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Il profilo del serial killer - di Roberta Bruzzone


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Il profilo del serial killer


Articolo pubblicato sul primo numero della rivista ALTEREGO – Marzo 2007
di Roberta Bruzzone, Psicologa e Criminologa, Presidente Accademia Internazionale di Scienze Forensi –
www.accademiascienzeforensi.it

Il serial killer: una nuova figura criminale?

Negli ultimi anni sembra ormai essere emersa una nuova figura di criminale violento inafferrabile, che si ferma
esclusivamente quando viene arrestato o ucciso ed è in grado di perfezionare strategicamente il suo modus operandi di
delitto in delitto. Per riferirsi a questa figura criminale da ormai oltre vent’anni si è adottato il termine “serial killer”. Questa
terminologia entra prepotentemente in campo all’epoca dei crimini del cosiddetto “Son of Sam” (“il figlio di Sam”) David
Berkowitz, autore di numerosi omicidi nella New York degli anni ’70. In quel periodo probabilmente negli Stati Uniti erano
già attivi almeno una dozzina di “predatori seriali” mentre negli ultimi anni il loro numero sembra essere decisamente
aumentato. Le stime ufficiali calcolano che siano da attribuire a tale tipologia di assassini circa il 10% degli omicidi
complessivi che avvengono in America e in Canada (Rossmo, 2001). Ad oggi tuttavia risulta pressoché impossibile stabilire
con buona approssimazione il numero effettivo di serial killer in azione nel panorama internazionale Tuttavia, secondo
alcune stime, la presenza di tali predatori sembra essere distribuita geograficamente nel modo seguente: circa il 76% di tali
assassini risiederebbe all’interno del territorio dell’America del Nord (in prevalenza Canada e Stati Uniti) mentre “soltanto” il
19% agirebbe all’interno del territorio Europeo nel suo complesso....in questi casi il condizionale è d’obligo.

Come testimoniano ormai da anni le pagine di cronaca giudiziaria, anche il nostro Paese ha i propri “mostri”, capaci di
mietere vite per “semplice” rivalsa nei confronti della frustrazione causata da una perdita al casino’ o come “scomoda”
conseguenza di un modo “perverso” di vivere la propria sessualità. Certo davvero un macabro tributo alla nostra solita
“esterofilia”.....

L’omicidio seriale ha radici antiche

Sembra comunque che l’omicidio di matrice seriale sia un fenomeno molto più antico di quanto si immagini comunemente.
Sfogliando le riviste specializzate in materia è piuttosto facile imbattersi nelle descrizioni di molti casi di brutali uccisioni che
rientrano nella definizione di omicidio seriale fornita dal Crime Classification Manual (Douglas, Ressler, Burgess, Burgess,
1992 prima edizione, 2006 seconda edizione), una tra le più accreditate a livello internazionale. Secondo questa
classificazione tali omicidi comportano l’esistenza di almeno tre vittime e la presenza di un periodo temporale di pausa (il
cosiddetto periodo di “cooling off” o raffreddamento) tra un omicidio ed il successivo. Naturalmente gli individui che nel
passato si sono macchiati di tali delitti non furono definiti serial killer e nemmeno “mostri” ma piuttosto “eccezionali ed
unici” per il loro tempo. Cesare Lombroso, per molti versi il padre della Criminologia moderna, più di cento anni fa raccoglie
in una sua perizia quello che è di fatto il primo resoconto completo che un pluriomicida fa di se stesso. Mi riferisco al “caso
Verzeni”, noto come “lo strangolatore di donne” che tra il 1867 ed il 1871 uccide due donne e ne aggredisce sessualmente
altre sei. Nell’ottocento comunque casi accertati di questa stessa matrice ce ne sono molti altri. Quattro casi su tutti che
all’epoca hanno destato grande interesse investigativo ed allarme sociale sono sicuramente i seguenti: Jack lo Squartatore,
il sergente Bertrand, Vacher e il Dottor Thomas Cream. Tutti questi soggetti erano persone considerate al di sopra di ogni
sospetto all’epoca della cattura. Solo una volta identificati (tutti tranne Jack lo Squartatore, i cui delitti si sono interrotti
inspiegabilmente nel Novembre del 1888) sono diventati clamorosi esempi di comportamento efferato e perverso.

Ma è possibile trovare traccia dell’operato di tale tipologia di assassini non solo all’interno delle più datate riviste
specialistiche ma anche all’interno della favolistica dei fratelli Grimm o di Perrault ad esempio. Soprattutto nel racconto di
Hansel e Gretel e di Barbablù infatti sembra riecheggiare il ricordo del Conte Gilles De Rais, compagno d’armi di Giovanna
D’Arco, che nel 1440 viene processato a Nantes per aver orrendamente ucciso circa un centinaio di bambini. Questa
vicenda diviene quindi ben presto leggenda e poi persino favola. In questo genere di favole la componente sessuale viene
solitamente schermata ma nella leggendaria figura del “mostro” che si ciba di carne umana vi si può leggere una chiara

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trasposizione metaforica del movente alla base dell’operato di molti serial killer: la letale fusione di piacere sessualizato e
bramosia di uccidere in un’apoteosi di ferocia gratuita.

Il serial killer: “anti-eroe” moderno o “comune” predatore?

Nell’ immaginario collettivo, grazie al corposo intervento di una certa filmografia e letteratura noir, si è diffusa l’idea che il
serial killer sia un soggetto affascinante, di intelligenza superiore, una sorta di “genio del male” a caccia di sfide, che entra in
competizione intellettiva con gli inquirenti che si impegnano spasmodicamente, e

spesso in vano, per catturarlo. Purtroppo anche molti criminologi sembrano aver subito il fascino di tale figura criminale,
sull’onda del successo di film del calibro del “Il silenzio degli innocenti”, nel vano tentativo di “rubare” un po’ del fascino
“da eroina” della bella e coraggiosa Clarisse Starling (lo Special Agent dell’FBI che riesce ad entrare in contatto con
l’impenetrabile Annibal Lecter e a salvare l’ultima vittima) per cercare morbosamente di irrobustire e spettacolarizzare la loro
immagine professionale.

In verità il motivo alla base della grande difficoltà sin ora emersa nel tentare di catturare tali predatori non è da ricondurre
alla loro “sovrumana” intelligenza e competenza criminale nel saper dominare tutti gli eventi della loro “erratica” esistenza
terrena ma è dovuta molto spesso alla impossibilità di stabilire una connessione tra i tre elementi fondamentali di
un’investigazione: autore del crimine, movente e vittima. La possibilità di stabilire tale connessione rappresenta la base di
partenza di ogni indagine dal momento che consente di creare la cosiddetta “lista dei sospettati”. Molto spesso infatti tali
soggetti selezionano vittime che potremmo definire “occasionali”, ossia drammaticamente al posto sbagliato nel momento
sbagliato e con cui non hanno mai avuto un contatto in precedenza.

Sostanzialmente tutti i serial killer catturati hanno mostrato poi un quoziente intellettivo assolutamente nella norma e
conducevano un’esistenza piuttosto misera e priva di qualsiasi “appeal” di matrice cinematografica. Le loro fantasie
omicidiarie si sono sviluppate a partire da un’interminabile serie di frustrazioni sociali ed affettive e sembrano avere radici
molto lontane nel tempo, già nella prima infanzia.

È sicuramente piuttosto complesso tentare di comprendere questo genere di assassini dal momento che il loro operato
spesso non sembra avere nulla a che fare con le motivazioni che innescano i comportamenti criminali “ordinari”. Tale
complessità a livello motivazionale sembra intricare ulteriormente anche il modo in cui pensano ed agiscono, in una parola
quello che i criminologi definiscono “modello comportamentale”. C’è chi, come ancora oggi il più noto e controverso
cacciatore di serial killer del Federal Bureau of Investigation, John Douglas (ormai in pensione da diversi anni e autore di
una serie di pubblicazioni di grande successo sull’argomento), afferma che l’unico modo per individuarli risiede
“implacabilmente” nell’imparare a pensare come loro, nell’entrare nella loro mente quindi. Non bisogna però dimenticare ciò
che Sir Arthur Conan Doyle, il creatore del celebre ed infallibile detective londinese Sherlock Holmes, afferma in uno dei
suoi romanzi: “l’eccezionalità costituisce sempre un indizio, più anonimo e comune è un delitto, più diventa difficile
risolverlo”.

Ma chi è il serial killer?

Essenzialmente quando parliamo di assassino seriale ci riferiamo ad un soggetto che ha ucciso una volta e che con ogni
probabilità ucciderà ancora, se si ripresenterà l’occasione. Non possiamo stabilire con assoluta precisione quante vittime
arriverà ad uccidere o quanto durerà il periodo di “pausa” (tecnicamente “raffreddamento”) tra un omicidio e l’altro.
Sappiamo solo che uccide ripetutamente ad intervalli di tempo variabili e la cui coazione a ripetere sembra non potersi
fermare in maniera “spontanea”. I serial killer non uccidono ogni notte di luna piena, essi uccidono quando avvertono il
bisogno di sperimentare la sensazione inebriante che solo il completo controllo e potere sulla vita di un’altra persona è in
grado di fornirgli. Come e quando arrivano a tale punto sembra essere il frutto di un percorso del tutto soggettivo. La
vittima è in genere una persona sconosciuta o di cui l’omicida ha una conoscenza solo superficiale che si trova al posto
sbagliato nel momento sbagliato. L’omicida per procurarsi una vittima mette in mostra sovente un comportamento
predatorio talvolta ben organizzato, altre volte più casuale e scomposto. Per lo più questo genere di individui tende a
ricercare le proprie prede all’interno del proprio gruppo etnico e sembra mostrare una predilezione per l’azione isolata (anche
se proprio in merito a tale aspetto esistono debite eccezioni alla regola). Questo genere di assassini non sembra ricercare dei
partner con cui relazionarsi dal punto di vista sessuale ma piuttosto degli “oggetti” con cui masturbarsi. È il dominio totale
sulla preda l’obiettivo principale. L’attività sessuale, quando presente, sembra rappresentare una sorta di strumento
privilegiato per degradare e distruggere la vittima arrivando così ad esercitare su di essa un controllo pressoché assoluto.
Solo in pochissimi casi si è rilevato che le vittime di uno stesso serial killer avessero importanti caratteristiche somatiche in
comune (ad esempio, sembra che Ted Bundy, uno dei più feroci e “prolifici” serial killer americani, preferisse ragazze con
lunghi capelli castani portati con la riga nel mezzo).

Genesi di un serial killer


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La maggior parte delle ricerche scientifiche condotte su tali soggetti ha messo in luce che come gruppo manifestano tutta
una serie di caratteristiche piuttosto significative. Naturalmente parliamo di indicazioni di massima. In primo luogo essi
tendono a commettere il loro primo omicidio tra i 23 ed i 35 anni, anche se sembrano esistere importanti eccezioni alla regola
come ad esempio nel caso di Donato “Walter” Bilancia, il “serial killer della Liguria”, che ha commesso il suo primo omicidio
“conosciuto” ben più avanti negli anni rispetto al range medio. Nella maggioranza dei casi si tratta di maschi bianchi di
intelligenza media. La maggior parte di questi assassini è sostanzialmente “invisibile” da un punto di vista sociale. Si tratta
per lo

più di soggetti molto comuni e quindi indistinguibili rispetto al resto della popolazione. Lupi travestiti da agnelli in grado di
mimetizzarsi facilmente sotto le spoglie del “tipo della porta accanto”. Le loro letali fantasie omicidiarie sembrano sorgere già
durante l’infanzia e l’adolescenza ed essi tendono a mostrare uno spiccato interesse proprio per il mondo della fantasia dal
momento che il mondo reale spesso sa riservargli sono frustrazioni e delusioni. Proprio il disagio che gli deriva dagli
accadimenti del mondo reale sembra spingerli patologicamente a rifugiarsi sempre più frequentemente all’interno del loro
mondo di fantasie che diventa così il palcoscenico ideale per poter rovesciare in chiave compensatoria il proprio vissuto di
impotenza ed umiliazione alimentato dagli accadimenti della loro vita “reale”. Tendono ad essere piuttosto solitari sin da
bambini, hanno poche amicizie, vivono spesso ai margini del proprio gruppo dei pari. Alcuni di loro sono figli illegittimi. In
alcuni casi si tratta di figli di prostitute. La figura materna è spesso vissuta in maniera negativa e problematica. Sin dalla
tenera età non sembrano nutrire alcuna considerazione per gli altri bambini ed il loro modo di giocare non sembra avere nulla
di gioioso e tende a seguire schemi ripetitivi in cui spicca una dilagante carica aggressiva. La profonda svalutazione di se
stessi che i serial killer trasferiscono sulle loro vittime sembra essere la chiave in grado di permettergli la messa in atto delle
loro letali fantasie. Con ogni probabilità solo arrivando a dominare totalmente le loro vittime riescono a liberarsi per qualche
momento del profondo disprezzo che sembrano provare in primis proprio per se stessi. Jeffrey Dahmer, il “mostro di
Milwaukee”, era convinto che fosse impossibile per lui ottenere un partner sessuale consensuale perché si percepiva come
un essere disgustoso, deriso ed evitato da tutti, indegno di essere “amato”. Molte ricerche infatti hanno largamente
dimostrato che i bambini vittima di abuso e/o maltrattamento infantile tendono a giustificare il comportamento
dell’abusatore attraverso l’attribuzione di tutte le colpe a se stessi. Ciò sembra essere alla base del profondo disprezzo che
questi bambini tendono a sviluppare non tanto nei confronti della fonte del maltrattamento ma piuttosto nei confronti di
loro stessi. La gravità di tale scenario può arrivare a determinare la cosiddetta “morte emotiva” in cui proprio tale disprezzo
contamina tutto e tutti. E questo naturalmente rappresenta un terreno fertile per molte manifestazioni devianti di gravità
variabile. Durante l’adolescenza questi soggetti spesso appiccano incendi, si comportano in maniera crudele nei confronti
degli animali e commettono piccoli furtarelli. Nella maggior parte dei casi giunti all’attenzione degli inquirenti, l’escalation
criminale ha inizio con crimini del tipo più diverso tra cui aggressioni (sessuali e non), furti, rapimenti, omicidi non
sessualizzati, ecc.

Perché uccidono

Una caratteristica che sembra contraddistinguere tale tipologia di omicidi è l’assenza di un movente “convenzionale” come
la vendetta, il lucro, la passione, l’ira o l’abbandono. Gli omicidi di questo genere non sembrano essere commessi per
ottenere un guadagno materiale ma sembra piuttosto trattarsi di atti che mirano alla soddisfazione di bisogni sviluppati
attraverso la fantasia. Proprio la soddisfazione di tali bisogni tende a improntare il nucleo centrale del rituale esecutivo,
ossia quella serie di comportamenti che non sono strettamente necessari a determinare l’evento morte ma che consentono
all’assassino di mettere in scena le proprie fantasie in tutta la loro ferocia. Tale rituale tende a rimanere sufficientemente
stabile nel tempo fornendo agli investigatori la cosiddetta “firma” del serial killer. A differenza della “firma” il modus
operandi, ossia il modo in cui un determinato crimine viene compiuto, invece tende a modificarsi in maniera dinamica a
seconda dei casi essendo maggiormente soggetto a fattori contestuali. Naturalmente, secondo quanto affermano gli esperti
statunitensi, è la firma a rappresentare l’unico elemento indiziario solido in grado di collegare tra loro una serie di omicidi.

Esaminando le informazioni rese note dalle più accreditate agenzie investigative a livello internazionale e dal National Centre
for the Analysis of Violent Crime (FBI), risulta piuttosto evidente l’attenzione rivolta al ruolo svolto dalla fantasia all’interno
dell’operato criminale di tali soggetti. In effetti tutti noi nutriamo delle fantasie e ci riserviamo gelosamente il diritto di poter
sognare ma, allo stesso modo, sappiamo bene quali sono i confini “attuativi” di tali fantasie attraverso quello che è
comunemente chiamato dagli psicologi “principio di realà”. Per gli assassini seriali non sembra essere così. All’interno del
loro universo psichico la fantasia evolve spesso in qualcosa di decisamente meno governabile, che viola il confine con la
realtà arrivando a contaminarla in maniera letale... per le loro vittime.

Facciamo un po’ di chiarezza: 10 luoghi comuni tra i più diffusi sui serial killer

I serial killers sono stati spesso dipinti in maniera decisamente distante dalla realtà e ciò ha comportato un certo
rallentamento a carico dello sviluppo delle tecniche e delle strategie investigative per catturare tale tipologia di predatori.
Cerchiamo quindi di capire e di sfatare, nel limite del possibile, i luoghi comuni che tornano più spesso quando si parla di
assassini seriali.
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1) I serial killer sono soggetti dall’aspetto stravagante e sinistro o, al contrario, sono soggetti dotati di un notevole
fascino “di facciata”. Al contrario di quanto si ritiene comunemente, gli assassini seriali rientrano quasi sempre nella media
della popolazione sotto tutti i punti di vista. Se da un lato non sembrano essere dotati di un particolare fascino dal punto di
vista estetico dall’altro non sembrano nemmeno essere afflitti da un aspetto particolarmente repellente.

2) I Serial killers vivono con le loro madri. In effetti in molti casi gli assassini seriali tendono a vivere con una parente dal
momento che hanno spesso problemi lavorativi e quindi fanno fatica a pagare l’affitto da soli. Possono quindi vivere con
una zia più anziana, una sorella oppure con la propria compagna/moglie che si prende cura di loro e si fa carico del
sostentamento economico della coppia.

3) I Serial killers sono in grado di mettere in scacco la Polizia. Nella maggior parte dei casi tali soggetti uccidono e poi
tornano a vivere la loro vita senza mostrare alcun segno della loro vera natura predatoria. La maggior parte di loro sa bene
che può diventare estremamente pericoloso sfidare le Forze di Polizia apertamente. La maggior parte di loro tende a fare il
possibile per evitare la cattura e non prende minimamente in considerazione la possibilità di entrare in una competizione
intellettuale diretta con gli inquirenti che gli danno la caccia. Naturalmente esistono alcune eccezioni a tale regola. Luigi
Chiatti ad esempio aveva lasciato diversi messaggi agli inquirenti con contenuti denigratori rivolti verso questi ultimi prima
della sua cattura.

4) I Serial killers sono soltanto uomini. Se da un lato è sicuramente corretto affermare che la maggior parte dei serial killer
sono uomini, tuttavia esistono anche diverse serial killer donne in azione. Le assassine seriali tendono ad uccidere in
maniera più “discreta” e per ragioni diverse e solitamente uccidono persone che conoscono. Esse uccidono i loro stessi
figli, i bambini di cui si occupano come babysitter oppure i loro pazienti. È ancora vivo il ricordo di Sonia Caleffi, “l’angelo
della morte” di Lecco che ha assassinato una serie di pazienti ricoverate nell’ospedale in cui lavorava un paio di anni fa per
“darsi importanza”. In qualche occasione poi arrivano ad uccidere come parte di un perverso patto criminale che le lega al
loro compagno di sangue.

5) I Serial killers solitamente usano tecniche molto subdole e sofisticate per procurarsi le loro vittime. La maggior
parte degli assassini seriali giunti all’attenzione degli inquirenti ha aggredito le vittime attraverso un attacco a sorpresa, il
cosiddetto “blitz attack”, arrivando molto rapidamente a vincere la resistenza delle vittime in maniera molto agevole e
spesso con l’ausilio di un’arma da fuoco o da taglio.

6) I Serial killers uccidono ad intervalli di tempo regolari. Non esiste un intervallo di tempo “standard” tra un delitto di
una serie ed il successivo. Uccidere non è certo cosa da tutti i giorni. Si tratta di un’attività rischiosa che chiama in causa un
grande dispendio d’energia da parte del killer. Questo genere di assassini tenderà a colpire quando si ripresenterà la giusta
occasione in termini di valutazione dei pro e dei contro legati all’omicidio. Per questi soggetti è molto importante che “il
gioco valga la candela”. Nella stragrande maggioranza dei casi non sembrano essere affatto interessati a correre rischi
inutili.

7) I Serial killers tendono a selezionare vittime con caratteristiche comuni e molto simili tra loro. Anche tale luogo
comune non sembra rispettare del tutto la realtà dei fatti in quanto molti serial killer selezionano le loro vittime attraverso un
criterio di scelta vittimologica in prevalenza di matrice opportunistica e/o casuale. Spesso infatti a diventare loro vittime
sono persone che si trovano drammaticamente nel posto sbagliato al momento sbagliato.

8) I Serial killers conservano dei “souvenirs” dei loro crimini e I ritagli di giornali che parlano dei loro delitti. Una
buona parte di loro si limita a commettere i vari omicidi e a tornare a casa senza voltarsi indietro se non per rivivere quanto
hanno commesso a livello intrapsichico come “carburante” per le loro fantasie estreme. Alcuni di loro sono piuttosto attenti
a quanto riportato dai media in merito a quanto hanno commesso soprattutto nel tentativo di capire che tipo di elementi
hanno in mano gli inquirenti e se stanno andando nella giusta direzione o meno. La maggior parte di loro non tiene con sé
niente che possa collegarlo all’evento criminale in questione.

9) I Serial killers sono dotati di un’intelligenza strategica superiore alla media. Tale “leggenda metropolitana” è stata
copiosamente alimentata da una certa filmografia e letteratura di matrice poliziesca, ma non sembra trovare debito riscontro
nella realtà. La maggior parte dei serial killer infatti possiede un’intelligenza nella media o addirittura inferiore alla media. Del
resto, se davvero fossero stati dotati di un’intelligenza superiore con ogni probabilità avrebbero scelto altri modi per vivere
la loro vita. Un vecchio proverbio ligure, estremamente calzante in tale ambito, sostiene infatti che “gli alberi si riconoscono
dai frutti”.....

10) Molti serial killers sono stati individuati grazie all’ottimo lavoro svolto da parte delle Forze di Polizia. La maggior
parte degli assassini seriali catturati è stata individuata per disattenzione/incuria mostrata dal killer stesso per inesperienza
nel commettere il crimine o per eccessiva sicurezza in se stesso e arroganza, che ha portato l’assassino a sottostimare

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l’importanza di alcuni indizi lasciati dietro di sé.

Tutti questi luoghi comuni hanno spesso interferito con le indagini che hanno riguardato tale tipologia di assassini
arrivando di fatto, drammaticamente, sia a ridurre l’efficacia del lavoro degli investigatori che a consentire a tali soggetti di
continuare a mietere vittime indisturbati. Tali errori impattano in maniera piuttosto grave nell’attività investigativa in primis
portando gli inquirenti a non considerare nella giusta prospettiva tutta una serie di possibili sospettati.

Alcune considerazioni finali

Sembra oggi riscuotere un certo successo la tesi che considera questo genere di assassini il prodotto di una combinazione
letale tra caratteri congeniti ed acquisiti. Ma c’è anche chi, come il noto psichiatra forense americano, Dietz ritiene invece
che essi non siano altro che una miscela esplosiva tra “geni giusti e genitori sbagliati”. Sempre secondo il Prof. Dietz, il
salto dalla fantasia alla realtà dipende in larga parte dal carattere e dalle vicissitudini della vita e non sembra avere molto a
che fare con quelli che diverranno poi gli “oggetti del desiderio”, per quanto macabri essi possano di fatto essere. Con ogni
probabilità quindi sarebbe tutt’altro che semplice rendere perverso o criminale una persona che altrimenti si comporterebbe
in maniera socialmente accettabile soltanto esponendolo (per quanto su una base regolare e sistematica) ad una visione di
immagini profondamente aberranti. Ciò sta a significare che l’origine della pulsione deviante di tali individui va ricercata ben
più in profondità.

Proprio a tal riguardo ciò che Lionel Dahmer, il padre del famigerato “cannibale di Milwaukee”, afferma nella sua biografia
“A father’s story” apre la strada a tutta una serie di quesiti di importanza cruciale sulla genesi di tali “mostri” ad oggi ancora
in cerca di una risposta convincente. Certo non va sottovalutato il fatto che questo genere di crimini solitamente desta un
forte allarme sociale lasciando facilmente ipotizzare la presenza contaminante di un qualche risvolto psicopatologico
all’interno della mente dell’assassino. Ma gli assassini seriali devono essere considerati soggetti malati? Se si, di quale
malattia mentale soffrirebbero allora?. Ad oggi purtroppo non esiste alcuna uniformità di giudizio tra i professionisti del
settore in merito a quale tipo di psicopatologia occorrerebbe chiamare in campo per tentare di comprendere tale
manifestazione criminale....sempre che di psicopatologia sia giusto parlare..

Highlight n.1

Si parla di omicidio seriale quando:

- sono avvenuti almeno due omicidi

- l’elemento centrale è la ripetizione dell’atto omicidiario ad oltranza, e cioè finchè l’assassino non viene fermato
dall’arresto o dalla morte

- i vari omicidi vengono commessi in tempi diversi

- i vari omicidi non vengono commessi per ottenere un guadagno materiale ma sembra trattarsi di atti di matrice
compulsiva

- tali atti mirano alla soddisfazione di bisogni sviluppatisi attraverso la fantasia

- la soddisfazione di tali bisogni rappresenta il nucleo centrale del rituale esecutivo (la cosiddetta “firma”)

- l’omicidio avviene solitamente uno contro uno (anche se esistono alcune eccezioni significative)

- tra assassino e vittima non sembra esistere alcuna relazione significativa

- manca un movente apparente

Highlight n.2

Come uccidono - Qui di seguito un elenco dei mezzi maggiormente utilizzati dai serial killer per arrivare ad uccidere le
proprie vittime e le maggiori cause di morte (Dietz et al., 1990)

- tortura/vittima tenuta in stato di prigionia bendata e/o imbavagliata

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- schiavitù sessuale della vittima

- penetrazione con oggetti di varia natura

- stupro anale, vaginale e orale

- uso di strumenti di restrizione

- esecuzione di varie tipologie di amputazioni a carico di varie parti del corpo della vittima

- percosse

- morsi

- frustare a morte la vittima

- bruciature e ustioni

Principali cause di morte in ordine di prevalenza

- strangolamento con strumenti idonei

- strangolamento a mano

- ferite d’arma da fuoco

- ferite d’arma da punta e/o taglio

- trauma da corpo contundente

- impiccagione

- asfissia meccanica

- tortura

- annegamento

- assideramento

Highlight n. 3

La “triade omicida” e gli altri segni premonitori


Si tratta di una serie di indicatori (le cosiddette “red flags”) di una futura condotta gravemente deviante che si
manifestano durante il periodo evolutivo. In particolare molta attenzione è stata prestata a tre indicatori in a cui gli
esperti di settore hanno attribuito una notevole valenza predittiva nei confronti di una futura scelta omicidiaria, e mi
riferisco in particolare all’enuresi notturna, alla crudeltà verso gli animali e alla piromania. Ecco comunque in breve
tutti gli indicatori presi in considerazione dai maggiori esperti in materia (Ressler, Douglas et al., 1988):

- isolamento sociale

- scarsa autostima

- scarsa tolleranza nei confronti della frustrazione

- difficoltà di apprendimento spesso abbinata ad episodi delinquenziali

- sintomi da ricondurre a danni di carattere neurologico tra cui forti emicranie, attacchi epilettici, scarsa

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coordinazione neuromuscolare, enuresi notturna non giustificata da immaturità della vescica

- menzogna compulsava (bisogno immotivato e cronico di raccontare bugie)

- mancanza di autocontrollo (in questo indicatore rientra anche il problema del bullismo)

- attività sessuale estremamente precoce e/o bizzarra

- attrazione eccessiva per il fuoco

- attrazione eccessiva per tutto ciò che ha a che fare con la morte

- crudeltà verso gli animali

- disordini a carico del comportamento alimentare 8in particolare tra le assassine seriali)

- piccoli furti durante l’infanzia e l’adolescenza

- precoce abuso di sostanze stupefacenti

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