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'Serial killer' in Italia; tre casi eclatanti: Gianfranco Stevanin,... http://www.altrodiritto.unifi.it/ricerche/devianza/massaro/cap4.

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Capitolo 4
Serial killer in Italia; tre casi eclatanti: Gianfranco Stevanin,
Donato Bilancia, Luigi Chiatti
Sui dolci colli di Firenze, tra cipressi e olivi, tra vigne e ginestre, il "mostro di Firenze" ha ucciso non
solo quattordici (o sedici) ragazzi, ma anche la serena certezza che l'Italia fosse immune dal
fenomeno dell'omicidio seriale. difficile spiegare perch, fino all'inizio degli anni '80, ci ritenessimo
immuni da questa forma di patologia criminale. Eppure, anche prima di questi fatti, la cronaca aveva
parlato pi volte di crimini seriali. Queste informazioni erano rimaste per sepolte nelle pagine della
cronaca locale. Del resto, le autorit ribadivano che in Italia (non considerando la criminalit
organizzata) si uccideva essenzialmente per due sole ragioni: denaro e passione. Culturalmente,
sostenevano, ci era estraneo il fenomeno dell'omicidio per piacere. Purtroppo, il "mostro di Firenze" ci
ha violentemente risvegliato da questa illusione.

L'idea stessa di assassino seriale era cos lontana dalla nostra cultura che, ancor oggi, nella lingua
italiana, non esiste una parola adatta a denominarlo. Abbiamo dovuto mutuare il termine
anglosassone serial killer, l'unico in grado di rendere chiaramente il concetto. In italiano stato usato,
e tuttora si usa, l'appellativo "mostro". Definizione incompleta e anche fuorviante nel suo significato di
fenomeno eccezionale, contronatura. Oggi, quando sentiamo parlare dell'esistenza di un "mostro",
intuiamo subito che si tratta di un serial killer.

A questo punto possibile fare un altro tipo di riflessione; quasi tutte le vicende di omicidi in serie
avvenute sembrano ricalcare quella che ha visto protagonista Pacciani: omicidi misteriosi senza
colpevole, smentite ufficiali sull'ipotesi dell'assassino seriale, difficolt a collegare i vari casi tra loro,
inadeguatezza investigativa, panico nell'opinione pubblica, processi sommari. E questo perch, con
ogni probabilit, si cerca di non vedere il fenomeno nella sua originalit, si continua a rimuoverlo, a
tacerlo, a sottovalutarlo e, contemporaneamente, a considerarlo un fenomeno eccezionale. E tanti
funerali continuano ad essere fatti a causa di questo silenzio.

Come per il resto del mondo, l'omicidio seriale in Italia trova riscontro soprattutto nel XX secolo,
mentre i casi storici registrati sono pochi. Nel XIX secolo (oltre al gi citato Vincenzo Verzeni, cap. 1,
par. 1) troviamo due casi interessanti. Il primo riguarda Antonio Boggia che, nello spazio di dieci anni,
uccise diverse persone, senza curarsi del sesso delle vittime, soprattutto commercianti e uomini
d'affari. L'altro caso riguarda Callisto Grandi, conosciuto come "l'ammazzabambini" proprio perch
sceglieva questo tipo di vittime a Incisa Valdarno (Firenze). De Pasquali ha considerato quelle che lui
definisce le "psicobiografie criminali" di 43 assassini seriali che hanno ucciso dal 1850 ad oggi. Gli
elementi principali di questa analisi sono i seguenti: (1)

1. elementi anamnestici pregressi alla serie omicidiaria.

Pi della met degli assassini seriali sono nati al nord (56%), il 16% al centro ed altrettanti al
sud, mentre il 7% nato nelle isole e il 4% all'estero. Il 44% di loro ha vissuto l'infanzia in una
famiglia povera di affetti e il 35% in famiglie povere e "spezzate". Il 14% ha passato diversi

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anni in un orfanotrofio. Nel 21% dei casi considerati, i familiari erano soggetti aventi tare
psichiche e quasi tutti i serial killer avevano gi commesso altri reati prima dei delitti seriali, sia
contro la propriet che contro la persona.

In pi del 40% dei casi, prima dei delitti, si sono verificati eventi traumatici fisici ma soprattutto
psichici, anche se quasi mai c' un rapporto diretto di causa-effetto tra evento stressante e
inizio della serie omicidiaria;

2. dati psicobiografici inerenti al periodo del primo omicidio.

Il 63% dei serial killer ha un inserimento sociale scarso o nullo. Il 26% degli assassini seriali
sono disoccupati, il 14% ha un'attivit illegale, il 38% svolge un lavoro non qualificato e
soltanto il 7% ha un lavoro qualificato. Il 58% soffre di disturbi psichiatrici che non sempre,
per, sono la causa dei delitti. L'et media in cui viene commesso il primo omicidio trenta
anni, mentre l'ultimo viene commesso a trentaquattro anni e gli omicidi vengono compiuti
soprattutto al nord (70%), seguito dal centro (17%), mentre l'8% viene commesso al sud.

Come armi utilizzate, abbiamo le armi da fuoco (37%), armi bianche (16%), strangolamento
(17%), corpi contundenti (12%) o veleni (4%). Il 70% degli assassini seriali italiani di tipo
organizzato, il 20% disorganizzato, il 10% a pianificazione parziale;

3. relazione col corpo della vittima.

Il 10% degli assassini seriali ha avuto rapporti sessuali con le vittime prima di ucciderle e, nel
6% dei casi, ha praticato sevizie. Dopo l'uccisione, nel 60% dei casi, il cadavere viene lasciato
sul posto e, soltanto in un 10%, viene trasportato altrove. Comportamenti necromanici si
riscontrano in circa il 30% degli omicidi;

4. comportamento post-omicidiario.

Soltanto l'1% degli assassini seriali si costituisce e una percentuale analoga tenta il suicidio. La
met di loro si allontana dal luogo dell'omicidio subito dopo aver sottratto soldi, documenti
oppure oggetti (25%) e aver cancellato le tracce (30%). I soggetti che restano sul luogo del
delitto lo fanno per affermare ancora di pi il controllo totale sulla scena e sul cadavere. Il 10%
lancia messaggi di sfida alle forze dell'ordine;

5. comportamento all'arresto.

Pi o meno tutti i serial killer si comportano allo stesso modo: all'inizio non confessano,
preferendo negare ogni colpa, poi cominciano ad ammettere qualcosa, adducendo per
numerose giustificazioni. Dopo interrogatori abbastanza serrati, confessano prima qualche
delitto, poi tutti, mentre una minoranza addirittura si attribuisce un numero di omicidi superiore
a quelli realmente effettuati;

6. comportamento al processo.

La maggior parte degli assassini seriali non si pente, rimane freddo, distaccato o manifesta
atteggiamenti arroganti. Soltanto il 2% chiede perdono e il 14% dichiara che, se e quando
torner in libert, ricomincer ad uccidere.

Musci, Scarso e Tavella, scremando l'esteso bacino degli omicidi volontari di autore ignoto, sono
pervenuti a definire "l'area della probabilit". (2) Questa categoria deve essere intesa come "l'insieme
dei delitti impuniti a carattere mostruoso" rilevati a livello nazionale che, in base ad analogie,
similitudini, connessioni reciproche, pu essere scomposta in serie omicidiarie omogenee. Ogni
serie, che comprende omicidi accaduti in una stessa zona o in zone limitrofe, costituisce uno
specifico oggetto analitico da sottoporre ad osservazione. Sul piano operativo, lo sviluppo di questa

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ricerca avvenuto in base al seguente schema:

a. censimento dei delitti impuniti a livello nazionale


b. selezione di omicidi con carattere di mostruosit e privi di un movente apparente
c. enucleazione delle serie omicidiarie omogenee
d. analisi delle singole serie e valutazione del "tasso di probabilit serial killer" ("fattore SK") per
ciascuna di esse
e. elaborazione dell'identikit o del profilo psicologico del probabile serial killer.

A conclusione di questa analisi, gli autori in questione parlano di "Piemonte zona a rischio",
considerando soprattutto la tipologia delle vittime e la frequenza temporale degli omicidi. Dal 1988 al
1996, diverse serie delittuose con prostitute in qualit di vittime hanno avuto origine e sviluppo,
intrecciandosi tra loro fino quasi a confondersi ed interessare vaste zone della regione. Considerando
la distribuzione dei cadaveri, risulta che gli assassini hanno agito in buona parte lungo l'asse Torino-
Alessandria. Anche altre provincie risultano interessate tant' che si parla di "quadrilatero della
morte", che occuperebbe il cuore del Piemonte (Torino-Ivrea-Novara-Alessandria), per indicare lo
spazio operativo dei serial killer.

L'omicidio seriale in Italia viene commesso soprattutto da "predatori solitari", similmente a quanto
avviene negli altri paesi industrializzati. A differenza, per, di quanto avviene nel resto del mondo e,
soprattutto negli Stati Uniti, gli assassini seriali italiani agiscono soprattutto in provincia e nelle piccole
citt. Nella maggior parte dei casi, le vittime sono donne e, subito dopo, la categoria vittimologica pi
presente quella dei bambini ed anche qui si conferma la tendenza generale dell'omicidio seriale.
Nove casi presentano una vittimologia mista e ci indicativo del fatto che per l'assassino
prioritaria l'azione omicidiaria, mentre la vittima scelta in base all'opportunit. In due casi (De
Martino e Businelli), abbiamo degli infermieri che uccidono dei pazienti anziani in ospedale. Singolare
il caso di Antonio Cianci, un ragazzo che uccide esclusivamente dei carabinieri. Gli omicidi seriali di
prostitute sono tra i pi comuni anche in Italia e, soltanto nel 1995, sono stati catturati tre assassini
seriali uccisori di prostitute, Matteucci, Stevanin, Schrott.

I serial killer italiani non presentano particolarit che li differenziano da quelli degli altri paesi. Si nota
in tutti la "sindrome dell'alienazione", i problemi di relazione con il prossimo, la difficolt ad inserirsi
nel mondo reale, la predominanza delle fantasie.

In alcuni casi, le donne uccise sono le mogli, le amanti o, comunque, le donne con le quali
l'assassino seriale ha un rapporto sentimentale, e, in questi casi, abbiamo la cosiddetta "sindrome di
Barbabl". Un dato interessante da notare sull'omicidio seriale in Italia che sono rarissimi i casi di
donne serial killer e l'unico caso storico quello che ha visto coinvolta la Cianciulli, anche se in
generale va notato che, quello dell'omicidio seriale commesso da donne, un fenomeno soprattutto
americano.

I casi di omicidio seriale in coppia sono pochi e sicuramente quello che ha visto coinvolti Wolfgang
Abel e Mario Furlan il pi interessante. Firmandosi "Ludwig", commettono una serie di omicidi che
hanno come obiettivi dichiarati quelli che per loro sono i "rifiuti della societ", omosessuali, prostitute,
vagabondi. Il motore della coppia era Abel, che credeva ciecamente nelle virt del nazismo; entrambi
professavano la religione della "razza pura" e, dopo ogni omicidio, inviavano dei volantini di
rivendicazione. Del tutto anomalo anche il gruppo composto da sei carabinieri e noto come la "banda
della uno bianca" che, in sette anni, ha ucciso ventiquattro persone, ferendone centodue. Si tratta di
un gruppo criminale dedito alle rapine, per, a volte, gli omicidi appaiono del tutto immotivati, eseguiti
soltanto per soddisfare un sadico piacere personale: in questo senso rientrano pienamente nella
logica dell'omicidio seriale.

In generale, gli assassini seriali italiani sembrano manifestare un complesso di perversioni meno
estremo rispetto ai loro corrispettivi di paesi come gli Stati Uniti e l'ex Unione Sovietica, dove, ad

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esempio, i casi di cannibalismo legati all'omicidio seriale sono molteplici.

1. Gianfranco Stevanin: il "mostro di Terrazzo"


Il primo caso analizzato riguarda appunto Gianfranco Stevanin, l'agricoltore di Terrazzo (Verona), uno
dei serial killer che ha destato maggiormente l'attenzione dell'opinione pubblica e che sembra uscire
direttamente da un serial killer dell'F.B.I.

Partendo dall'arresto e dallo svolgimento dei fatti, passando attraverso le tappe fondamentali della
vita di questo assassino seriale, verranno ripercorse tutte le vicende giudiziarie che hanno portato poi
alla condanna definitiva all'ergastolo sancita dalla Corte di Cassazione.

1.1. L'arresto, le indagini, il rinvio a giudizio


Il "caso Stevanin" nasce a Vicenza la sera del 16 novembre 1994: l'agricoltore di Terrazzo viene
arrestato al casello di Vicenza Ovest, dopo che una prostituta austriaca, Gabriele Musger, si lancia
dalla Lancia Dedra Blu, targata VE A28260, di propriet dello Stevanin, dirigendosi verso una volante
della polizia, che si trovava nei pressi del casello chiedendo aiuto. Gli agenti identificavano l'uomo in
Stevanin Gianfranco e procedevano alla perquisizione del veicolo, rinvenendo e sequestrando una
pistola giocattolo priva di tappo rosso.

La donna, in sede di denuncia, rendeva dichiarazioni accusatorie nei confronti dello Stevanin,
raccontava di essere stata avvicinata dall'uomo, mentre era in attesa di clienti, il quale le domandava
il prezzo per poter scattare delle fotografie. Pattuito questo per un milione di lire, specificato che non
voleva farsi ritrarre il viso, saliva in auto per dirigersi verso l'abitazione del cliente. La Musger ha
raccontato per ore cosa era successo in quell'abitazione: rapporti violenti, giochi erotici, foto porno.
Agli agenti ha anche spiegato di aver cercato di fuggire dalla finestra del bagno, in cui era chiusa, ma
il tentativo era fallito proprio per l'intervento violento di Stevanin, che aveva forzato la porta.

Ma era nel momento in cui la donna si rifiutava di farsi legare nuda al tavolo, di schiena, con una
benda sugli occhi per ulteriori fotografie, che Stevanin, infuriato, la minacciava con una pistola ed un
taglierino. Allora la prostituta gli offriva 25 milioni di lire per esser lasciata andare e lui le spiegava che
erano pochi per il tipo di foto scattate, quindi la costringeva a salire in camera da letto, obbligandola
ad avere un altro rapporto sessuale, ma assicurandole che, dopo, l'avrebbe accompagnata a casa
per farsi dare i soldi. Cos faceva, subito dopo, e, al vicino casello, la donna notava la pattuglia di
Polizia, che provvedeva a bloccare Stevanin. La Musger dichiara immediatamente di voler
denunciare il cliente per la violenza subita.

Immediatamente iniziano le perquisizioni nelle case dell'agricoltore, la villetta di via Torrano 41 ed il


vecchio casolare di via Brazzetto, nelle quali gli investigatori sequestrano centinaia di riviste e
fotografie pornografiche e peli pubici. Ma sequestrano, soprattutto, i documenti di due donne, Biljana
Pavlovic, cameriera serba di 25 anni, residente ad Arzignano (Vicenza), della quale non si hanno
notizie dall'agosto del 1994, e di Claudia Pulejo, 29 anni, tossicodipendente di Legnano (Verona)
scomparsa il 15 gennaio dello stesso anno. Mentre gli inquirenti avviano le indagini sui probabili
rapporti tra le scomparse e Stevanin, questi viene condannato a tre anni per la violenza sessuale
subita dalla Musger, per sequestro di persona e di tentata estorsione di 25 milioni, ritenuto il reato pi
grave perch commesso con l'uso di un'arma. Nella motivazione della sentenza (3), si specifica che
non assume alcun rilievo in senso contrario il fatto che i referti medici non abbiano riscontrato segni
di violenza sul corpo della stessa, giacch, secondo il disposto dell'ex art. 519 del codice penale
(abrogato dalla legge 66/1996, ora art. 609 bis), la violenza sessuale pu essere realizzata anche
con il ricorso alla semplice minaccia.

Intanto, all'ospedale di Borgo Trento, muore il padre di Stevanin, a causa di un cancro polmonare;

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la madre a portargli la notizia in carcere. Nel frattempo continuano le perquisizioni della polizia,
bloccata dal passaggio burocratico degli atti da Vicenza, dove avvenuto l'arresto, a Verona, nel cui
territorio avvenuto lo stupro e dove, quindi, radicata la competenza del caso giudiziario. Vengono
trovate lettere indirizzate a fidanzate e compagne di giochi erotici, schede di ragazze con indicate
misure e prestazioni, riviste pornografiche mescolate a santini di Padre Pio. Tra queste c' anche la
scheda di Claudia Pulejo, una tossicomane scomparsa.

Il 3 Luglio 1995, a Terrazzo, a poco distanza dalla casa di Stevanin, un agricoltore trova in un fosso,
in disuso da tempo, un sacco contenente un cadavere, che il medico legale, il Dottor Zanardi,
stabilisce essere umano. Il fato o la Provvidenza, per chi cristiano, ha fatto scoprire da una
possibile scarcerazione il primo dei cadaveri di cui Gianfranco Stevanin, oltre un anno dopo,
ammetter di essersi sbarazzato. (4) Le indagini, a questo punto, vengono condotte dai carabinieri,
che per primi sono intervenuti sul luogo del ritrovamento, e da un nuovo magistrato, Maria Grazia
Omboni: tre giorni dopo, Stevanin, indagato per omicidio volontario ed occultamento di cadavere,
viene trasferito nel carcere di massima sicurezza di Montorio, e a Terrazzo arrivano le ruspe.

12 Novembre 1995. Viene trovato il cadavere di una giovane donna, piegato in due, avvolto in un
ampio telone blu del tipo usato in agricoltura, ad un'ottantina di centimetri di profondit. A differenza
di quello ritrovato il 3 Luglio, questa volta il ritrovamento non casuale e, soprattutto, non in un
luogo qualsiasi. Il cadavere (che dopo le prove del Dna e la ricostruzione dei lineamenti del volto
risulter essere quello di Biljana Pavlovic) era stato sotterrato in un podere della famiglia di
Gianfranco Stevanin. (5)

1 Dicembre 1995: viene disseppellito un terzo cadavere, anche questo avvolto in un bozzolo di
pellicola trasparente; si tratta di Claudia Pulejo. Diventano cos sempre pi inquietanti i risvolti della
vicenda, che inizialmente sembrava solo uno stupro ai danni di una prostituta, la Musger, che ha fatto
arrestare Stevanin per violenza carnale, dando il via all'indagine sulla storia di un'ossessione, quella
del "mostro di Terrazzo".

Dicembre 1995-Giugno 1996. Inizia la battaglia di nervi tra la Omboni e Stevanin: dalle foto
sequestrate si scopre che vi sono riprese almeno altre due vittime. Stevanin, pertanto, viene
accusato della sparizione della prostituta austriaca Roswita Adlassnig e della morte di una donna,
mai identificata, ritratta, apparentemente priva di vita, in una pratica erotica estrema; ed ancora, si
indaga per la morte di una ragazza dell'est, il cui corpo era stato recuperato nell'Adige a Piacenza
d'Este (Padova). Gli omicidi contestati a Stevanin diventano cinque: tre con cadavere ritrovato, due
solo supposti.

Intanto il Giudice per le indagini preliminari, Carmine Pagliuca affida la perizia psichiatrica a due
periti, due esperti di serial killer: Ugo Fornari, professore di psicopatologia forense presso l'Universit
di Torino, e Ivan Galliani, ordinario di criminologia presso l'Universit di Modena; si affiancano a loro
due periti di parte Mario Marigo e Giovani Battista Traverso; ed infine Marco Lagazzi, consulente per
il P.M. Continua, nel frattempo, il serrato interrogatorio del pubblico ministero Omboni: Stevanin nega
di essere la causa della morte di quelle donne, ma inizia ad avere dei flash di memoria e riferisce di
come si sia sbarazzato dei corpi. L'agricoltore spiega che i suoi avvocati (Dal Maso e Acebbi),
insistendo con le domande, cercano di fargli rivivere il passato e qualcosa gli ritorna in mente, ma,
racconta, " come se fosse un ricordo che io sogno", quindi spiega meglio, "cio pu essere una
cosa che io avevo vissuto realmente ma che avevo cancellato". (6)

19 Luglio-23 Agosto 1996. A modo suo, Stevanin "confessa" quattro delitti: quattro ragazze gli sono
morte tra le braccia, tre durante rapporti sessuali spinti all'estremo, una, la Pulejo, per overdose da
eroina. Ci sono voluti tre interrogatori per delineare meglio la vicenda della terza vittima (una
studentessa universitaria, conosciuta a Verona ed incontrata tre o quattro volte; la prima parte la
racconta il 23 giugno, come un sogno fin troppo lucido e ricco di dettagli macabri; la seconda il 23
agosto, il giorno del crollo, quando il sogno diventa realt; la terza il 20 settembre prima del

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sopralluogo sul fiume). Oltre a ci, Stevanin racconta, sotto forma di deduzioni o presunzioni, di aver
sezionato il cadavere al fine di occultarlo, di aver tagliato prima gli arti, le gambe, poi le braccia,
ricavando due pezzi per ogni arto, che la ragazza era abbastanza giovane con dei lunghi capelli
biondi. Ricorda anche di aver vomitato una volta durante il sezionamento, di aver visto molto sangue;
egli sostiene che "il ricordo pi forte che ho appunto del sangue". Afferma di avere come dei flash in
cui si trova di notte sulla sponda di un ampio canale, in due punti, dove avrebbe potuto gettare i
cadaveri. Sostiene di non aver alcun ricordo del volto (" come se io vedessi un volto sfocato al
massimo"); riferisce, poi, di un secondo momento, di aver rinvenuto nella stanza della cascina un
rotolo avvolto nel nylon trasparente, che lasciava trasparire al suo interno una massa scura, che
"poteva essere di una pecora, ma anche il corpo di una persona piegata in due", ma pi volte
ribadisce che "quello probabilmente era una corpo umano, sono io che vorrei che fosse
qualcos'altro". (7)

Settembre 1996. Vengono sequestrate cinque lettere, con minacce di morte, inviate alla giornalista
Alessandra Vaccari dal detenuto Giuliano Baratella. Si tratta di lettere scritte da Stevanin e fatte
copiare dal compagno di detenzione, in cui Baratella si autoaccusa di essere il colpevole dei delitti
"ingiustamente" attribuiti all'indagato. Relativamente alle domande fatte dal P.M. sull'argomento,
Stevanin dichiara di avvalersi della facolt di non rispondere. Intanto (24 Settembre 1996), viene
ritrovato un altro cadavere; si tratta di una giovane donna sconosciuta, trovata priva di capelli e in
avanzato stato di decomposizione lungo le rive dell'Adige.

Ottobre 1996. I periti Fornari, Galliani e Lagazzi dichiarano Stevanin processabile.

5 Novembre 1996. Il P.M. Omboni chiede il rinvio a giudizio per omicidio volontario e premeditato di
Claudia Pulejo e Biljana Pavlovic. All'udienza preliminare, i parenti delle vittime si costituiscono parte
civile; non c' il rito abbreviato, perch sono state contestate molte aggravanti da ergastolo: oltre alla
premeditazione, l'assassinio durante la violenza sessuale, la crudelt, i motivi abietti, l'aver
approfittato di vittime rese inermi; per l'occultamento di cadavere, sono indagate altre persone, tra cui
la madre, ma per loro si procede separatamente. Il Gip, Carmine Pagliuca, accoglie la richiesta di
rinvio a giudizio per duplice omicidio volontario, premeditato e con le aggravanti della violenza
sessuale. Su Stevanin, sospettato di essere un sadico serial killer, sono ufficialmente aperte altre
cinque inchieste per omicidio.

6 Ottobre 1997. Questa la data in cui Gianfranco Stevanin comparir davanti ai giudici della Corte
d'Assise.

1.2. La storia della sua vita


I dati a nostra disposizione sono quelli raccolti dalla sua viva voce durante i numerosi colloqui che i
periti, Fornari e Galliani, hanno avuto con lui presso il carcere di Verona Montorio: Stevanin, a quanto
riferiscono i periti, a parlato il maniera spontanea, sciolta, cercando di fornire loro tutti i chiarimenti
che gli venivano richiesti. Gli elementi riguardanti la vita di Stevanin dedotti da altri ambiti sono
indicati in nota.

Anamnesi familiare. Il padre Giuseppe deceduto il 17 novembre del 1994, per cancro polmonare
all'et di settantadue anni, due giorni dopo l'arresto del figlio. L'agricoltore racconta di aver sofferto
molto per la sua malattia. Aggiunge di avere un ottimo ricordo di lui: "c'era un rapporto pi da amici
che da padre e figlio, ci si intendeva molto bene con pap, specie nel campo del lavoro". La madre
Noemi Miola, una donna vivente e sofferente di artrosi, vive con una sorella; Stevanin dichiara, in
un primo momento di avere un buon rapporto con lei, "anche se non cos aperto come tra un
genitore e un figlio". Afferma esplicitamente, di appartenere ad una famiglia economicamente agiata,
ma ricorda di essere cresciuto in un ambiente anche troppo protettivo: "i miei, forse per
iperprotettivit, intervenivano sempre; in poche parole, se volevo fare qualcosa senza sottostare al
loro occhio inquisitore, dovevo tenerla nascosta". Poi, aggiunge che tutto questo gli dava fastidio

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all'inizio, perch i suoi non lo consideravano un adulto in proporzione all'et che aveva; dopo per, ha
iniziato a decidere con la sua testa e diceva loro solo l'indispensabile.

Anamnesi personale. Gianfranco Stevanin nasce a Montagnana (Padova), il 2/10/1960; i primi


quattro anni della sua vita li trascorre in campagna; proviene da una famiglia di agricoltori, ma era il
padre, come egli ammette, che si occupava di uccidere le bestie per mangiarle, in quanto a lui dava
fastidio uccidere galline o vacche.

Infanzia. A 4-5 anni viene messo in collegio, in quanto la madre ha problemi con la gravidanza (poi
sfociata in un aborto); quando ritorna in famiglia, frequenta regolarmente le scuole elementari del
paese, ma, dice "tra la seconda e la terza classe, usando un attrezzo agricolo, caddi e picchiai la
testa sul timone di questo; rischiai grosso ma me la cavai con 3-4 punti di sutura. Questo fatto
importante perch i miei, per evitare che mi cacciassi in situazioni di rischio, mi affidarono ad un
istituto di suore. Da quel momento mi venne a mancare la presenza di figure importanti ed per
questo che iniziai a far affidamento solo su me stesso". (8) Questa situazione richiama alla mente
quella che Mazer chiama "famiglia problematica" (vedi cap. 2, par.1.1), in cui la famiglia, pur se
spezzata, sussiste ancora e vi mancanza di continuit nello svolgimento dei ruoli. Nel collegio
rimane per tutte le scuole medie e per il primo anno delle superiori; di queste ha un ricordo neutrale,
anche se, spiega, si ambientato bene col tempo. Tornato a casa, continua gli studi presso la scuola
statale di Legnano, ma deve interromperla a causa di un incidente stradale.

L'incidente stradale. Il 21 novembre 1976, a seguito di un incidente stradale con la moto, picchia
violentemente il capo e riporta una frattura frontale ed un grave trauma cranico; dopo un mese, viene
sottoposto ad un intervento di "plastica del pavimento della fossa cranica anteriore destra e
ricostruzione del margine orbitario". (9) Le conseguenze furono gravi: lesione bilaterale dei lobi
frontali e delle vie nervose collegate al sistema limbico; l'atrofia successiva ha provocato un focolaio
epilettico. Il grave danno neurologico, come egli racconta, ha indotto numerosi cambiamenti nella
vita, nella sfera sessuale, nei comportamenti, nei rapporti con le persone. Un lento ma evidente
mutamento del carattere osservato da tutti: parenti, amici, fidanzata.

Lo stesso Stevanin dice che quel volo dalla motocicletta gli ha stravolto l'esistenza: "dopo il trauma
sono cambiato, ho dovuto cambiare. Tornato dall'ospedale, mi sono trovato senza amici, senza
compagnie. Non potevo neanche fare il motocross, il mio sport preferito. Rispetto a prima ero
diventato pi tranquillo, misuravo sia le parole che i fatti. Mia madre, a quell'epoca, diventata ancor
pi iperprotettiva, ero sempre sotto una cappa". Come detto, dopo le dimissioni dall'ospedale,
iniziano le crisi epilettiche e, in seguito, Stevanin fu costretto a lasciare la scuola perch "non riuscivo
pi a rimanere concentrato a lungo ed avevo forti emicranie". (10)

Precedenti giudiziari. Risulta che Stevanin sia stato processato e condannato per reati commessi tra
il 1978 ed il 1979; simulazione di reato ("ho fatto finta di essere stato rapito, telefonavo a casa
fingendo di essere il rapinatore e chiedevo il riscatto"); violenza privata ("ho fatto finta di avere una
pistola in tasca e ho chiesto ad una ragazza di venire con me ad una fiera l vicina"); rapina ("sempre
fingendo di avere un'arma, ho chiesto ad una donna di darmi una spilla attaccata al bavero"). Nel
marzo del 1983 responsabile di un incidente stradale in cui muore una donna e viene condannato
per omicidio colposo; qui emerge ancora il carattere iperprotettivo della madre che lo rassicura: "non
ti preoccupare, ti comprer una macchina nuova". Infine, nel luglio del 1989, sequestra e violenta
Maria Luisa Mezzari, prostituta di Verona; dopo nove anni, Stevanin viene riconosciuto colpevole
anche di questo reato.

I rapporti con i coetanei. Ammette, quantomeno fino all'incidente stradale, di aver sempre avuto molti
amici, non aveva difficolt a farsene; i primi ricordi risalgono ai compagni del collegio: "quando
scappavamo dal collegio, avevamo una sensazione di libert".

La sessualit. "La mia sessualit un po' complicata"; esordisce cos e racconta di averla scoperta

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intorno ai dodici anni; a tredici anni ha avuto due rapporti con una ragazza di 24-25 anni, sposata, "lei
mi ha usato e non mi dispiaciuto, in questo modo ho conosciuto il sesso in prima persona". I suoi
genitori erano molto religiosi, perci ha avuto un'educazione molto rigida; a quattordici anni gli
avevano regalato un libretto sulla sessualit, ma apertamente in casa non se ne mai parlato; da
solo, sostiene, ha, per, appreso informazioni utili e corrette da alcune "buone letture sulla sessualit,
non porno, ma educazione sessuale vera e propria". I libri, ammette, li leggeva in biblioteca, le riviste
porno a casa; sua madre ha fatto delle scenate, poi le acque si sono calmate; in quel periodo,
sostiene, "giravano in casa mia foto che facevo di donne nude, prima ci furono battibecchi con mia
madre, poi pi niente". Andava a confessarsi, "per cercavo di fare andare alla svelta la confessione
in quel punto"; il sesso in se stesso, Stevanin, non lo considerava peccato, visto che si trattava di
qualcosa che completava la relazione affettiva tra due persone.

In uno dei primi colloqui con i periti, dice che dopo il rapporto si sentiva come un dio, come se avesse
riportato una grande vittoria, ma in quelli successivi nega di averlo mai detto; e precisa "mi sentivo
piacevolmente disteso e, assieme alla mia partner, vivevo momenti di meraviglioso oblio, in cui
problemi e preoccupazioni sparivano". Nega di aver mai avuto rapporti omosessuali, anche se non li
condanna, n rapporti violenti: "le uniche cose che non sopporto (riguardo al sesso) sono la violenza,
l'egoismo e quanto legato alla psicopatologia". Quando i periti gli chiedono di dare un valore alla
sessualit, lui risponde: "sinceramente, non mi sento di valutarla senza considerare il sentimento;
assieme al sentimento vale un buon 50%, forse qualcosa di pi; per me, la sessualit insieme al
sentimento molto forte, una cosa quasi indispensabile". Ammette che le esperienze di sesso
estremo sono incominciate nel 1993, quando ha avuto l'occasione di prenderne conoscenza su alcuni
libri. Quando i periti gli chiedono quale sia il suo concetto di perversione, egli afferma: "per me la
perversione inizia quando, per avere piacere o per trarre piacere si debba dare dolore", quindi, per
lui, sadismo e costrizione psichica sono considerate "tecniche raffinate". Gli incontri fatti sul
marciapiede, dice, "si possono contare sulle dita di una mano, le ragazze le incontravo per strada,
alcune erano prostitute ma io non lo sapevo". Fino a 18 anni dice di aver cercato solo il sesso fine a
se stesso, poi si interessato al sentimento, che alla fine ha prevalso, fino a che non diventato
fondamentale con Maria Amelia.

La relazione pi significativa. Il rapporto pi lungo stato tra i 20 ed i 25 anni (1980-'85), con una sua
coetanea, Maria Amelia; " stato il rapporto pi importante in assoluto, c'era l'amore, quello con la A
maiuscola". Ammette di aver fatto dei progetti di vita insieme a lei, ma il matrimonio era molto
lontano; poi, quando la ragazza si ammalata, i genitori gli hanno sconsigliato di continuare a
frequentarla, i rapporti con i suoi cominciano a deteriorarsi e, quindi, decidono di lasciarsi. Stevanin
sostiene che "fin per colpa dei miei genitori. Hanno fatto di tutto perch la lasciassi. Forse per
iperprotettivit, intervenivano sempre; non mi consideravano un adulto". (11) Quando lui ritorna a
cercarla, lei si rifatta una vita sentimentale e Stevanin ne soffre molto. Confessa ai periti: "dopo
quella donna, ho avuto altri rapporti sentimentali, che si sono sempre interrotti, perch io cercavo la
sua sosia e non la trovavo; prima, la mia, era una solitudine piena, poi diventata una solitudine
vuota". (12) Dopo la fine della storia con Amelia, nel 1985, sono diventati frequenti i rapporti di una
notte: il sesso aumentato, ma in Stevanin aumentata anche l'insoddisfazione di fronte a
prestazioni erotiche fini a se stesse; "l'affetto rimasto legato ad Amelia, il sesso, un po' per volta, se
ne andato per la sua strada".

Le fantasie. Stevanin sostiene che le sua fantasie sono sempre state fervide: fino ai diciotto anni
sono rimaste tali; dopo sono diventate realt, ma "passando a realt, si esaurivano nel
comportamento; la miglior cosa per le fantasie sarebbe che rimanessero tali, una volta messe in atto
non erano pi fantasie; diventate realt non mi eccitavano pi". Importante un episodio avvenuto
nel novembre 1994, quando incomincia a cercare donne per strada; l'ultima quando di ritorno
dall'ospedale dove ricoverato il padre morente; quella sera avviene, probabilmente, la giunzione tra
sesso e morte; la fantasia di morte del padre si congiunge perversamente con quella del sesso a
pagamento.

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1.3. Il materiale sequestrato nell'abitazione di Stevanin


Durante le perquisizioni nella casa di Stevanin, i carabinieri rinvengono del materiale che viene
messo sotto sequestro: (13) un taglierino, due pistole giocattolo, indumenti intimi, capi
d'abbigliamento femminile, borsette da donna ed i documenti di cinque ragazze. Poi ancora, circa
150 contenitori di foto, per un totale di oltre settemila fotografie, negativi non ancora sviluppati, decine
di videocassette porno, una capigliatura bionda, contenitori con peli pubici; inoltre, giornali
pornografici, lettere ad amanti e fidanzate, santini ed immagini di libri sacri, riviste, romanzi,
enciclopedie di medicina, atlanti di anatomia, volumi sull'uso della macchina fotografica e, infine, le
famose "schede" sulle prestazioni di alcune donne.

Relativamente ai capelli ed ai peli, Stevanin, in un primo momento, informa che sono di tre o quattro
donne, successivamente dice di averne rasate parecchie, non ricorda per il numero preciso:
"provavo piacere a vedere una ragazza adulta come una ragazzina; mi piaceva sentire la pelle liscia,
senza peli". Per quanto riguarda i capelli, continua a spiegare di non ricordare, ma in seguito precisa:
"io tenevo i peli pubici e i capelli perch pensavo di farmi l'imbottitura di un piccolo cuscino; gi
c'erano i peli pubici, mi sono detto: perch non mettere anche dei capelli?". (14)

I Libri. Dei libri sequestrati molti erano a carattere erotico o sadico. Al di l dei temi, i periti spiegano
che colpisce il fatto la maggioranza di questi si collocano, come anni di pubblicazione, tra il 1985 ed il
1989, quasi a testimoniare, come l'interesse per questioni inerenti la sessualit si fosse concentrato
in quell'arco temporale, per poi scemare nettamente. Ma lo stesso Stevanin a precisare, di fronte al
dubbio dei periti, che "semplicemente, non hanno trovato quelli di prima; ce n'erano molti di pi che
poi ho eliminato, perch non avevano niente a che vedere con il sentimento applicato al sesso". (15) I
consulenti delle parti processuali, successivamente, hanno preso visione di tutta la documentazione
cartacea e fotografica, analizzandone approfonditamente il contenuto, ritenuto estremamente
importante per la ricostruzione del profilo psicologico del periziando. Emerge chiaramente da essa
che Stevanin leggeva e, poi, modificava quanto appreso, arricchendo e variando le tecniche erotiche
sulla scorta di esperienze e fantasie personali; inoltre, il giovane di Terrazzo, copia alcune parti di libri
e riviste, trascrivendoli in parte a mano, in parte a macchina, e spiegando egli stesso che "servivano
per s oppure per darli a persone che, in quel momento, lo interessavano". (16)

Particolarmente importante, secondo il periti, risulta essere il libro Facile da uccidere (17), per una
parte del suo contenuto e, soprattutto, perch, in copertina, raffigurata una donna bionda, seduta di
spalle su di una sedia, nuda, legata con la tecnica del bondage (immobilizzazione), con appesa una
macchina fotografica; a specifica domanda, Stevanin liquida la questione affermando di non aver
ancora letto il libro. Si tratta di un romanzo di letteratura poliziesca, in cui si descrivono le ultime ore
di vita di un serial killer, narrando, da un lato, il rapporto con la vittima tenuta sotto sequestro,
dall'altro, la biografia del protagonista, interpretata in chiave psichiatrica. Particolarmente suggestivi
risultano alcuni passi, se confrontati con la storia e le vicende di Stevanin; infatti, gli psichiatri hanno
sottolineato, nella loro perizia, le analogie di comportamento tra il periziando e Douglas Jeffers, il
protagonista del romanzo. I due esperti, Fornari e Galliani, sostengono che Stevanin, suggestionato
dal romanzo, potrebbe aver voluto emulare, almeno in parte, le gesta del suo "eroe": un fotoreporter
che ama fotografare le proprie vittime appena uccise, tra cui donne tagliate a pezzi, prostitute
assassinate e sepolte nei terreni vicini alla casa dell'infanzia, donne legate e seviziate con il rasoio.
Scrivono i periti nel loro commento: "se confrontato con quanto noto della sessualit dello Stevanin,
dei suoi hobbies, del suo modus operandi nell'approccio sessuale e nella successione degli omicidi,
dei reperti rinvenuti nella sua auto e in casa e di come si svolto l'episodio con la Musger, il libro
appare estremamente suggestivo, tanto da poter far sorgere l'ipotesi che il personaggio del libro sia
stato assunto come modello". (18)

In data 25 settembre 1996, Stevanin consegna ai periti un foglio scritto di proprio pugno e copiato da
una rivista pornografica trovata in carcere. In questa pagina descrive "come mi riconosco": "elegante,

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raffinato, sempre con un accenno di quel buon profumo e perfettamente rasato. In lui e da lui ogni
cosa al suo posto, tutto in ordine. E sempre con quella piccola perversione: a lui la donna piace
"nature", in minigonna, senza slip n collant e depilata. In questo modo, infatti, il piacere inizia
quando esco dalla porta di casa e termina solo quando rientro in casa". (19) A questo punto Stevanin
precisa che la pornografia non ha niente a che fare con l'oscenit. Secondo i periti, queste poche
righe ritraggono Stevanin in un modo che coincide perfettamente con il profilo psicologico da loro
effettuato.

Le Schede. Tra le altre cose, sono state sequestrate numerose "schede di fotomodelle",
accompagnate da alcuni facsimile di scheda tipo, con molte voci inerenti alle misure del corpo delle
ragazze. Recano tutte la voce "esperienze"; in seguito Stevanin precisa che la dizione indica
"esperienze fotografiche": contengono generalit della modella, dati descrittivi quali misure corporee
(altezza, peso, giro seno, fianchi, ecc.) e colore dei capelli, tipo di servizio fotografico per il quale la
ragazza disponibile.

Il serial killer rivela, inoltre, ai periti la sua intenzione di fare il fotografo e non pi l'agricoltore.
Ammette che le foto venivano fatte solo per suo piacere e che furono scattate in un arco temporale
piuttosto ampio (1981-1994); tutte le ragazze che sono inserite nelle schede, sostiene di averle
conosciute e che nessuna inventata; viene, invece, appurato in seguito che solo alcune di quelle
donne sono realmente esistenti. Allegati alle schede, vengono trovati dei fogli che inducono gli
inquirenti a ritenere che la finalit di esse fosse legata all'intenzione di svolgere servizi fotografici
pornografici ed avere delle credenziali da presentare ad eventuali clienti e nuove candidate. In alcune
cartelle, sono presenti scritte che fanno riferimento allo Stevanin come fotografo (es. modella n.2:
"unico fotografo, sviluppatore e stampatore della mie fotografie sar Stevanin Gianfranco"). Fare
qualche foto, diceva, lo aiutava a creare un clima di confidenza e di complicit; del resto Stevanin
affermava che "le foto mi servono per ricordare o per fantasticare".

Le Lettere. Numerose missive trovate nell'abitazione dell'agricoltore sono indirizzate alla sua ex
fidanzata e, ovviamente, l'argomento principale di esse il sesso. In molte di queste egli cerca di
convincere le ragazze a spingersi oltre quanto abbiano gi sperimentato sul piano delle esperienze
sessuali. Vi anche un foglio in cui Stevanin scrive un pensiero al suo grande amore: "ti voglio tanto
bene. Franco al suo amore, l'Amelia, l'anima gemella per l'eternit". (20) Poche sono le lettere che
esulano dall'argomento sesso; in una di queste il serial killer parla di una ragazza che apprezza per la
sua semplicit e sensibilit: "vedi, mi ha molto colpito di te la semplicit e la franchezza con le quali ti
sei confidata con me; e, visto che le persone capaci di aprirsi e di fidarsi del prossimo sono poche,
troppo poche, tu rientri in quella cerchia di persone con le quali vale veramente la pena aprirsi,
donare il tutto per tutto, donare tutto se stesso". (21) Poi continua scrivendo: "e visto che quando
posso aiutare qualcuno mi sento veramente realizzato, tu mi hai dato molto, non credi? Di questo non
finir mai di ringraziarti. Sono le persone come te che mi rendono felice. Felice di sentirmi utile, di
fare qualcosa di utile, felice di vivere". (22)

1.4. Esame delle perizie


Sono state molte le volte che i periti hanno incontrato Gianfranco Stevanin, cos come lo sono state
le ore di colloquio; di conseguenza, lunghe e dettagliate sono state le relazioni psichiatrico-forensi
sulle condizioni di mente del periziando, presentate durante l'incidente probatorio.

1.4.1. Le perizie d'ufficio


I periti d'ufficio, Ugo Fornari e Ivan Galliani, nominati dal Gip del tribunale di Verona, Carmine
Pagliuca, hanno ricevuto l'incarico ben due volte, una in data 13 aprile 1996, l'altra in data 21
settembre dello stesso anno. I risultati dei test effettuati sono i seguenti: (23)

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scala di intelligenza Wais, Q.I.=114; si tratta di un soggetto con buona dotazione originaria, con
armonico sviluppo delle funzioni psichiche.
test di Behn-Rorschach; mette in evidenza un'affettivit "guardinga", un adattamento affettivo
con poca libert e flessibilit, mediato dal calcolo e dal ragionamento; si pu, quindi, desumere
l'esistenza di meccanismi di ipercontrollo rigido.
test di Rosenzweig; rivela la presenza di un elevato numero di risposte extrapunitive, indice di
vulnerabilit dell'Io.
M.M.P.I.; il profilo che ne deriva, rivela una preoccupazione del soggetto di fornire un'immagine
di s convenzionale, verosimilmente al fine di evitare presunti giudizi negativi.
IPAT (ASQ); rivela il livello d'ansia; il risultato ottenuto si riscontra, di solito, in soggetti
eccessivamente rilassati, sicuri.
TAT e ORT; mostra una buona capacit di identificazione nelle situazioni, nei personaggi e
nell'atmosfera emotiva.

Al termine dei test, i periti commentano con Stevanin i profili ed i risultati di essi, affermando che
ben dotato intellettivamente, non emergono difetti di memoria, non ci sono dei grossi indici di
dispersione; di fondo, non una persona ansiosa e neppure depressa; risulta essere un soggetto
sospettoso e cauto; emerge anche una certa aggressivit, il bisogno di tenere tutto sotto controllo
(elemento tipico dei serial killer) e l'incapacit di lasciarsi andare alle emozioni.

La madre. Durante i colloqui con i periti, Stevanin parla a lungo della madre, con la quale dice di aver
avuto sempre un buonissimo rapporto. Spiega, per, di non essere mai riuscito ad avere una
relazione duratura con le ragazze (fatta eccezione per Maria Amelia), perch lei si intrometteva
sempre; afferma: "mia madre era peggio di uno 007, era praticamente impossibile depistarla, era
peggio di un segugio, praticamente mi faceva dire quello che in realt io le volevo tenere segreto".
(24) Da un certo momento in poi, Stevanin esclude i suo genitori dalle sue storie personali facendo di
testa sua; tutto questo rivela, secondo i periti una rapporto molto conflittuale ed oppositivo con la
figura materna. Sua madre, comunque, ha avuto una grande importanza per lui, specie nei primi
quattro anni della sua vita. Tanto che, alla fine, ammette che potrebbe aver influito molto
l'allontanamento dalla famiglia e la chiusura in collegio, dove si sentiva oppresso e non amato; tutto
questo lo ha fatto soffrire perch non pi stato oggetto delle cure e dell'attenzione della madre.
Afferma, infatti, che "l'affetto della madre un affetto unico; pi nessuno nella vita d quello che la
madre ha dato ad ognuno di noi quando eravamo bambini; mia madre, senz'altro, mi dava tutto il
possibile"; (25) questo il suo convincimento, cio che la madre fosse sempre dalla sua parte,
nonostante l'avesse mandato in collegio ed avesse per questo motivo patito un senso d'abbandono.
Infatti, quando scappa dall'istituto, ha il suo primo rapporto sessuale con una donna sposata, proprio
perch in lei cerca, per i periti, pi l'affetto che non la libert e quella donna rappresenta per lui
l'immagine materna.

Secondo Fornari e Galliani, la madre ha sempre considerato Gianfranco Stevanin come un bambino,
non lo ha lasciato crescere; addirittura quando in un incidente provoca la morte di una persona, la
madre lo tranquillizza e lui stesso disse che lei aggiunse: "ti comprer una macchina nuova".
nell'infanzia, dicono i periti, che si costruita una figura fonte inesauribile di gratificazioni, poi la
frustrazione di un bisogno e la delusione di un'attesa gli pu aver causato un trauma. Si ha "un
involuzione del sentimento", fino al suo spegnimento, con la progressiva prevalenza dell'erotismo,
fino al trionfo assoluto di questo. La constatazione: "la donna non mi pu dare spontaneamente e
disinteressatamente quello che mi dava mia madre", esprime la sua profonda delusione; quindi
l'amore originario si un po' per volta trasformato in odio per la donna, pur continuando a cercare
nella figura femminile la fonte della gratificazione primaria; costatando per la vanit di questa
ricerca, ripiega su condotte di compensazione.

La figura della donna. Dal quel momento in avanti, la donna non stata pi vissuta da lui come
buona e tutte le esperienze che ha avuto hanno consolidato in lui quest'idea. A livello inconscio,
spiegano i periti, Stevanin si convinto che non sarebbe mai cresciuto, che non sarebbe mai stato in

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grado di stabilire una relazione paritaria con la donna e ci per colpa della figura femminile stessa.
Tutte le attese sono state deluse e Stevanin "chiude la partita degli affetti, perch convinto che le
donne lo obbligassero a chiudere questa partita", (26) non perch egli non avesse il desiderio di dare
affetto; si sente amareggiato perch le donne lo hanno "fregato pesantemente", iniziando dalla
madre.

Secondo Fornari e Galliani, sacrificare l'affettivit stata la sua sconfitta; nel rapporto di coppia, egli
si ritiene un perdente, un vinto e di questo ritiene responsabile la donna. Cercano di capire, i periti,
cosa possa essere successo dentro di lui per arrivare ad uccidere quattro donne; ma egli stesso non
sa spiegarlo; si cela dietro molti "non ricordo" e afferma che "la nostra memoria, nel decidere quali
ricordi lasciare vivi e quali lasciar andare, opera una selezione. In base ad essa potrebbero mancare
particolari importanti; probabile che si cancellino i ricordi di poca importanza e quelli brutti". (27) Ha
dei flash, rievoca qualcosa e "le uniche che seppellisce (la Pulejo e la Pavlovic), sono quelle che
ricorda con affetto; delle altre due dice di non rammentare neanche il nome; del resto con queste
ultime, non c'era legame alcuno"; (28) infine aggiunge che "se mi dicessero che ci sono altre vittime
oltre a quelle quattro, non saprei cosa dire". Da queste risposte, spiegano i periti, non si riesce ad
approfondire la psicodinamica dei suoi reati, n a comprendere appieno i suoi vissuti; il suo
atteggiamento rimane bloccato e chiuso, non tradisce emozione alcuna.

L'attenzione di Stevanin, per, altissima, turbato, soprattutto vuol sapere se tutto il discorso fatto
lo pu portare al riconoscimento di una patologia che potrebbe averlo indotto a compiere i delitti; vuol
sapere inoltre se e come interrompere questa potenziale patologia, sostiene infatti che "se gli argini
posso metterli io, praticamente la pericolosit non ci sarebbe pi". (29) Attraverso queste parole,
affermano i periti, appare chiaro l'obiettivo perseguito da Stevanin e la sua strategia difensiva; del
resto, dai colloqui effettuati non emergono sensi di colpa o rimorso verso le vittime ed i loro parenti.

I temi psicologici dominanti. Emergono alcuni elementi ricorrenti in molti momenti della sua vita,
considerati dai periti di straordinaria importanza:

a. l'abbandono, che non scatena soltanto la solitudine, ma spinge anche alla ricerca compulsiva
di qualche forma di riempimento.
b. il vuoto, che "la negazione del sentimento"; Stevanin associa tristezza-solitudine-freddo; la
mancanza totale di sentimento coincide, per lui, con la solitudine; "ho sentito la vera
solitudine", ripete pi volte, "soprattutto dopo la fine della storia con Amelia"; di contro, si
collocano i vissuti legati all'amore e al sentimento, termini che associa a trasporto-amore-
famiglia-fisicit-intimit.

I ricordi. Sono i periti, ma anche gli avvocati difensori che, in ogni incontro, sollecitano Stevanin a
ricordare il pi possibile dei momenti cruciali degli incontri con le vittime, quelli in cui avvenuta la
morte. Sono soltanto i racconti riguardo alla Pulejo e alla Pavlovic ad essere fluenti, proprio perch,
come detto, sono quelle a cui Stevanin era in qualche modo legato; relativamente alle altre vicende le
memorie sono bloccate, per queste ha dei flash; spiega che "non c' una visione che mi porta da qui
fino alla fine, vado spezzettato". Tutti i suoi ricordi, afferma di "riviverli come se rivivessi un sogno,
non come di qualcosa che veramente successo". (30) Ed cos che, nelle lunghe rievocazioni
ricche di "presumo di ricordare", "potrebbe essere", "non ricordo", "pensandoci bene", racconta di
aver fatto a pezzi i corpi di alcune ragazze e che a quelle reminiscenze collega due flash di zone
vicine a dei canali, dove potrebbe aver buttato i corpi o parti di essi. Sottolinea che nessuno di questi
ricordi gli fa pensare ad un omicidio, precisando, per, che "questo lo dico per la mia coscienza, non
per voi"; anzi ammette di essere raccapricciato all'idea di aver fatto qualcosa del genere e non sa
darsi una spiegazione di come possa essere arrivato a tanto.

Nonostante i numerosi inviti dei periti, al fine di rinunciare ai suoi "non ricordo" ed incoraggiandolo in
un clima estremamente comprensivo, Stevanin afferma: "io continuer a sforzarmi, anche se mi
costa; indipendentemente da quello che mi costa, se per caso dovessi ricordare parler; non mica

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simpatico dover ricordare cose simili". (31) Nessuna rassicurazione da parte di Fornari e Galliani,
quindi, riuscita a smuoverlo pi di tanto; tutto questo, secondo i periti, indica la natura tutt'altro che
psicogena delle sue amnesie; infatti, la caratteristica propria del suo modo di non ricordare
documenta in maniera quanto mai chiara che egli pu ricordare tutto perfettamente, altrimenti non gli
sarebbe possibile, a tratti, ricordare in modo cos dettagliato.

Considerazioni conclusive. In primo luogo, Fornari e Galliani, sottolineano che Stevanin si sempre
presentato ai numerosi incontri avuti presso il carcere di Verona Montorio; si dimostrato lucido,
cosciente, perfettamente orientato nel tempo, nello spazio, nei confronti della propria persona e della
situazione di esame. Hanno valutato la modalit di esposizione, osservando che completamente
aderente alla realt processuale e alle sue esigenze, nonostante non abbia seguito un filo logico
nella ricostruzione degli eventi. Stevanin apparso, come detto, molto dotato sul piano intellettivo,
attento, preciso, pignolo fino all'eccesso; una coerente e costante freddezza ha accompagnato ogni
suo dire.

Affermano i periti che "Stevanin ha invocato improvvisi black-out della coscienza e rievocazioni del
tipo dream-state, per quello che riguarda gli eventi pi vicini ai delitti"; ma il modo in cui ha ricordato i
fatti " assolutamente incompatibile con un disturbo dello stato di coscienza, quale il soggetto
vorrebbe far intendere esser stato presente in lui". (32) Nel fornire le proprie ammissioni, aggiungono,
molto attento alle esigenze processuali, ma anche a quelle di "immagine", allo scopo di apparire
agli altri come una persona dedita a pratiche di sesso estremo, ma non come un sadico o un
violentatore; evidente la precisa intenzionalit di "ammettere quanto non pu pi essere
ragionevolmente negato". I comportamenti sessuali, pur rivestendo carattere di abnormit e di
perversione, non possono assumere valore di malattia; quindi non acquisiscono rilevanza alcuna agli
effetti della valutazione dell'imputabilit. Non corrisponde ad alcuna "entit clinica e/o psicopatologica
l'atmosfera di sogno e di irrealt in cui il periziando ha cercato di ammantare le prime ammissioni";
(33) evidente che Stevanin ha utilizzato questa modalit espositiva in modo intenzionale: "accampa
dei ricordi in forma di flash e delle lacune amnesiche che vengono poi facilmente recuperate con
ricordi dettagliati dell'ambiente in cui si sono svolti i fatti, degli oggetti, dei comportamenti, di ci che
avvenuto dopo" (34).

Quindi i periti sostengono con sicurezza che questi dati non sono assimilabili a quegli "stati
crepuscolari" tipici della personalit multipla. Affermano, altres, che la capacit di giudizio, di analisi,
di critica, sono perfettamente conservate e che Stevanin presenta una "cronica incapacit di dire il
vero, un'eccessiva fiducia nelle sue capacit ed abilit, un temerario piacere a sfidare gli altri, una
consumata abilit a presentarsi come vittima-carnefice, un freddo controllo della situazione peritale,
una struttura narcisistica ed egodistonica, un mal dissimulato disprezzo per la donna". (35) Questi
tratti sadici, perversi e narcisistici sono comuni alla maggioranza degli assassini seriali, per cui
possiamo considerare Stevanin un serial killer tipico.

"In questi soggetti", continuano i periti, "il deterioramento dell'esperienza affettiva espresso nella
loro insofferenza per qualsiasi accrescimento di angoscia; nella loro incapacit di deprimersi
provando un dolore che riguarda la loro persona; nella loro impossibilit di innamorarsi e di provare
tenerezza nelle relazioni sessuali". (36)

In conclusione, dal complesso delle loro indagini, dalle cartelle cliniche analizzate, dalla condotta
avuta, Fornari e Galliani affermano che, al momento dei fatti per i quali sotto processo, Gianfranco
Stevanin non era affetto da alcuna infermit tale da costituire vizio parziale o totale di mente.

1.4.2. Le perizie dell'accusa


Lo psichiatra Marco Lagazzi ha partecipato, in qualit di consulente del pubblico ministero Maria
Grazia Omboni, alle operazioni peritali condotte dai periti Fornari e Galliani sulla persona di
Gianfranco Stevanin ed ha ritenuto necessario trarre alcune osservazioni di carattere clinico e

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psichiatrico-forense, riguardanti i seguenti aspetti della condizione clinica e comportamentale del


periziando:

a. la definitiva valutazione circa la sussistenza o meno di patologie somatiche, neurologiche o


psichiatriche, in atto al momento dei fatti.
b. lo studio del comportamento del periziando nella vicenda processuale e peritale.
c. la coerenza tra la personalit del periziando, messa in luce dalle protratte indagini peritali, e le
caratteristiche proprie dei serial killer.

a. In merito al primo aspetto, Lagazzi ha rilevato che, come documentato dalla sua stessa storia
clinica e dal diario clinico della casa circondariale, Stevanin "non risulta essere affetto da nessuna
patologia somatica o psichiatrica di rilievo". (37) Al contrario risulta, sempre secondo Lagazzi, che
il periziando ha mantenuto sempre una costante vita sociale e di relazione; la stessa meticolosit
del soggetto nella descrizione delle pratiche sessuali, la capacit di ricordarne la frequenza, la
durata delle stesse, consente di chiarire come, in ogni momento delle sue attivit, Stevanin sia
stato "pienamente edotto di quanto faceva" e come "conservi un adeguato ricordo di quanto
vissuto e realizzato". (38) Per quanto riguarda il tema dei "non ricordo", attraverso i quali Stevanin
ha articolato il suo dialogo con i periti, il consulente dell'accusa sostiene che essi non
corrispondano ad alcuna possibile manifestazione amnesica di carattere psicopatologico o
deficitario. Oltre a ci, rileva che non risulta documentato alcun ricovero ospedaliero in ambito
psichiatrico, mentre risulta allegato solamente un trattamento psicologico, limitato nel tempo,
risalente a molti anni addietro (a causa del trauma cranico riportato nell'incidente stradale del
1976). Quindi, Lagazzi, esclude con certezza ogni possibile dubbio circa la piena imputabilit del
periziando.

b. Circa questo aspetto delle indagini peritali e della situazione processuale, Lagazzi perfettamente
d'accordo con i suoi colleghi Fornari e Galliani, in particolare sul mantenimento del contatto con la
realt da parte di Stevanin. Afferma, infatti, che il periziando, in ogni momento delle indagini, ha
sempre mostrato una costante attenzione per gli elementi che emergevano, un'eccezionale
capacit di concentrazione e di gestione del dialogo; in questo modo esprime un'immagine di s
coerente con i suoi fini e con la sua strategia difensiva. Lagazzi nota, inoltre, un'attenta
consapevolezza delle notizie che emergevano attraverso la stampa ed una meticolosit nel
proporre un'immagine di s il pi possibile positiva. Il perito definisce Gianfranco Stevanin "ben
agganciato alla realt", quindi del tutto adeguato rispetto all'esercizio dei propri diritti difensivi.

c. Anche Lagazzi, come i periti nominati dalla Corte, d'accordo nel sostenere la piena coerenza tra
le caratteristiche di Stevanin e quelle proprie della maggioranza dei serial killer descritti nella
letteratura e nella cronaca. Particolarmente importante, a questo proposito, "l'eccessiva fiducia
nelle sue capacit e quel temerario piacere di sfidare gli altri". (39) Proprio questo, infatti, uno
degli elementi tipici degli assassini seriali; la tesi della difesa, invece, che questo un sintomo di
una ridotta capacit di intendere e di volere. Secondo Lagazzi, se questa teoria venisse accolta,
nessun autore di omicidi premeditati potrebbe sottostare a processo. Come abbiamo analizzato in
precedenza, ognuno di questi assassini ritiene di essere pi capace degli inquirenti e di farla
franca; spesso, accade che sia proprio lo stesso assassino seriale a decidere la propria strategia
difensiva, anche al di l dei suggerimenti dei propri difensori; proprio perch convinto di saper
gestire meglio il complesso gioco di menzogne, ammissioni e verit che intende proporre agli
investigatori.

In alcuni serial killer, spiega Lagazzi, questa tendenza a rifiutare la delega a terzi della propria
difesa molto evidente. Quindi non condivide, anzi considera addirittura fantasioso, voler
qualificare questa scelta oggettiva come una "automatica diminuente della capacit processuale
del periziando", come, invece, sostengono i consulenti della difesa.

Il perito del P.M. termina la sua relazione affermando che "nulla consente di identificare in Gianfranco

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Stevanin un minus habens, ma, al contrario, un individuo la cui personalit e le cui risorse sono del
tutto compatibili con i molti delitti realizzati e con l'impunit che, se non si fossero verificati il caso
Musger ed i casuale ritrovamento dei reperti, forse ancor oggi lo caratterizzerebbe". (40) In
conclusione, Lagazzi, ritiene di poter solo confermare le "chiare ed incontrovertibili valutazioni" alle
quali sono giunti i periti Fornari e Galliani. Con questo riafferma la piena capacit processuale del
periziando, attestando, con piena serenit e al di fuori di qualsiasi dubbio, l'assenza di elementi
psicopatologici tali da integrare una condizione di infermit di mente; quindi ritiene necessario
consegnare Stevanin al giudizio che lo attende, per i gravi e ripugnanti delitti da lui compiuti.

1.4.3. Le perizie della difesa


Gli avvocati Accebbi, Dal Maso e Roetta, difensori di Stevanin, nominano i periti Francesco Pinto e
Giovanni Battista Traverso, per dare una valutazione del caso in chiave psichiatrico-forense e, quindi,
per valutare la presenza, al momento dei fatti per i quali si procede, di un'infermit che ne limitasse
grandemente o ne escludesse la capacit di intendere e di volere. I due esperti incentrano la
valutazione dell'imputabilit su un episodio ritenuto da entrambe la parti processuali fondamentale
per lo sviluppo della personalit di Gianfranco Stevanin: l'incidente del 1976.

I periti di parte spiegano che Stevanin affetto da una "complessa sindrome psicopatologica su base
organica di origine post-traumatica, ben dimostrabile sul piano strutturale e funzionale (esami TAC e
RMN), che interessa entrambi i lobi frontali, il lobo temporale destro ed alcune strutture profonde del
sistema limbico, sede degli istinti, dell'aggressivit e della memoria"; (41) ci ha determinato una
grave forma di epilessia temporale post-traumatica.

Stevanin viene pi volte ricoverato prima all'ospedale di Legnano e successivamente trasferito nel
reparto neurochirurgico dell'Ospedale Civile Maggiore di Verona, dove i medici intervengono
chirurgicamente per ricostruire il margine orbitario destro. Dopo due anni dall'incidente viene
nuovamente ricoverato a causa della comparsa di "crisi di perdita di coscienza generalizzante".
Nonostante la terapia, le crisi epilettiche continuarono a comparire, tanto che nel 1980 si assiste ad
un nuovo ricovero per "crisi comiziali". I periti di parte sostengono che il lobo frontale "sovrintende a
quei fenomeni di controllo, critica ed inibizione che consentono valutazioni e scelte adeguate,
soprattutto quando si tratta di scelte comportamentali o, comunque, correlate a problematiche
eticamente rilevanti". (42) Le alterazioni del sistema limbico, poi, spiegano la presenza di "carenza
critica e di disturbi della memoria di fissazione".

Pinto e Traverso sono concordi nel sostenere che le suddette anomalie cerebrali sono state
responsabili di gravi e significativi cambiamenti comportamentali, riconosciuti da tutti, ed hanno avuto
un "ruolo centrale nella strutturazione di alterazioni della personalit di tipo patologico"; queste
alterazioni riguardano sia la personalit generale del periziando, ma soprattutto la sfera della
psicosessualit, determinando vere e proprie parafilie, che, abbiamo visto, sono disturbi psichiatrici
codificati nel Manuale Diagnostico e Statistico (D.M.S. IV) dell'American Psychiatric Association.

Tutte queste alterazioni patologiche a carico del sistema nervoso centrale, secondo i consulenti
tecnici della difesa, hanno pesantemente condizionato non solo la commissione dei reati per i quali si
procede, ma anche tutti i reati precedentemente commessi. Naturalmente, i periti hanno accostato a
queste anomalie altri elementi significativi, quali esperienze nell'infanzia e nell'adolescenza, le
alterate relazioni parentali, il contesto socioculturale, l'utilizzazione di materiale pornografico,
l'intervento di fattori situazionali.

Sul piano affettivo-volitivo, Stevanin appare, a loro dire, appiattito, instabile, labile, "portato a reagire
in modo acritico agli stimoli interni ed esterni. Incapace di scelte ponderate, in quanto facile preda di
spinte incontrollate e di episodici momenti di discontrollo, nei quali, verosimilmente, la patologia
complessa di cui soffre si rinforza, annullandosi le difese a livello superiore e comparendo strutture
psicotiche, che emergono nei momenti in cui alle fantasie perverse si sostituisce la perversione agita;

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a questo punto la sostituzione di un'intenzionalit con un'altra diviene estremamente difficile,


permettendo la concretizzazione dell'evento delittuoso". (43) I consulenti tecnici della difesa
precisano, inoltre, che nell'interpretazione dei test non si sono limitati ad un'analisi formale dei
protocolli, come, invece, sostengono abbiano fatto i periti d'ufficio; dichiarano di aver considerato "il
discorso del paziente nella sua interezza" (44), riscontrando una patologia neuropsichiatrica grave,
che costituisce infermit ai sensi di legge; ritengono, quindi, che Stevanin abbia commesso i reati "in
uno stato di mente tale da escludere sia la sua capacit di intendere, vale a dire la capacit di
comprendere il vero significato delle sue azioni e le loro conseguenze sul piano giuridico, sia la sua
capacit di volere, cio la libera scelta di autodeterminarsi secondo i motivi". (45) Data la gravit della
situazione patologica sofferta dal periziando, ritengono che egli debba considerarsi, dal punto di vista
clinico-criminologico, persona socialmente pericolosa.

1.5. Il processo davanti la Corte d'Assise


" processabile. Gianfranco Stevanin sano di mente". Sulla base delle perizie psichiatriche, il 5
novembre del 1996 viene rinviato a giudizio. Un anno dopo, luned 6 ottobre 1997, in Corte d'Assise
si apre il dibattimento. Diciannove udienze, centoquattordici giorni in aula, novanta testimoni che
sfilano davanti ad una giuria popolare quasi interamente composta da donne: quattro giovani
ragazze, pi o meno della stessa et delle vittime e due uomini. Anche il pubblico ministero, come
detto, una donna: Maria Grazia Omboni ha esposto i fatti alla Corte, presieduta da Mario Sannite e
con Mario Resta come giudice a latere.

Soltanto per la lettura dei capi d'imputazione, il cancelliere ha impiegato diciassette minuti: una serie
di articoli del codice penale per crimini atroci che neppure l'asettica formulazione giuridica riesce ad
attenuare. Nell'aula parole sconvolgenti richiamano una carrellata di immagini da brivido: "sesso
estremo", "mutilazioni di parti intime", "deturpamenti di cadavere", "sadismo", "brutalit". Il sostituto
procuratore punta il dito su "la criminosa attivit sessuale, che era la principale occupazione di
Stevanin". Il magistrato inizia con un racconto che va indietro nel tempo, quando una sera del 1989
l'imputato fu fermato dalle forze dell'ordine; in macchina aveva un campionario di attrezzi erotici,
cacciaviti, un coltello e una pistola scacciacani. Maria Grazia Omboni ripercorre, poi, i tre anni di
attivit investigativa alla ricerca di persone scomparse e dei loro corpi sepolti: l'austriaca Roswita
Adlassnig (mai trovata), Claudia Pulejo, Blazenka Smojo, Biljana Pavlovic. E ancora: il mistero del
tronco non identificato (forse quello di una prostituta di origine tailandese) e il giallo dell'omicidio in
fotografia, l'altra donna senza nome. Riassume le caratteristiche dell'inchiesta sviluppata soprattutto
sulle sconvolgenti dichiarazioni di Stevanin durante gli interrogatori in carcere. Confessioni, secondo
l'accusa, rilasciate dall'agricoltore nella speranza di barattarle con la possibilit di esser riconosciuto
incapace di intendere e volere.

Alla prima udienza l'aula strapiena. Il "mostro di Terrazzo" non tradisce nemmeno un attimo di
turbamento, un blocco di ghiaccio, non batte ciglio davanti ai parenti delle vittime che un
implacabile regista sembra aver voluto collocare a pochi metri dalla gabbia. L'imputato ottiene subito
di stare fuori da questa e siede tra i suoi avvocati. Attento, impassibile, non perde una parola, prende
appunti come uno studente diligente. Ha anche cambiato fisionomia: si tagliato la barba e rasato
completamente i capelli, forse un coup de theatre orchestrato dai suoi difensori, affinch giudici e
giurati possano vedere la cicatrice semicircolare che il loro assistito porta sulla tempia destra,
conseguenza del noto incidente del 1976. Agli psichiatri viene data la parola gi alla seconda
udienza, precedenza chiesta dal P.M. ma osteggiata dai difensori.

Il professor Ugo Fornari dipinge dell'imputato un ritratto a tinte fosche: " un serial killer che mi ha
affascinato; dopo i colloqui con lui ero stanchissimo, perch sgusciava via come un'anguilla. Giocava
come il gatto fa con il topo, ma in questo gioco il topolino ero io". Per il perito d'ufficio, le confessioni
non sarebbero altro che "le rivelazioni di ci che lui stesso non poteva pi nascondere". (46)
Stevanin, insomma, uno stratega abilissimo, intelligente e dotato di un certo carisma. "Assaggiava

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le reazioni facendo ipotesi; a seconda delle nostre reazioni faceva marcia indietro o andava avanti".
(47) L'esperto in questione respinge con forza l'ipotesi di trovarsi davanti un malato oppure ad un
soggetto affetto da sdoppiamento della personalit, afferma, infatti, che i tanti "non ricordo"
pronunciati da Stevanin contrastano con altri minimi, a volte inutili, particolari raccontati
dall'agricoltore. Il suo comportamento sarebbe frutto di una "ipoaffettivit e conseguenza di una
disfunzione sessuale". Ma sapeva quello che faceva fino all'ultimo momento. Secondo Fornari un
bambino mai cresciuto, a causa della madre che non l'ha mai lasciato crescere, lo ha sempre
giustificato, impedendogli cos di provare rimorso o pentimento per le uccisioni delle donne. Tant'
che "le donne che si ribellavano erano quelle che si salvavano"; insomma, Stevanin al comando "no"
ubbidisce; riemerge in lui il bambino che teme la madre, che l'ascolta quando lei gli impone di fare
qualcosa.

Il perito della difesa, Traverso, sostiene, invece, che Gianfranco Stevanin una persona malata, che
la parte destra del suo cervello stata danneggiata a seguito dell'incidente. "C' una carenza di
materia grigia nel cervello dell'agricoltore. Sono l'esito di lesioni che hanno colpito in profondit la
sfera degli istinti e, quindi, dell'aggressivit, della sessualit, della memoria". (48) Sostiene, inoltre,
che Stevanin, a causa di questo, non ha avuto una vita normale, ha abbandonato gli studi ed il suo
comportamento stato radicalmente stravolto.

Il processo procede a tappe serrate; passo dopo passo, con la minuzia e la pignoleria che ha
contraddistinto tutta l'indagine, il pubblico ministero Omboni ha cercato di ricostruire le prove e gli
indizi a carico dell'imputato. Vengono ascoltate le madri delle vittime, che raccontano storie che si
assomigliano. Poi tocca ad altri testimoni, ancora donne, alcune sono amiche delle vittime, altre sono
le sue ex "fidanzate"; il loro contributo importante, in quanto si apprendono le abitudini sessuali del
presunto serial killer: la disponibilit ad accogliere le perversioni sessuali (fotografarle nude, rasarle il
pube, fornirle indumenti intimi) sempre proposta con delicatezza e educazione. Tutto questo, per la
difesa, significa che Stevanin non praticava abitualmente sesso violento spinto fino al sadismo; per
l'accusa e le parti civili, invece, dimostra chiaramente che l'imputato, non solo capace di intendere,
ma anche e soprattutto di volere, perci in grado di assumere atteggiamenti diversi con le proprie
partner, delle quali sono alcune rimangono vittime dei suoi giochi erotici. Testimonia anche la Musger,
a porte chiuse, la donna che lo ha fatto incastrare nel novembre 1996, dando l'avvio all'indagine su
questa terribile storia.

Poi arriva anche il momento del "primo amore", Maria Amelia, il rapporto pi importante in assoluto,
come aveva detto Stevanin agli psichiatri. C' voluta un'ordinanza della Corte per portarla davanti alla
giuria; si sposata, ha dei figli e un'altra vita; le viene concesso di essere sentita a porte chiuse.
Stevanin si presentato in aula con il vestito delle feste, un gessato grigio scuro, mocassini neri,
calze intonate alla camicia azzurra; manca solo la cravatta, ma quella vietata dai regolamenti
carcerari; lei, per oltre mezz'ora, racconta la storia di quell'amore che, finendo male, ha forse
scatenato la furia omicida di Gianfranco Stevanin, e lo descrive come un ragazzo mite, tranquillo,
gentile, ma anche come un uomo che non riusciva a diventare adulto.

Al processo, arriva anche il momento della madre dell'imputato, Noemi Miola, e del cugino, Antonio
De Togni, entrambi accusati di concorso in occultamento di cadavere; questi ultimi sono stati chiamati
in causa da un compagno di detenzione di Stevanin, il quale gli avrebbe riferito che, la sera della
morte della Pulejo, arriv la madre che rassicuro l'agricoltore e chiam il cugino per farsi aiutare ad
avvolgere il corpo e a sotterrarlo nel luogo in cui fu poi ritrovato. Parla il cugino che riversa sulla
madre di Gianfranco Stevanin un mare di sospetti: "non poteva non sapere" afferma; alcuni giorni
prima di arare il campo, dove fu poi ritrovato il cadavere della Pavlovic, la donna si era raccomandata
di non effettuare lavori in quell'area e che ci avrebbe pensato suo figlio, una volta uscito dal carcere;
in seguito, quando fu ritrovato il "pacco", come lo chiama, corre ad avvertire la zia, la quale gli
suggerisce di non avvertire i carabinieri, ma di parlare prima con gli avvocati. Non solo, il cugino parla
anche di indumenti, scarpe e bigiotteria femminile che la donna gli diede da gettare via. Stevanin,
per, a proteggere la madre, tanto da arrivare a proporre al presidente della Corte di ripetere

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l'esperimento dell'avvolgimento del cadavere, per dimostrare che riusciva a farlo da solo; era, forse,
la disperata mossa del figlio per tenere la madre lontana da ogni responsabilit.

il momento delle domande degli avvocati. L'avvocato Guarienti, di fronte al perch Stevanin sia
diventato un serial killer, afferma che egli sicuramente sano di mente, come ha dimostrato il suo
comportamento nel corso del processo, e che la causa dei delitti vada ricercata nel problematico
rapporto con la madre, un personaggio che incombe sul processo anche se assente, "l'unica figura
femminile con cui rapportarsi, con un sentimento di odio/amore"; e, citando le parole del cugino
dell'imputato, afferma: "bisogna essere stati in quella famiglia; l, apparire sempre stato pi
importante che essere". (49)

L'avvocato Bastianello lo descrive come un "assatanato che uccide solo per soddisfare il suo piacere
sessuale"; mentre l'avvocato Cazzola esordisce dicendo: "mancano in quest'aula le persone che
dovrebbero gridare assassino a Stevanin, le vittime" (50), affermando, poi, di essere di fronte ad un
serial killer che sembra essere uscito dai profili psicologici dell'F.B.I.

Ai difensori dell'imputato spetta una missione disperata: dimostrare l'infermit mentale del loro
assistito, data la lucidit con cui Stevanin ha risposto sotto i loro occhi ad ogni domanda. La tesi
dell'avvocato Acebbi ardita: in conseguenza del trauma cranico e delle lesioni al cervello riportate
nell'incidente stradale del '76, Gianfranco Stevanin totalmente incapace di intendere e volere
quando uccide; non lo , invece, quando occulta i cadaveri; insomma, "un malato che va curato e
che, dopo avergli dato il minimo della pena per le incriminazioni minori, va recluso in un ospedale
giudiziario". (51) L'avvocato Roetta, asserisce che: " difficile difenderlo", perch non aiuta loro nella
difesa; ritiene che l'ergastolo non possa risolvere il problema, perch Stevanin "una persona sola,
un malato che non mai stato curato. Adesso il momento di farlo". (52)

L'avvocato Acebbi, invece, punto il dito sulla madre che, forse, era consapevole della pericolosit del
figlio, sicuramente era preoccupata "pi della vergogna che della colpa"; la malattia del figlio era, per
lei, una vergogna, quindi andava tenuta in casa con un "cordone sanitario". L'avvocato Dal Maso
l'uomo che pi stato vicino a Stevanin negli ultimi tre anni della sua vita; d'altra parte stato lo
stesso imputato, al momento di parlare dei suoi rapporti di amicizia a metterlo al primo posto; anche il
legale ammette di sentire per lui sentimenti di affetto; chiede alla Corte l'assoluzione, perch il suo
cliente una persona incapace di intendere e di volere, in quanto "le sue azioni incongrue sono
indice di una mente assolutamente disturbata". Conclude affermando di aver capito, dopo tutto il
tempo passato con Stevanin che "l'umana miseria compatibile con la malattia e che, comunque,
c'era un uomo che mi chiedeva aiuto". (53)

Il legale conclude la replica, il presidente della Corte d'Assise, Mario Sannite, porge l'ultima domanda
di rito all'imputato: "Cosa si aspetta dai giudici?". Lui si alza: "Sono probabilmente malato ...adesso
per bisogna vedere quale idea ogni giurato si fatto di me". (54)

1.5.1. Anche Stevanin sale sul banco dei testimoni


Cinque udienze, trenta ore di interrogatorio durante il quale l'imputato rimane sempre lucido, con quel
sorriso indecifrabile, che qualcuno considera tonto ed altri furbissimo; le braccia conserte, gli occhi
fissi su un punto lontano, la voce ferma, sempre con lo stesso tono monocorde. Parla per ore, ha una
risposta logica per ogni contestazione che gli viene mossa; rimescola le carte, scambia gli anni,
sovrappone vicende, donne, cadaveri; si sofferma minuziosamente su dettagli insignificanti e poi si
rifugia dietro comodi "non ricordo" quando gli viene chiesto di precisare i momenti chiave del suo
racconto.

Viene messo sotto torchio dal pubblico ministero, dagli avvocati di parte civile, persino dai suoi legali,
passa momenti difficili, ma non d mai quell'impressione di incapacit di intendere e volere. Quando il
presidente Sannite gli chiede se avverte sensi di colpa, egli risponde: "ero qui che ci stavo pensando,

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non saprei rispondere. Non saprei fino a che punto io possa essermi sentito colpevole di queste
situazioni"; (55) i congiuntivi ci sono, i sentimenti, ancora una volta, no. Nel momento in cui gli
avvocati di parte civile contestano a Stevanin che, nel suo caso, compaiono tutti i tratti tipici di un
serial killer, lui risponde di aver l'impressione che certe cose siano loro a volerle mettere assieme a
tutti i costi. Un momento importante, che mette l'imputato in difficolt, arriva quando l'avvocato
Cazzola gli pone dei problemi esistenziali, sui quali l'assassino seriale non ha preparato alcuna
risposta; tergiversa, prende tempo, la sua imperturbabilit sembra, per la prima volta, vacillare. Ecco
il contraddittorio tra il legale e l'imputato. (56)

Volevo capire se per il signor Stevanin esiste un concetto di bene e di male.

Caspita ... si rende conto che per rispondere a questa domanda ci vorrebbe tutta la
giornata?

Non credo...

Il concetto di bene e di male certo che ce l'ho

Possiamo conoscerlo? Qui stiamo parlando di vita e di morte. Di persone che c'erano e
non ci sono pi.

Male ovviamente quello che va contro la salute e la vita di una persona. E anche
contro la moralit, se vogliamo. In generale ...bene l'opposto, per farla breve.

E per farla lunga?

Avete da battere record?

Interviene il presidente Sannite a richiamare Stevanin a risposte pi adeguate. Passano


quasi tre minuti prima della risposta.

Bene tutto ci che favorisce il benessere dell'uomo.

Segue un'altra lunghissima pausa.

Male, invece, ... stimolo agli atti negativi della vita, porta a valenze negative.

Lei si sempre ispirato al concetto di bene?

Ho cercato di farlo.

E c' riuscito?

Spesse volte si, qualche volta no.

Su quali aspetti?

A volte non sono riuscito a capire bene le persone e, pur volendo far del bene,
inconsciamente ho fatto del male, perch non riuscivo a comprendere i problemi di una
persona ...non so se rendo l'idea.

Esiste un concetto di normalit e di non normalit per lei?

La normalit esiste si, solo che un concetto molto soggettivo.

Ma esiste una distinzione tra questi due concetti?

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La stessa distinzione che ho fatto prima. Cambia solo la vetrina.

Esiste un limite ai propri desideri, al proprio volere, al proprio piacere?

I limiti ci devono essere.

Quali sono?

I limiti sono quelli stabiliti ...da ci che bene e male. Un limite da non oltrepassare
quello che pu provocare del male, tanto per dire.

Ha mai oltrepassato questi limiti?

Devo ammettere che li avevo gi passati inconsapevolmente.

Quanto vale per lei la vita umana?

Che io sappia nessuno pu dare un valore alla vita umana.

Per qualcuno pu valere molto poco ...

Il valore incalcolabile.

Considera la carcerazione un giusta punizione?

Almeno una parte di colpa, per aver nascosto i cadaveri c' ... la carcerazione per quella
parte di colpa che so di avere, la vivo serenamente, perch so che sono l per espiare
una colpa. Ma se dovessi essere incarcerato per altri reati, ben pi gravi, direi che
ingiusta. [...].

Non le sembra che ci sia una progressione nella sua condotta? Lei inizia conservando
un cadavere e arriva, nella fase finale, al sezionamento del cadavere. Non le sembra
una forma di perfezionamento di un certo stile?

Se avessi avuto il controllo della situazione no ci sarebbe stato nessun decesso,


probabilmente.

Bisogna vedere quale era stata la sua volont effettiva ...

Adesso mi sembra che stia esagerando.

Si mai eccitato nel tagliare un cadavere?

Una sensazione che ho avuto ...

C' una forma di piacere a veder morire una persona?

Direi proprio di no.

Che sensazione ha provato lei?

Un po' di panico ...

Un atteggiamento diverso, Stevanin, assume subito dopo con il suo avvocato, "l'unico
amico rimastogli". Voce suadente, tono basso, ammiccante, confidenziale. Deve
dimostrare ai giudici che il serial killer che si trovano di fronte un essere totalmente
privo di coscienza, ossia della capacit di comprendere ci che ha fatto.

20 of 80 5/15/17 1:06 AM
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Gianfranco di donne te ne sono morte tante sei sfortunato o cosa?

Molto fortunato no.

Hai mai collezionato peli pubici?

Collezionato ... avevo iniziato qualcosa del genere ...

Che volevi farne?

L'imbottitura di un piccolo cuscino.

Ma un cuscino del genere rientra dalla parte del bene o da quella del male?

Non ci vedo nulla di male.

Hai mai mangiato carne umana?

Oh Dio ...se dovessi risponderti, ti direi di no ...certo che, con i vuoti di memoria che mi
ritrovo, non posso esserne certo.

Se tu l'avessi mangiata, rientrerebbe nel concetto di bene o di male?

Rimanendo nella normalit ...se una persona normale non credo ...

Tu sei anormale?

Non lo posso sapere. Deve essere qualcun altro a spiegarmelo.

Di queste morti, di queste disgrazie che ti sono capitate, ti eri preoccupato?

Forse troppo e ...ma poi sono capitate quando mio padre stava male e quindi mia madre
poteva salvarmi fino a un certo punto.

Dicevi, la prima pu andare, la seconda vabb, alla terza cominci a preoccuparti ...

Perch la prima non basta a preoccuparsi?

Ma un campanello d'allarme t' suonato?

Per la prima (la Pulejo), sai che non posso avere qualche responsabilit.

E con la Smoljo?

Non so cosa pensare ...

Ma ti preoccupi? Dici "io con le donne non voglio averci pi niente a che fare"?

una soluzione troppo radicale. Non era colpa mia, quindi ...

Sempre le donne, di cui non pu fare a meno, che rappresentano il centro dei suoi desideri, dei suoi
pensieri. Ma poi, spiega, che nella sua vita c' una sola donna che rappresenta "il massimo di
femmina, di donna"; non dice il suo nome, ma tutti sanno che parla di lei, di Maria Amelia. Di certo,
l'andrebbe a trovare "se uscisse dalla galera domattina", ma consapevole di non essere pi
accettato, "visto il castello messo in piedi dai mass media", eppure, riprende, "un tentativo lo farei,
visto che il mio ideale era di formarmi una famiglia". (57) Continua a parlare il difensore Dal Maso.

Ti consideri una brava persona?

21 of 80 5/15/17 1:06 AM
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Vorrei evitare di fare apprezzamenti su di me, potrebbero essere fraintesi dalla stampa.

Voglio sapere da te se ti consideri una brava persona.

Io si. Mi considero discretamente.

Ti consideri un soggetto pericoloso?

Assolutamente no. Anzi, ho sempre cercato soluzioni ai problemi con diplomazia, senza
alzare la voce.

Tu sei un soggetto pericoloso ...

Pi che pericoloso, direi che forse sono un soggetto che ha bisogno di cure.

Vuoi chiedere piet a qualcuno?

Come minimo ai parenti delle vittime.

Lo fai sinceramente o una cosa che fai perch devi farlo?

Non un pro forma. Per pro forma non faccio niente.

Ti faccio un esempio: "cari signori, io ho commesso questi reati, devo chiedere scusa ai
genitori e alle famiglie delle vittime, sono una persona che ha bisogno di cure, vi chiedo
la massima accortezza nel giudicarmi. Sono pentito di quello che ho fatto". Prova a dirlo
con le stesse parole cosa senti.

Vedi, adesso in quattro e quattr'otto, sicuramente ...

No, quando si arriva al dunque, tu parti sempre con il quattro e quattr'otto. Dopo tre anni
hai tutto il tempo per esprimere un concetto di pentimento o di quello che senti. Puoi
farlo? Ce l'hai questo sentimento? Fai tu, esprimi qualcosa. Non possiamo chiedere noi
per te. Prova.

L'unica cosa che posso dire che c' il rischio di dire banalit.

Di banalit ne hai dette tante. Siamo al dunque, esprimi un tuo sentimento riguardo a
queste vittime, riguardo a quello che successo. Lascia stare le banalit, non sono
banalit.

Non mi sento ancora di spiegare io stesso perch siano successi certi fatti ...e
nonostante questo sono molto amareggiato, per quello che successo, veramente
molto amareggiato, perch erano tutte persone per le quali c'era, pi o meno, un certo
sentimento. Farei di tutto per far tornare in vita queste persone, ma so che questo non
possibile ...in ogni caso se mi dovesse ricapitare mi comporterei, immagino, in modo
diverso.

E cio, se avessi un'altra donna tra le braccia cosa faresti?

Andrei al Pronto Soccorso, dai carabinieri, insomma farei quello che va fatto e non ho
fatto perch preso dal panico, chiamiamolo cos ...

Questo sarebbe il tuo messaggio di pentimento?

Capisco di non rendere l'idea di pentimento, ma caspita difficile esprimere qualsiasi


sentimento d'altronde.

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'Serial killer' in Italia; tre casi eclatanti: Gianfranco Stevanin,... http://www.altrodiritto.unifi.it/ricerche/devianza/massaro/cap4.htm

Unico risultato finale: Stevanin appare alla giuria come un soggetto incapace di provare emozioni. Un
anaffettivo. Ma a noi, interessa conoscere l'unico giudizio che conta, quello che ha espresso la giuria.

1.5.2. Il pubblico ministero chiede il massimo della pena


"Ergastolo". Alle 17.37 la parola cade inesorabile nel silenzio dell'aula. Scivola su uno Stevanin
immobile al suo posto. Dopo cinque ore e quaranta minuti di requisitoria il pubblico ministero Maria
Grazia Omboni ha pronunciato la sua richiesta, con tutte le aggravanti: nella ricostruzione dei sei
omicidi e della violenza carnale non c' posto per nessuna attenuante. Gli assassini, per il P.M., sono
stati tutti volontari e legati da un unico filo conduttore, non ce n' uno pi grave degli altri, vista
l'efferatezza con cui sono stati compiuti. Merita il massimo previsto dal codice penale: il carcere a vita
pi tre anni di isolamento diurno.

Stevanin si aspettava questa richiesta, per due anni i suoi legali lo avevano messo in guardia. Mentre
il magistrato lo descrive come il pi spietato degli assassini, l'imputato risponde ai cronisti mandando
bigliettini: "dico chiaro e tondo che il P.M. sta esagerando alcuni fatti, minimizzandone altri e in
generale sta stravolgendo il senso dei fatti in questione pur di dare l'immagine pi negativa possibile
e arrivare a un ovvio risultato. Sta tracciando un'immagine che mi rende adatto a una piena
imputabilit. Scontato che, se questa viene accolta, non mi posso che aspettare il massimo della
pena. (Ma ci non significa che sia la mia vera immagine e, la conseguente, giusta pena)". (58)

Maria Grazia Omboni procede nella sua requisitoria, precisa, nitida, senza nulla concedere a effetti
speciali e chiude il cerchio dei crimini. Parte dalle due violenze sessuali: quella commessa nei
confronti di Maria Luisa Mezzari nel lontano 1989 e di Gabriele Musger il 16 gennaio 1994. Dentro il
cerchio scorre la cronologia degli omicidi: Roswita Adlassnig (giovane prostituta, incantata dal
fotografo in cerca di modelle. Muore ai primi di maggio del 1993; il suo corpo non viene mai trovato);
Caludia Pulejo (tossicodipendente, soffocata il 15 gennaio e sepolta a ridosso di un muro del
casolare); Blazenka Smoljo (prostituta soprannominata "Fatina", strangolata il 5 luglio 1994 e gettata
nell'Adige); Bilijana Pavlovic (cameriera slava illusa dalle promesse di una lavoro e soffocata con un
sacchetto di plastica il 18 settembre 1994); due sconosciute: una tagliata a pezzi, l'altra ritratta in una
foto, orribilmente mutilata nelle parti intime.

Ricomposto il puzzle, il magistrato inquadra la personalit dell'imputato e le cause della sua


criminosa attivit sessuale. Azioni provocate da "risentimento per non essere apprezzato e
considerato quanto lui avrebbe voluto essere e quanto lui riteneva di meritare. Ha avuto molte
relazioni con donne ma, alla fine, tutte hanno deciso di interrompere i rapporti. Perch era bugiardo,
inaffidabile, noioso, in ogni caso non suscitava pi il loro interesse. Questi aspetti della personalit lo
hanno portato a collezionare una serie di insuccessi. E gli insuccessi non fanno piacere a nessuno,
per a Stevanin sono risultati particolarmente pesanti. Cos, ha coltivato dentro di s rancore e
risentimento e ha maturato il desiderio di rivalersi e di riaffermare, anche con la violenza, se stesso
sulle donne. Poi il suo bisogno di sentimento, rimasto insoddisfatto, ha lasciato spazio alla ricerca del
sesso e la difficolt di colmare anche questo lo ha condotto a pratiche sempre pi spinte e letali per le
compagne occasionali. Considerate come oggetti usati per il soddisfacimento dei propri bisogni e poi
da gettare e distruggere nel momento in cui non servivano pi, dimostrando il massimo disprezzo per
il bene supremo della vita umana". (59) Gli avvocati dei parenti delle vittime calcano la mano, gli
tolgono l'ultimo spiraglio: l'incapacit di intendere e di volere al momento dei fatti.

Spetta all'avvocato dal Maso giocare l'ultima carta. Afferma: "punirlo anzich curarlo sar difficile, non
si capisce chi si debba punire, se il ginecologo, il fotografo, il serial killer, il ragazzo perbene. Vi
chiedo di assolverlo perch i fatti sono stati commessi da una persona incapace di intendere e di
volere". (60)

Sono le 10.55. La Corte si ritira in camera di consiglio.

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1.5.3. La sentenza della Corte d'Assise


il 28 gennaio 1998, la Corte, il presidente Sannite, il giudice togato Resta ed i sei giudici popolari,
entrano in camera di consiglio per uscire meno di sei ore dopo. Dopo 114 giorni e 19 udienze, il
presidente della Corte scandisce: "responsabile di tutti i reati". Stevanin si irrigidisce appena. I
muscoli del viso un po' contratti. "Ergastolo". L'espressione del serial killer si fa di pietra. Fermo,
immobile ascolta le altre pene che gli piovono addosso.

Quindi, la giuria accoglie in pieno la tesi e le richieste dell'accusa; hanno riconosciuto Stevanin
colpevole di tutti i reati ascrittigli in un capo di imputazione interminabile, tra cui sei omicidi volontari,
mutilazioni e occultamento di cadavere, stupri e sequestro di persona. L'idea di tutti i giurati stata
quella di una persona pienamente consapevole di quello che ha fatto e non di un malato di mente,
come avevano, invece cercato di dimostrare fino all'ultimo i suoi legali.

Da qui, la condanna all'ergastolo, tre anni di isolamento diurno appena sar esecutiva; la pena
accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici, il risarcimento alle parti civili per oltre un
miliardo, 150 milioni per ogni genitore e alla figlia minore di Roswita Adlassnig, 50 milioni per ogni
fratello, sorelle e figli delle vittime, pi le spese degli avvocati di parte civile e quelle processuali. E,
onde evitare che successive lungaggini nella definizione del giudizio consentano a Stevanin di uscire
dal carcere per decorrenza dei termini, ecco anche l'ordinanza di custodia cautelare per gli ultimi
quattro omicidi che gli sono stati contestati e per i quali, ora, stato condannato.

Omicidi volontari, crudeli e agghiaccianti, tutti egualmente gravi, sottolinea la sentenza, frutto di una
mente lucida, capace di distinguere il bene dal male e di scegliere se lasciar vivere o morire le donne
conosciute. Gianfranco Stevanin colpevole anche di una lontana violenza carnale del luglio 1989, ai
danni di una prostituta veronese. Importante perch, vincolandola ai sei delitti con la continuazione,
dimostra la correttezza della ricostruzione accusatoria del P.M. Omboni, per la quale, l'agricoltore
avrebbe iniziato la propria carriera di assassino seriale in quella ormai remota estate del 1989 e l'ha
continuata imperterrito e impunito fino all'arresto, quando, a seguito della violenza sessuale ai danni
della Musger, viene scoperto. E quale era il suo ritmo? Nel maggio del'93, sparisce la Adlassnig, nel
gennaio del '94, la Pulejo, poi un crescendo; luglio dello stesso anno, la Smoljo, settembre la
Pavlovic, ottobre la "studentessa", novembre la Musger. Per tre di loro, almeno, adesso ci sar la
pace di un sepolcro, per le altre no; si pu solo sperare che Stevanin restituisca, magari "ricordando
un altro poco", anche a queste sue vittime la possibilit di una degna sepoltura.

Gianfranco Stevanin, trentasette anni, possidente terriero che nella sua vita aveva fatto pi nulla che
poco, aveva una sola passione: il sesso. Una passione che ha condotto alla morte sei giovani donne,
anche se per lui, sembra essere stata colpa della morte il fatto che non siano sopravvissute. "Non mi
hanno capito", l'unico commento che fa in tempo a dire al suo legale Dal Maso, prima di venire
bruscamente portato via dall'aula. Stevanin esce di scena, se ne va solo, come solo stato per tutto
il processo, senza il conforto di una presenza amica o di un parente. Anche questa la sua tragedia.

1.6. Il processo davanti la Corte d'Assise d'Appello


Il 22 marzo 1999 prende il via, presso la Corte d'Assise d'Appello do Venezia, il processo di secondo
grado per i delitti attribuibili al "mostro di Terrazzo". Gianfranco Stevanin non comparso davanti ai
giudici. Ha preferito rimanere nel carcere di Brescia, dov' detenuto. Non ha quindi ascoltato,
nell'aula semideserta, i particolari agghiaccianti dei delitti, cos come li ha evocati il giudice a latere
Antonio De Nicolo nella relazione preliminare del processo d'appello. la scarsa presenza di mass
media e di semplici curiosi a impressionare maggiormente nel secondo grado processuale; si ha una
situazione completamente opposta a quella verificatasi in Corte d'Assise.

Il primo momento importante dell'udienza si ha quando il presidente della Corte, accogliendo la

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richiesta dei difensori di Stevanin, ha disposto una nuova perizia neurologica, che dovr stabilire se
le lesioni al cervello subite nell'incidente stradale del 1976, hanno determinato una diminuzione o
addirittura l'annullamento della capacit di intendere e di volere dell'agricoltore. L'incarico formale
sar affidato ai professori Gianfranco Denes, Giuliano Avanzini e Mario Tantalo. L'organo giudicante,
presieduto da Silvio Giorgio, ha riaperto, quindi, la questione preliminare dell'imputabilit del serial
killer. La presenza, accanto ai due neurologi, di uno psicopatologo forense, lascia presumere che
sar chiesto, un parere sul piano neurologico e non solamente su quello psichiatrico previsto
dall'incarico. Questa soluzione importante, perch i periti d'ufficio del Gip e i periti dell'accusa in
primo grado, non erano neurologi, mentre questa specializzazione aveva il professor Pinto, che, nei
risultati delle analisi da lui svolte, aveva svelato un "buco nero" nel cervello del periziando.

I difensori di Gianfranco Stevanin hanno riportato altri due parziali successi nella prima udienza. Il
primo stato quando la Corte ha disposto l'acquisizione del verbale in lingua originale (tedesco)
dell'interrogatorio di Barbara Adlassnig, sorella di una delle sei vittime, Roswita, scomparsa dopo un
incontro con l'agricoltore nel maggio del 1993. Era stato uno dei punti controversi del dibattimento di
primo grado, perch conteneva un'indicazione temporale dell'ultima telefonata ai familiari da parte
della prostituta austriaca, che poteva scagionare Stevanin per uno dei sei delitti. Infatti, Barbara
Adlassnig, parlava del settembre 1993, quindi, quattro mesi pi tardi dell'incontro con il serial killer.
Un supplemento di indagine dei carabinieri aveva portato la Corte di Verona a ritenere che la donna
si fosse confusa e a considerare prevalente il riferimento ad una fiera che si tiene a Graz (citt dove
risiedeva) a maggio, in occasione della quale Roswita aveva promesso di tornare a casa con dei
regali per i due figli. La Corte veneziana si era riservata anche di decidere anche sulle cause della
morte della Pulejo. Dal Maso, infatti, ha rilanciato l'ipotesi del decesso per overdose, contro quella
per soffocamento della tossicodipendente, che era stata, invece, accolta da giudici di primo grado.

Le parti civili, invece, hanno presentato la propria rinuncia a costituirsi in appello, visto che poche
settimane prima erano state risarcite grazie alla vendita dei poderi in via del Brazzetto e via Torrano,
dove Stevanin aveva seppellito alcuni dei cadaveri delle proprie vittime. E, cos come era stato
profilato da alcuni, si ha un clamoroso rovesciamento delle conclusioni della Corte d'Assise di
Verona. I periti, infatti, hanno stabilito che, quando Stevanin uccideva, anche se lo ha fatto pi volte,
era incapace di volere, perci non punibile. Giuliano Avanzini, Gianfranco Denes e Mario Tantalo
hanno decretato che, al momento di compiere gli omicidi di cui l'agricoltore stato accusato, aveva
una "capacit di intendere grandemente scemata, mentre era esclusa la capacit di volere".

I periti della Corte d'Assise d'Appello hanno, perci, privilegiato gli aspetti neurologici rispetto a quelli
psichiatrici e hanno riscontrato in Gianfranco Stevanin una forma di epilessia causata da una lesione
cerebrale frontale destra, provocata dall'incidente motociclistico, e lesioni atrofico-degenerative di
entrambi i lobi frontali del cervello. E proprio questi danni avrebbero influito sulla sua volont nel
momento di uccidere. Stevanin, invece, sarebbe stato pienamente consapevole sia nel compiere atti
di violenza sessuale, sia nell'occultare i cadaveri delle sue vittime. La loro conclusione stata tuttavia
concorde nel definire socialmente pericoloso il periziando.

Di fronte ad una perizia d'ufficio di questo tipo, pochi spazi sono rimasti per l'accusa. Il procuratore
generale Augusto Nepi, al termine della requisitoria, chiede perci 13 anni di reclusione per
l'occultamento e la distruzione dei cadaveri e l'assoluzione per i reati di omicidio. Alla richiesta di
condanna ha poi aggiunto anche l'applicazione della misura di sicurezza di dieci anni a causa della
pericolosit sociale dell'imputato. Il P.G., pur condividendone le conclusioni, ha sottolineato
l'esistenza di "contraddizioni e lacune" nel lavoro dei periti, da cui non emergerebbero con chiarezza i
"fattori scatenanti degli atti omicidiari, che non possono essere giustificati da lesioni craniche". (61)
Per il calcolo complessivo della pena, il magistrato ha chiesto il massimo previsto per il reato di
vilipendio di cadavere, sette anni, per l'episodio pi grave, pi quattro per gli altri episodi legati agli
omicidi contestati per i quali non punibile. Infine due anni di reclusione per l'episodio di tentata
violenza sessuale a Maria Luisa Mezzari.

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Il procuratore generale aveva "scontato" a Stevanin anche l'accusa di omicidio nei confronti di una
donna di cui rimangono alcune fotografie che la ritraggono con lesioni conseguenti a pratiche di
"sesso estremo". A detta di Nepi, infatti, non si pu presumere che la donna ritratta fosse priva di vita.
I legali di Gianfranco Stevanin, invece, hanno insistito sulla completa non punibilit del loro assistito
chiedendone l'assoluzione. Le reazioni delle parti, come prevedibile, erano del tutto contrastanti.

I difensori dell'imputato cantano vittoria, anche se ritengono pi giusto tenerlo sotto osservazione per
un lungo periodo di osservazione, data la sua pericolosit. L'avvocato Bastianello, che rappresentava
la madre di Biljana Pavlovic nel primo processo, si dichiara "esterrefatto", trovando la valutazione
psichiatrica dei periti anomala; ritiene, infatti, che, interpretando a segmenti la personalit
dell'imputato, non ne sia stata valutata appieno la personalit.

L'avvocato Guarienti, difensore della madre della Pulejo in primo grado, commentando la sentenza,
sostiene invece che il discorso dell'incapacit di volere poteva esser valido solo per il primo omicidio,
non quando si hanno uccisioni ripetute. "Il processo lo stanno facendo le perizie, non i giudici",
afferma Giampaolo Cazzola, che assisteva i fratelli della Pulejo; a Verona, sostiene, i giurati avevano
avuto la possibilit di avere Stevanin sotto gli occhi per molti giorni e di valutarne il comportamento. A
Venezia questo non avvenuto. Continua affermando che: "la svolta processuale dimostra quanto
sia stata azzeccata la decisione di chiudere l'accordo per i risarcimenti prima dell'Appello. Almeno i
parenti delle vittime hanno avuto qualcosa, altrimenti, oggi, non potrebbero accampare nessuna
pretesa". (62)

Spetta a questo punto ai giudici di Venezia emettere la sentenza.

1.6.1. La sentenza della Corte d'Assise d'Appello


Il 7 luglio 1999 la Corte d'Assise d'Appello, la Corte, presieduta da Silvio Giorgio, emette finalmente il
verdetto. Il giudizio ancor pi mite di quanto chiesto dal pubblico ministero: 10 anni e sei mesi.
Stevanin, quindi, stato ritenuto incapace di intendere e di volere al momento in cui violentava e
uccideva le sue vittime e lo hanno, di conseguenza, assolto per tutti gli omicidi e le violenze sessuali
per i quali era stato condannato in primo grado all'ergastolo.

"Folle", invece, Stevanin non era, secondo i giudici veneziani, quando mutilava orribilmente i cadaveri
delle donne che aveva ucciso, quando li faceva a pezzi, quando ne disossava alcune parti e li
occultava nei propri poderi o se ne sbarazzava nei corsi d'acqua della zona. E solo per questo (e per
una tentata violenza sessuale del 1989), lo hanno condannato a dieci anni e sei mesi di carcere.
Insomma, la Corte ha accolto in pieno le tesi degli ultimi tre periti che hanno studiato i meandri del
pensiero e del comportamento di Gianfranco Stevanin: Giuliano Avanzini, Gianfranco Denes, Mario
Tantalo. Tre esperti che, a leggere la perizia, hanno studiato pi il cervello in senso materiale, che la
mente del periziando. E infatti, sulla base del quesito posto dalla Corte, hanno analizzato a fondo
soprattutto le conseguenze del "buco nero" nella mente di Stevanin, a causa del grave incidente
stradale del 1976. Due lesioni profonde ai lobi frontali che non hanno intaccato n la capacit di
comunicare, n quella di muoversi, ma che, secondo i periti, ha inibito la capacit di autocontrollo
davanti a certi stimoli. E anche le amnesie, limitate ai momenti cruciali degli omicidi, sono credibili,
mentre per Fornari e Galliani, erano invece, finte e strumentali.

Su una cosa tutti i periti sono stati d'accordo: la pericolosit sociale di Stevanin e il rischio che, se
rimesso in libert, possa uccidere di nuovo. La Corte, recependo anche le richieste del P.G. Nepi, ha
previsto l'applicazione della misura di sicurezza della permanenza, per almeno dieci anni, in un
Ospedale psichiatrico giudiziario. E, proprio perch ritenuto pericolosissimo, la Corte d'Assise
d'Appello, alle prese con il problema della scarcerazione del serial killer, in quanto la sentenza
rendeva di fatto nulli tutti i termini di custodia cautelare, ha disposto, da un lato, la "liberazione"
dell'imputato, dall'altro, il suo immediato internamento provvisorio in una struttura psichiatrica
criminale, per la "prevedibile reiterazione di gravi reati e per l'irreversibilit e l'immodificabilit, se non

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in senso peggiorativo della sua condizione". (63)

Una sentenza clamorosa, che fa discutere. Una sentenza che nasce senza che quelli che erano
delegati a pronunciarla abbiano mai visto n sentito Stevanin. Il procuratore Nepi, che aveva accolto
in toto la perizia della difesa chiedendo 13 anni di reclusione, i sei giudici popolari, il presidente
Giorgio e il giudice togato De Nicolo, hanno preso la loro decisioni solamente sulla base della lettura
di documenti processuali e perizie medico-legali. Risulta, da questo punto di vista, apprezzabile la
strategia difensiva dei legali di Stevanin, nel sottrarre il loro assistito al dibattimento in aula. Un
esame diretto che ha che, in primo grado, aveva contribuito in maniera determinante alla formazione
della convinzione della capacit di intendere e di volere dell'imputato.

Il legale di Stevanin afferma: "i giudici hanno capito che l'imputato una persona malata e che pi
giusto curarlo, anche se rimane un criminale. Solo un difetto mentale di origine organica poteva
spiegare il perch di tanta violenza in Gianfranco Stevanin". (64) Di tutt'altro avviso l'avvocato
Guarienti che sostiene che: "le conclusioni della Corte andrebbero bene se fossimo di fronte ad un
unico episodio, ma qui gli omicidi sono almeno sei. Anche ritenendo accidentale la prima morte,
Stevanin sapeva benissimo che, ripetendo certe situazioni, la conseguenza sarebbe stata il decesso
della donna che stava con lui". (65)

Come detto, la perizia in base alla quale Gianfranco Stevanin stato ritenuto incapace di intendere e
di volere stata pi neurologica che psichiatrica in senso stretto. I periti hanno, di conseguenza,
compiuto un'indagine "neuropsicologica". E definiscono la neuropsicologia "lo studio, attraverso il
metodo sperimentale, delle relazioni intercorrenti tra il sistema nervoso centrale e la vita mentale",
ritenendo che questa sia la branca delle neuroscienze che "negli ultimi anni ha avuto il maggiore
sviluppo grazie all'affinarsi delle tecniche di indagine radiologica, di misurazione delle variazioni del
flusso ematico o del metabolismo cerebrale e all'applicazione di sofisticati modelli teorici delle
funzioni cognitive". (66) Il tipo di lesioni presente in Stevanin pu provocare infatti "a cambiamenti,
talora drammatici, della personalit e del controllo delle emozioni che si manifestano o sotto forma di
impulsivit e comportamento inadeguato sulla base di un mancato controllo degli impulsi inibitori, o
come restringimento del campo degli interessi e di indifferenza emotiva". (67) Uno dei nodi irrisolti
rimane quello "dell'amnesia a scacchiera", ossia del mancato ricorso dei momenti cruciali di alcuni
dei "decessi accidentali" delle donne che facevano sesso con Stevanin.

Tirando le conclusioni, i tre periti dell'appello formulano una prima diagnosi di "epilessia con crisi
parziali secondariamente generalizzate", che non hanno per "alcun ruolo nell'ambito dell'imputabilit
di Stevanin", non incide cio sulla capacit di intendere e di volere. Diverso il caso delle lesioni
encefaliche. I danni ad alcune aree del cervello possono "compromettere meccanismi inibitori che
scattano normalmente alla visione del dolore altrui, una sorta di indifferenza alla sofferenza". (68)
Soprattutto, per, possono dar luogo alla cosiddetta "sindrome frontale", in particolare tre incapacit:
"di modulare il proprio giudizio in conformit con le situazioni vissute, per cui egli non appare in grado
di distinguere tra una trasgressione morale e una convenzionale, di appendere dalle situazioni
svantaggiose e di inibizione dell'aggressivit". (69) Su queste componenti organiche deteriorate si
innestato un come un detonatore "l'estrinsecazione di una sessualit vissuta come un percorso
erotico ad alto rischio".

Nella motivazione della sentenza si afferma anche che: "il solo epilogo pronosticabile per Stevanin
la segregazione in ospedale psichiatrico giudiziario a vita". Da questo passo, si denota lo scetticismo
di giudici, data la natura organica della malattia di Gianfranco Stevanin, sulle possibilit di
miglioramento che potrebbero, in futuro, rimetterlo in libert. I legali dell'agricoltore, sono
parzialmente d'accordo, in quanto sostengono che: " certo che non potr mai guarire, ma credo che,
col tempo, potr esser tenuto sotto controllo, anche perch la pulsioni sessuali decadono con l'et".
(70) Stevanin viene in seguito, trasferito nell'O.P.G. di Castiglione delle Stiviere. Nel frattempo,
l'avvocato dell'agricoltore annuncia di voler ricorrere in Cassazione per ottenere un'assoluzione
piena. La medesima intenzione viene denunciata dal procuratore generale. Come prevedibile, la

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Sentenza emessa dalla Corte d'Assise d'Appello di Venezia ha provocato molteplici reazioni per lo
pi orientate verso lo sdegno.

Emblematica, a tale proposito appare il commento di Gian Guido Zurli, uno dei maggiori esperti
italiani di serial killer. Egli, in primo luogo definisce "vergognosa" la sentenza, avendo seguito da
vicino il processo e ritenendo che Stevanin sia pienamente normale, come ha dimostrato la lucidit
mantenuta durante tutto il dibattimento di primo grado. Ritiene, inoltre, incontestabili le perizie
effettuate da Fornari e Lagazzi, ritenuti i migliori in questo campo e asserisce che i periti d'ufficio che
si sono pronunciati in secondo grado sono soltanto "psichiatri di sperdute universit di provincia in
cerca di notoriet". Afferma che la soluzione adottata (incapacit quando uccideva, capacit quando
occultava i cadaveri) sia esclusivamente una situazione di comodo. Conclude affermando che chi ci
rimette sono "le vittime e i loro parenti, che non hanno ottenuto giustizia e il Popolo Italiano, che non
assolutamente d'accordo con questa sentenza, anche se pronunciata in suo nome".

1.6.2. La revisione del processo d'Appello


Una nuova svolta nel processo che vede imputato l'agricoltore di Terrazzo per la morte di sei donne
tra i 1993 ed il 1994, avviene quando il P.G. Augusto Nepi presenta ricorso alla Corte di Cassazione.

Il motivo del ricorso basato sulla presunta carenza e illogicit della motivazione sui risultati delle
perizie. Alla stregua dell'art. 606 del codice di procedura penale, che consente il ricorso per
Cassazione in caso di "mancanza o manifesta illogicit della motivazione, quando il vizio risulta dal
testo del provvedimento impugnato", il P.G. contesta la sentenza emessa dai giudici di Venezia. "La
motivazione", spiega il procuratore generale, "aderisce incondizionatamente alle conclusioni dei periti
e dei consulenti tecnici di parte, pur in presenza di opposte conclusioni dei periti di primo grado, ma
non analizza o trascura alcune lacune argomentative e trasforma in certezze diagnostiche quelle che
sono meri enunciati ed ipotesi scientifiche". "La sentenza", continua, "ignora alcune lacune ed
incongruenze in modo illogico e non pu quindi sottrarsi all'annullamento". (71) In particolar modo
viene criticato l'approccio metodologico nella trattazione del tema. Del resto, afferma lo stesso
procuratore generale, " del tutto infondato e immotivato che l'imputato fosse consapevole e
determinato nell'intraprendere il rapporto sessuale a rischio, ma altrettanto non fosse per l'evento
conclusivo della morte della partner e non si espone perch sia disattesa l'ipotesi opposta, che fosse
proprio l'evento omicidiario quello perseguito e attuato attraverso il percorso erotico". (72) La
Cassazione, con un provvedimento preso il 24 maggio 2000, annulla la sentenza emessa dalla Corte
d'Assise d'Appello di Venezia il 7 luglio 1999 e, ai sensi dell'art. 623 del codice di procedura penale,
rinvia il processo ad un'altra sezione della stessa Corte.

Il 30 novembre del 2000 inizia, perci, il processo d'Appello-bis nei confronti di Gianfranco Stevanin,
che al momento sta scontando la pena nell'Ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino.
La prima udienza del processo, privo dell'imputato, forse memore del risultato ottenuto in secondo
grado dai sui legali, inizia con la richiesta da parte del P.G. di una nuova perizia psichiatrica
sull'agricoltore. Gli incarichi sono affidati ai dottori Gaetano De Leo, Francesco De Fazio, Luigi Rossi
e Giovanni Mancardi. Nella scelta dei consulenti, il collegio si premurato di far scandagliare tutte la
possibili angolature della personalit dell'imputato, nominando un medico legale, uno psichiatra, un
criminologo e un neuropsichiatra. Nei precedenti gradi di giudizio qualcuna di queste figure era
assente, causando lacune che, tra l'altro, avevano portato all'annullamento della prima sentenza
d'Appello.

I giudici sono, perci, chiamati nuovamente a decidere sulla capacit di intendere e di volere di
Stevanin al momento dei delitti e sulla loro premeditazione: questo, infatti, il punto debole della
motivazione del primo appello annullata dalla Cassazione. In questa prima udienza, i legali
dell'imputato presentano istanza per la concessione del rito abbreviato, che viene accolta dalla Corte.
Anche in questo caso, il processo di svolge essenzialmente sulla base dei risultati degli esami
effettuati dai periti sulla persona di Gianfranco Stevanin. Per quanto riguarda le richieste effettuate

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dalle parti, come era prevedibile, si ha una netta contrapposizione tra il P.G., che chiede l'ergastolo,
ed i legali di Stevanin, la non punibilit del loro assistito per incapacit di intendere e di volere.

Il 23 maggio 2001, la Corte d'Assise d'Appello, presieduta da Luigi Lanza, dopo cinque ore di camera
di consiglio, emette la propria sentenza: ancora ergastolo. La Corte d'Assise d'Appello, accogliendo
in pieno le richieste del procuratore generale, non ha concesso all'imputato la prevalenza delle
circostanze attenuanti generiche rispetto alle aggravanti. La Corte ha, inoltre, emesso un ordine di
cattura nei confronti di Stevanin e ne ha disposto il trasferimento immediato in un istituto
penitenziario. L'agricoltore stato, invece, assolto in via definitiva per un sesto delitto, quello della
donna di cui era stata trovata una fotografia che la ritraeva con lesioni causate da rapporti sessuali
estremi. "Sadico, ma non pazzo, affetto da un disturbo mentale, ma non tale da non poter capire che
doveva fermarsi prima di infierire sulle vittime della sua foga sessuale. E i suoi delitti hanno la causa
esclusivamente nel soddisfacimento della propria libido". (73) in questo passaggio, pronunciato da
uno dei quattro periti d'ufficio, il crinale che ha portato alla condanna all'ergastolo per l'agricoltore
veronese. L'esito della perizia non ha dato scampo a Stevanin: se per un solo delitto si sarebbe
potuta invocare la non imputabilit, ci non possibile quando gli omicidi si sommano.

Le motivazioni della sentenza emessa dalla Corte d'Assise d'Appello di Venezia affermano anche che
il "mostro di Terrazzo" possedeva "mezzi intellettivi e culturali per evitare siffatti crimini e, comunque,
per non ripeterne il percorso dopo la prima volta". Quanto alle condizioni mentali, la Corte sottolinea
che "n il trauma cranico, n l'epilessia, n la relazione con la madre assumono ruoli causali". (74)
Secondo l'organo giudicante, inoltre, nei delitti assumono un ruolo aggravante la sua condotta
sempre lucida e l'atteggiamento processuale mai rivelatore di un barlume di pentimento, ma attento
ad adeguarsi di volta in volta a una nuova emergenza probatoria. A Gianfranco Stevanin resta il
lumicino della Cassazione, ma una speranza flebile, vista in fondo ad un tunnel lungo quanto pu
esserlo l'ergastolo.

, infine, la Suprema Corte a mettere la parola fine sulla tormentata vicenda giudiziaria iniziata nel
1994 e che vede come protagonista assoluto l'agricoltore di Terrazzo. Il 7 febbraio 2002, la
Cassazione, infatti, conferma la Sentenza della Corte d'Assise d'Appello di Venezia che ha inflitto a
Gianfranco Stevanin l'ergastolo. Si chiude cos la clamorosa vicenda, iniziata quasi casualmente nel
novembre del 1994, con la denuncia della prostituta austriaca Gabriele Musger, sfuggita a Stevanin
nei pressi del casello autostradale di Vicenza Ovest e che ha coinvolto l'opinione pubblica nazionale.
Dopo un iter processuale tormentato e ricco di colpi di scena, cala finalmente il silenzio sulla vicenda
che vede coinvolto il serial killer pi sadico della nostra storia.

1.7. Stevanin e la citt di Verona


terminata da poco la vicenda di Gianfranco Stevanin e la citt di Verona ancora sotto choc.
Amarezza, paura e rabbia non si sono certo attenuate, si respirano ancora nell'aria. Attorno al caso
ed alla figura di Stevanin in particolare, l'interesse dell'opinione pubblica era stato subito molto forte,
con tratti anche morbosi. Dopo i giorni del dolore, sono arrivati i giorni della rabbia, dello sdegno;
cronisti e studiosi, in tutti questi mesi, avevano indagato sul paese di Terrazzo e l'opinione pubblica
voleva sapere: curiosit, interesse scientifico, morbosit o autentico bisogno di capire.

Cos' successo a Terrazzo? Cos' accaduto non tanto in quelle due case dell'orrore, ma a
quell'agricoltore all'apparenza docile e tranquillo ed a quel piccolo paese nel suo insieme? Dobbiamo
avvertire che, quella zona, la provincia di Verona, non nuova a episodi efferati e clamorosi: dalle
imprese del gruppo neonazista denominato "Ludwig", uno dei pochi casi italiani di assassini seriali
che agiscono in coppia, alla vicenda di Pietro Maso, che massacra per soldi i genitori. "Questa terra
partorisce un altro orrore?" Si sono domandati in molti quando hanno saputo della vicenda
dell'agricoltore di Terrazzo. Sembra quasi che, tutti quegli eventi passati, avessero voluto presagire
questa nuova orrenda vicenda, rivelando un carattere violento, nascosto nella mitezza verdeggiante

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del paesaggio e nella vita scarna e taciturna degli abitanti, votati al lavoro, alla famiglia, alla chiesa,
secondo una tradizionale e diffusa convinzione. Si intuisce che, nella vita di tanti paesi e paesini del
profondo Veneto, insieme alla vitalit e alla produttivit, si stava manifestando un disagio nuovo e
crescente; "un microcosmo egoista, gretto, chiuso", definiva il professor Vittorino Andreoli, con toni
durissimi, l'intera provincia veronese all'epoca del caso Maso; "una societ improntata all'apparenza,
incapace di risolvere nuovi problemi, apparentemente pacifica e accondiscendente, in realt
aggressiva o, ancor peggio, vittimista". E aggiunge: "Qui vale di pi un maiale o un paio di buoi che
una moglie". (75)

Il serial killer "contadino", come lo definisce il giornalista de L'Arena Giancarlo Bendrame, usa
pratiche e strumenti del mondo contadino, per sezionare il corpo delle vittime e anche per seppellire il
cadavere, ma, sempre e soltanto, nel suo territorio, perch il possesso nei contadini veronesi
sentito in modo estremo. E le pratiche ed i segreti del suo mestiere, di un mestiere che per non ha
mai svolto, dimostra di conoscerli bene; soprattutto quando sceglie di adoperare rotoli di nylon per
avvolgere i corpi, evitando in questo modo la fuoriuscita di gas dal cadavere in decomposizione, che,
mineralizzando il terreno, avrebbero fatto crescere piante pi alte in quell'area.

Stevanin, sempre secondo Bendrame, rappresenta il "lato oscuro della ricca provincia veronese, che
sotto la placida e talora paciosa immagine superficiale nasconde inquietanti tensioni, che di tanto in
tanto magmaticamente esplodono, portando a galla orrori inenarrabili". (76) Si parlato, addirittura, di
"sindrome veronese", offrendo un'immagine, ancora una volta, cinica e negativa della provincia. Ma
per gli abitanti di Terrazzo, per chi ha conosciuto Gianfranco Stevanin sin da piccolo, per coloro che
lo incontravano al bar, chi Stevanin, qual l'immagine che si sono fatti di lui? ancora una volta
Bendrame che tratta di questo argomento, sostenendo che, a Terrazzo, all'indomani dell'arresto del
giovane figlio di agricoltori, ma che mai era stato visto lavorare in campagna, nessuno ha dubitato
della sua colpevolezza. Il male di Gianfranco Stevanin stato, secondo il giornalista, la solitudine,
aggiungendo che la sua deve essere stata una vita assai magra dal punto di vista affettivo.

Al termine della vicenda parla il sindaco del paese, intervistato dal giornalista de L'Arena, che
afferma: "quello che desidera il paese dimenticare", e continua asserendo che ci che accaduto
poteva succedere ovunque e che di pubblicit ne hanno ricevuta abbastanza; ora vorrebbe che
Terrazzo ritornasse ad esser ricordata per le mele e per il ponte sull'Adige. Ma qualcuno rimpiange
gi la notoriet perduta.

2. Donato Bilancia: il serial killer pi atipico e prolifico della storia


italiana
Passiamo ora a parlare di Donato Bilancia, l'assassino seriale che, nella zona di Genova, ha
seminato tra il 1997 e il 1998 panico e terrore. Cercheremo di analizzare gli elementi caratteristici, la
storia di vita, l'attivit omicidiaria e la sequenza processuale di questo serial killer, sicuramente atipico
tenuto conto dei canoni tradizionali rispetto alle caratteristiche ricorrenti negli omicidi seriali per la
letteratura criminalistico-investigativa.

2.1. I fatti
Dall'ottobre 1997 all'aprile 1998, Donato Bilancia ha ucciso diciassette volte. La prima vittima
"l'amico" Giorgio Centanaro, soffocato il 16 ottobre 1997 nella sua abitazione genovese con del
nastro adesivo, la cui morte viene inizialmente rubricata come "decesso per cause naturali" (si parl
d'infarto), prima che Bilancia confessasse di averlo ucciso per vendetta. Sempre per questo motivo, il
24 ottobre, uccide altre due vittime nel loro appartamento, i coniugi Maurizio Parenti e Carla Scotto.
Dalla loro cassaforte vengono sottratti 5 orologi Rolex, di cui Parenti faceva collezione, ed una grossa
somma di denaro. Bilancia racconta che Centanaro e Parenti l'avevano coinvolto in una bisca

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genovese dove aveva perso circa 400 milioni di vecchie lire.

Il 27 ottobre, uccide (sempre con la stessa arma, una pistola calibro 38) i coniugi Bruno Solari e
Maria Luigia Pitto, orefici, nella loro casa di Genova. Anche in questo caso il movente sembra essere
la rapina, dal momento che dall'appartamento mancano alcuni gioielli. Il 13 novembre, a Ventimiglia,
uccide e rapina il cambiavalute Luciano Marro e, dopo una pausa di pi di due mesi, il 25 gennaio
1998 uccide il metronotte Giangiorgio Canu, giustiziandolo nell'ascensore di un caseggiato genovese.
Anche in questo caso il portafogli della vittima non viene recuperato dagli inquirenti. Fino a questo
punto, gli inquirenti non pensano minimamente a collegare gli omicidi tra di loro.

Il 9 marzo, Bilancia inizia a uccidere le prostitute, Stela Truya a Varazze; l'esecuzione avviene con un
solo colpo di pistola alla nuca e non vi evidenza di alcun segno di stupro o di maltrattamenti fisici. Il
18 marzo il turno di Ljudmyla Zubkova a Pietra Ligure, uccisa con le stesse modalit della
precedente; anche in questo caso, la borsetta della vittima non presente sul luogo del delitto al
momento del ritrovamento del cadavere.

La decima vittima il cambiavalute Enzo Gorni, ucciso il 20 marzo a Ventimiglia. Il 24 marzo, alla
Barbellotta (Novi Ligure), Bilancia, a bordo della sua Mercedes scura, mentre si trova in intimit col
viado Lorena, uccide due metronotte, Candido Rand e Massimino Gualillo; il transessuale viene
ferito e, grazie alle sue dichiarazioni, viene tracciato il primo identikit del misterioso assassino. Lorena
afferma anche che: "quel pazzo vuole uccidere ancora ... sicuramente lui che ha ucciso le altre
ragazze". (77) Il 29 marzo, a Cogoleto, Bilancia toglie la vita alla prostituta nigeriana Terry Asodo,
mentre il 12 aprile, in un bagno dell'intercity La Spezia-Milano, spara a Elisabetta Zoppetti, giovane
infermiera milanese. Giunti a questo punto, "l'allarme serial killer" non pi solo un ipotesi dal
macabro fascino al vaglio degli inquirenti. Gli ultimi omicidi: i 14 aprile, a Pietra Ligure, la prostituta
albanese Kristina Walla; il 18 aprile, sul treno Genova-Ventimiglia, Maria Angela Rubino, colf e
baby-sitter di Ventimiglia; il 21 aprile, a Arna di Taggia, il benzinaio Giuseppe Mileto.

Uno degli elementi determinanti a far individuare Bilancia sono state le dichiarazioni dell'uomo che gli
cedette la Mercedes, l'automobile vista nei luoghi di diversi omicidi. Il 6 maggio del 1998, Donato
Bilancia viene arrestato dai carabinieri di Genova e la sua piena confessione inizia il 14 maggio. Il 13
maggio 1999 iniziato il processo al serial killer italiano con il pi alto numero di vittime.

2.2. La storia della sua vita. Vicende biografico-giudiziarie


Donato Bilancia nasce a Potenza, il 10 luglio del 1951. Nel 1955 la famiglia Bilancia (composta da 4
membri in totale) si trasferisce prima nel piemontese, poi a Genova. Nel 1966, ancora minorenne,
ruba una vespa 50. Viene arrestato e rilasciato poco dopo perch, data la sua giovane et, viene
considerato incapace di intendere e di volere. L'esordio delinquenziale nel mondo della
microcriminalit avviene nel 1971, quando ruba un furgone carico di panettoni, che tenta poi di
rivendere davanti ad un supermarket. Anche in questa occasione viene segnalato ed arrestato, ma in
seguito assolto perch, ancora minorenne, viene dichiarato incapace di intendere e di volere.

Nel 1974, viene nuovamente arrestato a Como, per detenzione abusiva di armi da fuoco e viene
condannato. Nel 1978, tenta di fuggire in pigiama dal reparto psichiatrico dell'Ospedale San Martino
di Genova. Viene ripreso subito dopo e finisce di scontare in carcere la condanna a 18 mesi per
rapina impropria. Nello stesso anno, viene arrestato in Francia, insieme ad un suo complice, per una
serie di furti ai danni di diversi studi dentistici. Viene dunque condannato ad una pena detentiva di 2
anni e sei mesi. , poi, rilasciato prima della scadenza del termine (circa sei mesi) per buona
condotta.

Nel 1981, viene arrestato, insieme a due complici, per rapina e sequestro di persona ai danni di due
coniugi nell'entroterra genovese. Viene condannato a due anni e quattro mesi. Finir di scontare la
condanna nel gennaio del 1994. L'11 novembre 1987, avviene un episodio che, secondo quanto

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afferma Bilancia sconvolge la sua vita. Il fratello maggiore Michele, muore suicida gettandosi sotto un
treno nei pressi della stazione di Genova-Pegli, trascinando con s il figlioletto Davide, di appena
quattro anni. Nel 1990, viene denunciato da una prostituta per atti di libidine violenta e sequestro di
persona. Nel 1994, viene incriminato per reiterate molestie sessuali ai danni di una delle commesse
del negozio di intimo femminile che gestiva a Genova.

Il 15 ottobre 1997, inizia la serie di delitti. Come risulta da questa lunga sfilza di precedenti penali,
Donato Bilancia non era una persona sconosciuta alle forze dell'ordine. Possiamo notare, nella sua
biografia, una progressione dell'iter criminale; si parte nel 1966, con una serie di reati contro il
patrimonio, cui succedono furti, per poi, nel 1981, passare a reati contro la persona, che poi sfociano
nei brutali omicidi degli ultimi anni. Secondo le testimonianze delle persone che meglio conoscono
Donato Bilancia, egli viene descritto come uno "spaccone" e un incallito giocatore d'azzardo che
frequentava spesso bische e casin. Aveva seri problemi sessuali, al punto che era arrivato a
chiedere dei pareri medici: soffriva di impotenza e faceva molta fatica ad avere rapporti con le donne.
Gli piaceva guardare le coppiette in macchina e, a una donna con cui usciva, disse che "tutte le
donne dovrebbero essere ammazzate dovrebbero inginocchiarsi perch io sono il re".

2.3. Caratteristiche delle vittime e modus operandi dell'aggressore


La prima vittima fu Giorgio Centanaro, ex imprenditore e legato al mondo delle bische clandestine.
Secondo quanto afferma Bilancia, il motivo dell'uccisione va ricercato proprio all'interno di questo
ambiente; era stato Centanaro, definito da Bilancia "un viscido", insieme a Maurizio Parenti, ad
introdurre il serial killer in una bisca genovese, dove aveva perso quattrocento milioni; l'assassino era
convinto che fosse un piano architettato dai due per truffarlo, ascoltando, per caso, nel giugno 1997,
un dialogo tra i due all'interno della bisca stessa.

Stando a quanto afferma Bilancia, la vittima fu uccisa intorno alle 2-3 del mattino nel proprio
appartamento a Genova; successivamente l'assassino sottrasse diversi orologi di valore dalla
cassaforte e diversi milioni di lire in contanti, per simulare una rapina. Bilancia afferma: "lo conoscevo
bene. L'ho seguito alla sua abitazione dopo aver preso il numero di targa per vedere dove andava
(sembra che Bilancia si fosse recato all'A.C.I. di Genova pochi mesi prima, per risalire, dal numero di
targa dell'auto del Centanaro, al suo indirizzo). Una sera l'ho aspettato quando stava per rientrare a
casa, l'ho seguito a breve distanza e sono entrato, quando lui stava per chiudere la porta. Avevo con
me la pistola, quella che mi stata sequestrata, ma non l'ho usata perch l'ambiente era piccolo e
temevo di far troppo rumore. Lo volevo ammazzare, non c'erano altri scopi nella mia visita. L'ho
soffocato dopo averlo immobilizzato con del nastro adesivo. Ho lasciato il cadavere davanti la porta a
pancia in gi ...volevo che si sapesse che era stato ammazzato". (78) l'unico omicidio di Bilancia
avvenuto con queste modalit, infatti, gli altri sono tutti avvenuti con l'utilizzo di armi da fuco.

Nei giorni successivi, Bilancia scopre dai giornali che la morte di Centanaro stata archiviata per
decesso per cause naturali (infarto). Il 23 gennaio del 1998, il pubblico ministero Canepa, riceve una
telefonata anonima da un uomo che, con pesante accento siciliano contraffatto, afferma che la morte
del Centanaro era dovuta a soffocamento, non a infarto. Il P.M. verific, subito dopo, al centralino
l'origine della chiamata. Risult che aveva appena chiesto di parlare con lui un uomo dall'accento
genovese. Questa stesso circostanza era stata rivelata dal Bilancia nel corso della sua confessione.

Il secondo evento omicidiario si verifica il 24 ottobre dello stesso anno. Le vittime, come detto, sono
Maurizio Parenti, installatore di videopoker, legato anch'egli al mondo delle bische clandestine, e
Carla Scotto, commessa in un negozio di abbigliamento. Anche i due giovani sposi vengono uccisi
nel loro appartamento di Genova. La loro abitazione, a causa dell'efferatezza del duplice omicidio,
viene ribattezzata dai mass media "la casa del boia". L'aggressione omicida avvenuta intorno alle 4
e mezza di notte. Anche in questo caso Bilancia sottrae oggetti di valore per depistare le indagini.

Il serial killer, nella sua confessione, si dichiara dispiaciuto soltanto della morte della donna, uccisa

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perch insieme al marito; dell'uomo dice invece che "non me ne frega niente e neanche dei suoi
genitori; non sono intenzionato a chiedere perdono, me ne frega meno di niente". Continua
"conoscevo bene anche loro. Il Parenti era sempre scortato. Da qualche sera lo aspettavo nei pressi
della sua abitazione. Ho atteso che la scorta andasse via e l'ho avvicinato nel portone. Ho detto che
dovevo fargli vedere qualcosa, appena ha chiuso gli ho puntato la pistola e l'ho ammanettato. Entrati
in casa gli ho detto che doveva darmi del denaro e mi ha detto che era in cassaforte. Essendosi
svegliata la moglie mi sono fatto dare la combinazione da lei. Li ho fatti sedere sul divano, ho aperto
la cassaforte e ho prelevato una scatoletta che conteneva alcuni orologi Rolex. Gli ho detto cosa
pensavo di lui. L'ho anche colpito alla mascella con il calcio della pistola poi gli ho sparato in fronte.
La moglie invece l'ho colpita sul petto. Prima l'avevo legata braccia e gambe con il nastro". (79)
Sappiamo poi che Bilancia si rec all'obitorio ed alla veglia funebre per dare "l'ultimo saluto" alla
coppia.

Continua la serie di omicidi: Bilancia, sentendosi sicuro per il fatto che la polizia non sospetta che gli
omicidi siano collegati, uccide una coppia di anziani orefici, sospettati di avere legami con il mondo
della ricettazione genovese, Bruno Solari e Maria Luigia Pitto. Anche questa volta l'assalto avviene
nell'appartamento delle vittime e con la stessa arma, una pistola calibro 38 ed il tragico epilogo di
una fallita rapina. Cambia soltanto l'ora, stavolta la "mattanza" avviene nel tardo pomeriggio.
Dell'omicidio di Solari e della moglie Bilancia confessa che non aveva previsto di ucciderli, in quanto
lo scopo dell'assassino seriale era, in questo caso, solo quello di rapinarli. Dei due dice che erano
spaventatissimi e che stato costretto ad ucciderli.

Luciano Marro, cambiavalute viene, invece, ucciso nel suo ufficio, in una delle strade pi trafficate di
Ventimiglia intorno alle 19/19.30, orario di chiusura serale. L'arma ancora una calibro 38.
L'omicidio, come nel precedente caso, a scopo di rapina, a riprova delle difficolt economiche in
cui, all'epoca, doveva dibattersi Bilancia. L'assassino, con la scusa di dover cambiare dei franchi
francesi, si introduce nell'ufficio della vittima e, avendo notato che la cassaforte dove teneva la valuta
era aperta, decide di sottrarre il denaro; ma, a causa della reazione della vittima, Bilancia decide di
ucciderlo. Per quanto riguarda questo omicidio, vediamo come si riscontri nella modalit di azione di
Bilancia una condotta tipica del serial killer organizzato; infatti, l'assassino ha per giorni studiato
attentamente le abitudini della vittima ed ha individuato il momento migliore per agire.

Il 25 gennaio del 1998, il turno di Giangiorgio Canu, metronotte. Viene freddato nell'ascensore di un
palazzo della zona in cui la vittima era di guardia. L'aggressione ha avuto luogo intorno alle due del
mattino. questo il pi atipico tra gli episodi delittuosi della serie, nel senso che Bilancia non ha
chiarito quale ne sia stato il movente. Pur essendo, nella motivazione della sentenza della Corte
d'Assise, inserito tra gli omicidi a scopo di rapina, in realt, Bilancia non trasse alcun vantaggio
economico dall'atto delittuoso, per cui si pu affermare che il motivo dell'assassinio vada forse
ricercato nella sete di vendetta verso questa categoria di lavoratori che una volta lo colse sul fatto a
seguito di un furto per il quale fu condannato e che questa brutale esecuzione fosse causata
esclusivamente dal bisogno compulsivo del serial killer di uccidere.

Il 15 marzo del 1998 inizia la serie di omicidi ai danni di prostitute. La prima a farne le spese Stela
Truja, 25 anni, albanese. Viene assassinata sulle alture di Varazze, intorno alle 3 di notte. Questo
omicidio, dal punto di vista della qualificazione giuridica sicuramente aggravato dalla
premeditazione dato che, in precedenza, Bilancia si era recato sul luogo del delitto per verificarne la
compatibilit con il suo disegno criminoso. Afferma il serial killer: "l'ho fatta salire in macchina
prelevandola a Genova, in zona Foce, le avevo offerto una grossa somma di denaro per una
prestazione in casa. Poi l'ho portata in una localit isolata sulle alture di Varazze e l'ho fatta spogliare.
Subito dopo l'ho fatta scendere. Lei non voleva, cos l'ho presa per i capelli e l'ho trascinata fuori io.
Subito dopo l'ho fatta inginocchiare e le ho sparato un colpo di pistola alla testa. Poi l'ho lasciata l e
sono andato via". (80) Cinque giorni dopo la stessa sorte tocca a Lyudmyla Zubkova, anch'essa
prostituta, assassinata con modalit pressoch identiche alla precedente vittima.

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La decima vittima Enzo Gorni, cambiavalute di Ventimiglia; la modalit sono identiche a quelle
relative all'omicidio di Luciano Marro. Afferma Bilancia: "anche qui quando ho studiato l'obiettivo,
dovevo fare attenzione che il blindato fosse aperto ... andata come nell'omicidio del primo
cambiavalute. Ho aspettato il momento pi opportuno, quando la vittima era pi vulnerabile, sono
entrato, l'ho minacciato con la pistola, gli ho ordinato di aprire la cassaforte e di darmi il danaro. Poi
ha tentato una reazione ed io gli ho scaricato il caricatore addosso". (81) Quella stessa sera Bilancia
si reca al casin di Sanremo ed un croupier, all'udienza del 16 luglio 1999, dichiar di ricordare
precisamente che in quella circostanza l'imputato aveva un'insolita disponibilit di denaro in contanti.
Quella sera, dunque, Bilancia aveva giocato ad uno dei molti tavoli verdi con il destino di un uomo.

Il 24 marzo, Bilancia incappa nel primo serio "incidente di percorso", in quanto la vittima designata
sfugge alla sua furia omicida e fornisce i primi elementi utili per la realizzazione dell'identikit. Bilancia
si introduce in una villa, al momento deserta, con il transessuale Lorena per consumare un rapporto
sessuale. All'improvviso giungono sul posto due metronotte, Candido Rand e Massimino Gualillo,
che si erano insospettiti per la presenza dell'autovettura di Bilancia e che, dopo che l'aggressore
afferma, smentito dal transessuale, di essere il proprietario della villa, decidono di chiamare la
centrale; questa mossa scatena l'ira del serial killer che spara una raffica di colpi di arma da fuoco
uccidendo i metronotte e ferendo il transessuale. Come per gli altri omicidi ai danni di prostitute,
Bilancia non ha saputo dare una motivazione plausibile del gesto criminale. Si deve ritenere perci
che egli abbia agito per dare sfogo ai propri istinti criminali. Diversa la situazione per i due
metronotte, uccisi soltanto in conseguenza del loro intervento.

Il 29 marzo dello stesso anno, ancora una prostituta, la nigeriana Terry Asodo, la vittima della
"follia" di Donato Bilancia. Fatto sta che il serial killer, facendo tesoro dei propri timori circa il rischio
della possibile individuazione, da parte degli inquirenti, della sua Mercedes, si tutela cambiando auto
e utilizzando una Opel Kadett rubata. Bilancia narra in questo modo l'accaduto: "dopo aver
consumato un rapporto sessuale, l'ho trascinata fuori dall'auto con la forza, ma lei ha tentato di
reagire scappando. partito il primo colpo e lei si accasciata, poi l'ho colpita con altri due colpi alla
testa e sono andato via". (82)

Il 10 aprile del 1998 il serial killer aggredisce una prostituta Luisa Ciminiello, 51 anni e la rapina; le
punta una pistola alla testa per ucciderla, ma grazie all'arrivo di un altro cliente riesce a scampare alla
furia omicida di Bilancia. La donna sostiene di esser stata graziata dall'assassino perch, per
impietosirlo, gli fece vedere una foto di bambino di due anni, dicendogli che era suo figlio.
importante sottolineare che Bilancia non parla di questo episodio in nessuna occasione. la stessa
prostituta a denunciare l'avvenuta rapina ed il tentato omicidio quando nota la straordinaria
somiglianza tra l'uomo che l'aveva aggredita nel suo appartamento sanremese e l'identikit
dell'assassino seriale pubblicato da tutti i quotidiani.

Il giorno di Pasqua del 1998, domenica 12 aprile, inizia la serie degli omicidi sui treni. La prima vittima
Elisabetta Zoppetti, infermiera di Milano. L'omicidio avviene sull'intercity La Spezia-Milano, intorno
alle 15. la serie di omicidi che hanno maggiormente allarmato l'opinione pubblica, sfuggendo a
qualsiasi valutazione logica o di "ambiente". Una volta atteso che la donna si sia recata in bagno,
Bilancia la segue ed apre la porta dello stesso con una chiave "tripla". La Zoppetti si mette ad urlare e
il serial killer, dopo averle messo una giacca in testa, le spara un colpo di pistola a bruciapelo. Poi
attende che il treno si fermi alla successiva stazione per uscire dal bagno. Bilancia riguardo a questo
omicidio dichiara: "sono salito sul treno con quell'intenzione. Doveva essere necessariamente una
donna, anche se non l'ho nemmeno toccata dal punto di vista sessuale. Credo che sia stata la
consecuzione di un oggetto, di un programma che scattato in me dopo i delitti Centanaro-Parenti
...". (83)

Due giorni dopo, l'assalto a Kristina Walla, prostituta albanese di 22 anni; l'aggressione avviene nei
pressi dell'uscita autostradale di Pietra Ligure. Per quanto riguarda la modalit dell'omicidio, del
tutto identica alle altre uccisioni di prostitute. importante sottolineare che l'unico criterio utilizzato da

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Bilancia nella scelta delle prostitute era legato alla nazionalit: voleva uccidere lucciole di nazionalit
sempre diversa. Per prima cosa chiedeva da quale nazione provenivano; se aveva gi ucciso
qualche ragazza di questa nazionalit, non la faceva neppure salire.

Il 18 aprile un nuovo omicidio su un treno: la vittima Maria Angela Rubino, 32 anni, sul treno
Genova-Ventimiglia tra le 22.30 e le 23. Il serial killer dice "ho visto una donna all'interno dello
scompartimento ed ho provato l'impulso di uccidere". La modalit analoga alla precedente, ma il
comportamento ancora pi sprezzante, in quanto Bilancia, dopo averla uccisa, si trattiene nel
bagno e si masturba, forse come egli stesso afferma "per una forma di disprezzo verso quella donna
che non avevo mai visto prima". (84)

Due giorni dopo, a seguito di una rapina, Bilancia uccide, ad Arma di Taggio, il cinquantunenne
benzinaio Giuseppe Mileto. L'aggressione avviene nel piccolo ufficio della stazione AGIP dove la
vittima stava prestando servizio. In questo caso la furia omicida dell'assassino seriale dovuta al
rifiuto del benzinaio di fare credito al Bilancia. A questo punto il serial killer decide di rapinare il
benzinaio, ma arriva un altro cliente, cui la vittima fa dei segnali per fargli comprendere la situazione
di pericolo. a questo punto che Bilancia, dopo aver atteso che l'altro cliente andasse via, fredda la
vittima con cinque colpi di pistola.

In conclusione, possiamo affermare che il rituale esecutivo dell'assassino scarno, rapido e spietato
(e nel caso degli omicidi sui treni i tempi dell'esecuzione sembrano ridursi ancor pi). Non vi alcun
segno di infierimento specifico sui vari cadaveri (overkilling) e tutti i colpi sparati sono mortali, esplosi
cio con l'intento di uccidere nel pi breve tempo possibile la vittima che, una volta esanime, viene
abbandonata a se stessa nel luogo in cui avvenuto il delitto. In tutti gli omicidi, a cominciare dal
duplice omicidio Scotto/Parenti, l'arma usata sempre una Smith & Wesson calibro 38 special.
L'emissione acustica causata dal munizionamento di questo tipo di arma decisamente poco intensa
e, piuttosto verosimilmente questa la ragione per cui, per quanto riguarda i due delitti avvenuti sui
treni, il rumore dello sparo non stato avvertito da nessun altro passeggero.

Ci sono alcuni fattori che Bilancia prende maggiormente in considerazione nell'esecuzione del suo
piano criminale. In primo luogo, cerca di rendere impossibile la via di fuga alla potenziale vittima; era
solito, infatti, parcheggiare l'automobile con il lato del passeggero quasi attaccato ad un muro, in
modo che la vittima non potesse uscire. Al contrario, per garantirsi egli stesso una rapida fuga,
visionava precedentemente i luoghi dell'aggressione, in modo da individuare il percorso migliore per
fuggire. Un altro elemento fondamentale del suo modus operandi quello di disseminare le vittime,
estremamente eterogenee dal punto di vista tipologico, in luoghi apparentemente non collegati tra
loro, in modo da rendere molto difficile l'identificazione di una stessa mano omicida dietro la serie di
delitti.

2.4. La confessione
Pochi giorni dopo l'arresto, avvenuto il 6 maggio 1998, Bilancia decide di fare una lunga confessione
in cui spiega tutte le motivazioni che lo hanno spinto a commettere degli omicidi apparentemente cos
diversi tra loro. Tredici ore di interrogatorio, in cui spiega minuziosamente, con tono calmo e
distaccato, i suoi delitti.

La definizione che d di se stesso quella di un serial killer "da bar", gentile, ironico, ladro
gentiluomo, giocatore incallito, ma affidabile, pronto per ad uccidere per uno "sgarro". Gi da queste
parole si notano le contraddizioni della sua personalit nella quale coesistono aspetti del tutto
opposti. Secondo la sua versione, proprio lo "sgarro" subito dall'amico Maurizio Parenti e da
Giorgio Centanaro, le sue prime vittime, a farlo diventare un assassino seriale:

Quando nella bisca ho colto la frase di Maurizio che diceva "hai visto che sono riuscito
ad agganciare Walter" (cos era chiamato Bilancia dagli amici), nella mia testa

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'Serial killer' in Italia; tre casi eclatanti: Gianfranco Stevanin,... http://www.altrodiritto.unifi.it/ricerche/devianza/massaro/cap4.htm

successo un macello e ho subito pensato: questi qui ora li debbo uccidere ...sono
sempre stato un lupo solitario, non mi sono mai iscritto a niente. Ma credevo
nell'amicizia. Con quella frase pronunciata da Maurizio per l'ennesima volta mi sono
sentito pugnalato alla schiena ...Mi dispiace solo di aver ucciso Carla. Centanaro invece
sempre stato un viscido e lo trattavo come tale. Questo stato il motivo che ha fatto
esplodere in me una cosa di incredibile violenza. Perch io ho sempre vissuto
tranquillamente per quarantasette anni, poi qualcosa successo da un momento
all'altro, non che uno si sveglia alla mattina e dice: "va b, oggi mi cerco un'arma e
vado ad ammazzare qui e l".

Dopo aver ucciso Centanaro, Bilancia racconta di aver telefonato al magistrato che si occupava del
caso Parenti/Scotto perch "volevo che si sapesse che era morto ucciso", elemento, questo, tipico
degli assassini seriali, i quali tengono particolarmente ad affermare la paternit dei propri delitti.
L'uccisione dei coniugi orefici Solari/Pitto, inizia, invece, con l'intenzione di fare una rapina, "poi per
non ho pi controllato la situazione". I delitti dei due metronotte e del transessuale vengono
commentati ironicamente da Bilancia: "da tiratore esperto ho sparato dieci colpi per fare due morti e
un ferito". (85)

Per quanto riguarda gli omicidi ai danni delle prostitute Bilancia afferma che "dovevano appartenere
per forza a nazionalit diverse" e che le modalit di azione erano pressoch analoghe: "le dicevo
"scendi un attimo, guarda il mare", senza farle capire quello che avrei fatto. Poi sparavo e me ne
andavo". Il programma del serial killer prevedeva, dopo tanti omicidi, di "lasciar riposare Genova
perch era una citt un po' scossa", anche se conferma che, in seguito, avrebbe ripreso ad uccidere
ma cambiando bersaglio: "in seguito sarebbe stato il turno di tutti questi pseudo malandrini conduttori
di bische".

Come molti altri assassini seriali, accanto alla volont di continuare ad uccidere, c' una parte che
vuole essere fermata e che, anzi aspira al suicidio. Bilancia racconta di quale fosse la sua speranza
"che la cosa finisse al pi presto, magari a seguito di una sparatoria con la polizia; per questo che
porto sempre la pistola con me" e, al pubblico ministero, dice di aver accarezzato spesso l'idea di
suicidarsi: "non sa quante volte, centinaia, mi sono puntato la pistola alla testa, ma non ho mai avuto
il coraggio". Aveva anche progettato di suicidarsi con il cianuro, ma chi gli vendette le capsule lo truff
rifilandogli delle vitamine al posto del veleno.

Le modalit dell'omicidio delle due donne sui treni sono, come detto, state analoghe e Bilancia le
racconta dettagliatamente; per quanto riguarda l'omicidio di Elisabetta Zoppetti dichiara: "ho preso il
treno a Genova, in uno scompartimento c'era una donna. Ho aspettato che si recasse in bagno.
Aveva la borsa con lei. Ho aperto la porta con una chiave falsa e lei si messa ad urlare. Le ho posto
la sua giacca sulla testa ed ho sparato. Lo faccio perch non voglio vedere la faccia. Ho ripreso la
borsa e mi sono appropriato del biglietto che spuntava, perch non ce l'avevo. Ma non ho toccato
nient'altro". Nel secondo delitto sul treno, Bilancia rimane chiuso nel bagno e, come detto, si
masturba davanti al cadavere di Maria Angela Rubino.

2.5. Il processo in Corte d'Assise


Il 13 maggio 1999 il presidente della Corte d'Assise di Genova, Loris Pirozzi ed il giudice a latere
Massimo Cusatti, danno inizio al processo al serial killer pi prolifico della storia d'Italia. Ventisei i
capi d'imputazione a carico di Bilancia: 17 omicidi, due tentati omicidi, detenzione e ricettazione della
pistola calibro 38, sei rapine, porto d'armi abusivo, atti osceni e vilipendio di cadavere.

Durante la prima udienza, viene notificata la costituzione delle parti civili. Bilancia assente, come
accadr per tutta la durata del procedimento; pochi giorni prima dell'inizio del processo lo stesso
imputato ad inviare una lettera al presidente della Corte d'Assise, in cui si scusa per la sua decisione,
sottolineando che non c' alcun pregiudizio nei confronti dei giudici togati e popolari, ma ribadisce

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che una scelta processuale. proprio questa assenza, unita al fatto che la confessione gi stata
resa dall'assassino, a togliere parte dell'interesse sul processo; in effetti, a differenza del processo in
Corte d'Assise nei confronti di Gianfranco Stevanin, in cui tutti gli occhi erano indirizzati sulla figura
del serial killer, qui manca l'oggetto di tanta morbosa curiosit. Oltre a ci, il pilastro fondamentale del
processo costituito proprio dalla piena confessione resa dall'imputato dopo la cattura, senza la
quale uno degli omicidi, quello del Centanaro, non sarebbe mai stato considerato tale e buona parte
degli altri sarebbero forse rimasti a lungo irrisolti.

Il 20 maggio ha inizio l'istruttoria dibattimentale articolata dal pubblico ministero, Enrico Zucca, sulla
base dei singoli episodi criminosi. Il P.M. inizia affermando che quelli in questione "sono delitti orribili
che non vorremmo mai aver visto e temiamo di vedere. Quando ancora non erano collegati tra loro
hanno causato allarme sociale di enorme rilevanza". L'accusa procede poi a descrivere uno ad uno
tutti gli omicidi della serie, non tralasciando il minimo dettaglio nell'esposizione delle brutali
aggressioni terminate con la morte di diciassette persone. Secondo il magistrato Bilancia ag sempre
da solo e la sua confessione pu considerarsi veritiera.

In seguito, al fine di confermare l'idoneit delle dichiarazioni rese dall'imputato ad integrare, alla luce
degli elementi di riscontro acquisiti, la piena prova della sua colpevolezza, sono stati esaminati i
consulenti tecnici del pubblico ministero, tutti appartenenti al Reparto Investigazioni Scientifiche dei
Carabinieri; questi hanno consegnato gli esiti degli esami da loro effettuati in riferimento agli
accertamenti biologici, chimici, tecnici, merceologici, balistici e grafologici sul materiale sequestrato
nel corso delle indagini e riconducibile alla persona di Bilancia, all'autovettura ed alla pistola che in
quel periodo erano nella sua disponibilit. In particolare dagli esami eseguiti risulta che il Dna
dell'imputato riscontrabile, con certezza scientifica, in seguito ai numerosi esami autoptici, in
numerose tracce biologiche rilevate sui corpi e sugli indumenti delle vittime, in particolare su quelli di
alcune prostitute e di Maria Angela Rubino, la seconda donna uccisa su un treno. Secondo Zucca ad
accusare l'imputato ci sono anche la saliva sul mozzicone di sigaretta trovata nell'appartamento dove
furono uccisi Maurizio Parenti e Carla Scotto e le tracce ematiche riscontrate nell'auto sulla quale il
serial killer trasport la prostituta nigeriana Tessy Asodo. Il comandante del R.I.S., Luciano Garofalo,
ha sottolineato, invece, l'importanza della parte balistica per indirizzare verso una sola mano omicida,
in quanto i proiettili usati erano inusuali, sia dal punto di vista commerciale che criminale, difficilmente
reperibili da persone diverse. Garofalo afferma, infine, che le tracce degli pneumatici rinvenute nei
luoghi dei delitti erano del tutto compatibili con quelle dell'automobile di Bilancia.

importante sottolineare che non sono mancate nel dibattimento sollecitazioni e suggestioni ad
affrontare temi estranei al thema decidendum, come quello della possibile esistenza di mandanti o di
concorrenti nell'esecuzione del piano criminale messo materialmente in atto da Bilancia, circostanze
poi smentite in pieno dalla sentenza della Corte.

Dall'udienza del 15 luglio inizia la lunga processione di potenziali testimoni di alcuni omicidi (in
particolare quelli di Enzo Gorni e Luciano Marro) e di conoscenti di Bilancia, circa duecento, che
aiutano a fornire un quadro complessivo della personalit, delle abitudini, delle tendenze e dello stile
di vita del serial killer; egli viene descritto come una persona solitaria, gran bevitore e fumatore e
giocatore d'azzardo compulsivo; e ancora emerge il ritratto di una persona che detesta tutte le donne,
probabilmente a causa della sua incapacit sessuale; frequentava esclusivamente prostitute, in
quanto quest'ambiente era l'unico in cui riusciva a procurarsi, sempre con l'onnipresente denaro, un
po' di attenzione da parte dell'altro sesso; avido di soldi, una sensibilit esasperata rispetto al tema
del credito, che pretendeva di riscuotere, per la sua puntualit nei pagamenti anche presso gli
sconosciuti e, dunque, correlativamente, un'avversione estrema per l'altrui sfiducia, che non a caso
l'ultima vittima, il benzinaio Giuseppe Mileto, ha pagato con la morte.

Particolarmente importante la deposizione del viado Lorena, che racconta i dettagli


dell'aggressione: "vidi il calcio della pistola che sporgeva da una tasca della portiera della Mercedes
ed allora capii quali erano le sue intenzioni. Cercai di prendere tempo intrattenendolo il pi possibile,

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per trovare una soluzione e potermi salvare. Poi vidi le luci dei fari e poi ancora un'altra macchina, [
...] dopo che spar ai due metronotte fuggii, ma sentii il suo fiato dietro di me; mi disse: "dove credi di
scappare?". A quel punto ingaggiammo una colluttazione, poi Bilancia mi spar un colpo al ventre e,
credendo di avermi ucciso, fugg dalla villa".

Testimonianza di enorme interesse stata, inoltre, quella del maggiore dei Carabinieri Filippo
Ricciarelli, artefice dell'arresto del serial killer, che ha ripercorso i giorni precedenti la cattura di
Donato Bilancia e quella di Mario Toto, cognato del cambiavalute Enzo Gorni, che ricorda: "ho visto
sparare due colpi seguiti da una fiammata e mio cognato sparire sotto il balcone. In quel momento ho
pensato solo a dare l'allarme, a chiamare un'ambulanza". Toto afferma anche di aver aspettato che
l'assassino uscisse dal negozio: "ci siamo affrontati con lo sguardo, ma quando ha messo la mano in
tasca come per estrarre nuovamente la pistola, mi sono spaventato ed ho cercato rifugio dentro il
negozio vicino di generi alimentari ed ho dato l'allarme".

In apertura dell'udienza del 21 ottobre, la Corte, sciogliendo la precedente riserva, dispone una
perizia psichiatrica per accertare se Bilancia, al momento dei fatti, versasse in stato di incapacit di
intendere e di volere; questo il nodo centrale di tutto il processo: il problema dell'imputabilit di
Bilancia. Il compito di effettuare la perizia psichiatrica sul serial killer affidato a Romolo Rossi,
Marco Lagazzi e Francesco De Fazio (consulenti del P.M.), Pierluigi Ponti, Ugo Fornari e Giacomo
Mongodi (consulenti della Corte), Elio Di Marco e Giacomo Canepa (consulenti della difesa).
questa l'unica possibilit del difensore di Bilancia, Umberto Garaventa, nominato d'ufficio dal pubblico
ministero Enrico Zucca dopo la rinuncia degli avvocati Enrico Franchini e Patrizia Franco prima, di
Nino Marazzita poi, di evitare l'ergastolo al suo assistito.

Nell'udienza dell'otto novembre, constatata l'assenza dell'imputato ed il suo implicito rifiuto di


sottoporsi all'esame richiesto dalle parti, sono stati acquisiti tutti i verbali delle dichiarazioni dal
medesimo rese nel corso delle indagini preliminari; in quella stessa data, su istanza del pubblico
ministero e con il consenso delle altre parti, stata altres disposta la riproduzione fonografica in aula
delle registrazioni di tutti gli interrogatori resi da Bilancia.

L'udienza del 17 febbraio 2000 stata dedicata all'esposizione delle conclusioni rassegnate dai periti,
e dell'udienza successiva, gli stessi sono stati esaminati dalle parti. Come era prevedibile, i risultati
delle perizie stesse sono oggetto di scaramucce processuali tra i periti di parte e quelli del pubblico
ministero (come vedremo meglio nel paragrafo successivo).

2.5.1. Le perizie psichiatriche su Bilancia


Il problema legato alla capacit di intendere e di volere dell'imputato ha costituito, come detto, il
pilastro fondamentale del processo in Corte d'Assise. In questa sede sono stati diversi i consulenti
che hanno analizzato l'imputato ai fini della diagnosi relativa all'imputabilit di Bilancia.

I consulenti nominati dal pubblico ministero, Enrico Zucca, sono Romolo Rossi e Francesco De Fazio
e Marco Lagazzi. In primo luogo i periti dell'accusa passano alla individuazione di elementi organici o
somatici di rilievo attraverso una tomografia assiale computerizzata ed un encefalogramma. I referti
hanno permesso agli esperti di escludere elementi organici di rilievo, anche con riferimento ai traumi
cranici subiti in passato da Bilancia. Rossi e De Fazio sottopongono Bilancia a tutta una serie di test:

nel test Minnesota hanno riscontrato uno stato depressivo compatibile con l'ambiente
carcerario e qualche elemento di impulsivit, di discontrollo dell'impulso in misura limitata.
dal test Rorschach emersa una dimensione decisamente nevrotica; emersa una tendenza
all'ansia espressa esternamente.
il test Wais infine ha mostrato delle inibizioni ansiose.

L'intelligenza che ne emersa di livello medio, tendente verso il buono. Il quoziente intellettivo di

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120 senza deterioramento di rilievo.

Per quanto riguarda l'esame psichico, Rossi e De Fazio notano un tipo di comportamento che mira a
tenere sempre in pugno il controllo della situazione, individuano quella tendenza alla manipolazione
degli altri che , come visto, un elemento tipico dei serial killer. Il suo comportamento, secondo i
periti, del tutto adeguato, la coscienza vigile, lucida, la memoria molto ben funzionante. Non ci
sono disturbi della tensione, della percezione e del pensiero. Sul piano affettivo Rossi e De Fazio
descrivono il periziando come una persona piuttosto ansiosa, ma con momenti in cui scoppiava in un
pianto silenzioso, soprattutto quando rievoca la tragica esperienza della morte del fratello, che si
gett sotto un treno con il figlioletto in braccio a seguito di una serie di contrasti con la moglie. Alcune
idee assumono per Bilancia valore preminente, soprattutto due: la prima quella di essere stato, fin
dall'infanzia, sempre maltrattato, tradito e ferito da coloro cui concedeva affetto e confidenza, la
seconda l'idea di essere condannato alla solitudine.

In secondo luogo, Rossi e De Fazio analizzano la possibilit di individuare una diagnosi psichiatrica,
cio individuare l'eventuale presenza di qualche malattia psichiatrica riconosciuta dalla nosologia.
Innanzitutto, sono stati esclusi aspetti di tipo schizofrenico o paranoide, anche se sono presenti dei
tratti fobici (ha il terrore del dolore fisico). Improponibile per i periti anche la diagnosi di
"depressione intensa" e di disturbo del controllo degli impulsi. Rossi e De Fazio escludono anche
forme di parafilia, cio disturbi della sfera sessuale; Bilancia non sarebbe un "perverso specifico", ma
un "perverso polimorfo" con una sessualit prettamente voyeuristica. I consulenti tecnici escludono
anche l'esistenza di qualsiasi sindrome di disturbo dissociativo, mentre ritengono molto intensa la
dimensione di disturbo narcisistico di personalit. Un altro aspetto da considerare, secondo Rossi e
De Fazio, l'esistenza di una personalit istrionica, che per ritengono una modificazione
quantitativa, non qualitativa rispetto alla norma.

I periti affermano, inoltre, che l'et in cui l'imputato diventa serial killer, 47 anni, atipica, in quanto
l'et media di un assassino seriale, al momento del primo omicidio intorno ai ventinove anni. Rossi
spiega che questo "passaggio all'atto tardivo con incapacit di Bilancia di sopportare la pi piccola
frustrazione, sentendosi tradito da quelle che credeva delle grandi amicizie. Fino a quel momento la
rappresentazione di s era quella di un grande ladro, di un giocatore d'azzardo internazionale, ma poi
entra in gioco l'immagine del serial killer ed uccide perch immedesimatosi in questo ruolo. Uccide
per recitare una parte che lo gratificava". (86)

La perizia psichiatrica di Rossi e De Fazio descrive Bilancia come una persona intensamente
sofferente e, nel suo vissuto, si rappresenterebbe i genitori come attenti solo ai suoi bisogni materiali,
non a quelli affettivi. Fino all'adolescenza, Bilancia ha sofferto di enuresi notturna (uno degli elementi
caratteristici della "triade di McDonald", tipica dei serial killer) e la madre mostrava ai vicini le lenzuola
bagnate, mentre il padre lo faceva spogliare e lo scherniva di fronte alle zie per il pene piccolo.
Questi traumi hanno fatto in modo che lui non sia capace di tollerare le frustrazioni ed abbia un
bisogno continuo di risarcimento per quelle ferite antiche. In lui si sviluppata un insicurezza che lo
ha portato a vivere in quasi totale solitudine, senza amicizie vere. Rossi sostiene che il bisogno di
risarcimento stato soddisfatto con la costruzione di un s grandioso.

Secondo la perizia, alcuni omicidi sarebbero "omicidi transferali", termine psicoanalitico che sta ad
indicare omicidi commessi per vendetta e per risarcimento, altri "omicidi pseudoerotici", quelli in cui
entrava nel gioco del serial killer erotico, e "omicidi da giustificazione o da razionalizzazione" in cui
cercava di uccidere la parte infantile di s, senza riuscirci. In sostanza, i primi delitti e quelli per
rapina sono legati alla vendetta per essere stato umiliato da bambino, quelli delle donne dal desiderio
di controllo totale sulla madre.

Rossi e De Fazio evidenziano soltanto la sussistenza di un disturbo del comportamento che per
rappresenta solo uno degli aspetti del carattere di Bilancia, che "non ha inciso sulla capacit di
intendere la realt dei delitti che andava consumando". (87) I periti si soffermano sulla possibilit

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della presenza di un disturbo borderline della personalit, in quanto lo reputano l'unico disturbo di cui
potrebbe esserci una vera alterazione. Quello borderline un quadro che non psicotico, bens
caratterizzato da disturbi dell'identit, dei rapporti interpersonali e dell'umore, aggravata dalla
compresenza di disturbi narcisistici, che sono ben altra cosa rispetto alla vera e propria infermit
idonea ad incidere sulla capacit di intendere e di volere. Il professor Rossi conclude affermando che
"a mio parere, tuttavia, per usare un termine non giuridico, si tratta di una persona tragica, ma
altamente responsabile. Le due cose non si elidono". (88) In conclusione i periti del pubblico
ministero ritengono Donato Bilancia pienamente capace di intendere e di volere.

Diverso , come pu prevedersi, il risultato dei consulenti tecnici di parte, Elio Di Marco e Giacomo
Canepa. I periti ritengono, per poter meglio comprendere la lettura psichiatrica dell'imputato, che sia
necessario dividere la vita di Bilancia in tre fasi: la prima fase va dalla nascita del periziando fino al
1987, anno in cui il fratello si suicidato portando con s a morte anche il figlio; la seconda fase va
da questo momento fino al giorno in cui Bilancia sente dire quella tragicamente famosa frase:
"abbiamo incastrato il Walter"; infine, la terza fase che arriva fino al processo, comprendendo tutti i
delitti della serie. Relativamente alla prima fase, ad avviso di Di Marco, sono particolarmente
importanti i primi 10-12 anni, caratterizzati da rapporti quantomeno conflittuali con i genitori.
Crescendo arriva il momento in cui Bilancia deve affrontare lo sviluppo dell'istinto sessuale e questo
un momento difficile per Bilancia, perch il suo mondo degli affetti sufficientemente compromesso
e non riesce assolutamente ad elaborare il legame tra sessualit ed affettivit, come dimostrer in
seguito frequentando esclusivamente prostitute.

Un episodio ritenuto da Di Marco e Canepa particolarmente rilevante quello avvenuto nel 1982,
quando Bilancia alla guida di un autobotte, durante il lavoro, ebbe un incidente stradale che lo fece
stare per tre giorni in coma; da questo momento che l'imputato rifiuta di svolgere un qualche lavoro
e si dedica esclusivamente all'attivit delinquenziale. Canepa dichiara nella sua perizia che a causa
di questo incidente il periziando riport il 44% d'invalidit e che, nel 1990, ebbe un altro infortunio che
gli caus il 18% d'invalidit; in base a questi dati il perito sostiene che le capacit intellettive di
Bilancia, in relazione all'et dello stesso, siano gravemente danneggiate.

I consulenti tecnici di parte, inoltre, individuano un altro elemento importante dal punto di visto degli
affetti; l'unica figura per la quale prova un affetto profondo quella del fratello Michele ed per
questo che la sua morte risulter particolarmente traumatica per il periziando e lo rinchiuder ancor
pi in un mondo di solitudine. Soltanto dopo molti anni riesce a costruire un nuovo legame di
amicizia, con Maurizio Parenti; ma quando ascolta quella frase dentro la bisca e si accorge che
anche lui ha tradito la sua fiducia, Bilancia diventa veramente un uomo solo; a questo punto inizia la
terza fase, in cui tutta questa situazione aumenta l'angoscia dell'imputato, sempre pi finch non
diventa insopportabile, un dolore il cui livello si identifica con quello dell'angoscia psicotica. Quando
raggiunge il suo culmine, quando cio Bilancia non riesce pi a controllare i suoi impulsi, si realizza
l'omicidio. Con la realizzazione di questo, il livello di angoscia scende o comunque diviene pi
sopportabile.

Di Marco continua affermando che un altro dato importante la telefonata al magistrato per
rivendicare l'omicidio di Centanaro; il perito ritiene che questo non soltanto indice di una personalit
di tipo narcisistico, ma nasconde il desiderio inconscio di essere fermato, tant' vero che in ogni
episodio lascia delle tracce e addirittura una persona viva, che quindi in grado di riconoscerlo. Di
Marco e Canepa ritengono pertanto che i meccanismi psicologici che si sono messi in moto dopo la
famosa frase della bisca non hanno il carattere di una sola malattia, ma l'aspetto di molte infermit.
Nel senso che si trovano, da questo momento in poi, aspetti paraniocali, nella fattispecie una sorta di
delirio di persecuzione, aspetti antisociali e narcisistici della personalit; infine, aspetti borderline di
personalit: incapacit di rapporti, di tollerare le frustrazioni, reazioni abnormi, con la previsione di un
progressivo peggioramento dello stato psichico dell'imputato.

Conclude Di Marco: "quindi non molto importante o necessario, a mio avviso, fare molte diagnosi,

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qui ci sono molte diagnosi che tutte insieme assolutamente vengono a rendere Bilancia totalmente
incapace di decidere cosa fare quando commette questi delitti". Quanto alla capacit di volere,
secondo i periti della difesa, "stata totalmente inficiata, perch gli aspetti paranoicali, narcisistici, gli
spunti persecutori, hanno assunto il valore di una infermit molto grave. Non esisteva la possibilit
per Bilancia di fermarsi. Io credo che anche la capacit di intendere fosse gravemente lesa, inficiata,
come dimostra la sproporzione totale tra causa ed effetto fin dai primi omicidi. Per quello che
importa a noi che la capacit di volere lo era totalmente". (89)

Infine i consulenti della Corte i professori Pierluigi Ponti e Ugo Fornari ed il dottor Giacomo Mongodi
effettuano la loro indagine tentando di ricostruire lo stato di mente dell'imputato al momento in cui ha
commesso i delitti; Fornari ad indicare la premessa metodologica con parole chiare ed essenziali:
"questa Corte ci ha fatto un quesito appropriato, perfetto e cio ci ha chiesto se esisteva un infermit
di mente tale da costituire vizio parziale o totale di mente; su questo i periti hanno competenza.
Quindi, in contenitore in cui ci siamo mossi quello degli artt. 88-89 del codice penale, non dell'art.
85.; alla luce di ci, tutto quello che emerge dalla perizia, che pu anche indicare la presenza di una
patologia clinica, va tenuto distinto dai quesiti sull'imputabilit, in quanto ci pu essere una persona
affetta da disturbi patologici psichici di una certa gravit ma capace di intendere e di volere". (90)

Dal punto di vista dell'analisi del periziando, i periti considerano in primo luogo le testimonianze di
coloro che ebbero contatti con Bilancia nei giorni immediatamente precedenti o successivi ai singoli
delitti, affermando che nessuno di questi ebbe l'impressione che si trattasse di una persona
psichicamente disturbata. I secondo luogo hanno cercato di ricostruire lo stato d'animo
eventualmente morboso che sussisteva nell'imminenza o durante l'attuazione dei delitti ed anche in
questa seconda indagine non emerso alcunch che fosse indicativo della presenza di uno stato
morboso.

I periti affermano anche che Bilancia, parl loro di una sorta di impulso irresistibile ad uccidere sorto
in lui dopo aver ascoltato l'ormai famosa frase della bisca; in realt, precisa Ponti, "un fenomeno di
obnubilamento della coscienza di questo tipo, che comincia immediatamente prima di un delitto e
finisce subito dopo, sotto il profilo psichiatrico assolutamente inesistente". Cio non esiste un
disturbo mentale che comporti, a scadenza fissa, un'alterazione della cosciente partecipazione. In
questi casi continua Ponti "avremmo uno sdoppiamento della personalit che si presenta quasi
ritmicamente, ma una scissione della personalit di questo tipo non concepibile e non esistente
nella psichiatria". (91) Pur essendo riscontrati tratti di personalit di tipo narcisistico ed istrionico in
Bilancia, Ponti, Fornari e Mongodi sostengono che essi individuano semplicemente lo stile di vita e il
profilo psicologico dell'imputato ed il fatto che per gli omicidi successivi ai primi tre il movente sia
rimasto ignoto, non vuol dire, per ci solo, che questo assuma carattere di malattia.

I periti della Corte continuano affermando che "poich dagli esami diretti, dai colloqui e dai test non
emerso alcun dato di significativo psicopatologico che avesse valore di malattia e che potesse
pertanto ipotizzarsi quale infermit, siamo giunti alla conclusione che Bilancia era al momento dei
fatti, come nell'attualit, pienamente capace di intendere e di volere, posto che sono una malattia
condizione indispensabile per poter attenuare o abolire la capacit di intendere e di volere". (92)

L'organo giudicante afferma infine, come precisa nella motivazione della sentenza, che "emerge con
tutta evidenza la congruit, a ragionevolezza e la fondatezza scientifica della tesi sostenuta dai periti
e condivisa dai consulenti del pubblico ministero". (93) La Corte d'Assise, non negando la presenza
di disturbi della personalit in Bilancia, sostiene per che questi non sono qualificabili come infermit
ai sensi degli artt. 88-89 del codice penale.

2.5.2. Conclusioni del pubblico ministero, delle parti civili, del difensore
dell'imputato
Chiusa la lunga istruttoria dibattimentale con l'acquisizione di ulteriore documentazione, il 3 aprile,

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inizia la requisitoria, secca, scarna e senza fronzoli del P.M. Enrico Zucca, il quale ricostruisce i
diciassette omicidi confessati dal serial killer, continua affermando la responsabilit dell'imputato
anche per la morte di Giorgio Centanaro, che invece le parti civili ritengono sia dovuta a cause
naturali, rivendica l'assoluta certezza scientifica dei riscontri del Dna e termina, come prevedibile, con
la richiesta di 13 ergastoli, ricordando la brutalit degli omicidi e l'assenza di motivazioni nel compiere
il progetto omicidiario da parte di Bilancia.

Subito dopo vengono indicate le conclusioni delle parti civili, che, come detto, ritengono inattendibile
la confessione del serial killer, in quanto propendono per la presenza di concorrenti nell'esecuzione di
alcuni omicidi o, per quanto riguarda i primi tre eventi delittuosi, di mandanti; secondo le parti civili,
questa pista stata trascurata intenzionalmente dal pubblico ministero per chiudere in fretta le
indagini.

La parte civile Centanaro viene, invece, a negare l'assassinio di Centanaro stesso ad opera di
Bilancia, ritenendo che, la morte fosse causata da infarto cardiocircolatorio, ma ritiene di chiedere
che sia "esclusa la responsabilit di Bilancia come autore del fatto nei modi e nei tempi indicati dallo
stesso, comunque condannare l'imputato stesso per aver, con la sua presenza nei tempi e nei modi
prospettati, favorito il verificarsi dell'evento comunque voluto" (94). In sostanza, secondo questa parte
processuale, Bilancia dovrebbe essere condannato per aver soltanto favorito una morte che
comunque ha dimostrato di aver voluto. La parola passa poi al difensore dell'imputato, che chiede
l'assoluzione per vizio totale di mente; come afferma l'avvocato Umberto Garaventa: "Bilancia non
pu essere giudicato a prescindere dalle sue azioni, come dicono i consulenti della Corte. I suoi delitti
sono testimonianza, effetto e sintomo della sua malattia".

Effettuate le repliche tra le parti, la Corte, il 10 aprile si ritira in camera di consiglio per la decisione.

2.5.3. La sentenza della Corte d'Assise


Il 12 aprile 2000, la Corte d'Assise di Genova, presieduta da Loris Pirozzi, insieme al giudice togato
Massimo Cusatti ed ai sei giudici popolari, dopo quasi cinque ore di camera di consiglio, emette la
sentenza, condannando Donato Bilancia a 13 ergastoli pi tre anni di isolamento diurno,
infliggendogli, inoltre, 16 anni per il tentato omicidio ai danni del viado Lorena e di Luisa Ciminiello,
sei anni per le varie rapine, altri sei anni per vilipendio di cadavere ai danni di Maria Angela Rubino,
disponendo un risarcimento dei danni che ammonta a 50 milioni delle vecchie lire in favore di ogni
parente delle vittime costituitesi parte civile, oltre all'interdizione perpetua dai pubblici uffici e al
pagamento delle spese processuali.

Per lo svolgimento del processo al serial killer, circa 30 udienze, sono stati coinvolti 29 avvocati, 144
testimoni citati dal P.M. Enrico Zucca, 120 da difesa e parti civili e 19 dai periti. La storia
dell'assassino seriale raccolta in 65 faldoni per 85 mila pagine complessive, arricchite da 80
fascicoli di intercettazioni telefoniche, tabulati su utenza e videocassette.

La motivazione della sentenza particolarmente ampia e la Corte non tralascia il bench minimo
aspetto della vicenda. Dopo aver ricostruito i singoli delitti alla luce della confessione dei Bilancia, dei
riscontri effettuati e delle testimonianze emerse nel corso del dibattimento, ritenendo le dichiarazioni
dell'imputato, in linea con le conclusioni del P.M., del tutto attendibili, analizza, in primo luogo il
problema dell'imputabilit, dimostrando di aderire pienamente alla tesi dei periti nominati dal pubblico
ministero. Riguardo a quest'aspetto, la Corte ritiene opportuno fare una premessa sulla personalit
dell'imputato, partendo dalle precedenti vicende giudiziarie dell'imputato, passando per le condizioni
di salute, la passione per il gioco d'azzardo, il rapporto di Bilancia con il danaro e con le donne per
finire con il comportamento prima dei delitti cos come sono stati descritti dai testimoni del processo.

Infine, passa a motivare le risultanze dei periti, accogliendo, come detto, le tesi dei periti nominati dal
pubblico ministero. Nella motivazione della sentenza emerge chiaramente il perch di questa

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decisione; la Corte spiega, infatti, che mentre i periti ed i consulenti tecnici del pubblico ministero
hanno cercato nei fatti e nella stessa storia di Bilancia i segni di un disagio psichico che andasse al di
l del mero disturbo di personalit, che comportasse fenomeni di scollamento dalla realt e di
incontrollata gestione degli impulsi, i consulenti della difesa si sono limitati a battere il tasto
dell'anamnesi dell'imputato: come se bastasse avere un vissuto di incomprensione da parte dei
genitori, vivere male la propria sessualit, impostare la propria vita in senso antisociale, essere dediti
al gioco d'azzardo per diventare, ineluttabilmente, un omicida plurimo. La Corte sostiene che le cose
non stanno in questi termini e che occorre trovare, se si vuol sostenere la tesi dell'imputabilit un quid
pluris.

L'organo giudicante ritiene, inoltre, che sia errato ricercare temi psicanalitici quali la "ferita antica" da
risarcire o l'immedesimazione con il nipotino perito sotto il treno; "il diritto penale", continua, "non pu,
per sua natura, scendere cos a fondo nei meandri della coscienza, perch, se cos facesse,
dovrebbe assolvere tutti, e non solo Bilancia, per aver agito sulla base di condizionamenti ambientali,
familiari e sociali". Del resto il compito del diritto penale quello di mediare tra le libert individuali e
la tutela della collettivit. Certamente anche la Corte esterna il fondato convincimento che Bilancia
sia un soggetto "anormale" sul piano psichiatrico, del resto i suoi disturbi della personalit non sono
stati disconosciuti nemmeno da periti e consulenti del pubblico ministero, ma ritiene altres che questi
disturbi non siano qualificabili come infermit ai fini degli artt. 88 e 89 del codice penale.

Terminato il discorso sull'imputabilit, la Corte affronta quello della continuazione nel reato,
affermando che quest'aspetto ha costituito il leitmotiv fin dall'inizio del giudizio. I giudici sostengono
che la comprensibile esigenza, per motivi di economia processuale, di un dibattimento unitario per
tutti i fatti contestati ha fatto premio sul rigore interpretativo dell'art. 81 del codice penale; in realt, gi
dagli interrogatori di Bilancia e dalle conclusioni rassegnate dai consulenti tecnici del pubblico
ministero, emerge che si tratti di una forzatura, per quanto non eccepita da alcuna parte processuale
nei tempi e nelle forme previste. Infatti, Bilancia, nella sua confessione, afferma che il suo programma
era quello di uccidere Centanaro e Parenti dopodich suicidarsi. Tutti gli omicidi successivi, per
espressa ammissione dell'imputato, esulano da un programma predeterminato, ancorch nelle sue
linee generali. Neppure la successiva teoria di Bilancia, che ha parlato di una "progressione" del suo
piano criminoso, idonea a spiegare i delitti successivi ai primi due in termini di una medesima trama
criminosa data la molteplicit dei moventi perseguiti. In sostanza, per l'organo giudicante, non c'
nemmeno un appiglio probatorio per affermare la continuazione tra i delitti o anche tra alcuni gruppi di
essi. Per la Corte questa l'ennesima riprova che "l'estrema attenzione portata alla persona di
Bilancia e alla sua storia faccia correre il rischio di perdere di vista l'imputato Bilancia". I giudici di
primo grado concludono affermando che ciascuno degli episodi criminosi successivi ai primi due fa
storia a s, un unicum e come tale va trattato sul piano sanzionatorio. Va invece riconosciuta
l'identit del disegno criminoso tra i singoli delitti di volta in volta consumati e quelli di detenzione e
porto illegale di arma da fuoco.

La Corte continua negando la concessione delle circostanze attenuanti generiche e la concessione di


un trattamento sanzionatorio pi mite per il comportamento processuale dell'imputato, in quanto
ritiene che la confessione abbia avuto valore eminentemente liberatorio. La questione della
commisurazione della pena ha per l'organo giudicante una soluzione obbligata: l'ergastolo. La Corte
si fa carico di giustificare questa sanzione alla luce delle recenti prese di posizione relative
all'incostituzionalit della pena perpetua, affermando che lo stesso art. 27 della Costituzione non
prevede che le pene realizzino coattivamente la rieducazione del condannato, ma soltanto che esse
debbano tendere a quest'obiettivo.

In conclusione, la Corte dichiara Donato Bilancia colpevole di tutti i delitti commessi, trattandosi di
soggetto pienamente imputabile al momento di ciascuno dei fatti a suo carico accertati e determina la
pena complessivamente inflitta a Bilancia in quella dell'ergastolo con isolamento diurno per tre anni.

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2.6. Il processo e la sentenza alla Corte d'Assise d'Appello. Sentenza della


Corte di Cassazione
Com'era da attendersi, il 6 ottobre 2000, Umberto Garaventa, l'avvocato di Donato Bilancia presenta
la dichiarazione di impugnazione ed i motivi d'appello nei confronti della sentenza della Corte
d'Assise di Genova. L'appello basato sul tentativo di ricondurre il ricorso sui temi dell'infermit
mentale con la critica della perizia d'ufficio e la richiesta di una nuova valutazione per contrastare la
sentenza di primo grado. Alla base della richiesta del difensore di Bilancia ci sono le osservazioni di
Alessandra Luzzago, ordinario di psicopatologia forense all'Universit di Pavia, una relazione di oltre
50 pagine, secondo la quale, dai test effettuati, emergono chiaramente i connotati della malattia
mentale del serial killer: il mancato controllo delle pulsioni, il profilo personale dove si evidenzia un
delirio di onnipotenza, un'accentuata componente nevrotica di tipo ossessivo.

Il 6 aprile presso l'aula bunker del palazzo di giustizia di Genova si apre il processo di secondo grado
nei confronti di Bilancia, davanti alla Corte d'Assise d'Appello presieduta da Bruno Noli, affiancato dal
giudice relatore Renato Pastorino. Questa volta il ruolo della pubblica accusa affidato al sostituto
procuratore Pio Macchiavello, che ha il compito di controbattere la tesi dell'avvocato Umberto
Garaventa, il quale intende ottenere una nuova perizia psichiatrica ed il riconoscimento dell'infermit
mentale del suo assistito. Come in primo grado Bilancia assente e anche in questo caso l'imputato
invia una lettera ad i giudici per spiegare che la sua scelta non motivata da sfiducia nei loro
confronti, ma perch, dice, non ha il coraggio di guardare in viso i parenti delle vittime; anche per
questo motivo l'aula deserta: sono presenti soltanto tre parenti delle vittime, il fratello di Maurizio
Parenti ed i genitori di Carla Scotto, gli avvocati, i giornalisti e nessun curioso.

La prima udienza si svolta interamente sullo sfondo della relazione introduttiva del giudice a latere,
che ha ripercorso tutte le fasi della confessione di Bilancia riguardante i 17 omicidi compiuti tra
l'ottobre del 1997 e l'aprile del 1998. Umberto Garaventa, difensore dell'imputato, prospetta quello
che sar il fulcro del giudizio: " un processo dove non ci sono impugnazioni. L'unico problema di
questa fase processuale quello dell'infermit mentale di Bilancia. un processo senza storia che
non sia questa. Per Bilancia ottenere la parziale o totale infermit significa essere curato. Questo non
cambia la sua vita ma le prestazioni che pu ricevere". Il 13 aprile si svolge la seconda udienza del
processo.

La svolta si verifica gi in quest'udienza allorch i giudici respingono la richiesta di rinnovazione


parziale del dibattimento per una nuova perizia psichiatrica avanzata dalla difesa. A questo punto il
pubblico ministero pronuncia la sua richiesta: ergastolo e 28 anni di reclusione, pi tre anni di
isolamento per 17 omicidi, due tentati omicidi, vilipendio di cadavere e rapine. La richiesta stata
pronunciata dopo circa due ore di requisitoria basata, quasi esclusivamente, sulla base delle
risultanze della fase istruttoria. Il giorno successivo la Corte, dopo due ore e mezzo di camera di
consiglio, emette la propria sentenza: ergastolo e ventisei anni di reclusione per il serial killer della
Liguria. A leggerla il presidente della Corte Bruno Noli davanti ad un'aula di giustizia ancora una
volta deserta. In primo grado erano state necessarie pi di trenta udienze per condannare Bilancia,
ora soltanto tre; un processo lampo che ha confermato la pena inflitta in primo grado al serial killer,
basato quasi del tutto su quanto l'imputato ha dichiarato nella confessione e non considerando le
richieste del difensore dell'imputato di effettuare una nuova perizia.

La parola fine a questa tragica vicenda stata da poco messa da parte della Corte di Cassazione; il
12 aprile 2002, Mario Sossi, presidente della prima sezione penale della Suprema Corte si pronuncia
confermando la sentenza emessa dalla Corte d'Appello. Anche in questa sede i difensori di Bilancia
hanno sostenuto la tesi dell'incapacit di intendere e di volere, sulla base in particolar modo, delle
osservazioni di Alessandra Luzzago, la quale sostiene l'esistenza di un difetto della personalit in
Bilancia che lo rende quanto meno seminfermo di mente. Ma la prima sezione penale della Corte di
cassazione non ha dato credito alle loro tesi, sottolineando come il serial killer avesse agito con

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lucidit, sia al momento dei delitti che quando rese la sua lunga confessione.

Bilancia tuttora detenuto nel carcere di Padova.

2.7. Tratti salienti della personalit di Bilancia. Elementi comuni e


difformit rispetto alla figura prototipica di serial killer tratteggiata dalla
letteratura criminologica-investigativa internazionale
La figura di Bilancia sicuramente estremamente interessante perch in essa, oltre a molti elementi
che possono riscontrarsi nella maggioranza dei serial killer, si trovano aspetti del tutto peculiari ed
anomali, che fanno di lui un unicum nella casistica internazionale.

Per quanto riguarda gli aspetti tipici degli assassini seriali, molti di questi sono emersi con prepotenza
durante le perizie effettuate in primo grado; vediamoli nel dettaglio. Il primo elemento da considerare
la mancanza di empatia. Bilancia, infatti, in almeno sedici degli episodi delittuosi, mostra un totale
disinteresse nei confronti del tipo di risposta delle vittime alla sofferenza che egli infligge loro durante
le aggressioni. La modalit esecutiva torna implacabile omicidio dopo omicidio: egli non mostra alcun
segno di piet, si mostra freddo, lucido, spietato e le varie esecuzioni sono di tipo "sicariale".
Quest'elemento pu ricondursi al vissuto di Bilancia, improntato alla solitudine, al pessimo rapporto
con i genitori e ad un'infanzia problematica, aspetto ricorrente nelle storie di vita di altri serial killer.

Un'altra caratteristica tipica data dalla tendenza manipolativa, che pu essere inferita dal tipo di
contatto utilizzato dal Bilancia nei confronti delle vittime prescelte; nella maggior parte si tratta di una
approccio "seduttivo", egli si avvicina, infatti, alla vittima mostrando la parte rassicurante di s, ad
esempio quando avvicina il Parenti con la scusa di fargli vedere alcuni orologi e, un volta vicino a lui,
mostra le sue reali intenzioni. In altri casi per muta radicalmente la strategia di contatto, agisce
improvvisamente, secondo la modalit del blitz attack, usando la terminologia dell'F.B.I., non
lasciando alcuno scampo alla vittima, come avviene per gli omicidi sui treni o nel caso dei due
metronotte. Da tutto ci si evince nitidamente che Bilancia era perfettamente consapevole del tipo di
strategia pi adeguata da adottare nei diversi contesti in cui hanno avuto luogo le sue incursioni
omicide. Sa essere seduttivo quando questo sembra garantirgli una migliore strategia di contatto e sa
essere freddo e spietato quando pensa che la situazione possa richiedere un diverso approccio per
centrare l'obiettivo.

Un altro aspetto comune a molti altri serial killer quello dell'incapacit di assumersi le proprie
responsabilit. Questo tratto pu essere inferito dal fatto che Bilancia sembrava agire in una certa
misura mosso da una "spinta catartica" ossia voleva "fare pulizia" (come risulta dai verbali di
confessione): egli, infatti, considera ognuna delle sue vittime in una certa misura responsabile della
loro morte in quanto "soggetti tutt'altro che degni di continuare a vivere". In proposito a ci Bilancia,
nella sua confessione fiume, ha pi volte dichiarato che, se avesse continuato la sua serie di delitti, i
prossimi bersagli sarebbero stati i maggiori esponenti della malavita genovese, gestori di bische in
primis.

Un altro connotato tipico degli assassini seriali riscontrabile anche in questo caso quella del
grandioso senso di s, che pu essere dedotto dall'omicidio ai danni dei due metronotte; egli, dopo
aver fatto salire in automobile il viado Lorena con l'allettante offerta di un milione per un rapporto a
casa del serial killer, lo conduce poi nel parco di una delle pi belle ville di Novi Ligure, fingendo di
possederne la chiave d'accesso. Dice alla vittima di essere un imprenditore di successo e che la villa
in ristrutturazione perch sta apportando delle costosissime migliorie all'edificio, il quale
"naturalmente" di sua esclusiva propriet. In altre parole, tende a fornire un'ipertrofica e del tutto
fasulla immagine di s.

Un altro aspetto ricorrente negli assassini seriali l'impulsivit; in Bilancia questa caratteristica si

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estrinseca in particolar modo dalla frenesia che l'ha colto proprio nell'episodio di Novi Ligure all'arrivo
dei due metronotte, quando cio la situazione gli sfuggita di mano, cosa che poi ha permesso al
viado di sopravvivere e di diventare il suo primo accusatore. Correlato a questo aspetto, notiamo in
Bilancia uno scarso controllo comportamentale: utilizzando questo termine mi riferisco a quei casi in
cui l'aggressore non sembra in grado di controllare adeguatamente il proprio comportamento durante
la perpetrazione di un delitto. Soprattutto nella seconda fase (dopo l'omicidio di Stela Trujo), la
condotta criminale di Bilancia sempre pi avventata, emblematico l'omicidio di Maria Angela
Rubino, quando, dopo averla uccisa, si masturba sul suo cadavere. Questo comportamento, incauto
e del tutto imprevisto, del serial killer ha permesso il campionamento del suo Dna, risultato in seguito
di cruciale importanza investigativa e pu esser causato da diversi fattori: il maggior bisogno
compulsivo di uccidere, accettando anche il rischio di venire scoperto, la sfiducia nelle forze
dell'ordine, il desiderio inconscio di esser catturato o la maggior sicurezza nei propri mezzi.

Bilancia denota un ulteriore caratteristica: la totale assenza di rimorso e di sensi di colpa, come
risulta dal fatto che capace di compiere azioni efferate e, subito dopo, di fingere la pi completa
calma ed indifferenza. Emblematico il caso del duplice omicidio dei coniugi Solari: due testimoni
affermano di aver visto una persona (poi identificata in Bilancia) scendere le scale fischiettando,
fermarsi subito prima del portone del palazzo e chiedere, con gentilezza e calma cosa fosse
successo, quindi per niente in preda ad angoscia o a qualsiasi altra sensazione che potesse in
qualche modo collegarsi a quanto era accaduto solo pochi istanti prima.

Altri elementi, invece, allontanano Bilancia dalla figura prototipica del serial killer cos come viene
tratteggiata dalla letteratura criminologico-investigativa internazionale. In primo luogo va considerato
il fattore et in cui Bilancia d avvio alla serie di delitti. Il predetto inizia ad uccidere a 47 anni, mentre
l'et media, stimata sulla base dei dati forniti dalla casistica internazionale, di 29 anni (con un range
compreso tra i 20 e i 40 anni). A differenza del tipico omicidio seriale maschile, che vede come vittime
persone sconosciute, Bilancia inizia la propria serie omicidiaria coinvolgendo in primo luogo la sfera
delle sue frequentazioni amicali pi assidue. L'assassino seriale in questione, inoltre, non predilige
un'unica categoria di vittime, ma scelta vittimologica di Bilancia cade su amici che l'hanno tradito,
prostitute, obiettivi di carattere "economico" (i due cambiavalute), ragazze comuni, vittime accidentali
(i due metronotte e la moglie di Parenti). A differenza della figura tipica di serial killer, Bilancia non
uccide le proprie vittime prediligendo il contatto fisico (evita l'utilizzo di armi da taglio o pratiche quali
strozzamento e strangolamento, eccetto che per il primo omicidio), ma uccide utilizzando un'arma da
fuoco, una Smith & Wesson calibro 38 special.

Un altro aspetto tipico della serialit omicida risiede nel fatto che molto raramente gli assassini seriali
sfogano la propria furia omicida direttamente sulla persona che l'ha provocata in prima istanza.
Questa caratteristica si riscontra, invece, nei primi due omicidi di Bilancia, il quale uccide Centanaro e
Parenti perch ritiene di essere stato tradito da coloro che ritiene amici (soprattutto il secondo). ,
inoltre, presente soltanto in parte una motivazione di carattere sessuale (propria della maggior parte
degli assassini seriali maschi); anche negli omicidi delle prostitute la matrice motivazionale sessuale
agisce soltanto sullo sfondo del movente primario, che dato dal bisogno compulsivo di uccidere,
come del resto si evince dal fatto che non sussiste alcun segno di "sfregio specificamente sessuale"
sui cadaveri delle giovani "lucciole" assassinate. Da quanto complessivamente emerso nella
descrizione del "caso Bilancia", possiamo affermare che questo serial killer pu essere considerato
tendenzialmente "organizzato", come dimostra la preparazione specifica della stragrande
maggioranza degli omicidi, seppur con ampi tratti di disorganizzazione, che hanno poi consentito la
sua cattura.

Donato Bilancia, in conclusione, pu esser considerato un assassino seriale assolutamente fuori


dell'ordinario. Per molti rappresenta un caso che "finir sui libri di criminologia", (95) in quanto
coesistono nella sua figura ben tre profili: la criminalit ordinaria (gli omicidi a seguito delle rapine), la
psicopatologia nei confronti di una categoria ben determinata, le prostitute, e quella nei confronti di
persone assolutamente estranee alla sua persona, le donne sui treni. In primo luogo, come detto,

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Bilancia un criminale "ordinario" come dimostra la sua storia giudiziaria. Ma egli uccide anche le
prostitute, spesso per procurarsi i soldi per giocare al casin; ma per prendere il denaro alle ragazze
non era certamente necessario ucciderle. Le uccisioni, poi, avvengono con una ritualit precisa,
facendo inginocchiare le vittime e coprendo loro la testa con un indumento.

Per quanto riguarda i delitti sui treni, infine, ci troviamo di fronte a vittime scelte a caso, il movente
della rapina assente; il treno ha per Bilancia una simbologia ben precisa: gettandosi sotto un
convoglio ferroviario si tolto la vita il fratello del serial killer con il figlioletto, dopo la separazione
dalla moglie. Da quel momento l'uomo ha maturato rancore nei confronti delle donne ed ucciderle in
quel luogo acquisisce per Bilancia appunto un valore simbolico. Da questo punto di vista pu essere
considerato un maniaco vero e proprio.

3. Luigi Chiatti: il "mostro di Foligno"


La vicenda di Luigi Chiatti una di quelle maggiormente note agli operatori criminologici, in particolar
modo per l'ampio risalto dato dai media al caso in questione a causa del particolare allarme sociale
causato dai suoi omicidi. Le vittime di Chiatti, infatti, sono due bambini, elemento che ha provocato,
non solo in Umbria, ma anche nel resto d'Italia una sorta di "psicosi pedofilia". Ho ritenuto opportuno
citare questa vicenda, da un lato, per prospettare un caso riguardante un assassino seriale avente
per oggetto la categoria vittimogena dei bambini, dopo aver analizzato le vicende di un omicida
sessuale sadico (Stevanin) e di un assassino seriale a "vittimologia mista" (Bilancia), dall'altro,
appunto per l'impatto che il fatto in questione ed il relativo processo (insieme con quello al cosiddetto
"mostro di Firenze") ha avuto sull'opinione pubblica e sugli addetti ai lavori, che fino a quel momento
consideravano il fenomeno dell'omicidio seriale come una questione estranea al nostro paese e
propria della realt americana.

Occorre premettere che, seguendo la definizione di serial killer e la relativa tassonomia creata
dall'F.B.I., questo omicida andrebbe escluso dal novero degli assassini seriali, in quanto ha ucciso
soltanto due vittime. In realt, conformandomi alla pi corretta definizione resa da De Luca (vedi cap.
1) sull'argomento, ritengo che Luigi Chiatti debba di diritto entrare in questa categoria, in quanto,
come lui stesso ha ammesso, se non fosse stato catturato avrebbe inevitabilmente continuato ad
uccidere. George B. Palermo, noto criminologo americano parla, a proposito di Chiatti, di "serial killer
abortivo", proprio per questo motivo. Vediamo nel dettaglio questa vicenda.

3.1. I fatti
Il 4 ottobre del 1992 Simone Allegretti, un bimbo di quattro anni e mezzo di Casale, un paesino vicino
Foligno, scomparve da casa. Venne ricercato per giorni, ma senza risultato. La polizia e la
popolazione del luogo perlustrarono invano i dintorni, le indagini si allargarono, vennero seguite molte
piste. L'ipotesi di un rapimento per fini di estorsione venne subito abbandonata per le modeste
condizioni economiche della famiglia e si and ormai facendo strada il terribile dubbio che il piccolo
fosse rimasto vittima di qualche maniaco: tutti i giornali parlarono dell'esistenza di un mostro.

Pochi giorni dopo la sua scomparsa un giovane agente immobiliare di Milano, Stefano Spilotros, si
costitu dichiarandosi autore dell'omicidio, ma le indagini accertarono poi che si trattava di un
mitomane: erano emerse troppe contraddizioni e l'indagato non seppe nemmeno dichiarare dove
avesse celato il cadavere. Egli stesso, infatti, ritratt dicendo. "la mia ragazza voleva lasciarmi e io
volevo essere ucciso, per questo ho inventato tutto". Quando Spilotros era ancora indiziato, venne
trovato in una cabina telefonica di Foligno un messaggio anonimo senza data, scritto in stampatello
col normografo su un foglio di carta quadrettata:

AIUTO!
AIUTATEMI PER FAVORE

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IL 4 OTTOBRE HO COMMESSO UN OMICIDIO.


SONO PENTITO ORA, ANCHE SE NON MI FERMERO' QUI.
IL CORPO DI SIMONE SI TROVA VICINO LA STRADA CHE COLLEGA CASALE
(FRAZ. DI FOLIGNO) E SCOPOLI.
NUDO E NON HA L'OROLOGIO COL CINTURINO NERO E QUADRANTE BIANCO.
PS NON CERCATE LE IMPRONTE SUL FOGLIO, NON SONO STUPIDO FINO A
QUESTO PUNTO.
HO USATO DEI GUANTI.
SALUTI AL PROSSIMO OMICIDIO.

IL MOSTRO.

Nel luogo indicato, in fondo ad un pendio fiancheggiante quella strada, nascosto in mezzo a dei rifiuti,
venne, in effetti, ritrovato il cadavere del bambino: era morto per strozzamento, aveva una ferita da
coltello al collo, contusioni in pi parti del corpo, ma senza segni di violenza carnale. Gli abiti erano
sparsi attorno. Le indagini si intensificarono e si allargarono ulteriormente, vennero lanciati appelli, fu
istituito un numero verde per raccogliere qualsiasi segnalazione, ma si brancolava ancora nel buio.
Quello che poi doveva risultare un mitomane era ancora in stato di fermo. Alla polizia erano giunte
alcune telefonate di ignoti che si dichiaravano gli autori dell'omicidio di Simone.

Qualche giorno dopo l'autodenuncia di Spilotros, venne trovato nella stessa cabina telefonica un altro
messaggio, scritto con gli stessi caratteri, e con un tenore di compiaciuto scherno nei confronti di
coloro che svolgevano le indagini.

AIUTO!

NON RIESCO A FERMARMI.


L'OMICIDIO DI SIMONE STATO UN OMICIDIO PERFETTO.
CERTO, DURO AMMETTERE CHE SIA COSI' DA PARTE DELLE FORZE
DELL'ORDINE, MA ANALIZZIAMO I FATTI.
1 IO SONO ANCORA LIBERO.
2 AVETE IN MANO UN RAGAZZO CHE NON HA NULLA A CHE FARE CON
L'OMICIDIO.
3 NON AVETE LA MIA VOCE REGISTRATA, PERCH NON HO EFFETTUATO
NESSUNA CHIAMATA. QUINDI CHI DICE CHE HO TELEFONATO AL NUMERO
VERDE SBAGLIA.
4 LE TELECAMERE NON MI HANNO INQUADRATO DURANTE IL FUNERALE DI
SIMONE, PERCH NON CI SONO ANDATO.
SIETE QUINDI FUORI STRADA;
VI CONSIGLIO SI SBRIGARVI, EVITANDO ALTRE FIGURACCE.
NON POLTRITE.
MUOVETEVI.
CREDETE CHE BASTI UNA DIVISA E UNA PISTOLA PER ARRESTARMI.
USATE IL CERVELLO, SE NE AVETE UNO ANCORA BUONO E NON ATROFIZZATO
DAL MANCATO USO.
N.B. PERCH HO DETTO DI SBRIGARVI?
PERCH HO DECISO DI COLPIRE DI NUOVO LA PROSSIMA SETTIMANA.
VOLETE SAPERNE DI PIU'? VI HO GIA' DETTO TROPPO, ORA TOCCA A VOI
EVITARE CHE SUCCEDA.

IL MOSTRO.

L'impegno di uccidere ancora nell'arco di una settimana non venne mantenuto. Le indagini di mesi
non approdarono a nulla. Unico fatto di qualche significato fu la sottrazione dalla tomba della

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fotografia del piccolo Simone.

Si giunse cos al 7 agosto 1993, quando scomparve da casa, sempre da quelle parti, Lorenzo
Paolucci, un ragazzo di tredici anni. Fu Marcella Sebastiani che, verso le 14 e 20 di quel giorno,
segnal al 113 che il proprio nipote tredicenne mancava da casa da tre ore circa. La polizia si mise
subito in movimento, tutto il paese, ovviamente in allarme per l'assassino di un anno prima, part alla
ricerca del bambino, vennero organizzate delle squadre di volontari per esplorare i dintorni e ad esse
partecip anche Luigi Chiatti, un geometra di ventitr anni al momento disoccupato, che si trovava in
quei giorni nel paese, dove i suoi genitori adottivi avevano una seconda casa per il fine settimana:
egli vi si trovava da solo, perch padre e madre erano rimasti a Foligno, dove risiedevano. Chiatti
accompagn il nonno della vittima, Feliciano Sebastiani, alla ricerca dello scomparso e si diressero
verso il laghetto dove il geometra gli disse di voler controllare se ci fossero tracce di Lorenzo.
Durante il tragitto il serial killer ne approfitt per sbarazzarsi di alcune buste di plastica dove, in
seguito, vennero trovati dei vestiti sporchi di sangue e la foto del piccolo Simone, trafugata quattro
mesi prima dal cimitero.

Il cadavere venne in breve ritrovato, dal nonno della vittima, vicino al ciglio di una strada, da dove
evidenti scie di sangue fresco e tracce di trascinamento del corpo conducevano proprio ad una
finestra dell'abitazione di Chiatti. La polizia fece subito irruzione nella casa: il pavimento del salone
sembrava esser stato lavato, ma in maniera grossolana tanto da lasciar intravedere ancora macchie
di sangue; tracce ematiche erano presenti anche su di un muro, su di un davanzale, sul prato
prospiciente la casa. Nella cucina venne trovato un secchio di plastica giallo contenente uno
strofinaccio ancora umido e uno spazzolone con il manico di legno. Tutto questo venne sequestrato,
insieme a un orologio al quarzo, digitale, senza marca, rinvenuto lungo il percorso esterno alla casa
segnato dalle tracce. Chiatti venne invitato a seguire gli agenti. Nel momento in cui giunse in
caserma, indossava un paio di jeans che presentavano macchie e aloni, probabilmente causati da
sangue. Tutti i suoi indumenti vennero sequestrati. Sulla cute si notavano alcuni segni, in particolare
sulla schiena, dove erano presenti cinque ferite lineari e parallele. I genitori del piccolo Lorenzo
confermarono che l'orologio ritrovato era quello del figlio, dono dello zio Renato per la prima
comunione. Il pubblico ministero, con un provvedimento immediatamente notificato all'interessato,
avvis il geometra che si sarebbe proceduto a suo carico per i reati di omicidio a danno di Lorenzo
Paolucci e di Simone Allegretti. L'8 agosto 1993, il giorno successivo al ritrovamento del corpo di
Lorenzo, Chiatti confess al magistrato che lo interrogava di essere l'omicida.

Nonostante la confessione del serial killer e la risoluzione del caso, molte furono le critiche alle forze
dell'ordine sul modo in cui furono condotte le indagini. In particolar modo, Carmelo Lavorino, direttore
della rivista Detective & Crime ed esperto in materia, critic la mancata collaborazione tra forze
dell'ordine e persone coinvolte, in qualche modo, nella faccenda. In primo luogo, Lavorino censur
l'atteggiamento dei genitori di Chiatti che, tenuto conto delle condizioni mentali del figlio, non si erano
mai chiesti cosa avesse fatto egli il giorno in cui erano assenti. Poi censur la mancata
collaborazione della psicologa che aveva in cura l'assassino, la quale non avvert di aver in terapia un
soggetto di Foligno nonostante che la polizia avesse fatto sapere di cercare una persona che poteva
essere in analisi presso uno psicologo. Infine, la critica fu rivolta alle agenzie di controllo,
concentratesi inutilmente sulla pista Spilotros nonostante mancasse il requisito della territorialit.

3.2. La storia di Luigi Chiatti


Luigi Chiatti nato il 27 febbraio del 1968 e trascorre i primi anni della sua esistenza in un brefotrofio
di religiose presso Narni, dove lo colloc, il giorno stesso della sua nascita, Marisa Rossi, ragazza
madre di ventiquattro anni, cameriera in un ristorante, che non sapeva come mantenerlo. Chiatti non
sa chi sia il suo vero padre, la madre lo and a trovare per qualche tempo, poi dirad le visite e fin
con l'acconsentire a che venisse posto in adozione. Luigi, che all'epoca si chiamava Antonio rimarr
nel brefotrofio fino all'et di sei anni, quando, nel 1974, venne adottato da una coppia di anziani

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coniugi: i Chiatti. Il padre, Ermanno Chiatti, faceva il medico, la madre, Giacoma Ponti, era un ex
insegnante elementare, non avevano figli. Il padre non convinto, almeno all'inizio, di adottare un
bambino cos grande, ma la madre lo persuade.

Degli anni del brefotrofio Luigi Chiatti non vuol parlare, dice di non ricordare niente e dal suo racconto
come se la sua vita fosse incominciata nel momento in cui entr nella casa dei genitori adottivi. Il
bambino inizi, per, a manifestare gi in orfanotrofio un comportamento aggressivo e ribelle, in
particolare verso le figure femminili. Risentiva negativamente della mancanza della madre, della
carenza affettiva e delle frustrazioni vissute nell'istituto, e si notava gi la sua tendenza ad isolarsi.
Venne ritenuto utile e urgente il suo inserimento in una nuova famiglia, che avrebbe dovuto dargli la
massima disponibilit affettiva. Cos, il 24 marzo 1974, Luigi venne affidato ai coniugi Chiatti, e il 13
giugno 1975 venne decretata l'adozione: Antonio Rossi diventa da quel giorno Luigi Chiatti. Della
madre naturale dice: "se mi ha messo in un orfanotrofio, l'avr fatto per il mio bene, per un motivo
valido". (96) Divenuto pi grande, avrebbe voluto sapere qualcosa di lei, andare all'orfanotrofio per
raccogliere qualche notizia, ma si tratt solo di un proposito che, di fatto, non fu realizzato.

Il rapporto con i genitori adottivi fu difficile e ambiguo, del resto Chiatti parla di loro senza affetto e in
termini critici.

Mio padre stato un padre assente. Il suo era un mondo tutto legato al lavoro. La cosa
che mi faceva pi rabbia era che con i pazienti e gli amici scherzava ed era aperto; in
casa, invece, il silenzio assoluto, da lui stesso imposto. A pranzo guardava la
televisione, poi si chiudeva in studio. La sera guardava la televisione e a met film si
addormentava. Io qualche volta ho provato a parlargli, ma un po' per motivi miei, un po'
per come era fatto lui, sta di fatto che non si parlava.

Quindi mi salvavo solo con mia madre, con la quale, almeno agli inizi, potevo parlare.
Ma poi finita anche con lei. Loro erano uniti e concordi, nel senso che non litigavano.
Per la mamma lo rimproverava perch non interveniva nei miei confronti, oppure
litigavano per piccole incomprensioni. Ma tutto finiva l, perch lui, quando iniziava una
litigata, se ne andava subito nello studio e non diceva una parola.

Da piccolo sono stato un bambino difficile, ribelle e capriccioso, anche aggressivo: ma


stata pi che altro aggressivit verso l'ambiente di casa che poi si trasformata in astio.
Con mio padre c'era un silenzio assoluto, mia madre mi rimproverava e mi sentivo in
colpa verso di lei, perch non riuscivo a fare quello che lei mi diceva e, al contempo, non
riuscivo a manifestarle affetto perch provavo vergogna. Mio padre, invece, mi evitava
sempre. Quando succedeva sentivo odio verso di lui, ma non ho mai pensato, che so,
"crepa". Per il cattivo rapporto con i miei genitori mi sono sentito un bambino e poi un
ragazzo senza via di uscita: quando accennavo a qualche mia questione o lanciavo
messaggi, loro mi bloccavano sempre. Io sapevo che soffrivano anche loro, perch io li
facevo soffrire; per non mi sono mai ritenuto cattivo. (97)

Chiatti convinto che il cattivo rapporto con i genitori abbia condizionato non solo l'infanzia e
l'adolescenza, ma anche gli anni successivi, tutta la sua vita, dentro e fuori la famiglia: "io da piccolo
la chiusura (verso gli altri) non l'avevo, poi iniziata, prima verso i genitori, poi verso tutto l'ambiente".
(98) Di questo periodo ricorda un episodio, che lui ritiene abbia avuto molta influenza sul suo
carattere.

Era un giorno di scuola normale, la mia insegnante, che era anche mia amica perch
abitava vicino a me, entr in classe e mi sgrid dicendo che a casa io picchiavo mia
nonna. Non ho saputo ribattere e sono rimasto tutto il giorno in silenzio, anche a casa
piangevo, non tolleravo che avessero confessato a lei quel mio comportamento. Da
allora ho cominciato a chiudermi, mi sentivo etichettato come il cattivo, ma non ero

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cattivo. Sentivo come una resistenza ad entrare in quella casa, ce l'avevo con l'ambiente
in cui mi trovavo, non con i miei, dicevo parolacce, forse davo dei calci. (99)

Chiatti fu dunque un bambino difficile, a casa e a scuola: i genitori, quando aveva dieci anni, lo
inviarono da una psicologa, Beatrice Li Donnici, che lo segu per qualche tempo. Riguardo a questo il
"mostro di Foligno" afferma:

Con lei l'apertura sempre stata limitata, per la paura che poi riferisse ai miei genitori.
Per questo motivo non mi sono mai aperto con lei; lei conosce solo una parte dei miei
problemi, ma non conosce quello vero che molto pi vasto. In me c'era il bisogno di
aprirmi, per non lo facevo perch avevo paura che le persone con cui potevo parlare
riferissero poi ai genitori i miei problemi. (100)

La terapia, quindi, non sembr sortire alcun effetto e Luigi rimase chiuso in un mondo tutto suo. Del
resto l'ambiente familiare non lo aiut ad uscire da questa situazione; in casa Chiatti regnavano la
freddezza e il culto delle buone maniere. Lui diventato metodico, preciso fino all'esagerazione: per
tutte le scuole superiori entrato in classe alle 8,02 esatte. Chiatti diventato grande restando
infantile, un bambino in un corpo di adulto. La psichiatra che lo aveva in analisi formul una diagnosi
di "marginalit e di iposocializzazione". Rilevava un Io debole, una certa anaffettivit, uno scarso
controllo degli impulsi e dispersione dell'identit. Tuttavia, poich le analisi a quell'et risultano
particolarmente mobili e dinamiche, si orient verso un disturbo di personalit borderline. Questa
diagnosi ha suscitato, soprattutto nei periti processuali, una serie di reazioni negative. Acquisito il
diploma da geometra nel 1987, ha svolto il praticantato obbligatorio di due anni per potersi iscrivere
all'ordine dei geometri e questa fu la sua unica esperienza lavorativa. Relativamente a questa
circostanza afferma:

Anche nell'ambiente lavorativo stavo zitto e non mi applicavo molto, sia perch non mi
pagavano, sia perch mi chiedevo come avrei potuto fare il geometra con un carattere
cos chiuso: avevo paura di bloccarmi e di non riuscire a fare il mio lavoro.
L'atteggiamento di chiusura e di incomunicabilit ha costituito una costante nella mia
vita, stato uno dei miei problemi. Preferivo perci stare sempre per conto mio. Dicevo
solo qualche parola, ascoltavo pi che altro. (101)

Il 13 dicembre 1989 part per il servizio militare, dove ebbe le prime esperienze omosessuali. Questa
la vita di Chiatti fino al 4 ottobre 1992, quando incontr casualmente Simone Allegretti per strada.
Da quel momento finisce la storia di Luigi Chiatti ed inizia quella del "mostro di Foligno".

3.3. L'interrogatorio
Nei corridoi del commissariato, appena catturato, Chiatti ripeteva una specie di filastrocca ossessiva:
"non sono stato io, io sono un bravo boy scout". Nicola Cavaliere, capo della Criminalpol del Lazio
afferma che "dopo l'arresto, all'inizio ci ha dato dei pazzi, diceva che stavamo commettendo un
clamoroso errore. Cantava continuamente quella filastrocca ...gli abbiamo portato un panino e un
pezzo di dolce e lui commentava la qualit del cibo, come fosse un ospite ben educato". (102) Poi la
confessione, lucida, agghiacciante. "raccontava quei delitti", continua Cavaliere, "come se fossero
una scampagnata, senza mai una parola di dolore, di pentimento, niente". (103) Chiatti non confessa
perch si sente "battuto" dalle forze dell'ordine, ma per emergere, per rivendicare quel "delitto
perfetto", l'uccisione di Simone, nei minimi particolari. Non ha resistito per quella voglia di dimostrare
che se non si fosse tradito con una serie di errori dopo la morte di Lorenzo, sarebbe diventato uno di
quei serial killer che tengono sulla corda la polizia di mezzo mondo.

Disse di "essersi fatto prendere", di "non essere scappato", tratti narcisistici di chi vuole rimanere
protagonista anche nella sconfitta. Dell'omicidio di Lorenzo, Chiatti parl in questi termini:

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Mi ero fermato da qualche giorno nella casa di campagna; i miei erano rimasti a Foligno.
Avevo conosciuto, fra altri ragazzi, anche Lorenzo. arrivato a casa mia senza che
neppure l'aspettassi: l'ho fatto entrare. Ci siamo messi seduti e ci siamo messi a parlare
di varie cose. Mi disse anche che era timido e mi parl di una ragazza che gli piaceva.
Fin l non c'erano problemi, poi ci siamo messi a giocare a carte. Abbiamo fatto due
partite a briscola e lui le ha vinte tutte e due. Poi abbiamo giocato alle due carte, io ho
vinto due mani su tre, lui una su due; rimaneva da fare l'ultima mano.

Poi scattato qualche cosa che non so, forse un sentimento di invidia che gi altre volte
avevo provato, perch sentivo Lorenzo in qualche modo simile a me, ma al tempo
stesso migliore e pi fortunato. Lorenzo era un po' timido, ma lui gli amici li aveva
comunque. In pi non mi ha detto che aveva un fratellino piccolo, io lo immaginavo solo,
non l'avrei mai ucciso. Cos per Simone, poi si scoperto che aveva una sorellina, ecco,
io non l'avrei mai ucciso. Avrei pensato che non era simile a me, solo come me, quindi
non l'avrei mai ucciso. Sotto la spinta di questo sentimento, in un lampo ho preso la
decisione di colpirlo. Ho preso un forchettone che avevo vicino e l'ho colpito al tronco.
C' stata una specie di lotta; io non vedevo Lorenzo, era come se fossi accecato, era
come se non avessi pensieri. Io stavo sopra di lui e lui cercava di impedirmi di colpirlo;
poi lui mi ha detto: "perch mi vuoi uccidere?". Le sue parole mi hanno
momentaneamente bloccato, ma non sono state sufficienti per fermarmi, prevalsa la
considerazione che ormai non potevo tornare indietro. In quel momento ho cominciato a
riflettere su quello che stava accadendo. Vedevo la disperazione dipinta sul volto del
bambino. Mi vergognavo del suo sguardo. Avevo fatto del male ad un bambino, era la
prima volta. Mi parso che mi rimanesse un'unica strada, quella di ucciderlo, e ritenevo
seriamente che questa fosse la migliore soluzione anche per lui. Non era morto e allora
l'ho colpito con una coltellata al collo. Dopo che l'ho colpito iniziato il panico, il terrore,
come se incominciassi a svegliarmi. Cercai di mettere il corpo in un sacco per
trasportarlo da qualche parte e nasconderlo, ma era troppo pesante. Allora l'ho
trascinato gi dalla finestra e quindi per pochi metri fino al margine della strada, dove
l'ho lasciato. Ho cercato poi di mettere in ordine e di pulire, ma ad un certo punto mi
sono reso conto che non ce la facevo a pulire tutto e allora mi sono arreso. (104)

Dir al processo che, ucciso Lorenzo, si masturb sul suo cadavere. Venne contestato a Chiatti
anche l'omicidio del piccolo Simone dell'anno prima ed egli confess senza reticenze. Disse che da
tempo aveva accarezzato il progetto di andarsene da casa, di vivere lontano dai suoi con la sola
compagnia di un bimbo piccolo, per questo motivo and girovagando in auto, cercando un bambino
da rapire, che avrebbe tenuto con s solo qualche giorno, come per fare una sorta di piano generale
di quella ventilata fuga. Incontr per caso Simone: era solo nei pressi della sua casa, se ne stava
seduto ai piedi di un albero a giocare. Cos Chiatti spieg l'accaduto:

Il bambino mi piaceva, mi interessava, oltre che per rapirlo, anche sessualmente. Non lo
forzai a salire con me in auto, non fece resistenza; mi diressi verso casa mia a Foligno,
sapevo che i miei genitori erano assenti, lo portai nella mia camera e, senza fargli
violenza, lo aiutai a togliersi i pantaloni e gli slip: volevo fargli dei giochi sessuali. Gli
presi il pisellino in bocca, mi stavo eccitando, ma il bambino si mise a piangere, diceva
"perch non mi porti a casa?". Il suo pianto mi blocc l'eccitazione, temevo che i vicini
udissero il pianto. Avrei voluto riportarlo a casa sua, ma temevo che la polizia mi
avrebbe scoperto e poi il bambino piangeva, soffriva e cos gli misi una mano sul collo.
Non volevo ucciderlo, avevo il timore di essere scoperto, ma volevo solo far cessare la
sua sofferenza, togliergli il dolore, non la vita. Fu cos che gli strinsi con le mani il collo il
pi possibile, senza pensare che lo stavo uccidendo: stava accadendo un fatto che non
mi aspettavo. Avevo voglia di troncare tutto, come se non fosse accaduto niente. (105)

Narr che era in preda al panico, ma ciononostante mise in atto tutto quanto servisse a occultare il

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delitto: la descrizione delle sue successive mosse tanto minuziosa, quanto agghiacciante per
l'assenza di qualsiasi emozione.

Cercai dei sacchetti di plastica per mettervi il bambino e gli indumenti. Presi un coltellino
perch non ero convinto che fosse del tutto morto; lo misi nel baule dell'auto e andai a
cercare un posto adatto per nasconderlo. Durante il tragitto sentii il rumore della plastica,
capii che Simone si muoveva ancora. Trovato il posto, posi il bambino sul ciglio della
strada, presi il coltello e lo colpii due volte al collo, ma senza guardare; mi pulii le mani
dal poco sangue e poi lo feci rotolare nella discarica e sparsi all'intorno i vestiti, cos che
si pensasse che fosse stato ucciso in quel posto. (106)

Ormai il panico era cessato e la sua preoccupazione era di essere veloce, di non farsi scoprire, di
nascondere le tracce prima che i genitori rientrassero in casa. Torn a Foligno, ripul la stanza dove
aveva ucciso il bimbo, asciug l'urina che Simone aveva perduto quando lo strozzava, apr la finestra
per cambiare aria, bruci nel caminetto gli stracci usati per pulire, gett il coltello in un tombino, pul
l'auto dentro e fuori.

Nell'interrogatorio parl molto anche della sua vita, imperniata, come le storie degli altri serial killer
analizzati, alla solitudine e alla carenza di rapporti affettivi.

da molto che non ho amici stabili e vivo prevalentemente in solitudine. Non esco la
sera, non ho ragazze, non vado a ballare, mi limito a guardare i film in televisione e,
talvolta, a uscire da Foligno per un giro in macchina. Il mio problema che non ho
compagnia [ ...]. Spesso mi prendevano in giro ma non ho mai reagito. Tutti o quasi
approfittavano del fatto che ero un tipo tranquillo e che, sicuramente, non avrei reagito [
...]. Quando ho uccido Simone vivevo ormai da un pezzo in solitudine e questo aveva
fatto crescere dentro di me la necessit di una compagnia. Anche il bisogno di un
contatto fisico. Coi bambini avevo un ottimo rapporto, riuscivo ad avere la loro fiducia e a
essere coinvolto nei loro giochi. Mi ero dato alla ricerca fisica dei bambini ...percorrevo in
macchina le vie nei dintorni i Foligno, poich in tutta la citt difficile trovare bambini
soli. (107)

Con il suo abituale atteggiamento privo di reticenza, con dovizia di particolari, con apparente
massima serenit, senza mai tradire imbarazzo, perplessit o manifestare sensi di colpa o
autocritica, Chiatti ha narrato anche gli antecedenti dei due omicidi.

Venendo al primo delitto, il geometra sostenne che andava da tempo organizzando il progetto della
fuga con uno o al massimo due bambini, che avrebbe rapito e tenuto con s, vivendo non sa dove,
ma in ogni modo in un luogo isolato, "lontano dalle grandi strade e dalle ferrovie", magari in tenda.
Aveva preparato per i bambini, come detto, provviste e indumenti che, secondo i suoi fantasiosi piani,
avrebbero dovuto bastare per qualche anno. Li avrebbe rapiti e tenuti con s fintanto che avessero
raggiunto sette o otto anni: "era il progetto che avrebbe consentito di risolvere i miei problemi. Non
avevo intenzione di isolarmi completamente, e anzi volevo portare di tanto in tanto i bambini che
avrei rapito a fare qualche gita, insegnare loro qualcosa e, comunque, in qualche modo civilizzarli",
(108) disse al magistrato. Aveva, infatti, cominciato a fare provviste di abiti per bambini dai tre ai sette
anni, aveva compilato un elenco di vestiti che gli sarebbero serviti e l'aveva inserito in un dischetto
con la scritta "segreti". Nel suo racconto, che non si comprende bene quanto fosse un vero progetto e
quanto una sorta di gioco fantastico, non compare comunque alcuna preoccupazione per la
sofferenza dei bambini, che si sarebbero visti strappati dai genitori. Chiatti precis per che avrebbe
placato l'ansia di questi ultimi, telefonando periodicamente per rassicurarli sullo stato di salute dei
piccoli.

Il desiderio di attuare questo progetto era grosso, per non avevo preparato abbastanza
materiale e allora pensai di trovare un bambino da tenere con me solo per un periodo

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pi breve, cos da poter terminare le provviste per la fuga vera e propria. Pensavo di
rapirlo e di tenerlo nascosto nella mansarda di casa mia. Era diventata un'idea fissa,
anche se capivo che era un'idea assurda. (109)

Fu cos che, girando per trovare il bambino da rapire, incontr Simone. Nel raccontare la terrificante
sequenza delle sue azioni, rievoca ogni dettaglio con ossessiva minuziosit.

Allora non mi sentivo responsabile di quel che era accaduto, perch le mie intenzioni
non erano di ucciderlo e perch la situazione mi poi sfuggita di mano. Sono religioso,
perci sono certo che Dio sa che non era mia intenzione ucciderlo, Dio non doveva farmi
incontrare Simone. (110)

A questo punto gli stato chiesto, poich aveva affermato che "allora" non si sentiva responsabile, se
in quel momento non si sentisse tale, ed egli: "non mi so rispondere". Ha fatto tutto il discorso, come
sempre, senza far trapelare la minima emozione, con assoluto distacco, quasi con serenit. I genitori
non sospettarono di niente; il giorno dopo l'uccisione di Simone, commentando con la mamma la
notizia appresa alla televisione della scomparsa del bambino, dichiar che anche in casa fece finta di
niente, ma anche che "mi sentivo un eroe; mi sembrava di aver fatto un grande gesto, all'improvviso
mi sono trovato alla ribalta". (111)

Anche sui due messaggi inviati alle forze dell'ordine, Chiatti non lesina spiegazioni: dice che il primo
lo scrisse per favorire il rinvenimento del cadavere e perch l'aver assunto la veste di un mostro da
tutti ricercato lo lusingava. Il secondo perch non voleva che il "merito" delle sue gesta andasse a
quel mitomane che si era accusato del delitto, quindi solo "per mero protagonismo". Con
compiacimento descrive tutti gli accorgimenti messi in atto per non lasciare impronte digitali sulla
carta usata per i due messaggi o nella cabina telefonica e per distogliere da s ogni sospetto. Parl
anche del furto della fotografia di Simone dalla tomba del piccolo, spiegando che voleva avere
"qualcosa di visibile che me lo ricordasse in un momento di felicit". (112) Con analoga abituale e
sconcertante sincerit narr gli antecedenti del secondo delitto.

Lorenzo lo avevo conosciuto un anno prima a Casale. Con lui nata una relazione un
po' diversa; da lui ero attratto sessualmente e poi il suo carattere era molto simile al mio:
silenzioso, riservato e timido. Io, vedendolo, vedevo un po' me stesso. Per lui, pur
essendo timido, riusciva in qualche maniera ad avere amici, io no. Per questo lo
invidiavo. Volevo stringere amicizia con lui, ma non riuscivo, perch avevo paura che poi
lui, scoprendo i miei problemi di omosessualit, mi avrebbe abbandonato, avevo paura
di non piacergli per i miei problemi. (113)

Alla luce di queste dichiarazioni, corroborate dagli elementi di prova raccolti dagli inquirenti, il 28
giugno 1994 il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Perugia chiede il rinvio a giudizio
per Luigi Chiatti.

3.4. Il processo davanti alla Corte d'Assise


Davanti alla Corte d'Assise di Perugia, presieduta dal presidente, Paolo Nannarone, affiancata dal
giudice a latere Nicola Rotunno e dai sei giudici popolari ha inizio il processo al "mostro di Foligno".
L'aula del palazzo di giustizia gremita, a causa del clamore suscitato dall'atrocit dei delitti. Alla
prima udienza proprio il "mostro" ad essere assente, come accadr per quasi tutto il resto del
dibattimento. Dopo che stata omologata la costituzione delle parti civili, il pubblico ministero,
Michele Renzo, procede all'esposizione dei fatti, ripercorrendo i due atroci delitti compiuti dal Chiatti
che ancora scuotono la tranquilla cittadina umbra. Terminato il resoconto degli eventi e contestati i
delitti di omicidio dei due bambini, la violenza sessuale ai danni di Simone Allegretti, il sequestro dello
stesso ai fini del compimento della violenza suddetta, l'occultamento dei due cadaveri, la detenzione
illegale di una considerevole quantit di cartucce ed il loro furto avvenuto nel giugno del 1993,

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sottratte a Mario Ronci, il P.M. chiede l'ammissione delle proprie prove, analogamente ai difensori di
parte civile e a quelli dell'imputato.

La Corte ammette tutte le prove, in particolare gli esiti delle analisi effettuate dai carabinieri del R.I.S.
relative alla compatibilit del Dna dell'assassino con quello ritrovato sui corpi delle vittime e gli esami
aventi ad oggetto la conciliabilit dei pneumatici dell'auto di Chiatti con quelli riscontrati nel luogo
dove stato ritrovato il corpo del piccolo Simone.

Particolarmente importanti, come pu prevedersi, sono i risultati dei consulenti tecnici riguardo la
capacit di intendere e di volere dell'imputato, in quanto, anche in questo caso, il fulcro dell'intero
processo si basa sulle risultanze delle perizie effettuate sull'imputato. Le considerazioni tratte dai
periti nell'analisi della psiche di Chiatti verranno riportate nel paragrafo seguente, in quanto, dato
l'impatto processuale delle stesse, meritano una trattazione autonoma. Le udienze procedono in
modo serrato; vengono ascoltati i potenziali testimoni degli eventi delittuosi, onde evitare che, nel
caso in cui l'imputato ritrattasse, il giudizio subisca un inaspettato intoppo, e coloro che, in qualche
modo, possono fornire una valutazione d'insieme della vita e della personalit dell'imputato.

All'esito dell'istruttoria dibattimentale il pubblico ministro conclude chiedendo la pena dell'ergastolo


per Chiatti, in quanto colpevole di tutti i reati ascrittigli, ritenendo nella fattispecie di dover racchiudere
sotto il vincolo della continuazione il reato di omicidio di Simone Allegretti con quelli di sequestro di
persona e occultamento di cadavere ai danni dello stesso e, analogamente, applicare tale istituto
giuridico all'assassinio di Lorenzo Paolucci e al relativo occultamento di cadavere, nonch la
condanna la detenzione illegale di armi o munizioni con il furto delle cartucce ai danni di Mario Ronci.
I difensori dell'imputato, avvocati Claudio Franceschini e Giulio Bacino, chiedono, invece, di
assolvere il Chiatti, essendo egli persona incapace di intendere e di volere, e, in subordine,
l'unificazione di tutti i reati contestati sotto il vincolo della continuazione, la concessione delle
attenuanti generiche e, in ogni caso, la diminuzione di pena prevista dall'articolo 442 del codice
penale prevista in caso di giudizio abbreviato.

Nell'ultima udienza del processo di primo grado lo stesso imputato a rendere spontanee
dichiarazioni alla Corte, confermando per sostanzialmente quanto detto in sede di interrogatorio e
nel corso dei colloqui con i periti processuali.

3.4.1. Le perizie psichiatriche sull'imputato


Alla luce della piena confessione resa da Chiatti al magistrato, il nodo cruciale del processo
costituito, anche in questo caso, dalle valutazioni relative alla capacit di intendere e di volere
dell'imputato al momento dei fatti. Al serial killer sono stati effettuati una serie considerevole di test:

scala di Wittenborg: da essa non sono risultati presenti segni di patologie psichiche, ma
soltanto una condizione paranoide e di psiconevrosi ossessiva.
test delle matrici di Raven e test Wais: emerso da questi che Chiatti ha un'intelligenza
superiore alla media e una memoria indenne in tutte le sue sfaccettature.
il test SCID II ha fornito risposte compatibili per la diagnosi del disturbo di evitamento e di
quello paranoide. Da esso si evidenziano anche tratti ossessivi, narcisistici e relativi al disturbo
borderline, ma senza configurare il relativo disturbo.
test Minnesota Multiphasic Personality Inventory: da esso si desume una facilit all'azione o
comunque ai comportamenti impulsivi o trasgressivi egosintonici, fino ad un vero e proprio atto
antisociale; vi sono tratti di chiusura e di inibizione nei rapporti interpersonali con tendenza alla
fantasticheria. In base all'interpretazione dei dati forniti da tale test vi sono in Chiatti tratti
orientati in senso depressivo in un soggetto generalmente fiducioso di s e sicuro del proprio
agire, con scarsa plasticit e contatti interpersonali limitati, tendenzialmente portato allo
sviluppo di fantasie che consistono in una forte tendenza all'azione in taluni momenti; prevale il
principio di piacere su quello di realt.

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test dell'albero: evidenzia una spiccata ipertrofia dell'Io, con valenze narcisistiche e tendenza
alla fantasticheria.
test della figura umana: segnala l'esistenza di problematiche legate al vissuto corporeo e
probabilmente alla sfera sessuale, nonch un rigido controllo sulla sfera emozionale da parte
di quella cognitiva.
test di Rosenweig: questo esame indica uno scarso adattamento sociale e la tendenza a dare
la colpa agli altri per le proprie frustrazioni.
test di Rorschach: i risultati di questa prova trovano discordi i periti; secondo i periti d'ufficio,
Ponti, Fornari e Galliani, emergono l'assenza di alterazioni significative dell'affettivit, un basso
senso di autostima, una conflittualit nei confronti dell'aggressivit, un notevole grado di
inibizione della sessualit; secondo il consulente tecnico del P.M., Vittorino Andreoli, i processi
razionali appaiono coerenti, il pensiero rimane poco definito o soggetto a dei non
funzionamenti di fronte ad un carico emotivo elevato, appare scollato il funzionamento affettivo
e rilevante il bisogno di valorizzazione narcisistica e l'esistenza di una personalit disarmonica
e infantile; i consulenti di parte, Volterra, Gatti e Traverso, concludono, invece, per l'esistenza
di una serie di indicatori che fanno presumere la presenza di un quadro di tipo borderline; i
consulenti delle parti civili, Moretti, Parsi e Cundari, infine, segnalano la presenza di un
meccanismo di sdoppiamento come corollario dell'ideazione che sarebbe alla base di eventuali
manifestazioni di rabbia narcisistica.
il test della famiglia evidenzia una forte conflittualit con le figure genitoriali ed una situazione
in cui gli aspetti formali e razionali prevalgono su quelli affettivo-relazionali.
test O.R.T.: tutti i periti sono concordi nel ritenere che Chiatti mostra di possedere una fantasia
sbrigliata in cui anima il suo mondo interiore e da cui emerge una scarsa considerazione dei
dati della realt.

Il tema dei suoi problemi quello sul quale Luigi Chiatti particolarmente insiste nei colloqui con i vari
consulenti tecnici. Egli pare pi di tutto preoccupato di far conoscere i modi e le ragioni del suo
sentirsi gravato da tante difficolt psicologiche. Vi in lui il compiacimento di parlare di s, poich si
sente un individuo speciale ("il fatto che sono troppo perfetto", dir durante i colloqui) e pretende
che anche gli altri gli dedichino un'attenzione particolare: ritiene che solo persone altrettanto
"speciali" siano in grado di capirlo. Tutto il suo interesse, nell'intero corso dell'esame peritale, lo
rivolger verso se stesso. Racconta i delitti e i motivi per i quali li ha commessi, ma solo perch in tal
modo pu parlare di s. Le due vittime restano sfuocate nel suo racconto, come se quasi non
fossero esistite come persone: ci che costituisce il centro dei suoi interessi sono solo i suoi
problemi.

La prima questione di cui parla quella della chiusura e dell'incomunicabilit. Per uscire da questa
situazione Chiatti, ad un certo momento, pensa alla fuga: gli piacerebbe lasciare casa e genitori,
coltiva, tra fantasia e realt, il progetto di vivere da solo, in qualche posto isolato di montagna, anche
se dichiara che:

La mia prima e ultima fuga l'ho fatta nell'estate del 1989 ed durata solo un giorno. Era
il giorno che dovevamo partire per il mare; io volevo troncare ed iniziare una vita nuova.
Non avevo nessuna vera organizzazione, ma avevo comperato tutto quanto poteva
occorrermi per la fuga. Volevo fuggire io da solo. Pi tardi pensai di fuggire con un
bambino di quattro-cinque anni, che avrei rapito. Fu cos che cominciai a comprare gli
indumenti ed il necessario per un bambino.

Tutta la roba l'avevo accumulata in soffitta e l'avevo schedata, era tantissima. Volevo
mettere in ordine tutta questa roba cos l'ho portata in camera mia. Mia madre voleva
per entrare in camera, io non volevo, altrimenti avrebbe visto tutta quella roba. Poi
venuto su anche mio padre. Allora mi venuta l'idea di chiuderli da qualche parte, prima
pap, che ho inviato in bagno con un inganno e poi l'ho chiuso dentro; poi ho spinto
mamma di sotto nel bagno dell'ambulatorio. Poi me ne sono scappato, dopo aver

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caricato la roba in macchina. Non so cosa sarebbe successo se avessero scoperto la


roba. (114)

Parler poi, nei colloqui con i consulenti tecnici delle parti processuali, del suo secondo problema,
quello legato alla sessualit.

[ ...] non ricordo neppure quando ho iniziato a masturbarmi. A 13 anni mi sono


innamorato di una ragazza, mentre trascorrevo un periodo di vacanza in montagna.
Manco le parlai. Soffrii dentro. Poi ricordo un episodio con una ragazza pi grande di me
che mi propose di giocare al dottore. successo tanti anni fa, andammo di sopra, in
camera mia, ci scambiavamo le parti facendo finta per gioco di farci le iniezioni. Ci siamo
divertiti, non ero imbarazzato, il gioco mi ha eccitato sessualmente. Non ho mai toccato
per una ragazza sulle parti intime o sul seno. [ ...] Mi sono reso conto della mia
omosessualit in modo chiaro solo successivamente. Ho scoperto di essere attratto dai
ragazzi. Anche adesso se guardo una partita in tv, mi sento attratto dai giocatori. Ma non
ho mai avuto rapporti sessuali, n con uomini, n con donne e non farei mai un rapporto:
lo vedo come una cosa sporco. La sessualit per me solo contatto fuori dal rapporto,
pu essere anche il solo toccare una persona vestita o la parte sessuale, ma sempre a
distanza dai due corpi, senza congiunzione. Tutte le miei esperienze omosessuali con i
miei coetanei, o al militare, si sono per limitate a brevi toccamenti, nulla pi.

Con un bambino, invece, diverso; il bambino non lo vedo sporco; il pene di una
persona grande sporco, quello di un bambino no. (115)

La sessualit dunque per Luigi Chiatti solo omosessualit. Ma anche una cosa "sporca", solo con
i bambini "pulita", solo con loro "trasmissione d'amore". Questo per nel suo effettivo
comportamento, perch nell'immaginario erotico le cose vanno diversamente:

Questo limite esiste solo nella realt, non nella fantasia. Una cosa che mi soddisfa molto
la fantasia della lotta con un altro ragazzo, durante la quale ci si spoglia e poi ho un
rapporto in cui io sono passivo. [ ...] Nella realt mi piacerebbe lottare, vincerebbe lui,
perch io lo lascerei vincere con lui che decide di me in tutto e per tutto, anche fuori
dalla sessualit, come se fossi il suo schiavo. (116)

Chiatti era perfettamente consapevole di quel che ha fatto e della gravit della sua posizione
giudiziaria, per il suo principale interesse non si concentra sui delitti o sugli anni di carcere che
l'attendono, ma solo sui suoi problemi psicologici e chiede che gli vengano risolti dai periti,
dall'amministrazione carceraria o comunque dalla societ. un po' questa la chiave di volta di tutta la
sua organizzazione difensiva e non solo processuale. Chiatti si presenta ai periti senza alcuna colpa
per aver ucciso due bambini, proprio perch egli un individuo che ha dei problemi che sono cos
gravi di averlo "costretto" ad uccidere, quindi moralmente assolto. Egli dunque non si sente
responsabile e, come tale, in credito verso il mondo, essendo i suoi problemi psicologici i veri
responsabili dei suoi delitti. Il suo interesse concentrato solo in questa prospettiva: ha questi
disturbi e tutti si devono far carico di risolverglieli (dir si periti che "voi siete obbligati a risolvere i miei
problemi").

Chiatti ritiene i suoi problemi particolarissimi, anche se poi li identifica in generiche difficolt di
rapporto con gli altri, nella solitudine, nell'omosessualit e nella pedofilia. In questa prospettiva, il suo
primo atteggiamento stato quello di limitarsi a informare di essere appunto "un ragazzo con dei
problemi": chi lo ascolta doveva prenderne atto, meditare su di essi per poi risolverli. Grande
apparso il bisogno di parlare, ma anche il compiacimento di trovarsi al centro dell'attenzione di un
uditorio di psicologi e psichiatri, che si occupavano di lui. Questa un'espressione del suo
narcisismo, ma anche del suo bisogno di aiuto. Tale necessit profonda si manifestata in tutta la
sua drammaticit quando ha affermato che, se fosse uscito in quel momento dal carcere, avrebbe

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probabilmente sentito il desiderio di cercare un altro bambino e, forse, anche di ucciderlo.

Dai colloqui avuti con tutti i consulenti nel carcere di S. Vittore sono emersi, quindi, molti dati
importanti per meglio comprendere la psiche del periziando. In primo luogo si riscontra una sorta di
aggressivit di ambientazione, poi trasformatasi in astio, al suo ingresso nella famiglia adottiva; un
sentimento di vergogna nei confronti della madre perch non riusciva a manifestarle affetto, un
cattivo rapporto con i genitori che lo bloccavano quando accennava ai suoi problemi o inviava loro
messaggi; la sua successiva chiusura verso l'esterno, l'incapacit di confidarsi con chiunque ed il
senso di importanza sentito quando si parlava dell'omicidio del piccolo Simone; infine, per risolvere il
problema dell'incomunicabilit aveva fantasticato di fuggire da casa con uno o pi bambini. I colloqui
psichiatrici diretti, invece, hanno fornito i seguenti dati: comportamento accattivante e tendente a
conquistare la simpatia degli osservatori, bisogno di parlare e compiacimento di sentirsi finalmente al
centro dell'attenzione.

Il consulente nominato dal pubblico ministero Vittorino Andreoli, noto psichiatra, con esperienza
pluriennale come perito processuale. L'esperto in questione, che ha studiato la psiche di Luigi Chiatti
per ben tre mesi nel carcere di Verona attraverso colloqui personali con il periziando, inizia la propria
relazione analizzando gli elementi chiave dell'infanzia del geometra. Andreoli rileva che, dei primi sei
anni della sua esistenza, il periziando non ricorda praticamente niente. C' un buio completo. come
se la sua vita iniziasse il giorno dell'adozione ed interessante notare, afferma il perito, che l'unica
immagine che Chiatti conserva dell'orfanotrofio quella in cui si trova in fila con dei bambini in una
stanza, quando entra la signora Chiatti e lo indica con un dito. Ha la percezione del suo nome,
Antonio, ma come se tutta la vita di Antonio Rossi fosse stata cancellata. Se tutto questo vuoto
mnemonico, cos lungo e preciso, rappresenta una forte rimozione, un meccanismo di difesa che
ricaccia nell'inconscio un'esperienza che egli considera in qualche modo negativa, ci significherebbe
ammettere la straordinaria traumaticit di quel periodo. Andreoli si chiede, tuttavia, se non si possa
rimuovere anche un periodo positivo, felice, quando la situazione successiva appare negativa:
spesso Chiatti manifesta la sua predilezione per i luoghi "protetti", in cui vigono regole precise, orari
stabiliti, giornate scandite senza quasi la possibilit di decisione da parte del singolo.

Il perito sostiene che l'imputato non voleva essere adottato e la rimozione avviene proprio nel preciso
momento dell'adozione. Andreoli ritiene possibile pensare che "il periodo ipotetico di sette anni che
Luigi aveva intenzione di trascorrere con i bambini rapiti rappresentasse proprio il tempo trascorso in
orfanotrofio, da ricordare e da rivivere". (117) Il perito si pone, inoltre, il problema se durante quel
periodo dell'orfanotrofio Luigi possa aver subito violenze di natura sessuale, ma anche se egli non
possa essere stato oggetto di curiosit e di attenzione erotica percepita positivamente. Insomma, per
Andreoli, questo reset totale (di solito parziale) potrebbe rappresentare un mezzo di sopravvivenza
nella nuova vita. In questa ipotesi la rimozione del positivo una costante inconsapevole rimozione
della vita reale, che lo porta a vivere un'esistenza da bambino, con un'et che oscilla tra gli zero ed i
sei anni.

"In ogni caso", continua il perito dell'accusa, "appare evidente che la rappresentazione del mondo di
Luigi rimasta assolutamente infantile. Anche i suoi film preferiti hanno come protagonisti i bambini.
Il suo amore per i bambini diviene la migliore metafora dell'amore di se stesso come bambino. Esso
rappresenta quello stesso bambino che ha cancellato, ma che vuole comunque ripossedere,
riconquistare, persino rubare. Per questo arriva a rapire Simone, a ucciderlo come ha ucciso se
stesso. Simone il suo Antonio dimenticato, ucciso". (118)

Il mondo interiore di Chiatti, afferma Andreoli, si accompagna ad una straordinaria povert di vita
sociale, tale da non permettergli alcuna percezione al di fuori del proprio Io. Non ha mai fatto
esperienza di gruppo, n nella scuola, n nella famiglia. Si sempre percepito solo con i propri
bisogni. Ha simpatia per gli ambienti dove vigono imposizioni, in cui egli non debba scegliere, ma
solo ubbidire. Un sistema direttivo tuttavia rappresenta per lui semplicemente una guida alle sue
azioni, tale da semplificare i problemi di scelta che gli generano ansia. Chiatti ha "i caratteri di una

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soggettivit autocentrata e narcisista, rigida e ossessiva. Nasce un opposizione soltanto quando egli
avverte, narcisisticamente, un comportamento come ingiusto, offensivo, sottovalutante nei suoi
confronti". (119) La percezione della norma sociale, specifica Andreoli, viene allontanata o addirittura
ignorata nel momento in cui essa contrasta con i suoi bisogni: l'imputato pensa di non aver infranto la
legge nemmeno quando rapisce Simone. In conclusione, la percezione delle regole sociali in
esclusiva funzione del suo vissuto e delle sue necessit. La societ pu affermare che egli ha
compiuto due omicidi, ma in realt, secondo la sua prospettiva, egli ha semplicemente risolto, in quel
momento, un suo problema. Il suo senso di colpa segue dinamiche del tutto personali: affiora come
dolore narcisistico per un corpo che lui ama e non vuole che rimanga insepolto. Continuando l'analisi
di Chiatti, Andreoli sostiene che se la colpa deriva sempre da un confronto tra Io reale e Io ideale
all'interno del soggetto, confronto che questo serial killer non in grado di fare, la vergogna nasce
sempre dal confronto con gli altri e con la realt esterna. E Chiatti prova questo sentimento di fronte
all'omicidio di Lorenzo, non senso di colpa, proprio perch viene scoperto, smascherato.

Un altro aspetto che emerge chiaramente nel periziando la grave difficolt di relazione e di
comunicazione, che ha trovato un ostacolo decisivo nel distacco e nella poca amorevolezza incontrati
nella sua famiglia adottiva. lo stesso Chiatti ad offrirne un'analisi, secondo il perito, quando afferma
che: "c'era un conflitto dentro di me. Io mi stimo e poi mi piaccio fisicamente. Una delle mie paure
quella di rimanere solo anche nel futuro; un'altra l'attenzione verso i bambini, perch non riesco a
comunicare con i grandi ... tutte cose legate ai miei problemi ... ma poi penso che, se anche avessi
un bambino, finirei con il restare solo". (120) Ci di cui il giovane di Foligno aveva estremo bisogno
era una relazione affettuosa, una figura materna e paterna che sapessero dimostrargli amore, una
casa accogliente che potesse comunicargli calore e attenzione.

Andreoli si sofferma proprio sul rapporto del periziando con i genitori. Dalla sua analisi emerge un
quadro di vera patologia del nucleo familiare. Il padre sembra sempre voler fuggire dalla casa e dal
figlio. La madre pi affettiva del padre, ma chiusa in una rigidit che si rende evidente nella
freddezza e nell'ordine immobile della casa; si preoccupa di aspetti superficiali, mentre le sfugge
completamente cosa voglia dire per un giovane di vent'anni nascondere pacchi con indumenti per
l'infanzia. Si interroga solo in modo formale e perbenista sulle stranezze del figlio e sulla sua
condizione di solitudine. Risulta incapace di gestire i problemi di un bambino difficile, adottato quando
gi grande, al quale non esita con una leggerezza ingiustificabile a cambiare anche il nome,
creando un ulteriore elemento di rottura di una gi fragilissima identit. Lo psichiatra afferma perci
che, per cercare di capire la condotta dell'imputato, non si pu dimenticare che Luigi Chiatti ha un
padre assente, una famiglia rigida e disaffettiva, vive in un clima di costante distanza e perbenismo.

Continuando la sua analisi Andreoli analizza poi il comportamento di Chiatti nelle vicende incriminate.
Relativamente ai messaggi lasciati dopo l'uccisione del piccolo Simone, la richiesta di aiuto presente
nel primo di questi si pu connettere ai numerosi problemi di inserimento, di solitudine, come afferma
Chiatti stesso ("chiedendo aiuto ho cercato di far capire che io avevo comunque dei seri problemi
personali e non ero un omicida per piacere ..." (121)). In entrambi i casi, invece, rileva il consulente
del P.M., l'omicidio si accompagnava ad un piacere erotico-sessuale. Riguardo all'idea della fuga con
alcuni bambini, il perito dell'accusa afferma che "questo vissuto fantastico acquista in lui espressioni
organizzative paradossali per un ventenne e tipiche dell'et infantile". (122) Relativamente al
movente degli omicidi, invece, lo psichiatra di cui si tratta afferma che i due eventi hanno delle
caratteristiche che sono assolutamente identiche.

Andreoli passa poi ad analizzare la sessualit dell'imputato. L'imputato ha sempre avuto una grande
difficolt nel rapporto con le ragazze, per dice di considerarsi anche diverso agli omosessuali, in
quanto non riuscirebbe ad avere rapporti intimi con un coetaneo o con un uomo, il rapporto con loro
visto come "sporco", solo con i bambini riesce a sentirsi a suo agio. In secondo luogo, il perito nota
una netta distinzione tra una sessualit fantastica, tra i suoi desideri, e una sessualit effettivamente
esercitata. Chiatti si blocca di fronte a relazioni pi mature e questo lo paralizza nei rapporti
interpersonali.

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Il perito riscontra due tipi di desiderio sessuale nella storia del periziando: quello di vivere insieme ad
un bambino di un anno fino a quanto avesse raggiunto l'et di sette, in un luogo intimo e appartato, e
il desiderio di avere contatti fisici con un bambino, dettati da un'esigenza propriamente erotica. Ma c'
un terzo tipo di desiderio che si manifesta in Chiatti, un desiderio che Andreoli definisce "di lotta con
un maschio". La fantasia era quella di vedersi aggredito da qualcuno fino al tentativo di venire ucciso.
Altre volte era lui ad aggredire un bambino fino ad ucciderlo. un evidente caso di sadismo sessuale
con il raggiungimento del massimo piacere nel momento in cui si uccide. Lo psichiatra ci spiega che
"la sua violenza dunque un'espressione sessuale, si mescola a veri e propri vissuti di amore e
possesso. In questo dinamismo il soggetto che manifesta il suo amore in modo violento non sa
distinguersi dal suo oggetto amato: colui che agisce si mescola con colui che patisce, in un circolo di
reciproca sottomissione e dominazione". (123)

Che si tratti di una violenza legata nel suo immaginario al rapporto con i bambini risulta da molti
elementi. Una lettera di Chiatti scritta a Simone, la prima vittima, esprime un amore sconfinato: una
violenza tra le pi gravi dunque inserita in una relazione; un'ambivalenza tra il s bambino e il s
prescelto come vittima. Anche la lotta parte integrante delle fantasie sessuali dell'imputato e gioca
anche nei suoi omicidi, in particolare in quello di Lorenzo, un ruolo fondamentale. Nel caso del
periziando avviene poi una proiezione per cui chi violenta si percepisce anche come colui che
violentato.

In Chiatti anche presente il richiamo a fantasie masturbatorie in cui egli immagina di essere, in
qualche modo, aggredito e poi strangolato. Le fantasie erotiche normalmente non trovano
realizzazione sul piano concreto, ma sono comuni e spesso violente. In un soggetto con sviluppo
normale, spiega Andreoli, le fantasie vengono sempre nettamente distinte dalla realt, mentre in certi
stadi dello sviluppo infantile e anche in certe condizioni patologiche, il rapporto tra fantasia e realt
molto pi labile. In Chiatti avviene "un continuo rimbalzo tra il s interno e il s percepito nel mondo
esterno e quindi un meccanismo che lo porta a sentirsi alcune volte aggressore, altre aggredito: le
fantasie divengono difficili da controllare e spingono per essere realizzate. La fantasia diventa un
vero e proprio stimolo interiore all'azione e agisce come un'energia che si consuma nella propria
espressione attuale, in una specie di modello di condizionamento; ci impedisce ogni sviluppo verso
un'identit coerente e promuove una diminuzione di contatti tra il paziente e la realt esterna". (124)

Andreoli analizza, inoltre, il tema della pedofilia in Chiatti partendo da un'impostazione psicanalitica. Il
perito afferma che secondo i freudiani il comportamento pedofilo si lega alla scelta di un oggetto
sessuale immaturo come specchio di un complesso edipico non risolto. Il quadro riporta comunque a
momenti della sessualit infantile e rientrerebbe in un quadro di immaturit generale che si lega
ancora alla paura di una separazione materna. E ci concorda con il dato che spesso i pedofili
provengono da situazioni familiari patologiche e anche da un'esperienza pedofilica a loro volta subita.

Ne emerge un profilo caratteriale che ha molto in comune con quello di Chiatti. I pedofili presentano
un'immaturit psicosessuale e in alcuni casi risposte fobiche nei confronti delle donne. Il periziando
mostra una vera avversione verso la donna adulta, verso i rapporti eterosessuali, in particolare verso
il corpo femminile. Inoltre, in questi soggetti presente una notevole componente violenta, almeno
nell'ambito della loro espressione attrattiva per il bambino. Luigi Chiatti, conclude Andreoli, un
pedofilo con manifestazioni di sadomasochismo sessuale. Questa diagnosi non va intesa solo
considerando i gesti sessuali, ma tutta una serie di caratteristiche e di tendenze comportamentali tra
cui i rilievi narcisistici, la bassa soglia di tolleranza alle frustrazioni, ma soprattutto, l'ossessivit, che
ha sempre un riferimento alla sessualit.

La situazione psicopatologica di Luigi Chiatti, conclude Andreoli, "non si colloca tra le caratteristiche
di personalit che influenzano la sua dinamica ma non escludono o limitano grandemente la capacit
di intendere e di volere e dunque l'esercizio dell'intelligenza e della volont. Non creano stati di
necessit o automatismi". (125) Come visto, lo psichiatra di cui si tratta dedica parte della perizia
psichiatrica ad analizzare i bisogni terapeutici di Chiatti, sollecitando perch questi potessero essere

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risolti, ritenendolo comunque una persona bisognosa di cure.

In sostanza dai colloqui personali del consulente tecnico del pubblico ministero emerge, rispetto a
quanto affiorato invece negli esami con gli altri esperti, una maggiore specificazione delle reazioni del
Chiatti all'uccisione dei bambini da cui si desume una forte componente di eccitazione sessuale al
momento delle due azioni omicidiarie; una pi marcata considerazione del collegamento tra fantasie
sessuali e morte, del clima di conflittualit in famiglia, del senso di umiliazione in Chiatti nei confronti
di chi lo prendeva in giro per il suo carattere, della sensazione di auto piacere e di stima, nonch di
odio nei confronti di chi lo sfruttava; ma soprattutto emerge un maggiore specificazione del
sentimento di vergogna che ritiene essere causa della sua solitudine, e del rapporto con le norme
sociali, che egli ignora se contrarie ai propri bisogni.

I periti nominati dai difensori di Chiatti, sono il professor Vittorio Volterra, il professor Giovanni Battista
Traverso ed il professor Uberto Gatti. Questi esperti, innanzitutto, premettono di dover rigettare la
diagnosi di "grave disturbo di personalit" nell'accezione proposta dai periti d'ufficio e di poter
accogliere la stessa, solo se essa viene intesa nel senso conferito a questa espressione da Kernberg
e da Dahl, e cio come "un'organizzazione di personalit di tipo borderline, connotata da una grave
compromissione della sfera dell'Io e dal ricorso a meccanismi difensivi primitivi in peculiari situazioni
emotive-affettive, con incapacit a far fronte all'angoscia e a tollerare le frustrazioni e impossibilit a
controllare gli impulsi". (126) Volterra, Gatti e Traverso hanno, inoltre, espresso l'avviso che tale
sindrome psicopatologica deve essere considerata a tutti gli effetti una vera e propria infermit
mentale ai sensi di legge, che ha inciso tanto profondamente sulle capacit di intendere e di volere
del Chiatti, da annullarle del tutto al momento dei reati commessi.

I legali di Chiatti, Bacino e Franceschini, ritengono utile portare a sostegno delle loro affermazioni il
parere del noto criminologo americano George Palermo, uno dei maggiori esperti mondiali di serial
killer, interpellandolo sulle condizioni psichiche dell'imputato. Palermo inizia la propria relazione
peritale affermando di esser rimasto profondamente impressionato dall'estremo distacco con cui
Chiatti descriveva i suoi delitti. Lo faceva come se fossero faccende che non lo riguardavano per
niente. Egli afferma che il periziando parlasse degli omicidi in maniera molto puerile, incolpando i
bambini di quel che aveva fatto, perch loro non lo aiutavano. Secondo Palermo, Chiatti si riferiva ai
bambini in generale e probabilmente al malessere della sua infanzia disastrata in brefotrofio.

Il criminologo americano ritiene che l'imputato sia seminfermo di mente, parlando a proposito di
borderline personality; il periziando non dunque, secondo il criminologo, sano di mente: "
estremamente lucido, ma in realt si tratta di una persona che ha una specie di cancro nella psiche.
E non credo che sia in nessun modo recuperabile", (127) continua Palermo. Lo descrive come una
persona incapace di relazionare con gli altri. Infatti Chiatti era un solitario assoluto, gli unici con cui
tentava di avere un rapporto erano bambini, in quanto si sentiva al loro stesso livello emotivo, uno
della loro et. Parlando con il serial killer, Palermo ha maturato la convinzione che egli cercasse se
stesso nei bambini, anche nelle sue vittime; riviveva, ricostruiva attraverso l'esperienza con loro la
sua infanzia dolorosa, provava a riscriverla come qualcosa di positivo, nella sua mente, di sostituirla
con quella protesi della fantasia. Sperava di non essere rifiutato un'altra volta. I suoi interlocutori non
potevano essere adulti, che temeva, ma esseri pi deboli ed indifesi.

Questo suo infantilismo, continua Palermo, lo portava a fare progetti deliranti, come quello di rapire
un bambino per crescerlo ed averlo a sua disposizione come compagno di giochi e come oggetto
sessuale. Il criminologo in questione non esclude, come Andreoli del resto, che Chiatti abbia subito in
brefotrofio esperienze sessuali traumatiche che poi ha rimosso. E periodicamente si aprono finestre
nella sua memoria dove il passato riaffiora scatenandogli rabbia e desiderio di vendetta; del resto non
ricorda niente di questo periodo, comunque sembra terrorizzato da questo vuoto. Il suo
comportamento ossessivo/compulsivo lo ha portato a scambiare i bambini per giocattoli, per cose,
non pi persone. Ha spiegato, del resto, il geometra che quando uccideva Simone si sentiva come
staccato da s, come se assistesse al suo agire. Palermo afferma che ci troviamo di fronte "ad uno

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stato schizofrenico, ad uno stato dissociativo accompagnato da isteria". (128)

Il criminologo americano spiega che la personalit borderline, che egli diagnostica al periziando,
appartiene a soggetti spesso eccentrici, intelligenti, molto narcisisti e vanitosi. Una persona sana di
mente, afferma Palermo, non parla cos abbondantemente dei propri crimini come ha fatto Chiatti, al
contrario tende a coprirsi, a non svelarsi. Insomma, sa che se parla si accusa. Invece, questo tipo di
serial killer indulge nella descrizione dei propri atti, se ne vanta, gode nel ripensarci. Sotto stress,
magari a causa di un cronico rifiuto degli affetti, un borderline sfocia facilmente nella schizofrenia
nevrotica. Chiatti non aveva amici, non ha mai avuto la ragazza, si scoperto attratto dagli uomini,
ma solo in astratto perch affermava che il sesso con un adulto gli sembrava una cosa "sporca".
Pensava di poter avere un rapporto affettivo con i bambini pi piccoli, ma quando anche Lorenzo lo
ha battuto a carte lo ha colpito perch si sentito sconfitto un'altra volta. Il suo umore abituale oscilla
tra calma, timidezza e irascibilit che lo porta al raptus omicida. Il criminologo di cui si tratta, a
proposito della sessualit del Chiatti, afferma che questa "sia infantile, preedipica, in quanto si limita
soltanto nel toccare. La propria sessualit non sviluppata, un ragazzo di due, tre anni, quattro
anni dal punto di vista sessuale". (129) Ma egli non solamente dal punto di vista sessuale un
bambino di quell'et, ma anche dal punto di vista psichico, maturativo, etico e sociale.

Palermo continua la propria diagnosi affermando che "Chiatti resta genericamente in grado di
intendere e di volere, sa distinguere il bene dal male, il giusto dall'ingiusto, non folle nel senso
comune. Egli, pur sapendo che uccidere male, non era in grado di valutare esattamente i propri
gesti per quello che erano. Ha agito in base ad impulsi coatti, senza rendersi conto delle
conseguenze". (130) Il criminologo americano resta del parere che il geometra non abbia progettato i
delitti. Quando si sentito rifiutato, o ha avuto il timore di esserlo, anche dai due bambini, esploso,
ammettendo di aver provato piacere mentre uccideva Simone e Lorenzo.

Affrontando il tema delle lettere anonime inviate alle forze dell'ordine, Palermo afferma che le
richieste d'aiuto avevano lo scopo di liberare Chiatti dei sensi di colpa, ma egli ambivalente, non
riesce a svelarsi del tutto, non dice la sua identit. Ribadisce sempre il criminologo americano, che il
periziando soffre di una sindrome borderline di tipo prepsicotico con forti elementi ossessivi
compulsivi, pedofilici, ma di natura basicamente infantile e dunque di una sindrome seria, perch
essa pu sfociare "sia in una forma paranoidea orribile, sia in una forma depressiva con idee suicide
o omicide, sia in una forma schizofrenica, che magari si presenta con manifestazioni falsamente
nevrotiche". (131) Considerato ci afferma che Chiatti, al momento dei fatti, era affetto da infermit
tale da diminuire grandemente, ma non totalmente, la capacit di intendere e di volere, discostandosi
parzialmente dai consulenti tecnici nominati dai legali dell'imputato.

In ogni caso, precisa il criminologo americano, Chiatti rimane un individuo pericolosissimo, che non
dovrebbe tornare in libert, altrimenti commetterebbe nuovi delitti. Soggetti come lui, continua
Palermo, sono "per lo pi paranoici, feticisti, ossessivo-compulsivi, sadici. Hanno comportamenti
antisociali, anche se appaiono normalissimi, in quanto hanno complessi non risolti di identificazione
personale e di relazione con le figure importanti della loro vita. Hanno una profonda ostilit, un
desiderio di vendetta a volte, che non riescono a controllare e hanno un'aggressivit distruttiva
perch il rifiuto subito negli affetti scatena odi ingestibili verso di s e verso gli altri". (132)

Palermo ritiene che un trattamento psicoterapico e farmacoterapico solo in teoria potrebbe guarire
Luigi Chiatti. Dovrebbe stare sotto cura per vent'anni, con psicoterapia di gruppo quasi quotidiana, e
forse non basterebbe. Sostiene, inoltre, che la cosa migliore sarebbe quella di continuare a farlo
vivere in un luogo dove il giovane sia protetto anzitutto da se stesso, perch estremamente
probabile che il suo comportamento aggressivo non si plachi con l'et e che possa tornare ad
uccidere una volta libero. Si scatenerebbe di nuovo, se fosse rimesso in libert senza adeguata
terapia, una lotta fra l'impulso distruttivo, che lo porta a uccidere di nuovo, e la volont di controllo,
che non riuscirebbe a prevalere. Palermo asserisce, infatti, che "uccidere d a questi soggetti un
orgasmo psichico, che altrimenti non raggiungono. Un piacere che dura pochi minuti e il cui effetto,

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come quello della droga, deve essere ripetuto. Pi il "mostro" ha successo, pi torna ad uccidere
anche se a volte pu passare molto tempo fra un delitto e l'altro". (133)

I periti nominati dalla Corte d'Assise sono Gianluigi Ponti, ordinario di psicopatologia forense presso
l'Universit di Milano, Ugo Fornari, docente di psicopatologia forense presso l'Universit di Torino, e
Ivan Galliani, associato di criminologia e difesa sociale presso l'Universit di Modena. Anche loro,
come Andreoli, passano in primo luogo a individuare gli elementi portanti della problematica
esistenziale del periziando. In primo luogo il sentimento della solitudine, del vuoto, dell'incapacit a
comunicare che Chiatti riconduce al cattivo rapporto con i genitori adottivi. Quel padre, con lui
scontroso e silenzioso e dal quale si sentito rifiutato e mal accettato, nei cui confronti ha solo
espressioni di svalutazione e rancore. Quella madre che ricorda solo come persona dura, frustrante e
repressiva. Nel suo sentire, nessuno dei due stato in grado di dargli quell'affetto e quell'amore che
da sempre gli mancano, fin dal momento in cui la madre naturale lo ha abbandonato. I periti
ricordano che l'imputato ha opposto un forte e violento rifiuto a parlare della sua vita antecedente
l'adozione, e il suo affermare che non conservava alcun ricordo degli anni trascorsi in orfanotrofio
per Ponti, Galliani e Fornari soltanto una scusa e ritengono che la ferita dell'abbandono della madre
per Chiatti ancora bruciante, anche se non vuole ammetterlo.

In secondo luogo, i periti indagano sul suo bisogno inappagato di essere accettato ed amato. Come
detto, il periziando non ha conosciuto l'amore della madre e non ha conosciuto il calore continuativo e
assiduo dei genitori. "Io ho bisogno del contatto fisico, perch ho molto bisogno di affetto, di una
persona che mi stia vicina, che mi guidi, che mi ami. Ho bisogno di poter esprimere il mio amore. Se
non riesco, mi sento gi, se riesco, sono felice". (134) Sono proprio queste le parole con cui Chiatti
spiega il suo bisogno di affetto.

Ponti, Galliani e Fornari passano, poi, ad analizzare la sessualit del periziando e notano che egli
mostra grande imbarazzo e vergogna nel trattare questo argomento. Considera l'amore per l'altro
sesso rischioso e inappagante, anche se specifica che questo problema sussiste anche con gli
uomini, seppur in misura minore. Anche i periti della Corte indagano sulla sua mancanza di empatia
verso gli altri, concludendo che, non avendo conosciuto l'amore della madre, non sa amare gli altri di
conseguenza "non manifesta sentimenti, manca di profondit affettiva, sono assolutamente assenti
sentimenti di rimorso, di melanconia, di rimpianto e di lutto; al contrario, vi sono in lui rabbia e
risentimento, se viene abbandonato o rifiutato o comunque non accettato dalle altre persone, che
egli, a quel punto degrada da persone a cose". (135)

I periti nominati dalla Corte descrivono l'imputato in questi termini: "non soltanto si sente una persona
speciale, che ha problemi speciali, non solo egli vive in una chiave esclusivamente egocentrica e si
sente l'ombelico del mondo; non semplicemente pretende di essere amato, ammirato, stimato e
accettato senza alcuna riserva; non soltanto nutre invidia per quelli che hanno qualche cosa di pi,
che non hanno i suoi problemi; non soltanto non sente empatia con nessuno e non sa mettersi nei
panni degli altri: ma addirittura il prossimo esiste solo in quanto gli utile e serve ad alimentare il
senso grandioso che ha di s". (136) Nel linguaggio psichiatrico questi aspetti della personalit
configurano ci che si denomina "disturbo narcisistico di personalit".

Come giunga ad uccidere lo si apprende dalle sue stesse parole. Chiatti sincero, non nasconde
nulla dei suoi sentimenti, delle motivazioni e delle pulsioni che lo hanno portato a diventare per due
volte assassino: addirittura se ne vanta. I periti non si meravigliano di tutto questo, perch ritengono
che il suo narcisismo gli fa credere di essere al di sopra di tutto, degli scrupoli morali e anche della
piet, di essere senza colpa e lo rende privo di rimorsi, proprio perch i suoi problemi sono "speciali"
e diversi da quelli degli altri uomini.

I periti in questione ritengono che sia molto chiara la psicodinamica che connota i rapporti che per
Chiatti sono "significanti": egli si aspetta di essere assecondato nel suo narcisismo da chi ha le doti
che gli mancano e che, di conseguenza, invidia. La persona ammirata e invidiata deve dargli ci di

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cui egli ha pi bisogno: la sensazione di essere accettato come persona buona, anche nei suoi
comportamenti pi imbarazzanti e meno appaganti. Solo in questa dimensione l'altro, degradato a
oggetto d'uso, lo fa sentire come una persona buona, gli consente di accettarsi e di tenere rimosso il
"mostro" che c' in lui. Finch l'altro lo gratifica e gli rinforza il narcisismo "buono". Se per la
persona ammirata e invidiata lo respinge, o non pi disposta ad assecondarlo, quando rifiuta i suoi
approcci pedofili, quando non serve pi a compensare i suoi problemi, egli si sente abbandonato e
vuoto; allora la persona (Simone e Lorenzo) da buona diventa "cattiva" e Chiatti prova per lei odio,
paura, risentimento, desiderio di vendetta e, infine, voglia di distruggerla. Emerge cos l'altra
componente della sua personalit: quella sadica e distruttiva, in altre parole quel "mostro" che egli
dice albergare dentro di s e che, se l'altra persona buona, dice di essere in grado di reprimere.

I periti concludono affermando che "il bandolo della matassa tenuto in mano dall'altro: ed l'altro
che ha il potere di dargli gioia o farlo precipitare nel baratro del vuoto e dell'esclusione, l'altro che
ha il potere di farlo sentire buono o cattivo. Dell'altro pertanto ogni responsabilit e ogni colpa sia
nel bene che nel male. Simone e Lorenzo, e non lui, sono dunque i responsabili della loro morte,
dovuta esclusivamente al loro comportamento, ovvero anche colpa di Dio che glieli ha fatti
incontrare". (137) Il convincimento che tutto gli sia dovuto fa s che egli tratti tutti gli altri, e non solo le
sue vittime, come altrettante "cose" che gli servono per sostenere ed alimentare la propria autostima.

Infine il problema della sua responsabilit penale. Ponti Galliani e Fornari concludono la perizia
affermando che Chiatti non affetto da alcuna psicosi, n da altre malattie della mente. Dopo aver
cercato di ricostruire i percorsi attraverso i quali si andata formando la personalit del periziando,
dopo aver individuato il cammino delle dinamiche psicologiche che lo hanno portato a compiere cos
crudeli delitti; dopo aver cercato di individuare i suoi sentimenti, i suoi stati d'animo, i suoi pensieri,
hanno tracciato un profilo psicologico, ma non hanno trovato tracce di "follia". I periti nominati dalla
Corte hanno constatato, inoltre, che Luigi Chiatti ha agito lucidamente, che quando ha ucciso la sua
coscienza era vigile, che aveva consapevolezza di quello che stava facendo e ne conosceva la
gravit. Ha ucciso Simone perch non voleva essere scoperto. Ha colpito reiteratamente le due
vittime finch non si reso conto che due testimoni pericolosi erano morti. stato attento a
cancellare le tracce del primo delitto. Lo ha fatto solo in parte nel secondo perch gli eventi sono
precipitati; ha cercato di stornare i sospetti, si preso gioco degli investigatori, si sentito importante
ed eroico nel recitare la parte del "mostro".

Ponti, Fornari e Galliani, quindi, non individuano in lui alcuna malattia mentale, ma solo sentimenti e
pensieri egoistici ed egocentrici. Pertanto egli era ben cosciente di quello che stava compiendo e in
grado di esercitare una sua libera scelta. I periti nominati dalla Corte affermano, inoltre, che Chiatti
presenta "un disturbo narcisistico di personalit, al quale si accompagnano tratti sadici, anche
qualche aspetto del disturbo paranoide di personalit e condotte parafiliache (pedofilia), per disturbi
che non configurano un'infermit di mente, perch non sono espressioni di psicosi o di altra patologia
psichiatrica". (138) E in tale senso dichiarano: "noi periti dei giudici abbiamo concluso affermando che
Luigi Chiatti era, al momento in cui commise i delitti, ed tuttora, capace di intendere e di volere".
(139)

Il collegio dei consulenti tecnici nominati dalle parti civili, formato dal professor Ezio Moretti, dalla
dott.ssa Maria Rita Parsi e dal dottor Claudio Cundari, pur dichiarandosi, sul piano della diagnosi
della personalit, pienamente concorde con i periti d'ufficio nel giudicare Luigi Chiatti portatore di un
disturbo narcisistico di personalit, da un lato evidenziano, tuttavia, che il disturbo ora detto "sia da
mettere in relazione con tratti isterici o, come il DSM III recita, con un disturbo istrionico di
personalit, questo sembrando coincidere meglio con del disturbo paranoide alle osservazioni
effettuate, soprattutto per la costante ricerca di approvazione o addirittura di lodi implicite nel suo
modo di raccontare i fatti". (140)

Nelle due relazioni presentate alla Corte i consulenti tecnici delle parti civili giudicano il periziando, da
un lato, con riferimento alla tipologia criminale, un serial killer, dall'altro, affermano che i dati emersi

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dalla elaborazione del test di Rorschach sono tali da consentire varie diagnosi, con riguardo alla
struttura di personalit del Chiatti; sicuramente ritengono presenti sentimenti di intensa ostilit,
tendenze all'acting out, distruttive, sadiche; affermano, inoltre, che "diversi e svariati sono i dati che
parlano a favore di un comportamento e di un'affettivit gravemente immaturi, fino ad arrivare, in
alcuni momenti a modalit di tipo arcaico"; (141) segnalano la presenza di un meccanismo quale lo
sdoppiamento, in quanto corollario dell'idealizzazione che sarebbe alla base, secondo la letteratura,
di eventuali manifestazioni di rabbia narcisistica; Moretti, Parsi e Cundari ritengono, infine, presente
"un verosimile disturbo dell'identit originato da una marcata e persistente carenza affettiva primaria
correlata alla figura materna". (142)

Concludendo il suddetto collegio peritale definisce Chiatti come un soggetto pienamente imputabile,
in quanto portatore di un "disturbo narcisistico della personalit con tratti isterici e comportamenti
parafilici"; dall'altro, e con riferimento alla tipologia criminale riguardante il Chiatti, si dice convinto che
egli sia da considerare un serial killer, ossia una persona motivata a ripetere i medesimi
comportamenti criminali.

La Corte, analizzate le perizie cui stato sottoposto l'imputato, conclude che Luigi Chiatti sano di
mente e capace di partecipare coscientemente al processo. Ritiene presente in lui un disturbo
narcisistico di personalit, al quale si accompagnano tratti sadici, qualche aspetto del disturbo
paranoide di personalit e condotte di tipo pedofilo, ma non tali da inficiare la capacit di intendere e
di volere.

3.4.2. La sentenza della Corte d'Assise


Il 28 dicembre 1994 la Corte d'Assise, pronuncia il proprio verdetto: ergastolo con isolamento
diurno per due anni per Luigi Chiatti. Il presidente Paolo Nannarone, il giudice a latere Nicola
Rotunno ed i sei giudici popolari condannano l'imputato, inoltre, all'interdizione perpetua dai pubblici
uffici, all'interdizione legale durante il periodo di espiazione della pena, alla pubblicazione della
sentenza su alcuni quotidiani locali e nazionali, nonch presso l'albo dei comuni di Perugia e Foligno.
Il verdetto della Corte prevede, altres, la confisca e la restituzione degli oggetti delle vittime di cui si
era impossessato, la distruzione di quanto altro in sequestro, il risarcimento dei danni subiti dalle parti
civili costituitesi, liquidate in 500 milioni delle vecchie lire per ciascun genitore delle vittime, in 300
milioni per ciascun fratello e in lire 150 milioni per ciascun avo, nonch il pagamento delle spese
processuali.

La motivazione della sentenza si basa in particolar modo sulla questione riguardante l'imputabilit del
serial killer. La Corte passa in primo luogo ad analizzare proprio la eventuale sussistenza di patologie
nella sfera sessuale del Chiatti. Dall'analisi dei test psicologici emerge, secondo l'organo giudicante,
una sessualit complessa e particolare. Innanzitutto essa passa attraverso varie fasi: partendo da
esperienze eterosessuali, si sviluppa poi verso una forma di omosessualit nei confronti di coetanei
per poi sfociare in pedofilia. Oltre a ci, questa presenta altre peculiarit, in quanto il periziato non ha
necessit di atti comportanti un'attivit sessuale completa, ma gli sono sufficienti "toccamenti". Infine,
un altro elemento distintivo riguarda le fantasie sessuali. L'imputato, infatti, immagina, come detto, di
lottare con il partner, assumendo un ruolo passivo o come precisa egli stesso da "schiavo", in cui
l'altra persona che decide di lui e pu fargli qualunque cosa. Un ultimo particolare della sessualit di
Chiatti deve essere segnalato: gli atti sessuali nei confronti dei bambini infatti, vengono giustificati dal
serial killer come atto di amore nei loro confronti, perch questo provoca loro piacere.

La Corte, successivamente, tenuto conto delle relazioni fornitegli dai vari esperti, passa in rassegna
l'eventuale presenza di patologie indicate dal DSM III. Innanzitutto, l'organo giudicante ritiene
sussistente un grave disturbo narcisistico di personalit in quanto risultano presenti i sintomi di
questa forma patologica: senso grandioso di s, reazioni alle critiche con sentimenti di rabbia,
vergogna, umiliazione, sfrutta per i suoi scopi le persone che con lui ha un qualche rapporto, crede
che i suoi problemi siano speciali e possano essere risolti solo da persone speciali, richiede costante

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attenzione e ammirazione, manca completamente di empatia ed pervaso da un forte sentimento di


invidia.

Ritengono, poi, i giudici di primo grado che mancano le condizioni per una diagnosi del disturbo
istrionico di personalit, in quanto non sussistono sicuramente alcuni dei requisiti previsti dal DSM III
per il riconoscimento di tale disturbo; nella fattispecie sono assenti i requisiti relativi alla espressione
delle proprie emozioni e quelli dell'eloquio eccessivamente impressionistico e carente di dettagli. Gli
elementi indicatori di questa patologia vanno perci considerati tratti istrionici della personalit del
periziato. A parere della Corte non sussistono neppure i requisiti per una diagnosi di disturbo
borderline di personalit, in quanto la caratteristica principale di questa forma patologica data
dall'instabilit della personalit. In Chiatti, invece, si ha la caratteristica opposta, cio quella della
monotonia dell'umore. Manca inoltre nell'imputato l'elemento dell'impulsivit e dell'instabilit affettiva
come richiesto dai criteri per l'individuazione del disturbo di cui si tratta. Non sono presenti nel
giovane folignate neppure il sentimento di rabbia immotivata ed intensa, i persistenti disturbi
dell'identit i sentimenti di noia e di vuoto e, infine, la presenza di transitori episodi psicotici per aver
un disturbo di personalit borderline, in quanto anche il progetto di fuga ventilato da Chiatti non
acquisisce a giudizio della Corte carattere di delirio.

L'organo giudicante ritiene, invece, che vi siano elementi per la diagnosi di un lieve disturbo
paranoide di personalit, come dimostra il timore nell'imputato di essere sfruttato o danneggiato dagli
altri, il rancore che porta dentro di s e il fatto che restio a confidarsi perch teme
ingiustificatamente che le informazioni siano usate contro di lui. La Corte non ritiene sussistente la
presenza di un disturbo ossessivo-compulsivo di personalit, n di un disturbo sadico della stessa,
anche se dai test psicologici emerso che Luigi Chiatti presenta tratti di sadismo; sotto l'aspetto
sessuale pu infatti effettuarsi una diagnosi di pedofilia e di sadismo sessuale (come per emerso
soltanto dai colloqui effettuati con il consulente tecnico del pubblico ministero Vittorino Andreoli),
quando egli stesso ha ammesso di aver provato un'eccitazione e un godimento sessuale nell'atto di
compiere i due omicidi.

In conclusione la Corte ritiene che la personalit di Chiatti sia, sotto il profilo strettamente psicologico,
disturbata grandemente, perch egli affetto da un conclamato e grave disturbo narcisistico di
personalit e tratti marcati di altri disturbi di personalit, mentre sotto l'aspetto affettivo sessuale
affetto da pedofilia e da sadismo sessuale. Al riguardo l'organo giudicante osserva che il nostro
ordinamento non considera tra le cause di esclusione della responsabilit penale le forme di
degenerazione del sentimento, per cui le psicopatologie sessuali possono avere rilievo solo se esse
sono il sintomo di uno stato patologico suscettibile di alterare la sfera intellettiva in modo tale da
escludere o grandemente scemare la capacit di intendere e di volere. In base a quanto detto, i
giudici ritengono che per Chiatti non possa parlarsi di infermit tale da configurare il concetto di
malattia mentale rilevante. Occorre precisare che, per poter superare questo ostacolo, i difensori
dell'imputato sostengono che i disturbi di cui egli portatore, pur non inquadrabili nel disturbo
borderline, sono di tale gravit e complessit da integrare il concetto di infermit. Secondo la tesi
difensiva, nel momento in cui uccideva, l'imputato non sapeva di colpire una persona umana ma
riteneva in quel momento di dover soddisfare una sua esigenza fondamentale.

La Corte ritiene tale teoria astrattamente ammissibile perch il concetto giuridico di infermit
concetto pi vasto di quello di malattia mentale. Ma ritiene altres di doverla respingere in concreto, in
quanto Chiatti non solo in grado di ricordare tutte le sequenze dei due omicidi, ma anche i pensieri
che in quei momenti attraversavano la sua mente. Da ci si evince che egli, al momento dei due
delitti, fosse sempre stato vigile e presente. L'imputato aveva poi coscienza dell'illegalit che stava
commettendo tanto da agire con fare circospetto al momento del rapimento. L'organo giudicante
afferma, inoltre, che egli avesse capacit di determinarsi ad una pluralit di azioni tanto da essere
indeciso se riportare Simone a casa oppure ucciderlo. Pari determinazione egli ha avuto nel
momento di portare a termine il suo delitto allorch si rende conto che Simone ancora vivo e, in
previsione di ci, si munisce di un coltello per completare l'opera. Analogamente pu dirsi cosciente

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riguardo ai fatti sfociati nell'uccisione di Lorenzo.

I giudici concludendo il quadro relativo all'imputabilit di Chiatti seguono perci il seguente percorso
logico: tenendo conto che il nostro ordinamento riconosce come infermit rilevante ai fini
dell'esclusione della responsabilit penale le accertate malattie di mente e che esso altres non
riconosce come causa di esclusione dell'imputabilit le psicopatie o i disturbi della personalit; tenuto,
inoltre, conto che gli esami di varia natura ai quali l'imputato stato sottoposto hanno evidenziato che
egli affetto soltanto da disturbi della personalit, in particolar modo quello narcisistico,
accompagnato da tratti sadici, qualche aspetto del disturbo paranoide e condotte parafiliche
(pedofilia), ne discende che per il suddetto non pu parlarsi di infermit tale da configurare il concetto
di malattia mentale ai fini dell'esclusione o della diminuzione della capacit di intendere e di volere.

Riguardo alla qualificazione giuridica dei fatti la Corte dichiara che, ai danni del piccolo Simone, gli
eventi consentono di contemplare il reato di sequestro di persona, in quanto si ravvisano tutti gli
elementi materiali e soggettivi del delitto in questione. L'organo giudicante ritiene inoltre fondata la
contestazione dell'aggravante dell'art. 61 n.2 del codice penale, in quanto il suddetto reato stato
compiuto per eseguirne un altro, cio quello di compiere atti sessuali con un minore. Sussiste
pacificamente il reato di omicidio, mentre il reato di atti di libidine violenti (precedentemente
disciplinato dall'art. 521, ora abrogato dalla legge n. 66/1996) deve essere considerato per il principio
di specialit, aggravante del reato di omicidio ai sensi dell'art. 576 n.5 del codice penale. I giudici
ritengono insussistente la contestata aggravante dei motivi abbietti, esistente, invece, quella delle
sevizie. Sussiste, infine il reato di occultamento di cadavere. Per quanto concerne l'omicidio di
Lorenzo la Corte si esprime in modo analogo fatta eccezione per il problema riguardante il sequestro
di persona e gli atti di libidine ai danni del minore in questo caso assenti.

Riguardo alla motivazione dei delitti, la molla dell'agire di Chiatti deve essere individuata in entrambi i
casi nella sua pedofilia. Ma tale disturbo non da solo sufficiente a spiegare i delitti. Infatti nel primo
omicidio l'elemento scatenante deve essere ricercato nel disturbo narcisistico di cui egli affetto a cui
si sono aggiunti motivi utilitaristici, quali impedire che fosse scoperto, la susseguente punizione e
riprovazione sociale. Inoltre, gran impatto nel compimento del reato ha avuto la sensazione di
eccitazione e di godimento sessuale che l'atto ha comportato; giova a questo proposito ricordare
comunque che questo aspetto emerso esclusivamente nei colloqui personali che l'imputato ha
avuto con il consulente del P.M. Andreoli nel carcere di Verona. Nel secondo caso, a parere dei
giudici di primo grado, l'omicidio di Lorenzo Paolucci addebitabile esclusivamente al sadismo
sessuale, perch non risulta che vi sia stato contatto sessuale o quanto meno un approccio da parte
dell'imputato a cui sia stato opposto un rifiuto da parte della giovane vittima.

La Corte ritiene di non dover concedere le attenuanti generiche, sia per l'intensit del dolo (anche se
non pu parlarsi di premeditazione), sia per il fatto che il motivo dell'uscita del Chiatti vada ricercata
nel desiderio di soddisfazione dei suoi istinti pedofili e non nel bisogno di cercare amicizie come
invece sostengono i suoi difensori; sia perch le patologie di cui l'imputato portatore hanno avuto
un'efficacia causale minima nella commissione dei fatti a lui addebitati; inoltre il comportamento
collaborativo tenuto dal giovane dopo i delitti dovuto precipuamente a motivazioni di carattere
utilitaristico (per ottenere un miglior trattamento sanzionatorio), ed connaturale al suo narcisismo
per appagare il suo bisogno di essere al centro dell'attenzione. Infine, il carattere dell'imputato ed i
suoi vissuti non sono di per s sufficienti a garantirgli la concessione di tali circostanze. Circa la
questione della continuazione la Corte ritiene che tale istituto giuridico non possa applicarsi ai due
omicidi sulla base dell'essenziale rilievo che "la esclusione della premeditazione fa venir meno la
possibilit che il secondo delitto faccia parte di quel progetto delinquenziale in cui si concretizza il
disegno criminoso". (143) Per questo motivo l'organo giudicante esclude che l'intento omicida
formatosi nell'imputato nel momento in cui uccise il piccolo Simone rimase fermo fino a quando si
present l'occasione di uccidere ancora.

Per questi motivi la Corte condanna Luigi Chiatti all'ergastolo.

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3.5. Il processo davanti alla Corte d'Assise d'Appello


Il secondo grado di giudizio si svolge a poco meno di un anno di distanza dalla sentenza emessa
dalla Corte di Assise di Perugia e che sembra lasciare poche speranze all'imputato. Il processo inizia
subito con l'intento da parte dei difensori dell'imputato, Guido Bacino e Claudio Franceschini, di
screditare il giudizio espresso da parte dei consulenti tecnici della Corte, Fornari e Galliani. I legali di
Chiatti infatti, presentano una memoria in cui sottopongono all'attenzione della Corte una serie di
considerazioni a sostegno dei motivi d'appello e segnatamente a sostegno della necessit di disporre
una nuova perizia psichiatrica. Infatti Bacino e Franceschini affermano che Fornari e Ponti, consulenti
tecnici della Corte in primo grado, nella loro pubblicazione Il Fascino del Male, propugnano de iure
condendo "la eliminazione della non imputabilit", sul rilievo che "tutti, anche coloro che soffrono di
gravi disturbi mentali, abbiano una pi o meno elevata capacit di scelta e perci solo devono essere
considerati imputabili", (144) in questo modo dimostrando di essere prevenuti nella valutazione
dell'imputabilit del loro assistito.

Nell'udienza del 24 novembre 1995, alla quale l'imputato rinuncia a presenziare, il giudice a latere d
lettura della relazione della causa. In seguito la Corte dispone necessario farsi luogo a una nuova
perizia psichiatrica collegiale su Chiatti, nominando i periti Francesco Bruno, Arnaldo Novelletto e
Pasquale Avvisati. In quest'udienza si verifica un fatto che molti sosterranno essere di straordinaria
importanza per la soluzione della vicenda giudiziaria; viene chiamato, infatti, a deporre Tiziano
D'Amico, compagno di Chiatti nei suoi primi anni di vita all'orfanotrofio di Narni, che sostiene che un
prete li avrebbe ripetutamente violentati da bambini. Il teste afferma che la prima molestia si sarebbe
verificata durante le feste natalizie del 1972, quando gli orfani erano usciti per raccogliere il muschio.
"Ho sentito le grida provenire da dietro un cespuglio ed ho visto uscire di corsa Luigi, il pi piccolo del
gruppo, con i pantaloni slacciati. Poco dopo apparso il prete che ci disse che non era niente, che
voleva fare un giochino con Luigi, ma che lui non aveva voluto. La sera Luigi mi disse che era stato
toccato dal prete e che gli aveva fatto male". A detta del testimone tutti nell'istituto erano a
conoscenza delle abitudini sessuali del sacerdote, ma nessuna altra dichiarazione giunta mai a
conferma. Questo elemento ritenuto dai difensori dell'imputato elemento importantissimo nel
potergli riconosce l'esistenza di patologie suscettibili di renderlo non imputabile.

Nell'udienza del 30 novembre dello stesso anno i difensori dell'imputato, dimostrando ancora di
ritenere fondamentale la questione dell'imputabilit del loro assistito, chiedono la ricusazione del prof.
Francesco Bruno reo a loro avviso di aver manifestato, nel corso di varie interviste rilasciate ai mezzi
di comunicazione di massa, il proprio parere su fatti oggetto del processo in questione. La Corte
accogliendo la loro richiesta nomina, in sostituzione dell'esperto in questione il prof. Augusto Balloni.

L'organo giudicante, conscio che anche in questo caso il fulcro del processo sar dato dall'esito delle
perizie psichiatriche, effettua una serie di minuziose richieste ai periti. In primo luogo la Corte chiede
al collegio giudicante di valutare se Chiatti fosse all'epoca in cui commise i fatti capace o meno di
intendere e di volere, di indicare, ove fosse affetto da vizio parziale o totale di mente, la natura e le
caratteristiche della relativa infermit; domanda, inoltre, se gli eventuali disturbi della personalit
assumano valore di malattia, di vera e propria infermit psicopatologica oppure di semplice anomalia
psicologica e se Chiatti possa essere considerato o meno un serial killer. Infine valutare la
pericolosit sociale dell'imputato. Il 26 marzo 1996 la Corte dispone l'acquisizione della relazione del
collegio peritale e che siano sentiti i periti in esito alle risposte date ai quesiti postigli dall'organo
giudicante e che vedremo meglio nel paragrafo successivo.

Il 10 aprile 1996 da un lato, il pubblico ministero pronuncia la sua requisitoria chiedendo la conferma
della pena dell'ergastolo per l'imputato e i difensori di Chiatti, dall'altro, chiedono l'assoluzione dello
stesso, siccome non imputabile, da tutti i reati, o, in alternativa, il riconoscimento del vizio parziale di
mente. Il giorno successivo, dopo le repliche del P.M. e dei difensori, la Corte si ritira in camera di
consiglio.

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3.5.1. Le perizie psichiatriche sull'imputato


Anche in questo grado di giudizio l'esito del processo condizionato dai risultati delle perizie
psichiatriche effettuate sull'imputato. Come in primo grado vi divergenza di opinioni tra i consulenti
tecnici nominati dal procuratore generale, Vella, Dall'Aglio e Giusti, e quello nominato dalle parti civili,
Ezio Moretti, da un lato, e quelli nominati dai legali di Chiatti, dall'altro.

Mentre i primi si sono espressi per la piena capacit di intendere e di volere di Chiatti, i secondi
hanno ribadito ancora una volta che il loro assistito era, al momento dei fatti, in tal stato di mente da
escludere la capacita di intendere e di volere ai sensi dell'art. 88 del codice penale. Questi ultimi in
particolare, ritengono gli stessi delitti per i quali si procede, oltre che il progetto di fuga coltivato dal
giovane, chiare manifestazioni psicotiche e perci segni inequivocabili di infermit mentale idonea ad
annullare del tutto la capacit di intendere e di volere.

Fondamentale risulta quindi la posizione assunta dai periti nominati dalla Corte, i quali hanno
espresso l'avviso che Chiatti, all'epoca in cui commise i fatti, "era per infermit in tale stato da mente
da scemare grandemente, senza escluderle, le capacit di intendere e di volere" (145), in quanto
affetto da "grave e profonda immaturit delle strutture della personalit, che si manifesta attraverso il
disturbo narcisistico di personalit, con pedofilia e con tratti sadici, schizoidi, paranoici, ossessivi e
fobici". (146) In particolare il prof. Avvisati afferma che l'acting out non l'unica modalit con cui
avviene il reato, ma fa presente che la violenza di cui Chiatti ha dato prova in occasione di entrambi i
delitti deve dirsi espressione della "rabbia narcisistica". Ha precisato, inoltre, il consulente della Corte
che "a questo tipo di stati prepsicotici stato dato il nome di patologia narcisistica" (147), e che le
premesse psicotiche, implicite nel disturbo narcisistico, sono sufficienti, in presenza di determinate
situazioni e particolari stimoli, a riflettersi, in certi momenti, sulla capacit di intendere e di volere del
soggetto. In particolare i consulenti tecnici nominati dal procuratore generale, sebbene si siano
espressi, in sintonia con il consulente tecnico del P.M. nel giudizio di primo grado Vittorino Andreoli,
per la piena imputabilit di Chiatti, tuttavia, sul piano della diagnosi clinica, si sono sensibilmente
discostati dal giudizio espresso dal predetto, avendo giudicato il periziando "affetto da pedofilia con
attrazione omosessuale, da annoverare nel quadro pi generico delle parafilie". Il collegio dei periti
nominati dal P.G. qualifica riduttivamente il periziando quindi come un pedofilo con attrazione
omosessuale, dichiarandosi per incapace di spiegare i due terribili omicidi.

Il consulente tecnico delle parti civili, Ezio Moretti, modificando il giudizio espresso in primo grado dal
collegio dei consulenti del quale egli stesso faceva parte, ha, da un lato, giudicato il periziando
"affetto da pedofilia e disturbo narcisistico di personalit" (148) e che "ha un buon indice di realt
...presenta un'affettivit stabile ...non presenta elementi di aggressivit ...non si pu dire che presenti
tratti di personalit immatura" (149); dall'altro, ha dichiarato di essere, a differenza di quanto espresso
nel primo grado di giudizio, del parere che il Chiatti non sia un serial killer, ma soltanto un
pluriomicida.

3.5.2. La sentenza della Corte d'Assise d'Appello


L'11 aprile 1996 la Corte d'Assise d'Appello pronuncia il proprio verdetto: il presidente, Emanuele
Salvatore Medoro, il giudice relatore, Carlo Cozzella ed i sei giudici popolari condannano Luigi Chiatti
a trenta anni di reclusione, la misura di sicurezza del ricovero in una Casa di Cura e di Custodia per
un periodo non inferiore a tre anni. Ed inoltre dispone la rifusione delle spese a favore delle parti civili
in 50 milioni 998 mila lire per ciascuno dei due gruppi di parti civili costituite.

La Corte quindi, basandosi sui risultati delle perizie e, in particolar modo, su quelle dei consulenti da
essa nominata, ha ritenuto l'imputato parzialmente capace di intendere e di volere decretando la
conseguente diminuzione di pena. L'organo giudicante motiva la propria decisione partendo proprio
dalla questione relativa all'imputabilit di Chiatti. Indica preventivamente quali sono i risultati cui il

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collegio peritale giunto; in primo luogo, come detto, ritiene che l'imputato, all'epoca in cui commise i
fatti, era per infermit in tale stato di mente da scemare grandemente, senza escluderle, le capacit
di intendere e di volere, essendo stato ritenuto affetto da "grave e profonda immaturit delle strutture
di personalit, che si manifesta attraverso il disturbo narcisistico di personalit, con pedofilia e con
tratti sadici-schizoidi, paranoidi-ossessivi e fobici". (150) Afferma, inoltre, la Corte che l'insieme dei
disturbi accertati stato raccolta nella seguente sintesi diagnostica: "sindrome narcisistica in una
personalit profondamente immatura e disturbata" (151), la quale configura una vera e propria
infermit psicopatologica, che stata posta in rapporto causale con i reati commessi. Il collegio
peritale tiene anche in considerazione il progetto di fuga di Chiatti con uno o pi bambini affermando
che questo, iniziato sotto forma di "idea fantastica", ha assunto le caratteristiche di "idea prevalente"
e si collega all'immaturit delle strutture di personalit del periziato ed in rapporto di causa-effetto con
i fatti da lui commessi. Per quanto concerne l'espressione serial killer si afferma che si possono
individuare nell'imputato alcune caratteristiche di questo tipo di assassino, mentre la ripetizione dei
reati ascrittigli sono da mettere in rapporto all'infermit accertata a suo carico. I periti ritengono,
infine, l'imputato socialmente pericoloso e in grado di partecipare coscientemente al processo.

La Corte ritiene quindi di accogliere la richiesta dei difensori dell'imputato di riconoscere quanto meno
il vizio parziale di mente. Innanzitutto l'organo giudicante, nella motivazione della sentenza, spiega i
motivi per i quali ha deciso di concedere una seconda perizia su Chiatti. Questi vanno ricercati ne
contrasto di fondo tra le conclusioni cui sono pervenuti, in primo grado, da un lato, i periti d'ufficio ed i
consulenti tecnici della difesa, dall'altro, sono emerse diversit di valutazione non solo in punto di
giudizio sulla capacit di intendere e di volere del Chiatti tra fra lo stesso collegio di consulenti tecnici
della difesa di quest'ultimo e il prof. Palermo, il cui esame stato richiesto dalla medesima difesa.
Inoltre, sul piano clinico-diagnostico fra i periti d'ufficio, da un lato, e il consulente tecnico del P.M. e
quelli di parte civile, dall'altro, sebbene sia i primi che i secondi abbiano giudicato l'imputato
pienamente capace di intendere e di volere.

La Corte, in primo luogo, si rif alla definizione data dal prof. Andreoli alla psichiatria per spiegare
queste divergenze; egli infatti la definisce "scienza del dubbio", ad indicare quanti siano ancora gli
interrogatori relativi all'inquadramento diagnostico e ai criteri terapeutici. In primo luogo, l'organo
giudicante critica le contraddizioni in cui caduto il collegio peritale di primo grado, che ad esempio
prima afferma che Chiatti presenta un "senso di inferiorit e un basso senso di autostima", poi che
egli "ha un'identit ben definita, un io saldo e piena egosintonia ...ha valori e mete lucidamente
delineati, anche se abnormi, a cagione del narcisismo". (152) In secondo luogo, i giudici di secondo
grado criticano il collegio peritale e, soprattutto, i primi giudici che non si sono affatto preoccupati di
fornire adeguata e convincente spiegazione del significato da dare al famoso progetto di fuga di
Chiatti. La Corte sebbene ritenga, alla luce delle risultanze peritali, di non dover configurare questo
intento come "delirio", come invece richiesto dai consulenti tecnici della difesa, ma semplicemente
come "idea prevalente", afferma per che la pretesa del collegio dei consulenti tecnici del P.G. di
ricondurre tale progetto di fuga nell'alveo della normalit deve dirsi assurda. Questo proposito,
invece, ad avviso della Corte d'Assise d'Appello non n patognomonico di psicosi n tantomeno un
qualche cosa di normale, ma il segno di una profonda e allarmante immaturit.

Ed questo il punto nodale della questione dell'imputabilit cos come risolta dai consulenti tecnici
della Corte. Quest'ultima infatti sottolinea come l'esame psicometrico, e segnatamente il reattivo di
Rorschach, ha evidenziato in Chiatti aspetti di immaturit, come stato riconosciuto da tutti gli esperti
che hanno analizzato la persona dell'imputato. L'organo giudicante specifica che egli un individuo
che, sebbene abbia da tempo superato i venti anni ama giocare con i bambini, i giochi che preferisce
sono tipicamente infantili, le letture e gli spettacoli televisivi che predilige sono quelli di un bambino
ed infine la sessualit dell'imputato senz'ombra di dubbio ipoevoluta e infantile. Del resto egli stesso
afferma che non ha mai avuto rapporti sessuali, che non farebbe mai un rapporto e che lo soddisfano
solo i "toccamenti". Tenuto conto di tutti questi aspetti la Corte ritiene Chiatti, sotto tutti i punti di vista,
al livello di un bambino di et non superiore ai cinque anni.

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In sostanza i giudici di secondo grado ritengono, se vero che l'imputato non affetto da
cerebropatie o da psicosi di qualsiasi tipo, ma solo da un "complesso disturbo di personalit a
molteplici componenti" (153), vero anche che quest'ultimo si innesta su un anomalia morfologica
della struttura della personalit medesima, su un'immaturit profonda e globale. L'organo giudicante
ritiene perci che non possa negarsi che l'interazione tra questa anomalia e l'immaturit di fondo si
rifletta negativamente sulle varie funzioni psichiche e, perci, sulla capacit di intendere e di volere
dell'imputato, in una convergenza che, se non ha le caratteristiche di malattia, assume il significato di
infermit. Del resto il prof. Avvisati sostiene che le premesse psicotiche, che sono implicite nel
disturbo narcisistico, devono dirsi bastevoli, in presenza di determinate situazioni e stimoli, a
riflettersi, sulla capacit di intendere e di volere.

La Corte, relativamente alla genesi e alla dinamica dei due delitti, smentendo la tesi del primo
consulente tecnico del P.M. Andreoli, il quale affermava che gli omicidi fossero frutto del sadismo
sessuale dell'imputato, ritengono, invece, che questi sono espressione evidente del distacco dalla
realt su cui influisce anche l'immaturit emotiva. L'organo giudicante afferma infatti che " evidente
che i gravi disturbi attribuiti al periziando influenzano la sua condotta e, tenendo conto della sua
storia di vita, si pu affermare che questi disturbi dovevano essere presenti all'epoca dei fatti per cui
si procede e dovevano influire sulla condotta che ha caratterizzato questi fatti, riducendo
grandemente la capacit di valutare le conseguenze morali e giuridiche di atti o fatti e soprattutto la
capacit di autodeterminazione, cio di volere". (154)

I secondi giudici poi ritengono infondate le censure mosse ai periti d'ufficio dalle altre parti
processuali; queste si basano in primo luogo sull'utilizzo non adeguatamente motivato di termini
strettamente psicanalitici. L'organo giudicante ritiene invece, che il disturbo narcisistico di personalit,
che rappresenta l'ambito pi evidente delle anomalie della personalit riscontrate in Chiatti non
poteva non essere spiegato se non ricorrendo alla psicanalisi, in quanto altrimenti sarebbe stata una
diagnosi fatta solamente in base a quelli che erano gli aspetti esteriori della personalit dell'imputato.
Quanto alla seconda censura mossa ai consulenti della Corte essa ha ad oggetto il concetto di
immaturit, ritenuto eccessivamente generico e non idoneo di per s a giustificare il vizio parziale di
mente. Il collegio peritale di cui si tratta spiega invece che le frustrazioni subite dal Chiatti sono da
porre in rapporto di causa ad effetto con la patologica immaturit della personalit dello stesso, e che
quest'ultima si manifesta attraverso il disturbo narcisistico e si riflette sulla capacit di intendere e di
volere dell'imputato, scemando grandemente l'una e l'altra. Il terzo rilievo mosso alla Corte quello di
aver considerato l'atteggiamento dell'imputato al momento dei delitti dovuto alla cosiddetta reazione a
"corto circuito", quando invece le autopsie rivelano che l'uccisione dei bambini impegn l'omicida per
molti minuti. La Corte replica a questa critica affermando che, da un lato, il collegio peritale mai ha
parlato di tale fenomeno psichico o comunque di delitti d'impeto, dall'altro, precisa che nel caso in cui
le "reazioni a corto circuito" sono caratterizzate dal fatto che tra lo stimolo ad agire e l'esecuzione
trascorre un certo lasso di tempo, durante il quale il soggetto non valuta tutti i contromotivi e le
conseguenze della propria azione, evidente che comunque esse comprimono la capacit di volere,
la cui presenza necessaria perch si abbia imputabilit.

L'organo giudicante passa poi a spiegare i motivi per i quali non possano accettarsi le conclusioni cui
sono pervenuti i consulenti tecnici della difesa dell'imputato, i quali ritengono che gli stessi due delitti,
oltre che il progetto di fuga, sono da considerare chiare manifestazioni psicotiche, e perci segni
inequivocabili di infermit mentale idonea ad annullare del tutto la capacit di intendere e di volere.
Con riguardo al progetto di fuga, abbiamo visto che non pu parlarsi di manifestazione psicotica, in
quanto da considerarsi come "idea prevalente". Per quanto concerne i due omicidi, ad avviso dei
periti della Corte, non si pu parlare di "deragliamento psicotico" della personalit borderline, perch
le "rotture psicotiche" tipiche di questa patologia durano nel tempo e sono cos eclatanti da rendere
necessario il ricovero ospedaliero; per contro, in occasione di entrambi gli omicidi, la riorganizzazione
di Chiatti, dopo l'iniziale cedimento fu immediata, totale, lucida, e questo sufficiente a escludere il
vizio totale di mente.

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In conclusione, affermano i giudici che l'imputato non era nella pienezza delle sue facolt mentali, in
quanto affetto da una complessa sindrome psicopatologica, caratterizzata da un conclamato disturbo
narcisistico di personalit e da una costellazione di tratti di numerose altre abnormit psichiche.
Inoltre precisa che tali disturbi vanno ad innestarsi su una condizione di profonda immaturit affettiva
ed etica, strettamente connessa con una tendenza sessuale pedofila. Questo complesso quadro
patologico configura una vera e propria infermit psichica, idonea a pregiudicare in maniera rilevante,
anche se non del tutto, il comportamento dell'imputato, non solo sul piano cognitivo e affettivo, ma
anche e soprattutto sul piano del funzionamento interpersonale e del controllo degli impulsi. Questo
risulta in indissolubile rapporto causale con i due omicidi. Da qui il riconoscimento del vizio parziale di
mente.

La Corte procede poi alla valutazione del secondo motivo d'appello da parte della difesa
dell'imputato, cio il mancato riconoscimento della continuazione tra i reati di omicidio e quelli ad
esso connessi. Discostandosi dal giudizio dei primi giudici, l'organo giudicante afferma che al
momento dell'omicidio di Simone Allegretti, l'idea di poter uccidere ancora albergava gi nella mente
di Chiatti. Un'eventualit del genere dimostrata da vari aspetti; il primo dato dai messaggi inviati
alle forze dell'ordine, in cui l'assassino afferma che ammazzer di nuovo; il secondo quando, in
occasione dei colloqui con i periti processuali, alla domanda riguardante la possibilit di uccidere
ancora qualora uscisse di galera, egli afferma "dipende". Ci sta a dimostrare che l'imputato sa che
sulla spinta di intense e non elaborabili situazioni conflittuali pu tornare ad uccidere.

Quindi la Corte ritiene che le due esecrabili imprese criminose commesse dal Chiatti possono dirsi
espressione di un programma delittuoso identico: quello di risolvere i suoi "problemi", anche a costo
di sacrificare alla risoluzione di questi una o pi vite umane. Infine l'organo giudicante sostiene, da un
lato, che l'esclusione della premeditazione non pu, quanto meno in via di regola, comportare
ineluttabilmente, come invece mostra di ritenere al prima Corte, l'esclusione del vincolo della
continuazione, ma il problema deve essere risolto caso per caso; dall'altro, che nessuna
incompatibilit prevista tra l'istituto giuridico previsto dall'art. 81 del codice penale ed il riconosciuto
vizio parziale di mente, in quanto l'unicit del disegno criminoso implica una preventiva elaborazione
di un piano criminoso e quindi un'attivit intellettuale consentita anche a chi solo in parte capace di
intendere e di volere.

Per quanto riguarda il movente degli omicidi, la prima Corte, sulla scorta delle conclusioni del
consulente del P.M. Andreoli, afferma che i due eventi hanno caratteristiche che sono assolutamente
identiche, in quanto dovuti al piacere sessuale che l'atto di uccidere procurava al Chiatti (fatto peraltro
emerso soltanto nei colloqui avuti con l'esperto in questione). I giudici di secondo grado, al contrario,
ritengono i due episodi sensibilmente diversi. Nel primo omicidio la morte causata da asfissia, con
secondaria ininfluente emorragia dovuta alla ferita da arma da taglio, per il secondo, invece, si deve
parlare di morte per emorragia con secondaria ininfluente emorragia, quindi ritengono assente la
motivazione di sadismo sessuale alla base dei delitti.

La Corte ritiene inoltre di dover prevedere per l'imputato il riconoscimento delle attenuanti generiche,
sulla base di diverse considerazioni: la collaborazione nella ricostruzione degli omicidi, non dovuta ad
esigenze di convenienza processuale, in quanto ci gli valso la contestazione di quasi tutte le
circostanze aggravanti; il vissuto di Chiatti, soprattutto le angherie e le verosimili attenzioni morbose
subite in orfanotrofio, la solitudine e l'ostilit dell'ambiente familiare; i traumi collegati alla "diversit
sessuale" dell'imputato, ricollegabili alla vittimizzazione sessuale subita nell'infanzia ed il fatto che
egli sia incensurato.

Relativamente alle circostanze aggravanti la Corte, allineandosi al giudizio dei primi giudici, ritiene
sussistente l'aggravante prevista dall'art. 576 n. 5 del codice penale, il quale prevede la pena
dell'ergastolo se l'omicidio si verifica nell'atto di commettere taluno dei delitti previsti dagli artt. 519,
520, 521 del codice penale (articoli ora abrogati dalla legge n. 66/1996), quella dei motivi abbietti ex
art. 577 n. 4, relativamente per al solo omicidio di Lorenzo Paolucci. I giudici di secondo grado

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ritengono al contrario assenti i requisiti per l'applicazione dell'aggravante delle sevizie e della
crudelt, visto che prolungata attivit offensiva del Chiatti era dovuta alla sua esigenza di certezza
che il piano criminale fosse effettivamente compiuto.

In base a questi rilievi, cio della contestazione dell'aggravante dei motivi abbietti e quella prevista
dall'art. 576 n. 5 del codice penale, da un lato, del riconoscimento del vizio parziale di mente e delle
circostanze attenuanti generiche, dall'altro, la Corte ritiene opportuno procedere al bilanciamento tra
diminuenti e aggravanti in esame. I giudici di secondo grado motivano, inoltre, la ragione della
mancata applicazione della diminuzione della pena conseguente alla richiesta di giudizio abbreviato
da parte dei difensori di Chiatti, affermando che sono state confermate le aggravanti che
comporterebbero la pena dell'ergastolo, seppur in concreto bilanciate con la diminuzione di pena
prevista della seminfermit e dalla concessione delle attenuanti generiche.

Sulla base di tutto quanto detto, la Corte d'Assise d'Appello di Perugia, condanna Luigi Chiatti a
trent'anni di reclusione e la misura di sicurezza predetta, confermando le pene accessorie previste in
primo grado e le statuizioni civili.

La prima sezione penale della Corte di Cassazione il 4 marzo 1997 ha confermato in pieno la
decisione della suddetta Corte, ritenendo pertanto Chiatti seminfermo di mente e mettendo la parola
fine alla vicenda del "mostro di Foligno".

3.6. Luigi Chiatti serial killer "tipico"


Luigi Chiatti presenta molte caratteristiche proprie degli assassini seriali, cos come delineate dalla
letteratura criminologico-investigativa, tanto che lo possiamo considerare un "serial killer tipico".
Come detto, se dovessimo far propria la definizione dell'F.B.I. questo assassino andrebbe escluso dal
novero degli assassini seriali, in quanto quest'ultima considera assassino seriale soltanto colui che ha
causato almeno tre vittime. La definizione in questione, sebbene ancora seguita da alcuni autori, in
particolare per il prestigio del Bureau, considerata obsoleta ed erronea dalla maggioranza degli
studiosi del fenomeno, in quanto si ritiene che, dopo il secondo omicidio, il circuito ripetitivo
patologico si sia gi instaurato; del resto, anche in ambito processuale divergenti sono state le
considerazioni dei periti sulla qualificazione criminale dell'imputato. Non si pu, in ogni modo, non
considerare assassino seriale colui che ha ucciso "soltanto" due persone, ma che, se non fosse stato
catturato (come Chiatti, ma anche come molti altri assassini), avrebbe continuato ad uccidere o colui
che, invece, ha compiuto atti diretti ad assassinare una o pi persone ma che, per caso fortuito o per
la particolare resistenza opposta dalla vittima, non abbia raggiunto il suo risultato pratico della morte
del soggetto aggredito.

Terminata questa premessa passiamo ad individuare le caratteristiche che fanno di Chiatti un "serial
killer tipico". In primo luogo, dobbiamo accennare alla particolare situazione familiare in cui il
geometra di Foligno vive la propria infanzia ed adolescenza; la famiglia di Chiatti quella che in
precedenza abbiamo chiamato "famiglia multiproblematica"; in particolar modo questo assassino
seriale cresciuto in un ambiente in cui, pur non essendo stato maltrattato in maniera evidente, non
ha ricevuto dai genitori un sostegno adeguato per il suo corretto sviluppo psicologico. Soprattutto il
padre distante e freddo con Chiatti, probabilmente perch da sempre contrario alla sua adozione, la
madre, invece, frustrante e repressiva e lo fa vivere in un clima di costante distanza e perbenismo.

La mancanza di affetto, in questa fase della vita di Chiatti, unita alle probabili molestie sessuali subite
in orfanotrofio, hanno determinato problemi che si ripercuoteranno in modo drammatico sulla psiche
del geometra di Foligno. Del resto lo stesso serial killer a non parlare di questo periodo, con molta
probabilit perch lo ha rimosso dalla propria coscienza. In particolare, questa situazione ha causato
in lui l'incapacit di crearsi relazioni significative con altre persone, avere amicizie vere. Anche nei
rapporti con i coetanei Chiatti assume un ruolo passivo, sta ai margini del gruppo, pu quindi essere
ricondotto in quello che in precedenza (cap. 2, par. 1.2) abbiamo chiamato "modello del capro

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espiatorio", volendo indicare con questo termine bambini e ragazzi che vengono costantemente presi
di mira dai loro compagni, per la loro particolare timidezza o per difetti fisici, i quali, col tempo, si
convincono di essere appunto dei "capri espiatori", ritirandosi ancora di pi in un loro mondo
fantastico; il geometra stesso a spiegarci il perch.

Il mio problema che non ho compagnia. Nessuno mi ha mai aiutato. Spesso i miei
compagni mi prendevano in giro, ma non ho mai reagito. Tutti o quasi approfittavano del
fatto che ero un tipo tranquillo e che, sicuramente, non avrei mai reagito. Credo che in
tutta la mia vita avr preso cinque o sei sbornie e sempre a causa dei miei compagni
che, sapendo della mia debolezza, ci provavano ogni volta, prendendomi poi in giro.
Una volta mentre ero ubriaco mi hanno fatto anche spogliare e dare dei baci a una
ragazza, cose che da sobrio non avrei mai fatto. Si radicata in me, giorno dopo giorno,
la difficolt di entrare in contatto con gli altri. (155)

Altro tema che riscontriamo in molti assassini seriali quello di una vita immaginativa particolarmente
ricca, che compensa una vita sociale scarna e povera di rapporti interpersonali. In particolar modo le
fantasie di Chiatti si dirigono verso due ambiti; in primo luogo, quello legato al sesso violento (il
legame sesso/violenza prioritario nelle fantasie degli assassini seriali), in cui il geometra sogna di
essere aggredito, violentato e strangolato, mentre altre volte lui l'aggressore. L'altra fantasia
quella che lo vede protagonista di una fuga con uno o pi bambini con i quali va a vivere in un luogo
isolato per un periodo di sette anni. Probabilmente la durata temporale di questa fuga rappresenta un
richiamo inconscio agli anni vissuti da Chiatti in orfanotrofio.

Ancora un elemento ricorrente nella figura del serial killer tipico che riscontriamo nel giovane folignate
quello di uno spiccato narcisismo. Questo aspetto lo possiamo dedurre sia dalle parole di Chiatti ("il
fatto che sono troppo perfetto. Gli altri vedevano in me una persona sempre vestita bene, senza
vizi. Non bevo, non fumo, sono pulito, ci tengo alla mia persona. stata anche questa perfezione a
crearmi problemi" (156)), sia dalla sua condotta durante i colloqui con i periti, in cui afferma di essere
una persona "speciale", con problemi "speciali", per cui ha bisogno di un uditorio di persone
altrettanto "speciali" che siano in grado di capirlo. I periti sostengono che anche nella sua disponibilit
a raccontare i fatti ed i motivi per i quali ha commesso i delitti rappresenta per lui soltanto la
possibilit di parlare di s e di essere al centro dell'attenzione, soddisfacendo il suo egocentrismo.
Del resto il suo narcisismo appare in maniera eclatante quando afferma di "essersi fatto prendere", di
"non essere scappato", dimostrando cos di voler rimanere il protagonista anche nella sconfitta.

Un altro aspetto che ci indica il profondo narcisismo di Chiatti dato dalla confessione: egli non ha
confessato perch si sentito battuto, ma per la voglia di emergere, di rivendicare il suo delitto
perfetto (quello di Simone) nei minimi particolari. Anche dai messaggi lanciati alle forze dell'ordine
affiora questo aspetto del carattere di Chiatti; egli stesso asserisce di aver lasciato il primo messaggio
per favorire il rinvenimento del cadavere e perch l'aver assunto la veste del "mostro" da tutti
ricercato lo lusingava. Il secondo messaggio lo invia perch non voleva che il "merito" delle sue gesta
andasse a "quel mitomane" (Stefano Spilotros) che si era accusato del delitto. Con compiacimento
descrive poi tutti gli accorgimenti messi in atto per non lasciare impronte digitali sulla carta usata per i
due messaggi o nella cabina telefonica e per distogliere da s ogni sospetto.

Continuando nell'elencazione degli elementi tipici della condotta di Chiatti che possono riscontrarsi
nella maggioranza dei serial killer, notiamo l'estremo distacco con cui egli parla dei delitti, come se
fossero faccende che non lo riguardavano per niente; non c' traccia di sensi di colpa, resipiscenza o
rimorso e questo aspetto del tutto compatibile con il fatto che egli considera le proprie vittime come
cose, non persone, da tenere in considerazione soltanto se funzionali al soddisfacimento dei propri
interessi. Come molti altri assassini seriali Chiatti raccoglie dei "trofei" che gli possano ricordare la
vittima e, cos, rivivere l'eccitazione del momento dell'omicidio; come abbiamo visto infatti il geometra
di Foligno rub dalla tomba la fotografia di Simone, spiegando questo gesto appunto con l'intento di
avere un ricordo del bambino in un momento di felicit.

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Relativamente alla modalit omicida, il modus operandi del geometra rispecchia quello della
stragrande maggioranza degli assassini seriali, il quale prevede un tipo di aggressione che implica il
contatto con la vittima: infatti, Chiatti uccide le proprie vittime o mediante strozzamento o utilizzando
armi da taglio, modalit cio che implicano un necessario contatto fisico con la vittima. Il giovane
ragioniere di Foligno, inoltre, raggiunge il massimo piacere nel momento in cui uccide. lui stesso ad
affermarlo nei colloqui avvenuti nel carcere di Verona con lo psichiatra Vittorino Andreoli, affermando
che ammazzare gli d una sensazione che non riesce a provare altrimenti e il cui effetto deve essere
ripetuto. Questo aspetto fa s che egli possa essere inserito all'interno della categoria dei serial killer
sessuali sadici.

Altro requisito che ci fa considerare Luigi Chiatti un "assassino seriale tipico" la mania per l'ordine,
come del resto appare dalla sua abitazione dove, come afferma la psicologa che l'ha visitata, "ogni
cosa talmente a posto che lo spazio sembra inanimato", come se nessuno l'abitasse. Questa
tendenza all'ordine propria di molti assassini seriali e si manifesta in Chiatti nella sua predilezione
per gli ambienti iperorganizzati, come la caserma ed il carcere. Ci richiama l'atteggiamento
ossessivo di chi si abitua meglio in situazioni rigide, organizzate, dove si vivono quasi dei cerimoniali
che rispondono a bisogni psicologici e non alla necessit di affrontare la realt del mondo esterno.
Del resto, come abbiamo detto parlando della vita in carcere per gli assassini seriali, la rigidit degli
orari, la fissit degli schemi, sono elementi di adattamento positivo in un serial killer, dato che si
tratta, spesso, di soggetti con un mondo interno estremamente frammentato.

Note
1. P. De Pasquali, Serial Killer in Italia, FrancoAngeli, Milano 2001.

2. A. Musci, A. Scarso, G. Tavella, Vivere per uccidere. Anatomia del Serial Killer, Calusca Stampa,
Padova 1997, pp. 47-52.

3. Tribunale di Verona, Uff. G.I.P., Dr. Sperandio, Sent. N.300/1995.

4. Alessandra Vaccari, Cadavere in un sacco senza la testa e gli arti, "L'Arena", 4 luglio 1995.

5. Lucio Salgaro, Spunta un altro cadavere nel podere di Stevanin, "L'Arena", 13 novembre 1995.

6. Dalla Relazione Psichiatrico-Forense Collegiale D'ufficio, periti U. Fornari e I. Galliani, 26 Agosto


1996, pp. 16-17.

7. Dalla documentazione prodotta dal P.M., interrogatorio del 13/6/1996.

8. C. Lodi, P. Pacchioni, Indagine su un mostro: il caso Stevanin, Tascabili Sonzogno, Milano 1999, p.
30.

9. Dalla relazione di dimissione da ricovero nel reparto di neurochirurgia dell'Ospedale Civile


Maggiore di Verona, copia consegnata ai periti Fornari e Galliani.

10. C. Lodi, P. Pacchioni, op. cit.

11. Ibidem.

12. Ivi.

13. Questura di Verona, Verbale di sequestro, 19/11/1994.

14. C.Lodi, P. Pacchioni, op. cit.

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'Serial killer' in Italia; tre casi eclatanti: Gianfranco Stevanin,... http://www.altrodiritto.unifi.it/ricerche/devianza/massaro/cap4.htm

15. Ibidem.

16. Ivi.

17. J. Katzenbach, Facile da uccidere, Mondadori, Milano, 1987, pp. 133, 210, 274.

18. Relazione fornita dai periti G. Ponti e I. Galliani alla Corte d'Assise.

19. Ibidem.

20. Questura di Verona, Verbale di sequestro, 19.11.1994.

21. Ibidem.

22. Dal materiale sequestrato nell'abitazione di Stevanin.

23. Dagli Esami di Sussidio Psichico Diagnostico, consegnati ai Consulenti delle parti.

24. Ibidem.

25. Ibidem.

26. Dalla relazione presentata dai periti Ponti e Galliani alla Corte d'Assise.

27. Ibidem.

28. Ivi.

29. Ibidem.

30. Ibidem.

31. Ibidem.

32. Ivi.

33. Ibidem.

34. Ivi.

35. Seconda perizia, p. 63.

36. Ivi.

37. Dalla relazione presentata dal consulente tecnico del pubblico ministero Marco Lagazzi.

38. Ibidem.

39. Ibidem.

40. Ibidem.

41. Dalla relazione consegnata dai periti di parte F. Pinto e G.B. Traverso alla Corte d'Assise.

42. Ibidem.

43. Ibidem.

44. Metodo introdotto nel 1954 dallo psichiatra Roy Schafer.

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'Serial killer' in Italia; tre casi eclatanti: Gianfranco Stevanin,... http://www.altrodiritto.unifi.it/ricerche/devianza/massaro/cap4.htm

45. Ibidem.

46. C. Lodi, P. Pacchioni, op. cit., p. 150.

47. Ibidem.

48. Ivi, p. 151.

49. Ibidem.

50. Ivi.

51. Ibidem.

52. Ivi, pp. 160-161.

53. Ivi, p. 163.

54. Ibidem.

55. Ibidem, p. 152.

56. Tratto dall'articolo di G. Bendrame sul quotidiano "L'Arena" di Verona, 11/1/1998. Il teso in corsivo
denota le parole dell'imputato.

57. Ibidem.

58. C. Lodi, P. Pacchioni, op. cit., pp. 157-158.

59. Ibidem.

60. Ivi, p. 163.

61. Dalla motivazione della sentenza della Corte d'Assise d'Appello di Venezia.

62. G. Bendrame, L'accusa "grazia" Stevanin, "L'Arena", 7/7/1999.

63. Motivazione della sentenza della corte d'Assise d'Appello di Venezia.

64. G. Bendrame, Il procuratore generale: "convinto dai periti", "L'Arena", 8/7/1999.

65. Ibidem.

66. Dalla relazione consegnata dai periti alla Corte d'Assise d'Appello.

67. Risultanze della perizia effettuata su Stevanin in Corte d'Assise d'Appello.

68. Ibidem.

69. Ibidem.

70. G. Bendrame, Stevanin, manicomio per sempre? "L'Arena", 1/9/1999.

71. G. Bendrame, Stevanin, il Pg chiede si annulli la sentenza, L'Arena, 5/11/1999.

72. Ibidem.

73. A. Vaccari, L'esito della superperizia non gli ha dato scampo, "L'Arena", 24/3/2001.

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74. Motivazione della sentenza della Corte d'Assise d'Appello di Venezia.

75. V. Andreoli, La violenza. Dentro di noi, attorno a noi, Rizzoli, Milano 1993.

76. G. Bendrame, L'Arena, 13/6/1998.

77. Motivazione della sentenza della Corte d'Assise di Genova, p. 329.

78. Ibidem, pp. 17-20.

79. Ibidem, pp. 91-106.

80. Ivi, pp. 294-297.

81. Ivi, p. 127.

82. Ibidem, pp. 351-353.

83. Ivi, pp. 390-393.

84. Ibidem, p. 406.

85. Motivazione della sentenza della Corte d'Assise, p. 98.

86. Ibidem, pp. 475-493.

87. Ibidem, p. 485.

88. Ivi.

89. Ibidem, p. 505.

90. Ibidem p. 517.

91. Ibidem, p. 520.

92. Ibidem, p. 520.

93. Ivi, p. 521.

94. Ibidem, p. 576.

95. Romolo Rossi, consulente tecnico del pubblico ministero nel processo di primo grado,
motivazione della sentenza della Corte d'Assise di Genova, p. 480.

96. G. Ponti, U. Fornari, Il Fascino del male, Raffaello Cortina Editore, Milano 1995.

97. Ibidem, pp. 94-95.

98. Ivi.

99. V. Andreoli, Delitti, Rizzoli Editore, Milano 2001, p. 171.

100. Ivi.

101. Ivi.

102. M. Garbesi, op. cit., p. 100.

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'Serial killer' in Italia; tre casi eclatanti: Gianfranco Stevanin,... http://www.altrodiritto.unifi.it/ricerche/devianza/massaro/cap4.htm

103. Ivi.

104. Ibidem, pp. 104-105.

105. G. Ponti, U. Fornari, op. cit., p. 93.

106. Ivi.

107. M. Garbesi, op. cit., p. 97.

108. Ivi, p. 99.

109. G. Ponti, U. Fornari, op. cit., p .99.

110. Ibidem, p. 100.

111. Ivi.

112. Ivi.

113. Ivi.

114. G. Ponti, U. Fornari, op. cit., pp. 96-98.

115. Ibidem.

116. Ivi.

117. Dalla relazione peritale del consulente del pubblico ministero.

118. Ibidem.

119. Ibidem.

120. Ivi.

121. Dai verbali dell'interrogatorio.

122. Dalla relazione presentata dal consulente tecnico del pubblico ministero.

123. V. Andreoli, op. cit., p. 179.

124. Ibidem.

125. Ibidem.

126. Ibidem, p. 125.

127. Dalla relazione consegnata alla Corte d'Assise d'Appello.

128. Ibidem.

129. Motivazione della sentenza della Corte d'Assise d'Appello, pp. 173-174.

130. Ibidem.

131. Ivi, pp. 125-126.

132. Ibidem.

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'Serial killer' in Italia; tre casi eclatanti: Gianfranco Stevanin,... http://www.altrodiritto.unifi.it/ricerche/devianza/massaro/cap4.htm

133. M. Garbesi, op. cit., p. 98.

134. G. Ponti, U. Fornari, op. cit., p. 102.

135. Dalla relazione presentata dai periti nominati dalla Corte d'Assise.

136. Ibidem.

137. Ibidem.

138. Dalla sentenza della Corte d'Assise d'Appello, p. 123.

139. Ibidem.

140. Ibidem, pp. 123-124.

141. Motivazione della sentenza della Corte d'Assise d'Appello di Perugia, p. 132.

142. Ivi.

143. Dalla motivazione della sentenza della Corte d'Assise d'Appello, pp. 221-222.

144. Sentenza della Corte d'Assise d'Appello, p. 97.

145. Motivazione della sentenza della Corte d'Assise d'Appello, pp. 128-129.

146. Ibidem.

147. Ibidem, pp. 212-213.

148. Ivi.

149. Ibidem, p. 133.

150. Sentenza della Corte d'Assise d'Appello, p. 103.

151. Ibidem, p. 104.

152. Ibidem, p. 135.

153. Relazione del primo collegio peritale, p. 66.

154. Ibidem, pp. 200-201.

155. M. Garbesi, op. cit., p. 97.

156. V. Andreoli, op. cit., p. 193.

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