Al consulente tecnico d’ufficio è affidato il compito di dire se ritenga che sussistano le
condizioni per cui il periziando possa essere interdetto o inabilitato.
I presupposti per entrambi i provvedimenti sono:

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o esistenza di un’infermità di mente. Valgono gli stessi criteri analizzati per applicare il
vizio di mente ed esposti nella parte dedicata alla trattazione di tale argomento; si può
dire che l’inabilitazione sta all’interdizione come il vizio parziale sta al vizio totale di
mente; di particolare importanza è l’approccio funzionale alla valutazione dell’infermità;
o sua abitualità. A differenza di quanto stabilito nel codice penale, che circoscrive
l’accertamento della capacità di intendere e di volere al momento del fatto, in
quest’ambito l’infermità deve avere caratteristiche di persistenza e di estensione nel
tempo, senza peraltro dover essere irreversibile e inemendabile.
Per guarigione s’intende una remissione del quadro psicopatologico tale da consentire al
soggetto il ripristino delle sue preesistenti capacità di provvedere ai propri interessi economici,
finanziari, amministrativi, relazionali, sociali.
Per stabilizzazione si può intendere una situazione clinica in cui le esacerbazioni
sintomatologiche e gli scompensi ricorrenti sono ben controllati e il malato ha recuperato
sufficienti abilità per gestire in maniera autonoma la propria esistenza, almeno nelle sue
funzioni di base.
Accertata l’infermità e la sua abitualità, occorre valutare la sua incidenza sulla capacità del
soggetto di provvedere ai propri interessi. Per tali sono da intendere anche quelli morali, non
soltanto quelli materiali e patrimoniali. È proprio questa indicazione che conferisce alla
consulenza tecnica un carattere tipicamente medico-legale, in quanto la semplice diagnostica
psichiatrica, come in ambito penale, non risolve il problema valutativo neppure in ambito
civilistico. Trattandosi, infatti, d’interessi diversi che implicano un possesso di abilità sociali a
volte più a volte meno complesse, ne consegue la necessità:
o di individuare quali di esse sono compromesse dall’infermità di mente diagnosticata e
quali no;
o di precisare quali aree di autonomia siano conservate;
o di accertare se siano state o meno somministrate terapie, di qual tipo e per quanto
tempo;
o quale e quanta sia stata la loro efficacia;
o quale incidenza esse abbiano avuto o abbiano in senso positivo, negativo, indifferente
sulle abilità compromesse.
Nella sostanza, dunque, tutti e tre i requisiti sopraelencati devono essere presenti per
assolvere il compito che il magistrato, nel formulare il quesito peritale, pone generalmente
in questi termini:
«Dica il consulente tecnico d’ufficio, esaminati gli atti di causa e la documentazione
prodotta dalle parti, visitato il periziando, compiuti tutti gli accertamenti che riterrà ne-
cessari ed opportuni, acquisita ogni eventuale, ulteriore documentazione clinica, se il
soggetto, per abituale infermità di mente, sia totalmente o parzialmente incapace di
provvedere ai propri interessi e quali atti, di natura ordinaria e/o straordinaria, la parte
convenuta sia in grado di compiere senza l’assistenza di una terza persona».
Cosa fa il tutore in caso di interdizione?

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L’interdizione comporta la nomina di un tutore, che, attraverso un progetto personalizzato e


sottoposto a verifiche periodiche a seconda delle necessità del tutelato, ha il potere e il dovere
principale di prendersi cura della sua persona e di assisterlo anche contro la sua volontà, e di
sostituirlo nell’esercizio dei suoi diritti patrimoniali e personali; ha il compito di reperire
un’adeguata sua collocazione fornendo l’ambiente di vita e di assistenza più adeguato, anche
contro desideri, proposte, progetti dei familiari e dei servizi socio-sanitari, non sempre in
sintonia e funzionali con i bisogni del tutelato; non lo può rappresentare nell'esercizio di quelli
personalissimi (terapie, oggetto della relazione sanitario-paziente; matrimonio; testamento;
riconoscimento di un figlio).
II tutore comunque non è autonomo nelle sue decisioni, nel senso che deve operare
nell’ambito di un quadro autorizzato e monitorizzato dal giudice tutelare.
Per quanto si riferisce in modo particolare al progetto di cura e di collocazione del tutelato, è
fondamentale l’importanza della funzione dello psichiatra, del geriatra, del medico di base, dei
servizi sociali e dei familiari. La prima valutazione che compete a tutti questi personaggi è di
valutare se è possibile mantenere la sistemazione del tutelato nella sua abitazione
(collocazione domiciliare), tenuto conto delle necessità assistenziali e di cura da un lato,
dell’onere economico e del carico affettivo per i parenti dall’altro. La soluzione domiciliare,
ovviamente, ha la priorità rispetto alla collocazione istituzionale. In caso contrario, il tutore, da
solo o in concerto con le persone di cui sopra, deve trovare altra idonea collocazione che tuteli i
diritti alla salute e alla dignità personale del tutelato, salvaguardandone tutti gli interessi, che
spesso non sono quelli dei familiari e dei prossimi congiunti. In caso di opposizione da parte del
tutelato, occorre investire del problema il giudice tutelare che provvederà con gli strumenti a
sua disposizione. Il diritto della scelta per il tutelato esiste fino a quando egli è in grado di
esercitarlo.

Il tutore invece non ha diritti di rappresentanza nel settore dei diritti personalissimi: in primis,
quello alla salute, la cui gestione rimane nelle mani dei sanitari. Il tutore deve però essere
attivamente informato dei provvedimenti di ricovero e di dimissione del tutelato (fino alla
collocazione indotta) che non può essere abbandonato a se stesso. Il fine di questo intervento
non è certamente terapeutico, ma è solo quello di realizzare una collocazione protetta del
tutelato, indipendentemente dal suo assenso e dal suo accordo, che non è male, ma
sicuramente non è obbligatorio ricercare.
Interdizione: L’interdetto, lo abbiamo già detto, non è una persona incapace di intendere e di
volere, bensì una persona incapace di provvedere ai propri interessi: ne consegue che - al limite
- non può sposarsi, non può far testamento, non può donare, non può riconoscere un figlio,
non può compiere atti né di ordinaria (es.: riscuotere la pensione, incassare uno stipendio,
riscuotere interessi da capitale, pagare le tasse, assumere una badante o una collaboratrice
domestica, affittare un alloggio), né di straordinaria (es.: sottoscrivere un mutuo, acquistare e/o
vendere beni, prelevare delle somme da un conto corrente o da altre forme di investimento)
amministrazione. Gli è stata restituita la capacità elettorale. La donna interdetta può richiedere
e ottenere l’interruzione della gravidanza.

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Il consenso ad accertamenti invasivi e a interventi chirurgici proposti dal medico deve essere
controfirmato dal legale rappresentante che deve dame comunicazione al giudice tutelare.
L’informazione resta un atto dovuto e l’interdetto, come il minore, deve essere ascoltato in
punto consenso/dissenso rispetto al progetto terapeutico prospettato dal medico.
Inabilitazione
L'inabilitazione comporta la perdita esclusiva di alcune capacità inerenti la straordinaria
amministrazione. L’inabilitato non può, ad esempio, acquistare o vendere beni, trasformare o
comunque alienare o modificare il suo patrimonio immobiliare. Può, invece, disporre per
testamento, contrarre matrimonio, compiere atti di ordinaria amministrazione, esercitare il
proprio diritto alla salute.
Può andare a votare
Cosa può fare il curatore in questo caso?
L’inabilitato è assistito da un curatore in tutti gli atti di straordinaria amministrazione. Il
curatore non è legittimato a esprimere per l'inabilitato il suo consenso a interventi medici e
chirurgici, non disponendo di un potere di rappresentanza in questo ambito.
Entrambi i provvedimenti (interdizione e inabilitazione) sono applicati con sentenza da una
sessione civile del Tribunale ordinario e possono essere revocati (art. 429 c.c.), se e quando
vengono meno le condizioni che li hanno determinati.

Cos’è l’interdizione legale?


Il condannato all’ergastolo è in stato di interdizione legale. La condanna all’ergastolo importa
anche la decadenza della potestà dei genitori.
All’interdizione legale si applicano, per ciò che concerne la disponibilità e l’amministrazione dei
beni, nonché la rappresentanza negli atti ad esse relativi, le norme della legge civile sulla
interdizione giudiziale». Essa è una pena accessoria (art. 19 c.p.) che è inflitta al condannato non
malato di mente e consiste nella sola perdita alla disponibilità e amministrazione i propri beni;
tutti gli altri diritti sono conservati (può sposare, può fare testamento, ecc.). Anche per lui
viene nominato un tutore (incapacità legale).

La capacità di disporre per testamento

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Il testamento un atto strettamente personale: non può essere redatto da un rappresentante.


Secondo l’ordinamento italiano esistono tre forme di testamento ordinario: testamento
olografo, testamento pubblico, testamento segreto.
Il testamento olografo è la forma più semplice, più diffusa, più economica e pratica per
esprimere le proprie volontà, non richiede la presenza né del notaio né di testimoni. Il termine
“olografo” deriva dal greco “olos” = tutto e “grafo” = scritto; dunque si tratta di un
testamento interamente scritto di pugno del testatore. (Art. 602 c.c. «Il testamento olografo
deve essere scritto per intero, datato e sottoscritto di mano del testatore»).
Il testatore non è obbligato a comunicare a nessuno di avere fatto un testamento olografo; lo
scritto può essere conservato a cura del testatore stesso oppure consegnato in deposito
fiduciario a persona di fiducia o a un Notaio. Nel caso in cui il testamento olografo sia stato
depositato presso un Notaio, la formalità della pubblicazione deve essere eseguita dal Notaio
depositario.
Il testamento olografo per essere valido deve avere tre requisiti fondamentali: autografia, data
e sottoscrizione. Anche ogni modifica allo stesso deve essere scritta di pugno, datata e
sottoscritta.
Non è obbligatorio scrivere il testamento in lingua italiana: il testamento è valido in qualunque
lingua o anche in dialetto, purché risulti chiara la volontà del testatore.
La data indica il momento cronologico in cui il testamento è redatto e deve contenere
l’indicazione del giorno, mese e anno; può essere posta in qualsiasi punto del testamento,
purché prima della firma. La datazione ha due scopi fondamentali:
o in primo luogo alla presenza di più testamenti non complementari tra loro, serve per
stabilire quale sia quello efficace, ossia l’ultimo;
o in secondo luogo in presenza di contestazioni serve per valutare se, al momento di
stesura del testamento, il testatore fosse capace di intendere e di volere, ovvero se
fossero presenti vizi del consenso.
La legge attribuisce grandissima importanza alla data del testamento, specialmente di quello
olografo, nel quale manca la certificazione del Notaio contenuta nel verbale di ricezione del
testamento pubblico e di quello segreto.
Non è richiesta l’indicazione dell’ora. Tale indicazione può però essere determinante in
presenza di più testamenti aventi la stessa data; in questo caso è l’ora di redazione che
stabilisce quale sia l’ultimo testamento redatto in ordine cronologico, e quindi quello che
prevale sugli altri.
Il testamento pubblico è un atto pubblico, redatto secondo le prescritte formalità da un
pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo in cui è redatto. A esso si
applicano le norme dettate dal codice civile con riferimento agli atti pubblici.
Requisiti di un testamento pubblico sono:
 Dichiarazione di volontà orale al notaio;

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 Presenza dei testimoni (normalmente due, sono quattro se il testatore è un sordomuto


impossibilitato a leggere e scrivere);
 Redazione per iscritto della volontà del testatore a cura del notaio;
 Lettura dell’atto al testatore e ai testimoni a cura del notaio;
 Sottoscrizione del testatore, dei testimoni e del notaio
 Apposizione della data e dell’ora;
 Menzione del rispetto delle formalità elencate.

Testamento segreto è un testamento costituito da un atto redatto dal testatore, che lo


consegna al notaio che lo sigilla in busta chiusa accompagnato dalla dichiarazione del testatore
che il plico contiene il suo testamento (se è muto o sordomuto, deve scrivere tale dichiarazione
in presenza dei testimoni e deve pure dichiarare per iscritto di aver letto il testamento, se
questo è stato scritto da altri). Il testamento segreto presenta un duplice vantaggio; in quanto
redatto dal testatore, nessun altro è a conoscenza delle disposizioni testamentarie; in quanto
poi consegnato al notaio, si evita ogni rischio di dispersione o distruzione (anche accidentale)
del documento.

Quali sono le cause di annullamento di un testamento?


Le principali cause di annullabilità di un testamento sono:
 difetti di forma (ad esempio l’incompletezza della data), rispetto a quelli che ne
determinano la nullità;
 l’incapacità di agire del testatore;
 l’errore, la violenza e il dolo quando questi hanno motivato il testamento.
L’azione di annullamento di un testamento può essere promossa da chiunque vi abbia
interesse, nel termine di cinque anni dalla data in cui è stata data esecuzione alle volontà
testamentarie, o dal giorno in cui si è avuta notizia della violenza, del dolo o dell’errore.
Il testamento è un atto illimitatamente revocabile, infatti, le disposizioni testamentarie
possono essere revocate o modificate in ogni momento dal testatore.
Possono disporre per testamento tutti coloro che non sono dichiarati incapaci dalla legge.
Chi è che non può fare testamento?
 coloro che non hanno compiuto l’età di 18 anni;
 gli interdetti per infermità di mente;
 quelli che, sebbene non interdetti, si provi essere stati, per qualsiasi causa, anche
transitoria, incapaci di intendere o di volere nel momento in cui fecero testamento (art.
428 c.c.).
 Il testamento di una persona interdetta, dunque, non è valido.
 E’ valido, invece quello di un soggetto inabilitato.

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 Possono essere invalidati anche un testamento e qualsiasi atto civile redatto o compiuto
da un soggetto che, in quel momento, anche se solo transitoriamente, era incapace di
intendere o di volere (rectius: non competente) e, ovviamente, non è interdetto.
E’ superfluo sottolineare l’estrema difficoltà insita in accertamenti peritali che spesso vengono
disposti a notevole distanza dalla stesura dell’atto, su persona magari nel frattempo defunta o
su persona vivente nei cui confronti la parte attrice sostiene la presenza di una incapacità
transitoria invalidante l’atto; o nella quale il quadro psicopatologico è andato incontro a
mutamenti migliorativi o a peggioramenti; su documenti incompleti o frettolosamente
compilati; su testimonianze di ardua e discutibile lettura e interpretazione.
La regola è costituita dalla capacità di testare, mentre l’eccezione è rappresentata
dall’incapacità. Questa può essere determinata o da infermità mentale vera e propria ovvero da
altre cause transitorie; deve in ogni caso essere grave e tanto intensa da togliere al testatore la
capacità di intendere il significato del suo atto o di manifestare liberamente quella (e non altra)
specifica volontà nel momento di redazione della scheda testamentaria.
L'accento è posto, ovviamente, non tanto sull’entità e la gravità della malattia in sé e per sé
considerata, quanto sull’influenza che questa ha avuto nell'impedire al soggetto una
valutazione funzionale adeguata e congrua dei propri atti e l'espressione conseguente di una
libera autodeterminazione.
Cosa bisogna attenzionare?
Occorre pertanto porre massima attenzione non solo agli aspetti formali, ma anche e
soprattutto al contenuto della scheda testamentaria: diverso è il caso in cui il testo è scarno ed
essenziale e in esso vengono indicati uno o due eredi da quello molto articolato e dettagliato in
cui viene istituita una lunga serie di legati. Il contenuto della scheda testamentaria con le
relative disposizioni deve essere in assetto con il modo di esprimersi del testatore e con le
modalità di funzionamento mentale e relazionale proprie del soggetto (lo “stile di vita”). Se
diverso è, si devono esplorare, ragioni e finalismi sottostanti l’atto. La presenza di determinate
clausole che richiedono conoscenze specifiche di diritto può far pensare all’intervento di terzi
nella redazione di un atto che per definizione è un atto privato.
Inoltre è importante conoscere eventuali altre volontà in precedenza espresse, quando e se
l’ultimo testamento (che annulla tutti i precedenti) rappresenta un «quid novi» rispetto a quella
o a quelle costantemente espresse, sostanzialmente discostandosi da esse.
Pertanto:
La dimostrazione è delegata allo psichiatra forense che deve cercare connessioni tra le diverse
schede testamentarie sottoscritte in momenti diversi e l’eventuale presenza di una patologia
mentale che incida sostanzialmente sui contenuti, la forma, la confezione dell’ultima scheda.
L’ipotesi che il testatore, al momento della sottoscrizione della scheda testamentaria sia stato
«privo in maniera assoluta della coscienza dei propri atti ovvero della capacità di
autodeterminarsi», può trovare necessità di accertamento in due momenti ben distinti: quello
in cui la scheda testamentaria è stata compilata senza alcuna formalità particolare, come nel
caso del testamento olografo, e il testatore è ancora in vita;
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se è ancora in vita: in questo caso l’accertamento psichiatrico richiesto - se eseguito nel


rispetto di regole metodologiche e deontologiche rigorose - è in grado di offrire dati clinici
abbastanza affidabili e una valutazione che si collochi «al di là di ogni ragionevole dubbio»,
purché ovviamente il tempo trascorso tra la compilazione dell’atto e l’accertamento tecnico
non sia eccessivo, perché le condizioni di mente di ogni persona, specie se anziana o affetta da
disturbi mentali è suscettibile di mutazioni che possono modificare radicalmente il quadro
complessivo.
Se è deceduto: Ben diversamente si pone la costruzione della prova quando l’accertamento
avviene sugli atti essendo il testatore deceduto da più o meno tempo; ecco allora che pervenire
a conclusioni e a valutazioni che si collochino al di là di ogni ragionevole dubbio è opera assai
ardua, spesso aleatoria, spesso vagamente o contraddittoriamente documentata e suscettibile
di infinite riserve e censure: donde il rigore della giurisprudenza che - nel rispetto e nella tutela
di un atto personalissimo di ultime volontà adotta criteri molto rigorosi e restrittivi per
annullare l’atto impugnato, affermando il principio di un’incapacità che deve essere accertata e
valutata come assoluta.
In entrambi i casi (testatore vivo o deceduto), posto che l’incapacità di cui si tratta sia
dimostrabile e venga provata, essa non può essere formulata in modo generico, ma deve
essere specificata, caso per caso, tenendo conto della maggiore o minore complessità del
contenuto della volontà testamentaria.
 Sostanzialmente inficiata è la capacità decisionale di una persona delirante che ingloba
nel suo delirio come essere dotato di poteri magici e salvifici o espelle dal suo orizzonte
mentale per il suo significato malefico e persecutorio colui o colei che viene
rispettivamente incluso o escluso dall’asse ereditario.
 Analogamente si pone il problema valutativo della persona affetta da un’evidente
patologia dell’umore che in fase maniacale può designare suo erede un individuo o
un’istituzione che nella fase depressiva vengono investiti di significati e valenze
opposte.

 Spesso s’introduce la discutibilissima ipotesi del “lucido intervallo” la cui presenza e


incidenza deve essere dimostrata e non solo supposta. Lucidi intervalli e intermittenze,
inoltre, devono essere temporalmente collocate nell’arco della giornata. È ben noto,
infatti, che nel corso di una patologia senile involutiva le condizioni di mente del
paziente si aggravano verso il tardo pomeriggio, nella serata e nelle ore notturne o in
lontananza dai pasti, per l’accentuarsi della compromissione circolatoria sistemica e
cerebrale e delle correlate alterazioni metaboliche.

La capacità di disporre per donazione


La donazione è definita come «il contratto con il quale, per spirito di liberalità, una parte
arricchisce l’altra, disponendo a favore di questa un suo diritto o assumendo verso la stessa una
obbligazione». Trattasi di negozio giuridico unilaterale.
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Art. 774 Capacità di donare


«Non possono fare donazione coloro che non hanno la piena capacità di disporre dei propri
beni.
Art. 775 Donazione fatta da persona incapace di intendere o di volere
«La donazione fatta da persona che, sebbene non interdetta, si provi essere stata per qualsiasi
causa, anche transitoria, incapace di intendere o di volere al momento in cui la donazione è
stata fatta, può essere annullata su istanza del donante, dei suoi eredi o aventi causa
(omissis)».
Art. 776 Donazione fatta dall’inabilitato
«La donazione fatta dall’inabilitato, anche se anteriore alla sentenza di inabilitazione o alla
nomina del curatore provvisorio, può essere annullata se fatta dopo che è stato promosso il
giudizio di inabilitazione (omissis)».
Sull’atto di donazione rileva anche una condizione che, se pur non toglie in modo assoluto e
completo la capacità di agire, sconvolge e perturba gravemente il processo intellettivo e
volitivo, tanto da impedirne il normale funzionamento e da menomare sostanzialmente la
capacità decisionale.

L’annullabilità dei contratti


Il contratto è definito come «l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere
tra loro un rapporto giuridico patrimoniale» (art. 1321 c.c.).
Trattasi di negozio giuridico bilaterale.
Il contratto è annullabile se una delle parti era legalmente incapace di contrarre. È parimenti
annullabile, quando ricorrono le condizioni stabilite dall’art. 428, il contratto stipulato da
persona incapace di intendere o di volere».
Sono incapaci di contrarre:
 il minore degli anni 18
 l’interdetto e l’inabilitato
 la persona incapace di intendere o di volere, per qualsiasi causa, al momento in cui gli
atti sono stati compiuti

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Infine, il contraente «il cui consenso fu dato per errore, estorto con violenza, o carpito con
dolo, può chiedere l’annullamento del contratto».
Nel prendere in esame detti documenti occorre innanzi tutto determinare se essi sono
autografi, scritti cioè di pugno del periziando, oppure se sono stati compilati da terzi.
Posto che si tratti di scheda testamentaria o atto di donazione autografi, gli elementi da
prendere in attenta, particolareggiata analisi, sono:
 il contenuto del documento.
E’ evidente che un delirante di grandezza o un grave depresso possono rispettivamente
sopravvalutare o sottovalutare quello che realmente possiedono e che possono lasciare agli
eredi o donare a terzi. Così pure l’insufficiente mentale o il soggetto affetto da disturbi mentali
organici si trova nelle condizioni di non essere obiettivo, preciso e critico nelle sue decisioni.
 Il modo in cui è stilato il documento.
Esso può offrire utili indicazioni sullo svolgimento dei processi di pensiero, sulla coerenza e sulla
continuità dei nessi logici, sulla conservazione di una normale efficienza intellettiva, o, per
converso, su loro alterazioni patologiche.
 La confezione formale.
Eventuali sgrammaticature o errori di ortografia o di sintassi possono essere correlati a deficit
culturali che, se non precisamente analizzati, appaiono indicatori troppo vaghi e suscettibili di
giudizi soggettivi da parte del perito. Come tali, anche sotto il profilo qualitativo, essi non
possono incidere sostanzialmente sulla validità del documento sotto- scritto. Ma se si
dovessero discostare da precedenti scritti che denotano un livello nozionistico e culturale
medio-superiore diventa allora obbligatorio procedere ad un confronto tra un “prima” e
“dopo”, per comprendere l’esatto significato psicopatologico di questi indicatori grafici.
 E’ inoltre importante esaminare il tipo di grafìa con la quale è stata confezionata la
scheda testamentaria o la donazione.
Anche se non esistono parallelismi obbligati e univoci, una grafia lineare, sicura, omogenea,
precisa può essere, a buon diritto, ritenuta espressiva di quella coerenza e di quella logicità di
analisi e di giudizio che tanta rilevanza assumono nel considerare valido l’atto.
Ma nei disturbi mentali organici, siano essi acuti o cronici, nonché nei quadri di esaltazione
maniacale, è possibile osservare alterazioni formali della scrittura consistenti soprattutto in
grafia di calibro che va man mano riducendosi fino a divenire illeggibile, con presenza di segni
grafici tratteggiati con linea incerta e tremula, delineando quella che viene definita “insalata di
parole”.
 L ’esame comparativo.
È infine fondamentale poter procedere a un esame comparativo con scritti e documenti del
periziando che risalgano a epoca non sospetta: ciò sia per confrontare gli aspetti formali, sia
per sapere se esiste o meno una coerenza di volontà nel tempo (aspetti contenutistici).

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L’incapacità naturale
L'incapacità naturale, disciplinata dall'art. 428 c.c., concerne la situazione di un soggetto che,
pur non essendo legalmente incapace di agire, sia comunque «per qualsiasi causa, anche
transitoria, incapace di intendere e di volere al momento in cui gli atti sono compiuti».
Occorre distinguere due casi diversi:
1. l’atto compiuto è un negozio unilaterale;
2. l’atto compiuto è un contratto.

 Un negozio giuridico si dice unilaterale se, per costituirlo, è sufficiente la


manifestazione di volontà di una sola parte.
Esempio: il testamento, la rinuncia ad una eredità, sono negozi unilaterali.

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I negozi unilaterali conclusi quando il soggetto è incapace naturale possono essere annullati su
istanza della persona stessa o dei suoi eredi o aventi causa. L’annullamento, però, è possibile
solamente se ne risulta un grave pregiudizio per l’autore.
 Il contratto è un negozio giuridico avente natura patrimoniale concluso tra due o più
parti.
Esempio: l’acquisto o la vendita di un immobile, l'affitto di un negozio o di un appartamento, la
concessione di un credito, sono contratti.
I contratti, conclusi quando il soggetto è incapace, possono essere annullati solamente se si
dimostra la malafede dell’altro contraente, cioè solamente se si dimostra che l’altra parte era
consapevole dello stato di incapacità del soggetto. In entrambi i casi l’azione di annullamento si
prescrive in 5 anni dal giorno in cui l’atto è stato compiuto.
A differenza di quanto stabilito per la pronuncia dell’inabilitazione e dell’interdizione, dunque,
alla condizione di mente di cui sopra non è richiesta alcuna connotazione di particolare
qualificazione, durata, stabilità ed abitualità; ne è sufficiente la transitorietà, purché riferita
all’atto compiuto, indipendentemente da condizioni preesistenti o susseguenti l'atto.
Come già detto, lo stato d’incapacità naturale deve essere «totale» per annullare un
testamento (art. 591 c.c.), mentre è sufficiente che sia «parziale» per annullare un atto o un
contratto (artt. 428 e 775 c.c.).

L’invalidità del matrimonio


La cerimonia di celebrazione del matrimonio civile comprende tre momenti specifici:
 La lettura di tre articoli del Codice Civile (artt. 143, 144, 147);
 L’esplicita e pubblica dichiarazione di volontà di coniugarsi;
 La lettura dell’atto di matrimonio e la sua sottoscrizione da parte degli sposi, dei
testimoni e dell’Ufficiale di Stato Civile.
La cerimonia è di breve durata e si svolge nel seguente modo:
 gli sposi si presentano davanti all’Ufficiale di Stato Civile (celebrante) accompagnati da
due testimoni;
 il celebrante legge gli articoli del Codice Civile:
Art. 143 Diritti e doveri reciproci dei coniugi

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 Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi
doveri.
 Dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale,
alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione.
 Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria
capacità-di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia.
Art. 144 Indirizzo della vita familiare e residenza della famiglia
 I coniugi concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare e fissano la residenza della
famiglia secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa.
 A ciascuno dei coniugi spetta il potere di attuare l’indirizzo concordato.
Art. 147 Doveri verso i figli
 Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire ed educare
la prole tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei
figli.
A questo punto il celebrante, ottenuto il consenso di entrambi i nubendi, li dichiara uniti in
matrimonio.
Sussiste matrimonio solo alla presenza di presupposti specifici: diversità di sesso tra gli sposi,
libera e reciproca manifestazione di volontà e scambio dei consensi alla presenza dell’ Ufficiale
di Stato Civile.

Art. 84 Età
«I minori di età non possono contrarre matrimonio.
Il Tribunale, su istanza dell’interessato, accertata la sua maturità psico-fisica e la fondatezza
delle ragioni addotte, sentito il pubblico ministero, i genitori o il tutore, può con decreto
emesso in camera di consiglio ammettere per gravi motivi al matrimonio chi abbia compiuto i 16
anni (omissis)».
Occorrono dunque gravi motivi e che il minore abbia compiuto i sedici anni e non ancora i
diciotto, affinché gli sia concesso di contrarre il matrimonio. Dopo il compimento del 18m0
anno di età, il matrimonio è valido, se non inficiato da altre cause.
La competenza in tale ambito è del Tribunale per i minorenni.
Se le circostanze lo esigono, il tribunale nomina un curatore speciale che assista il minore nella
stipulazione delle convenzioni matrimoniali (art. 90 c.c.).
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Art. 85 c.c. Interdizione per infermità di mente


Non può contrarre matrimonio l’interdetto per infermità di mente.
Premessa:
L’art. 84 c.c. - lo ricordiamo - precisa i limiti di età (16 anni) di sotto ai quali non può essere
contratto matrimonio civile.
L’art. 86 si riferisce alla libertà di stato, nel senso che «non può contrarre matrimonio chi è
vincolato da un matrimonio precedente».
L’art. 87 c.c. elenca tutti quei soggetti che non possono contrarre matrimonio fra di loro.
Art. 117 c.c. Matrimonio contratto con violazione degli artt. 84, 86, 87 e 88
«Il matrimonio contratto con violazione degli artt. 86, 87 e 88 può essere impugnato dai
coniugi, dagli ascendenti prossimi, dal pubblico ministero e da tutti coloro che abbiano per
impugnarlo un interesse legittimo e attuale.
Il matrimonio contratto in violazione dell’art. 84 può essere impugnato dai coniugi, da ciascuno
dei genitori e dal pubblico ministero (omissis)».
L’art. 88 c.c. precisa che non possono contrarre matrimonio tra di loro «le persone delle quali
l’una è stata condannata per omicidio consumato o tentato sul coniuge dell’altra».
Inoltre il matrimonio può essere annullato :
 se il consenso alle nozze è stato ottenuto con violenza fisica o morale
 oppure è stato determinato da grave timore causato da fattori esterni.
L’annullamento non può essere richiesto se i coniugi hanno coabitato per almeno un anno
dopo la cessazione della violenza o delle cause che hanno determinato il timore.
Infine, è considerata causa di annullamento non solo l’errore sull’identità dell’altro coniuge, ma
anche l’errore essenziale (che abbia cioè determinato il consenso) su qualità personali che
riguardino:
 L’esistenza di una malattia fisica o psichica o di un’anomalia o deviazione sessuale, che
impediscano lo svolgimento della vita coniugale.
 L’esistenza di una sentenza di condanna per delitto non colposo (cioè cosciente e
volontario) alla reclusione non inferiore a 5 anni.
 La dichiarazione di delinquenza abituale o professionale.
 La condanna a una pena non inferiore ai due anni per reati che riguardano la
prostituzione.
 Il fatto che la donna aspetti un figlio da un’altra persona. Se la gravidanza è stata
portata a termine, deve essere fatto il disconoscimento di paternità (vedere capitolo
Genitori e figli).
In tutti questi casi l’annullamento non può aver luogo se i coniugi hanno abitato insieme per un
anno dopo che è stato scoperto l’errore.

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In data 21 maggio 2016 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana la
Legge n. 76/2016, ovverossia la Legge sulle Unioni Civili e Coppie di Fatto. Si tratta di una legge
costituita da un solo articolo suddiviso in due parti che regolano:
- le unioni civili tra persone maggiorenni dello stesso sesso; si tratta di un legame diverso dal
matrimonio fra eterosessuali, anche se presenta molti doveri e diritti in comune. Il comma 20
dice ancora esplicitamente che, al fine di tutelare diritti e doveri, «le disposizioni che si
riferiscono al matrimonio» in tutte le altre leggi, e quelle che contengono le parole “coniuge” e
“coniugi”, si intendono applicate anche alle persone che si uniscono civilmente; queste unioni
vengono formalizzate davanti a un ufficiale di stato civile, alla presenza di due testimoni, con
acquisizione di stessi diritti e assunzione di stessi doveri; se l’unione dovesse cessare, le parti
hanno diritto all’eredità, alla pensione di reversibilità e al mantenimento; la separazione
avviene davanti al l’ufficiale di stato civile, quando le parti ne manifestano la volontà (anche
disgiunta); non è possibile che il genitore non biologico adotti il figlio, naturale o adottivo, del
partner, ma non è vietato che i giudici si possano pronunciare caso per caso;
- le convivenze di fatto; esse sono costituite da due persone maggiorenni (sia etero che
omosessuali) non legate da vincoli giuridici ma da un legame affettivo e che possono regolare i
propri rapporti patrimoniali attraverso un contratto di convivenza, che prevede obbligo
reciproco di assistenza morale e materiale, reversibilità della pensione e diritto di eredità,
assistenza ospedaliera e penitenziaria, residenza, modalità di contribuzione alla vita comune,
comunione dei beni. Oltre che in caso di morte o di matrimonio, la convivenza si risolve per
accordo delle parti o per volontà unilaterale.

Quali sono le conseguenze dell’annullamento rispetto ai figli? I figli nati, concepiti, riconosciuti e
adottatati durante un matrimonio in seguito dichiarato nullo non subiscono alcuna modifica
nella loro situazione giuridica: mantengono cioè tutti i diritti e tutti i doveri nei confronti dei due
genitori, sia rispetto al passato sia al futuro. Vi è solo un’eccezione: se il matrimonio è annullato
per bigamia o per parentela e entrambi i genitori erano in malafede, i figli non vengono più
considerati legittimi, ma assumono la qualità di figli naturali.

L’identità psicosessuale
L’identità psicosessuale è un processo individuale di acquisizione, di strutturazione e di
consolidamento di una identità di genere, che prevede fasi differenti e progressive nello
sviluppo individuale cognitivo, affettivo, relazionalo e sociale e la cui base biologica si trova nel
corredo cromosomico che per il maschio è 46/xy e per la femmina 46/xx e la conseguente
percezione del proprio schema corporeo.
L’identità di genere può essere disturbata da vari processi che non possono essere esaminati in
questa sede, ma che, quando si tratti di rettificazione di attribuzione di sesso o di intervento di
conversione, possono essere oggetto di accertamenti psicologico-psichiatrici disposti dal
magistrato o acquisiti dallo stesso attraverso consulenti di parte.
Inoltre, il Tribunale (art. 3) può autorizzare il trattamento medicochirurgico con sentenza,
ovviamente quando risulti necessario un adeguamento dei caratteri sessuali.
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Il problema sorge quando un soggetto chiede il riconoscimento di un sesso diverso da quello


che risulta nell’atto di nascita, non per errore di registrazione del denunciante, ma perché nel
corso della vita è intervenuto un cambiamento della propria realtà sessuale. L’accoglimento
dell’istanza da parte del magistrato non solo comporta il cambiamento del nome da maschile a
femminile o viceversa, ma autorizza anche il trattamento medico-chirurgico con sentenza.
 La metodologia d’indagine si articola nei seguenti punti:
1. interrogatorio clinico, con raccolta dei dati anamnestici (anamnesi familiare, personale
fisiologica, personale patologica, sessuale);
2. esame obiettivo, con particolare riferimento al viso, alle mammelle e ai genitali, allo
sviluppo dell’apparato pilifero, muscolare e adiposo, al tono della voce;
3. esame neurologico;
4. esame psichiatrico diretto;
5. esami di sussidio diagnostico;
 test di efficienza;
 test di personalità.
La necessità di procedere a un’accurata indagine clinica prima dell’intervento ha per fine:
 L’esclusione degli psicotici (specie schizofrenici, in cui la richiesta di conversione può
essere sintomatica di gravi disturbi dell’identità e dello schema corporeo) e i depressi
(pericolo di suicidio nel decorso postoperatorio, specie nel sesso femminile);
 Lo studio attraverso l’analisi di una batteria di test mentali, del tipo e delle
caratteristiche del processo di identificazione.

Danno psichico
Il danno psichico trova il proprio riconoscimento nel concetto di danno biologico, quale
menomazione dell’integrità psichica della persona in sé e per sé considerata.
Il valore persona (uomo o donna che sia), in quanto tale, non si esaurisce dunque nella sola
attitudine a produrre reddito, ma esprime tutte le funzioni naturali del soggetto
nell’integrazione delle sue dimensioni biologiche, psicologiche e sociali.
Ma è bene sottolineare che quando si parla di «danno psichico», in realtà, ci si riferisce al
«danno biologico di natura psichica».
Questo è un discorso controverso che scaturisce dai profondi mutamenti che si sono verificati
negli ultimi decenni nella dottrina e nella prassi psichiatrica. Infatti, è mutato il concetto medico
secondo cui la medicina si occupava della malattia; oggi, la medicina per il cambiato clima
culturale e sociale non si occupa della malattia, ma della persona malata o ancora meglio della
persona in sé considerata, nella sua integrità psicofisica.

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Ad oggi, la distinzione tra danno biologico e danno psichico è da considerare acquisita, il primo
essendo afferente al sistema nervoso in quanto apparato anatomico e funzionale, costituito da
encefalo, organi di senso, nervi periferici, il secondo afferendo alla psiche.
Ma In buona sostanza, quando parliamo di danno psichico, bisognerà comunque dimostrare
che, in seguito e in conseguenza a un danno ingiusto altrui (doloso, colposo o
preterintenzionale che sia stato), è sopravvenuta un’effettiva lesione dell’integrità psicofisica
del soggetto in esame (danno biologico), lesione che ha seriamente minato il suo
funzionamento mentale e relazionale con caratteristiche di temporaneità o di permanenza
(danno alla salute) e che ha comportato e comporta interventi sanitari (farmacologici e
psicoterapeutici).
Prima di affrontare criteriologia e metodologia valutative, è necessario ricordare che il danno
biologico di natura psichica può essere o diretta conseguenza di:
 traumi cranio-encefalici;
 maltrattamenti, abusi e violenze a vario titolo inferte a bambini, adulti e anziani;
 mobbing (i maltrattamenti sul luogo di lavoro);
 stalking (la sindrome del molestatore assillante);
 il bullismo;
 altri traumi fisici (lesioni personali);
 sequestri di persona;
o derivare indirettamente da:
 un lutto da morte di un familiare o di una persona significativa (danno da
rimbalzo);
 il gravame psicofisico derivante dal dover assistere un familiare non più
autosufficiente per evento lesivo altrui.
In altre parole, il danno biologico di natura psichica diretto è la conseguenza di un evento
lesivo nel soggetto che ne è stato colpito. Il danno biologico di natura psichica indiretto è il
riflesso che su altri ha il danno che ha colpito quella persona.
Appare opportuno segnalare inoltre che il settore del risarcimento del danno, in continua
evoluzione, negli ultimi anni, allargando i propri confini, è giunto ad Interessarsi anche di eventi
quali il concepimento, la gestazione e il parto, ponendo i giuristi e i medici legali di fronte a
questioni di non facile soluzione. Ci si riferisce in particolare al danno da nascita indesiderata
(wrongful birth).
La nascita indesiderata o la nascita di un figlio malformato possono dar luogo oltreché a un
danno esistenziale e a un danno morale, ad un danno biologico di natura psichica. La Corte di
Cassazione si è già espressa su casi di danni da nascita indesiderata, una delle quali da
considerare particolarmente innovativa in quanto con la stessa viene riconosciuto il danno
esistenziale subito dai genitori per la nascita di un figlio handicappato.

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Da ricordare infine il danno da wrongful life, con questo termine ci si riferisce ad una condizione
in cui un bambino che nasca con malformazioni o patologie congenite o comunque con una
condizione di svantaggio esistenziale e la cui nascita o la presenza di tali patologie sia da
ricondurre alla responsabilità di terzi, intenti una causa perché vengano riconosciuti e quindi
risarciti i danni alla propria persona.

Il danno psichico da lutto


L’esistenza di un danno biologico nei parenti di una vittima, definito come danno psichico
risarcibile iure proprio, è riconoscibile alle seguenti condizioni:
 che vi sia stata la morte di un congiunto;
 che i parenti siano i genitori o i figli;
 che sussista un’alterazione o una lesione dell’integrità psicofisica, identificabile nell
insorgenza o nell’aggravamento di una vera e propria malattia psichica;
 che l’onere della prova per la sussistenza di tale danno, incomba alla parte che assume
di aver subito la lesione.
Anche se l’attenzione è stata focalizzata esclusivamente sulla morte del congiunto, pare
quantomeno opportuno ricordare altre situazioni che hanno caratteristiche tali da costituire
una possibile noxa patogena, altrettanto importante della morte, per esempio la
evidenziazione di un disturbo mentale nei familiari del soggetto.
Si tratta, in particolare, dei casi in cui la vittima primaria dell’illecito ha subito lesioni tali da
determinare una condizione di totale perdita della autosufficienza, quali: la tetraplegia e lo
stato vegetativo persistente.
Anche se il decesso di un genitore o di un figlio è un evento indubbiamente molto
traumatizzante, nella maggior parte dei casi però con il trascorrere del tempo, con l’attenuarsi
del ricordo e con il subentrare delle capacità di adattamento, l'evento luttuoso tende a ridurre
la propria azione negativa, determinata dalla mancanza di un affetto o di un aiuto morale
oppure di un valido supporto nella evoluzione formativa.
Per contro, il vivere quotidianamente accanto ad una persona ridotta ad una condizione di puro
stato vegetativo, ed ancor più nel caso in cui il congiunto conscio del proprio stato si trovi nella
condizione di dover essere assistito in modo continuativo, anche per i più semplici atti della vita
quotidiana, sono senza alcun dubbio delle condizioni molto stressanti in quanto il turbamento
dell’animo per la violazione della sfera degli affetti, è quotidianamente presente e svolge in
modo continuo la sua azione traumatizzante.
Ritornando alla metodologia della valutazione medico-legale, il primo problema che si pone è
quello relativa al momento in cui debba essere eseguita l’indagine peritale, in quanto un
accertamento troppo precoce potrebbe risultare viziato nelle sue conclusioni dalla non
stabilizzazione del quadro clinico.
Fermo restando il fatto che il momento della consulenza non dipende prioritariamente dalla
decisione del medico-legale, pare logico ritenere che l’indagine peritale non dovrebbe essere
svolta prima che siano trascorsi almeno due anni dall’evento, lasso di tempo questo che
ragionevolmente può essere ritenuto sufficientemente adeguato per considerare, nella
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maggior parte dei casi, il quadro clinico come stabilizzato. A questa schematizzazione sfuggono
i minori, nei quali solo a distanza di molti anni si possono manifestare disturbi psichici,
situazione questa che oggi può essere solo evidenziata, e per la quale è necessario individuare
una opportuna metodologia.
Il secondo problema è quello che riguarda l’inquadramento clinico della condizione psichica
presentata dal soggetto esaminato. Si tratta di appurare la reale esistenza di una vera e ben
definita patologia psichica, comportante una compromissione obiettiva, durevole e quindi
permanente della personalità dell’individuo, la quale incida sull’equilibrio e sulla efficienza del
soggetto.
Il terzo problema è quello attinente al nesso causale, e cioè ai rapporti esistenti tra l’evento
psicotraumatizzante ed il quadro clinico obiettivato.
Si tratta di esaminare il caso clinico in riferimento ed alcune ipotesi interpretative e cioè se
l’evento traumatizzante la psiche sia da considerare come causa efficiente o come concausa,
oppure momento occasionale o acceleratore o aggravatore, secondo le definizioni che
riportiamo qui di seguito:
 causa efficiente: è la causa senza la quale non può venire prodotto un determinato
effetto;
 concansa: un determinato effetto si può realizzare solo dall’azione comune di più cause,
mentre ognuna da sola non avrebbe portato alcun effetto o ne avrebbe prodotto uno
diverso;
 Causa occasionale: o momento liberatore della causa. Ha minima importanza, è
assolutamente inidoneo a produrre l’effetto, può essere sostituito con altri eventi simili;
 causa acceleratrice o momento acceleratore: è un evento concausale od occasionale
che, pur non modificando quantitativamente l’effetto di una causa, ne accelera
l’effettuazione;
 causa aggravante o momento aggravatore: è una concausa che modifica
 quantitativamente l’effetto che sarebbe derivato da una data causa.

Il danno esistenziale
Il danno esistenziale è ravvisabile nel caso di alterazione, ad opera di fatto illecito di terzi, delle
normali quotidiane attività dell’individuo, tra le quali attività familiari, sociali, di svago, culturali,
di intrattenimento, di riposo e di relax, cui ciascun soggetto ha diritto e che incidono, con
modalità e gradi diversi, conseguenti alla diversa sensibilità individuale e struttura della
personalità, nella sfera psichica del soggetto leso, potendo anche alterare in misura più o meno
rilevante i predetti rapporti familiari, sociali, culturali, affettivi, ecc. Nei casi più gravi può anche
insorgere una vera e propria malattia psichica; in tal caso, tuttavia, anche al fine di evitare
duplicazioni risarcitorie, il danno va qualificato come biologico in senso stretto e liquidato sotto
tale voce. Trattasi di danno diretto.
La modificazione peggiorativa della vita della vittima, conseguenza diretta o indiretta del fatto
illecito altrui, qualora non sia ravvisabile un danno biologico, in base ai normali ed usuali criteri
di accertamento del danno, resterebbe sfornita di tutela risarcitoria.

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In mancanza di una lesione obiettivamente accertabile dell’integrità psicofisica del soggetto


leso direttamente o indirettamente, come nel caso di sofferenze indotte dalla perdita di un
congiunto, in base all’attuale giurisprudenza, non è configurabile un danno biologico risarcito.
Il danno esistenziale è sostanzialmente un danno psichico, in cui le alterazioni psìchiche non
sono talmente gravi da ripercuotersi con aspetti patologici nella personalità del soggetto.
Assumendo le caratteristiche cliniche e di decorso già precisate, si tratta di un’alterazione
psichica di un certo rilievo nell’ambito, come si è detto, della vita familiare, personale, affettiva
di svago e di relax del danneggiato, cioè di una compromissione della c.d. «gioia di vivere».
L’apprezzamento del danno esistenziale non è di competenza dello psichiatra o del medico-
legale, il quale al massimo potrà descrivere i presupposti biologici ove sussistano. La
valutazione del danno esistenziale, come di quello morale, deve essere pertanto lasciata alla
discrezionalità del magistrato.
Danno morale’?

Criteriologia e metodologia valutative


Occorre premettere che la valutazione del danno psichico deve tenere distinti gli aspetti del
risarcimento del danno organico (neurologico, cranio-encefalico, fisico) che avvengono tramite
l’applicazione di tabelle percentuali e gli aspetti del danno propriamente psicologici e
psicopatologici che vengono denunciati come conseguenza dell’evento traumatizzante.
1. Per quanto concerne le conseguenze psichiche dei traumi cranio-encefalici, un criterio di
probabilità predittiva può essere fornito dall’intensità del trauma iniziale. In questo
ambito, vengono descritti i traumi psichici sine materia, cioè senza trauma organico
riconoscibile. Essi sono per definizione soggettivi e sono traumi che agiscono solo sulla
psiche e provocano alterazioni psichiche, senza quadri fisici specifici; le risposte al
trauma possono essere diverse, in quanto mediate da strutture psichiche diverse. In
questo campo, la realtà e l’intensità del trauma sono spesso di difficile apprezzamento.
2. Tutti gli avvenimenti fuori del comune che sono vissuti come una minaccia grave e
immediata alla propria incolumità o all’incolumità di persone care possono essere
considerati come generatori di un trauma psichico dotato di lesività ed efficacia;
tuttavia, lo stesso evento (ad esempio un terremoto), non produce nelle persone
coinvolte gli stessi effetti, come si può comunemente osservare. Quindi, l'esperienza
vissuta è sempre mediata dalla psiche del soggetto che può sviluppare o meno una
patologia mentale.
3. Il danno biologico di natura psichica (come il danno biologico in generale) esiste quando
è stato ed è necessario instaurare e portare avanti nel tempo un intervento
sociosanitario (generico, specialistico, psichiatrico e psicologico) documentato e
documentabile nella sua effettiva traduzione pratica; la sua permanenza (durata nel
tempo), o meglio, persistenza (perdurare di una menomazione sensibile ed
apprezzabile) della compromissione dell’efficienza del leso va valutata a distanza dal
momento dell’evento.
4. Nel trauma cranio-encefalico il lasso di tempo può essere dilatato fino a 36 mesi dopo
l’evento. Nel caso di danno psichico da trauma diretto di natura non cranio encefalica e
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da trauma indiretto non meno di 18-24 mesi. Tale lasso di tempo è più che sufficiente per
risolvere una reazione da lutto «semplice» o «normale» e affrontare il problema
diagnostico-differenziale con una reazione da lutto «complicata» o con un Disturbo
distimico o con un episodio depressivo maggiore o medio o grave o, peggio, con uno
scompenso psicotico di natura schizofrenica e così via.

Cosa si intende per consenso?


Per consenso si intende un atto giuridico, il permesso con cui qualcuno conferisce a qualcun
altro il potere di agire a tutela e difesa dei suoi interessi.
Il consenso è giuridicamente rilevante soltanto se valido è, per essere tale, deve essere dato da
persona che:
 Dispone di tale diritto;
 È legittimata a consentire;
 Ha la capacità ed è libero di agire.
Con quest’ultimo si intende che tale persona è informata ed è consapevole del significato delle
conseguenze di quello specifico atto.
Nell’ambito dei rapporti medico-paziente, il dovere di informare il malato incombe al medico e
costituisce un obbligo assoluto, in conseguenza del quale il malato competente può meno
consentire o dissentire alla prestazione medica/chirurgica.
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Sotto il profilo strettamente giuridico, il consenso dell’infra quattordicenne è ritenuto, per


disposizione di legge, non valido; allo stesso modo, il consenso dell’infra diciottenne, con i
doverosi distinguo.
 Il consenso/dissenso deve essere oggetto di particolare valutazione dei seguenti casi:
interruzione volontaria della gravidanza da parte di Infra diciottenne;
 affidamento e adozione di infradiciotteni;
 sottrazione consensuale di minorenni;
 minore ammesso a contrarre matrimonio;
 donazioni di sangue, di organi e di tessuti;
 sperimentazione e trapianti.

Accertamenti e trattamenti sanitari


Principi generali
La salute è un diritto da affermare e un bene da tutelare. Rientra in quelli che sono i diritti
fondamentali individuali quali libertà, dignità, informazione e consenso. Costituiscono la
premessa essenziale ogni intervento sanitario a scopo di prevenzione, di cura e di riabilitazione,
in una dimensione non solo individuale, ma anche collettiva della salute stessa.
È opportuno precisare subito che il diritto alla salute consiste, per l’adulto competente, anche
nell’esercizio negativo dello stesso. Quindi il diritto di non curarsi fino a lasciarsi morireh a
carattere inviolabile. Ogni persona ha il diritto di porre termine alla sua vita come e quando
vuole, ma in nessun caso può legalmente esigere L’altrui coinvolgimento.

Accertamenti e trattamenti sanitari volontari


Medici o chirurgici che siano, sono quelli cui il malato adulto e competente si sottopone
esprimendo un consenso valido.
Il consenso non è necessario solo nei casi d’emergenza in cui il paziente non è in grado di
esprimersi, essendo surrogato dello stato di necessità, motivo per cui il medico deve
rispondere in virtù del suo dovere di sanitario.
Tale posizione (del medico) si esercita attraverso obblighi di protezione e di controllo.
La posizione di garanzia si sostanzia in obblighi:
 informazione e consenso;
 tutela del segreto professionale.;
 diagnosi, cura e riabilitazione;
 protezione;
 controllo.

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Questi obblighi gravano su tutti coloro che compiono una professione sanitaria, in particolare
se psichiatrica, dove la tutela forte o morbida è atto dovuto a protezione del paziente
psichiatrico.
In tutti i casi, il medico ha il dovere di informare il paziente sulla malattia e sulla terapia
praticabile; il malato può quindi consentire o meno alla prestazione medica, ad eccezione del
minore e dell’interdetto, rappresentati rispettivamente da coloro che esercitano la potestà
genitoriale e dal tutore. Ma entrambi hanno il diritto di essere informati e devono essere
ascoltati.
Il trattamento senza consenso é da ritenersi arbitrario e tale da costituire violenza privata,
salvo che non ricorrano le condizioni dello stato di necessità.
È questo il caso in cui il medico deve intervenire in condizioni di emergenza, ovvero quando il
soggetto è in una situazione grave che non gli consente di comprendere le proprie condizioni
morbose e di esprimere un valido consenso; allora è ovvio il dovere di intervenire e di prestare
l’assistenza al fine di evitare il danno o il maggior danno.
Ma il medico tenga presente che, anche se ha agito in stato di necessità, ma dal suo intervento
è derivato un danno alla persona, al danneggiato é dovuto un risarcimento.

Accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori


Vi sono casi in cui gli accertamenti e trattamenti sanitari devono essere effettuati, a prescindere
dal consenso del paziente.
Le vigenti leggi prevedono la possibilità di TSO nei seguenti casi:
 Malattie veneree in fase contagiosa;
 Malattie infettive e diffusive;
 Vaccinazioni obbligatorie quali antidifterica, antitetanica, antiepatite virale B;
 Trattamenti sanitari imposti al lavoratore.
Fai fotocopia pagina 1102

Accertamenti e trattamenti senza consenso

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Negli anni passati la medicina era vista come un’arte socialmente utile e il medico come
benefattore dell’umanità. Pertanto la tematica del consenso non aveva alcun interesse per il
medico, il paziente o il sistema sociale e giudiziario.
Ma nel corso degli anni la medicina si è trasformata in una professione ad elevato contenuto
scientifico, il medico è diventato un professionista e il paziente si è trasformato in un cliente.
Infatti il rapporto medico paziente è diventato un vero e proprio contratto ai sensi del codice
civile, e quindi con obblighi reciproci legalmente riconosciuti, quali:
 doveri di diligenza, prudenza da parte del medico;
 Pretesa da parte del paziente di una corretta prestazione professionale;
 rispetto del contratto da parte di entrambi i contraenti.
Un contratto, è valido solo se stipulato tra persone libere di decidere e informate sulla natura
della prestazione che costituisce oggetto dell’obbligazione.
In tutti casi in cui il sanitario interviene a prescindere dal consenso informato, sorge il problema
Che porta a chiedere se la condotta del medico che ha sottoposto il paziente a interventi
medici/chirurgici in mancanza di valido consenso informato abbia o meno rilevanza penale.
Il linea di principio, se il consenso prestato dal paziente non è valido, poi addirittura assente
possono configurarsi due tipi di responsabilità penale:
• la responsabilità colposa che si presenta quando il consenso all’intervento terapeutico è
stato raccolto in modo non corretto per comportamento negligente da parte del medico.
• la responsabilità dolosa quando l’atto medico è volontariamente compiuto senza il
consenso del paziente o contro la sua volontà. In questo caso il medico va incontro a violenza
privata, lesioni personali, omicidio preterintenzionale.

I provvedimenti di contenzione: (non è specificato dal libro ma secondo me rientra tra i


trattamenti sanitari obbligatori)

In situazioni di urgenza, quando non di emergenza, possono rendersi necessari provvedimenti


di contenzione previsti nel codice di deontologia medica: la contenzione è legittima solo se si
configura come atto medico e ne rispetta i limiti e le regole.
Si possono distinguere una contenzione farmacologica e una contenzione fisica. Entrambe
sono finalizzate a neutralizzare comportamenti auto o etero distruttivi in condizioni di
emergenza psicopatologica, a tutela della salute fisica e psichica del malato di mente.
 La contenzione farmacologica, la cui efficacia è variabile da soggetto a soggetto e non è
prevedibile, può far parte delle strategie ufficiali di contenimento di condotte violente,
nella speranza che funzioni. Non si può negare l’enorme difficoltà insita nel mettere a
punto questo tipo di protocollo terapeutico.

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 La contenzione fisica assume connotazioni ancora più eccezionali ed è praticabile solo in


situazioni di urgenza, non diversamente affrontabile e garantendo poi la continua
assistenza e sorveglianza del malato.
Occorre tenere presente però, che quest’ultima:
- deve accompagnarsi ad evidenti scompensi sul piano comportamentale;
- non può essere sostituita da altre misure terapeutiche sul breve termine;
- il personale infermieristico deve fare subito comunicazione al sanitario dell’uso di
contenzione fisica;
- deve essere sciolta non appena vengono meno le ragioni che l’hanno determinata;
- tutta la procedura deve essere accuratamente scritta su di un registro delle
contenzione e nella cartella clinica del paziente.
Inserisci tabella pagina 116
La sera in cui è possibile effettuare il trattamento sanitario obbligatorio in regime di degenza è
unicamente il servizio psichiatrico di diagnosi e cura. Nel corso del trattamento sanitario il
malato diritto di comunicare con chiunque ritenga opportuno.
Nei casi in cui la persona fosse interdetta, il medico pur essendo cessato il TSO , non può
dimetterla senza assicurarsi che :
 il tutore ne sia informato;
 che tutelato si allontani dalla struttura sanitaria in condizioni di sicurezza;
 che il tutore abbia avuto la possibilità di riprendere in carico il tutelato, conducendolo
presso la sua abitazione.

Trattamenti sanitari obbligatori extra ospedalieri


Può esistere però anche la necessità di mettere in atto un intervento sanitario in regime non
ospedaliero per assicurare al paziente psichiatrico il mantenimento o il ripristino di condizioni di
compenso psichico. Si tratta perlopiù o :
 di pazienti civili collocati sul territorio, in cui sono presenti indicatori oggettivi di
deterioramento, che richiedono un trattamento periodico e protratto, in assenza di
emergenza o di urgenza.
 Oppure è il caso di pazienti ricoverati in una REMS che, come tale, non è una struttura
ospedaliera, bensì terapeutico-sanitaria; pertanto in essa è possibile applicare, in
situazioni di scompenso acuto, questa forma di trattamento sanitario obbligatorio su
proposta del solo psichiatra della struttura, senza doverlo trasferire in SPDC.

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In generale, questa forma di TSO extra ospedaliero, risponda prima di esigenze di continuità
terapeutica, riveste carattere di temporaneità, è disposta su semplice proposta da parte del
curante e viene sciolta appena trascorso il tempo necessario per la somministrazione di quei
farmaci indispensabili.

Trattamenti sanitari protratti


Un problema aperto riguarda la necessità di prolungare un trattamento sanitario obbligatorio,
in quanto un regime ospedaliero deve o dovrebbe essere contenuto in tempi limitati. In questi
casi, il trattamento sanitario può proseguire in strutture residenziali o semi residenziali del
Dipartimento di salute mentale. La collocazione in dette strutture spetta al giudice tutelare su
proposta motivata.

Test obbligatorio per l’AIDS


Partiamo dal presupposto che nessuno può essere sottoposto, senza il suo consenso, ad analisi
tendenti ad accertare l’infezione da HIV, se non per motivi di necessità clinica nel suo interesse.
Ma è possibile praticare il test con carattere di obbligatorietà per motivi di necessità clinica
nell’interesse del paziente quando:
[1] È il caso del soggetto che presenti segni clinici che facciano pensare a una condizione di
sieropositività, per cui può essere necessario modificare o sospendere la terapia in atto;
oppure quando si prospetti la necessità di fare una diagnosi differenziale in quadri clinici
in cui è possibile, ma non certo all’infezione da HIV.

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[2] 2 Nell’ambito di programmi epidemiologici, solo però con la garanzia del più assoluto e
rigoroso anonimato.
Al di Fuori di questi due casi in cui la legge, a determinate condizioni, consente di eseguire il test
anche senza il consenso dell’interessato, è vietato ai datori di lavoro, pubblici e privati, lo
svolgimento di indagini a volte ad accertare nei dipendenti o persone prese in considerazione
per l’instaurazione di un rapporto di lavoro, l’esistenza di uno stato di siero positività.
Così come è giusto sottolineare che non costituiscono giusta causa di licenziamento né la
condizione di siero positivo, né l’appartenenza a gruppi a rischio.
Chi è sottoposto obbligatoriamente al test dell HIV?
Sono sottoposti obbligatoriamente al test per l’HIV:
 i donatori di sangue e di emoderivati;
 i donatori di sperma, tessuti, organi e midollo osseo.
L’informazione e il consenso del donatore rimangono atti dovuti.
La comunicazione dei risultati è rigorosamente riservata e deve essere data esclusivamente
alla persona interessata dall’accertamento. Pertanto, non ai familiari, né al partner sessuale del
soggetto, se non con il suo esplicito, chiaro, espresso consenso. Fanno eccezione i soggetti
legalmente o naturalmente incapaci.
Il medico deve informare correttamente e completamente suo paziente. Questo è l’unico
titolare del diritto assoluto a conoscere la verità, egli deve essere comunicata con le dovute
garanzie di metodo e di rispetto, in modo che gli possa liberamente e responsabilmente
prendere le decisioni in riferimento a due tipi di cautela da adottare: per contrastare
l’evoluzione della malattia e per evitare la diffusione del contagio.
Il medico, infine, deve informare il soggetto siero positivo delle possibili conseguenze penali su
eventuali comportamenti scorretti nei confronti di terzi.

Prelievi ematici
È costituzionalmente illegittimo che il giudice nell’ambito delle operazioni peritali, disponga
misure che comunque incidono sulla libertà personale dell’indagato o dell’imputato o di terzi, al
di fuori di quelle specificatamente previsti nei casi e nei modi dalla legge.
Prima era fatto divieto al giudice di disporre coattivamente il prelievo ematico, fin quando poi
non è stata promulgata una legge che specificasse “i casi e modi” in cui ciò fosse possibile.
Tale norma consente il prelievo di campioni biologici su indagati, imputati o terzi, nell’ambito
della perizia giudiziale, al ricorrere di determinati presupposti e dentro dati limiti; questa perizia
può essere disposta solo quando si procede per:

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 delitti non colposo, tentati o consumati, per i quali è prevista la pena dell’ergastolo o
della reclusione superiore nel massimo a tre anni.
 Ulteriore requisito È rappresentato dalla necessità di procedere al prelievo (di capelli,
peli o mucosa del cavo orale) per la finalità di effettuare la determinazione del profilo
del DNA.
 Inoltre è previsto che debba mancare il consenso della persona da sottoporre all’esame
peritale e che lo stesso esame risulti assolutamente indispensabile.
In questi casi il giudice può disporre con un’ordinanza motivata, l’esecuzione della perizia. Non
possono disporsi operazioni che contrastano con espressi divieti di legge o che possono
mettere in pericolo la vita della persona. Il perito deve eseguire le operazioni nel rispetto della
dignità e del pudore del soggetto. Devono essere preferite tecniche meno invasive.

Alcool, stupefacenti e guida


Per quanto si riferisce alla guida sotto l’influenza di sostanze alcoliche o stupefacenti o
psicotrope le regole sono le seguenti:
[1] il conducente è considerato in stato di ebrezza, quando il suo tasso alcolico è superiore
a 0,5 g per litro. I primi effetti negativi si cominciano a riscontrare già con valori di 0,2 g
per litro. Il tempo di eliminazione dell’alcol dipende dalla quantità ingerita ed è
comunque influenzato da fattori individuali. Contrariamente a quanto si pensa ne il
freddo, ne lo sforzo fisico, ne il caffè accelerano l’eliminazione dell’alcol.
Molti farmaci interagiscono con l’alcol, potenziando gli effetti negativi, con notevoli disturbi a
carico dell’attenzione e della percezione. Le Forze dell’ordine, possono accertare il tasso
alcolemico solo sull’aria espirata ricorrendo all’uso del palloncino, etilometro, che misura la
quantità di alcol contenuta nell’aria espirata. L’Esame è ripetuto due volte, effettuando due
misurazioni successive a distanza di cinque minuti l’una dall’altra. Il rifiuto di sottoporsi
all’accertamento del tasso alcolemico è reato ed è punito, oltre che con la perdita di 10 punti
alla patente di guida, con le stesse pene previste per chi guida in stato di ebrezza con tasso
alcolemico superiore a 1,5 g per litro. Ma nei casi in cui il conducente coinvolto in un sinistro sia
stato trasportato presso un presidio ospedaliero, e per fini terapeutici, è stato sottoposto a
prelievi di liquidi biologici, ivi compresi i prelievi ematici, gli stessi potranno comunque essere
acquisiti anche per fini di indagine.
[2] Nel caso di guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti valgono le stesse procedure,
con l’ulteriore precisazione che gli esami necessari ad accertare la presenza di sostanze
stupefacenti vengono effettuati presso strutture sanitarie fisse o mobili ovvero presso
strutture sanitarie pubbliche mediante prelievo di campioni di liquidi biologici. Le
Strutture sanitarie, su richiesta degli organi di polizia stradale, effettuano gli
accertamenti sui conducenti coinvolti in incidenti stradali, Per poi rilasciare agli organi di
polizia stradale la relativa certificazione.
Se per la guida in stato di ebrezza sono state espressamente individuate diverse fasce di gravità
sulla base del quantitativo di alcol presente nel sangue del conducente, per il reato di guida
sotto l’effetto di sostanze stupefacenti non è specificato il quantitativo di sostanza rinvenibile
nell’organismo a partire dal quale il conducente è considerato in stato di alterazione; in altre
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parole non vi è una soglia massima di tolleranza. Non esiste pertanto, uno strumento
equivalente per accertare lo stato di alterazione psicofisica conseguente all’uso di sostanze
stupefacenti e ciò avviene perché nel caso di assunzione di sostanze stupefacenti gli effetti
permangono nel tempo, sicché l’esame tecnico potrebbe avere un esito positivo anche in
relazione a un soggetto che ha assunto con costanza la droga nei giorni addietro. Oltre
all’accertamento scientifico della presenza di sostanze stupefacenti nei liquidi fisiologici del
conducente, per integrare il reato di guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti occorre
altresì la prova che la guida sia stata alterata dall’assunzione di stupefacenti.
È pacifico che il prelievo di liquidi organici comporti però un intervento invasivo e quindi una
lesione dell’integrità fisica del paziente: il che è possibile solo previa acquisizione del suo
consenso informato.

Indagini genetiche e accertamento di paternità


Il Prelievo di sangue necessario nell’ambito di indagini genetiche sulla paternità non può essere
compiuto senza il valido consenso espresso dell’interessato. Ma il giudice può desumere
argomenti di prova dalle risposte che le parti gli danno e dal loro rifiuto ingiustificato a
consentire l’ispezione che egli ha ordinato.

Trasfusioni di sangue
Occorre preliminarmente puntualizzare che in tema di trasfusioni di sangue e di
somministrazione di emoderivati, è previsto il consenso informato scritto del ricevente la
trasfusione e fa coincidere lo stato di necessità, ovvero il momento in cui medico può
intervenire anche senza il consenso, con l’imminente pericolo di vita. E, nessuna norma di legge
può imporre il trattamento emotrasfusioni male coattivamente e la stessa autorità giudiziaria
non può adottare un provvedimento su paziente competente e dissenziente come i testimoni
di Geova. Infatti se il testimone di Geova nega il consenso alla terapia, il medico deve fermarsi:
 nell’ipotesi di pericolo grave immediato per la vita del paziente, il dissenso del
medesimo deve essere oggetto di manifestazione espressa.
 In assenza di un chiaro di senso e in presenza di condizioni critiche per la
sopravvivenza, il medico ha l’obbligo di agire;
 un emotrasfusione eseguita contro la volontà del paziente lucido, anche se in
condizioni critiche, costituisce danno risarcibile e lesione colposa.
Per quanto riguarda le donazioni di sangue: sono consentiti la donazione di sangue, nonché il
prelievo di cellule staminali:
 all’interno delle strutture autorizzate dalle regioni;
 le attività possono essere effettuate in persone di almeno 18 anni di età, previa
espressione del consenso informato e verifica della loro idoneità fisica.
 per le persone di età inferiore ai 18 anni il consenso è espresso degli esercenti la potestà
a dei genitori o del tutore o del giudice tutelare.
È bene sottolineare che quando vi sia un pericolo imminente di vita il medico può procedere a
trasfusioni di sangue anche senza il consenso del paziente, a meno che non vi sia stato un

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esplicito dissenso avendo il paziente formalizzato il suo parere contrario ad un trattamento


emo trasfusionale salvavita. Nessun intervento da parte del magistrato può essere invocato,
perché non esiste alcuna norma che consente di imporre il trattamento emo trasfusionale
quotidianamente, se non in presenza di uno stato di necessità.

Interruzione volontaria della gravidanza


L’interruzione della gravidanza in donna interdetta Per infermità di mente deve essere eseguita
dopo aver sentito il parere del tutore. A sua volta la richiesta presentata dal tutore o dal marito
deve essere confermata dalla donna. E’ quindi stabilito che non esiste alcuna presunzione di
incapacità dell’infermo di mente, ma che una donna, anche se interdetta può tuttavia essere in
grado di decidere in modo valido in ordine all’interruzione della gravidanza.
Chiunque promuove l’interruzione della gravidanza senza il consenso della donna è punito con
la reclusione da quattro a otto anni. Le pene aumentano se la donna è minore di anni 18.
Pertanto la validità del consenso dato domandato di mente ma accertato caso per caso,
momento per momento.

Omicidio del consenziente


L’articolo 579 c.p. Precisa che il consenso alla Propria morte non è valido:
 se dato da una persona minore degli anni 18;
 se dato da una persona inferma di mente o che si trova in condizioni di deficienza
psichica;
 se estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con l’inganno.
Il medico, anche su richiesta del paziente non deve effettuare interventi volti a favorire atti
finalizzati a provocare la morte. Il medico, in caso di definitiva Compromissione dello stato di
coscienza del paziente, prosegue nella terapia del dolore e nelle cure palliative, attuando
trattamenti di sostegno delle funzioni vitali finchè ritenuti proporzionati.

Istigazione al suicidio
È punito anche chi determina altri a suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne
agevola in qualsiasi modo l’esecuzione. Le pene sono aumentate se la persona istigata o aiutata
si trova in una di queste condizioni: minore degli anni 18; persona inferma di mente o che si
trova in condizioni di deficienza psichica per un’altra infermità o per l’abuso di sostanze
alcoliche o stupefacenti. È divieto per il medico compiere qualsiasi azione che provochi o
contribuisca a provocare la morte del suo paziente.

Cartella clinica
La cartella e diario clinico sono documenti sanitari importantissimi che devono essere compilati
con la massima cura, correttezza e completezza. La cartella clinica è uno strumento

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professionale che permette ai vari professionisti di documentare rendere comprensibile il


processo di presa in carico della persona del percorso terapeutico e socio riabilitativo. È un atto
pubblico e i dati sanitari vengono considerati sensibili. È coperta dal segreto professionale e il
suo trattamento è riservato agli operatori sanitari. Trattandosi di un atto pubblico, infatti
devono essere annotati contestualmente al loro verificarsi. Ne deriva che tutte le modifiche,
aggiunte o le alterazioni integrano falsità in atto pubblico, punibile in quanto tali.
La cartella clinica comprende: un frontespizio, I dati anamnestici del paziente, l’esame obiettivo
eseguito al momento dell’ingresso in reparto, le attività terapeutiche praticate, le condizioni di
salute del paziente nel loro succedersi ed evolversi, tutti i referti degli esami.
La cartella clinica può essere rilasciata: al diretto interessato; tutore; a persona fornita di
delega; all’autorità giudiziaria; ai medici a scopo scientifico purché sia mantenuto l’anonimato.
Cartella clinica non può essere rilasciata a terzi se non muniti di delega; al medico curante senza
l’autorizzazione del paziente; ai patronati; alla polizia giudiziaria tra forze dell’ordine.

Capitolo 3
Segreto professionale= Il segreto professionale indica un obbligo normativo a carico di alcune
figure professionali di non rivelare o pubblicizzare informazioni, delle quali esse siano a
conoscenza, per motivi di lavoro, per le quali vi è imposto uno specifico obbligo di segretezza.
Può riguardare il libero professionista, il lavoratore subordinato o anche il dipendente pubblico,
e spesso è tanto un obbligo deontologico oltre che giuridico.

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Segreto d’ufficio=Il dovere, imposto agli impiegati pubblici, di non comunicare all’esterno
dell’amministrazione notizie o informazioni di cui siano venuti a conoscenza nell’esercizio delle
loro funzioni, ovvero che riguardino l’attività amministrativa in corso di svolgimento o già
conclusa.
Legge sulla privacy= Per "tutela della privacy" si intende il DIRITTO alla protezione dei dati
personali. "La presente legge garantisce che il trattamento dei dati personali si svolga nel
rispetto dei diritti, delle libertà fondamentali, nonché della dignità delle persone fisiche, con
particolare riferimento alla riservatezza e alla dignità personale; garantisce altresì i diritti delle
persone giuridiche e di ogni altro ente o associazione".

La deontologia è costituita da quell’insieme di norme etiche e professionali che regolano i


rapporti paziente-sanitario, ma anche quelli tra questi, i familiari del paziente e altri. In ogni
settore delle discipline sanitarie la deontologia detta regole nel rispetto dei diritti fondamentali
della persona. Le direttive deontologiche fondamentali che devono guidare l’operatore
sanitario nella sua attività sono:
 il segreto professionale;
 il consenso informato.
Si tratta di due obblighi non eludibili, che devono essere osservati da tutti quelli che
interagiscono nella cura del malato. Il terzo vincolo giuridico è dato dal decreto legislativo sulla
privacy del giugno 2003.

Segreto professionale
Il segreto e tutto ciò che è stato appreso nell’esercizio della professione, che concerne la sfera
intima, personale della persona assistita e che non deve essere divulgato. La tutela del segreto
garantisce il paziente da ogni indebita intrusione nel suo mondo privato.
La fiducia, l’alleanza, il lavorare insieme, sono componenti della relazione terapeutica che
entrano in gioco solo se è garantita dal segreto.
Obbligo di mantenere il segreto è un imperativo giuridico, deontologico e morale che grava su
tutto il personale sanitario. Tale è da considerare anche lo psicologo che, oltre nel privato,
opera nell’ambito del servizio sanitario nazionale o in altri enti pubblici. La rivelazione del
segreto, quando indebita e non giustificata, è sanzionato dalla norma in vigore e dalla legge
sulla privacy che tutela le persone e altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali.
La morte del paziente non esulano Il medico e lo psicologo dall’obbligo del segreto. Nel caso di
collaborazione con altri soggetti tenuti al segreto professionale, il sanitario può condividere
soltanto le informazioni strettamente necessarie in relazione al tipo di collaborazione da
effettuare. L’Informazione a terzi (compresi familiari e parenti), a parte le eccezioni, non è
consentita, se non per esplicita volontà normalmente espressa dalla parte del paziente e
competente. Ma i sanitari possono ricevere informazioni dai familiari e da terzi; parliamo di

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informazioni che specie nei casi in cui il paziente non è competente, possono essere utilizzate
per impostare la diagnosi e la terapia e per coinvolgere i familiari nel processo terapeutico.
In sintesi possiamo dire che:
 il paziente adulto competente ha il diritto di essere informato, è l’unico titolare del
segreto;
 ha pure il diritto di rinunciare a ricevere le informazioni relative al suo stato di salute;
rinuncia e richieste devono essere circoscritte e devono essere formalizzate attraverso
una dichiarazione scritta firmata e controfirmata;
 l’obbligo al segreto vale in tutti casi in cui genitori chiedono informazioni circa la vita
sessuale dei loro figli età compresa tra i 14 e i 18 anni; è deontologicamente corretto
informare preliminarmente di ciò il minore tra i 12 e i 18;
 in caso di pazienti interdetti la certificazione può essere rilasciata al tutore, in seguito
alla sua richiesta e previa informazione dell’interdetto, se in grado di recepirla;
 in caso di richiesta orale o scritta da parte dell’amministratore di sostegno, queste
possono essere lasciato solo previo consenso del paziente.
La rivelazione può essere invece:
 imposta dalla legge in seguito a denunce di pubblico ufficiale, richiesta di referti,
relazioni, perizie. Si tratta di un obbligo di legge, di un dovere, che molti casi si sostanzia
in una trasmissione di segreto professionale o d’ufficio;
 richiesta dei genitori nell’interesse di un minore degli anni 18;
 richiesta da tutore nell’interesse dell’interdetto;
 disposta dal giudice in caso di testimonianza.
A questo proposito, salvaguardia del segreto professionale e del segreto d’ufficio; l’astenersi è
un diritto; il testimoniare non è un obbligo.

L’operatore è esonerato dal segreto, ed è addirittura obbligato alla segnalazione scritta in caso
di maltrattamenti o abusi di qualsiasi genere, specie, quando si è muniti di elementi sufficienti
per ritenere fondato l’abbandono, il ma trattamento, l’abuso o la violenza o quant’altro leda il
diritto alla salute.

Ma come comportarsi nel caso in cui tale segnalazione espone il proprio paziente (autore di
reati) a procedimento penale? A tal proposito alcune situazioni di più frequente riscontro sono:
1. 1 il paziente parla direttamente con il suo curante, ammettendo condotte illecite e lesive
in danno dei propri familiari o di altri minori e di soggetti deboli, chiedendo aiuto. Se
mancano i caratteri dell’urgenza, non si segna il caso all’autorità giudiziaria, si rispetta il

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vincolo del segreto professionale e in accordo con il paziente, si cercano soluzioni


concordate.
Ma se il sanitario, ritiene la situazione grave e preoccupante da imporre una denuncia
all’autorità giudiziaria e ritiene prioritario la tutela del minore o del disabile, deve
procedere di conseguenza, con evidente rischio di perdere il rapporto di fiducia con il
paziente.
2. Il paziente esterna propositi distruttivi e violenti in condizioni di scompenso
psicopatologico; la soluzione Sanitaria di protezione è di proporre un trattamento
sanitario obbligatorio e di attivare urgentemente l’intervento di servizi psichiatrici, non
abbandonando il paziente fino al momento della sua presa in carico da parte della
psichiatria.
3. Se il paziente non si presenta più ai sanitari, in quanto ha interrotto le cure, ma si ha
notizia che commette reati, anche se il contratto di cura è staro interrotto, il sanitario
non può esimersi dall’accertarne le ragioni. E se queste sono collegate ad uno
scompenso psicopatologico in atto, deve assicurarsi che il paziente sia stato preso in
carico da altri sanitari, ed eventualmente trasmettere loro le informazioni di cui è a
conoscenza.
Ma se il paziente ha semplicemente interrotto il contratto di cura e non presenta segni
di scompenso mentale in atto e risulta aver scelto una carriera delinquenziale, si segnala
il reato all’autorità giudiziaria.

Mai si deve dimenticare che i provvedimenti del sanitario devono ottemperare non solo
obblighi contrattuali, ma anche di protezione e di tutela primaria del paziente che, quando si
affida sanitario, si Attende un intervento curativo e non poliziesco.

Premessa: i delitti perseguibili d’ufficio sono: delitti contro la vita; delitti contro l’incolumità
individuale; delitti contro l’incolumità pubblica; delitti sessuali nei casi previsti; delitto di aborto;
delitto contro la libertà; delitto contro la famiglia.
La rivelazione è imposta dalla legge quando viene richiesta la presentazione di referti, rapporti,
relazioni, consulenze e perizie.
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Referti E denunce sono informative di reato indirizzata all’autorità giudiziaria, attraverso le


quali, chi ne ha obbligo, collabora al normale funzionamento dell’amministrazione della
giustizia.
Referto:
Il referto riguarda il libero professionista e non è obbligatorio se espone il paziente ad un
procedimento penale.
È l’atto scritto con il quale un esercente la professione sanitaria riferisce all’autorità giudiziaria
di avere prestato la propria assistenza in casi che presentano i caratteri di un delitto procedibile
d’ufficio.
Oggetto del referto sono gli interventi professionali relativi a delitti perseguibili d’ufficio.
Chi ha L’obbligo del referto e ovvero chiunque eserciti una professione sanitaria, deve farlo
pervenire entro quarantott’ore.
Questo può essere stilato anche da uno psicologo non medico o da uno psicologo in veste di
psicoterapeuta, in quanto il contenuto di questo atto rientra nelle sue specifiche competenze e
funzioni, esercitando anche egli una professione sanitaria.
L‘omissione del referto è sanzionata dall’Art. 365 codice penale, ricordando che la disposizione
non si applica quando il referto può esporre la persona assistita a procedimento penale.
Inoltre esiste una fondamentale differenza tra il referto rilasciato da un medico e quello
rilasciato da uno psicologo, nel primo saranno presente anche dati relativi ad una diagnosi
clinica della lesione con conseguente individuazione dei mezzi che l’hanno prodotta e le terapie
praticate. Mentre il referto compilato dallo psicologo nella sua veste di terapeuta, sarà ben
diverso da quello rilasciato da un medico.
Rapporto:
Il rapporto riguarda il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio. Il rapporto è sempre
obbligatorio e lo è per tutti reati, siano essi delitti o contravvenzioni, perseguibili d’ufficio.
Il rapporto, ora sostituito dalla dizione denuncia, è l’atto con il quale il pubblico ufficiale segnala
all’autorità giudiziaria qualsiasi reato procedibile ufficio, di cui ha avuto notizia nell’esercizio o a
causa delle sue funzioni o del suo servizio. La denuncia deve essere presentata o trasmessa
senza ritardo al pubblico ministero o ad un ufficiale di polizia giudiziaria. Il suo contenuto
espone gli elementi essenziali del fatto e indica il giorno dell’acquisizione della notizia e le fonti
di prova già note. Contiene, inoltre, quando è possibile, le generalità, il domicilio e quanto altro
valga all’identificazione della persona alla quale il fatto è attribuito. L’omissione di denuncia da
parte di un pubblico ufficiale è sanzionata.

Ricordiamo inoltre che :


Il medico di base quando assiste un paziente in regime di convenzione, è un incaricato di
pubblico servizio; quando la visita privatamente è un libero professionista.

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Il medico o lo psicologo ospedaliero, quando assistono un paziente nell’ambito della loro


funzione pubblica, sono pubblici ufficiali; quando lo assistono privatamente, sono liberi
professionisti.
Il medico o lo psicologo, quando assistono un paziente in una struttura privata o in regime di
convenzionamento, sono incaricati di pubblico servizio.

Il consenso informato
Cosa si intende per consenso?
Per consenso si intende un atto giuridico, il permesso con cui qualcuno conferisce a qualcun
altro il potere di agire a tutela e difesa dei suoi interessi.
Il consenso è giuridicamente rilevante soltanto se valido è, per essere tale, deve essere dato da
persona che:
• Dispone di tale diritto;
• È legittimata a consentire;
• Ha la capacità ed è libero di agire.
• È informata e consapevole del significato e delle conseguenze sia positive e
negative di quello specifico atto che su di lei verrà compiuto; di conseguenza,
ha manifestato validamente il suo consenso; non lo ha revocato e non è stato
condizionata e consentire.
Il codice deontologico degli psicologi italiani, in merito al consenso informato afferma che: lo
psicologo, nella fase iniziale del rapporto professionale, fornisce all’individuo, gruppo,
l’istituzione o alla comunità, informazioni adeguate e comprensibili circa le sue prestazioni, le
finalità e le modalità delle stesse, nonché il grado i limiti giuridici della riservatezza. Pertanto
opera in modo che chi ne ha diritto possa esprimere un consenso informato. Se la prestazione
professionale a carattere di continuità nel tempo, dovrei esserne indicata, la prevedibile durata.
Un intervento nel campo della salute non può essere effettuato se non dopo che la persona
interessata abbia dato consenso libero e informato. Inoltre la persona interessata può in
qualsiasi momento, liberamente ritirare il proprio consenso.

In ogni caso, il consenso è l’ultimo di una sequenza di cui passaggi obbligati sono:
l’informazione, la comprensione, la scelta, la restituzione. Inoltre la dottrina medico-legale ha
più volte ribadito che il consenso deve essere personale, libero, consapevole, manifesto,
partecipe e revocabile. Il paziente competente è l’unico soggetto legittimato a consentire
trattamenti che incidono sul proprio corpo o sulla propria qualità di vita; quindi il consenso
espresso da un terzo al posto del titolare del diritto non è mai valido.
Informazione:
Informare significa dire qualche cosa, rendere consapevole qualcuno di un fatto, di un
processo, di un intervento.
L’informazione si distingue in generica e specifica.
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Info generica:
Il sanitario informa quando si presenta e si identifica; quando chiarisce la sua funzione, i
contenuti e gli obiettivi che sono propri del suo lavoro terapeutico; quando spiega che il suo
intervento è un’offerta d’aiuto, una possibilità di lavorare insieme. A tal fine, non deve parlare
di futuri grandiosi o di falsi obiettivi o di guarigioni miracolose, ma semplicemente presentarsi
come una persona che possiede una competenza specifica, frutto di un tirocinio formativo,
disposta a lavorare qui e ora con il suo paziente.
Info specifica:
Consiste nella comunicazione della diagnosi, delle prospettive terapeutiche, delle conseguenze
anche negative della terapia o della mancata terapia e della prognosi. Spiega L’ Inquadramento
diagnostico, parla dei tempi, modi, contenuti, aspetti positivi e negativi dell’intervento; delle
conseguenze del non intervento o anche solo dell’invio stesso. Sono tutti messaggi
unidirezionali, che partono dall’operatore e vanno al destinatario, senz’altro scopo che quello
di informare.
Non bisogna dimenticare che il paziente può anche non comprendere bene ciò che gli viene
riferito, seconda delle condizioni psichiche del soggetto presente nel momento in cui si decide
il se, come e quando fare. In generale, una distorsione della comprensione può dipendere, oltre
che da disturbi mentali in atto e indipendentemente dal tipo del contenuto dell’informazione
data, dalle condizioni psicologiche del paziente nel momento in cui è informato. Infatti la
risposta che il paziente può dare può dipendere da diversi fattori: dal trovarsi di fronte al primo
incontro con un sanitario, dal dover o meno affrontare una patologia seria; varia con il variare
dell’età, del sesso, dello stato sociale, del livello culturale di base.
Comunicare:
Comunicare diverso dall’informare in quanto comunicare significa, informare
compartecipazione, buona empatia.

Volontà anticipate, direttive anticipate, disposizioni anticipate di


trattamento.
Quando parliamo di volontà anticipate facciamo riferimento ad un documento che formalizza,
la volontà di una persona di non intraprendere terapie o interventi eroici e di non proseguire o
di sospendere quelli intrapresi quando:
 Le terapie in atto si rivelano futili;
 Situazione patologica in atto è irreversibile, dolorosa e non dignitosa;
 La medicina può solo accompagnare un dignitoso processo del morire.

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Tali situazioni vengono prese in considerazione quando la persona va incontro ad uno stato di
impossibilità di esprimere la propria volontà e il paziente non è più competente.
Ma l’attuale codice di deontologia medica, prevede che:
 il medico non abbandoni il paziente con prognosi infausta o con definitiva
compromissione dello stato di coscienza, ma continua ad assisterlo; e se in condizioni
terminali impronta la propria opera alla sedazione del dolore e al sollievo della
sofferenza tutelando la dignità e la qualità della vita. Il medico, in caso di definitiva
compromissione dello stato di coscienza del paziente, prosegue la terapia del dolore e
nelle cure palliative, attuando trattamenti di sostegno delle funzioni vitali finché ritenuti
proporzionati, ma tenendo conto delle dichiarazioni anticipate di trattamento.
Accanimento terapeutico e eutanasia sono due aspetti che esulano dal corretto operare del
sanitario. Il medico, anche su richiesta del paziente, non deve effettuare nè favorire atti
finalizzati a provocarne la morte.
Si definisce accanimento terapeutico un trattamento ritenuto palesemente inefficace in
relazione all’obiettivo, a cui si aggiunge la presenza di un rischio elevato per il paziente di
ulteriori sofferenze, ma che viene ugualmente proposto dal medico.
Tali sono quei trattamenti inutili, sproporzionati, violentemente imposti al paziente solo per
mantenerlo artificialmente in vita senza alcun altro vantaggio.
Per eutanasia si intende un comportamento attivo da parte di un soggetto finalizzato a
provocare la morte indolore di un altro soggetto, assecondando la sua volontà espressa e
consapevole, Per liberarlo, in occasione di una malattia irreversibile, da insopportabili
sofferenze o per aiutarlo a porre fine a una vita ritenuta non più dignitosa.
Il suicidio assistito consiste nell’azione direttamente a messo in atto dal paziente con
l’assistenza del sanitario. In Italia, sia L eutanasia attiva che il suicidio assistito sono pratiche
vietate dalla legge.

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