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L'Uomo dietro il mostro 1 di E.

Oltremari
08:00 FLANZ UDM 5 COMMENTS

Introduzione
di E. Oltremari (dr.oltremari@gmail.com)

Trattare di una catena di omicidi lunga 17 anni e ad ormai 50 anni dal primo
delitto, su cui sono state scritte ben più di ottanta monografie, innumerevoli
saggi e tesi di laurea, incalcolabili righe di articoli di giornali, decine di blog e
siti internet, e che ha dato voce a centinaia di esperti o sedicenti tali, presenta
ben più di un problema.

Primo fra questi, mascherato da punto di forza in quanto bacino di fonti


inesauribile, è che questo mare magnum di informazioni, cristallizzi
nell’immaginario collettivo convinzioni e concetti inerenti alla vicenda del
maniaco delle coppiette fino ad ergerli come rocce adamantine
insormontabili. Questa annosa altra faccia della medaglia rischia, quindi, di
adombrare con le sue alte e fitte fronde ciò che si nasconde dietro di queste,
lasciandolo stagnare senza essere più analizzato o approfondito. Creando
poi quel silente senso di colpa e timore percepito ogni qual volta la propria
curiosità si spinge a tal punto di farsi strada tra la boscaglia, scostando i rami
e suscitando i conseguenti rimproveri di chi quelle fronde le aveva piantate e
curate ogni anno.

In una disanima sia storica che criminologica come questa, ove i punti certi
potrebbero contarsi sulle dita di una mano, siamo davvero sicuri che ci sia
permesso il lusso di identificare un fatto come certo, sicuro, incontrovertibile.
Sicuri di voler rischiare che una presunta certezza acquisti la forza coriacea
del luogo comune (ben più difficile da scardinare). Abbiamo l’ardire di farci
fieri portatori di una verità così faticosamente agognata e non raggiunta
neanche da una sentenza definitiva figlia di tre gradi di processo (e parente
vicina di altre tre) ma mutilata dell’arto della chiarezza e completezza.
Vogliamo davvero rimanere colpevoli schiavi di una accidiosa miopia senza
azzardare la fatica di impugnare gli occhiali e provare a guardare oltre, lì
dove non è stato ancora osservato.

Cerchiamo faticosamente da anni nuovi orizzonti quando forse abbiamo solo


bisogno di occhi diversi - parafrasando Nietzsche, nella speranza non me ne
voglia - con cui guardare quel panorama che troppo spesso ci è stato
proposto seguendo le stesse linee ed i medesimi confini.

In tutti questi anni il volto dell’omicida, del Mostro, si è pericolosamente


avvicinato ad una figura quasi mistica, da idolatrare. L’assassino di coppiette
dai mille volti, dai mille nomi, scaltro, irraggiungibile ed inafferrabile, come
quelli dei film di Hollywood dove quando li guardi ti scopri quasi a fare il tifo
per il cattivo.
È sufficiente aprire un qualsiasi forum o pagina Facebook su internet per
trovarsi di fronte ad un quotidiano ringhiarsi contro su questioni inerenti alla
striscia omicidiaria. Come diverse fazioni in guerra gli esponenti delle varie
teorie sull’identità del Mostro di Firenze si danno battaglia senza esclusione
di colpi dando vita ad un grottesco circo nero. “Filastoniani”, “Pista Sarda”,
“Giuttariani”, “Pacciani colpevole unico”, “Pista esoterica” e chi più ne ha più
ne metta, tutti intenti a ripercorrere quei diciassette anni di delitti brandendo
bastoni e picche verso chi non ricorda il colore della macchina delle vittime o
il nome della discoteca vicino a Scandicci, o chi dice che i Sardi siano
implicati nella vicenda o chi invece no, chi ancora mette in mezzo un uomo in
divisa e chi una setta che ordina i delitti per compiere riti orgiastici. Stiamo
oggi ancora vivendo ed assistendo a forme aggiornate 2.0 di quelle magliette
“I LOVE PACCIANI”.
Tutti intenti a parlare, a dimostrare, a (tentare di) chiarire, creando quel clima
confuso che lascia in ombra il vero protagonista della vicenda, che non è il
Mostro - quello è fin troppo chiacchierato - ma l’uomo che si nasconde dietro
il Mostro.

Perché in fondo il mostro è questo, un uomo. Con due braccia, due gambe,
una testa, gli occhi e le orecchie, un passato, un lavoro, la fatica di svegliarsi
presto il mattino e una bolletta da pagare. I mostri no, sono quelli delle fiabe,
che si nascondono nelle grotte o sotto il letto o fra le pagine di un libro di
novelle. Per stanare quei mostri ci vogliono i poteri magici e a volte non
bastano neanche quelli perché i mostri sono difficili da eliminare e spesso
anche quando sembrano davvero spacciati scappano via e prendono un altro
nome. Così chiamando e considerando un Mostro l’assassino delle coppie
sulle colline fiorentine lo poniamo su un piano della realtà distante dal nostro,
più vicino a quello del mito inafferrabile che della realtà. E come lo troviamo
un Mostro senza poteri magici? Semplice, non lo prendiamo.
E se invece cercassimo l’Uomo dietro il mostro? Gli uomini sì, è possibile
catturarli è possibile trovarli è possibile afferrarli. Ed il nostro Uomo oltre ad
essere un uomo, forse a volte ce lo dimentichiamo, è anche un assassino. E
della peggior specie.

Non è il cattivo dei film avvolto dal fascino del male che respinge ed attrae. Si
tratta di un vigliacco che spara nella notte a giovanissimi ragazzi in cerca di
quella intimità che la casa non gli concedeva, e che l’amore gli impediva di
limitare. Spara contro due corpi racchiusi dentro una vettura parcheggiata in
un luogo isolato, senza alcuna possibilità di fuga. Strazia corpi di ragazzine
non più alte di un metro e sessantacinque dopo averle strappate via al
compagno che poco prima aveva neutralizzato sparandogli contro.
Cerchiamo chi ha il timore di affrontare dei ragazzi svestiti, al buio, accecati
dalla luce di una torcia.

Questo è l’uomo che cerchiamo, un assassino. E come tale merita di essere


trattato.
Capitolo I - I duplici delitti

È necessario, seppur poco originale, iniziare col descrive i duplici omicidi


attribuiti al Mostro di Firenze. Nel farlo, cercheremo, non certo senza
difficoltà, al mantenerci su quanto emerge dai verbali di sopralluogo al
momento del rinvenimento dei cadaveri ed al conseguente avvento sulla
scena del crimine delle forze dell’ordine. Difficile risulterebbe invero
addentrarsi nei meandri della vicenda processuale, soprattutto per quanto
riguarda i duplici delitti del 1968, del 1982 e 1985 che hanno già meritato
apposite e dovute monografie. Dopotutto lo scopo prefissatoci è questo:
tentare di trovare una via da seguire rivedendo quanto ci è noto. E per farlo
necessitiamo dell’occhio genuino del primo impatto.
Prima di procedere ai vari tentativi di spiegazione alle tante domande che
sorgono nel descrivere la dinamica degli omicidi approfitteremo di questo
capitolo per porci degli spunti di riflessione e magari scomodi quesiti su
quanto accaduto in quelle tristi notti senza luna.

Mercoledì 21 Agosto 1968 - Loc. Castelletti, Signa.

L’incipit di questa storia ha il rumore squillante di un campanello di una


palazzina che suona alle 2.00 di notte. Il campanello è dell’abitazione del
Sig. Francesco De Felice (Via Vingone 154, Sant’Angelo a Lecore FI) mentre
la mano che lo suona è di Natalino Mele, di anni 6. Affacciatosi alla finestra il
Sig. De Felice vede il bambino che lo guarda dal basso verso l’alto e gli
rivolge queste parole: “Aprimi la porta perché ho sonno, ed ho il babbo
ammalato a letto. Dopo mi accompagni a casa perché c’è la mi’ mamma e lo
zio che sono morti in macchina”.
Il Sig. De Felice carica il piccolo Mele in macchina ed insieme al vicino di
casa lo portano alla Caserma dei Carabinieri di San Piero a Ponti. Da lì,
seguendo le indicazioni del bambino giungono insieme al Carabiniere di turno
ad un’Alfa Giulietta con l’indicatore di direzione di destra acceso e
parcheggiata lungo un tratturo vicino ad un traliccio dell’alta tensione.
All’interno della vettura scorgono i cadaveri di un uomo ed una
donna: Barbara Locci e Antonio Lo Bianco.

La Locci è seduta sul sedile guidatore, tiene le braccia lungo il corpo e le


gambe leggermente divaricate. Indossa ancora il reggiseno ed una veste a
fantasia colorata alzatasi fino all’altezza dell’inguine. È scalza. Le sue
scarpette da donna sono sotto il sedile passeggero. Una di queste spunta dal
tappetino del sedile posteriore destro. Al collo porta una collana con l’effigie
spezzata in due punti e trattenuta nella pelle. È stata attinta da quattro colpi
d’arma da fuoco:

- uno in regione costale dorsale sx;


- uno in regione lombare dorsale sx;
- uno in regione epicolica dorsale sx;
- uno alla spalla sx;

I primi tre colpi presentano la stessa traiettoria dall’alto verso il basso, da


sinistra verso destra ed ovviamente postero-anteriore. Il colpo alla spalla
sinistra ha una traiettoria da destra verso sinistra. Ciò fa supporre, come
dinamica, che la vittima femminile sia stata dapprima colpita con i primi tre
colpi mentre era protesta col busto e la testa verso la vittima maschile per poi
rutorare sul fianco destro, discostandosi quindi dall’amante e voltandosi verso
lo sparatore così da determinare il cambiamento di traiettoria dell’ultimo colpo
esploso che la colpisce alla spalla sinistra.

Il Lo Bianco giace sul sedile passeggero totalmente reclinato, per favorire il


rapporto. Vi è disteso supino, ha i pantaloni sbottonati con le mani ancora
intente a slacciarli. Calza la sola scarpa destra mentre l’altra è sul tappetino
del lato guidatore. Alla sua destra, incastrato tra il sedile e lo sportello si trova
un borsellino da donna aperto. È stato attinto da tre colpi d’arma da fuoco che
hanno trapassato i tessuti molli del braccio sinistro e penetranti nel torace,
con interessamento del polmone sinistro, dello stomaco e della milza. È stato
poi colpito da un altro colpo d’arma da fuoco all’altezza dell’avambraccio
sinistro.
Tutti e quattro i colpi esplosi sono stati sparati in rapida successione. Il
decorso dei tramiti pressoché parallelo depone a favore di uno scarso
movimento della vittima e della mano dello sparatore. La traiettoria è dall’alto
verso il basso, da sinistra verso destra e in senso lievemente antero-
posteriore. In pratica l’omicida avrebbe sparato dal lato sinistra della vettura
in posizione lievemente più avanzata rispetto al fianco delle due vittime.

L’Alfa Romeo ha tutte e quattro le portiere chiuse, tranne quella posteriore


destra semiaperta. Il finestrino lato guidatore è abbassato di circa 3 cm,
quello posteriore destro è abbassato per metà e quello lato passeggero
totalmente aperto (Sia la perizia De Fazio che il Rapporto dei Carabinieri di
Firenze del 29 Agosto 1968 riferiscono del finestrino passeggero chiuso.
Circostanza questa che sembra essere smentita dallo stesso fascicolo
fotografico all’interno del Rapporto dei Carabinieri al cui Rilev. n. 5 si vede
chiaramente il finestrino anteriore destro totalmente abbassato. Non si
comprende quindi se questo sia stato aperto solo successivamente dagli
inquirenti a fini investigativi o pratici ma non se ne capirebbe il senso se
non quello di garantire una maggior visuale all’interno della vettura).
Verranno rinvenuti n. 5 bossoli Cal. 22: tre fuori dall’auto sul lato sinistro di
questa e due all’interno della vettura tra gli schienali dei sedili ed il divanetto
posteriore. Particolare questo che evidenza come l’omicida abbia esplodo
almeno due degli otto colpi sparati inserendo la pistola fin dentro la vettura.

Esposti questi rilievi ci è ora possibile ipotizzare una dinamica della vicenda
omicidiaria.
La coppia di amanti esce dal cinema e si dirige con la vettura del Lo Bianco a
Castelletti e parcheggia lungo la strada sterrata a circa 150 mt dalla
principale. Sul divanetto posteriore dorme il piccolo Natale Mele. I due amanti
si cambiano di posto posiziondosi l’uomo sul lato passeggero e la donna sul
lato guidatore. L’uomo abbassa il sedile ed inizia a sbottonarsi i pantaloni.
Slaccia la cintura ed apre la patta mentre la donna, scalza, è china su di lui
coprendogli quindi il fianco sinistro. Si può ipotizzare, dato il ritrovamento
delle scarpe della donna al di sotto del sedile passeggero che lo scambio di
posizione tra i due sia avvenuto senza uscire dalla vettura. La Locci si toglie
le scarpe e le posizione sotto il sedile. Il Lo Bianco scivola sul sedile
passeggero facendosi salire l’amante in collo ed iniziando così le prime
effusioni. È possibile che il Lo Bianco abbia perso la scarpa sinistra alzando
la gamba sinistra nella parte del lato guidatore, e riabbassandola una volta
portata sulla parte destra. Il muratore siciliano ha poi iniziato a slacciarsi i
pantaloni e la Locci si chinata su di lui.

Ora non ci è possibile sapere con esattezza chi dei due è stato per prima
attinto dai colpi di pistola, ma possiamo ipotizzarlo concentrandosi sulla
dinamica.

L’assassino affianca l’Alfa Romeo sul lato sinistro, striscia furtivo lungo la
fiancata e giunge in prossimità dello sportello del lato guidatore. Lo sportello
è presumibilmente chiuso ed il finestrino abbassato per soli 3 cm. È logico,
dunque, pensare che l’omicida sia stato costretto ad aprire lo sportello del
guidatore per fare fuoco.

Diversamente per quanto accadrà nei delitti successivi a questo, l’omicida


non si serve di un mezzo ostativo tra lui e l’obiettivo, come il vetro di una
macchina, le lamiere di un pulmino, o una tenda, ma spara direttamente
verso la coppia.

Se la donna era riversa sull'uomo ma mantenendo almeno in parte la seduta


sul sedile guidatore col proprio corpo avrebbe dovuto coprire il fianco sinistro
dell’amante o quanto meno porvisi d’ostacolo. Difficile quindi che l’omicida sia
riuscito a colpire, come ha effettivamente fatto, il braccio sinistro del Lo
Bianco trapassandolo e giungendo all’emitorace sinistro se questo fosse
stato coperto dalla Locci.

Da qui si aprono due diverse ipotesi:


- la prima è che ad essere colpito per prima sia stata la stessa Locci
quando era riversa sul Lo Bianco. Una volta raggiunta dai tre colpi al dorso è
ruotata col fianco riposizionadosi sulla sua seduta natutarale a lato guidatore
e nella torsione è stata attinta dal quarto colpo alla spalla proveniente infatti
da diversa angolazione. Poi l’omicida ha continuato sul Lo Bianco fermo sul
sedile passeggero terrorizzato per quanto stava accadendo. Questa ipotesi
presenta però qualche perplessità circa il comportamento dell’uomo. I colpi
come già detto presentano lo stesso grado di angolazione e traiettoria tanto
da portare alla certezza che né lo sparatore che la vittima si sono mossi
durante l’azione omicidiaria. Comprensibile per quanto riguarda il primo che
avendo i bersagli tra i 60 ed i 90 cm da sé non aveva motivo né necessità di
spostarsi, meno per il secondo che vistosi aprire uno sportello ed esplodere
quattro colpi contro l’amante vicinissima a lui non abbia tentata una minima
fuga rimanendo così nella posizione in cui già era;

- la seconda prevede invece che i due non fossero abbracciati tra loro o che
la Locci fosse china sù l’amante, ma ognuno sul proprio sedile di guida. Ad
essere stato colpito per prima sarebbe stato quindi l'uomo sul fianco, in
questa ipotesi, “libero”. La donna poi, impedita dalla figura dell’omicida a
bloccarle l’uscita sulla propria portiera ha cercato riparo lontano dalla
provenienza dei colpi mostrando così il dorso al allo sparatore che ha così
avuto modo di esplodere gli altri colpi nel caricatore. Tre dei quali hanno
colpito la Locci al al dorso nelle zone costale, lombare ed epicolica ed un
quarto, una volta che si era ritratta a causa dei colpi subiti, alla spalla sinistra
con angolazione diversa.

Ipotesi quest’ultima che prevederebbe la possibilità degli ultimi due colpi


esplosi all’interno della vettura per avvicinarsi alla Locci voltatasi in un
disperato tentativo di fuga. Nel primo caso, invece, i colpi esplosi all’interno
della vettura sarebbero stati quelli verso l’inerme Lo Bianco fermo sul sedile
passeggero.

Arrivati a questo punto l’omicida ha aperto lo sportello della vettura, esploso


otto colpi d’arma da fuoco ed ucciso due persone che magari un piccolo grido
di paura o dolore lo hanno pure lanciato. Il tutto in meno di un minuto e alla
presenza all’interno dell’auto del piccolo Natalino Mele.
Ecco uno dei tanti interrogativi che ci poniamo: come ha fatto il piccolo Natale
a non sentire niente e svegliarsi solo alla fine quando l’assassino stava
ricomponendo i corpi delle due vittime (secondo la versione dello Stefano
Mele, condannato poi per l’omicidio della moglie e l’amante) o quando i due
erano già morti e non ha visto nessuno come ricorda (solo a volte) il piccolo
Mele?
Dalle foto della scena del crimine si vede chiaramente quanta vicinanza vi sia
tra i sedile anteriori ed il divieto posteriore. La Calibro22 che ha sparato non è
certo una pistola rumorosa, ma comunque percepibile anche ad un
cinquantina di metri di distanza. Eppure il piccolo Mele non si sveglia fino
all’ultimo colpo sparato. Il bambino aveva i piedi praticamente all’altezza del
poggiatesta reclinato del Lo Bianco, la vettura non era una utilitaria ma una
piccola Giulietta parcheggiata al buio in una notte silenziosa dove vengono
sparati otto colpi d’arma da fuoco dei quali almeno due all’interno della
stessa. Continuare a credere che lo sventurato bambino non abbia visto
niente una volta svegliatosi pare assai improbabile.
È dunque possibile che il bambino abbia visto chi sparava o comunque si sia
destato dal sonno ai primi spari, ma è altrettanto possibile che l’assassino
non si sia accorto della presenza del bambino all’interno della vettura?

Poniamo che l’omicida non conosca direttamente le due vittime (e quindi il


figlio della Locci) e che si trovi sul luogo del delitto casualmente e che quindi
gli amanti siano vittime fortuite capitate nel luogo sbagliato al momento
sbagliato. In tal caso si aprono anche qui due diverse strade:
- l’omicida incontra la coppia mentre entra od esce dal cinema dove aveva
trascorso la serata, non si accorge del bambino, li segue, aspetta che
parcheggino la vettura nella stradina sterrata, li osserva da lontano e pian
piano si avvicina alla macchina, presumibilmente da dietro di questa,
uscendo così dal campo visivo della coppia seduta sui sedili anteriori. Se
l’omicida, pistola alla mano, fosse davvero giunto da tergo della vettura
avrebbe intravisto la coppia già giunto al finestrino posteriore sinistro e
guardando attraverso questo in direzione del sedile passeggero, già reclinato,
(dove avveniva la liaison) avrebbe visto che prima di questo vi era una figura
che occupava sdraiato il divanetto posteriore della Giulietta. Nel caso poi che,
distratto, non lo avesse visto, avrebbe potuto notarlo dal suo angolo di sparo
quando mirava alle vittime una volta aperto lo sportello ed il fuoco contro di
queste. La traiettoria dei proiettili depone, infatti, per una posizione anteriore
rispetto ai corpi e quindi posta in modo da vedere entrambi gli amanti quasi
frontalmente. In tal caso, in mezzo a questi, avrebbe visto il corpo del piccolo,
rannicchiato sul sedile posteriore. Nell’ipotesi in cui invece l’omicida fosse
giunto a lato della macchina, comparendo quindi dalla vegetazione, varrebbe
quanto detto sopra circa l’angolazione e la visuale di tiro una volta aperto lo
sportello dell’Alfa Romeo;

- l’omicida conosce, anche solo indirettamente, la coppia Locci - Lo Bianco.


Il suo è un delitto premeditato, organizzato e finalizzato all’eliminazione in
quel luogo ed in quel momento della coppia di amanti fedifraghi. In questo
caso difficile che non sapesse della presenza del piccolo Mele all’interno
dell’auto. È possibile anche che lo abbia posto come elemento determinante
del suo piano mortifero senza il quale quel 21 Agosto 1968 non avrebbe
colpito. Avremo dunque un omicida che decide comunque di colpire quella
notte, nonostante la presenza del bambino, sicuro che niente gli sarebbe
capitato in quanto un obiettivo da lui non ricercato, né desiderato: un
innocente. Circa quest’ultima possibilità la tratteremo esaurientemente nei
successivi approfondimenti.
Segue...

5 commenti:

omar quatar ha detto...

Molto interessante; anche se non concordo con la ricostruzione per


quanto riguarda i colpi sparati, non trovando riscontro, nel materiale
a me noto, di un ottavo proiettile

26 marzo 2018 alle ore 20:40

Unknown ha detto...

Questo commento è stato eliminato dall'autore.

28 marzo 2018 alle ore 12:15

Unknown ha detto...

Salve Omar,
Circa i tuoi dubbi a riguardo dei colpi sparati non posso far altro che
farli miei in quanto so bene che alcuni propendano per tre colpi
esplosi verso la vittima maschile ed altri, invece, quattro. Di questo
puntò si parlerà nella seconda parte di questo primo
approfondimento.
In questa prima ho riferito di quattro colpi prendendo come fonte il
referto autoptico del Dott. Graziuso.
Quest'ultimo riferisce:
- di due soluzioni di continuo all'avambraccio sx (foro di entrata ed
uscita) tra loro ravvicinate in quello che è c.d. come una ferita a
setone.
- tre soluzioni di continuo (una all'altezza del deltoide ed altre due
vicine al 3° medio ed il 3° inferiore) sempre sulla faccia anteriore del
braccio sx, tutte e tre indicate come foro d'ingresso in
corrispondenza di tre di uscita (due dei quali si infrangono poi
sull'emitorace sx ed altro fuorirsce per poi ledere - di striscio - la
zona scapolare).

L'incertezza circa i colpi deriva proprio dalla descrizione che viene


fatta dei due sulla faccia anteriore del braccio sx.

Per evitare di dilungarmi qua, ti invito a scrivermi all'indirizzo e-mail


indicato in introduzione così da poter dialogare sul tema dei colpi
esplosi che risulta senza dubbio interessantissimo.

Grazie per l'interesse dimostrato ed il commento,

E. Oltremari

28 marzo 2018 alle ore 12:24

omar quatar ha detto...

Grazie per la risposta.


Ti può forse interessare il mio articolo sull'argomento, scritto in
collaborazione con il prof. Claudio ferri:
http://mostrodifirenzevolumei.blogspot.it/2017/10/quanti-colpi-
signa.html
http://mostrodifirenzevolumei.blogspot.it/2017/10/quanti-colpi-signa-
2.html

Non mi sono addentrato in una ricostruzione della dinamica


dell'omicidio che va oltre le mie capacità, ma ho voluto dimostrare (o
cercare di dimostrare) quanto uno dei pilastri che vengono addotti a
dimostrazione della presenza sul posto di Stefano Mele sia in realtà
traballante.

Eventuali critiche sono bene accette.

30 marzo 2018 alle ore 00:04

Unknown ha detto...

Salve Omar,
Ho letto (anzi, ri-letto) con piacere il tuo articolo e ti faccio i
complimenti per quanto scritto.

Come pensiero personale, sono in linea con quanto da te ipotizzato


circa il colpo esploso verso la coppia con questo che colpisce prima
l'avambraccio del LoBianco e poi la Locci.
Di questa eventualità - e di critiche a questa - verrà data menzione
più avanti nel corso della rubrica.

Grazie ancora per l'interesse e complimenti davvero per il tuo


contributo al caso,

E. Oltremari

5 aprile 2018 alle ore 16:21


L'Uomo dietro il mostro 2 di E. Oltremari
08:00 FLANZ UDM NO COMMENTS

Segue da LUdm 1

di E. Oltremari (dr.oltremari@gmail.com)

Passando ora ad una analisi criminologica circa questo primo, almeno


cronologicamente, duplice omicidio, è parere di chi scrive considerarlo
necessariamente come peculiare rispetto ai successivi sette. La diversità è
da riscontrare sia sul piano motivazionale che modale. La comunanza, (per
quanto riguarda il collegamento della pistola, essendo sempre stata la stessa
per tutti ed otto i duplici omicidi, parleremo infra) palese questa volta, con gli
altri delitti della serie è da riscontrare, invece, nella sola situazione generale
che si rinviene in tutti ed otto i duplici omicidi della serie: una coppia
appartata.
Le motivazioni che sembrano però identificare questo duplice omicidio
esulano da una componente sessuale intesa, secondo il pool di criminologi
modenesi diretti da De Fazio, come tale da giustificare l’appellativo di lust
murder per l’omicida delle coppie. Il lust murder eleverebbe e vivrebbe
l’evento sadico come vero e proprio atto sessuale, rimanendone come
egualmente appagato. Tale affermazione, benché criticabile se riferita
all’assassino dei colli fiorentini, ci porta correttamente verso una caratteristica
propria dell’atto sessuale e dei delitti oggetto della nostra discussione:
l’intimità. Come vedremo negli otto duplici omicidi l’omicida cerca di insinuarsi
nell’intimità vera mostrata dalla coppia avvicinandosi progressivamente a
questi senza però entrarvi mai in contatto diretto (se non quando necessario
da imprevisti tentativi di fuga) lasciando sempre la vettura tra sé e la coppia.
L’intimità viene così raggiunta dall’omicida solo successivamente alla
eliminazione delle altre parti che non possono più interagire con il nostro
soggetto attivo, libero, ora, di vivere quel momento in una macabra solitudine.
Diversamente da quanto accadrà successivamente, nell’Agosto del 1968
l’omicida sembra più interessato alla eliminazione fisica delle vittime che ad
instaurare un rapporto con loro, tanto da aggredirle violentemente
commettendo un’ingerenza fisica nella loro intimità, ovvero aprire lo sportello
e riversare 8 colpi in rapida successione. Anzi, fa di più. L’omicida nel
momento immediatamente successivo all’attività di sparo ricompone i corpi,
nel senso che li adagia ordinatamente sul sedile dove erano seduti
sistemandone lievemente le vesti. Atteggiamento questo che si pone in forte
contrasto con quanto invece accadrà gli anni successivi.

L’intimità altrui viene difatti infranta ed offesa, denudata, marchiata e


pubblicizzata dall’omicida che ricompone la scena del crimine stravolgendo
quella iniziale di cui lui non ne era parte. Ad esempio distanzia tra loro i corpi,
talvolta li occulta, li denuda, li offende con colpi post mortem o con le
escissioni.
Tale disturbata intimità però nel duplice delitto del 1968 viene
manifestamente a mancare. Diacronia questa che non è sfuggita neanche al
pool di criminologi modenesi a cui fu demandato (Indagine peritale
criminalistica e criminologica in tema di ricostruzione della dinamica materiale
e psicologica di delitti ad opera di ignoti verificatosi in Firenze nel periodo dal
21 Agosto 1968 al 29 Luglio 1984. Periti: Prof. Francesco De Fazio, Prof.
Ivan Galliani, Prof. Salvatore Luberto) nel 1984 di stilare una propria indagine
peritale circa i delitti verificatosi a Firenze tra il 1968 ed il 1984 (Una
“addenda” successiva venne richiesta ai Professori in seguito al duplice
delitto del Settembre 1985).

I professori rilevarono, infatti, che “di per sé considerato, dunque, il caso in


esame (duplice omicidio 1968, n.d.a.) non si qualifica come omicidio
sessuale. Manca un qualsiasi interesse per le parti sessuali, non sono state
usate armi da taglio né ci sono segni di violenza di altro genere sui corpi, in
via o in morte; nessuna attenzione sembra essere stata prestata dall’omicida
ad oggetti presenti sulla scena del delitto.

[…] Chi ha commesso il delitto, dunque, anche nell’ipotesi che sia l’autore dei
successivi delitti, non sembra sia stato mosso da motivazioni sadico-sessuali,
bensì da motivazioni comuni; motivazioni cioè che portano a desiderare
l’eliminazione fisica delle vittime, secondo una modalità ed una dinamica
psicologica del tutto svincolata da elementi sessuali abnormi e, ancor più, da
impulsi sadistici."

Circa la possibilità che la componente sadico-sessuale fosse stata appannata


o elisa dalla presenza del piccolo Mele, i Professori modenesi riferirono che
"anche volendo considerare le eventuali remore che potrebbe aver
comportato la presenza del bambino (specie se rilevate improvvisamente
dopo il delitto nell’atto di avvicinarsi ai corpi per l’eventuali inizio di macabri
rituali), si può affermare che tale ipotesi mal si concilierebbe con quella di un
delitto sadico-sessuale, in quanto si dovrebbe supporre un imprevisto e
completo passaggio da una condizione di liberazione pulsione ad una,
opposta, di autocontrollo inibitorio, suscitato quest’ultimo da un imperativo
morale di un nuocere ad una terza persona (sorto immediatamente dopo, o
contestualmente, all’uccisione dei due individui ! )".

Nell’ipotesi, dunque, di un mancato accorgimento preventivo da parte


dell’omicida circa la presenza del bambino in macchina, la sola presenza di
quest’ultimo avrebbe potuto difficilmente sedare il furor omicida dello
sparatore. Impeto omicida visto necessariamente con gli occhi di chi, come i
Professori, era in grado di ragionare ex post avendo già avuto modo di
saggiare nei delitti successivi al ‘68 la ferocia col quale l’assassino era solito
agire. Forti dunque ti tale perplessità, De Fazio e colleghi si lanciano in una
diversa, quanto suggestiva, ipotesi: "ovvero l’ipotesi che questo primo delitto
abbia costituito, per l’autore o per qualcuno che vi ha assistito, uno stimolo
qualificato per una ulteriore evoluzione in senso criminoso di motivazioni che
sono alla base della dinamica dei delitti. Vale a dire che l’aver compiuto tale
delitto (anche per motivi inerenti alle passioni e/o debolezze umane, di per sé
stesse non necessariamente abnormi o patologiche) o l’avervi assistito da
“complice” non materialmente esecutore, anche da semplice “spettatore”, può
aver innescato un processo psicologico di slatentizzazione di impulsi sadico-
sessuali, che ha poi condotto alla perpetrazione di altri delitti, con ben diversa
matrice motivazionale. Sono noti in letteratura scientifica casi in cui tale
processo di slatentizzazione e di successivo passaggio all’atto si sono
verificati in soggetti senza alcun precedente comportamentale specifico, per il
solo fatto di aver letto sul giornale il resoconto di particolari delitti; si trattava
però, in questo casi, di delitti la cui descrizione, per la tipologia delle vittime
(ad es. bambini) e per le modalità della dinamica materiale, suggerivano
direttamente ed inequivocabilmente le componenti “sadico-sessuali”, e
trovavano quindi il loro potere segusino nel fatto di costituire rappresentazioni
“dirette” di fantasie ed impulsi latenti."

Passando poi alle ipotesi più probabili, "il caso in questione (omicidio Locci-
Lo Bianco) non può avere tale potere di influenzamento che per due vie-
stimolo, entrambe qualificate; la prima, come si è detto, costituita dall’aver
assistito al delitto; la seconda, di meno intuitiva comprensione, ma di minor
efficacia psicologica, consistente nel possesso dello strumento (l’arma da
fuoco) unitamente alla conoscenza (diretta, o secondo una ipotesi
psicologicamente non inverosimile, anche soltanto mediata) delle circostanze
e della situazione in cui fu usata.

[…] molto spesso il delitto sessuale in senso proprio (quello definito


lustmurder nella letteratura scientifica e nel diritto dei tedeschi, e che d’ora in
poi designiamo con tale termine) prima di divenire azione rimane a lungo un
fatto puramente psichico, vale a dire che è a lungo oggetto di fantasie attivate
a scopo di eccitazione e gratificazione sessuale, prima di venire
effettivamente agito. Tali fantasie possono venire alimentate, rinnovate,
stimolate, dal possesso tangibile di oggetti-feticcio, quali possono essere, ad
es., oggetti appartenuti alla vittima fantasticata (o ad una precedente vittima,
nel caso sia già stato commesso un delitto) oppure oggetti particolarmente
pregnanti per la dinamica dell’azione fantasticata, quale può essere per
l’appunto l’arma o lo strumento con cui si fantastica di compiere il delitto."
Concludendo il pool modenese riferisce che "in definita, di per sè
considerato, il caso Locci/Lo Bianco si discosta nettamente dai successivi
fatti delittuosi sia per le dinamiche materiali che psicologiche, mentre appare
legato ad essi da circostanze situazionali (coppia di amanti su un auto in un
luogo appartato) e, soprattutto, dal mezzo lesivo usato (arma da fuoco), la cui
costante presenza nella serie di delitti sembra poter assumere significati
psicologici che vanno ben al di là di semplici questioni di funzionalità
materiale e di opportunità".

Sebbene, dunque, i professori modenesi si concentrino su ipotesi frutto di


apprezzabilissime conoscenze psicologiche e criminologiche, restano con i
piedi per terra formulando quello che sembra essere il maggior fondamento
alla teoria dell’unicità della mano per tutti ed otto i duplici omicidi a svantaggio
di quella stonatura percepita da questi tra il ’68 ed i successivi: l’arma da
fuoco. Pertanto sono costretti ad elevare la pistola (unica per tutti ed otto i
duplici omicidi) ad oggetto-feticcio che lega tra loro i delitti per aver sparato in
tutti questi ma che, solo nel primo (Castelletti, 1968), può essere stata
azionata da mano diversa.

Da qui nasce l’immenso ed infinito dibattito che aleggia senza dar segno di
cedimento: la mano che ha sparato nel 1968 è la medesima per i delitti
precedenti?
E se la pistola è la stessa allora è impensabile che questa sia passata di
mano tra il 1968 ed i successivi delitti. Ma se la Beretta era appartenuta al
gruppo dei sardi e questi hanno commesso il delitto del 1968, allora saranno
colpevoli anche dei successivi. Oppure i sardi col 1968 non hanno niente a
che fare e chi ha veramente sparato quella notte di Agosto ha avuto un
incredibile colpo di fortuna nel trovare persone appartenenti ad una cricca di
individui così particolari e dalle vicende così torbide da aver creato,
inconsapevolmente, un incredibile abbaglio/depistaggio investigativo. Oppure
chi ha sparato quella notte conosceva le abitudine della Locci, ma non era
conosciuto a sua volta da lei o dalla compagine sarda rimanendo poi in
sordine per 6 anni prima di tornare a colpire.

Oppure ci può essere altra possibilità che approfondiremo prossimamente.


Segue...
L'Uomo dietro il mostro 3 di E. Oltremari
08:02 FLANZ UDM 16 COMMENTS

Segue da LUdm2

Sabato 14 Settembre 1974 - Loc. Rabatta, Borgo San Lorenzo.

Prima di intraprendere la disamina del caso in questione è necessario


premettere come le evidenze circa il duplice delitto del 1974 risultino
manchevoli di precisione e chiarezza già in quegli atti (In questo caso ci
riferiamo ai referti autoptici, agli atti di sopralluogo ed alle successive
perizie) che avrebbero dovuto, invero, avere fra i propri requisiti primi di
queste due qualità.

Il corpo del vittima maschile, viene ritrovato all’interno della Fiat 127 del
padre. È seduto sul sedile di guida, con la testa poggiata sul montante del
finestrino ormai in frantumi. Indossa le sole mutande, vistosamente intrise di
sangue, e calzini bianchi.

Nonostante alcune imprecisioni presenti in autopsia tra l’esame esterno e la


sezione cadaverica, il ragazzo sembrerebbe essere stato attinto da sei colpi
di pistola, tutti in regione toracica-addominale sinistra, dei quali, uno solo di
questi, presenterebbe il foro di uscita al fianco destro (Dettaglio quest’ultimo
non ben chiarito in sede autoptica). Sull’emitorace destro, invece, antero-
lateralmente in zona media inferiore, due ferite da taglio sovrapposte tra loro
e distanziate di qualche centimetro che non penetrano in profondità.

La ragazza viene ritrovata distesa supina con gambe e braccia divaricate con
la testa quasi coperta dal tuo di scappamento della macchina del ragazzo. E’
completamente nuda, un brandello delle sue mutandine viene ritrovato poco
distante dal suo corpo, a circa 8 metri dalla ruota anteriore destra. E’ stata
attinta da 5 colpi d’arma da fuoco. Tre al fianco destro, una al ginocchio
destro (in cui si rinviene anche il foro d’uscita), ed una a quello sinistro. Oltre
alle ferite d’arma da fuoco se ne rinvengono altre 96 da punta e da taglio.

Precisamente:
- una vasta ferita lacero contusa a forma di Y interessa la regione auricolare
e temporale destra fino al piano osseo;

- una, egualmente profonda, localizzata alla regione emimandibolare


sinistra e si estende fino a quella mentoniera, interessando anche il labbro;

- tre ferite a carico della regione latero-cervicale destra, di andamento


obliquo, dall’alto verso il basso e da sinistra a destra, infiltrate e con margine
inferiore ecchimotico;

- sei, localizzate medialmente alla mammella destra, superficiali e poco


infiltrate;

- dodici, alla mammella sinistra, quasi tutte infiltrate e penetranti;


- alcune (purtroppo dato impreciso) hanno interessato lo sterno, trapanando
il tavolato osseo e disarticolato l’appendice tifoide, mentre altre sono
penetrate nella cavità cardiache ed hanno attinto il parenchima polmonare;

- alcune (purtroppo dato impreciso) ferite addominali, attingono le visceri


(stomaco, fegato, intestino) ma sono meno infiltrate di quelle toraciche prima
citate;

- cinque ferite localizzate in regione sovrapubica e seguono l’inserzione dei


peli, disegnando una curva a convessità superiore;

- due, al margine destro del pube;

- quindici ferite (sette a sinistra ed otto a destra) interessano le cosce, in


corrispondenza della regione antero-mediale, al terzo superiore, sono vicine
tra loro, poco profonde e poco infiltrate.

Troviamo poi opportuno segnalare la reputazione di ferite c.d. da difesa agli


arti superiori ed alle mani con caratteristiche di vitalità.

Quello che rimarrà, infine, nell’immaginario collettivo di questo delitto, è il


tralcio di vite lievemente infilato nella vagina della ragazza che si dipana, sul
terreno, fra le sue gambe.

Dai verbali, risulta che sul luogo del delitto siano stati rinvenuti solo cinque
bossoli Winchester cal. 22 con la H stampata sul fondello ritrovati a sinistra
della vettura (NB: ad un primo sopralluogo i ragazzi vennero giudicati come
uccisi da uno stiletto o colpi di cacciavite. Soltanto la sera arrivarono
indicazioni dall’Istituto di Medicina Legale di Firenze sulla reale natura di
alcune ferite, cioè colpi di pistola. Pertanto quando tornarono sul luogo del
delitto per repertari i bossoli la macchina del Gentilcore era già stata
spostata); i vetri del finestrino lato guidatore infranto al di fuori dello sportello
lato guidatore; le scarpe dei ragazzi sul tappetino del sedile lato passeggero;
sotto una pianta di vite distante poco più di tre metri dalla fiancata destra
dell’auto, 3 paia di pantaloni (due da uomo ed uno da donna), un foglio di
carta da confezione recante l’intestazione di una lavanderia, e la camicia
della ragazza ripiegati, tutti, e senza macchie di sangue; un paio di mutande
femminili blue strappate e macchiate di sangue (un brandello di queste verrà
ritrovate a circa 8 metri dalla macchina); una camicia bianca da uomo tra la
pianta di vite e la macchina; il giubbotto del ragazzo fuori dallo sportello del
guidatore; un tovagliolo o pezzo di carta macchiato di sangue vicino al
cadavere della ragazza; la borsetta della ragazza col suo pullover bianco
(entrambi NON macchiati di sangue), a circa 300 mt dal luogo del delitto,
gettati fra le sterpaglie di un campo, e rinvenuti a seguito di una segnalazione
anonima; il reggiseno della ragazza, rinvenuto ad oltre 50 mt dal luogo in cui
era stata ritrovata la borsetta.

Sempre dai verbali, si può notare che vennero individuati due fori sul sedile
anteriore sinistro ed una lacerazione da taglio della stoffa; sul sedile destro,
totalmente reclinato all’indietro, vengono rinvenute abbondanti tracce
ematiche; a circa 20 cm dalla ruota posteriore destra ed esattamente in
prossimità dell’apertura dello stesso sportello, una traccia di sangue
raggrumato, da cui diparte una striscia di sangue che termina all’altezza della
mano sinistra della ragazza.

Il delitto in questione risulta per il nostro lavoro di notevole interesse. Questo,


sia per le modalità di esecuzione materiale che per le attività di overkilling sui
corpi delle vittime tanto da rendersi utile per abbozzare qualche lineamento di
profilazione e per meglio comprendere cosa è accaduto gli anni successivi.
Tale importanza si scontra, però, con i dati in nostro possesso che risultano
incompleti, poco chiari e, talvolta contraddittori. Pertanto sarà necessario
procedere - nel corso del nostro lavoro - ad ipotesi supportate da minor dati
empirici rispetto al delitto precedente o a quelli successivi.
Il rinvenimento, tardivo e non sappiamo quindi se veritiero, dei bossoli sul lato
sinistro della vettura, farebbero propendere per un’azione di sparo intrapresa
dallo sportello lato guidatore. Tale dinamica però mal si concilierebbe con i
vetri del finestrino sinistro rinvenuti all’esterno della vettura, e non all’interno,
indicando quindi una rottura di questo esercitata da una pressione dall’interno
verso l’esterno. A meno che, i colpi non siano stati esplosi a portiera lato
guidatore aperta - alquanto inverosimile - e richiusa poi dall’omicida al
termine dell’azione delittuosa. Procedendo lungo questa ipotesi, vedremo il
Gentilcore colpito da tre colpi in rapida successione al fianco sinistro, tanto
che questi si presentano l’uno vicino all’altro e con lo stesso tramite, così da
scongiurare una qualsiasi rotazione del corpo. Dunque, il ragazzo non si
sarebbe mai mosso durante gli spari, e ciò farebbe propendere quindi per un
attacco a sorpresa ad opera del killer. Così facendo il corpo del ragazzo
sarebbe rimasto sul sedile dove era stato colpito dai proiettili, non dovendo
poi giustificare alcun altro spostamento. Dinamica questa che però stride con
le vistose tracce ematiche presenti sulla parte posteriore degli slip del
ragazzo, che risultano difatti inzuppi di sangue, tanto da far presupporre che
questo fosse stato spostato dal sedile, quello lato passeggero, che come si
evince dalle foto, risulta maggiormente macchiato. Rimanendo però su
questa linea di pensiero, troviamo sul sedile passeggero, reclinato per
l’occasione, la giovane che impaurita dai colpi sparati verso il fidanzato, uno
dei quali forse può averla colpita ad un ginocchio, tenta la via di fuga verso
l’unica direzione possibile, ovvero il suo sportello. Qui l’omicida deve essere
stato più veloce - e drammaticamente lucido - tanto da giungervi prima di lei e
porsi da ostacolo tra la ragazza e la via di fuga. Le apre difatti lo sportello e
riversa su di lei, tutto il caricatore. La povera ragazza, ancora sul proprio
sedile, in un inutile e disperato tentativo di difesa inizia a dimenarsi con
braccia e gambe tanto da essere colpita al ginocchio e al fianco destro
(Diversamente da quanto descritto in autopsia realizzata dopo giorni dopo la
morte della ragazza, al primo processo contro Pietro Pacciani, il Medico
Legale, Prof. Maurri, affermerà che i colpi al fianco destro ricevuti dalla
Pettini, fossero trapassati in precedenza dall’avambraccio destro della
giovane.

Altre fonti, sia su blog che su alcune monografie, riferiscono dei colpi al fianco
destro come ferite d’arma bianca. Tale ipotesi sarebbe però scongiurata dalle
fotografie eseguite sul corpo della ragazza dove si può ben vedere la natura
di queste per assicurarle come prodotte da colpo d’arma da fuoco). Nessuno
di questi colpi risulta però idoneo a toglierle la vita o renderla priva di sensi.
L’omicida, quindi, si trova di fronte per la prima volta alla condizione di aver
finito i proiettili ed aver ancora un corpo da eliminare. Giunge qui alla
necessità di dover utilizzare per la prima volta l’arma bianca. Risulta qui
straordinaria la forza della ragazza che seppure attinta dai colpi di pistola
deve aver dimostrato all’omicida una reazione tale da fargli ritenere
necessario avventarsi con ferocia su di lei, tanto da colpirla al volto una volta
alla regione temporale destra ed altra in regione mandibolare. La seconda
risulta chiaramente una ferita da taglio, inferta alla giovane ancora in vita, dati
i segni di vitalità. Probabile che la ragazza abbia iniziato a gridare e
l’assassino abbia voluto tapparle la bocca con la propria mano sinistra e
cercare di zittirla con la lama prima di affossarla sul sedile e colpirla con forza
allo sterno tanto da provocarne la morte.

Resta il dubbio circa la profonda ferita lacero contusa presente sulla regione
frontale ed auricolare che non sappiamo se causata, ma difficilmente
potrebbe così essere, da un’arma da taglio. Sembrerebbe, invece, realizzate
dall’urto con un oggetto contundente, forse l’impugnatura del pugnale, o
ancora una parte della carrozzeria in cui può essere stata sbattuta la giovane
per farle perdere conoscenza. Presumendo che l’assassino abbia agito
frontalmente alla giovane o comunque lievemente dislocato alla destra di
questa, risulta strano pensare ad un colpo inferto in quella zona dalla lama
del pugnale che lo avrebbe costretto a “scavallare” la sua stessa mano
sinistra andando a colpire oltre il suo polso.
Altra dinamica, forse più corretta, ci permette di collocare l’omicida sempre e
solo all’altezza del finestrino lato passeggero che sparando con lo sportello
aperto riversa tutti i colpi del caricatore sui ragazzi posti, sul sedile reclinato,
l’uno sopra l’altra. Deponendo in tal senso, allora, ipotizziamo così ora -
seppur peculiare e piena di incertezze - la dinamica. I due ragazzi,
inspiegabilmente data la sera settembrina ed il terreno umidiccio (aveva
piovuto le sere precedenti), decidono di spogliarsi fuori dall’auto, ripiegando i
vestiti sotto la vite posta a comunque 3 mt dalla vettura. Pasquale, si era già
tolto il giubbotto e forse lo aveva poggiato sopra il tettuccio della vettura,
altrimenti non si spiega perché gettarlo fuori dal finestrino quando poteva
poggiarlo sui sedili posteriori. Come del resto, avrebbero potuto fare con i lori
vestiti, senza doverli mettere all’esterno rischiando di bagnarli o rovinarli.
Dato il rinvenimento di questi senza macchie di sangue, ci risulta difficile
pensare che l’azione di ripiegamento di questi sia stata compiuta dall’omicida,
il quale considerato i colpi inferti alla vittima femminile è possibile che si fosse
quantomeno sporcato di sangue. È pertanto necessario ipotizzare la
dinamica cercando di trovare una razionalità nell’azione dei giovani di uscire
dall’abitacolo, spogliarsi a 3 mt dalla macchina (lei di camicia e pantaloni, lui
solo dei pantaloni per poi lasciare la camicia a poca distanza da questi
rientrando verso la vettura), e fare ritorno scalzi, o con le sole scarpe, dentro
l’abitacolo. Riteniamo poi che vicino ai vestiti ci fosse già la borsetta della
ragazza con il pullover dentro, entrambi trovati non sporchi di sangue, così
anche come il reggiseno della ragazza.

Troviamo, così, i due ragazzi dentro la vettura con indosso solo i


loro indumenti intimi. Qui, reclinano il sedile passeggero, magari a portiera
aperta per agevolare i movimenti (pensarla chiusa per coprirsi dal freddo
stonerebbe con la loro azione precedente di spogliarsi fuori dall’abitacolo). La
ragazza è sdraiata supina, mentre il ragazzo, è sopra di lei. Hanno entrambi
le mutande indosso quindi la loro azione sessuale non è - anche qui -
completa. Mentre i due giovani sono vicini, inizia l’assalto dell’omicida che
spalanca la portiera - anche se dati i colpi al fianco sinistro del ragazzo è
possibile che questa già lo fosse - e colpisce il ragazzo sparando in rapida
successione tra i cinque ed i sei colpi, uno dei quali si infrange contro il
finestrino lato guidatore infrangendolo. Il giovane non si accorge dell’attacco
ed i colpi sparatogli in rapida successione lo ruotano sul fianco destro
facendolo, presumibilmente, ricadere più vicino al sedile del guidatore in
posizione fetale. Lo sparatore rivolge, quindi, l’arma contro la ragazza che,
terrorizzata, inizia a dimenarsi e tenta la fuga verso l’unica direzione a lei
possibile che, purtroppo, è quella dove provengono gli spari. È lì che forse
l’assassino la colpisce al volto - magari col calcio della pistola (?) -
provocandole la ferita nella zona temporale destra. La giovane viene così
spinta sul sedile da cui aveva provato ad alzarsi e da lì, purtroppo, non si
muoverà più perché l’assassino le spara tutti i colpi rimasti nel caricatore, ma
è - anche qui - impacciato, impulsivo, distratto, frenetico. I colpi non la
uccidono - presenta ancora indici di vitalità - allora l’omicida abbandona la
pistola ed impugna il coltello che riverbera con forza sul corpo della giovane
colpendola allo sterno e provocandone, lì, la morte (Elementi che fanno
dedurre che i colpi d’arma bianca che ne hanno provocato la morte siano stati
inferti mentre era sul sedile si riscontrano nelle evidenti e copiose macchie
ematiche presenti sul sedile della giovane e la mancanza di ipostasi.)
16 commenti:

omar quatar ha detto...

Non ho capito se l'articolo su rabatta è finito o ci sarà un seguito,


come mi auguro. Comunque pongo già tre domande.
Possiamo azzardare una valutazione del numero dei colpi sparati?
Possiamo ipotizzare un'interazione tra assassino e vittime prima
della soluzione violenta dell'agguato?
Il ritrovamento del reggipetto è attestato in atti ufficiali? in che
direzione rispetto alla borsetta col maglione?

Grazie

23 aprile 2018 alle ore 11:26

Flanz ha detto...

Ciao Omar, alle tue domande risponderà il prof. Oltremari, colgo


l'occasione per segnalare che ho corretto il post poichè la
precedente versione conteneva un errore dovuto ad un incauto
copia/incolla. Me ne scuso con l'autore ed i lettori.

23 aprile 2018 alle ore 12:36

Unknown ha detto...

Salve Omar,
In ordine:
- ci sarà un seguito. Per questa prima parte de "l'Uomo dietro il
mostro" avremo un approfondimento per delitto diviso in due parti.
La successiva rispetto alla presente, dove verrà detto anche circa
anche le domande che poi hai posto, sarà pubblicata il 7 Maggio p.v.
Comunque, anticipandomi brevemente:
- se per interazione intende la possibilità, come suggerita da alcuni,
che l'omicida abbia "giocato" con le vittime tenendole sotto tiro e
magari facendole spogliare e facendoli porre i loro indumenti distanti
dalla macchina, oserei dire che tale ricostruzione striderebbe con la
linearità dei colpi poi inflitti alla vittima maschile. Nel senso, se
ipotizziamo che abbia interagito con loro allora tale interazione si è
spinta fino a farli porre uno sopra l'altro sul sedile passeggero in una
sorta di mimica dell'atto sessuale. Difficile.
- per i colpi sparati la difficoltà nella ricostruzione di questi consta nel
fatto che E.E. ed AUT. svolta sul ragazzo differiscono. In ogni caso,
sommariamente (per il dettaglio rimandiamo alla seconda parte
come accennavo), il ragazzo sembrerebbe essere stato attinto da 6
colpi d'arma da fuoco, mentre la ragazza da 5. Per complessivi 11
colpi. Se preferisce, mi scriva all'indirizzo mail e saprò indicarle con
piacere il punto preciso di questi.
- circa invece il reggiseno, non ritrovato in sede di primo sopralluogo,
il caso è forse ancor più spinoso, come vedremo. Altri autori hanno
ipotizzato circa la posizione di questo, o meglio, la direzione non
meglio specificata in atti ufficiali e pertanto valevole ora solo di
supposizioni non utili al nostro lavoro.

Grazie ed a presto

E.O.

23 aprile 2018 alle ore 12:38

Giuseppe Di Bernardo ha detto...

Salve. Complimenti per il lavoro. Da anni la questione dei vestiti è


per me un rompicapo senza senso apparente. Espongo una idea ma
vedo che è già stata presa in considerazione nei commenti.
I ragazzi sono fuori dall'auto e stanno parlando, forse Claudio mostra
i pantaloni della tintoria alla ragazza, magari discutono di quano li
indosserà o del colore o di qualche macchia. Sopraggiunge
l'assassino che, armato, li minaccia e gli ordina di togliersi i vestiti
(ma non le scarpe che verranno trovate dentro l'auto). Li fa tornare
all'auto per mettere in scena una sua fantasia. Fa abbassare il
seggiolino passeggero e li fa sdraiare sopra a mimare un rapporto.
Per questo tiene lo sportello aperto, in modo da, oltre che guardarli,
tenerli sotto tiro. Ricostruito il suo personale teatrino, l'assassino
spara. Ecco il perché dei colpi sul lato sinistro di Claudio e il
finestrino sfondato dall'interno. Perché "difficile"? Per la psicologia
del killer? Ma abbiamo visto che ha dei cambiamenti. Qui "gioca" col
corpo della ragazza mentre nei successivi si limita all'escissione.

24 aprile 2018 alle ore 11:32

omar quatar ha detto...

magari perde la calma perché i ragazzi si rifiutano di andare fino in


fondo nella simulazione. naturalmente questa ricostruzione
(altamente ipotetica) dipende anche dall'esattezza dell'ipotesi di
Zuntini che i colpi fossero stati sparati dal lato dx dell'auto
nonostante i bossoli si trovino a sn. Ma possibile che il perito
balistico non abbia controllato i tramiti dei proiettili che colpirono i
sedili? In tal caso sarebbe più che altro un perito ballistico (ehmmm).
Però mi sovviene che (forse) scrisse Fiocchi anziché Winchester
anni prima; e che altri periti si astennero, nel 1985, dal reperire i
proiettili presumibilmente presenti nel piumone all'interno della
tenda.
Ovviamente, quanto più i rilievi sono superficiali tanto più è difficile
farsi un'idea precisa.
Comunque attendo con impazienza di conoscere la versione del
Dott. Oltremari.

24 aprile 2018 alle ore 12:12

Giuseppe Di Bernardo ha detto...

Eh, infatti, Omar... l'idea che perdesse la calma era proprio quella
che mi ero fatto. Per il resto sottoscrivo tutto il tuo ragionamento.
Grazie.

24 aprile 2018 alle ore 12:20

Unknown ha detto...

Salve Giuseppe e grazie sia per il commento che per i complimenti.


Anche a me la questione dei vestiti ha sempre portato dubbi ed
incertezze perché davvero, non riesco a spiegarmi - se non in
comportamenti che personalmente troverei scomodissimi - il perché
della scelta di spogliarsi fuori dall'auto e poi rientrarvi per consumare
il rapporto. Ritengo difficile la condizione per cui sia l'omicida ad
inscenare il "teatrino" sia a livello pratico che criminologico avendo
noi la (s)fortuna di poter dibattere conoscendo già gli avvenimenti
futuri al 1974.
L'omicida mostra sì interessi a modificare la scena del crimine o
comunque a ricomporla in base ad un suo disegno, ma ciò sempre e
soltanto dopo l'uccisione dei ragazzi. L'evento morte si presenta
come condizione per le attività successive che l'omicida vuole
raggiungere nel minor tempo possibile. Basti pensare ai punti vitali a
cui mira nei delitti successivi o alla freddezza ed ordini mostrati nel
1968 (sempre che la mano sia la stessa).
Il disordine, quindi, dell'azione del 1974 credo quindi sia più
riconducibile (oltre ad una possibile conoscenza anche solo indiretta
della coppia o di uno di essi) ad una errata percezione della scena e
della distanza tra lui ed i giovani i quali, magari, avevano già loro
lasciato aperto lo sportello per favorire il rapporto. Diversamente,
questo poteva essere chiuso ed aperto "di sorpresa" prima di
riversare i colpi sul ragazzo che si volta lievemente verso lo
sparatore per poi ruotare su se stesso. Condizione poi che non si
verificherà più nei delitti a venire.
Possibile che invece, i due ragazzi, avessero magari tipo una
coperta (come venne poi ritrovata all'interno dell'auto nel delitto del
Giugno dell'81), per stendersi fuori dall'auto e poi magari denudatosi
pian piano decidono di rientrare nella vettura per compiere l'atto
perché magari più riparati. Coperta poi, ovviamente, portata via
dall'omicida. Ricordiamo che la macchina in questione non era del
ragazzo ma del padre, e quindi Pasquale poteva essersi munito del
necessario (venne rinvenuto anche un cuscino nell'auto se non erro)
per poter stare sia dentro che fuori per ricreare una condizione di
maggior serenità alla ragazza che come sappiamo era restia a
concedersi.
Se fosse stato, come suggerisci, l'omicida ad obbligarli ad agire così
mi chiedo perché abbia avuto l'accortezza di farli rimettere le scarpe
per percorrere pochi metri.
Sempre per questa cosa delle scarpe - mi anticipo brevemente sulla
prossima uscita - nel caso i ragazzi fossero stati fuori dall'auto, in
quel terreno che - già dalle foto - non si presenta come un ameno
pratino invitante alla distesa, perché spogliarsi del tutto, togliendosi
le scarpe, per poggiarmi poi comunque sul terreno umido, per poi
rimettermele e fare pochi metri. Ormai a piedi nudi c'erano stati. Se
invece avessero avuto un qualcosa su cui poggiarsi, magari sedersi
o sdraiarsi, allora sì che tornerebbe col rimettersi le scarpe ed
andare in macchina in quanto prima avevano potuto denudarsi
senza toccare il terreno.

In conclusione, non credo che qui giochi col corpo della giovane.
Compie la stessa cosa che avrebbe poi fatto gli anni successivi, solo
in una forma "embrionale". Ma per questo non mi anticipo su quello
che saranno poi i futuri capitoli.

Ancora grazie per l'attenzione e spero di aver risposto ai tuoi quesiti.

E.O.

24 aprile 2018 alle ore 12:23

Unknown ha detto...

Ancora salve Omar,


Purtroppo qui nel 1974 ci scontriamo con la mancanza di certezza di
quei dati che invece avrebbero dovuto averla come prima qualità.
La superficialità dei rilievi ci obbliga ad agire più per ipotesi rispetto
al necessario e all'utile.

E.O.

24 aprile 2018 alle ore 12:25

Giuseppe Di Bernardo ha detto...

Una ultima domanda per il prof. Oltremari. Nel testo si parla "di un
foglio di carta da confezione recante l’intestazione di una
lavanderia". Ma si intende che i pantaloni erano (o erano stati)
impacchettati? Oppure si tratta di uno scontrino?
Grazie.

24 aprile 2018 alle ore 12:32

Unknown ha detto...
Sì Giuseppe, i pantaloni erano stati (perché ne vengono ritrovati
fuori) impacchettati all'interno di una confezione non grande come
una sacca ma comunque abbastanza da contenere più indumenti.

A presto,

E.O.

24 aprile 2018 alle ore 12:42

Giuseppe Di Bernardo ha detto...

Grazie delle gentilissime ed esaustive precisazioni!

24 aprile 2018 alle ore 12:45

Thisisdaniela ha detto...

Questo commento è stato eliminato dall'autore.

26 aprile 2018 alle ore 13:05

Thisisdaniela ha detto...

Gentile Prof.Oltremari non capisco il motivo per cui i pantaloni sono


posti all'esterno sia nell'ipotesi che sia stato fatto da parte delle
vittime sia da parte dell'assassino . Inizialmente ho pensato che per
motivi di spazio e praticità fossero stati appoggiati dal ragazzo
magari sopra la carta della lavanderia per non bagnarli. Fuori l'erba
infatti era ancora umida e Stefania non mi sembra il tipo da mettere
indumenti per terra, una ragazza curata , bella e penso ordinata .Da
parte dell'omicida direi non ipotizzabile la questione, e l'inscenare
una qualche coreografia con le vittime ancora vive mi sembra a mia
modesta opinione fuori dai suoi schemi .
E qui le faccio la domanda : è una persona che non sa rapportarsi
con i vivi?

26 aprile 2018 alle ore 13:32


Unknown ha detto...

Buonasera Daniela,
Anche io ritengo difficilmente plausibili la condizione dell'omicida che
"diriga" i giovani prima dell'atto omicidiario in comportamenti come
spogliarli, farli avvicinare, inscenare un atto sessuale ecc.

Non ritengo che l'omicida sia una persona che non sappia
rapportarsi coi vivi. Anzi, credo che fra questi riesca a viverci
quotidianamente con facilità senza destare sospetti.
Da quel che la dinamica suggerisce, non credo che all'omicida
interessi proprio rapportarsi con le vittime. L'atto omicidiario è freddo,
preciso, necessario. La sua non è una relazione con le persone, ma
si sostanzia ed esaurisce nella condizione in cui si trova quando
uccide.
Sembrano quasi un mezzo verso un fine. Corpi necessari ad uno
scopo.

E.O.

26 aprile 2018 alle ore 19:06

Paolo Cambiaghi ha detto...

Io ho sempre pensato che il maglione e i pantaloni nuovi potrebbero


essere stati messi fuori forse perché noon volevano far rimanere
addosso l'odore di sigaretta (ipotesi buttata lì, ma mi immagino 2
giovani che pensano di non far scoprire che fumano al ritorno a
casa)

25 aprile 2019 alle ore 15:37

Unknown ha detto...

Buongiorno Enea
Le faccio i miei più vivi complimenti per lo studio che ha realizzato.
Mi sono avvicinato relativamente da poco a questo caso e sto
cercando di districarmi tra tutto il materiale che trovo in rete. Devo
dire che ho trovato il suo articolo estremamente illuminante.
Vorrei se permette rivolgerle alcune domande di carattere tecnico.
1- Sia lei che De fazio nella sua perizia affermate che un proiettile
colpisce il ginocchio sinistro della Pettini . Nella perizia Zuntini che
ho trovato in rete egli parla di ferite solo alla gamba destra. Lei può
confermare che sulla perizia autoptica si parla di ferita al ginocchio
sinistro?
2-Leggo inoltre dal suo articolo che cè discordanza tra esame
esterno ed esame autoptico sul gentilcore. é possibile reperire la
perizia medico legale per approfondire ? io non sono riuscito a
trovarla in rete.Grazie e distinti saluti.

3 novembre 2022 alle ore 05:08


L'Uomo dietro il mostro 4 di E. Oltremari
08:02 FLANZ UDM 2 COMMENTS

Segue da LUdm3

Sabato 14 Settembre 1974 - Loc. Rabatta, Borgo San Lorenzo.

Qui, sia che l’azione si sia svolta nel primo o nel secondo modo, l’assassino
si trova di fronte allo sportello passeggero con due corpi privi di vita all’interno
della macchina.

L’omicida sfila la ragazza dalla macchina, la quale cade a terra vicino allo
sportello. La afferra per i piedi e la trascina dietro la vettura.

Le mutandine indossate dalla giovane vengono ritrovate strappate e sporche


di sangue. Segno che queste fossero indossate dalla giovane quando è stata
colpita. I verbali indicano che queste siano state rinvenute in due lembi (uno
più grande ed uno più piccolo), distanti circa 8 mt l’uno dall’altro e strappati,
non tagliati. È opportuno domandarci se queste si siano lacerate a causa del
trascinamento del corpo della giovane sul terreno o che sia stato l’omicida
stesso a strapparli con le mani per denudare completamente il corpo della
ragazza. Nel caso propendessimo per la prima ipotesi, risulterebbe strana la
posizione dei lembi, ovvero distanti l’uno dall’altro e non adiacenti alla
traiettoria dello spostamento della giovane; diversamente, nel secondo caso,
ci si presenterebbe una condotta da parte dell’omicida non coerente con
quanto accadrà poi nei delitti successivi, ove, gli indumenti femminili, come
quelli intimi, vengono recisi con l’arma bianca, senza quindi essere toccati
dalle mani dell’omicida. Da qui, allora, si potrebbe ipotizzare la condizione per
la quale le mutande della ragazza si strappano accidentalmente o nell’azione
delittuosa o nel trascinamento del corpo (anche perché se fosse stato
l’omicida a strapparle queste si troverebbero, almeno per un lembo, sotto il
sedere della ragazza). L’omicida poi, una volta inferti i colpi d’arma bianca
sulla ragazza, nel modificare la scena del crimine (condizione che si è più
volte ripetuta nei delitti seguenti) raccoglie una stralcio degli slip poi poi
gettarlo via qualche passo dopo. Difficilmente si potrebbe ipotizzare,
quantomeno a livello criminologico, un omicida giovane (dopotutto è il primo,
o il secondo delitto da lui commesso, quantomeno come mostro) che strappa
brutalmente quelle mutande che sette anni dopo, più maturo e maggiormente
sicuro di sè, avrebbe reciso col coltello senza toccarle con le mani. A livello
pratico, invece, forse l’azione di recisione degli indumenti intimi con la lama
del pugnale potrebbe essere dovuta all’acquisto di una maggior abilità
dell’omicida con questa anche se, torniamo a dire, riteniamo più plausibile
l’ipotesi prima richiamata delle mutande stralciatesi accidentalmente e
spostate dall’omicida nella sua azione di manomissione della scena del
crimine.
È difatti interessante notare - qualora non volessimo accettare la succitata
ipotesi che siano stati i giovano ragazzi a spogliarsi lontano dalla macchina e
tornarvi poi all’interno - come l’omicida, ripulisca la zona intorno alla vettura,
da vestiti, indumenti strappati e fazzoletti. Come se volesse ordinare la
scena, focalizzandola sull’autovettura, secondo una propria rappresentazione
più chiara, limpida e definita.

Una volta trovatosi di fronte al corpo della ragazza, le divarica le gambe,


afferra il coltello e con quello pratica 96 piccole coltellate (alcune profonde
anche meno di 1 cm) sul corpo dello schema seguendo uno schema così
esemplificato nella figura sottostante.

Dalla figura ritraente la mappa delle ferite d’arma da punta e da taglio si


intuisce - dicono alcuni - una particolare attenzione dell’autore per le zone del
seno sinistro e quella pubica. Mentre per il secondo, potremo sì individuare
una circoscrizione di questo, il primo (A ben vedere però, i colpi sono
purtroppo così tanti che ognuno riesce a vederci quel che vuole, 96 coltellate
in sul corpo - o meglio, sul tronco - di una ragazzina di 1,60 mt rischiano di
risultare fin troppo ravvivate e sovrastanti, indistintamente tutto il corpo) viene
attinto da colpi a questo limitrofi, ricalcando quelle che sarebbero divenute poi
le zone escisse. Dieci anni dopo, infatti, a pochi km di distanza, l’assassino si
sarebbe trovato di fronte un corpo nudo di giovane donna dalle medesime
caratteristiche di nudità della vittima femminile del 1974. Diversamente, però,
da quanto accaduto nel decennio precedente, l’assassino avrà alle sue spalle
5 (o 6) duplici omicidi, due dei quali lo hanno visto utilizzare il coltello per
praticare due escissioni post mortali delle zone pubiche di due vittime
femminili. Ed è qui, alla Boschetta, che si manifesterà - per la seconda volta
dopo i due duplici omicidi del 1981 - la condizione giustificatrice di evoluzione
dell’iter omicidiario come il corpo seminudo (se non per le mutandine) di una
ragazza. Le escissioni eseguite sul corpo nudo della Rontini ricalcheranno,
difatti, quelle zone su cui dieci anni prima lo stesso assassino si era
concentrato con l’arma bianca scoprendo una situazione a lui a quel tempo
(’74) ignota, come due ragazzi seminudi intenti ad amoreggiare in macchina
ed i lori cadaveri a propria disposizione. Dopo 10 anni alla stessa situazione
l’omicida risponderà praticando ciò che negli anni precedenti aveva eseguito
sui corpi delle vittime femminili dei duplici delitti del 1981, ovvero offendere,
tagliare e portare via, ma le quali si trovavano in una condizione però diversa
- maggiormente vestite - rispetto sia alla vittima del 1974 e del 1984. Di
questo ultimo tema - ovvero di quello che a parere dello scrivente è
erroneamente vista come una “evoluzione” dell’azione escissoria - ne
parleremo poi più approfonditamente nel capitolo circa il focus criminologico
sul modus operandi di tutti ed otto i duplici omicidi.

Tornando alla dinamica omicidiaria, dopo aver inferto i colpi sull’esanime


Stefania, l’assassino strappa poi dal filare di vite poco distante un ramo che
inserisce, marginalmente, nella vagina della ragazza.
Tornato allo sportello del passeggero, sposta il ragazzo sul sedile del
guidatore e gli infligge due coltellate all’emitorace destro. Considerato che
appare se non certo, altamente verosimile, che il corpo del ragazzo sia stato
spostato dalla suo originaria posizione, c’è da chiedersi le motivazioni di
questa scelta da parte dell’omicida. Analizzate le scene del crimine degli anni
successivi, e quella dell’anno precedente, possiamo notare un certo interesse
nell’omicida per le attività di modificazione della scena del crimine consistenti
nel riposizionamento, dei cadaveri - oltre che di quelli femminili - anche di
quello maschile. Si pensi, ad esempio, alle posizioni fetali assunte dalla
vittima maschile nell’Ottobre del 1981 e del 1984, o alla compostezza di
quello del 1968 o del Giugno 1981. Sembrerebbe quasi che l’assassino si
ritagli una porzione di tempo utile alla fuga per il riordino di una scena
“caotica” - o almeno così da lui considerata - creatasi con l’azione omicidiaria
al fine di ricreare una compostezza da lui apprezzabile o comunque utile ad
un suo fine, sia esso personalistico o utilitaristico (Anche questo punto verrà
approfondito in un apposito capitolo).

Circa poi l’esatto luogo di ritrovo della borsetta e del reggiseno della ragazza,
non comparendo alcun dato certo (se non una sommaria indicazione dei mt
di distanza dall’abitacolo), chi scrive non ritiene utile né corretto addentrarsi in
pericolose ipotesi circa i perché della direzione presa dall’omicida per
sbarazzarsi degli oggetti in questione. A riguardo, già ne è stato ampiamente
parlato da altri autori a cui - con piacere - rimandiamo.

Venendo ora alla introduzione della trattazione criminologia del duplice delitto
del 1974, che sarà oggetto di apposito capitolo - non possiamo esimerci da
una riflessione circa l’assoluto disordine - unico, considerati gli altri delitti -
che caratterizza la scena del crimine di Rabatta. Difatti, diversamente da
quanto accaduto sei anni prima a Castelletti, l’omicida sembra apparire meno
meticoloso e preciso rispetto a quanto già operato in precedenza, mostrando
maggiori difficoltà sia nell’abilità sparatoria sia nella gestione della situazione
omicidiaria.

Spesso, si è stati soliti attribuire la cruda violenza ed il furor omicidiario del


’74 ad una probabile conoscenza - anche solo unilaterale - da parte
dell’omicida quantomeno della vittima femminile. Tale eventualità non è stata
tralasciata neanche da la già precedentemente citata perizia del pool
modenese che, in relazione al presente delitto, sottolinea come “molte delle
ferite da arma da punta e taglio inferte alla donna sono state vibrate con
molta forza, mentre il corpo era appoggiato su piano fisso (terreno o sedile),
tanto da penetrare profondamente in organi vitali o da trapassare il tavolato
osseo eternale, disarticolando l’appendice xifoide. E’ quindi evidente che le
ferite da arma da taglio inferte alla donna, per qualità e quantità, appaiono il
frutto di un impulso e/o di una volontà che andavano ben oltre la semplice
intenzione di essere certo della morte della vittima”.La vittima femminile del
1974 rimane l’unica ragazza, fra le vittime attribuite al c.d. Mostro di Firenze,
uccisa con l’arma bianca (in questo caso la lama di un coltello). È necessario
però specificare che, considerati i dati a nostra disposizione, l’utilizzo della
lama sia stato reso necessario dall’aver esploso tutti i colpi della Beretta -
sprecandone la maggior parte - senza riuscire ad uccidere i due giovani. I
colpi inferti alla giovane presentano, difatti, indici di vitalità tali da considerarla
ancora viva in un tempo successivo agli spari ed ancora capace di
movimento e, soprattutto, di gridare. Si spiegherebbe così forse
l’accanimento sul volto della giovane, l’estesa ferita lacero-contusa alla testa
e quella vicino alla bocca. Ma perché, domandiamoci, l’omicida esaurisce il
caricatore (almeno 10 colpi) verso due bersagli certo non di più difficile mira
rispetto alle vittime del delitto del 1968. Sei anni prima, l’omicida (nell’ipotesi
che sia stata la stessa persona a sparare nel 1968 e poi nel 1974),
quantomeno anagraficamente sei anni più giovane del suo io del 1968, si
trovava ad affrontare un uomo ed una donna di circa trent’anni uccidendoli
con precisione e freddezza, il tutto alla presenza di un bambino. Sei anni più
tardi, con già un duplice omicidio alle spalle, più maturo e con di fronte due
ragazzi appena maggiorenni si dimostra un impreciso sparatore sprecando i
suoi colpi verso parti anatomiche non vitali senza riuscire a centrare i suoi
obbiettivi, vicini e racchiusi dentro l’abitacolo di una macchina.
È forse lecito credere che questo disordine sia dovuto alla inesperienza dello
sparatore, o alla sua giovane età, ma ciò striderebbe con l’attribuzione del
delitto del ’74 alla mano, fredda e precisa, del 1968. Ancora, potremmo forse
attribuirla ad una conoscenza diretta - o unilaterale - della coppia, tale da
incrementare la componente eccitativa dell’azione delittuosa. Potrebbe
invece essere dovuta ad un imprevisto accorso durante il delitto, come ad
esempio un tentativo di fuga o un effetto sorpresa non del tutto riuscito
(anche se questa eventualità mal si concilierebbe con la direzione e
l’inclinazione dei colpi ricevuti dal ragazzo che non fanno presagire alcun
movimento da parte della vittima). O, ancora, al fatto che per la prima volta
l’omicida si trovava davanti due corpi seminudi mentre sei anni prima i corpi
erano maggiormente vestiti.

Non avendo ulteriori basi probatorie o indiziarie su quale posizione prendere -


sebbene lo scrivente propenda per la prima delle ipotesi succitate -
rimandiamo tale questione al capitolo centrale di questi lavori.
In conclusione, risulta ora necessario soffermarsi sull’attività
di overkilling compiuta dall’omicida sul corpo della vittima di sesso femminile.

E’ lecito credere che quella fosse la prima volta che l’omicida si trovava di
fronte al corpo nudo, privo di vita, di una donna da lui uccisa (Sei anni prima
difatti - nell’ipotesi che lui stesso fosse stato l’autore dell’omicidio di Castelletti
- il corpo della Locci si presentava ai suoi occhi, maggiormente vestito
rispetto a quello della giovane Stefania).
Esauritosi la violenza che aveva poco prima caratterizzato l’azione
omicidiaria, l’assassino vive con apparente quiete - e qui risulta davvero
sorprendente questo repentino mutamento emotivo - i momenti che
sarebbero invece, comprensibilmente, utili ad una fuga, per chinarsi e
“saggiare” con la lama del suo coltello - utilizzata qui con la sua azione “da
punta” - il corpo della giovane. Sul tema: “l’azione esploratoria è stata inoltre
condotta con un’altra modalità, attraverso l’uso dell’arma da

punta e da taglio, con la quale l’omicida ha quasi circoscritto la zona del


ventre attorno all’ombelico e la linea superiore del pube, e ha descritto linee o
cerchi sulle cosce (o forse è più appropriato dire che ha inferto colpi indirizzati
casualmente, che non loro insieme descrivono due linee ed un cerchio sulle
cosce); questi colpi sembrano essere stati inferti senza molta forza, o quasi
per saggiare la resistenza della cute all’arma da puntataglio, usata in senso
verticale e quindi con l’efficacia lesiva della punta. Come si è detto, la
disposizione delle ferite attorno al pube suggerisce l’ipotesi che si sia fatta
strada nella mente dell’omicida, o che fosse già presente in fantasia, quanto
meno a livello embrionale, l’idea di asportare quella parte del corpo, non
ancora perfezionata processualmente o non ancora sorretta da idonea
capacità tecnica”.
Ora, benché sia dallo schema dei colpi inferti sia dalle foto del cadavere sia
possibile evincere una certa attenzione per quelle zone che negli anni
successivi sarebbero state oggetto di esportazione, non si direbbe falsità
alcuna se ci riferissimo alle ferite da punta come inferte omogeneamente, ma
in senso casuale, sul corpo della giovane in un’area estesa dall’interno coscia
fino al petto. Ognuno è libero di poter interpretare l’ordine di ferite a suo
modo, vedendoci linee, curve, forme, allusioni esoteriche, numerologiche o
altro ancora perché, sfortunatamente - e drammaticamente dato che parliamo
non di un gioco sulla settimana enigmistica ma del corpo di una diciottenne -
il c.d. gioco di unire i puntini può condurre ad innumerevoli interpretazioni.
Certo è, che difficilmente potremo ricondurre i colpi inferti ad una mera
“sperimentazione” o “saggio” della lama sulla carne visto l’elevatissimo
numero di ferite inferte, abbondantemente oltre il numero necessario per
constatare l’effetto lesivo dell’arma da punta. Allora, forse, sarebbe
necessario chiederci cosa si cela dietro quelle ferite. Cosa ha spinto l’omicida
a soffermarsi così lungamente sul corpo esanime della ragazza. E’ probabile,
quindi, che dietro questo disegno si nasconda una fantasia, un intento, un
ordine, difficilmente riconducibile ad un mero e semplicistico “canovaccio”
delle sue - orribili - gesta future.
Circa, invece, il ramo di vite inserito all’interno della vagina della
ragazza, possiamo affermare che questo rappresenti un unicum nell’insieme
di tutti ed otto i duplici omicidi. Mai, difatti, l’assassino si era spinto ad
un’azione di overkilling sui corpi delle vittime che esulasse dalle escissioni o
dai fendenti post mortem.
L’introduzione del tralcio è stata più volte associata ad un chiaro segno, o
spregiativo, o di assonanza sessuale (inteso quindi come la proiezione di
membro maschile). E’ necessario, però, dire a riguardo che sia per le
caratteristiche del ramo in sé - un ramoscello esile, molto lungo e diramato -
che per le modalità con cui questa è stato inserito - senza troppa forza, né
reiterandone l’ingresso nel cavo vaginale, come appunto in una simulazione
dell’atto sessuale - ma solo attraverso una sua apposizione, scevra di una
sua componente lussuriosa, sarebbe forse più corretto avvicinare tale atto ad
un significato simbolico, non necessariamente sessuale, ad ora sotteso e non
purtroppo compreso ma di cui avanzeremo alcune interpretazioni più avanti.
Difatti, chi scrive, non ritiene il tralcio di vite un simbolo spregiativo del corpo
della donna, anzi. Qui tornano d’ausilio le fotografie della scena del crimine,
nelle quali si può denotare una quasi leggerezza ed armonia nella scelta del
tralcio di vite, e non di un ramo più grosso o comunque maggiormente lesivo
dei genitali femminili. Il ramo non sembra richiamare alcuna componente
fallica, né tantomeno virile. L’aspetto del tralcio, lasciato integro anche delle
foglie e dei piccoli ramoscelli che dal busto principale si dipanano, non
acquistano la forma di una violenza sessuale, né tantomeno offensiva del
corpo della giovane (di questo intento offensivo del corpo l’assassino ne
aveva già dato prova alcuni istanti prima, per 96 volte). Sembra più un
simbolo decorativo, o votivo, quasi a voler ricreare un’immagine nell’omicida
che suggella la scena da lui manomessa e ricreata, una volta interrotto
l’unione tra i due. Addenda che è possibile che l’omicida abbia anche
commesso nei delitti successivi ma rimasta celata, o mal interpretata, nel
corso dell’analisi della scena del crimini. Scambiata talvolta per un errore,
una casualità o coincidenza o perfino una posizione innaturale del corpo.
Invece quindi di continuare - sconfessando perfino quanto da noi riferito
supra - a considerare il tralcio di vite un unicum fra i delitti commessi
dall’assassino, potremo provare a reinterpretarlo e collocarlo nella coerenza
degli altri delitti, fra quelle condizioni, non lesive del corpo (o spregiative) ma
di alterazione della scena del crimine e personation. È la trasposizione fisica
e materiale di una fantasia dell’omicida, a lui solo comprensibile ma non per
questo indecifrabile. Fantasia fin troppo ridondante e selvaggia in questo
delitto e col tempo, solo affinata e resa meno palese ma soltanto nascosta e
camuffata in un qualcosa che o non è stato visto o male interpretato ma
rimasto lì, sempre, davanti ai nostri occhi, ancora una volta, sulla stessa
scena del crimine. Come vedremo.

2 commenti:

Giuseppe Di Bernardo ha detto...

Come al solito complimenti, Professore.


Per quanto riguarda i colpi inferti alla povera Stafania, le chiedo se,
liberandosi da preconcetti, si possa essere di fronte ad un solo
piacere che definirei "necrosadico" (non so se il termine sia giusto e
le chiedo consiglio), ovvero il semplice piacere di perforare la carne
umana. Non di un piacere sadico, visto che la vittima è deceduta, ma
del poter disporre del suo corpo per "giocarci".
Grazie!

5 giugno 2018 alle ore 10:36


Unknown ha detto...

Salve Giuseppe e grazie infinite per i complimenti.


E' interessante questa tua osservazione in merito e purché la
risposta risulti assai ardua mi sentirei di risponderti come segue.
Quando l'omicida si trova di fronte il corpo nudo della ragazza, la sua
fase maniacale ha subito un arresto, tanto da poter modulare la sua
forza - prima dirompente come ahinoi abbiamo potuto vedere -
condizionandola non ad un furor bensì ad una quiete. Solitamente i
colpi inferti in stato eccitativo - come spesso accade dei fenomeni di
overkilling, si trovano raggruppati, per quanto riguarda le armi
bianche, a colpi di tre. Si troverebbero quindi piccoli raggrumanti
sparsi di tre colpi l'uno vicino all'altro.
L'azione dell'omicida della coppia del 1974, direzione invece
omogeneamente i colpi in un'area compresa tra le cosce e il seno
dosando la sua forza fino a infliggere colpi che non raggiungevano il
mezzo centimetro.
Ora, verrebbe quindi meno - almeno a mio parere - la componente
violenta ed oltraggiosa nei confronti della donna, come quella di
esaurire una volontà mortifera nei confronti dei corpi. Prende invece
campo, come meglio poi si evidenzierà per i delitti successivi, l'idea
di corpo come mezzo e strumento di proiezione di una fantasia,
disegno, messaggio, idea dell'omicida, che nel '74 proverà ad
abbozzare da assassino ancora "giovane".

Spero di poterle essere stato d'aiuto.


A presto,

E.O.

6 giugno 2018 alle ore 00:44


L'Uomo dietro il mostro 5 di E. Oltremari
08:02 FLANZ UDM 3 COMMENTS

Sabato 06 Giugno 1981 - Loc. Mosciano, Scandicci.

"Come il lettore potrà - spero - apprezzare, da oggi i brani de L'Uomo dietro il


mostro verranno corredati da disegni da me realizzati ritraenti, nel modo più
fedele possibile, la scena del crimine. Tale scelta, seppur combattuta, è
dovuta alla necessità di dirimere i dubbi -che spesso leggo come causati
dalla mancanza di materiale fotografico - sulla dinamica, sul ritrovamento dei
corpi e più in generale sulla scena del crimine. Spero in cuor mio che, per il
rispetto necessario e indiscutibile che meritano i soggetti ritratti, che tali figure
vengano utilizzate al solo scopo di ausilio alla lettura ed alla comprensione.
Pertanto - certo comunque di vostra lealtà e collaborazione - mi trovo
costretto a vietarne la diffusione, riproduzione e divulgazione senza il
consenso del sottoscritto rivendicandone la proprietà intellettuale.

Nella speranza di aver fatto cosa gradita, vi ringrazio e vi auguro buona


lettura."

E.O.

Sullo spazio che forma l’angolo fra due strade sterrate a lato di Via dell’Arrigo
si trova la Fiat Ritmo 60, di color rame, della vittima maschile. L’automobile è
parcheggiata leggermente in obliquo, poco distante da un cipresso e dal
ciglio della stradina sterrata. Ha gli sportelli chiusi, con quelli posteriori a
sicura inserita. Il cristallo dello sportello anteriore sinistro è in frantumi. Vicino
a questa, sono rinvenuti 4 bossoli cal. 22 (a 90 cm, 75cm ed 80 cm dalla
ruota posteriore sinistra). Sempre sul lato sinistro della vettura, si trova una
borsetta da donna in paglia a bordi metallici, una carta d’identità, un mazzo di
chiavi, due biglietti A.T.A.F. ed alcuni oggetti per il trucco come un rossetto
ed un pettine.

Il sedile anteriore destro ha la spalliera reclinata all’indietro. Sopra il cruscotto


si rinvengono un fazzoletto di stoffa ed un pacchetto di fazzoletti di carta. Nel
porta oggetti, troviamo invece un mazzo di chiavi, alcune monete ed una
cartuccia di fucile cal. 12; sul tappetino anteriore destro, una bustina vuota
per profilattici marca “Durex supersensital”; lo specchietto retrovisore è
inclinato a sinistra; nello spazio tra la pedaliera ed il sedile, un paio di scarpe
da uomo marroni ed una bianca da donna; sul sedile posteriore due maglie
ed una coperta; all’interno del bagagliaio, due racchette da tennis ed un
coltello “machete” ancora riposto nella custodia.

All’interno della vettura, sul pannello dello sportello anteriore destro (cm. 35
dal bordo destro e 19 cm da quello superiore) è presente una soluzione di
continuo a forma ellissoidale ci circa 2 cm, mentre sotto di questo si
osservano tracce ematiche di forma circolare e lineare. Sul sedile anteriore
destro, nella parte superiore si trova un’altra larga chiazza di sangue
coagulato, che interessa sia il coprisedile che il bordo in pelle sul quale si
evidenzia sia un piccolo foro che alcuni capelli attaccati alla traccia ematica.
Sempre sulle stesso sedile, più in basso, e sulla stessa spalliera destra sono
presenti due fori, uno di entrata ed uno di uscita per un traiettoria che per il
tramite di questa si esaurirà sul montante dello sportello anteriore destro.

Sul sedile posteriore si rinviene un bossolo cal. 22, come altro - uguale -
viene ritrovato sul tappetino posteriore destro. Sotto di questo, vengono
repertati un altro bossolo ed un proiettile cal. 22 deformato. Uno della stessa
indole verrà infine estratto dal foro presente, in alto, sulla spalliera anteriore
destra.

Si trovano infine macchie di sangue, a spruzzo, con rivoli discendenti sulla


manovella di apertura del finestrino anteriore destro i quali, seguendo una
linea di gravità, formano una macchia di sangue raggrumato sul terreno
sottostante.
Sul sedile del guidatore, giace il corpo del ragazzo. Poggia con la regione
temporale destra sul bordo superiore sinistro della spalliera, ha la bocca
leggermente aperta mentre gli occhi guardano verso il sedile del passeggero.
Il braccio destro è disteso e la mano tocca leggermente sulla leva del freno a
mano, quello sinistro poggia con il palmo della mano il sedile. Il bacino
aderisce allo spigolo anteriore destro del sedile e le gambe, unite e distese,
poggiano coi talloni sul tappetino anteriore destro, quindi dove era seduta la
fidanzata.

Il ragazzo indossa una camicia di colore chiaro, per lo più abbottonata


(risultano sbottonati solo gli ultimi bottoni in basso); slip blu a righe bianche
(dal quale fuoriesce una porzione del glande); un paio di jeans infilati solo alla
coscia destra fino all’inguine ed un paio di calzini chiari; una catenina al collo
in metallo bianco ed al polso un orologio.

È stato attinto sia da colpi di arma da fuoco che da fendenti d’arma bianca.

Quest’ultimi sono stati vibrati sul corpo del ragazzo in limine vitae (risultando
difatti poco infiltrate, evidenza quest’ultima - seppur approssimativa - di un
indice di vitalità al momento in cui sono state inferte) e lo hanno colpito due
volte alla regione antera-laterale sinistra del collo ed a pochi centimetri l’una
dall’altra ed entrambe con angolo acuto superiore. Una terza ferita da punta e
da taglio - non infiltrata - è invece localizzata all’emitorace sinistro al di sopra
del capezzolo e, con profondità di circa 5 cm, attraversa il lobo inferiore del
polmone, il diaframma, terminando nel parenchima splenico.

Questi invece i colpi d’arma da fuoco rinvenuti sul corpo della vittima
maschile:

- in regione pettorale sinistra un foro di ingresso con proiettile ritenuto nel


corpo dell’ottava vertebra dorsale. Si sottolinea che la camicia indossata dal
ragazzo presenta segni di affumicatura in prossimità del foro tanto da far
propendere per un colpo esploso ad una distanza non superiore ai 20 cm;

- un foro di ingresso in regione nucale sinistra con proiettile ritenuto nei


tessuti molli nucali;

- poco distante dal precedente, altro foro d’ingresso anche qui con proiettile
ritenuto a livello encefalico.
Per ultimo, si segnalano, sempre in regione nucale, numerose escoriazioni.

A circa 13 mt dalla vettura, al di sotto (1,5 mt) della strada principale viene
ritrovato il corpo della vittima femminile. È distesa supina; la testa, reclinata
verso sinistra, guarda leggermente in direzione opposta, gli occhi sono aperti
mentre le labbra stringono parte della colonnina che indossa al collo; il
braccio destro è disteso e ruotato verso l’esterno mentre il sinistro aderisce al
corpo; gli arti inferiori sono in direzione di via dell’Arrigo, il destro disteso
mentre il sinistro ha la coscia piegata in avanti (e verso l’esterno) mentre la
tibia verso l’interno.

La ragazza porta due collane, un bracciale di metallo giallo al polso e tre


anelli all’indice; indossa una camicia chiara e strappata ove sulla parte
anteriore si evidenziano tracce ematiche; un paio di jeans tagliati all’altezza
del cavallo fino alla cintura, tanto da lasciar vedere la parte anteriore delle
cosce e la zona pubica; un paio di slip azzurri strappati (sic) nella parte
laterale sinistra.

Come per il fidanzato, l’assassino ha agito nei confronti della ragazza sia con
la pistola che con l’arma bianca.

Circa i colpi di arma da fuoco questi possono essere così riassunti:

- un colpo d’arma da fuoco ha interessato la regione del mento producendo


un’area ecchimotica escoriata;

- un altro colpo ha interessato la regione laterale sinistra del collo, con foro
di entrata sul lato sinistro e di uscita sul lato destro dopo aver attraversato la
seconda vertebra;

- altro colpo di arma da fuoco all’avambraccio sinistro, trapassante, con


direzione latero-mediale;

- colpo d’arma da fuoco all’avambraccio destro, entrato a livello della


regione laterale e fuoriuscito alla base della mano destra, lato palmare;

- ultimo colpo al dorso, zona sottoscapolare sinistra, trapassante polmone


sinistro, cuore e polmone destro con proiettile ritenuto in zona mammaria
destra. Anche qui, come per il fidanzato - seppur in modo meno evidente - è
presente il segno di affumicatura, c.d. tatuaggio, intorno alla ferita. Segno,
quest’ultimo, che l’omicida ha sparato da distanza ravvicinata.
Presenta inoltra una piccolissima escoriazione all’altezza del seno sinistro ed
altri evidenti escoriazioni in zona dorsale-scapolare.

Per la prima volta, nei delitti del Mostro di Firenze, l’omicida asporterà la
ragione pubica per un’ampia zona ovlare con asse longitudinale di 16 cm e
trasversale di 10 cm. I margini appaiono molto netti, non infiltrati, con una
sola incisura a lembo dalle ore 10 con lievi irregolarità solo nel tratto
compreso tra le ore 6 e le ore 7. La lesione ha una profondità di circa 5 cm
con fondo modicamente regolare. In conclusione risultano asportati la cute ed
i peli della regione pubica fino alle grandi labbra, risparmiate in larga misura.

******

Questo duplice omicidio presenta alcune peculiarità degne di nota e di


indubbio interesse ai fini della nostra disanima.

Prima fra queste è l’evoluzione del modus operandi rispetto all’omicidio


di Rabatta di 7 anni prima.

In questo ultimo delitto l’omicida riversa i colpi sui giovani riuscendo ad


arrivare molto vicino ai due ragazzi, intenti, questa volta, ad amoreggiare tra
loro. Particolare quest’ultimo, desumibile dallo stato di svestizione della
coppia. Soprattutto in base alla nudità della vittima di sesso maschile
possiamo presupporre, lecitamente, che questo avesse steso le gambe sul
poggiando i piedi sul tappetino del lato passeggero e che si trovasse col
busto e la fronte rivolte verso la compagna. Il tutto, in pieno stato eccitativo
come la porzione di glande, fuoriuscente dalle mutande,
e bloccato dall’elastico di queste, farebbe ipotizzare. I colpi vengono esplosi,
come accennavamo, ad estrema vicinanza denotando in tal senso una certa
abilità dello sparatore quantomeno a giungere in prossimità del finestrino di
guida senza essere scoperto dalla coppia, tanto che questa rivolge la nuca
all’omicida. Su questo punto, sarebbe irrispettoso tralasciare quanto è stato
detto sul tema dall’ottimo Avv. Filastò circa la possibilità che l’assalitore
palesasse alle vittime una propria condizione travisata (l’uomo in divisa) in
modo da far abbassare loro la guardia ed indurli ad una (ri)vestizione o a
cercare i documenti nella borsa o pantaloni. In ogni caso l’omicida impiega la
sua abilità per giungere vicino alla coppia tanto da potersi soffermare su cosa
loro stessero facendo ed osservare la situazione che andava cercando. Al
contrario, dovremo pensare ad un soggetto che aggredisce ciecamente
sparando contro un auto senza prima aver visto chi vi fosse all’interno e cosa
stesse facendo. Eventualità quest’ultima difficilmente compatibile con l’azione
di mirare in zone vitali quali appunto la testa del primo soggetto bersaglio dei
suoi spari, in questo caso la vittima maschile. Quest’ultima viene difatti attinta
alla nuca, rivolta verso gli spari, così da far presupporre un’azione a sorpresa
da parte dell’omicida ed una piena mancanza di reazione da parte della
vittima. Diversamente, potremo dire circa la vittima femminile la quale dopo i
primi colpi verso il proprio fidanzato, che le sta accanto, tenta una difesa
estrema - ed inutile - cercando di parare i colpi con gli avambracci a scudo e
ad ultimo, voltandosi verso il proprio sportello e rivolgendo allo sparatore quel
dorso che verrà attinto da quel colpo che le trapasserà il cuore. Colpo, questo
che dovrà essere stato sparato presumibilmente a distanza molto ravvicinata
- in tal senso depone il segno di affumicatura dei vestiti intorno al foro
d’ingresso - e quindi con l’omicida che, a finestrino ormai esploso aveva
immesso la mano e l’arma fin dentro l’abitacolo.
Questo attacco si presenta come più ordinato, preciso e calcolato rispetto a
quanto l’omicida aveva fatto sette anni prima a Rabatta.

Innanzitutto attende una condizione di favore data dalla distrazione delle


vittime alle quali si avvicina e verso cui mira i colpi in zone vitali, soprattutto
per quanto riguarda il soggetto più pericoloso della coppia, ovvero l’uomo. Si
pensi che viene colpito alla nuca, quindi profittando di un suo sguardo o della
sua attenzione volta verso la fidanzata.
Rivolge poi l’arma verso la donna sparando nell’immediatezza considerato il
suo eventuale moto di fuga tardivo ed il tentativo di parare i colpi con le
braccia. Diversamente, dovremo ipotizzare un omicida che, per sadismo,
giochi con le (future) vittime lasciandole in un limbo d’attesa tra l’arma rivolta
verso di loro ed il momento degli spari. Circostanza che ad avviso di chi
scrive stride con i colpi poi inferti dall’omicida, diretti all’eliminazione delle
vittime, e non ad un prolungamento della vita stessa quanto più ad una più
celere privazione di questa.

Diversamente da quanto accaduto nel 1974 l’omicida qui, più che dimostrare
una miglioria della sua perizia di mira, modifica il suo modus
operandi giungendo più in prossimità delle vittime, fino quasi a toccare con
l’arma il corpo dei ragazzi. La vicinanza gli permette di semplificare
l’esecuzione dei colpi in zone vitali (nuca, cuore) più agevoli da raggiungere a
bersaglio fermo e da brevissima distanza. Sul tema si è spesso supposto di
un’abilità sparatoria dell’omicida migliorata nel corso dei delitti come frutto,
magari, di un suo esercizio ai poligoni di tiro. A ben vedere, però, l’esercizio
al poligono non sembra così idoneo a incrementare l’abilità dello sparatore
dato che il bersaglio al poligono certo non si trova a pochi centimetri di
distanza, ma ad una distanza diversa. Difatti, nel caso in cui l’omicida avesse
voluto dar senso ai suoi allenamenti, sarebbe riuscito a colpire i ragazzi da
distanza maggiore, evitando quindi il rischio di essere scoperto giungendo in
prossimità di questi o che i ragazzi si accorgessero di qualcosa.
Diversamente, con l’aumentare del tempo utile ad un esercizio per
l’assassino, minore diventa la distanza tra lui ed i suoi bersagli. Diventa lecito
pensare quindi che proprio la sua volontà mortifera si traduca non in un
incremento della mira, quanto del raggiungimento della vicinanza tra i corpi,
così da ridurre la distanza fra sé ed le sue future vittime.
Azione, questa, che deporrebbe per una precisa e primaria volontà di
privazione della vita da parte dell’assassino che, almeno questa volta -
magari memore delle difficoltà riscontrate sette atti prima - raggiunge una
posizione tale da poter sparare a circa 20-30 cm dal suo obiettivo, senza
aprire lo sportello ma parandosi dietro il finestrino, ponendo quindi una
barriera tra sé e le vittime. Condizione che, paradossalmente, seppure di
maggior favore non avrebbe adoperato neanche al suo primo (forse) delitto,
ovvero quello dell’Agosto 1968, dove, ben 13 anni più giovane rispetto ad
ora, aveva ucciso una coppia senza anteporre tra sé ed i bersagli alcun
elemento ostativo magari utile, al tempo, per placare una paura, una
incertezza o una inesperienza coerente con questa su prima volta.
In tal senso, quindi l’assassino indirizza il suo assalto verso non tanto un
effetto sorpresa irruento, quanto più un azione silente sia di appostamento
che di aggressione. Evidenza, questa, che potrà rinvenirsi anche nei delitti
successivi (quantomeno per quello dell’Ottobre successivo) ove l’omicida
assiste alla scena, non in senso voyeristico, ma solo utilitaristico al fine di
poter colpire la coppia nella condizione di miglior favore. Ed è la condizione,
ovvero il momento in cui si trova la coppia, che spinge l’omicida a colpire.

Nel delitto in esame, l’assassino agisce sistematicamente sia dal punto di


vista dell’aggressione, sia quando decide di portare la vittima femminile
lontano dalla vettura ed in luogo difficilmente visibile dalla strada principale,
ovvero in un campo sottostante questa. Immaginandoci la scena - cioè di
uomo che di notte solleva di peso il corpo di una ragazza e con questa in
braccio percorre una decina di metri per poi discendere da lato strada -
potrebbero presentarsi due considerazioni: 1) la prima è che tutta la dinamica
acquista ancor più visibilità se si considera che l’omicida è costretto ad
attraversare la strada con la ragazza fra le braccia aumentando
considerevolmente le possibilità di essere visto (e forse, come sappiamo,
qualcuno può aver visto); 2) la seconda è che quanto scritto nel punto
precedente sconfessa un altro elemento comune, spesso gridato ed ormai
facente parte dell’immaginario coriaceo e collettivo, cioè che il Mostro tocca i
corpi femminili, non denotando alcuna paura di questi.
L’attività lesiva dell’arma bianca, con i fendenti post mortem e poi, questa
volta, l’escissione viene sì attuata con la recisione degli indumenti intimi con
la lama del coltello, però questa avviene quando l’omicida ha già posato il
cadavere della ragazza a terra, si china su di questa, accende la torcia (sia
questa una frontale o una “a terra” ), e lì decide di utilizzare la lama del
coltello per ampliare la zona che voleva tagliare. Potrebbe quindi essere
questa una condizione di agevolazione per l’omicida, cioè usare la lama che
comunque sapeva utilizzare, rispetto a sfilare dei jeans ad una ragazza, cosa
che avrebbe comportato una impossibilità di divaricazione delle gambe di
questa perché, come sappiamo, avrebbe dovuto calare i pantaloni della
giovane quantomeno fino all’altezza della tibia, perché fino a sopra il
ginocchio, l’effetto sarebbe stato “fasciante”. L’omicida, quindi, semplifica
l’operazione recidendo i pantaloni all’altezza del cavallo, scoperchiando la
zona pubica eludendo così il fastidio dei jeans calati e sfilati e compie così la
solita operazione con le mutandine della ragazza sia per comodità, avendo
comunque già la lama in mano, sia per le medesime considerazioni poste per
i pantaloni. Le foto, in tal senso, seppur non condivisibili - fortunatamente - in
tale sede, risultano utili a comprendere questo punto. La ragazza, indossante
dei jeans presenta le gambe divaricate e poste, dall’omicida, nel modo più
consono alla realizzazione dell’escissione. I pantaloni solamente calati non
sarebbero riusciti a scoprire la stessa area e con lo stesso arco di apertura
delle gambe così da rendere necessario un abbassamento di questi fin sotto
le ginocchia. Che poi tale impedimento sia stato eluso grazie all’arma bianca
- la cui scelta rappresenta quindi più pratica che psicologica - per chi scrive
rappresenta una eventualità ben più plausibile rispetto ad un millantato timore
a toccare il corpo della donna con le proprie mani quando questo
viene invece trascinato, preso in braccio e spostato dall’omicida.
Abbiamo prima accennato all’accensione di una lampada o di una marcia per
eseguire le operazioni di escissione della zona pubica. A tal riguardo preme
sottolineare come l’ausilio di una sorgente di luce, capace di non essere
presa in mano ma poggiata a terra, risulti altamente probabile ai fini della
ricostruzione della dinamica omicidiaria. Si potrebbe, pertanto, ipotizzare -
come già è stato correttamente fatto da altri autori - l’ausilio di una lampada
frontale, o di una piantana da terra, di quelle simili alle lanterne ma con base
quadrangolare e lente circolare, stabili, passibili di essere poggiate a terra
senza rischiare un loro sbilanciamento.

Sempre a tal riguardo, risulta necessario soffermarci sull’abilità dell’omicida


nell’utilizzo dell’arma bianca rispetto a quella di sparatore. Già abbiamo detto
di un omicida che si dimostra uno sparatore non certo eccellente, ma lo
stesso non potremo dire per la sua manualità con l’arma bianca. Per i dati in
nostro possesso sappiamo che nel considerare i delitti commessi dall’omicida
nel conto di 8 duplici omicidi, in almeno 7 di questi (escludiamo il ’68)
l’omicida aveva con sé l’arma. Certo, nei delitti del Giugno ’82 e Settembre
’83 non ne fa uso, ma una volta che l’aveva usato gli anni precedenti - e
come sappiamo anche in quelli successivi - risulta improbabile che non se la
fosse portata dietro per questi due. Mentre, quindi, si è soliti dire che
l’arma principale sia la pistola e quella accessoria il pugnale, potremo ritenere
corretta tale affermazione se considerassimo l’accezione
principale/accessorio a livello funzionale. La prima serve per ottenere la
morte, la seconda per poter eseguire azioni post mortem sul corpo delle
vittime. A ben vedere però - forti anche di quanto detto prima circa l’interesse
dell’omicida di raggiungere immediatamente la morte della coppia - volessimo
dare una sfumatura diversa a tali accezioni, l’arma principale, in quanto di
maggior dimestichezza per l’assassino e per il significato che per lui quei
corpi rappresentano, sembrerebbe rappresentata dall’arma bianca. La
pistola, come mero mezzo mortifero si presenta quindi come strumentale ed
accessoria alla realizzazione di quella situazione richiesta dall’omicida per
l’esecuzione di quella attività post mortem, sia essa costituita da colpi inferti
post mortem, escissioni o anche - ma di questo ultima possibilità parleremo
poi - niente.

L’assassino è sicuro nell’uso della lama, riesce a padroneggiarla e calibrarla


a seconda del fine richiesto. La usa con violenza per uccidere, con
delicatezza per saggiare, con determinazione per ledere e buona precisione
e sicurezza nel recidere. Da prova di tali abilità già dall’utilizzo che fa di
questa per recidere, qui, gli indumenti della vittima femminile. L’omicida si
crea la condizione migliore per eseguire l’escissione adoperando l’arma sugli
indumenti della vittima femminile (jeans e mutandine) senza lasciare tracce
sulla pelle della ragazza. Ora, i pantaloni indossati dalla ragazza non erano
certo degli skinnyjeans tali da essere totalmente aderenti al corpo ma
comunque abbastanza da dover necessitare una certa abilità con la lama
difficilmente attribuibile ad un profano della materia. Considerazione che
potrebbe farsi anche per le stesse mutandine, non più strappate, ma recise
con la stessa lama impugnata dall’omicida. Concludendo, per ora, sul tema,
non possiamo certo non considerare tale manualità come improvvisata.
Dovremo, quindi, iniziare ad ipotizzare tra le quotidiane - o quantomeno
seriali - attività dell’omicida l’uso di una lama o quantomeno un’educazione
che abbia implicato l’apprendimento di questa, di più difficoltoso utilizzo
rispetto all’arma da sparo.

L’aspetto psicologico, invece, potrebbe più essere sottolineato in altre


peculiarità dell’azione post-omicidiaria, come il perché l’assassino scelga il
solo pube e non si addentri in zone che già sette anni prima aveva
interessato, come i seni o il ventre; o quale fosse l’area di interesse
dell’escissione; o perché l’omicida riversi i due fendenti post mortem anche
alla vittima maschile.

In quest’ottica vediamo che l’assassino, una volta esplosi i colpi e


presumibilmente (dato il grado infiltrazione delle ferite) prima di compiere
l’escissione sulla ragazza, infligge 3 fendenti all’uomo ormai esanime sul
sedile. E’ un’azione, questa, che già aveva compiuto sette anni prima a
Rabatta sul corpo del ragazzo, ma in zona emitoracica. E’ un’azione questa
che potrebbe suggerire diverse interpretazioni: la prima è da ricondursi ad
una volontà di accertamento della morte dei soggetti uomini, colpiti in zona -
come in questo caso - vitale, come il collo; la seconda di una ulteriore
violenza nei confronti dell’uomo che prima giaceva vicino alla donna forse
punitiva o comunque spregiativa del cadavere. A pervenire ad una plausibile
ipotesi potrebbe aiutarci l’insieme dei colpi post mortem inferti alle vittime
maschili (Breve anticipazione su quanto verrà poi riferito più avanti.) ove è
possibile vedere che non si concentrano nei soli punti vitali, ma che nei delitti
successivi al Giugno 1981, ampliano il loro raggio d’azione fino a giungere ad
aree limitrofe (esemplificativo il caso del duplice omicidio del Luglio ’84)
all’inguine maschile. Verrebbe quindi meno l’ipotesi di colpi inferti per
assicurarsi la morte del soggetto maschile, prendendo campo quelle stesse
ipotesi che potranno, come vedremo, essere avanzate per le attività post
mortem sul corpo della donna.

C’è dell’altro oltre la morte. C’è ben altro oltre l’omicidio.

Segue...

3 commenti:

Unknown ha detto...

Salve, una cosa che non capisco, secondo me una figura chiave di
questa vicenda è Vincenzo Spalletti, che per forza di cosa sa
qualcosa e non ha mai parlato. è stato in prigione fino al secondo
omicidio dell'81 senza parlare e prendendosi la responsabilità degli
omicidi.
il secondo omicidio dell'81 è stato realizzato per scagionare V.S. che
era accusato in quel momento di essere il mostro.
come mai nessuno, sia gli investigatori, sia voi scrittori/giornalisti vi
occupate di questa figura e sul come mai "non ha mai parlato" pur
sapendo qualcosa?? è una domanda che mi pongo da quando mi
sono avvicinato a questa storia e non riesco a darmi una risposta

grazie e complimenti per "L'Uomo dietro il mostro"


Alessandro

29 giugno 2018 alle ore 11:49

Unknown ha detto...
Salve Alessandro,

Dopo tutto il tempo trascorso, credo che se davvero V.S. avesse


visto più dei soli cadaveri dei ragazzi ad omicidio ormai avvenuto,
avrebbe parlato. Senza contare il fatto che in quei mesi di arresto su
di lui pendeva il rischio di una condanna di non poco conto.
Credo oltretutto che anche dopo la sua scarcerazione il V.S. sia
rimasto nei taccuini degli inquirenti. Vado a memoria ma credo che
la sentenza ordinanza di Rotella dell'89 sia stata emessa, oltre che
per i sardi, anche nei suoi confronti.

Ringraziandola per i complimenti Le porgo un caro saluto,


E.O.

3 luglio 2018 alle ore 16:46

Kekko ha detto...

Buonasera Enea, ti conosco da poco ma apprezzo decisamente il


tuo lavoro. Un'idea, o semplice suggestione se preferiamo. Dal tuo
testo "...la seconda di una ulteriore violenza nei confronti dell’uomo
che prima giaceva vicino alla donna forse punitiva o comunque
spregiativa del cadavere", ora, se consideriamo un profilo seriale di
tipo Missionario, invece di un Lust Murder, sembra quasi che ci sia
un overkilling, una punizione dell'uomo, come se questo venisse
identificato come la vera causa di quello che viene fatto alla ragazza.
Ovvero, la ragazza viene punita dal SK o SI se preferiamo, che nella
sua patologia si considera del tutto estraneo, ed innocente quindi,
alla cosa, poichè il gesto "andava fatto", e la parte del diavolo
tentatore, del serpente biblico, è posta in capo all'uomo. Se questo
può avere un minimo di senso, allora ci potrebbe dire anche qualche
cosa sulle motivazioni profonde che hanno mosso il SK. A
completamento del fatto,consideriamo Giogoli 1983, non ci sono
overkilling sui due tedeschi, forse perchè non c'era niente, e
nessuno, da punire.
Grazie
F

1 ottobre 2019 alle ore 18:08


L'Uomo dietro il mostro 6 di E. Oltremari
08:01 FLANZ UDM 7 COMMENTS

Sabato 22 Ottobre 1981 - Loc. Travalle, Calenzano.

Una piccola premessa.

Le ultime novità mi farebbero venir voglia di deviare dal percorso prefissato e


scrivere una propria considerazione a riguardo, così da accodarmi alle tante
parole susseguitesi in questi giorni. Si preferisce, però, anche e soprattutto
per onestà intellettuale e per il rispetto verso chi si scrive (e soprattutto di chi
si scrive), rimanere sul selciato e rinviare opinioni sul tema - e ce ne
sarebbero tante credetemi - a quando ci saranno, magari, riscontri concreti.

Anche perché, magari partirò prevenuto, ma l’ultimo reo confesso sulla


vicenda di cui mi ricordo, ecco, insomma, non mi è mai rimasto molto
simpatico.

E. Oltremari

A circa 60 mt dalla via principale, immersa nel verde in località Travalle, si


trova una VolksWagen 17 CK1 Golf di colore nero col senso di marcia rivolto
verso un casolare abbandonato poco distante.

Gli sportelli sono accostati (sic), quello di destra presenta il piolino di


sicurezza abbassato, mentre quello di sinistra sollevato. Il vetro del finestrino
anteriore destro presenta la propria metà sinistra infranta - con frammenti di
vetro all’interno della vettura - mentre l’altra metà del tutto scheggiata. Le
chiavi sono inserite nell’apposita bocchetta.
I sedili anteriori sono ribaltati e poggianti su quello posteriore. Sul tappetino
lato guidatore si rinviene, in equilibrio, uno stivale da uomo in cuoio di colore
marrone.

All’interno del cruscotto si rinvengono: un paio di occhiali RayBan con la


montatura gialla; un orologio da uomo in metallo giallo e bianco di
marca “Baume e Mercier” ancora funzionante; un pacchetto di sigarette MS
aperto, un accendino BIC giallo; tre monete da L. 100 ed una da L. 50; una
agenda del MPS; carteggio vario; una carta di circolazione ed una polizza
assicurativa intestata al proprietario della vettura, cioè la vittima maschile.

Sul sedile posteriore si rinvengono: una busta di carta con la scritta


pubblicitaria “Linea Elle” vuota ed una borsa da donna in fibra color
marocchino e bordature in pelle marrone, con cinghia a spalla, contenente:
un borsello in pelle color nero privo di contenuto, un profumo di marca BABE,
un fazzoletto di cotone usato, una forcina, un pettina da donna, una penna
stilografica ed un pacchetto di sigarette marca Multifilter aperto.

Sulla parte interna dello sportello di sinistra, sul relativo vetro e sul lungarone
di base dell’autovettura, si rinvengono alcune macchie di sostanza ematica.

Sul piancito anteriore destro si rinviene un bossolo per proiettile cal. 22.

All’esterno della vettura si rinvengono rispettivamente: un bossolo a cm. 20


dalla ruota anteriore destra un bossolo; uno a cm 30 dalla stessa ruota altro
bossolo; uno a cm 60 dalla stessa altro bossolo; altro a cm 55 altro bossolo;
a cm. 80 altro bossolo; ed ultimo a cm 90 dalla stessa.

Sul lato sinistro della vettura, a cm 70 dalla ruota anteriore sinistra ci si


imbatte in una foglia macchiata di sangue con l’erba intorno calpestata e
pressata. A cm. 85 dalla stessa ruota, si ritrova un orologio da polso da
donna philips watch ancora funzionante.

A mt. 5 e 30 dall’autovettura, con le punte rivolte verso il casolare, si


rinvengono poi due orme lasciate da scarpa con suola di gomma simile a
quelle che si adoperando per la caccia o la pesca che, ritenendosi ancora
fresche e chiare, verranno rilevate con calco di gesso.
Oltrepassata la vettura, sulla destra del viottolo in leggero declivio si trova il
corpo della vittima femminile. Giace in posizione supina, con la testa rivolta in
direzione del filare di viti ed i piedi verso il fondo del canaletto.

Ha la testa ruotata a destra e poggia sul terreno con la regione occipitale


parietale destra. Gli occhi sono aperti mentre la bocca semiaperta.

L’avambraccio destro poggia dietro la testa con la regione ulnare. La mano


ha le dita unite e flesse. Il braccio sinistro è lievemente staccato dal corpo e
l’avambraccio, disteso verso il corpo, posa con la regione radiale sul terreno.
La mano ha le dite leggermente unite e flesse.

Il tronco aderisce completamente sul terreno.

Gli arti inferiori sono divaricati, la gamba destra è distesa e poggia sul terreno
con il tallone, mentre la gamba sinistra è leggermente flessa e con la punta
del piede in direzione del filare di vite.

Il cadavere indossa reggiseno e maglietta di colore bianco che si sono


sollevati fino a sopra il seno; due maglioni di lana di colore grigio e verde
sfilati dal braccio destro e dal collo, slip di colore bianco, gonna di velluto a
coste di colore marrone (del tutto strappata da un lato) stivaletti in pelle di
color marrone e calzini di lana. Orecchini di metallo in oro giallo.

È stata attinta da cinque colpi d’arma da fuoco, uno dei quali,


verosimilmente quello al pollice, colpirà anche il fidanzato sedutole accanto.

Uno all’emitorace destro, con tramite orizzontale interessante il polmone


destro, il cuore, il polmone sinistro, con proiettile ritenuto all’altezza
dell’intercostale sinistro.

Uno al fianco destro, con tramite obliquo verso l’alto e medialmente, con
proiettile ritenuto a livello della parete toracica.

Uno in regione dorsale destra, con tramite obliquo in senso latero-mediale,


interessante l’aorta e con proiettile ritenuto a livello mediastinico.

Uno al braccio sinistro, al terzo medio della faccia laterale, con tramite
obliquo dall’alto verso il basso in senso latero-mediale con proiettile ritenuto
sulla faccia mediale del braccio.

Uno, appunto, al pollice destro, sulla faccia mediale, con foro d’uscita sulla
faccia laterale.
Qui, oltre all’azione escissoria, sono presenti ferite da punta e da taglio: una
poco profonda e scarsamente infiltrata in regione sottomammaria sinistra,
altra in regione scapolare sinistra. Si segnalano piccole escoriazioni allo
zigomo destro, all’angolo labiale sinistro, alla faccia laterale dell’emitorace
destro ed al fianco sinistro. Alla coscia sinistra ed al ginocchio escoriazioni
coperte da terriccio. La regione pubica si osserva completamente asportata
mediante dei tagli che dipartendosi dall’inguine terminano nella regione
anale. Detta area, irregolarmente quadrangolare, presenta un margine curvo
a convessità superiore di circa 13 cm in regione sovrapubica, che con
andamento curvilineo continua verso il basso fino alla regione mediale delle
cosce fino a raggiungere il perineo e la zona perianale. I margini sono netti e
non infiltrati. Sul margine laterale destro, alle ore 10, si rileva una intaccatura
superficiale a margini netti e non infiltrati simili a quelli caratterizzanti il caso
del Giugno ’81.

Le predette ferite avrebbero determinato la lacerazione dei tessuti cutanei,


sottocutanei e pareti muscolari, evidenziando parte dell’intestino.

Sul lato sinistro della vettura, si ritrova invece il cadavere del ragazzo, con la
testa rivolta verso di questa ed i piedi in direzione dei filari di vite. La testa,
rotata a destra, poggia sul terreno con la regione pario frontale destra. Gli
occhi sono chiusi e la bocca semiaperta.

Il braccio destro è indotto e l’avambraccio, disteso, poggia sul terreno con la


regione ulnare. Le dita della mano sono unite e flesse. Il braccio sinistro è
indotto e l’avambraccio è disteso verso il corpo con le dita della mano che
poggiano sul terreno. Il tronco del corpo è rotato verso destra e poggia su
quel fianco.

Gli arti inferiori sono divaricati. La gamba destra è flessa verso il corpo e con
la punta del piede rivolta verso l’autovettura, mentre la gamba sinistra è
distesa con la punta del piede rivolta verso il filare di viti.

Indossa una camicia celeste con righine vistosamente coperta di sangue, il


pullover di lana celeste sotto il corpo, mentre i pantaloni di velluto grigio
sorretti da cinghia in pelle nero si rinvengono calzati ed impigliati al solo
stivaletto sinistro e sfilati da questo come fossero stati ribaltati. Nelle tasche,
si trova un portafoglio di pelle color marrone contenente: patente di guida, cf,
libretto d’assegni e carteggio vario.
Un colpo d’arma da fuoco ha attinto l’ala sinistra del naso ed è stato ritenuto
al di sotto della branca ascendente dell’emimandibola sinistra, con tramite
obliquo verso il basso e verso sinistra.

Due colpi d’arma da fuoco all’emitorace destro: uno in regione mammaria


con tramite che attraversa il polmone destro, il cuore, il polmone sinistro e
fiorisce in corrispondenza del pilastro anteriore dell’ascella sinistra. Uno in
regione dorsale, con tramite interessante il lobo destro del fegato, il
diaframma ed il polmone sinistro e ritenzione del proiettile sulla linea
ascellare anteriore sinistra a livello sottocutaneo.

Altro colpo d’arma da fuoco all’emitorace sinistro in ragione mammaria con


tramite obliquo dall’alto verso il basso ed in senso medio-laterale,
interessante il polmone sinistro e con foro d’uscita al fianco sinistro.
Oltre ai colpi d’arma da fuoco sono presenti quattro ferite inflitte con l’arma
bianca, tutte, per nulla o scarsamente infiltrate: una alla regione latero-
posteriore destra del collo, altra in regione dorsale destra a livello scapolare,
altra in regione dorsale sinistra più in basso rispetto alla precedente e la
quarta sempre in regione scapolare sinistra penetrante nel parenchima
polmonare.
Al primo dito della mano destra si rinviene una piccola ferita trapassante con
indici di vitalità riferibili verosimilmente ad una scheggia di vetro intesa come
proiettile secondario.

******

Sarebbe sciocco trattare di questo duplice omicidio senza prendere in


considerazione quello avvenuto solo alcuni mesi primi a Scandicci. I due
delitti, come verrà poi detto più avanti, presentano notevolissime somiglianze
utili per meglio definire il modus operandi dell’omicida e per tentare di dare
spiegazioni a quesiti circa la sua personalità ed il suo interesse.

A fare da padrone in questa scena del crimine è il senso di brutalità - mai


come adesso esasperato dall’assassino - che lascia, in ogni sua azione,
trapelare una ferocia tale a cui dovremo necessariamente trovare una
spiegazione.

La zona in cui colpisce è buia, isolata ma non distante da alcuni piccoli nuclei
abitativi. Uno dei quali dista poche centinai di metri oltre a sporadiche case
coloniche disposte lì nelle vicinanze ma non tutte, almeno all’epoca, abitate. Il
viottolo in cui è parcheggiata la vettura, sfocia in quello che ora è il Parco di
Travalle. L’automobile potrebbe essere raggiunta, tramite strada battuta, solo
da tergo ma passando attraverso i campi e guadando un piccolo rigagnolo
d’acqua anche dalla strada, asfaltata, di Via di Macia, quindi frontalmente.

La fiancata destra della vettura è seguita da una vegetazione utile a celare i


propri movimenti ma al contempo nel renderli difficoltosi, anche se - e qui
vengono in aiuto le foto di sopralluogo se ne vede una ritraente ben quattro
uomini lungo la fiancata destra denotando quindi lo spazio per il passaggio e
la presenza contemporanea perfino di più persone - non a renderne
impossibile il movimento.

Stante quanto sopra scritto risulta difficile credere ad un omicida che si


avvicini frontalmente alla vettura in quanto più facilmente visibile alla coppia,
più corretto sarebbe credere che si avvicini dal retro dell’auto, costeggiando
la fiancata e giungendo in prossimità del finestrino prima di esplodere i colpi.
Anche se, a ben vedere, l’integrità parziale del vetro, infranto solo nella sua
parte destra potrebbe far desumere per i colpi esplosi da una mano posta in
senso notevolmente anteriormente rispetto ai corpi dei ragazzi e pertanto
avvicinatasi magari attraversando la vegetazione, quindi lateralmente. Azione
questa che avrebbe però provocato necessariamente del rumore di sterpaglie
mosse tali forse da attirare l’attenzione verso il finestrino dei due giovani
seduti sui propri sedili.

Il grado di svestizione dei due, propende anche qui per un momento


precedente all’atto sessuale stesso. Il giovane si è tolto in parte i pantaloni e
calato le mutande ma ad un solo gambale. La ragazza si è sfilata il maglione
(anzi i due che indossa) ed ora li indossa al solo braccio sinistro. La
maglietta chiara risulta ancora indosso come il reggiseno
solamente slacciato.

È peculiare la condizione del maglione. In una visione di svestizione, questi


potrebbero trovarsi in detta posizione o nell’ipotesi in cui la giovane se li sia
sfilatai togliendo prima il braccio destro dal suo interno, poi facendolo
fuoriuscire dalla testa; o - ma questa ipotesi risulta ancor più macchinosa
della precedente - togliendoseli partendo dalla testa e sfilandoseli fino a
coprire con questi però entrambe le braccia, facendo fuoriuscire poi il braccio
destro. La condizione per quale, avesse usato altro modo di denudarsi ovvero
partendo dai base di questo sfilandoselo da sopra, i maglioni si sarebbero
dovuti ritrovare ribaltati, diversamente quindi da come sono stato riscontrati in
sede di sopralluogo.
In altra ipotesi, come avanzata da altro apprezzabilissimo Autore, che la
ragazza si stesse rivestendo, si vedrebbe questa infilarli prima ad un braccio
ma interrotta dai colpi prima di poterlo infilare nell’altro. Dinamica, questa, che
meglio si concilierebbe con la posizione di rinvenimento dei maglioni ma
presenterebbe una diacronia con il fatto che questi siano due e che questi
siano perfettamente aderenti al braccio “calzato”. Difatti, basti pensare, che
per indossare due maglioni (uno più leggero ed uno più pesante) risulterebbe
più agevole farlo uno alla volta e non sovrapponendoli. Come azione,
sarebbe risultato, quindi, più semplice indossare prima l’uno e poi l’altro.
Difficilmente si potrebbe allora pensare che la ragazza, quando è stata
colpita, si stesse rivestendo ma più probabile una sua svestizione per favorire
il rapporto e rimanere in maglietta e non con i due maglioni che seppur
Ottobre, in macchina coi finestrini e portiere chiuse, potevano portare più
caldo del necessario.

I giovani escono di casa della madre del ragazzo e prima di tornare a Firenze
deviano per Le Bartoline parcheggiando in un luogo dove già erano stati più
volte. Probabile che volessero fare in fretta quindi dopo le prime effusioni
iniziano subito a predisporre l’abitacolo per il rapporto reclinando entrambi i
sedili, la ragazza - afferrandoli entrambi - si toglie i maglioni mentre il
ragazzo, toltosi gli occhiali da vista, si scalza uno stivale (il destro) e si inizia
a calare i pantaloni e le mutande facendo però in tempo a sfilarli dal solo
gambale destro perché poi è probabile che qualcosa abbia attirato la sua
attenzione verso la fidanzata, ruotando quindi il busto verso di lei.
Il finestrino esplode. Una pioggia di vetro.

Il ragazzo viene colpito al naso e poi all’emitorace sinistro protesi verso il


finestrino con un tramite dall’alto verso il basso. Il corpo del ragazzo ruota
sull’asse sinistro verso il proprio sportello lasciando allo sparatore libero il
proprio fianco destro che verrà attinto una volta in zona emitoracica destra ed
altra in zona dorsale, quando ormai il corpo aveva quasi dato la schiena allo
sparatore. Uno di questi colpi è probabilmente lo stesso che aveva
oltrepassato il dito pollice della ragazza che si era protesa con le mani sul
volto probabilmente per pararsi, inutilmente, dai proiettili. Come, difatti, è il
colpo al braccio sinistro, da considerarsi come c.d. da difesa. La ragazza non
ha alcuna via di fuga perché il corpo del proprio fidanzato le para ogni via
d’uscita. Lo sparatore se la trova a pochi decine di centimetri di distanza e le
esplode altri tre corpi che la colgono al fianco, ormai rannicchiato, destro.
Inerme.
La speranza, come sempre, è che l’azione sia avvenuta talmente veloce da
non permettere alla ragazza di figurarsi quello che le sarebbe capitato.

Una volta esplosi tutti i colpi l’omicida rinfodera la pistola e, dal punto di
sparo, gira attorno al cofano e si posiziona di fronte allo sportello lato
guidatore da dove estrarrà i corpi dei ragazzi.
Sul tema, si sostiene che l’assassino non abbia estratto il cadavere della
ragazza dallo sportello passeggero in quanto questo è stato ritrovato chiuso
(anche se da verbale di sopralluogo viene dichiarato accostato) e con il
piolino della sicura abbassato. Difficile, difatti, che questo sia stato premuto
dall’omicida stesso una volta estratto il corpo, in quanto risulta poco plausibile
e difficilmente spiegabile l’azione di richiudere lo sportello e inserire una
mano all’interno del vetro (infranto solo in parte) per abbassare il piolino.

Questo episodio è sempre stato oggetto di dibattito in quanto non si


comprende come mai l’omicida non abbia estratto il corpo della giovane dallo
sportello più vicino a dove si trovava il corpo, ovvero quello passeggero.
L’ipotesi più suffragata, ovvero che non avesse spazio a causa della
vegetazione retrostante, a nostro avviso viene sconfessato dalle foto della
scena del crimine che ritraggano addirittura più persone sostanti
contemporaneamente su quel lato senza difficoltà alcuna.
È più plausibile che l’assassino sia stato attratto da qualcosa accaduto
sull’altro sedile e qui, forse, potrebbe aiutarci quella dicitura di sportelli
come accostati. In uno di questi, quello lato guidatore, si rinvengono tracce
ematiche sul vetro, sulla parte interna dello sportello e sul lungarno dell’auto.
Sarebbe quindi possibile lecito ipotizzare che il corpo del ragazzo, ormai di
terga all’omicida e proiettato verso il suo sportello fosse terminato tra questo
ed il sedile e magari in un ultimo spasmo fosse riuscito ad aprire lo sportello
cadendovi fuori (dove si rinvengono la foglia macchiata e l’erba calpestata 70
cm dallo sportello).

L’omicida potrebbe forse aver pensato ad un rantolo di vita del ragazzo


dirigendosi verso di lui temendone una fuga. Qui, accortosi dell’avvenuta
morte di questo, lo colpisce col pugnale alla schiena ed al collo, esposti verso
l’omicida. Questa volta, davvero a causa dell’impedimento del corpo e del
canaletto di scolo poco dietro, vi butta il corpo del giovane e sempre da dove
si trova - visto che ormai è lì - estrae il corpo della ragazza fino a portarla nel
declivio dove verrà poi ritrovata. In tal senso sembrerebbe anche deporre
l’orologio da donna ritrovato, appunto, lato guidatore e vicino alle foglie
macchiate di sangue.

Una volta trovatosi di fronte al corpo della ragazza - il cui posizionamento, ed


a tratti trascinamento, del corpo le avevamo fatto sollevare all’altezza del
collo la maglietta ed il reggiseno, scoprendo quindi una più ampia zona di
pelle rispetto alla vittima femminile del Giugno ’81 - l’omicida le taglierà con la
lama la gonna scoprendo le gambe e la zona pubica.

In questo delitto l’omicida torna ad utilizzare l’arma bianca sul corpo della
donna, oltre che per l’escissione, anche per infliggerle due ferite, una a livello
scapolare e l’altra sotto il seno sinistro. La prima di queste è presumibile che
le sia stata inflitta, come per il fidanzato, quando questa era ancora vicina alla
vettura. Difficilmente difatti si potrebbe credere che l’omicida abbia girato la
giovane - o addirittura che l’abbia sollevata - per poterla colpire dietro la
schiena e poi riposizionarla supina in un’azione inutile quanto
incomprensibile. Più logico sarebbe credere che l’assassino abbia colpito la
ragazza la prima volta in prossimità della vettura quando magari questa,
come il fidanzato, si trovava appena sfilata dalla vettura, e poi, una volta
portata sul luogo prestabilito, l’abbia colpita altra volta sotto il seno sinistro e,
una volta tagliata la gonna, abbia eseguito l’escissione.
Circa il perché del taglio della gonna - così da poter fugare ancora preconcetti
come “l’omicida non vuole toccare il corpo femminile” - possono farsi le
stesse considerazioni circa i jeans della vittima femminile del Giugno dell’81
ed a cui si rimanda per praticità.
L’escissione della zona pubica questa volta si concentra, però, per una zona
molto più ampia rispetto a quella dell’anno precedente. Seppur presentando
le stesse analogie di taglio ed angolazione, l’omicida questa volta,
aumentando il diametro superiore, giunge fino alla zona perianale
scempiando oscenamente il corpo della sventurata ragazza.

Ora alcune considerazioni in merito a questo duplice delitto.

L’assassino si conferma uno sparatore nella media, preferendo diminuire la


distanza fra sé ed i bersagli piuttosto che colpire da più lontano. Come per il
delitto precedente mira ad ottenere la morte pressochè istantanea dei
giovani, sparando verso zone vitali quantomeno la prima volta - il volto del
ragazzo che diversamente dal suo coetaneo di qualche mese prima
presenterà il viso allo sparatore e non la nuca - mentre verso la ragazza, che
ha una manciata di secondi per comprendere cosa stava accadendo e
tentando di pararsi rannicchiandosi verso il fidanzato, è costretto a sparare
alla zona più prossima rispetto alla sua fonte di tiro, cioè la parte destra del
corpo.

Vero che l’omicida esplode tra gli 8 ed i 9 colpi, comunque ancora non pochi,
ma resta il fatto che la pistola con cui spara non ha un grandissimo potere di
arresto e che - a conferma di quanto da noi supposto - l’assassino non è uno
sparatore professionista né esperto tanto da volere utilizzare tutti i colpi -
anche oltre il necessario - al raggiungimento del suo scopo.

Ancora una volta quindi l’azione si mostra preordinata ad una agire


meticoloso verso la morte dei soggetti riscontrati in macchina.
L’aspetto fantasioso e personalistico del delitto sboccia quindi col silenzio
della pistola e si perfeziona con le attività post mortem compiute
dall’assassino. Si pensi, a riguardo, tali attività inizino a modificarsi di pari
passo con la scena che si presenta agli occhi dell’assassino. In questo caso,
la brutalità si accompagna ai corpi semi-nudi dei due giovani andando ad
amplificare la maniacalità dell’assassino che utilizza maggiormente l’arma
bianca sui cadaveri. Si pensi alla zona pubica escissa, più ampia rispetto a
quella dell’anno precedente. Vedremo poi che negli anni a seguire l’omicida
perfezionerà tale pratica circoscrivendo l’area alla sola zona pilifera.
Correggerà quindi quell’errore dell’Ottobre ’81 eludendo le difficoltà che
magari il mantenimento o anche solo il trasporto di una zona così ampia
poteva aver portato. Potremo quindi ora presumere - ma tale tesi verrà
esplicata nei prossimi capitoli e qui ora abbozziamo solo a livello ipotetico -
che vi sia una corrispondenza tra nudità dei corpi e attività post mortem su
questi. Ipotesi ben evincibile da una semplice occhiata della scena del
crimine e per cui ci saranno di estremo aiuto i disegni - inediti - che corredano
i presenti approfondimenti e che verranno poi comparati successivamente.

Sempre in ordine al delitto in questione, è necessario soffermarsi - ai fini della


nostra indagine - sulla peculiarità principale di questo delitto che rappresenta,
nello spettro degli 8 da noi analizzati, un unicum: la data.

Sarebbe sciocco non considerare l’eccezionalità delle condizioni temporali in


cui avviene questo delitto come un mezzo per argomentare circa una
profilazione dell’autore del crimine. Sono difatti proprio le deviazioni dai
percorsi battuti che dovrebbe aiutarci nella definizione del cammino perché
tante volte le prime hanno, diversamente dalle seconde, impronte
macroscopiche perché, appunto, lasciate su un sentiero dove risaltano
maggiormente.

Il duplice delitto dell’Ottobre 1981 non avviene durante il periodo


estivo (Ottobre), né durante il fine settimana (Giovedì) e senza approfittare
della mancanza di luna (ultimo quarto in questo caso).
Cosa ci suggerisce questo dato. Una condizione semplice ed a tratti, a nostro
avviso, fondamentale: il legame tra i delitti dell’omicida delle coppiette ed il
periodo estivo, il fine settimana e la l’assenza di luna, è puramente
utilitaristica con buona pace - alleluia - degli amanti del ritualismo spicciolo.
La necessità, dettata magari dalla presenza di E.S. in carcere, va' quindi oltre
il disegno primario ed esonda gli argini di ritualità (nel senso qui di ripetizione
sistematica) del modus operandi dell’omicida, sviscerandola quindi da ogni
qualsivoglia idea di proiezione nel periodo estivo e delle notti senza luna di un
significato particolare per l’assassino che, come vediamo, riesce a tradire
quando serve.

Sarà quindi da ricercare una spiegazione a questa comunanza di circostanze


temporali (periodo, data e luna), che - beninteso - viene sovvertita in questo
delitto ed in quello del 1968, dove benché in un periodo estivo, l’omicidio
avverrà di Mercoledì.

Ed allora, cosa potrebbe desumersi da tale scelta.

Lo sciopero generale previsto per il Venerdì 23 Ottobre 1981, rendeva quel


Giovedì una sorta di pre-festivo per tutta una serie di lavoratori, ma non per
tutti. Azzardare quindi la conclusione “l’omicida il giorno dopo non
lavorava” sarebbe pretenzioso e soprattutto non corretto. Anche perché, su
tale scia, potremo obiettare: perché non ha colpito il giorno dopo allora, che
sarebbe stato un venerdì e quindi il sabato non avrebbe lavorato.

La risposta a questa domanda potrebbe essere: l’urgenza. La necessità di


colpire al fine di far uscire dal carcere una persona scomoda che potrebbe
aver visto qualcosa. O, ancora, il fatto che le condizioni di favore di quel
Giovedì sera fossero le medesime degli altri giorni in cui era solito colpire.
Come dicevamo il pre-festivo non tiene a casa il giorno dopo tutti i lavoratori,
ma sicuramente permette di dormire fino a tardi ad altre categorie di soggetti
che sicuramente quel venerdì 23 non si sarebbero alzati presto come loro
solito: gli studenti. Lungi da voler etichettare l’omicida come uno studente, è
però facile che questo condizione di scolare potesse essere rivestita da un
soggetto convivente con l’omicida, un figlio.

Ipotizzando una tal relazione troveremo un soggetto (l’omicida) che durante i


giorni infrasettimanali non può uscire di casa la sera perchè, appunto, ha il
proprio figlio in casa, di un’età incompatibile con la possibilità di rimanere
appunto da solo la sera e la mattina successiva (massimo 10/11 anni?).
Lo sciopero generale viene in aiuto all’omicida perché ricrea quella situazione
propria dei weekend forieri di un suo agire libero da condizionamenti ed
impicci derivanti dallo stato familiare, ovvero la possibilità di lasciare il figlio
dai nonni/zii così da agire indisturbato, che gli faccia dire: “tenetemelo stasera
e domani sta con voi perché io appunto non posso starci perché lavoro”.
Ecco allora un altro punto: è ipotizzabile che l’omicida svolga una mansione
senza orari da ufficio che gli permetta quindi di poter addurre motivazioni
lavorative anche durante il weekend e che non gli consenta di essere sempre
disponibile per stare col bambino quando lui non va o non può andare a
scuola.
Ecco allora che si spiegherebbe, come già ipotizzato da altri Autori,
l’evenienza per cui l’omicida approfitti di condizioni di favore in cui sia
possibile muoversi la sera e la notte senza destare problematicità in casa.

Certo, tale ipotesi comporterebbe però un fatto: la moglie e madre del


bambino non c’è o forse, non c’è più.

7 commenti:

omar quatar ha detto...

In sostanza, in che momento a Suo parere si situa l'attacco del MdF


in questi due casi del 1981? Sembrerebbe il momento iniziale della
svestizione; ma la bustina vuota di profilattico lascia perplessi
(Scandicci). O no? Forse un residuo di un rapporto precedente?

6 giugno 2018 alle ore 14:20

Unknown ha detto...

Salve Omar,

Per quanto riguarda la bustina di profilattico (Giugno '81), il fatto che


poi non sia stato ritrovato il profilattico stesso, può indurci a credere
con estrema probabilità che l'assalto sia avvenuto in un primo
momento di svestizione. Altrimenti dovremo iniziare ad ipotizzare
che l'omicida prelevi dalla scena il profilattico.
Di più: in questo caso, il grado di vestizione della vittima femminile è
tale da far presupporre che il ragazzo stesse ricevendo un atto
sessuale da parte della ragazza e che questa ancora non avesse
iniziato la sua opera di denudamento.

Diversamente, nell'omicidio di Travalle, la fase copulativa tra i due


giovani ritengo fosse ad uno step successivo rispetto ad i coetanei
del giugno dello stesso anno, ma ancora non completa. Ritengo
anche qui quindi - seppur muovendomi con maggior cautela - che si
sia di fronte ad un'azione di svestizione. Credo che potrebbe deporre
in tal senso anche gli occhiali appoggiati sul cruscotto.

E.O.

6 giugno 2018 alle ore 16:18

omar quatar ha detto...

per un attimo, (ri)leggendo della bustina vuota del preservativo,


avevo immaginato un rapporto fuori dell'auto. Ma ne avrebbero
trovato le tracce, mi auguro.

6 giugno 2018 alle ore 22:36

Unknown ha detto...

Spererei.
Però posso dirle che - avendo avuto la fortuna di parlare per anni
con amici della coppia - non è una eventualità da escludere in
quanto pratica da loro talvolta usata (ma difficilmente ipotizzabile
trattandosi non di un mese caldo).

6 giugno 2018 alle ore 23:11

Unknown ha detto...

Comunque se non sbaglio uno dei personaggi indagati nel 1981


abitava con il proprio figlio,il piu giovane.Penso che all'epoca avesse
10-11 anni.Anche se il personaggio in questione secondo gli atti
abitava con una nuova compagna e non da solo.

7 giugno 2018 alle ore 14:41


Giuseppe Di Bernardo ha detto...

Complimenti, come al solito :)


Curiosità: possiamo escludere che il finestrino sia stato infranto con
la famosa "breccia africana" trovata a 20-50 mt dall'auto? Possibile
che una cal 22 si riesca a infrangere il vetro? Possibile abbia sparato
il primo colpo e poi abbia abbattuto il vetro con il sasso magari
infilato in un sacchetto?
E ancora... nelle indagini sarebbe emerso (già dal 1985) che una
persona attenzionata aveva la moglie che prestava servizio da
infermiera in casa degli anzianio a fare "le nottate" saltuariamente
nei periodi estivi. La stessa situazione poteva essersi verificata alla
vigilia di uno sciopero, con relativo fine settimana lungo della
famiglia del vecchietto.
Grazie!

16 luglio 2018 alle ore 16:49

Unknown ha detto...

Giuseppe salve,
Non credo lo si possa escludere con certezza. Ora, magari non
proprio con la breccia africana, basterebbe anche un primo colpo e
poi il calcio della pistola stessa, o il gomito. Credo di ricordare di
aver letto su internet un saggio sul tema. Io chiesi solo ad esperto
balistico sul tema e questo mi disse che la cal22 pur avendo un
bassissimo potere d'arresto, poteva, da breve distanza infrangere il
vetro di un auto. Magari ecco non farlo esplodere in mille pezzi, ma
lasciarne porzione - come effettivamente avviene - sì, possibile.
Circa la persona attenzionata sì, potrebbe benissimo essere
compatibile. Anche se, ritengo più probabile una libertà "attiva"
dell'omicida, cioè che sia lui a crearsela e non a profittare della
mancanza altrui (magari aleatoria). Però possibile, certo.

A presto e grazie ancora,


E.O.

17 luglio 2018 alle ore 23:17


L'Uomo dietro il mostro 7 di E. Oltremari
10:00 FLANZ UDM 4 COMMENTS

Sabato 19 Giugno 1982 - Loc. Baccaiano, Montespertoli.

Una piccola premessa.

Rinnovo ancora le scuse per il ritardo nella pubblicazione di questo pezzo


che, come vedrete, non dibatterà dell’annosa questione riguardo la posizione
del corpo della vittima maschile, né tantomeno della dinamica - confusa sì - di
questo delitto. Sarà invece utile e fondamentale per comprendere due aspetti
che saranno alla base del nostro profilo e che verranno poi interamente
ripresi (anche per tal ragione la brevità del pezzo) in sede di discussione di
profilazione quando verranno comparati tutti i delitti tra di loro. Come
accennato in altre sedi, questo ritardo è stato dovuto all’accavallarsi di molti
impegni lavorativi che mi hanno spinto a posticipare il tutto anche, e
soprattutto, per potervi ora annunciare, sperando di far cosa gradita, l’uscita
di due lavori in collaborazione con l’autore Francesco Cappelletti: il primo,
riguardante tutte le dichiarazioni del N.M. tra di loro comparate e fatte
periziare da uno psichiatra infantile; il secondo, riguardante invece la
disamina di delitti irrisolti avvenuti a Firenze aventi tra le vittime giovani
donne. Non si tratta dei soliti nomi noti, ma di altre figure - di pregevole
interesse si ritiene - uccise con modalità similari a quelle degli anni ’80 ma
risalenti anche a prima del 1968.

Buona lettura,

E.Oltremari
******

Dopo circa 800 m dall’imbocco di Via Virginio Nuovo ci si imbatte in una Fiat
147 Seat di colore blue adriatico. Ha il muso rivolto verso uno spiazzo, chiuso
a semicerchio, sterrato e delimitato da cespugli sito dall’altro lato della
carreggiata, mentre la metà posteriore è incastrata dentro il canaletto di scolo
che costeggia l’altro lato della strada. La portiera destra è aperta, mentre
quella sinistra è chiusa a chiave. Il finestrino lato guidatore è frantumato con i
detriti di questo sparsi all’interno dell’abitacolo. In prossimità del piolino
interno c’è una striatura di sangue.

I due fari anteriori hanno cristalli e lampade frantumate ed i vetri di queste si


rinvengono sull’asfalto sottostante.

I fanalini di posizione sotto i fari sono, uno lesionato (quello destro) mentre
l’altro ha la parte bianca rotta.

Sulla metà destra del parabrezza (37 cm dal bordo destro ed a 27 cm dalla
base) si rinviene un foro di proiettile. Il contakilometri è fermo sui 23.749Km,
la leva del cambio è in posizione di retromarcia mentre quella del freno di
sicurezza sollevata per 3/4. Il sedile anteriore sinistro è leggermente reclinato
e sia su di esso che sul divanetto posteriore si ripetono larghe chiazze di
sangue. All’interno dell’auto è stato poi rinvenuto un fazzoletto di carta che
era stato usato per pulire liquido seminale ed un profilattico usato, annodato e
contenente liquido seminale. Sono stati repertati 9 bossoli. Tre sulla piazzola
a destra della carreggiata, due sulla strada, tre davanti all’autovettura ed uno
all’interno di questa.

Il ragazzo è stato attinto da un colpo alla tempia sinistra, con tramite


trasversale che attraversa la cavità cranica e si arresta, con ritenzione del
proiettile, contro il tavolato osseo in regione temporale destra. Un colpo
all’orecchio sinistro, con tramite obliquo dall’alto al basso e dall’indietro in
avanti in senso latero mediale, con ritenzione del proiettile a livello dell’arcata
dentaria superiore sinistra. Un colpo al di sotto dell’emimandibola sinistra con
tramite obliquo dal basso verso l’altro in senso latero-mediale, e fuoriuscita
del proiettile in regione zigomatico-mascellare sinistra. Un colpo alla spalla
sinistra, posteriormente, con breve tramite nei tessuti molli e proittile ritenuto
contro la scapola sinistra. Sono state inoltre riscontrate ecchimosi
periorbitarie bilaterali, più accentuate a sinistra, ecchimosi alla guancia
sinistra, due escoriazioni con alone ecchimotico sulla parete anteriore del
torace e dell’addome ed agli arti superiori, segni di agopuntura con alone
ecchimotico alla regioni sottoclaveari con numerose escoriazioni superficiali
nell’area temporo-auricolare sinistra.

Sul sedile posteriore destro, completamente vestita e con la sola cintura


slacciata, c’è il corpo della ragazza. È stata attinta da due colpi di arma da
fuoco, uno in regione frontale sinistra, con fuoriuscita del proiettile sulla
regione frontale destra. Ed una in regione medio-frontale, con tramite
penetrante in cavità cranica e proiettile ritenuto nel lobo parietale destro.
Sono inoltre presenti piccole escoriazioni multiple e piccole ferite da taglio,
sparse, riferibili all’azione dei frammenti di cristallo frantumato.

******

Solitamente, quando si tratta dei delitti del maniaco delle coppiette, questo
duplice omicidio risulta uno di quelli maggiormente discussi, tanto il dibattito
che suscita in merito alla posizione del corpo del ragazzo al momento sia
degli spari che del suo ritrovamento. Proprio per tale ragione - sia per evitare
di ripetermi, sia per il piacere di rimandare ai tanti Autori che se ne sono
meritevolmente, anche di recente, occupati - concentreremo la nostra
indagine sugli spunti che, questo omicidio, si reputa possa fornire. Difatti,
nuotando controcorrente, riguardo a questo duplice omicidio scriveremo
pochissimo. Nello specifico: circa i luoghi dove avvengono i delitti e circa il
rapporto dell’omicida con l’uccisione e l’asportazione delle parti anatomiche.
Iniziamo dal primo di questi: il luogo. Sappiamo bene come questo slargo
lungo una via asfaltata di traffico frequente rappresenti una scelta
apparentemente inusuale se paragonata alle scene del crimine degli anni
precedenti (ed in ogni caso anche in riferimento a quelli a venire). Non la si
può certo definire una zona appartata, né nascosta o comunque lontana da
sguardi indiscreti. Certo, non la si poteva definire una via di traffico pedonale,
ma il rischio o comunque la possibilità di essere visti dalle automobili di
passaggio lungo la stretta carreggiata (a doppio senso di marcia) era
altamente probabile. Cosa che, oltretutto, è effettivamente avvenuto a
distanza di pochi minuti (come ampiamente dimostrato nel recente “Mostro di
Firenze, Al di là di ogni ragionevole dubbio" di Cochi, Cappelletti, Bruno).
Quindi, è lecito domandarsi, per quale ragione l’omicida abbia deciso di
colpire proprio in quel luogo così - quantomeno per il suo agire - pericoloso.
Si è spesso sentito dire di un eccesso di sicurezza dell’omicida che in preda
a manie di grandezza abbia voluto fare il passo più lungo della gamba Ad
avviso di chi scrive, nel caso in cui la scelta del luogo fosse dovuta ad un
voler mettere alla prova le proprie capacità, ci troveremmo di fronte a manie
di stupidità più che di grandezza. Difficilmente, difatti, potremo ipotizzare un
assassino che prima di colpire non analizzi e studi il luogo dove dovrà agire.
La mancanza di segnalazioni certe, come di sicuri avvistamenti, la vicinanza
delle scene alle vie principali o a nuclei abitativi fanno ipotizzare uno studio
del luogo da parte dell’omicida che - probabilmente - si è ritagliato del tempo
per pianificare logisticamente il delitto nell’azione di avvicinamento al luogo e
soprattutto in quella di fuga.

Pensiamo, inoltre, che l’omicida quando esce di casa per colpire, abbia con
sè, quantomeno: una pistola (carica), un coltello, dei guanti, una torcia ed un
contenitore per i feticci. Oggetti, questi, che se rinvenuti in auto, ad esempio,
in una ispezione dovuta ad un posto di blocco garantirebbero un pass diretto
per l’ergastolo.

Davvero, quindi, vorremmo ipotizzare un omicida che ogni weekend se ne


esce in macchina col suo kit per fare un giretto e se si sente di buon animo
decide di colpire.

No. È contro qualsiasi logica e buon senso. Un omicida così meticoloso,


preciso, capace di un autocontrollo tanto da cadenzare annualmente i propri
omicidi non condizionerebbe mai i propri delitti al casuale imbattersi in una
coppia ed al non poter resistere al proprio istinto.

Consideriamo poi la data di questo delitto: 19 Giugno. Sarà l’ultima volta,


questa, che l’assassino colpirà nel mese di Giugno prima di circoscrive i suoi
futuri delitti alla fine di Luglio ed alla prima decade di Settembre. La
condizione per la quale l’assassino avesse voluto scegliere una condizione di
maggior favore - nel caso in cui fosse passato per caso in Via Virginio Nuova
e gli fosse venuto in mente di colpire - poteva essere ottenuta dal rinviare
l’azione ad un momento diverso o a luogo più favorevole. Avrebbe, difatti,
avuto altri tre mesi per compiere il delitto essendosi già spinto fino alle metà
di Settembre. Difficile, altresì, ritenere che il suo agire fosse dettato da un
impulso irrefrenabile, spasmodico. Questa condizione sarebbe difficilmente
compatibile con l’ordinata cadenza con cui sembrano eseguiti i delitti. I
periodi di cooling off sono regolari, quasi prevedibili se circoscritti al solo
periodo estivo. Il bisogno di uccidere sembra quindi cedere di fronte alla
programmaticità dell’agire. L’ordine viene prima dell’impulso. L’opportunità
prima della necessità.

Nessun delitto, ad esclusione - almeno a giudizio di chi scrive - di quello del


1985 presenta caratteristiche tali da far intuire di essere l’ultimo di una serie o
comunque da far suggerire una chiusura da parte dell’autore. L’azione
delittuosa si assopisce col chiaro intento di essere destata. L’agire è
preordinato al raggiungimento dell’obiettivo e finalizzato all’assicurarsi
l’impunità. È un assassino, questo, che uccide quando vuole (e può) farlo.
Non vi è cieco furore, né raptus capaci di rendere le sue azioni come
incontrollate o incontrollabili. Il delitto del 1982 potrebbe solo apparentemente
richiamare condizioni addebitabili come frutto di ricerca del rischio, o di
pulsioni incontrollate. Perché, invece, non vedere nella scelta di quella
sventurata vettura sita in un così visibile posto, un motivo per avvalorare
l’accuratezza e la maniacaleprecisione dell’agire dell’omicida. Mentre nella
scorsa puntata, abbiamo trattato di quanto fosse importante e fondamentali
per l’assassino quando colpire, adesso siamo costretti a colorare di tanta
rilevanza il dove.

Se prendiamo per buono quanto precedentemente detto (vd. UdM 6) circa la


necessità di individuare un giorno con le caratteristiche del weekend in mesi
estivi (escludendo il mese d’Agosto), allora circoscriveremo ad una quindicina
di momenti quelli davvero usufruibili dall’omicida. Da qui, dovremo pensare
che del tempo potrebbe essere stato speso per studiare la zona dove colpire
(se non il luogo preciso, quantomeno un raggio d’azione di qualche km),
programmando il suo agire a quel giorno più congeniale perché,
probabilmente, sebbene ci fossero tanti weekend, soltanto alcuni di questi
potevano essere davvero utilizzabili (sul perché si veda sempre UdM 6).
Scelto quindi il giorno, l’assassino esce di casa e si dirige verso quella zona
in cui non solo è intenzionato a colpire ma dove si è preparato a farlo.
Un predatore che prepara la sua zona di caccia.

Sa dove poter lasciare il suo mezzo di trasposto per raggiungere le zone di


suo piacimento. Quindi parcheggia e si incammina fino a raggiungere l’auto
dei due fidanzati. E lì, spara.
La necessità di dover colpire lo costringe a correre un rischio - seppur
calcolato - che lo porta a rendersi vulnerabile ad eventuali problematiche,
come di fatto succede.

E proprio qui si da prova dell’abilità dell’assassino che si costringe ad


un’azione rischiosa e repentina nonostante il rischio perché quel 19 Giugno
era il giorno utile per colpire e probabilmente, l’unico. L’attesa di una
condizione di miglior favore non poteva essere assecondata, ma non per
propria incapacità di resistere al desiderio omicida, quanto per la
consapevolezza di aver studiato per colpire lì in quanto, un altro momento,
probabilmente non gli sarebbe stato possibile.

Da qui, potremo considerare l’ipotesi per la quale l’assassino non goda di


molta libertà e che le sue azioni delittuose siano rese possibili solo da una
organizzazione che gli permetta di usare al meglio la sua condizione di favore
in un luogo da lui prescelto.

Diversamente, dovremo considerare l’eventualità che il suo agire sia frutto di


impulso ingestibile, capace di sfociare a qualsiasi ora della notte, in un
qualsiasi giorno festivo o prefestivo tra giugno e metà settembre. Un impulso
capace di nascere alla mera visione a lato strada di una macchina
parcheggiata e dalla bramosia di andarci a vedere cosa vi era all’interno e
nella speranza di trovarci dentro cosa si stava ricercando.

Perché ricordiamo che questo è il suo obiettivo, il contenuto della vettura.


Sarebbe impensabile credere che l’assassino non si soffermasse ad
osservare la scena all’interno della vettura per vedere se questa rispondesse
o meno al suo oggetto di ricerca. In questo duplice delitto, la presenza di una
macchina parcheggiata a lato di una strada trafficata non poteva
immediatamente accostarsi alla coppietta in atteggiamenti amorosi. Cosa che
invece poteva facilmente desumersi in tutti gli altri delitti (più peculiare la
condizione dei duplici omicidi del 1983 e del 1985 di cui tratteremo in seguito)
considerato dove si trovavano le vetture.

Pertanto, a Baccaiano, ove il rapporto sessuale era appena avvenuto o


doveva ancora compiersi, l’accertamento circa chi vi fosse dentro la vettura
doveva essere necessario. E proprio tale accertamento avrebbe permesso
all’omicida, in uno stato - almeno per ora - di quiete, di valutare la pericolosità
dell’azione. Doppiamente riscontrabile nel caso si fosse accorto della coppia -
difficile - passandovi prima con l’automobile, o al più della sola vettura
dell vittima maschile in quanto percorrendo la carreggiata non si godeva di
una certa veduta sull’interno di questa.

Non può esservi occasionalità nell’organizzazione e l’assassino delle colline


fiorentine faceva dell’organizzazione il suo punto di forza.

Sfumando sul secondo argomento che ci eravamo prefissati di trattare -


ovvero il rapporto dell’omicida con l’omicidio stesso - la programmaticità
dell’assassino viene finalizzata all’uccisione dei due giovani senza compiere
alcun errore rispetto al disegno originario.

Proprio a causa della possibilità che il giovane fosse sul divanetto posteriore
e che quindi non fosse lui stesso - come ipotizzato da molti - alla guida della
vettura al momento del suo incagliamento nel canaletto di scolo, si è
ipotizzato che l’omicida volesse spostare la vettura con dentro i corpi in loco
più isolato e più consono per eseguire le escissioni, considerando quindi la
loro mancanza come un errore dell’omicida.

È intenzione di chi scrive, invece, escludere tale possibilità. In relazione a


quanto detto prima circa l’organizzazione, la preparazione, l’attuazione e
l’osservazione, il rischio - seppur calcolato - già si presentava come elevato
anche nella sola azione di aggregazione con l’arma da fuoco. Considerare
che nel piano dell’omicida vi fosse anche l’intenzione di mettersi alla guida di
una vettura dai vetri infranti e con due cadaveri al suo interno sembrerebbe
un azzardo non solo eccessivo, ma anche incomprensibile. Già una volta
trovatosi di fronte alla vettura sapeva che non sarebbe riuscito ad eseguire in
loco le escissioni. Nel caso queste fossero state per lui essenziali, avrebbe
dovuto posticipare il suo agire ad altro momento ma, forse, per quanto detto
prima, non gli era possibile.

Chiediamoci quindi: se davvero il suo reale obiettivo fosse l’ottenimento dei


feticci, avrebbe colpito quella sera a Baccaiano?

La risposta, ad avviso di chi scrive, non potrebbe essere altro che negativa.
Ancora, se il suo obiettivo fossero stati i feticci e - come è accaduto - non
fosse riuscito a recuperarli, non si sarebbe corretto? Uccidendo magari
nuovamente? Come nell’anno precedente ad esempio ove uccide due volte
nello stesso anno magari per rimediare al pericolo che il soggetto in carcere
avesse visto qualcosa e potesse parlare (o anche solo per rivendicare la
paternità dei delitti).

No, per farlo aspetterebbe un anno e tre mesi per poi uccidere due uomini e
non eseguire, neanche qui, le escissioni.

Due errori - macroscopici, se si volesse considerare il rituale post mortem


come essenziale all’atto omicidiario stesso - su una serie di 8 duplici omicidi.
Troppi.

Diventati ormai fardelli impedienti qualsiasi movimento genuino, gli errori di


Baccaiano e Giogoli rischiano di viziare il nostro pensiero a tal punto da
indurci a considerare gli eventi del 1982 e del 1983 in senso negativo mentre
- a nostro parere - non hanno niente di diverso rispetto agli altri delitti della
serie. Non sono errori, non sono sbagli, non sono eccessi: sono delitti riusciti,
purtroppo, come tutti gli altri.

Con gli altri omicidi hanno in comune il chi (una coppia appartata), il dove in
un luogo pubblico e la (la morte). Tanto bastano queste condizioni a far
confluire questo delitto del 1982 nella scia degli altri. Le escissioni
rappresentano un post alla morte da eseguirsi soltanto quando la fantasia ed
il volere dell’assassino lo richiedono. Quando, in altre parole, la condizione
specifica in cui l’assassino trova i due ragazzi è tale da giustificare il suo
agire, non solo in senso mortifero, ma anche punitivo.
conseguenza

La colpa principale comune a tutte le vittime dell’assassino di cui si discute è


rappresentata dal trovarsi, per due persone, appartati in luogo pubblico ed è,
questa, una condizione che si ripete, sempre, per tutti i delitti. Qui colpisce
due giovani che presumibilmente avevano appena compiuto un atto sessuale
(si intravedono delle mutandine leggermente abbassate ed una gonna alzata
all’altezza della vita così da favorire il rapporto). L’assassino quindi non
ricerca l’atto sessuale ma la circostanza della coppia appartata. Poca
importa, per la prima delle colpe ovviamente, cosa la coppia stia
materialmente facendo, perché quello sarà oggetto solo di una sua
successiva valutazione, la quale comporterà uno step successivo del suo
agire, ovvero le attività post mortem sui corpi.

A Baccaiano l’omicida la vuole ottenere e - seppur con difficoltà - la ottiene


appagando il suo desiderio e rispondendo alla sua volontà. Non vi sono errori
nel che inficiano il risultato. Ci sono solo imprevisti che ne rendono più
difficoltoso il raggiungimento di questo. Obiettivo che sembrerebbe oltretutto
verificato dall’assassino che, come sappiamo, almeno per qualche istante si
intrattiene all’interno della vettura. Nella fotografia (vd disegno), di cui vi ho
riprodotto il disegno nel senso più veritiero possibile, si intravedono alcune
macchie di sangue, sul collo e sulla coscia destra della ragazze che
parrebbero suggerire l’impronta di una mano.

Non è un caso che l’imprevisto arretramento della vettura sulla carreggiata


opposta, fino allo sconfinamento di questa nel canaletto di scolo, siano così
visti dall’assassino come una sfida aggiuntiva a quella che già il delitto in sé
comportava. Le chiavi dell’auto gettate poi via lontano, rappresentano uno
scarico di tensione, una esultanza per l’obiettivo raggiunto; come se nel
lancio di quelle chiavi, l’omicida volesse irridere il tentativo di reazione del suo
avversario, scacciando via la paura provata e la tensione accumulata. In
quelle chiavi, si proiettava la salvezza del giovane, messa in atto da
quest’ultimo e che solo la malasorte ne ha impedito la soddisfazione. E
l’omicida, le getta via.

In conclusione, l’omicida si presenta come un individuo che fa del luogo dove


colpisce la condizione entro la quale deve necessariamente muoversi, in uno
spazio di tempo ristretto e difficilmente differibile. Diventa quindi il contenitore
ove inserire la dinamica da lui ricercata. Nostro compito sarà quello di tentare
spiegazioni circa eventuali significati o particolari utilità che i luoghi possono
avere per l’omicida, ma ciò sarà possibile farlo solo quando avremo il quadro
generale di tutti ed otto i delitti. Ancora, iniziano a scricchiolare per la prima
volta alcuni fondamenti, come la vitale importanza - in quanto reale obiettivo
dell’omicida - dei feticci e delle attività di overkilling sulle vittime. Ci lasciamo
quindi come un interrogativo, e’ un delitto, questo, che ha comunque
soddisfatto il desiderio dell’omicida o no? La risposta, a nostro avviso, è
contenuta nei delitti successivi.

Segue...

4 commenti:

omar quatar ha detto...

Molto interessante.
Come forse saprà, nel mio libro, con gli scarsi mezzi di allora, avevo
tentato sia un' ANALISI PSICOLOGICA DEL COMPORTAMENTO
DI NATALINO (frutto di un paio di conversazioni con una psicologa
dell'età evolutiva), sia un RIEPILOGO CRONOLOGICO
COMPARATO DELLE DIVERSE VERSIONI DELL’ACCADUTO
FORNITE DA STEFANO E NATALE MELE . Sono capitoli che oggi
necessiterebbero aggiornamenti, in parte condotti sul mio blog; tanto
più sono curioso di conoscere le conclusioni alle quali perverrà la
sua consulente. Quanto al contenuto dell'articolo, mi scusi, ma per
concludere che il semplice atto di uccidere fosse sufficiente a
soddisfare i suoi bisogni, occorrerebbe trovare un omicidio in cui,
senza alcuna influenza estranea, l'assassino rinunci ad accanirsi col
coltello sulla vittima femminile.Ma questa situazione non c'è, in
alcuno degli otto duplici omicidi per i motivi che ben sappiamo.

26 giugno 2018 alle ore 22:56

Unknown ha detto...

Questo commento è stato eliminato dall'autore.

27 giugno 2018 alle ore 17:21

Unknown ha detto...

Salve Omar,
Sapevo di questa sua opera - di cui mi complimento - e sarò ben
lieto di poterle mostrare il parere di altro professionista.

Circa invece il secondo tema da lei citato, le posso dire che in tale
conclusione, che potrà essere così chiamata solo quando
pubblicherò i capitoli centrali de L'Uomo dietro il mostro (ad ora
infatti viene solo suggerito o supposto) cercherò, per quanto
possibile in campo di profilazione, di basarmi non su cosa manca (di
cui possono essere fatte mille e mille ipotesi), ma su cosa invece
abbiamo a disposizione.

A presto,
E.O.

27 giugno 2018 alle ore 20:50

Napoleone Wilson ha detto...

https://www.lanazione.it/pisa/2008/08/21/112646-
giuseppe_meucci_passata_poco_mezzanotte_dicembre_1970_quan
....shtml
Sicuramente lo conoscerete. Ha alcuni punti di contatto col delitto di
Baccaiano come luogo e svolgimento. Il colpevole del delitto della
Bigattiera Claudio Del Grande, scontò una decina di anni di pena a
Montelupo.

20 settembre 2018 alle ore 09:57


L'Uomo dietro il mostro 8 di E. Oltremari
10:35 FLANZ UDM 9 COMMENTS

Venerdì 9 Settembre 1983 - Loc. Giogoli, Scandicci.

“Perdonate l’Off Topic, considerato il calore di questi giorni, ma tornerei a


parlare dei delitti del Mostro di Firenze”.

E.Oltremari

Lungo Via di Giogoli, a circa 100 mt. dall’inizio della strada, troviamo sulla
sinistra uno spiazzo di forma rettangolare delimitato a destra e di fronte da
uliveti ed a sinistra da una siepe che si erge a ridosso di un muricciolo in
parte diroccato. Al centro di questi si intravede un passo che immette in un
terreno incolto.

In mezzo allo spiazzo è parcheggiato - con la parte anteriore in direzione del


passaggio verso il campo - un pulmino Volkswagen di colore verde chiaro, la
cui parte posteriore dista dalla strada circa 8 m. mentre la ruota anteriore
sinistra, circa tre metri e mezzo dal muricciolo. Sparsi per terra, in un vasto
raggio, si rinvengono resti di riviste pornografiche in lingua italiana.

Le due portiere della cabina di guida ed il primo sportello laterale destro sono
completamente aperti (sic).

Sul vetro del secondo sportello laterale destro (a cm. 20 dalla base e sempre
a cm 20 dal bordo destro), una soluzione di continuo (foro di proiettile) a
forma rotondeggiante con rotture radiali e concentriche con stacchi di vetro
sulla parete interna.

Sul vetro fisso, per tre quarti opaco, posto a sinistra del secondo sportello, è
presente analoga soluzione a cm 10 dalla base e cm 12 dal bordo sinistro.
Sulla fiancata sinistra sono presenti altre soluzioni di continuo: una a bordi
introflessi e precisamente sulla carrozzeria a cm. 70 dallo spigolo laterale
destro e cm 90 dal bordo inferiore; una sul vetro fisso a cm 12 dalla base e a
cm. 10 dal bordo della cornice destra; altra sul secondo vetro fisso a cm 9 dal
bordo inferiore e cm 28 dal bordo destro.

Sul terreno sottostante il tubo di scappamento è presente una macchia di


sangue coagulata mentre a metri 1,10 in verticale dalla ruota posteriore
sinistra e a metri 1,30 dal tronco di una pianta posta a ridosso del muricciolo,
troviamo un bossolo cal. 22 Winchester con il fondello percosso.

All'interno della cabina di guida si osservano: l'autoradio inserita sul cruscotto


in funzione, sul lato destro alcune scatole di succhi di frutta aperti, sul sedile
lato sinistro si trova un cuscino e sul lato destro un secondo bossolo
Winchester cal. 22 con il fondello percosso.

Internamente, nella parte posteriore dove si trovano i cadaveri, troviamo:


addossati alla parte posteriore della cabina di guida, una bacinella
contenente indumenti vari; sul pianale, due paia di scarpe in mezzo alle quali
si trova un terzo bossolo. Accatastati tra loro ci sono indumenti e coperte
varie. A sinistra, un letto a due piazze su cui giacciono in parte avvolti tra le
coperte in più punti macchiati di sangue i cadaveri dei due turisti tedeschi,
entrambi di 24 anni.

Il primo è freddo cereo, rigido, emanante cattivo odore. È seminudo e giace


supino. La testa flessa in avanti poggia con la regione occipitale all'angolo
sinistro del furgone. Gli occhi sono chiusi e la bocca aperta. Gli arti superiori
sono abdotti con gli avambracci leggermente piegati. Le mani con le dita
flesse poggiano sulla regione epigastrica. Il volto ed il torace sono ricoperti di
sangue coagulato mentre sul dorso si osservano macchie ipostatiche.

È stato colpito da quattro colpi d’arma da fuoco: - uno in regione zigomatica


mascellare sinistra, con tramite obliquo dal basso verso l’alto e dall’avanti
all’indietro, interessante la base cranica e l’encefalo, con proiettile ritenuto in
regione occipitale; - un colpo all’emilabbro sinistro, con proiettile ritenuto
nell’arcata dentaria superiore; - un colpo tra il 1° ed il 2° dito della mano
sinistra; -un ultimo di striscio alla coscia sinistro.

Il secondo è anch’esso freddo, cereo, rigido ed emanante cattivo odore.


Seminudo, giace prono con la testa rivolta all'angolo anteriore sinistro del
furgone e vi poggia con la regione occipitale temporale sinistra. Gli arti
superiori indotti con gli avambracci piegati cingono un cuscino in parte
macchiato di
sangue. Le mani e le dita sono flesse. È stato colpito tra due colpi d’arma da
fuoco: - uno in regione occipitale non oltrepassante il tavolato osseo; uno
all’ipocondrio destro dal basso verso l’alto in senso latero mediale e da destra
verso sinistra interessante fegato, diaframma, pericardio, cuore e polmone
sinistro, con proiettile ritenuto nello spessore del muscolo pettorale sinistro; -
un colpo in regione glutei sinistra, al quadrante superiore mediale, con tramite
dal basso verso l’alto e dall’avanti all’indietro, interessante il peritoneo
posteriore e lo stomaco con proiettile ritenuto nello spessore della parete
anteriore dell’addome.

****

Se il duplice delitto dell’Ottobre 1981 può averci suggerito indicazioni circa


il quando e quello del Giugno 1982 circa il dove, l’assassinio dei due turisti
tedeschi del 1983 potrebbe aiutare a rispondere a quesiti circa il chi.
Oramai, al nostro ottavo appuntamento, appare chiaro quali sia il nostro
modo di agire: individuare le anomali, verificare in modo critico se queste
possono essere definite realmente tali, domandarci il perché, inserirle nel
quadro di insieme.

Lo abbiamo fatto per i due precedenti delitti e così faremo anche per questo
che, con la sua assoluta unicità in tema di vittime ci impone, preliminarmente,
di sottolineare - seppur brevemente - alcune tematiche vittimologiche.

Trattare di omicidi seriali, come nel caso di specie, comporta inevitabilmente


il soffermarsi su coloro che rappresentano la controparte di questo spiacevole
rapporto omicidiario: le vittime.

La vittima, nella sua personificazione, riveste per l’omicida un contenitore


umano entro il quale potervi inserire svariati componenti emozionali: odio,
amore, invidia, gelosia, disgusto, ammirazione, compassione.

Situazioni, quindi, che ciascuno di noi, solitamente, vive nella propria


quotidianità, nel naturale rapportarsi nelle relazione interpersonali. Ognuno di
noi, difatti, si rapporta alle persone che lo circondano sulla base di un
sentimento, anche solo unilaterale, che li lega a (o divide da) loro.
Capita, però, che alcuni soggetti - da leggersi assolutamente Perché
uccidono - si mostrino incapaci di distinguere la persona dal sentimento che
ne suscita così da identificare questa - in una precisa ottica di
spersonalizzazione - non come una figura umano, ma esclusivamente col
sentimento contenuto in questa.

Pertanto, la vittima, perde la propria capacità di essere


sentimentalmente attiva divenendo un esclusivo generatore per un moto
emotivo altrui. Quando si sostiene, magari troppo superficialmente che gli
psicopatici non provano emozioni o non hanno sentimenti, sbagliamo. In
realtà, credono che siano gli altri a non provarli. Le vittime diventano, quindi,
meri corpi inanimati i quali racchiudono un sentimento che l’omicida prova per
loro. Ammassi di carne ed ossa privi di qualsiasi valore umanizzante, ormai
mezzo materiale ove proiettare le proprie angosce, i propri demoni, i propri
simboli ed anche i propri messaggi.

Nei delitti del Mostro di Firenze la vittimologia è, appunto, peculiare.

Non si tratta difatti della sola figura femminile, tanto che potremo censurare
qualsiasi affermazione sulla scia de il suo reale obbiettivo tra i due era la
donna come un grossolano errore di interpretazione. Così fosse, difatti,
l’omicida avrebbe ricercato - come tanti altri assassini e come magari uno in
particolare di cui parleremo in un prossimo lavoro come anticipato in UdM7 -
le sole donne, magari da sole, di ritorno da casa o da lavoro.

Non erano il suo interesse. Non lo erano al punto di preferire l’eventualità di


doversi confrontare con uno sfidante, un avversario, un altro uomo.

La coppia. Due persone, sempre. E questa sì che diventa una nostra


costante: la presenza di due vittime. Ogni volta un duplice omicidio.

Un uomo ed una donna. Ogni volta? No. Come ben sappiamo, in questo
duplice omicidio del Settembre 1983 vengono uccisi due ragazzi tedeschi in
vacanza in Italia. Due uomini.

Poco distanti dal loro pulmino - il cui van era stato adibito con una branda a
due piazze a dormitorio - vengono ritrovati brandelli della ristampa di un
giornaletto pornografico gay stralciato con una lama (non quindi strappato) e
che non presenta segni di deterioramento dato dal tempo né da agenti
atmosferici. Segno, quest’ultimo, che dovevano trovarsi lì da poco tempo.

Questo - unito alle voci di frequentazioni da parte di uno dei ragazzi di locali
dell’ambiente omosessuale, l’orecchino portato da uno di questi e comunque
la condizione di essere entrambi in mutande, l’uno accanto all’altro, prima di
coricarsi - portò a far circolare la voce di una presunta omosessualità dei due
e che quello stralcio di rivista fosse appunto una sorta di rappresaglia verso il
mondo omosessuale.

E qui si forma la prima delle eventualità inerenti a questo delitto: l’omicida ha


ucciso una coppia di omosessuali.

Altra ipotesi, vede l’assassino sbagliarsi. Tratto in inganno dal taglio di capelli
di uno dei due ragazzi, confonde uno di questi per una ragazza esplodendo i
colpi verso quelli che crede essere una coppia di amanti. La domanda che ci
poniamo adesso è: se l’omicida ha confuso il ragazzo per una donna, questi
cosa stavano facendo?

In sintesi, se davvero l’omicida si è sbagliato, significa che i due ragazzi


erano posti tra loro in tal modo da fargli presumere che questi fossero un
uomo ed una donna. Diversamente, fossero stati distanti l’uno dall’altro,
magari intenti - come sembra almeno uno di questi - a leggere e senza quindi
alcuna componente sessuale, perché l’omicida spara? Non uccideva coppie
intente in atteggiamenti amorosi?

Quindi, lo sbaglio - se avviene - porta a due strade: o i due erano in


atteggiamenti amorosi omosessuali e l’omicida spara credendo che loro
fossero una coppia di fidanzati, come le altre uccise; o non erano in situazioni
erotiche e l’omicida spara verso due persone che si intrattenevano
dialogando prima di addormentarsi (l’autoradio era accesa) sconfessando un
punto che fino a quel momento poteva presentarsi come solidissimo, cioè la
componente sessuale.

Queste due ultime considerazioni pongono alla loro base la condizione di


errore dell’omicida che confonde appunto uno dei due giovani per una donna.
E se così non fosse?

Ripensiamo a questo ultimo delitto.

L’avvicinarsi al finestrino del van ed il mirare da dietro di questo avrebbe


comportato per l’omicida il soffermarsi su quei corpi e così notare che benché
il Rusch avesse capelli biondi (benchè per anni sia circolata la voce che il
Rusch portasse la barba così da renderne improbabile l’accostamento al
sesso femminile dalle foto della scena del crimine si vede chiaramente
l’assenza di qualsivoglia peluria sul volto del giovane tedesco), mossi, lunghi
(si fa per dire) fin poco sopra le spalle, mancava di una componente
importante che solitamente contraddistingue una donna da un uomo e che
per questo assassino sembra essere di notevole importanza considerando
quanto compirà i due anni successivi: il seno.

Dalle foto della scena del crimine - che ho cercato di riprodurvi in disegno nel
modo più chiaro possibile - si può infatti notare che il Rusch fosse a petto
nudo quando è stato attinto dai colpi di pistola.
Difficile non notare questo particolare anatomico dal finestrino del pulmino -
aiutati anche dalla luce all’interno - e strano che ciò non sia avvenuto per un
assassino - come il nostro - che ha sempre mostrato un’attenzione particolare
per la situazione che ricercava per colpire, cioè di una coppia intenta ad
amoreggiare in macchina. Se pensiamo poi alle attenzioni rivolte in passato
(1974) e nei due anni successivi (1984, 1985) al seno femminile risulta
curioso che un soggetto del genere non si sia accorto che al Rusch
mancasse proprio il seno e comunque avesse una corporatura diversa da
quella di una donna. Perché possono essere tirati in ballo capelli lunghi che
poi tanto lunghi non erano, fantomatiche barbe, presunte posizioni sessuali
ma da quella distanza, un soggetto come lo sparatore, di minimo trent’anni -
che magari non espertissimo ma quantomeno un corpo femminile nudo lo
avrà visto in vita propria (anche solo delle sue precedenti vittime) - credo sia
capace di riconoscere le differenze tra un uomo in mutande ed una donna in
slip.

Diversamente, dovremmo credere ad uno sparatore che - senza osservarne il


contenuto - in modalità assalto terroristico - crivelli di colpi il pulmino senza
prima soffermarsi su quanto stia accadendo all’interno. Facciamo allora
nostro quanto espresso in merito al duplice omicidio del 1982: l’omicida nel
suo modus operandi non può esimersi da un appostamento - non
necessariamente voyeristico - finalizzato all’apprendimento dell’interno delle
vetture.
Crediamo, quindi, di poter supporre che dietro questo duplice omicidio non vi
sia alcun scambio di sesso da parte dell’omicida ma una precisa coscienza
di rivolgere i propri colpi verso due uomini.

Da qui, si riaprono le due vie prima citate circa la condizione dei ragazzi al
momento degli spari.

Se l’assassino rivolge consapevolmente l’arma verso di loro, è lecito


presumere che questi fossero in atteggiamenti similari o comunque affini a
quella delle altre vittime, cioè intenti in atteggiamenti amorosi. In tal senso
deporrebbe la rivista pornografica stralciata, volendo quindi scartare l’ipotesi
della coincidenza di questa a pochi passi da un pulmino contenente i
cadaveri di due ragazzi presumibilmente uccisi in intimità.

Proprio tale condizione, renderebbe questo delitto in perfetta simmetria con


gli altri della serie, mantenendo le circostanza fattuali le medesime per tutti ed
otto i duplici omicidi: una coppia in intimità appartata in un luogo pubblico.

Insorgono già le prime voci.

E se davvero sapeva che erano uomini e voleva ucciderli perché ha lasciato i


corpi intatti senza utilizzare l’arma bianca?

Negli scorsi approfondimenti abbiamo iniziato a suggerire la scissione tra la


componente omicidiaria e quella del rituale post mortem, come se questo
fosse appunto accidentale ed accessorio alla prima componente data dalla
morte. Nell’ultimo, quello del delitto di Baccaiano, abbiamo addirittura
supposto che l’assassino non fosse interessato, in quell’occasione, ad
eseguire le escissioni o che comunque, queste, non fossero fondamentali
all’interno del suo iter omicidiario.

Così non fosse, l’assassino una volta sbagliato grossolanamente nel Giugno
del 1982, aspetta un anno e tre mesi - insoddisfatto a causa del suo
fallimento - per andare a colpire due uomini, o meglio, per non accorgersi -
dopo averli osservati coperto dalle lamiere di un pulmino e da metà vetro
opacizzato - che un ragazzo in mutande in realtà era proprio un uomo e non
una ragazza, rimanendo così a bocca asciutta per il secondo anno di fila.
Avrebbe, quindi, atteso più di un anno per rivolgere la sua pistola verso due
senza prima assicurarsi quantomeno chi ci fosse dentro quel pulmino?
Già crediamo improbabile un errore, figuriamoci due.

Mantenendoci sulla scia di quanto detto la scorsa volta, quindi, la mancanza


di ritualità post mortem sui corpi dei due ragazzi è da ricondurre ad una
precisa scelta dell’assassino che - dopo aver vinto la sfida del tiro a bersaglio
su questi che si muovevano all’interno del van dopo i primi colpi - manca
di colpevolizzare i due giovani una volta raggiunta la loro morte. Per ciò che
loro rappresentavano, per ciò che loro erano, la morte era un obiettivo più
che sufficiente per l’assassino che non necessita neanche di infierire coi soliti
colpi rilasciati in zone vitali alle vittime maschili in quanto la condizione di
questo delitto del 1983 non ne era meritevole. Se davvero questi colpi
rappresentano - ad esempio come sostenuto dal pool modenese - un
accertarsi dell’avvenuta morte dei soggetti, significa allora che in questo
delitto tale verifica sarebbe stata superflua in quanto la condizione soggettiva
ed oggettiva di questo omicidio non spingeva la fantasia ed il disegno
dell’assassino a tal punto da infierire sui corpi, ma di lasciare il suo
messaggio trasparire dalla mera morte di questi e dal probabile stralcio del
giornaletto pornografico (con l’uso, forse non proprio casuale, della lama).

Ciò che le vittime rappresentavano per l’omicida - magari anche solo per una
sua visione distorta del loro rapporto - è la condizione generale, comune a
tutti i delitti della serie, che comporta la susseguente pena della morte: il
trovarsi appartati in un luogo pubblico.

Ma ciò che invece le vittime stavano realmente compiendo al momento della


loro morte, questo cambia da delitto a delitto, ricreando
condizioni particolari verso le quali l’assassino conforma il proprio agire
delittuoso. Non è la fantasia che muta, che si evolve; a farlo è - come
vedremo più avanti - la scena che lui si trova di fronte.

In questa, l’omicida ha di fronte a sé due uomini, in mutande, vicini tra loro


prima di coricarsi. Lui li crede (o li vede, come già supposto) omosessuali e
già tanto basta nel suo immaginario per renderli latori di quel sentimento, di
quella idea, di quel messaggio che da tempo è intento ad infrangere. Le
vittime e ciò che loro rappresentano non cambiano mai. Rimangono costanti.
Il nostro omicida è logico, lineare, razionale. Anche in questo venerdì sera
settembrino del 1983.

Così l’omicida spara. Come l’anno precedente e come quello prima ancora,
senza errori, senza correzioni. Tutto si pone al suo posto in perfida armonia
tra intenzioni ed esito.
Ancora una volta.

9 commenti:

Thisisdaniela ha detto...

Posso dire solo che Le faccio i complimenti per l'analisi della scena
del crimine Di Giogoli( anche delle altre ovviamente ).Secondo me
Lei ha sfatato tutte quelle ingenue supposizioni sulla reale volontà
del killer . Non si è sbagliato voleva uccidere proprio loro ! Grazie !

13 luglio 2018 alle ore 10:02

omar quatar ha detto...

Quindi, anche sulla scorta della discussione su Fb, potremmo dire


che, invece che sui cadaveri, in questo caso sfoga la sua ira sulle
pagine della rivista, tagluzzandola (col coltello?). Un comportamento
davvero strano.
Peraltro, sparse per terra, in due punti distinti, direi che vi sono solo
alcune pagine, da quel che si capisce dalle foto. Il resto della rivista
(e quella che la accompagnava nella confezione discount) che fine
hanno fatto? Forse se le è portate via l'assassino come souvenir.
Inoltre, la traccia di incollamento sul retro della pagina (credo si
riferisca alla copertina) di cui parla Santoni Franchetti in udienza, se
fosse vera, costituirebbe un elemento di ambiguità in più.
Se Daniela Rasera è convinta, io resto tuttora ingenuo e perplesso.
Mi associo comunque, e ancora una volta, ai complimenti.

13 luglio 2018 alle ore 11:07

Unknown ha detto...

Buongiorno ad entrambi,
perdonatemi se utilizzo un solo post per rispondere ad entrambi.

Grazie infinite Daniela per i complimenti. Il mio intento è quello di


suggerire un punto di vista diverso, senza però spacciarlo per verità
assoluta ed incontrovertibile. Il contraddittorio prima di tutto.

Ancora salve Omar, continuando la nostra su fb potrei dirle che non


credo che l'omicida sfoghi la sua ira nei confronti della rivista in
quanto oggetto di certo esiguo valore (morale e materiale) rispetto ai
corpi. Anzi, non credo proprio ci sia dell'ira in questo delitto (circa lo
stato emotivo si vedrà meglio nei prossimi approfondimenti). Credo
più all'indirizzamento di un intento, di un fine - come già detto -
attraverso un mezzo (gli omicidi).
Per quanto riguarda quello di Giogoli, ritengo improbabile che un
omicida, il quale ha dato prova di una così viva e precisa
organizzazione, difetti proprio nella più basilare fra le sue condizioni
omicidiarie: cioè le vittime.
Inoltre, il fatto che miri per sparare, presuppone - a mio modesto
avviso - un'attenzione sui corpi e quindi sui bersagli difficilmente
compatibile con un errore nella rappresentazione della mascolinità
del Rush (affetto oltretutto da un cifosi) appunto senza seno.
Il giornale, lo ritengo un ausilio - rafforzamento - al messaggio che
l'omicida con quell'assassinio voleva mandare. Magari anche non
preordinato stante appunto anche quello che correttamente ha
affermato sia qui che nella nostra su fb.

Il dato è incerto, chiaro, ma il mio punto di vista propende più verso


l'ipotesi suggerita nel pezzo. Lo vedo pienamente coerente ed in
linea con gli altri delitti della serie.

Ancora grazie per i complimenti ed a presto,

E.O.

13 luglio 2018 alle ore 11:28

omar quatar ha detto...

Tornando a questo delitto (ma anche al successivo) è possibile a


suo parere dare una qualche valenza al riapparire di un proiettile
ramato - tipologia non più usata dopo il 1974) - proprio in un
momento in cui il principale sospettato del primo delitto era in
carcere?
In parole povere, una dichiarazione del tipo: Sono sempre io,
guardate, ho anche conservato i vecchi proiettili.
Come sappiamo, la prima reazione degli inquirenti al delitto di
Giogoli fu pensare che fosse stato commesso da un complice di
Francesco per scagionarlo.

29 luglio 2018 alle ore 10:16

Unknown ha detto...

Salve Omar,

Mi scuso per il ritardo abissale nella risposta ma purtroppo mi ero


dimenticato di attivare le notifiche di risposta per questo post e non
avevo visto il suo commento.
Veniamo a noi.
Sinceramente non vedo dietro la scelta dei proiettili un "messaggio" -
chiamiamolo così - per gli inquirenti, ma più una condizione di
contingenza per l'omicida che potendo avvalersi probabilmente di
quelle sole confezioni di proiettili (ed evitare così di comprarne altre
e rischiare di essere segnalato) si è trovato nella necessità di dover
prendere entrambe le tipologie di munizioni potendo far affidamento
solo di quel numero limitato.

Non è poi un aspetto che ho mai affrontato approfonditamente quindi


non riuscirei ad essere più preciso di così.

Cosa ne pensa lei invece a riguardo?

Ancora scusi per il ritardo nella risposta.

A presto,

E.O.

11 settembre 2018 alle ore 14:22

omar quatar ha detto...

penso solo che la sequenza: tutto rame (2) tutto piombo (3) piombo
+ 1 rame (2) tutto piombo (1) è strana. Per coincidenza, proiettili di
rame ricompaiono nel momento in cui FV è in carcere.
Questo sempre che effettivamente a Vicchio sia stato sparato un
proiettile ramato - ho solo una pagina dei rilievi e non ho la perizia
balistica

11 settembre 2018 alle ore 14:36

Grantottero ha detto...

Questo commento è stato eliminato dall'autore.

16 settembre 2022 alle ore 08:35

Grantottero ha detto...

Beh, mica del tutto necessariamente vero che avrebbe avuto tutto
l'agio e il comodo d'accorgersi per tempo che erano due uomini:
supponiamo che la decisione d'agire sia stata presa dopo un
avvistamento fatto ore prima e un po' "al volo", magari passando in
auto (ci torno sopra alcune righe più avanti) e avendo davvero
equivocato Uwe per una donna, magari perché visto di spalle solo
per un attimo.
Tornato la sera, per uccidere, il mostro, pressato dall'esigenza di
fare un po' più alla svelta del solito (la vicinanza della villa della
Sfacciata da dove facilmente si sarebbero potuti udire gli spari e
telefonare alla polizia, magari anche affacciarsi alla finestra, non
consentiva di tergiversare più di tanto) potrebbe, affacciandosi al
vetro laterale del furgone, aver trovato una situazione con Horst
sdraiato a sonnecchiare e a costituire un comodo bersaglio, mentre
Uwe potrebbe facilmente essere stato rannicchiato a leggere nel
punto più libero dalle gambe di Horst, cioè nell'angolo posteriore
destro, privo di vetratura, e da dove dunque il mostro non riusciva a
vedere di lui altro che non i piedi. Da ciò ne sarebbero scaturiti quei
successivi secondi di sarabanda, col mostro che girava intorno al
furgone sparando alla cieca attraverso le lamiere e sperando in un
colpo fortunato (per lui) ed Uwe che disperatamente zompava qua e
là in cerca di salvezza, finché il mostro non intuì che valeva la pena
di provare ad aprire il portellone laterale. Ebbe fortuna, perché lo
trovò non chiuso con la sicura, aprì ed entrò, trovando Uwe
rannicchiato terrorizzato in un angolo e sparandogli a bruciapelo.
Riuscendo, stavolta sì, ad ammazzarlo. Chiaro che in quel
frangente, avendo finalmente visto (forse per la prima volta ) Uwe
frontalmente, in faccia e senza maglietta e dunque palesemente
senza seno, avrà a quel punto capito che anche lui era un uomo. Ma
ormai, giunto a quel punto, il mostro, QUALUNQUE FOSSERO LE
RAGIONI PERSONALI DEL SUO AGIRE, non poteva certo
permettersi il lusso di graziare Uwe (perché corresse fuori ad urlare
e chiedere aiuto? Perché potesse descrivere agli inquirenti le
fattezze e la faccia del mostro?). (SEGUE seconda parte del
commento).

16 settembre 2022 alle ore 09:44

Grantottero ha detto...

PROSEGUE dalla prima parte del commento):


In uno scenario simile (molto probabile, a mio avviso), la catena
degli eventi perde d'importanza per fornirci chiare indicazioni (anzi:
non ce ne fornisce alcuna affatto) per preferire una ipotesi o l'altra a
riguardo d'una presunta scelta consapevole d'amnazzare due
maschi ovvero d'un presunto errore di valutazione dovuto ad un
avvistamento troppo "en passant". Ambedue le ipotesi restano
ugualmente possibili ed irrisolvibili, con soltanto questi pochi
elementi a nostra disposizione.

Tornando alle possibili modalità dell'avvistamento (fatto un po' "al


volo", passando di lì per caso in auto, in altro orario, più con la luce
del giorno, secondo me) e alla formazione della decisione di tentare
l'attacco (pur se con l'oggettivo elemento pericoloso rappresentato
dalla vicinanza della villa), non si può neanche escludere che, visto il
grande allarme sociale suscitato dalle sue "prodezze" degli anni
precedenti (soprattutto il delitto di Baccaiano dell'anno prima, coi
ragazzi uccisi nonostante avessero creduto d'essere al sicuro
fermandosi lungo una trafficata strada provinciale, doveva aver
persuaso tutti i giovani che angolini sicuri non c'è n'erano, e che
l'unica per appartarsi era scegliere spiazzi dove di auto di coppie ce
ne fossero altre. E non a caso queste due vittime che si fecero
sorprendere furono due stranieri, inconsapevoli di tutta questa italica
storia), non si può neanche escludere, dicevo, che il mostro fosse
arrivato a Settembre senza aver trovato l'occasione per colpire e
fosse nervoso perché si profilava la possibilità di "sciupare" la
scansione d'almeno un delitto all'anno e dunque il suo mito presso
l'opinione pubblica avrebbe potuto iniziare a scolorirsi. E allora non è
da escludersi la possibilità che l'avvistamento sia stato fatto "en
passant", sì, ma comunque riuscendo ugualmente a capire che i due
erano due maschi, ma rassegnandosi a cogliere almeno
quell'occasione perché l'estate (stagione più propizia, perché i
ragazzi uscivano di più) s'avviava a conclusione. In tale ipotesi, i due
malcapitati sarebbero stati un ripiego, meglio che niente, e la
decisione di colpirli benché maschi ambedue potrebbe essere stata
consapevole, sì, ma mossa dunque da tutt'altre motivazioni che non
da quelle di punire due omosessuali ipotizzate nell'articolo
Insomma, una terza ipotesi, parimente possibile come le altre due.

Non c'è niente, tra i pochi elementi a nostra disposizione, che ci


permetta di puntare le nostre "fiches" con sicurezza su una di queste
ipotesi puttosto che sulle altre.
Se non le proprie sensazioni "di pelle", ovviamente, ma si sa quanto
queste cose possano essere fallaci.

16 settembre 2022 alle ore 09:45


L'Uomo dietro il mostro 9 di E. Oltremari
11:14 FLANZ UDM 5 COMMENTS

Domenica 29 Luglio 1984 - Loc. Boschetta, Vicchio.

“È stato alquanto difficile scrivere riguardo questo duplice omicidio che verrà
oggi preso da spunto per iniziare a decifrare - seppur timidamente - la
fantasia che ha spinto l’assassino ad uccidere. Disegnare i corpi delle vittime
è stato straziante. Più del solito. La loro giovane età, non potrebbe mai
essere resa da nessuna matita. Soprattutto da quella di un dilettante come
me. Ad ogni sguardo su quei volti levigati, ripenso alla drammaticità del tema
che stiamo affrontando e di quante volte giochiamo su quanto accaduto a
quei ragazzi. Non dovremo permettercelo, mai. Anzi, a voler essere sinceri,
non dovremo permetterci un sacco di altre cose. Ma questa è un’altra storia
di cui un giorno, forse, parlerò. Ora che entriamo nel vivo di questo percorso
cercherò di rendere puntuali gli appuntamenti nonostante le ferie. Nel caso
ritardassi, come questa volta, chiedo preventivamente venia. Detto questo,
auguro una buona lettura a chi legge e buone vacanze.”

E.O.

Percorrendo la strada provinciale Sagginalese, in direzione di Vicchio, sulla


sinistra, c’è un viottolo sterrato, lungo circa 58 metri e delimitato a destra ed
anteriormente, per chi vi accede, da un terrapieno alto circa 7 metri e
ricoperto da vegetazione incolta; a sinistra, invece, è coperto da cespugli e
sterpaglie oltre i quali si trova un campo coltivato da erba media. Sulla parte
terminale del suddetto sentiero è parcheggiata una Fiat Panda 30, di colore
celestino, avente la parte anteriore in direzione della provinciale.

Gli sportelli sono chiusi, di cui quello sinistro e posteriore con le sicure
inserite; il vetro del finestrino sinistro abbassato per 8 cm; il vetro del
finestrino destro è totalmente frantumato. Quasi al centro del paracolpi in
plastica nera della portiera destra, che è uniformemente cosparso di polvere,
si notano due aloni di forma semi circolare, del diametro di cm. 10x6 derivati
da asportazione di polvere le quali distano dal suolo 60 cm. Le stesse che
verranno utilizzate dai periti per ipotizzare un’altezza dell’omicida ben
superiore ai 185 cm grazie ad una stima dell’altezza tibiale.

Sullo sportello destro, a circa 25 cm dal bordo sinistro del finestrino, in


prossimità del canale di scorrimento del vetro si presenta una vistosa grossa
goccia di sangue coagulata. Sul montante posto alla base di detto sportello,
parte mediana, c’è una macchina di sangue a superficie striata verticalmente
che ricade sul terreno sottostante, ove si nota che un fazzoletto di carta
(anche qui) e l’erba posta nell’immediata vicinanza macchiata di sostanza
ematica. A cm. 40 dalla suora anteriore destra, sul terreno, perpendicolare
alla base della fiancata dell’autovettura, c’è un bossolo cal. 22 col fondello
percosso.

La chiave di accensione è inserita nel quadro mentre i sedili anteriori sono


completamente ribaltati in aventi. L’aletta del parasole sinistro è abbassato.
Nel vano della plancia si trova un contenitore in plastica di videocassette e
nel portaoggetti dello sportello destro una copia de LA GAZZETTA DELLO
SPORT del 25.05.1984 sul cui pagina 7 si nota una macchina di sangue, di
forma tondeggiante, dal diametro di 2 cm.

In prossimità del pulsante di blocco interno dello sportello destro sono


presenti striature di sostanza ematica poste diagonalmente; nella parte
sottostante di queste, su altre tracce di sostanza ematica, sono residuati vari
peli di colore nero. Sui tappetini poggiapiedi, con più accentuazione per quelli
posteriori, troviamo i frantumi del vetro del finestrino in parte sporchi di
sangue. Sul tappetino destro c’è una torcia elettrica di colore blu. Sotto il
sedile anteriore destro, tra i ferri di scostamento, si trovano un paio di jeans di
colore blue, un paio di mocassini di stoffa di colore rosso, una borsa in pelle
marrone da donna nonché un bossolo cal. 22.

Sul tappetino posteriore sinistro a cm 30 dalla base dello sportello e a cm. 20


dalla base del pianale posteriore un altro bossolo mentre un altro è a cm. 34
dalla base dello sportello e a cm 3 dalla base del pianale.

Sulla guida sinistra del sedile sinistro, parte terminale posteriore, è presente
un altro bossolo; sotto di questo due scarpe di colore bianco da uomo.

Sul pianale posteriore, interamente ricoperto da moquette azzurro


parallelamente alla fiancata sinistra, piegati a libretto uno sull’altro, ci sono il
sedile e la spalliera; quest’ultima ha la superficie macchiata in più parti di
striature di sostanza ematica e sul bordo superiore, parte mediana, dei
residui di sostanza coagulata organica. Sotto il sedile suddetto ci sono: un
paio di pantaloni da uomo di colore verde di tipo militari, macchiati di sangue
(entro i quali verrà ritrovato il portafoglio del ragazzo trapassato da un
proiettile, ritenuto nella tasca) ed una coperta, nell’angolo posteriore sinistro
del pianale, una scatolina di metallo, colore verde o bianco, contenente una
bustina con all’interno un profilattico. Un’altra bustina vuota di profilattico è tra
le coperte assieme ad un orologio di metallo bianco.

Sul vetro del lunotto laterale destro, sono presenti vari schizzi di sangue in
massima parte puntiformi; altri schizzi si notano sulla superficie laterale
destra del lunotto, per chi osserva dall’interno.

Sulla destra del pianale, giace, sul fianco sinistro, il cadavere del ragazzo. E’
rigido, cereo, inodore, freddo, integro, senza pantaloni, con la testa rivolta al
portellone posteriore, alla cui base aderisce con la regione parietale; gli occhi
e la bocca sono chiusi, il viso è sporco di sangue e poggia con la guancia
sinistra; dalla boccia fuoriuscita della sostanza organica. Questa è
intervenuta dopo i primi colpi ricevuti segno di indici di vitalità del ragazzo che
l’assassino potrebbe aver represso poi con le molte ferite d’arma bianca.

Il braccio destro è piagato verso il corpo, ha la mano con le dita leggermente


flesse ed è incastrata sotto l’arto del costato inferiore destro; il sinistro è
invece piegato sotto il corpo. Il tronco è leggermente ruotato a destra.
Gli arti inferiori sono uniti e piegati, il destro poggia a sinistra che, a sua volta
poggia con la parte esterna sul pianale; i piedi pendolo dal pianale in
direzione del sedile anteriore destro.

Il cadavere indossa una maglia a mezza manica, di colore beige con righe
blu, macchiata di sangue con più accentuazione nella parte inferiore; un paio
di slip completamente intrisi di sangue ed un paio di calzini bianchi anche
essi macchiati di sangue.

Tutte le superfici utili, allo scopo di porre in evidenza eventuali impronte


papillari latenti, sono state cosparse con polvere esaltatrici in alluminio,
mettendo così in evidenza due serie di 5 frammenti d’impronte sul
montante superiore dello sportello destro.

Relativamente ai colpi d’arma da fuoco il ragazzo è stato attinto da un colpo


in regione auricolare sinistra, penetrato nelle strutture encefaliche in sede
temporale, con proiettile ritenuto; un colpo all’emitorace sinistro, poco
penetrante e ritenuto nella cute sottostante (dotato di scarsa energia avendo
prima frantumato il vetro); un colpo all’ipocentro sinistro che, con tragitto
obliquo dal basso in alto e dall’aventi indietro, ha interessato stomaco,
diaframma e poltrone sinistro, per fermarsi in regione dorsale, dove il
proiettile è stato rinvenuto; un quarto colpo ha perforato i pantaloni
determinando - dicono i periti - la lesione contusiva in regione glutea (ma ciò
significherebbe che questi li avesse indosso il ragazzo mentre sono stati
rinvenuti piegati e sotto il sedile). L’emitorace sinistro è stato inoltre
interessato da un frammento di proiettile.

È stato inoltre colpito numerose volte (10) con uno strumento da punta e da
taglio, più precisamente: all’emitorace sinistro (1), al fianco sinistro (2),
all’ipocondrio (1), alla fossa iliaca destra (1), all’avambraccio destro (1), alla
coscia sinistra (2) ed in regione lombare destra (2) tutte con scarsi indici di
vitalità. (Si presenta qui un problema di fonte perché l’esame autoptico
differisce dalla perizia nel numero di un colpo inferto).

Sulla destra della vettura, i rovi ed i cespugli presentano tracce di calpestio


verso il campo. Nella parte terminale, all’inizio della coltivazione, si trova il
cadavere della ragazza. Giace sul terreno in posizione supina con la testa
rivolta verso l’autovettura e ruotata verso sinistra ed i piedi verso un casolare
che dista circa 500 metri.
L’occhio sinistro è semi aperto, l’altro e la bocca chiusa.

Il braccio destro indotto e disteso lateralmente, poggia con la parte posteriore


e la mano cinge (sic) degli indumenti (camicetta e reggiseno) intrisi di
sangue; il sinistro, indotto, poggia con la regione radiale.

Gli arti sono divaricati e distesi. Al di sotto è uno slip tanga strappato (sic) su
di un lato. Sulla guancia sinistra una macchina di sangue coagulato che
seguendo la linea di gravità imbratta braccio ed ascella.

Ai lobi degli orecchi orecchini in metallo giallo, al collo una catenina di metallo
giallo, spezzata nella parte anteriore, all’anulare ed al medio della mano sistri
due anelli in metallo. Al polso sinistro un orologio intriso di sangue col
cinturino slacciato.

La ragazza è stata attinta da un colpo d’arma da fuoco in regione zigomatica


mascellare destra che, penetrato nella cavità cranica, ha interessato la
regione sfenoidale, la massa encefalica, per essere poi ritenuto a livello
bulbare (No, Sig. Lotti non ha gridato mentre la tiravano fuori).

Secondo colpo avrebbe interessato l’avambraccio sinistro ma nella relazione


peritale, come per quanto riguarda il fidanzato, si dibatte sull’autonomia di
tale colpo. In poche parole se questo fosse quello poi finito sullo zigomo della
ragazza (colpo da tramite e da difesa).

Si presentano inoltre due ferite da punta e da taglio in regione altero cervicale


destra, con interessamento dei tessuti molli e del fascio vascello nervoso ma
senza danno a carico dei vasi di calibro maggiore. Dette ferite presenta fatti
emorragici nei due tramiti. Ancora, purtroppo: sette piccole ferite piuttosto
superficiali all’emitorace sinistro, lateralmente alla zona di escissione
mammaria; vicine tra loro e non infiltrate.

Numerose lesioni escoriate da trascinamento.

La regione mammaria sinistra ha subito l’asportazione totale della mammella


per una superficie rotondeggiante del diametro di 18 cm. Il fondo di tale
lesione è grossolanamente piano ed espone il grasso sottomammario per
quasi tutta la superficie, ad eccezione della parte inferiore, più profonda, che
mette a nudo il piano muscolare. I margini di detta lesione sono abbastanza
netti e non infiltrati ma risultano interrotti da piccole incisore a vari livelli; si
rileva inoltre l’asportazione del pube, della regione perivaginale, di parte della
faccia interna delle cosce alla loro radice e di parte della regione perianale.

I margini sono netti, precisi continui senza irregolarità ad eccezione della


solita piccola insicura ad ore 8. Assenza di infiltrazione e
quindi, fortunatamente, di vitalità.

******

Il duplice delitto del Luglio del 1984 si presenta particolarmente atroce agli
occhi di chi guarda per alcuni elementi che, purtroppo, caratterizzano la
scena: 1) la giovane età delle vittime; 2) l’escissione - oltre al pube - del seno
sinistro della vittima femminile.

Giunti ormai al nostro nono appuntamento, è tempo ora di affrontare due temi
essenziali per la natura di questo nostro percorso: il concetto di colpa e
quello di pena.

La colpa.

Dovremo qui distinguere il concetto di colpa da quello di colposo,


identificandola invece come un concetto più vicino a quello di imputabilità.
Attribuzione, quindi, di un fatto ad un soggetto - di cui ne è autore - in quanto
prodotto di una sua azione (od omissione) volontaria, cosciente e
consapevole. Nel nostro caso, il fatto attribuibile alle vittime è rappresentato
dalla condizione in cui queste si trovano quando (e soprattutto per cui)
vengono uccise. E la condizione, come già era stato anticipato, comune a
tutte le scene del delitto fino al momento di cui si scrive (ma che
comprenderà anche il duplice delitto del 1985) è il trovarsi appartati in luoghi
pubblici fra persone non sposate.

Il celibato poteva tranquillamente dedursi, per l’omicida, già dalla situazione


di fatto del trovare due persone, giovani, racchiuse in automobile ad
amoreggiare. Difficilmente, difatti, si sarebbero trovate due persone sposate
potendo queste beneficiare di una casa dove stare. E, nel caso in cui queste
lo fossero state, sarebbe stato plausibile un rapporto fedifrago, e che fossero
sì sposate ma non certo con chi era con loro in automobile. Anche se, forse,
in quegli anni, chi voleva tradire il proprio partner avrebbe preferito una
sistemazione alberghiera. In ogni caso, la giovane età dei bersagli ed il loro
trovarsi in automobile ad amoreggiare poteva essere valido motivo per
l’omicida per identificarli come non sposati tra di loro. Ed è una situazione,
questa, che l’assassino ricerca al fine di lederla, di infrangerla, di punirla. Sia
questa commessa tra due giovani in uno stato ormai consumato, sia in uno
stato di effusioni, di preliminari o di stretta anticipazione dell’atto sessuale.
L’omicida è sempre coerente col suo proposito criminoso, quantomeno in
tema di vittime.

La situazione generale che ricerca - e trova - è sempre la medesima,


quantomeno nella fase pre morte: una coppia di giovane (anzi giovanissimi in
questo ultimo caso del 1984), non sposata, uccisi nell’immediatezza
dell’agguato, durante un giorno festivo o prefestivo, dopo cena (ma mai tanto
oltre la mezzanotte), in un luogo appartato ma mai troppo distante da una
strada di via principale, facilmente raggiungibile in auto ma anche a piedi,
potendovi lasciare la vettura poco distante. Anche in questo delitto - seppur di
non facile ricostruzione - vediamo che l’assassino direziona la sua
aggressione ad un imminente fine mortifero dei due giovani, mirando al volto
dei ragazzi.

La difficoltà nella ricostruzione risiede nella direzione dei colpi ricevuti dai due
giovani (soprattutto l’uomo) e la fonte di questi, ovvero il finestrino lato
passeggero.

Considerando l’ipotesi per la quale i due ragazzi si trovassero già nella parte
anteriore della panda, dalla quale era stato divelto il divanetto, si vedrebbe il
ragazzo semi-seduto col fianco sinistro rivolto verso il parabrezza/finestrino
passeggero da dove, appunto, provengono i colpi che si infrangono, difatti,
sul porzione di corpo esposta. La ragazza, diversamente, poteva essere
seduta frontalmente essendo stata colpita allo zigomo destro.

L’omicida esplode qui 5 colpi d’arma da fuoco, due dei quali diretti al cranio
dei due ragazzi con fini evidentemente mortiferi nel senso di giungere alla
morte nel modo più rapido possibile come aveva fatto anche negli anni
precedenti ad esclusione del delitto del 1974 dove, ancora inesperto, era
mancato di mira e precisione preferendo un’irruenza che lo aveva costretto a
finire la povera ragazza col coltello. Le altre circostanze collimano così come
negli altri delitti.

Di diverso e di pregevole interesse ai nostri fini è rappresentato da quello che


accade dopo la morte dei ragazzi.

Come tristemente noto e da come si può vedere nelle immagini allegate al


testo, l’omicida oltre alla zona pubica asporta anche il seno sinistro della
giovane oltre ad altre non meglio identificate ferite (ma credo si possano
ritenere da punta e da taglio) poco sotto la zona escissa.
Rispetto a tale punto, si è spesso detto trattarsi di una evoluzione della
fantasia dell’omicida che migliora, modifica ed evolve il proprio agire come
accompagnamento ad una fantasia che non poteva più appagarsi con la sola
asportazione della zona pubica. Andando totalmente controcorrente rispetto
al comunemente detto, riteniamo censurabile quest’assunto non
riconoscendo nell’attività post mortem dell’assassino alcuna evoluzione, se
non in un solo caso come verrà di seguito spiegato.
Il termine evoluzione, nei termini di cui sopra, può essere considerato come
un sinonimo di sviluppo, trasformazione, miglioria, qui, fra due elementi di cui,
questo cambiamento rappresenta, appunto, un logico passaggio graduale fra
questi.

A ben vedere però il tema dell’evoluzione, nei comportamenti umani, mal si


confà quando un’azione umana è dettata ad un evento esterno. Quando cioè
questa rappresenta la reazione ad un input. Basti pensare a qualsiasi nostra
reazione emotiva e quindi comportamentale. Questa si evolve, presentando
dei cambiamenti dettati dal nostro io e dal nostro bagaglio esperenziale
quando l’input si presenta come uguale e costante, diversamente
avremo input differenti e conseguentemente reazione diverse. Come
possiamo considerare l’evoluzione di un comportamento come tale se questo
è dettato da una situazione diversa dalla precedente. Davvero riteniamo di
poter considerare come la trasformazione di una fantasia quella dettata da
uno stimolo diverso. O potrebbe essere, più correttamente, essere
considerata come una reazione a sé, coerente con le proprie convinzioni, con
il proprio credo, ma dettata non da una propria evoluzione autogena ma
da input esterni diversi.

Troveremo così più corretto identificare tale pratica post mortem dell’omicida
che si sussegue negli anni, non come evoluta, bensì some modulata. Quella
che sembra una mera bizza lessicale, presenta invece - a nostro avviso -
notevoli e sostanziali conseguenze.

Pensiamo ai delitti fin ora affrontati.

La situazione generale, come prima descritti è comune per ogni delitto.


Quella particolare, invece si distingue di volta in volta, generando -
ovviamente - reazioni diverse in chi lo osserva.

Iniziamo così ora ad introdurre il concetto di pena.

Contando tutti i delitti ad ora avvenuti, questi presentano


condizioni particolari diverse tra loro. Benché difatti si tratti sempre di una
coppia appartata con le caratteristiche soggettive ed oggettive descritte,
l’atteggiamento e la situazione con cui queste si presentano all’omicida sono
diverse ogni volta, tanto da suscitare in lui reazioni differenti, oltre alla
comune morte di cui tutti loro erano - per lui sia chiaro - meritevoli. Come ben
tutti noi sappiamo, il grado di vestizione di due persone è un chiaro indice di
una sessualità più o meno avanzato. Due persone completamente nude,
avranno un tenore sessuale ben diverso rispetto a due vestite o semi-
spogliate. E se nell’intenzione dell’omicida vi è un evidente motivazione di
uccidere una data situazione di due persone tra di loro appartate, potrebbe
questa generare in lui diverse fantasie lesive qualora la situazione fra i due
sia ad un grado diverso rispetto ad un altro.

Ricordiamo i due duplici omicidi del 1981, dove le coppie vengono uccise in
un primo momento di svestizione, durante - probabilmente date le circostanze
- i preliminari. Qui l’omicida, ad una situazione generale e particolare
pressoché identica, reagisce in una funzione maggiormente punitiva rispetto
alla morte, con l’escissione del pube e con altre ferite da punta e da taglio in
quelle zone (Ottobre ’81) coperte invece nel delitto del Giugno dello stesso
anno.
Basta osservare i due ritratti per poter apprezzare le incredibili somiglianze
tra i due delitti.

Stessa considerazione potrebbe essere fatta per il delitto del 1982 e quello
del 1968 (anche se, in merito a questa corrispondenza sarà presente più
avanti un apposito approfondimento). Anche qui, le due coppie,
completamente vestite se non per i pantaloni solo sganciati della vittima
maschile del 1968 non porta al compimento di alcuna azione lesiva
aggiuntiva, in quanto come già detto in Udm7 la condotta omicidiaria poteva
già ritenersi esaurita con la semplice (mai parola potrebbe essere più
scomoda) morte dei giovani, rei di una colpa meno grave rispetto ai coetanei
precedenti.
L’omicidio del 1983 presenta invece una situazione per l’omicida in cui non si
era mai imbattuto, ovvero due uomini, ma che presenta le stesse
caratteristiche generali di cui sopra e che non provoca in lui alcuna attività
susseguente alla morte né correttiva (vd. L'uomo dietro il mostro 8).
Arrivando ora al 1984, l’assassino si trova di fronte ad una situazione:
ragazzo in mutande, calzini e maglietta con forse indosso i pantaloni (che poi
l’omicida avrebbe sfilato o a cui avrebbe sparato perché tenuti sollevati dal
ragazzo?), ragazza completamente nuda ad eccezione delle mutandine che
da rapporto vengono descritte come strappate e quindi non tagliate come per
quello delle vittime del 1981. Particolare questo che riconferma quanto già
detto in merito (vd. L'uomo dietro il mostro 5), ovvero che queste risultano
tagliate quando l’assassino ha già in mano la lama per averla utilizzata per
recidere i pantaloni (o la gonna) seguendo quindi la linea del suo agire,
quando invece la ragazza indossa solo quelle (1974 e 1984) è l’assassino
stesso a strapparle, non avendo nessun ostacolo da recidere tra lui ed il
pube.

È la prima volta dal 1974 che l’omicida si trova di fronte la stessa situazione
generale e particolare. Le altre (1981, Ottobre 1981, 1982 e 1983) erano
difatti tutte diverse.

E qui, per la prima ed unica volta, la fantasia dell’omicida - e


conseguentemente il suo agire da questa dettata - compie
una evoluzione quando appunto l’input che riceve è il solito, dopo 10 anni in
cui è sia anagraficamente che omicidiariamente più maturo. Osserviamo la
somiglianza fra le vittime e come queste vengono ritrovate, a nostro avviso
impressionante.

Non sarebbe forse erroneo considerare la morte come “pena principale” ed i


colpi post mortem o le escissioni come “pene accessorie”. Pena, principale
ed accessoria, che in perfetta sintonia con i principi dell’età dei lumi
racchiuderebbe in sé sia il proprio carattere retributivo sia general preventivo
o deterrente. Il carattere retributivo si manifesta come corrispettivo di quanto
commesso dalla coppia al momento in cui questa viene in contatto con
l’omicida. Alla maggior nudità dei corpi e quindi al maggior coinvolgimento
sessuale della coppia, l’omicida corrisponde una pena base consistente nella
privazione della vita, ed altre accessorie come i colpi post mortem o le
escissioni. In ottica retribuita, alla maggior esposizione del corpo nudo (e di
conseguenza anche dell’attività sessuale consumata) l’assassino infierisce
maggiormente sui corpi delle vittime, concentrandosi maggiormente su quello
della donna, meritevole quindi di maggior pena.

Il carattere preventivo della pena esplica invece il suo effetto deterrente


nell’opera di messa in scena an plein air dell’opera delittuosa. In tutti i delitti
(eccetto quello del 1985, non a caso l’ultimo) attributi all’omicida delle
coppiette, l’omicida non occulta mai i cadaveri. Non tenta di nascondere il
frutto della sua azione, ma anzi lo esalta.

L’omicida lascia agli occhi dei propri spettatori una orribile rappresentazione
del suo agito. Spettatori composti sia dagli organi inquirenti sia, grazie
all’opera dei mezzi di comunicazione, la collettività stessa. Lungi dal rischiare
di porgere un complimento con questo termine ad un perfido assassino, la
“teatralità” in questo caso identifica una particolare attenzione dell’omicida
per il momento in cui verranno ritrovati i cadaveri.

L’omicida utilizza, quindi, la pubblicità data ai suoi omicidi come mezzo per
inviare un messaggio a quella collettività di cui lui stesso fa parte ed al
contempo sente di dover educare. Le orribile nefandezze dell’assassino,
dunque, riecheggiano indirettamente in ogni dove mandando un messaggio
ben preciso e purtroppo non sempre compreso: non dovete voi compiere
questi atti, in questi luoghi ed in questi momenti altrimenti la punizione che
meritate è questa. Il tutto sotto forma di un vero e proprio principio di legalità:
chiarezza sul fatto vietato e conseguenze per questo stabilite.
La cosa curiosa, è che l’omicida, il Mostro, qua, non si inventa niente. Anzi,
prende appunti e copia, riproducendolo a sua immagine e somiglianza.

Perché sì, tutto quello che fa era già stato scritto. E non da lui.

Segue... (A settembre).

5 commenti:

Orbital ha detto...

Signor Oltremari,

mi piacerebbe sapere chi sia l'individuo con un figlio di 10-11 anni


che all'epoca dei delitti 1981 era stato sospettato, anche solo le
inziali.

I sardi entrarono nelle indagini mdf nel 1982, e nel 1981 mi pare
fosse sospettato solo Enzo Spalletti.

grazie ancora per il lavoro che sta facendo, molto, molto


interessante.

27 luglio 2018 alle ore 20:46

Unknown ha detto...

Salve Orbital,

In tutta onestà non riesco davvero a capire di chi stia parlando.

A questo punto, a meno che non si tratti di una mia incomprensione


riguardo il tema della sua richiesta, le rigiro la domanda chiedendole
chi sia l'individuo a cui lei si riferisce.

Grazie a lei per l'interessamento e le belle parole spese,

E.O.

28 luglio 2018 alle ore 13:29


Orbital ha detto...

Grazie per la risposta. Trovo la sua monografia che a puntate sta


pubblicando su questo blog, sia l'analisi più razionale che abbia mai
letto sulla vicenda.

Una piccola introduzione.

Scrivevo nel vecchio forum MdF, ora purtroppo chiuso


(http://mostrodifirenze.forumup.it/)

Purtroppo anche i link ai miei post sono stati cancellati - come tutto il
forum-, inutile dire anche sotto quale nick scrivevo, ma le posso dire
che nel forum ero giunto ad avanzare le stesse perplessità su alcuni
punti che vengono dati per scontati.

Ad esempio non riuscivo a spiegarmi come il mdf era arrivato


all'omicidio dei due tedeschi nel furgone tramite un errore, non solo
perchè uomini, ma neppure gay.
Ma come (mi chiedevo), il mostro esce di casa e spara a caso dentro
a un mezzo senza accertarsi di cosa stiano facendo chi vi sta
dentro? (due amici a leggere un giornale? una coppia ad ascoltare la
radio? a fumare? a discutere? ecc..).

L'omicidio dell'82.
Il punto di arrivo e di fuga dell'assassino, non dalla via principale ma
dal bosco retrostante, implica di nuovo una scelta premeditata del
luogo, perchè quindi considerarlo un luogo meno calcolato e più
contingente degli altri?

Altra mia curiosità era data dall'arma bianca. Nel 1968, l'aveva con
sè? Nel 1974, l'uso della lama, quanto era premeditato e quanto
contingente?

Queste e mie altre perplessità che nel forum non trovavano risposte,
vengono argutamente analizzate, e secondo me risolte nel suo
lavoro. Ancora complimenti.

Tornando adesso alla domanda iniziale, mi riferisco alla sua puntata


numero 6
(http://insufficienzadiprove.blogspot.com/2018/06/luomo-dietro-il-
mostro-6-di-e-oltremari.html)
quando scrive
Ipotizzando una tal relazione troveremo un soggetto (l’omicida) che
durante i giorni infrasettimanali non può uscire di casa la sera
perchè, appunto, ha il proprio figlio in casa, di un’età incompatibile
con la possibilità di rimanere appunto da solo la sera e la mattina
successiva (massimo 10/11 anni?).

Nei commenti sottostanti Edgar A. Doe ha detto...


Comunque se non sbaglio uno dei personaggi indagati nel 1981
abitava con il proprio figlio,il piu giovane.Penso che all'epoca avesse
10-11 anni.Anche se il personaggio in questione secondo gli atti
abitava con una nuova compagna e non da solo.

Ancora sotto abbiamo la sua risposta


Circa la persona attenzionata sì, potrebbe benissimo essere
compatibile. Anche se, ritengo più probabile una libertà "attiva"
dell'omicida, cioè che sia lui a crearsela e non a profittare della
mancanza altrui (magari aleatoria). Però possibile, certo.

La mia domanda quindi, rivolta a lei e a Edgar A. Doe, è la seguente:


Quale persona con un figlio di 10/11 anni, indagata nel 1981, vi
riferite?
Anche solo le iniziali.

Grazie per l'attenzione.

28 luglio 2018 alle ore 19:06

Unknown ha detto...

Buonasera Orbital,

Purtroppo non ho mai seguito né frequentato troppo il vecchio forum,


pertanto non sono a conoscenza di alcuna teoria passata lì di
mezzo.

Circa la sua domanda: il mio riferimento nella puntata6 era


puramente di profilazione, cioè tramite un ragionamento abduttivo
cercavo di disegnare la persona del colpevole di questi delitti
partendo dai dati che avevo a disposizione.
Quanto scritto dall'utente E.A.Doe, facevo leva su una sua
conoscenza di questo soggetto (a me ignoto). MI si riferiva avere un
figlio dell'età da me ipotizzata e quindi rispondevo che sì, poteva
combaciare con il profilo che tentavo di realizzare. Ma nulla più.
Sto cercando, con questi lavori, di muovermi in senso opposto a
come tante volte si affronta questa vicenda. Solitamente, parlando
del tema di questi omicidi, si è soliti partire dalla figura di un indiziato
(già individuato) e poi costruirci sopra l'impianto accusatorio o
assolutorio. Io vorrei agire in senso opposto, cioè prima delineare un
profilo e poi vedere se è possibile applicarlo ad unindividuo.
Diversamente ogni mia riga sarebbe viziata dal voler far confluire
ogni lineamento di quel profilo al nome dei soliti indagati. E così non
riuscirei nel mio intento.

Dovremmo quindi rivolgere entrambi la stessa domanda all'utente


E.A.Doe.

La ringrazio ancora per i complimenti ed a presto,

E.O.

29 luglio 2018 alle ore 00:45

Unknown ha detto...

io mi son fatta l'idea che il mostro sia qualcuno che approccia le


ragazze magari con la scusa di un nuovo lavoro, e che dia loro un
biglietto da visita che poi ricerca quando sparpaglia il contenuto delle
borsette. e poi penso che sia un tipo che ha comunque dei "rimorsi"
se è vero che telefonò alla moglie di spalletti per dire che il marito
non sarebbe rimasto in carcere a lungo. è una "promessa" che
avrebbe fatto qualcosa per non far stare dentro un innocente no?

30 settembre 2019 alle ore 10:17


L'Uomo dietro il mostro 10 di E. Oltremari
10:37 FLANZ UDM 7 COMMENTS

Venerdì 06 Settembre 1985 o Sabato 07 Settembre 1985 - Loc. Scopeti,


San Casciano Val di Pesa. “50”

50 anni. Cinquanta.

Molto di più di quanto quei ragazzi abbiano mai vissuto.

Non si sono mai visti crescere, non si sono mai lasciati e poi rincontrati, non
si sono mai guardati negli occhi davanti ad un altare, né hanno mai avuto
alternativa alla loro relazione. Non hanno mai supportato l’altro durante la
gravidanza, né dibattuto sul nome da dare al nascituro. Non lo hanno mai
visto nascere, né crescere, studiare, vincere, perdere, amare, piangere,
mettere su famiglia, invecchiare. Un po' come loro.

Tanti anni fa ebbi la fortuna di parlare con un amico della coppia uccisa a
Calenzano. Stefano e Susanna. Ero agli inizi dei miei studi e gli chiesi di
raccontarmi di quei giorni. Mi raccontò di come seppe della morte dei suoi
amici, della incredulità, della disperazione e della paura. Mi disse che a volte
pensava al fatto che se quella notte di Ottobre i suoi amici non avessero
avuto voglia di far l’amore, magari, oggi, i loro figli avrebbero avuto la stessa
età dei suoi. Magari sarebbero cresciuti assieme, avrebbero frequentato le
stesse scuole e magari, sì, giocato insieme a pallone. Un po' come loro.

Ho una sorella molto più piccola di me. Ha la stessa età di Pia. Una bambina.
Non una ragazza, ma una bimba. Non riesco a vederla altrimenti. E per
deformazione professionale penso a chi, Pia, se l’è trovata di fronte quella
notte di Luglio. A chi le ha rivolto contro un’arma. Non ha visto quei tratti dolci
del viso o la pelle ancora levigata dalla natura. Non ha visto tutte le possibilità
che la sua età le poteva offrire. Ha visto altro e lo ha preferito a Pia e
Claudio.

A volte li dimentico, tutti loro. Tutti e sedici.

Li abbiamo trascinati in chiacchiere da tastiera in quel becero vocio da social


network che ha gravemente confuso il diritto di libertà di manifestazione del
pensiero con quello di dire quel che si vuole.

E credo che nessuno potrà mai perdonarci per questo. Soprattutto Loro.

Anni fa mi trovai bordo lago (non Trasimeno, tanto per sviare dubbi sul tema)
seduto su una panchina a parlare con uno dei protagonisti di questa storia.
Gli raccontavo le mie idee, i miei dubbi, gli spunti e quelle che
narcisisticamente ritenevo essere validissime intuizione riguardo a chi, quelle
notti, aveva ucciso sedici ragazzi senza…

Lì mi fermo e mi chiese perché sedici.

Sorpreso, risposi che era il numero dei ragazzi uccisi. Otto duplici omicidi,
quindi sedici corpi.

Mi interruppe nuovamente e con la mano mi fece cenno che no, non erano
sedici, ma molte di più.

Intuii dove voleva andare a parare, così fui io ad interromperlo quella volta
assecondando la sua correzione e suggerendogli - per mostrarmi preparato -
che, certo, si riferiva alle morti collaterali, le prostitute, chi incaprettato e
mutilato, chi impiccatosi coi piedi che strusciavano per terra…

Ancora quella mano che diceva no, no Enea, sono ancora molte di più.

Pensai di rispondere aggiungendo il lavoratore della terra agricola col


maglione tirato su, ma prima di pronunciare il suo nome capii che forse, quel
signore di fronte a me, voleva solo che rimanessi in silenzio, perché la
risposta non era in nessun nome.

Siamo noi, mi disse. Io e te. Ma non solo. Chi sulle scene del delitto si è
chinato sui corpi per descriverli nel verbale, chi in divisa si trovava ogni estate
col timore di sentire i rintocchi della Calibro 22 che sancivano un loro nuovo
fallimento e chi ci credeva davvero; chi era in quell’aula di tribunale a
prendere appunti da trasporre in un articolo di giornale, o chi sui banchi nella
convinzione di far giustizia e chi invece deciso a difenderla; chi era lì a
decidere; chi a casa davanti alla tv; chi dentro quelle macchine ci ha lasciato
un amico, un amore mancato, una sorella, un fratello, un figlio o una figlia o
un nipote o chi in quegli occhi spenti ha visto solo sé stesso e da quel giorno
non ha fatto altro che collezionare articoli di giornale; chi ha aperto un blog,
chi ha passato le notti a ricopiarvi sentenze, chi ci ha scritto un libro, chi due,
chi ci ha fatto un film o un documentario dvd con contenuti speciali, chi si
mette un microfono in mano per parlare ad una folla di appassionati in un
qualche circolo toscano, chi ne parla alla radio, chi ne scrive per lavoro e chi
passa le giornate a spulciare e commentare pagine Facebook dedicate al
tema.

Siamo noi, che ci pensiamo ogni singolo giorno della nostra vita. Vittime
collaterali di questa storia. Certamente non equiparabili a quei ragazzi, ma
comunque vittime, chi in un modo o chi nell’altro, di quegli spari nel buio.

Siamo noi che mentre ne parliamo, scriviamo ed ascoltiamo di questa triste


vicenda ci lasciamo trasportare dall’entusiasmo di scoprire chi li ha uccisi. Chi
è l’uomo che si cela - appunto - dietro il Mostro. Altre volte, invece, ci
sorprendiamo quando alla letta di un articolo su un giornale o di una news su
qualche blog ci prende il timore che alla fine quel mostro non sia poi il nostro
mostro. La percepiamo, distintamente, quella punta di timore di vedersi
sfuggire dalle mani la propria idea e che tutto questo ricercare, sia ormai
finito.

Io la sento e me ne vergogno. Terribilmente.

Abbiamo paura - tutti - di rimanere delusi dall’avvilente banalità che talvolta si


nasconde dietro il male. E prima lo confessiamo a noi stessi, prima
riusciremo ad affrontare il nostro mostro che ci ha reso vittime inconsapevoli
(solo per noi, non per lui sia chiaro) delle sue azioni.

Perché a cinquant’anni da quel 21 Agosto 1968 siamo ancora qua ad


affrontare il nostro mostro. Galleggiamo alla deriva nella vergognosa
speranza di non vederci disillusi dalla verità e nell’eccitante timore che il
nostro più inconfessabile tra i pensieri non si realizzi.
Mai più.
21.08.2018

E. Oltremari

Diversamente dal solito, per questo nuovo appuntamento, ho preferito iniziare


con alcune righe scritte il ventun agosto scorso in quello che è stato il
cinquantesimo anno dopo il delitto di Castelletti del 1968.

Non lo pubblicai al tempo solo perché il clima di quei giorni le avrebbe poste
nella coda delle tante parole, trasmissioni, dirette, presentazioni, articoli che
si sono susseguiti. Adesso, invece, rappresentano quanto di meglio avrei mai
voluto considerato che stiamo arrivando ad un punto nevralgico del nostro
percorso.

Sarebbe pretenzioso ed assolutamente riduttivo trattare, anche solo per il


poco spazio fruibile al lettore, di un delitto come quello del Settembre del
1985 dove si è già scritto così tanto e bene da rinviare con piacere - e
massimo rispetto - ai lavori di altri Autori (F. Cappelletti, V. Adriani, P. Cochi,
M. Bruno solo per citarne alcuni delle più recenti pubblicazioni) che hanno
dettagliatamente già analizzato quello che rappresenta uno dei più complessi
tra i delitti dell’assassino delle coppiette.

Così, dato la superfluità di ritrattarlo dal punto di vista criminalistico,


preferiamo trarre a nostro vantaggio la componente criminologica utilizzando
questo ultimo delitto come conferma (o smentita, sia chiaro) di quanto fin ora
raccolto nei nostri precedenti appuntamenti. Questo nuovo incontro sarà
suddiviso in due parti, la prima come raccolta e schematizzazione dei dati ad
ora emersi e la seconda di raffronto con l’ultimo delitto della serie e la
predisposizione analitica di un profilo.

Ci poniamo, quindi, nell’ottica di chi si trova dopo il 29 Luglio 1984 - e prima


del Settembre dell’anno successivo - quando un omicida ha appena trucidato
due fidanzati appena diciottenni e ci chiediamo: quali dati abbiamo fino ad
ora?

Circa la profilazione prettamente biografica abbiamo ipotizzato un soggetto di


sesso maschile, residente all’interno della provincia fiorentina, buon
conoscitore delle aree dove ha colpito, abile nel muoversi in condizioni di
sfavore (al buio e nella boscaglia), medio sparatore e buon utilizzatore della
lama, capace di modulare le proprie reazioni in base alle circostanze che gli
episodi - anche imprevisti - richiedono.

In sette duplici omicidi non contiamo alcuna segnalazione certa. Nessuno lo


ha visto in azione se non, forse, un bambino che poca ricorda e quel poco è
molto confuso ed un guardone che magari ha visto soltanto dei corpi privi di
vita ma non quanto accaduto poco prima. Considerato i luoghi dove ha
colpito (aree che seppur appartate non si presentavano come totalmente al
riparo da vie asfaltate o comunque sguardi indiscreti) è plausibile che
l’omicida li conoscesse molto bene o che comunque avesse avuto il tempo ed
il modo di studiare i suoi assalti così da rendere maggiormente efficace
l’aggressione soprattutto in relazione all’economia dei tempi non certo esigui
dato ciò che sarebbe andato a realizzare. Ci è lecito altresì ipotizzare
un’appartenenza dell’omicida ai luoghi dove ha colpito. Tutti circoscriventi
l’area fiorentina ma nessuno all’interno del comune del capoluogo toscano.
Punto, quest’ultimo, che verrà trattato in un capitolo specifico sul tema del
profilo geografico.

Circa invece la componente soggettiva, il nostro omicida sembra rispettare


rigidi canoni di comportamento che dirigono il suo agire verso il più spietato
dei fini. L’assassino - come già descritto nel precedente appuntamento a cui
rimandiamo - sembra rispondere ad un proprio codice che applica all’azione
postasi di fronte a lui. E quale è questa condizione?
Due persone appartate tra loro in apparenti atteggiamenti amorosi ed in un
luogo pubblico durante un giorno festivo o prefestivo.

Fra queste condizioni che potrebbe comportare un minimo di dibattito è


quella degli atteggiamenti amorosi applicabile al duplice delitto del 1983 (di
cui però abbiamo già trattato ed a cui rinviamo per le conclusioni sul
tema L'uomo dietro il mostro 8) ma le altre - vittime, luogo e tempo - appaiono
costanti in tutti e sette i casi da noi esaminati.

Sembrerebbe, dunque, che l’omicida abbia diretto la propria azione mortifera


all’interno di una situazione che riteneva così biasimevole da applicargli una
pena - la morte - e delle pene accessorie - colpi post mortem ed escissioni -
come corrispettivo di quanto concretamente le coppie stavano facendo,
calibrando quindi la sua offensività sui cadaveri in relazione alla colpa
commessa in un lineare principio di legalità e certezza della pena.

Proviamo, allora ad analizzare analiticamente questi condizioni che creano la


situazione meritevole di punizione.

In tal senso aiutiamoci con una rubricazione, approssimativa ma utile alla


comprensione, che suddivide questi termini in comportamentale, modale,
locale e temporale.
Il primo fra questi, comportamentale, si riferisce alla colpa principale delle
vittime, a loro tutta comune e cioè il compiere atti sessuali non in costanza di
matrimonio o in atto di adulterio o comunque non ai soli fini procreativi.

Il secondo, modale, ricomprende - invece e più nello specifico - la concreta


azione svolta dai giovani al momento della loro uccisione o comunque
dell’aggressione. Fra queste possiamo considerare - ad ora - i soli c.d.
preliminari visto che nessuna coppia al momento dell’aggressione stava
avendo un rapporto sessuale completo, mentre forse solo una di questa
(Vicchio 1984) vi fosse andata molto vicino. Come preliminari dobbiamo qui
considerare sia le semplici effusioni, sia gli strofinamenti, sia fellatio o azioni
manuali, ovvero tutti quei comportamenti che precedono l’atto sessuale
completo.

Il terzo, locale, si riferisce ai luoghi dove l’azione sessuale viene commessa.


Sono tutti luoghi pubblici. Stradine sterrate, spiazzi lungo una via, campi e
tratturi a non più di 50m da una via principale. In ogni caso, si trattano, tutti, di
luoghi pubblici e manifesti, cioè all’aperto, non fra quattro mura e dove
nessuno avrebbe potuto limitare l’accesso ad occhi di terzi indiscreti. L’azione
sessuale benché compiuta all’interno di una vettura era comunque
parcheggiata in uno spazio aperto passibile quindi di essere visti da terzi o
ancor peggio, come sappiamo essere accaduto, da un bambino.

Il quarto ed ultimo, temporale, si riferisce a quando questi delitti venivano


posti in essere. Ricordiamo allora i venerdì, i sabati e le domeniche fra le
quali contiamo anche una pentecoste ed un’altra esaltazione della santissima
croce ricalcante una festività cristiana - di origine però celtica - chiamata delle
c.d. tempora, da celebrarsi quattro volte l’anno (una per ogni stagione). Così
riassunte queste quattro regole (che saranno meglio approfondite nella
seconda parte di questo episodio), descrivono di volta in volta quella
situazione che l’omicida ripaga con la morte prima (per i rei, in funzione
retributiva) e con le escissioni post mortem poi (per i posteri, in ottica
deterrente). Ed è questa una situazione questa - in tal modo suddivisa - che
verrà soddisfatta anche da quella del Settembre 1985 dove due turisti
francesi verranno uccisi mentre erano nudi all’interno della loro tenda da
campeggio piantata in una piccola radura a lato di una via trafficata in un
venerdì (o sabato) settembrino.

E sarà anche qui rispettato lo stesso principio di colpa e pena come espresso
negli anni precedenti dove il maggior avanzamento dell’atto sessuale della
coppia, intuibile dalla maggior nudità dei corpi, verrà ripagato dall’assassino
con l’escissione del pube e del seno sinistro della vittima femminile e con i
molti colpi inferti a quella maschile (di cui comunque parleremo nella seconda
parte).

Ci troveremo allora anche qui di fronte a quella scena ricercata e punita


dall’omicida rispondente a quei quattro termini sopra esposti che
compongono l’oggetto della sua missione.

Solo che questi quattro termini, che troviamo violati in ogni delitto attribuito al
Mostro di Firenze non me li sono inventati ora io - non vagliatemene per il
piccolo bluff - estrapolandomi ex post dall’analisi delle scene, ma sono già
stati descritti da qualcuno qualche tempo fa.

Niente di male se non fosse che la predica circa la commissione di


questi peccati mortali, così descritta in questi quattro canoni e così
rispondenti a questi delitti, sia stata scritta prima della commissione di questi.
Più precisamente nel 1477.

(segue…)

7 commenti:

Enrico Marletti ha detto...

Complimenti per questo bellissimo articolo e per le sue


considerazioni iniziali. Purtroppo è proprio vero, quello del mostro di
Firenze è diventato un giochino o peggio ancora una crociata per
difendere le proprie teorie ed è un virus che contagia tanti vecchi
appassionati della vicenda come me. Le vorrei chiedere, sulla base
dei suoi studi, se si può escludere la leggenda di un mostro affetto
da impotenza o disfunzioni sessuali. L'accanirsi sulle vittime e lo
scempio dei corpi delle povere ragazze sono semmai manifestazioni
di una sessualità malata e abnorme (ipersessualità). Cosa ne
pensa?

10 settembre 2018 alle ore 22:18

Unknown ha detto...
Salve Enrico,

A mio modesto avviso non credo ad un omicida affetto da una


qualche impotenza o disfunzione sessuale. Non vedo nei delitti una
compensazione a tale incapacità se non una vera e propria
negazione prima e punizione poi dell'atto sessuale in sé come
evento, non come atto.
Allora stesso modo non intravedo forme di ipersessualità. Spesso
accade che tali disturbi si palesino in comportamenti sessuali
compulsivi proprio sui cadaveri (a meno che ovvio questi non
venissero eseguiti sui feticci asportati ma in luogo diverso rispetto
alle scene del crimine), cosa che non accade in questi delitti che
come ahinoi ben sappiamo sono stati caratterizzati da altri
comportamenti di c.d. overkilling.
Vedo più, sul tema, una sorta di visione distorta della sessualità
come evento di coppia. Ma di questo parleremo nei prossimi
appuntamenti.

Ci tengo comunque a precisare che queste son solo mie


considerazione personali, niente purtroppo da poter siglare come
"certamente veritiero".

La ringrazio per i complimenti ed a presto,

E.O.

11 settembre 2018 alle ore 14:15

Piper ha detto...

Concordo su molte cose esposte nell'introduzione, nell'articolo e nel


commento che mi precede, soprattutto il cauto tentativo di voler
provare a mettere in discussione una delle "verità" che riguardano
l'insieme di elementi mitologici che contraddistinguono questo caso:
la supposta incapacità a livello sessuale (che da supposizione -
come sarebbe giusto che fosse - si è tramutata in un punto fermo).

Sono in disaccordo solo per quanto riguarda la scelta di


interrompere il discorso sempre nel momento preciso in cui il lettore,
ormai al culmine dall'attenzione, segue il pifferaio ad occhi chiusi per
poi risvegliarsi all'improvviso sospeso a tre puntini. Si attende con
ansia la prossima puntata!
18 settembre 2018 alle ore 23:49

MiniRombo ha detto...

Questo commento è stato eliminato dall'autore.

23 settembre 2018 alle ore 12:14

Dom ha detto...

Questo commento è stato eliminato dall'autore.

2 ottobre 2018 alle ore 12:10

Dom ha detto...

Buon giorno! Quindi per lei il mdf è da schedarsi come probabile


predicatore?

2 ottobre 2018 alle ore 12:12

Unknown ha detto...

Salve Domenico,
Dipende da cosa si vuole intendere per "predicatore".
Provo a spiegarmi: la classificazione che noi diamo ai vari omicida
seriali - così rubricata come da prassi nel C.C.M. - è un tentativo del
soggetto terzo di spiegare (e poi raggruppare) l'agire dell'omicida in
relazione a quello che lo ha spinto a compiere l'insano gesto.
Ora, questa razionalizzazione del comportamento dell'omicida è utile
per chi, appunto, classifica.
Spesso però non corrisponde affatto al reale movente dell'omicida
che agisce, invece, spinto, ad es. da un altro "trauma" che lui stesso
proietta - perché incapace di risolverlo - in una giustificazione, come
lei suggeriva, predicatoria ad il suo agire.
Ed è lì, a mio modesto avvisto, il terreno su cui dovremo muoverci
ponendoci questa domanda: la spiegazione che noi cerchiamo di
trovare in questi delitti è la stessa che muove l'agire dell'omicida o
solo una proiezione giustificativa di questa?
E' un terreno impervio anche di difficile indagine.

Speriamo di riuscire a dare il miglior contributo possibile per la


comprensione di tale aspetto.

E.O.

7 ottobre 2018 alle ore 10:16


L'Uomo dietro il mostro 10 di E. Oltremari
08:00 FLANZ UDM 3 COMMENTS

Poco prima del Settembre 1985

“Salve a tutti, è passato un po' di tempo dall’ultima volta e me ne scuso per


non aver adempiuto - come avevo promesso - in tempo utile all’uscita dei vari
brani di questo percorso. Mi scuso anche con chi aveva commentato i
precedenti pezzi su “Insufficienza di prove”, non avendo le notifiche in merito
ai commenti che rilasciate è capitato che siano trascorsi mesi tra un vostro
inter-vento ed una mia risposta. Pertanto, per ovviare a questi fastidiosi
ritardi, ricordo che potete scrivermi a dr.oltremai@gmail.com.

Oggi riprendiamo le fila del discorso - parallelo rispetto al quotidiano dialogo e


dibattito mostrologico - in merito alla possibilità di stilare un profilo
dell’omicida tentando di non farsi influenzare dal preconcetto naturale di chi
agisce potendo parlare dopo più di trent’anni dall’ultimo delitto.

Iniziamo così ad esporre quello che rappresenta, secondo chi scrive, il mo-
vente ai delitti, ciò che ha spinto l’omicida ad agire e che lui stesso ha posto
come giustificazione ai suoi crimini, frutto - in realtà - di un diverso trauma
che solo un nome ed un cognome potrebbero davvero spiegarci.

Buona lettura,

E.O.”

1490.
“[…] molte persone si truovano in questo tale stato, le quali o per negligen-za
o per ignoranza o per malizia vivono tanto bruttamente, e senza freno di
ragione e di conscienzia, che poca differenzia è intra loro e gente pagana, o
vero animali bruti e bestiali che non hanno intelletto niuno né ragione; e così
facendo si vengono a dannare, la qual cosa è assai nociva et in perpetuum
dan-nificativa.”

La prima regola è quella intenzionale ed ammonisce circa le ragioni per il


quale è lecito avere un rapporto sessuale per non cadere nel peccato
mortale.

Già si può intuire come la prima cagione sia quella della procreazione, da
svolgersi - comunque, non sia mai - con tristezza d’animo per limitare al
massimo la libido sessuale. Procreazione di quei figli destinati a riempire quei
seggi vuoti lasciati in Paradiso dalla caduta di Lucifero ed i suoi seguaci.

La seconda, consiste nel compiere l’atto sessuale per soddisfare il debito nei
confronti dell’altro, del coniuge, perché l’atto - quando richiesto - è dovuto.

La terza, più pragmatica, è quella di copulare per evitare distrazioni verso al-
tri mali disonesti. Dopotutto, ci dice il predicatore, da quando Adamo e la sua
compagna non si mostrarono certo probi, è difficile per l’uomo mantenersi alla
distanza dalla tentazioni e per questo, Iddio, creò il matrimonio. Quindi, per
evitare di andare a peccare a giro, meglio sfogare - seppure con estrema
riluttanza - i propri deprecabili istinti verso la propria compagna che non è
peccato mortale, ma solo veniale. Tant’è che la quarta ragione è appunto
proprio quella di attrarre a te il tuo compagno o compagna che credi
frequentatrice di pensieri disonesti così da ricordargli quale sia il più corretto
e giusto fra i piaceri.

Ma non è tutto così semplice.

Perché se abbiamo visto quali sono le ragioni per cui può esser validamente
praticato l’atto sessuale, vediamo ora quali sono le condizioni che ti fanno
staccare un biglietto di sola andata per il peccato mortale.

Il primo fra questi consiste nei limiti del matrimonio. Fuori da questi limiti,
anche qualora si trattasse di promessi sposi, poco importerebbe perché
condizione prima per la liceità dell’atto sessuale è proprio questa, cioè il
matrimonio.
La seconda consiste nel farlo pensando ad altre persone perché la sessualità
con la propria compagna non può essere utilizzare per aggirare i divieti sopra
posti.

La terza consiste in un preludio di altra regola che vedremo successivamen-


te. Consiste difatti nella modalità: passi il fatto che puoi fare l’amore con la
tua compagna, ma non fartelo piacere, né divertiti nel farlo, perché niente si
può amare più che Iddio.

Quarta ed ultima, consiste nell’utilizzare il matrimonio come mero mezzo per


potersi congiungere carnalmente con la persona amata.

La seconda regola è definita temporale e consiste in un semplice elenco di


giorni durante l’anno in cui è assolutamente proibito accoppiarsi perché,
appunto, quei giorni devono essere dedicati alle cose spirituali e non carnali.

Primo fra tutti - per intuibili motivi - è la Domenica e le altre feste


comandate.
Secondo, sono i giorni della quaresima, le vigilie comandate (tre periodi di
quaranta giorni che preparano la Pasqua, la Santa Croce di Settembre ed il
Natale) e le Quattro Tempora. Queste ultime rappresentano raggruppamenti
di tre giorni (mercoledì, venerdì e vigilia tra sabato e domenica) siti nelle
quattro sta-gioni che compongono il nostro calendario nei quali veniva
glorificato il Signo-re per ringraziarlo dei frutti della stagione e per ingraziarlo
per i successivi. Difatti, ad ogni tempora corrispondeva un frutto della terra:
olio in Inverno, fiori in Primavera, spighe di grano in Estate e grappoli d’uva in
Autunno.

In particolare quelle di Autunno cadono nella settimana della Esaltazione


della Santissima Croce (14 Settembre); quelle dell’Avvento appunto nella
settimana dell’Avvento che precedono il Santo Natale; quelle della
Quaresima, dopo la terza domenica di Quaresima ed infine, quelle estive,
nella settimana di Pentecoste.

A questi dovevano essere aggiunti quei momenti, comunque coincidenti con


questi sopra, del periodo mestruale, della gravidanza e nel periodo
precedente al matrimonio ove si apparecchia le cose pertinenti alle nozze.

La terza regola, si definisce locale che qui predica sotto duplice accezione
sia il dove luogo fisico l’atto sessuale non deve essere fatto sia - senza usare
tanti giri di parole - dove luogo anatomico questo debba (o meglio, non
debba) essere praticato.

In riferimento a quest’ultima - e riassumendo - viene fatto divieto, tanto al-


trimenti da peccare mortalissimamente, di praticare i rapporti anali e
condannando altresì la sodomia perché, dice il predicatore, Iddio ci avrebbe
fatti tutti uomini. La sorte per gli omosessuali, quindi, vi lascio immaginare
quale fosse.

Circa invece i luoghi geografici dove non si doveva in alcun modo aver atti
sessuali di alcun tipo così da non peccar mortalmente perché il sangue ed il
seme li profanerebbero irrimediabilmente.

Fra questi troviamo i luoghi sacri, come chiese e cimiteri e luoghi a questi
limitrofi. Ancora, i luoghi pubblici e manifesti dove la coppia potrebbe essere
vi-sta così da generare in chi li vede la voglia ed il desiderio di far la stessa
cosa. Come e soprattutto dai fanciulli le cui menti non devono essere viziate
dal peccato altrui.

Perché “grande confusione e vituperio debbe essere quello dell’uomo e del-la


femmina, alli quali Iddio ha dato intelletto, che si congiunghino carnalmente in
ogni luogo dove gli viene agio; e non curano se sono veduti o si no”.

Quarta ed ultima regola è quella modale che descrive, con minuzia di


particolari, tutti quei modi appunto in cui è severamente vietato compiere
l’atto sessuale che ho cercato di riassumervi per una più facile comprensione.
Interes-sante in tal senso è la conseguenza prospettata per questi modi
indegni di esercitare l’atto sessuale. Difatti a farne le spese, ne sarebbero i
figli stessi, prodotto di quel rapporto che avrebbero il sangue viziato da tale
rapporto oltraggioso.

Fra le pratiche, tutte tacciate di peccato mortale, troviamo:

- indiscreta frequentazione: vietato farlo spesso e superficialmente;

- indebita situazione: divieto per la donna di star sopra, in quanto il suo


volto deve essere sempre rivolto verso il cielo;

- inonesta proporzione: petto e ventre dell’uomo devono toccare le stesse


parti della donna. Ogni variazione di posizione è da considerarsi tanto pec-
caminosa da provocar ribrezzo anche il sol pensiero;

- delle faccie adversione: strettamente legata a quella prima, comporta la


necessità di dover stare col volto rivolto verso l’altro;

- delli sentimenti e membri corporali abusione: bandito qualsiasi forma di


preliminare perché frutto della gola, madre del demonio;

- estrinseca seminazione: il seme maschile non deve disperdersi al di fuori


della vagina né tantomeno essere racchiuso all’interno di una sacca (come i
nostri preservativi);

- commissione d’adulterio: “Oimè misero mondo! Oh quanti sono quegli che


hanno concubina e moglie!”;

- juridica e legale impedizione: contempla tutte quelle ipotesi in cui la con-


giunzione carnale sia vietata in quanto contraria a norme di legge o
convenzioni sociale. Si cita ad esempio gli atti sessuali tra consanguinei o
dopo aver attentato alla vita del coniuge per potersi a questo sostituire.
È così che parla Fra’ Cherubino da Siena (o Spoleto secondo alcuni)
rivolgendosi ai dilettissimi Figliuoli nel suo trattatello “Regole di Vita
Matrimoniale” (Testo ora liberamente consultabile sul web su archive.org) ,
edito - approssimativamente - tra la prima metà del 1400 ed il 1490. Anni in
cui il Frate - chiacchieratissimo tra gli esperti del settore - era solito girova-
gare per le vie della città fiorentina a spiare le coppie scambiarsi effusioni.

Grandi predicatori, ove spesso, dietro, si celano grandi peccatori.

Mi sono imbattuto per caso in questo scritto mentre seguivo la scia di pensie-
ri che ho cercato di riprodurre negli appuntamenti de L’Uomo dietro il mostro,
allontanandomi per un attimo dai soliti sentieri battuti, dai soliti nomi (vedo
che se ne parla comunque tantissimo quindi cosa altro avrei potuto dire se
non get-tarmi in una bagarre che avrebbe portato più tensioni che
soddisfazioni) e pro-vando ad analizzare le scene del crimine con la mente
sgombra e libera dai pre-giudizi - certo necessari - dati dal “senno di poi”.

Come ho già spiegato negli appuntamenti precedenti, ho visto nei delitti


dell’assassino delle coppiette una perfetta logica tra colpa e pena, tra fatto e
punizione, come se fosse appunto la scena che l’omicida si trovava di fronte
a dettare il suo agire ed alla quale doveva conformarsi, nel rispetto di una
propria coscienza e ritualità che non ha mai - ricordo - voluto tradire, anche
rischiando, come nel caso del Giugno 1982 (Come già riferito ampiamente
in UdM7 e di cui torneremo a parlare nell’approfondimento dedicato al profilo
geografico) o Ottobre 1981 o, ancora, Settembre 1983. An-che nelle difficoltà,
negli imprevisti, ha sempre preferito ricondurre il suo agire allo schema
impostogli dal suo credo, da ciò che lo spingeva ad uscire la notte in cerca
delle sue vittime, ciò che lo muoveva, il suo movente.

Il movente. Tradendo quanto detto poco sopra in merito al non voler trattare,
né considerare, la vicenda investigativa e giudiziaria, ho sempre trovato
deboli i grandi nomi sul tema appunto del perché, questi, avrebbero
commesso questi delitti. Rigettando fin da subito qualsiasi ottica di
mercimonio tra esecutori e mandanti e quindi un movente dettato
esclusivamente da una semplice richiesta di adempiere ad un compito
(uccidere) per soddisfare non meglio precisati riti; e volendo andar oltre al
semplice - seppur validissimo lo confesso - tradimento della fiducia della
donna e susseguente volontà di riappropriarsi di questa idealizzandola nelle
giovani vite che l’omicida intendeva recidere, ho ritenuto di dover ricercare un
elemento che legasse questi omicidi così teatrali, brutali, appariscenti.

Mi sono quindi immerso nella storia fiorentina dell’epoca precedente alla


scoperta dell’America, perché credevo che se davvero dietro i delitti vi fosse
un predicatore, è lì che poteva aver tratto ispirazione per le sue azioni. Ed ho
tro-vato un quadro che benché lontano 600 anni dall’epoca dei delitti vi era
incre-dibilmente vicino.

Una società italiana post 1968, un primo movimento di rivoluzione dei co-
stumi sessuali, un tempo di cambiamento, il sesso, i delitti, la punizione, la
predica.

Mi sono spinto dove la mia conoscenza ed il mio sapere non potevano arri-
vare e così mi sono fatto aiutare da esperti del settore, storici e teologi (che
rin-grazio infinitamente per il contributo). Mi hanno descritto una Firenze del
1400 lussuriosa, proibita, scandalosa, sodomita, dove il sesso si mescolava e
legava col potere, la chiesa e la società, tanto che fu necessario creare un
organo ad hoc per potesse arginare gli episodi che potevano attentare alla
pubblica decen-za. Le pene, severissime, per adultere, omosessuali,
fedifraghi ed attentatori del buon costume, contemplavano stigma sul corpo,
lembi di pelle ed arti appesi sugli edifici cittadini come monito per i cittadini. E
poi il cammino di penitenza, lungo le chiese della città, per mostrare ed
espiare i propri peccati fino alla casa del boia (interessantissimo qui vedere
dove questa si trovava ma sarà oggetto dei prossimi appuntamenti).
Tutto questo quadro, aiutato anche dalle rappresentazioni dell’epoca presenti
su volumi che invito i lettori a poter apprezzare in qualsiasi biblioteca
fiorentina o anche solo ad alzar la testa lungo le vie della nostra città e notare
quelle targhe che raccontano esecuzioni, gogne ed episodi avvenuti negli
angoli della città e sfido lo stesso lettore a non trovare questo quadro così
incredibilmente vicino ai delitti del Mostro: una società - ricordiamo in piena
fine degli anni ’60, colta dai primi venti parigini - che deve essere educata, un
sermone, una predica, sfortunati mezzi per poterla esprimere, un risultato. Lì
dove nasce la rivoluzione culturale, nasce il Mostro, che vi rema contro, che
recalcitra verso altri costumi, altra morale, altra epoca i cui valori (comunque
protrattisi nel corso dei secoli identificandosi nel c.d. buoncostume sessuale),
sono minacciati da una nuova corrente, che ha spostato la vivacità sessuale
(mai sopita) dei giovani - fuori dalla costanza del matrimonio - prima ad una
sua tacita accetta-zione e poi, data comunque l’impossibilità di poterla
praticare liberamente, pro-trattasi fin fuori dalle mura domestiche. Abbiamo
sempre visto questi omicidi come diretti verso, anche solo indirettamente, un
dialogo con l’opinione pubblica, ma ci siamo dimenticati che la prima opinione
colpita da questi delitti - oltre alle povere vittime - erano i loro stessi genitori.

Loro i destinatari del messaggio. Loro, forse, i veri soggetti che avrebbero
dovuto mutare le loro abitudini, riconducendo i propri figli all’interno di quelle
mura che gli avrebbero impedito di profanare il pubblico con la loro sessualità
manifesta. Perché là fuori, vi era un uomo che in determinati notti avrebbe
por-tato avanti quel suo percorso di insegnamento. Un cammino di penitenza,
di sacrificio, rispondente ad un unico dettame: voi non dovete fare ciò che
state facendo.
Un messaggio (il giusto fare) attraverso un atto brutale (gli omicidi) per edu-
care sia i giovani a comportarsi in preparazione a quelle che sarebbero state
le regole da seguire in costanza di matrimonio sia verso quei genitori che
avrebbe-ro dovuto - di proprio conto - impartire ai figli i giusti precetti e proprio
perché questi erano stati rinvenuti dentro ad un automobile ad amarsi, si
erano dimostrati negligenti ed avevano fallito nel loro compito.

È così assurdo pensare che il Mostro non si sia inventato niente, ma abbia di-
storto un messaggio ed abbia indossato le vesti del predicatore per arginare
quella, ai suoi occhi, follia che stava divampando di fronte a lui. È così
insensa-to ritenere che quei corpi straziati non fossero altro che un
messaggio da mandare alla cittadinanza, un sermone utile ad ammonire e ad
insegnare in relazione non ad un suo privato convincimento, ma a ciò che era
già stato detto, centi-naia di anni prima, fra le vie della sua stessa città.

Questa è una eventualità che nell’analizzare le scene del delitto non sento in
alcun modo di escludere, anzi, il nostro esperimento di profilazione criminale
mi sta portando proprio verso quella direzione. Ciò ovviamente non significa,
superficialmente, una lettura distorta di un testo o di un bagaglio culturale tale
da aver avuto per l’assassino delle coppiette un effetto criminogenetico, ma
l’utilizzo di questa cultura, di questo sapere, di queste idee per giustificare un
proprio agire omicidiario generato da un evento, da una psicopatologia che
troverà fondamento in un evento o condizione a noi, ad ora, sconosciuti.
Lascio al lettore, adesso, poco prima del Settembre 1985, mettere in
correlazione i dettami di Regole di vita matrimoniale (date, eventi, luoghi) con
i delitti stessi.

Spero siate colti dal mio stesso stupore.

3 commenti:

Orbital ha detto...

Bentornato dott. Oltremari,

ho sempre pensato che il mostro avesse una certa sua ferrea


"morale". Non è un ladro, quando fruga cerca oggetti sacri e strappe
collanine con le croci, ma non porta via denari.
Cerco di riepilogare le date dei "sacrifici" umani del nostro moderno
torquemada, inquisitore fiorentino conosciuto come mostro di
firenze.

il 15 agosto è data di assunzione al cielo di Maria, mentre il 22


agosto è il giorno della Beata Vergine Maria, la Barbara Locci
sappiamo bene che non seguiva le regole di Frate Cherubino, come
data poteva essere un "sacrificio" umano, ma il giorno fu spostato
solo nel 1969 per effetto della riforma liturgica di Paolo VI credo nel
68, chissà se il mostro era talmente devoto da seguire le riforme e
sapere già la data prescelta.

14 settembre, esaltazione della santa croce, inoltre la Pettini era


attivita del PCI, quindi non credo molto frequentatrice di chiesa.

6 giugno 1981, vigilia di pentecoste, giorno di sacrificio dell'agnello


che toglie i peccati, fuori da una discoteca.

22 ottobre 1981 - non ho idea.

19 giugno 1982 Santa Giuliana Falconieri, una vita dedicata alla


castità, ricevette ostia sul seno sinistro.

9 settembre 1983 il giorno prima è la natività della vergine Maria,


una delle 12 festività maggiori della liturgia cristiana.

19 luglio santa Marta, lavò i piedi a Gesù e li asciugò coi capelli,


secondo la tradizione morta vergine.

8 settembre di nuovo natività di Maria.

da considerare anche che il messaggio di spedire la busta per


spaventare il magistrato donna viene inviato da San Piero cioè
nientepopodimeno che da San Pietro... e non lontano dalla sua
statua.

29 novembre 2018 alle ore 07:31

Unknown ha detto...
Salve Orbital,

Alcune considerazioni in merito alle date e ricorrenze elencate.


Innanzitutto, mi preme dire che ove non ricorra una data "certa" già
l'azione in sé, o la qualità dei soggetti, rappresentava un peccato da
punire ed un messaggio da inviare.

Il 9 Settembre rappresenta anche l'inizio della settimana della


Tempora autunnale propria dei giorni precedenti al 14 Settembre e
comunque sì, anche alle natività di Maria.
Anche se, credo, che qui (1983) la colpa sia riferito alla condizione
dei due uomini appartati.

29 Luglio, più che ad un discorso di "santi" (che credo che per mera
distrazione, si riferisca a Santa Maria di Betania e non Santa Marta)
qui si debba far riferimento alla Domenica, come giorno elencato
nella regola temporale.

Nonostante il delitto sia stato commesso a non più di 100 mt dal


tabernacolo della Vergine ed a non più di 250mt dalla Chiesa di
Santa Maria in Travalle, che che il 22 Ottobre credo meriti un
discorso diverso.
Come già avevo accennato nell'approfondimento per il delitto
dell'Ottobre 1981, ritengo che l'omicida agisca più per "esigenza"
che per ritualità, andando a sacrificare quella che era la regola
temporale per o una locale (intesa come geografia dei luoghi, di cui
parleremo) che intenzionale.
Ritengo che in questo delitto l'assassino si dimostra uomo e non
mostro, dandoci spunti interessanti di riflessione sulla sua
condizione lavorativa e familiare.

A presto,
E.O.

4 dicembre 2018 alle ore 21:03

Unknown ha detto...
Bella ricostruzione, assolutamente degna di nota.
In cuor mio ho sempre ritenuto che l'obbiettivo del Mostro fosse
quello di punire "l'intimità" della coppia, forse mosso da invidia. Però
l'idea di un "fondamentalismo religioso" di contorno è molto più
plausibile e anzi, non è detto che l'invidia non c'entri: lo scatenarsi di
pulsioni sessuali nel vedere certi atteggiamenti che le coppiette gli
risvegliavano erano sufficienti per punire i poveretti con la morte, e
più in là si spingevano i due, più lui si eccitava e si sentiva invidioso
e più dovevano essere puniti, proprio per aver suscitato in lui
pensieri peccaminosi.

6 dicembre 2018 alle ore 19:42


PUNTURE. Riflessioni in tema di modus operandi di E. Oltremari
15:00 FLANZ UDM NO COMMENTS

Introduzione.

Capita spesso, trattando di questi delitti, che l’osservatore si dimentichi -


senza colpa - dell’umanità di chi li ha commessi. Lungi dal voler lodare
l’autore dei delitti attribuiti al c.d. Mostro di Firenze, l’accezione umana, in
questo caso, si riferisce alla condizione umana propria dell’omicida che,
come tale, si comporta ed agisce come un uomo alle prese con un’azione da
compiere ed un obiettivo da raggiungere. Proprio, quindi, come il bipede
frequentatore di piazze e bar, anch’esso deve affrontare ciò che il suo collega
erectus battaglia ogni giorno: ostacoli. Tutto ciò che all’uomo si interpone tra
sé ed il proprio obiettivo configura un elemento di ostacolo - appunto - da
aggirare, affrontare per così raggiungere la propria meta, sia questo di
carattere sociale, burocratico, naturale, fisico o umano.

Non si commetterebbe errore alcuno - purtroppo - se si volesse identificare la


meta dell’omicida nell’evento morte dei malcapitati giovani. Meta che -
come, ahinoi, ben sappiamo - riesce sempre a raggiungere, non essendo a
noi noti suoi “colpi a vuoto”. Ogni volta che l’omicida ha premuto il grilletto è
riuscito nel suo intento senza lasciare superstiti.

Gli ostacoli che a questa macabra meta si frappongono sono di diversa


natura e che per praticità proveremo ora ad esemplificare.
Avremo, ad esempio, ostacoli di natura geografica, consistenti nella
geografia dei luoghi, nel loro raggiungimento, nella conformazione del terreno
e della flora circostante ai luoghi del delitto.

Ostacoli di natura morale e psicologica, consistenti nel compimento


dell’azione omicidiaria in sé, nel timore di essere scoperti, nell’eccitazione
dell’azione tanto attesa e pianificata, nella maniacalità e nella ritualità dei
gesti, nell’eventuale relazione con le vittime ed a loro eventuali reazioni ed
interazioni con l’omicida.

Ostacoli di natura pratica, consistenti in tutto ciò che concerne l’azione


materiale mortifera e post mortem: utilizzo dell’arma, cambio mano,
trascinamento corpi, avvicinamento alla vettura, scelta del lato da cui far
partire l’aggressione, dove compiere le escissioni, dove conservare i feticci e
come portarli via dalla scena, come raggiungere la propria abitazione, ecc…

Ostacoli di natura sociale, riferibili ad ogni genere di allarmismo provocato


dal crescente pericolo di aggressioni, a cui devono collegarsi sia la maggiore
attenzione delle forze dell’ordine che degli stessi ragazzi più attenti ai luoghi
dove appartarsi e ad eventuali avvicinamenti sospetti alla vettura.
Stante quanto sopra premesso, verremo ora ad analizzare quelle che sono le
azioni dell’assassino delle coppiette durante i suoi otto percorsi di morte,
cercando di sottolineare quali comportamenti dell’assassino sono riscontrabili
come evoluzioni, correzioni del suo agire e di rimozione di ostacoli verso il
suo obiettivo primatio. Attraverso questa analisi, ci prefiguriamo l’obiettivo di
stimolare argomenti di riflessione utili ad un corretto inquadramento
comportamentale dell’autore dei delitti.

2.1. I delitti. Legenda.

Per praticità e chiarezza, come già realizzato per gli approfondimenti de


“L’Uomo dietro il mostro”, utilizzeremo la seguente rubricazione per
identificare di volta in volta i duplici omicidi:

Caso 0 (Locci/Lo Bianco);

Caso 1 (Pettini/Gentilcore);

Caso 2 (De Nuccio/Foggi);

Caso 3 (Cambi/Baldi);
Caso 4 (Mainardi/Migliorini);

Caso 5 (Rush/Meyer);

Caso 6 (Rontini/Stefanacci),

Caso 7 (Mauriot/Kraveichvili)

Premessa: per economia i paragrafi che seguiranno non conteranno la


descrizione dettagliata della scena del crimine e spesso saranno dati per
conosciuti elementi che risulteranno certamente digeribili e conoscibili ai non
neofiti della materia.

2.2. I delitti. La Genesi.

Il tramite dei colpi d’arma da sparo riferibili al Caso 0 depone per un’azione
omicidiaria rapida, fulminea, tale da cogliere di sorpresa i due amanti così da
recarne la morte nel più breve tempo possibile. Azione a sorpresa verificatasi
nonostante la difficile geografia del luogo del delitto: l’automobile si trova,
difatti, parcata su una superficie composta da sassi - non propriamente utile
ad una camminata silenziosa e felina - e con una vegetazione di copertura
distante dalla vettura (fig. 1),

dovendo considerare quella limitrofa alla fiancata destra della vettura come
non consona ad un occultamento e comunque opposta dal punto di origine
dei colpi d’arma da fuoco.
In tal senso, l’omicida avrebbe quindi dovuto muoversi senza coperture per
alcuni metri prima di arrivare allo sportello lato guidatore, aprirlo ed esplodere
i colpi di pistola. Il tutto, ricordiamo, con estrema efficienza ed efficacia,
stante il risultato.

Fra le azioni poste in essere dall’omicida risalta sicuramente l’apertura dello


sportello. L’automobile, così come parcheggiata in relazione al punto di
sparo e presupponendo uno sparatore destrimane - come appurato dalle
perizie circa le ferite d’arma bianca riscontrate negli anni successivi - rendeva
possibile un’apertura dello sportello con la mano sinistra così da lasciare
libero spazio al braccio destro di alzarsi e puntare l’arma contro i due corpi,
più riversi sul sedile lato passeggero.

Azione questa tanto naturale da non trovare ostacoli o impedimenti verso


l’evento morte che si realizza in un arco temporale ristrettissimo, senza colpi
a vuoto o eccessive reazioni da parte delle due vittime che probabilmente
non si sono accorte di niente fino all’apertura dello sportello. Non è oltretutto
da escludere l’ipotesi che quantomeno la vittima femminile avesse un livello
di guardia più elevato rispetto al normale: dopotutto era stata lei stessa a
riferire poco tempo prima che potevano “sparargli mentre si trovava in
macchina”.
Ciononostante, premesse le difficoltà che presentava il luogo del delitto -
come già prima accennato - l’omicida raggiunge il proprio obiettivo con
estrema perizia ed abilità: non si fa notare, riesce a colpire di sorpresa le
vittime e non spreca colpi.

Non male come prima volta.

Male, invece, la seconda.

Le premesse relative al Caso 1, sono pressoché identiche rispetto al delitto


avvenuto sei anni prima. Anche qui abbiamo un automobile parcata in un
luogo sì isolato ma non certo utile ed idoneo ad un’azione sicura (fig. 2).
Come per il Caso 0 anche qui l’automobile non è circondata da vegetazione
utile alla copertura ed all’occultamento in quanto distante svariati metri dalla
carrozzeria della vettura. L’assassino, dovrà nuovamente percorrere alcuni
metri scoperto per potersi avvicinare all’automobile.

Il livello di attenzione delle future vittime qui è bassissimo: non esiste alcun
Mostro né altra minaccia proveniente da terzi. Considerata poi la storia
sessuale dei giovani è facile poi presupporre che il focus dei ragazzi fosse
diretto su loro stessi e su quanto erano in procinto di fare.

Come per il Caso 0 l’omicida predilige una tecnica d’assalto repentina


costituita dall’appostamento, dall’uscire dal proprio riparo, percorrere dei
metri a piedi allo scoperto, aprire lo sportello e sparare verso i corpi. Ricalca
così la stessa condotta eseguita sei anni prima, ma applicate ad una
situazione che presentava una stonatura tale da inclinare quella sua scaletta
così proficuamente posta in essere a Castelletti. Una nota stonata che
risponde al nome di sportello.

Ora, risulta doveroso premettere, per quanto riguarda il Caso 1, che vi è una
profonda discrasia tra le due ricostruzioni sulla dinamica dell’omicidio: una
che propende per i colpi esplosi prima dal lato guidatore e poi dal lato
passeggero; altra che invece propone per un unico punto di sparo originato
dallo sportello lato passeggero. Senza volersi dilungare oltre e rimandando
all’approfondimento de L’uomo dietro il Mostro presente su IdP ed al già
ottimo lavoro di Valerio Scrivo sul tema, per il tramite dei colpi, le ferite
inferte, il posizionamento del corpo del ragazzo, chi scrive propende più per
una dinamica circoscritta ad un unico punto di sparo, cioè dal lato del
passeggero. Seguendo tale linea di pensiero vediamo come l’omicida, per
emulare l’azione del delitto Caso 0 e magari forte della riuscita dell’azione,
decida di agire analogamente, cioè puntare il lato della donna. Questa
volta, però, la portiera - come dicevamo - è quella sbagliata.

Nel Caso 0, l’omicida apre la portiera lato guidatore con la sinistra, la tira a sé
e si trova un angolo di tiro ampio per la pistola impugnata con la destra; qui,
nel Caso 1, la portiera da aprire è quella lato passeggero che aprendo con la
sinistra copre il proprio angolo di tiro sia con la sua stessa mano che con la
portiera stessa. Possibile, dunque, che l’omicida abbia aperto la portiera con
la mano destra (azione più naturale) ed abbia provato a sparare con la
sinistra, mano non da lui perfettamente gestibile e causa della scarsa mira e
dello spreco di proiettili; ancora, possibile che l’omicida abbia fatto tutto con
la mano destra, cioè aprire lo sportello e sparare, creando quello scarto di
tempo che ha reso i giovani purtroppo consci dell’aggressione e spiegando
così la rotazione del corpo del ragazzo, la sua gamba sul tappetino del lato
passeggero ed il suo voltare il corpo all’omicida, senza contare la reazione
della vittima femminile e la sua interazione con l’assassino. Non
dimentichiamoci poi che con la mano libera l’assassino qui è anche costretto
ad estrarre l’arma bianca per utilizzarla nei confronti della giovane donna (già
nell’approfondimento in UdM si presentava la suggestione di una “mano in
più” durante l’aggressione alla vittima femminile ma di cui, almeno ora, non
parleremo).
La ragazza verrà poi trascinata dietro la vettura per essere poi attinta dalle
pugnalate post mortem. Sarà la prima ed unica volta in cui l’omicida
effettuerà tale azione nella prossimità della vettura, prediligendo poi negli
anni successivi uno spostamento del corpo a metri di distanza. Evento questo
a cui più avanti proveremo a dare una spiegazione.

Per i primi due delitti lo sparatore predilige, dunque, il lato che presentava la
donna più vicina a sé. Considerato che nel Caso 0 potrebbe aver assistito al
cambio di posizione tra il guidatore e la Locci e nel Caso 1 - ricordiamo la
questione dei vestiti fuori dalla vettura - ad un posizionamento dei giovani sul
sedile del passeggero, potremo pensare ad un assalitore che decide di
colpire dal punto in cui aveva più vicino a sé la donna, magari come primo
oggetto del suo agire punitivo e maniacale.

Sono condizioni queste che rendono la dinamica del Caso 1 più fragile e
pericolosa rispetto a quella del Caso 0: crea confusione, rumore eccessivo,
probabili grida, finisce i proiettili, deve utilizzare in senso mortifero l’arma
bianca ed entra in contatto con le vittime. Difatti, questa modalità d’assalto
verrà accantonata dall’omicida che, difatti, non la utilizzerà più. Da qui
potrebbe ipotizzarsi come il duplice omicidio del Caso 1 non sia un omicidio
programmato o studiato, o quantomeno non sia un delitto ben
pianificato. Le circostanze non si presentano così favorevoli ad un assassino
che paradossalmente sei anni prima, più giovane e con vittime più vecchie
rispetto a quelle del Caso 1, con elementi ancor più di sfavore (terreno e
presenza del bambino in auto), riesce ottimamente nel suo obbiettivo
compiendo anni dopo un apparentemente inspiegabile passo indietro
esperenziale. Qui, per il Caso 0, potremo propendere per una buona abilità
dell’assalitore avendo il paragone di una dinamica simile di qualche anno
dopo dove, uno stesso agire, ha creato un risultato molto diverso. Risultato
dovuto forse ad un cambio dell’offender che voleva emulare l’assalto del
delitto 1968 o magari ad un difetto di programmazione o strategia o ancora in
una incapacità di gestione della situazione dovuta - come in tanti pensano -
ad una conoscenza delle vittime.

2.3. Gli anni ’80: la scia di delitti.

Passano gli anni e ne trascorrono ben sette. Ormai del delitto del Caso 1 se
ne è perso le tracce nei giornali, nessuno ne parla più e qualcuno, purtroppo,
nemmeno lo ricorda più. Il livello di attenzione da parte delle vittime del Caso
2 è quindi bassissimo.

Il luogo dove i giovani parcheggiano l’automobile è abitualmente frequentato


da coppiette. Lo sanno in tanti e lo sanno i guardoni che, come sappiamo,
hanno fra le loro fila almeno un soggetto che in Via dell’Arrigo, quella notte, ci
passa.

Loco che è davvero poco battuto dagli avventori occasionali, soprattutto a


quell’ora della notte. È una via dove un soggetto vuole andare, non ci passa
per caso: sia di giorno che di notte.

L’omicida, diversamente da alcuni anni prima, si è preparato ed ha studiato i


luoghi. Ha pianificato l’assalto modificandolo in una aggressione
programmata. L’omicida ha compreso che la tecnica utilizzata anni prima è
fallace, crea disturbo, confusione: è rischiosa. Deve trovare il modo
di avvicinarsi il più possibile all’auto senza farsi vedere dalle vittime.
Deve arrivarci vicinissimo perché al contempo ha compreso che meno colpi
spara meglio è perché ne ha un numero limitato, rischia di far rumore, non
può perdere tempo a ricaricare il caricatore e soprattutto non può rischiare
una fuga delle vittime. Deve agire velocemente ed in modo efficace. Non
deve più assalirli, deve sorprenderli.

La vittima maschile è stata colpita per la prima volta alla nuca da distanza
ravvicinata. Tanto vicino che il terzo colpo ed i successivi verranno esplosi
con la mano immessa all’interno della cabina. La vegetazione circostante non
è idonea ad un perfetto occultamento, anzi (fig. 3). I metri che avrebbe
dovuto percorrere per passare dal suo rifugio alla prossimità dell’auto sono
ben maggiori rispetto a quelli del Caso 1 e del Caso 0.
Chi scrive ritiene quindi che l’omicida abbia utilizzato una tecnica per far
abbassare le difese ai due giovani, manifestandosi a loro prima dell’assalto
per poi colpirli quando loro meno se lo aspettavano. Potrebbe trattarsi di una
divisa, come diceva il buon Avv. Filastò, o comunque anche solo una
parvenza di questa ma comunque utile a poter far abbassare le difese ai
ragazzi e permettersi così di poter sparare a distanza ravvicinata, senza far
neanche voltare il ragazzo (magari intento a parlare con la fidanzata per
richiederle di passargli, ad es. il libretto tenuto nel cruscotto o altro, o magari
la borsa che ricordiamo è stata ritrovata fuori dal lato guidatore).

L’omicida ha capito che è più comodo, rapido ed efficace sparare attraverso i


finestrini, senza dover dare segni della propria presenza aprendo lo sportello
all’interno di un luogo che lui ha studiato, che conosce, come nel Caso 2.

Qui l’omicida compie un ulteriore passo avanti, arrivando a comprendere del


pericolo di compiere le escissioni nella prossimità dell’auto. Meno lui sosta
vicino all’auto meglio è. I luoghi del delitto sono tutti molto vicini ad una via
dove era possibile incontrare il passaggio di altre vetture, si voglia anche solo
di altre coppiette in cerca di un luogo appartato. L’omicida sa che se passa
una vettura, il guidatore può essere attratto da altra auto ferma, anche solo
perché magari chi guidava sapeva che quella piazzola poteva essere un
buon punto ma vedendo altra auto capiva che era occupata e tirava via oltre.
Si comprende quindi come avrebbe destato qualche perplessità o qualcosa
da raccontare se quel guidatore avesse visto un’auto ferma con a lato un
soggetto intento ad armeggiare sopra una ragazza: un rischio troppo grande,
aggirabile con lo spostamento del corpo della giovane in un loco più riparato,
come poi effettivamente farà.
È una dinamica, questa, che rappresenta probabilmente la migliore finora
messa in atto dall’omicida, utile ad aggirare gli ostacoli ed a raggiungere
l’obiettivo in modo efficace. Purtroppo per l’omicida però, questa metodologia
potrà applicarla soltanto questa volta a causa di un evento per lui imprevisto.
Un evento che ha nome e cognome: Enzo Spalletti.

L’omicida viene a sapere che qualcuno ha visto qualcosa. Ma cosa? È


abbastanza sicuro di aver agito senza essere visto, ma non può ovviamente
esserne certo. Lo Spalletti continua a rimanere correttamente in stato
cautelare, non parla e niente dice, ma se gli inquirenti stessero attuando
questa strategia per spremerlo e fargli dire quel poco che ha visto. E se
davvero avesse visto qualcosa. Cosa potrebbe riferire di talmente pericoloso
da indurre l’omicida a colpire, per la prima ed ultima volta, nell’Ottobre dello
stesso anno. Magari lo Spalletti può aver visto l’inizio dell’aggressione,
magari proprio il suo modo di agire travestito da es. guardia forestale. Un
rischio troppo grande. Deve tornare a colpire per togliere il pretesto agli
inquirenti di tenerlo dentro: deve commettere un altro omicidio con le stesse
dinamiche del Caso 2, così da non lasciare adito a dubbio alcuno circa
l’autore del fatto, dissimulando anche quel poco che lo Spalletti potrebbe aver
visto.
Nasce però un problema: non può utilizzare la strategia precedente, deve
agire in incognito. Ormai la sua strategia è inutilizzabile perché se lo Spalletti
avesse riferito di aver visto ad es. un uomo in divisa, allora ci sarà maggior
attenzione per gli uomini in divisa e ciò che gli permetteva di agire
liberamente ora rischia di essere un pericoloso campanello d’allarme per
qualsiasi pattuglia allertata.

È quindi costretto a cambiare nuovamente il suo modus operandi, deve


rimanere celato il più possibile nel suo agire. Deve cercare di colpire in luoghi
ove la vegetazione e la geografia gli permette maggior copertura: luoghi
boschivi, filari di viti, canneti, alti cespugli utili a celare la propria persona fino
all’imminenza della vettura. Arriviamo al 22 Ottobre 1981: Caso 3.
Lo studio dei luoghi dove colpire permette all’omicida di fruire della
vegetazione che ricopre la fiancata destra della vettura. Quella della
vegetazione limitrofa alla vettura sarà una costante che accompagnerà tutti i
delitti successivi aventi come costante le due persone appartate in auto
(Caso 4 e Caso 6).

Accade qui che i colpi vengono esplosi al di là del finestrino di quel lato della
vettura che è proprio coperto dalla vegetazione. Spazio utile quindi
all’omicida per potersi avvicinare il più possibile all’auto rimanendo coperto e
celato dal filare di cespugli che segue la strada sterrata dove era parcata la
Volkswagen del Baldi. È talmente importante - adesso - questa componente
per l’assassino che preferisce colpire da quel lato nonostante il suo
avversario più pericoloso, cioè l’uomo, sia seduto sul sedile lato guidatore e
quindi più lontano dalla sorgente di sparo (come diversamente aveva operato
nel Caso 2 solo alcuni mesi prima).

Diversamente, quindi, da quanto realizzato nel Caso 2, ove era riuscito ad


avvicinarsi alle vittime in modo manifesto ed utilizzando la strategia della c.d.
divisa, qua - per le ragioni già affrontate - l’assassino muta e modifica la
propria azione aggiungendo un correttivo: deve nascondersi non soltanto
dalle vittime ma anche dagli sguardi di terzi. Non muta, perché
probabilmente già ben perfezionato, il posizionamento del corpo femminile
per il compimento delle escissioni. Mutato già dal Caso 1, l’omicida ben
comprende che meno staziona attorno alla vettura ferma meglio è. Così
come già avvenuto nel Caso 2, allontana il corpo della vittima femminile quel
tanto che basta per poter rimanere celato alla vista di eventuali avventori
provenienti dalla strada.
Per quanto ora esposto, il Caso 4 sembrerebbe sconfessare le righe
precedenti. Per poter procedere però ad una corretta argomentazione risulta
necessario fondare il nostro ragionamento su quanto ho esposto all’interno
dell’approfondimento sul delitto di Baccaiano pubblicato su IdP ed a cui
rimando. Base che potrebbe essere così riassumibile: l’omicida vuole colpire
nella zona di Baccaiano volontariamente ed in quel giorno dopo aver studiato
i luoghi, le vie di fuga, di accesso e la conformazione della zona.

Anche qui (fig. 5), come nei due precedenti casi, troviamo la stessa
conformazione geografica che permette all’omicida di rimanere celato fino
alla prossimità del veicolo giungendovi frontalmente. La sua unica sfortuna -
ponendo noi ora la vittima maschile alla guida dell’auto poi finita nel fossato a
lato strada - è di essere stato scoperto dai giovani, permettendo loro una
iniziale fuga nella prossimità di una strada già utile a questa (la Virginio
Nuova).

Non credo sia un caso che questo sarà l’ultimo delitto del Mostro che vede
fra le vittime un soggetto in posizione di guida. Sarà una condizione, questa
della guida che non si ripeterà più nei successivi tre episodi. Pare difatti una
curiosa coincidenza che l’anno successivo l’omicida preferirà colpire un
mezzo fermo, come il pulmino dei turisti tedeschi, ove nessuno si
presentava sul sedile del guidatore ma entrambi i bersagli lontano dal
volante.

2.4. Gli ultimi tre delitti: gli omicidi lontani dal volante.

L’omicida, dopo il Caso 4, comprende che un ostacolo al suo obiettivo, cioè


la morte dei soggetti, è rappresentato da una possibile fuga di questi e
considerato lo stato di allerta massima causalmente collegato all’aumentare
dei delitti, i giovani, ora, sarebbero stati molto più attenti durante le loro gite
amorose con alcuni di questi già col motore acceso per ripartire
all’occorrenza. Pertanto l’omicida comprende che per superare questo
ostacolo dovrà indirizzare la sua caccia verso obiettivi impossibilitati a
fuggire. Potrebbe essere questa una delle motivazioni utili a spiegarci il
perché l’omicida colpisca 15 mesi dopo il delitto del Caso 4, tornando (nel
Caso 5) ad uccidere nel mese di Settembre, soggetti che non possono
fuggire riaccendendo il motore in quanto lontani dal posto di guida.

Anche qui, nel Caso 5, si evidenza la medesima condizione degli ultimi delitti,
ovvero una vegetazione che copre e segue una fiancata dell’abitacolo. Oltre
a questa, gioca in favore dell’omicida la struttura stessa del pulmino che,
proprio per i finestrini - alcuni dei quali opacizzati - e l’ampia carrozzeria,
rende meno visibile l’avvicinamento di un terzo, soprattuto da tergo dove non
vi è alcuna apertura. L’azione, però, rappresenta un unicum per l’assassino,
costretto a colpire in uno spazio più ampio rispetto a quello dove fino ad
adesso avevo rivolto i colpi di Beretta e soprattuto non in una automobile.
L’ampiezza del vano è difatti certamente più confortevole rispetto a quella
dell’abitacolo di guida. È forse per tale ragione che - scioccamente -
l’assassino non rivolge fin da subito i colpi ponendosi verso l’unica via di fuga
dei due giovani turisti, rischiando qui, proprio per il movimento dei corpi
all’interno del vano, che uno di questi fuggisse. Arriva a tale conclusione
probabilmente durante l’azione stessa, quando dopo i primi spari, gira attorno
all’abitacolo per porsi a sparare dalla parte del portellone. È una dinamica,
questa, che permetterà all’omicida di muovere un secondo gradino
esperenziale perfezionando il suo modus operandi nel Caso 7, quando -
come vedremo - si posizionerà in modo tale da accogliere la via di fuga delle
sue vittime con i colpi di proiettile.

La brutalità del Caso 6, ci rende pienamente edotti di come l’omicida abbia


ormai - purtroppo - perfezionato la sua tecnica imparando dagli errori
commessi.

A dieci anni di distanza dal primo delitto mugellano il Mostro torna a colpire a
pochi km di distanza da quella zona che sembrava ormai lontana dagli
obiettivi dell’assassino, tanto che, seppur su un livello di “allerta mostro”
abbastanza elevato, la zona mugellana non ne risentiva particolarmente.
Forse a causa di quella distanza geografica rispetto al clima fiorentino o al
senso di protezione dato dalla valle mugellana che le due vittime del Caso 6
si pongono in una condizione di rischio elevatissima: appartati in auto,
durante il fine settimana, dopo cena, in un luogo isolato ed adiacente alla
vegetazione ed a pochi km da dove era già avvenuto un altro delitto (che per
convenzione indichiamo come “quello di Borgo” ma in realtà rappresenta un
delitto di Vicchio anche questo).

L’omicida approfitta, come negli altri casi precedenti, della geografia del
luogo, dopo averlo studiato (o, comunque, già conosciuto) precedentemente
(fig. 7). Attende che i giovani si posizionino in modo tale da allontanarsi dal
posto di guida, impossibilitando così una loro eventuale reazione utile alla
fuga. Uscito dal suo rifugio, probabilmente arrivando da tergo della vettura,
l’omicida spara i suoi colpi dal finestrino dove aveva i giovani più vicini a lui,
uccidendo quasi subito la ragazza centrandola al volto e con più difficoltà il
ragazzo, più lontano dalla fonte di sparo, per cui saranno necessari più
proiettili. È il delitto, questo, che meglio identifica ormai il modus operandi del
Mostro, proiettato sulla minima esposizione al pericolo ed al rischio e
finalizzato all’ottenimento del miglior risultato possibile. È una condizione che,
quindi, difficilmente potrebbe adattarsi ad un soggetto psicotico, schizofrenico
o totalmente vittima della propria maniacalità. È, invero, una evoluzione
empirica e metodologica che propende per una personalità dell’omicida
estremamente organizzata e metodica, sintomatica di una lucidità modale e
comportamentale pienamente coordinata con quella psicologica, anzi,
talvolta forse ben più fredda di quanto la psiche dell’omicida vorrebbe
esprimere ed utile, di conseguenza, a garantire quella cadenza annuale dei
delitti riscontrabile da quando l’assassino prende dimestichezza con l’azione
omicidiaria. Difatti, siamo ormai giunti al momento in cui l’omicida si veste da
vojeur ed attende che i giovani siano impossibilitati ad una fuga, magari -
come in questo caso - più spogliati e lontani dal volante.
Ed il Caso 7, rappresenta la sua più fine espressione.

Questo ultimo episodio delittuoso rappresenta il più chiaro esempio di come


la morte, per l’omicida, rappresenti quanto di più alto e necessario rispetto
alla componente di ritualità della scena. È l’ultimo delitto del Mostro di
Firenze, “l’omicida delle coppiette appartate in auto” e non uccide una
coppietta appartata in auto. Lo schema viene stravolto sull’altare
dell’obiettivo primo che si circoscrive non tanto alla componente sessuale
delle vittime, come atto in sé, quanto più ad un elemento fattuale costituito
da due persone appartate in luogo pubblico, come in questo caso.
Troviamo la vicinanza alla boscaglia, utile all’occultamento della persona -
soprattutto se si considera come probabile via di accesso quel viottolo che
arriva poco sotto la piazzola - ed una tenda.

La tenda, chiusa, con due persone all’interno lascia spazio ad alcuni quesiti e
riflessioni:
Come faceva l’omicida a sapere che dentro si stava consumando l’atto
sessuale. Impossibile da vedere, ma possibile da sentire. Si nasconde fino
a che non vede i giovani chiudere la tenda e dopo poco si avvicina a questa
ed una volta che ha sentito lo strofinio dei corpi sul piumone o dei gemiti
decide di colpire? O semplicemente giunge sulla piazzola comunque
frequentata da coppiette e trovandovi una tenda spara sapendo che per forza
dovevano esservi due persone dentro? Se le avesse sentite dormire avrebbe
sparato lo stesso? Se la risposta a questo quesito fosse negativa, allora
dovremo pensare che anche i tedeschi del Caso 5 dovevano essere intenti in
atti sessuali e quindi omosessuali ma - come già detto nell’approfondimento
su IdP, a cui si rimanda - come può l’omicida confondere il corpo nudo di un
uomo con quello di una donna? Dopotutto mira. Ed il seggiolino presente
nella vettura? Come faceva l’assassino a sapere che dentro quella tenda non
ci fosse anche un bambino? Davvero dobbiamo pensare che l’omicida abbia
rischiato di uccidere un infante? Difficile.

Sarebbe, pertanto, lecito presumere che l’omicida abbia visto la coppia


prima che questa ci coricasse e sapesse che non c’era alcun bambino
con loro. In tal senso, verrebbero a noi in aiuto alcune tematiche che - per
questioni di economia testuale - verranno poi sviluppate in un
approfondimento ad hoc.

Una di queste tematiche è rappresentata dalla posizione dell’autovettura


rispetto alla tenda da campeggio. Dalle foto è possibile vedere come l’auto
sia parcheggiata in senso opposto all’ingresso della piazzola. Posizione
utilissima per uscire dalla piazzola con più facilità a causa della poca
ampiezza dello spazio che avrebbe compromesso la manovra di inversione,
ma poco utile se si tratta di un posizionamento momentaneo della vettura per
poi farla uscire poco dopo. Oltretutto, dalle foto, si può apprezzare
la vicinanza (circa un metro) di questa alla tenda montata dai due turisti.
Colpisce anche la presenza dei sacchetti dei picchetti della tenda fuori da
questa, in prossimità della vettura, quasi buttati via in fretta, senza precisione.
Chi scrive ritiene probabile il parcheggio della vettura prima della montatura
della tenda senza che questa - l’auto - sia più spostata dai francesi. La
macchina, sembra difatti così parcata per poter illuminare quella zona scelta
dalla coppia per montare la tenda quando ormai la luce del giorno era
svanita. Si spiegherebbe così la scelta della piazzola - non certo un posto
comodo e piacevole dove campeggiare per poter visitare Firenze - rispetto ad
altra zona. La scena sembrerebbe far intuire difatti più per un luogo di
fortuna, improvvisato, rispetto ad una precisa scelta. Non depone in tal senso
la testimonianza di un passante per Via degli Scopeti che alle 14:00 di quel 6
Settembre 1985 avrebbe visto una coppia montare una tenda. Ora, chi scrive
ritiene tale testimonianza opinabile sotto due profili: il pranzo consumato a
Pisa dalla coppia di turisti ed il loro arrivo in una zona fuori mano rispetto alla
direzione “Bologna” dei due.
Se la coppia invece fosse giunta sulla piazzola dopo l’orario di cena avrebbe
parcheggiato la macchina non per una sosta momentanea, ma quantomeno
utile per: non occupare tutta la piazzola, montare la tenda al buio ed
illuminare la scena (come possiamo vedere in questi giorni a Settembre
20:00 ormai è buio). Fosse andata diversamente, cioè che la coppia avesse
montato la tenda per poi andare a cena ed infine ritornare in loco, forse
avrebbe parcheggiato l’auto senza doverla rivoltare verso l’uscita,
considerando la difficoltà di parcare l’auto a così poca distanza dalla tenda.
Perché poi, l’auto, a ben vedere, non è direzionata verso l’uscita, ma
proprio verso la tenda tanto che se questa fosse stata messa in moto e
fosse stata inserita la prima, l’avrebbe travolta.
È una tematica questa di primario interesse perché ci permette di poter anche
collocare temporalmente un delitto che - come sappiamo - è stato spesso
oggetto di discussione.

Tornando al nostro tema principale circa il modus operandi vediamo come


in questo delitto l’omicida si trovi nuovamente ad affrontare, come nel Caso 5,
una condizione diversa da quella che rappresenta il suo quadro tipico: due
soggetti non in macchina.

Nell’episodio di due anni prima l’assassino aveva predisposto un assalto


frazionato in più punti di sparo, dato che, come sappiamo, l’omicida gira
attorno al van dei tedeschi. Diversamente dal Caso 5, però, qui l’omicida non
poteva vedere chiaramente a cosa stava sparando, non essendovi “finestre”
nella tenda. Poteva avere la certezza della presenza dei corpi, ma non della
loro posizione, né tantomeno di eventuali loro reazioni dall’interno come il
pararsi fra di loro o con oggetti di fortuna all’interno. Doveva aver quindi
necessità di far confluire i soggetti in un punto preciso, che gli permette quindi
di poter individuare con sicurezza la loro posizione all’interno.

È possibile, muovendosi per ipotesi, che l’assassino abbia agito, stante il suo
posizionarsi fuori dall’entrata della tenda lievemente accovacciato e tenendo
l’arma in senso parallelo al terreno ma in posizione più bassa rispetto a
questo (la scarpata poco distante), in modo da poter sparare verso la tenda
con i due turisti attratti verso l’uscita di questa. Potremo forse azzardare che
quel famoso taglio sul retro della tenda, sia stato eseguito proprio in tal senso
per creare paura nei soggetti all’interno che per vedere cosa stava
accadendo si sarebbero diretti verso l’unica uscita o via di fuga possibile. O
ancora, qualora il taglio fosse dovuto ad altre cause, magari l’omicida
avrebbe potuto attirare la loro attenzione fuori dalla tenda, intimandogli di
uscire per poi accoglierli coi colpi di pistola. Dopotutto l’omicida invece di
sparare dalla direzione a lui più favorevole e riparata, ovvero il retro della
tenda, preferisce colpire frontalmente a questa probabilmente proprio per
bloccare l’uscita delle vittime avendole fatte confluire verso la cerniera della
zanzariera. Deporrebbero in tal senso i fori di proiettile in senso longitudinale
verso l’alto, come a dover colpire non una persona sdraiata, ma bensì
seduta o comunque semi eretta all’interno della tenda.
È questo l’apparente correttivo o strategia messa in atto dall’omicida che per
la prima - ed ultima - volta è costretto a colpire “alla cieca”.

La problematica che qui nasce è però altra. Come può l’omicida sincerarsi
della morte dei due? È costretto ad aprire la tenda.

Qui, a chi scrive, sorge un dubbio che porta ad una riflessione che sarà poi
argomentata in altra sede: come è possibile che l’omicida, che deve
sincerarsi dell’avvenuta morte delle vittime - dato che non può vederle - con
ancora colpi nel caricatore venga sorpreso da un soggetto che da posizione
semisdraiata, colpito, impaurito ed in stato confusionale, deve rialzarsi ed
uscire da una apertura larga poco meno di un metro. È una dinamica, questa,
che dovrà essere approfondita ed affrontata.

3. Conclusioni.

L’analisi sopra esposta ci permette di delineare un quadro comportamentale


dell’omicida fortemente orientato verso un soggetto lucido, capace di
modulare il proprio agire verso un fine - la morte - su cui adagia la
metodologia dei propri assalti.

Salta subito all’occhio come, dal delitto di Baccaiano (Caso 4), l’assassino
smetta di colpire soggetti in prossimità del volante di guida. Dal 1982, difatti,
predilige un’azione più ponderata, meno assalitoria e più d’attesa. Come se,
diversamente dagli anni precedenti, prediligesse attendere il momento giusto
in cui colpire. Un’attesa sulla scena del crimine che, paradossalmente, si
scontra con lo stato di maggior allerta dell’epoca dovuto al susseguirsi sui
delitti. L’assassino, pur di giungere al proprio obiettivo, preferisce attendere,
nascosto nella boscaglia, il momento in cui le vittime sono lontane dal volante
(Caso 5 e 6) si spogliano del tutto o per la quasi totalità (Caso 6 e 7) così da
essere impossibilitate ad una fuga improvvisa. Non ritengo affatto un
caso che gli unici corpi nudi che l’omicida lascia siano quelli degli ultimi due
delitti e che a questi abbia riservato quella atroce doppia escissione prima
mai adoperata. Dopotutto, erano 10 anni (da Caso 1 a Caso 6), che ai suoi
occhi non si presentava davanti un corpo nudo di donna. Non si tratta, come
già ampiamente espresso in sede di UdM, di una evoluzione di fantasia - la
escalation escissoria - quanto più una diversa reazione ad una situazione
primaria ben diversa dai casi precedenti al Caso 6. È l’azione a determinare
la reazione.

Tutta questa preparazione, ci riporta quindi a quel quadro che vede l’omicida
perfettamente in grado di controllare il proprio impulso omicida, capace di
attendere un’annualità ed anche in sede criminis di essere in grado di
scegliere il momento migliore in cui agire, nonostante l’attesa e la visione dei
corpi.
Sono riflessioni, queste, che - ad avviso di chi scrive - non solo farebbero
propendere per un soggetto dominatore dei propri impulsi (e non viceversa,
escludendo quindi qualsiasi senso di megalomania e di raptus omicidiario,
leggasi “delitto di Baccaiano”) ma che sottolineerebbero la natura
prettamente predatoria ed organizzata di un omicida che probabilmente
consapevole di un’unica finestra temporale ove colpire vive i momenti di
latenza predisponendo una miglioria del suo agire, sempre più volto,
purtroppo, ad una assoluta efficacia.

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