Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Oltremari
08:00 FLANZ UDM 5 COMMENTS
Introduzione
di E. Oltremari (dr.oltremari@gmail.com)
Trattare di una catena di omicidi lunga 17 anni e ad ormai 50 anni dal primo
delitto, su cui sono state scritte ben più di ottanta monografie, innumerevoli
saggi e tesi di laurea, incalcolabili righe di articoli di giornali, decine di blog e
siti internet, e che ha dato voce a centinaia di esperti o sedicenti tali, presenta
ben più di un problema.
In una disanima sia storica che criminologica come questa, ove i punti certi
potrebbero contarsi sulle dita di una mano, siamo davvero sicuri che ci sia
permesso il lusso di identificare un fatto come certo, sicuro, incontrovertibile.
Sicuri di voler rischiare che una presunta certezza acquisti la forza coriacea
del luogo comune (ben più difficile da scardinare). Abbiamo l’ardire di farci
fieri portatori di una verità così faticosamente agognata e non raggiunta
neanche da una sentenza definitiva figlia di tre gradi di processo (e parente
vicina di altre tre) ma mutilata dell’arto della chiarezza e completezza.
Vogliamo davvero rimanere colpevoli schiavi di una accidiosa miopia senza
azzardare la fatica di impugnare gli occhiali e provare a guardare oltre, lì
dove non è stato ancora osservato.
Perché in fondo il mostro è questo, un uomo. Con due braccia, due gambe,
una testa, gli occhi e le orecchie, un passato, un lavoro, la fatica di svegliarsi
presto il mattino e una bolletta da pagare. I mostri no, sono quelli delle fiabe,
che si nascondono nelle grotte o sotto il letto o fra le pagine di un libro di
novelle. Per stanare quei mostri ci vogliono i poteri magici e a volte non
bastano neanche quelli perché i mostri sono difficili da eliminare e spesso
anche quando sembrano davvero spacciati scappano via e prendono un altro
nome. Così chiamando e considerando un Mostro l’assassino delle coppie
sulle colline fiorentine lo poniamo su un piano della realtà distante dal nostro,
più vicino a quello del mito inafferrabile che della realtà. E come lo troviamo
un Mostro senza poteri magici? Semplice, non lo prendiamo.
E se invece cercassimo l’Uomo dietro il mostro? Gli uomini sì, è possibile
catturarli è possibile trovarli è possibile afferrarli. Ed il nostro Uomo oltre ad
essere un uomo, forse a volte ce lo dimentichiamo, è anche un assassino. E
della peggior specie.
Non è il cattivo dei film avvolto dal fascino del male che respinge ed attrae. Si
tratta di un vigliacco che spara nella notte a giovanissimi ragazzi in cerca di
quella intimità che la casa non gli concedeva, e che l’amore gli impediva di
limitare. Spara contro due corpi racchiusi dentro una vettura parcheggiata in
un luogo isolato, senza alcuna possibilità di fuga. Strazia corpi di ragazzine
non più alte di un metro e sessantacinque dopo averle strappate via al
compagno che poco prima aveva neutralizzato sparandogli contro.
Cerchiamo chi ha il timore di affrontare dei ragazzi svestiti, al buio, accecati
dalla luce di una torcia.
Esposti questi rilievi ci è ora possibile ipotizzare una dinamica della vicenda
omicidiaria.
La coppia di amanti esce dal cinema e si dirige con la vettura del Lo Bianco a
Castelletti e parcheggia lungo la strada sterrata a circa 150 mt dalla
principale. Sul divanetto posteriore dorme il piccolo Natale Mele. I due amanti
si cambiano di posto posiziondosi l’uomo sul lato passeggero e la donna sul
lato guidatore. L’uomo abbassa il sedile ed inizia a sbottonarsi i pantaloni.
Slaccia la cintura ed apre la patta mentre la donna, scalza, è china su di lui
coprendogli quindi il fianco sinistro. Si può ipotizzare, dato il ritrovamento
delle scarpe della donna al di sotto del sedile passeggero che lo scambio di
posizione tra i due sia avvenuto senza uscire dalla vettura. La Locci si toglie
le scarpe e le posizione sotto il sedile. Il Lo Bianco scivola sul sedile
passeggero facendosi salire l’amante in collo ed iniziando così le prime
effusioni. È possibile che il Lo Bianco abbia perso la scarpa sinistra alzando
la gamba sinistra nella parte del lato guidatore, e riabbassandola una volta
portata sulla parte destra. Il muratore siciliano ha poi iniziato a slacciarsi i
pantaloni e la Locci si chinata su di lui.
Ora non ci è possibile sapere con esattezza chi dei due è stato per prima
attinto dai colpi di pistola, ma possiamo ipotizzarlo concentrandosi sulla
dinamica.
L’assassino affianca l’Alfa Romeo sul lato sinistro, striscia furtivo lungo la
fiancata e giunge in prossimità dello sportello del lato guidatore. Lo sportello
è presumibilmente chiuso ed il finestrino abbassato per soli 3 cm. È logico,
dunque, pensare che l’omicida sia stato costretto ad aprire lo sportello del
guidatore per fare fuoco.
- la seconda prevede invece che i due non fossero abbracciati tra loro o che
la Locci fosse china sù l’amante, ma ognuno sul proprio sedile di guida. Ad
essere stato colpito per prima sarebbe stato quindi l'uomo sul fianco, in
questa ipotesi, “libero”. La donna poi, impedita dalla figura dell’omicida a
bloccarle l’uscita sulla propria portiera ha cercato riparo lontano dalla
provenienza dei colpi mostrando così il dorso al allo sparatore che ha così
avuto modo di esplodere gli altri colpi nel caricatore. Tre dei quali hanno
colpito la Locci al al dorso nelle zone costale, lombare ed epicolica ed un
quarto, una volta che si era ritratta a causa dei colpi subiti, alla spalla sinistra
con angolazione diversa.
5 commenti:
Unknown ha detto...
Unknown ha detto...
Salve Omar,
Circa i tuoi dubbi a riguardo dei colpi sparati non posso far altro che
farli miei in quanto so bene che alcuni propendano per tre colpi
esplosi verso la vittima maschile ed altri, invece, quattro. Di questo
puntò si parlerà nella seconda parte di questo primo
approfondimento.
In questa prima ho riferito di quattro colpi prendendo come fonte il
referto autoptico del Dott. Graziuso.
Quest'ultimo riferisce:
- di due soluzioni di continuo all'avambraccio sx (foro di entrata ed
uscita) tra loro ravvicinate in quello che è c.d. come una ferita a
setone.
- tre soluzioni di continuo (una all'altezza del deltoide ed altre due
vicine al 3° medio ed il 3° inferiore) sempre sulla faccia anteriore del
braccio sx, tutte e tre indicate come foro d'ingresso in
corrispondenza di tre di uscita (due dei quali si infrangono poi
sull'emitorace sx ed altro fuorirsce per poi ledere - di striscio - la
zona scapolare).
E. Oltremari
Unknown ha detto...
Salve Omar,
Ho letto (anzi, ri-letto) con piacere il tuo articolo e ti faccio i
complimenti per quanto scritto.
E. Oltremari
Segue da LUdm 1
di E. Oltremari (dr.oltremari@gmail.com)
[…] Chi ha commesso il delitto, dunque, anche nell’ipotesi che sia l’autore dei
successivi delitti, non sembra sia stato mosso da motivazioni sadico-sessuali,
bensì da motivazioni comuni; motivazioni cioè che portano a desiderare
l’eliminazione fisica delle vittime, secondo una modalità ed una dinamica
psicologica del tutto svincolata da elementi sessuali abnormi e, ancor più, da
impulsi sadistici."
Passando poi alle ipotesi più probabili, "il caso in questione (omicidio Locci-
Lo Bianco) non può avere tale potere di influenzamento che per due vie-
stimolo, entrambe qualificate; la prima, come si è detto, costituita dall’aver
assistito al delitto; la seconda, di meno intuitiva comprensione, ma di minor
efficacia psicologica, consistente nel possesso dello strumento (l’arma da
fuoco) unitamente alla conoscenza (diretta, o secondo una ipotesi
psicologicamente non inverosimile, anche soltanto mediata) delle circostanze
e della situazione in cui fu usata.
Da qui nasce l’immenso ed infinito dibattito che aleggia senza dar segno di
cedimento: la mano che ha sparato nel 1968 è la medesima per i delitti
precedenti?
E se la pistola è la stessa allora è impensabile che questa sia passata di
mano tra il 1968 ed i successivi delitti. Ma se la Beretta era appartenuta al
gruppo dei sardi e questi hanno commesso il delitto del 1968, allora saranno
colpevoli anche dei successivi. Oppure i sardi col 1968 non hanno niente a
che fare e chi ha veramente sparato quella notte di Agosto ha avuto un
incredibile colpo di fortuna nel trovare persone appartenenti ad una cricca di
individui così particolari e dalle vicende così torbide da aver creato,
inconsapevolmente, un incredibile abbaglio/depistaggio investigativo. Oppure
chi ha sparato quella notte conosceva le abitudine della Locci, ma non era
conosciuto a sua volta da lei o dalla compagine sarda rimanendo poi in
sordine per 6 anni prima di tornare a colpire.
Segue da LUdm2
Il corpo del vittima maschile, viene ritrovato all’interno della Fiat 127 del
padre. È seduto sul sedile di guida, con la testa poggiata sul montante del
finestrino ormai in frantumi. Indossa le sole mutande, vistosamente intrise di
sangue, e calzini bianchi.
La ragazza viene ritrovata distesa supina con gambe e braccia divaricate con
la testa quasi coperta dal tuo di scappamento della macchina del ragazzo. E’
completamente nuda, un brandello delle sue mutandine viene ritrovato poco
distante dal suo corpo, a circa 8 metri dalla ruota anteriore destra. E’ stata
attinta da 5 colpi d’arma da fuoco. Tre al fianco destro, una al ginocchio
destro (in cui si rinviene anche il foro d’uscita), ed una a quello sinistro. Oltre
alle ferite d’arma da fuoco se ne rinvengono altre 96 da punta e da taglio.
Precisamente:
- una vasta ferita lacero contusa a forma di Y interessa la regione auricolare
e temporale destra fino al piano osseo;
Dai verbali, risulta che sul luogo del delitto siano stati rinvenuti solo cinque
bossoli Winchester cal. 22 con la H stampata sul fondello ritrovati a sinistra
della vettura (NB: ad un primo sopralluogo i ragazzi vennero giudicati come
uccisi da uno stiletto o colpi di cacciavite. Soltanto la sera arrivarono
indicazioni dall’Istituto di Medicina Legale di Firenze sulla reale natura di
alcune ferite, cioè colpi di pistola. Pertanto quando tornarono sul luogo del
delitto per repertari i bossoli la macchina del Gentilcore era già stata
spostata); i vetri del finestrino lato guidatore infranto al di fuori dello sportello
lato guidatore; le scarpe dei ragazzi sul tappetino del sedile lato passeggero;
sotto una pianta di vite distante poco più di tre metri dalla fiancata destra
dell’auto, 3 paia di pantaloni (due da uomo ed uno da donna), un foglio di
carta da confezione recante l’intestazione di una lavanderia, e la camicia
della ragazza ripiegati, tutti, e senza macchie di sangue; un paio di mutande
femminili blue strappate e macchiate di sangue (un brandello di queste verrà
ritrovate a circa 8 metri dalla macchina); una camicia bianca da uomo tra la
pianta di vite e la macchina; il giubbotto del ragazzo fuori dallo sportello del
guidatore; un tovagliolo o pezzo di carta macchiato di sangue vicino al
cadavere della ragazza; la borsetta della ragazza col suo pullover bianco
(entrambi NON macchiati di sangue), a circa 300 mt dal luogo del delitto,
gettati fra le sterpaglie di un campo, e rinvenuti a seguito di una segnalazione
anonima; il reggiseno della ragazza, rinvenuto ad oltre 50 mt dal luogo in cui
era stata ritrovata la borsetta.
Sempre dai verbali, si può notare che vennero individuati due fori sul sedile
anteriore sinistro ed una lacerazione da taglio della stoffa; sul sedile destro,
totalmente reclinato all’indietro, vengono rinvenute abbondanti tracce
ematiche; a circa 20 cm dalla ruota posteriore destra ed esattamente in
prossimità dell’apertura dello stesso sportello, una traccia di sangue
raggrumato, da cui diparte una striscia di sangue che termina all’altezza della
mano sinistra della ragazza.
Altre fonti, sia su blog che su alcune monografie, riferiscono dei colpi al fianco
destro come ferite d’arma bianca. Tale ipotesi sarebbe però scongiurata dalle
fotografie eseguite sul corpo della ragazza dove si può ben vedere la natura
di queste per assicurarle come prodotte da colpo d’arma da fuoco). Nessuno
di questi colpi risulta però idoneo a toglierle la vita o renderla priva di sensi.
L’omicida, quindi, si trova di fronte per la prima volta alla condizione di aver
finito i proiettili ed aver ancora un corpo da eliminare. Giunge qui alla
necessità di dover utilizzare per la prima volta l’arma bianca. Risulta qui
straordinaria la forza della ragazza che seppure attinta dai colpi di pistola
deve aver dimostrato all’omicida una reazione tale da fargli ritenere
necessario avventarsi con ferocia su di lei, tanto da colpirla al volto una volta
alla regione temporale destra ed altra in regione mandibolare. La seconda
risulta chiaramente una ferita da taglio, inferta alla giovane ancora in vita, dati
i segni di vitalità. Probabile che la ragazza abbia iniziato a gridare e
l’assassino abbia voluto tapparle la bocca con la propria mano sinistra e
cercare di zittirla con la lama prima di affossarla sul sedile e colpirla con forza
allo sterno tanto da provocarne la morte.
Resta il dubbio circa la profonda ferita lacero contusa presente sulla regione
frontale ed auricolare che non sappiamo se causata, ma difficilmente
potrebbe così essere, da un’arma da taglio. Sembrerebbe, invece, realizzate
dall’urto con un oggetto contundente, forse l’impugnatura del pugnale, o
ancora una parte della carrozzeria in cui può essere stata sbattuta la giovane
per farle perdere conoscenza. Presumendo che l’assassino abbia agito
frontalmente alla giovane o comunque lievemente dislocato alla destra di
questa, risulta strano pensare ad un colpo inferto in quella zona dalla lama
del pugnale che lo avrebbe costretto a “scavallare” la sua stessa mano
sinistra andando a colpire oltre il suo polso.
Altra dinamica, forse più corretta, ci permette di collocare l’omicida sempre e
solo all’altezza del finestrino lato passeggero che sparando con lo sportello
aperto riversa tutti i colpi del caricatore sui ragazzi posti, sul sedile reclinato,
l’uno sopra l’altra. Deponendo in tal senso, allora, ipotizziamo così ora -
seppur peculiare e piena di incertezze - la dinamica. I due ragazzi,
inspiegabilmente data la sera settembrina ed il terreno umidiccio (aveva
piovuto le sere precedenti), decidono di spogliarsi fuori dall’auto, ripiegando i
vestiti sotto la vite posta a comunque 3 mt dalla vettura. Pasquale, si era già
tolto il giubbotto e forse lo aveva poggiato sopra il tettuccio della vettura,
altrimenti non si spiega perché gettarlo fuori dal finestrino quando poteva
poggiarlo sui sedili posteriori. Come del resto, avrebbero potuto fare con i lori
vestiti, senza doverli mettere all’esterno rischiando di bagnarli o rovinarli.
Dato il rinvenimento di questi senza macchie di sangue, ci risulta difficile
pensare che l’azione di ripiegamento di questi sia stata compiuta dall’omicida,
il quale considerato i colpi inferti alla vittima femminile è possibile che si fosse
quantomeno sporcato di sangue. È pertanto necessario ipotizzare la
dinamica cercando di trovare una razionalità nell’azione dei giovani di uscire
dall’abitacolo, spogliarsi a 3 mt dalla macchina (lei di camicia e pantaloni, lui
solo dei pantaloni per poi lasciare la camicia a poca distanza da questi
rientrando verso la vettura), e fare ritorno scalzi, o con le sole scarpe, dentro
l’abitacolo. Riteniamo poi che vicino ai vestiti ci fosse già la borsetta della
ragazza con il pullover dentro, entrambi trovati non sporchi di sangue, così
anche come il reggiseno della ragazza.
Grazie
Flanz ha detto...
Unknown ha detto...
Salve Omar,
In ordine:
- ci sarà un seguito. Per questa prima parte de "l'Uomo dietro il
mostro" avremo un approfondimento per delitto diviso in due parti.
La successiva rispetto alla presente, dove verrà detto anche circa
anche le domande che poi hai posto, sarà pubblicata il 7 Maggio p.v.
Comunque, anticipandomi brevemente:
- se per interazione intende la possibilità, come suggerita da alcuni,
che l'omicida abbia "giocato" con le vittime tenendole sotto tiro e
magari facendole spogliare e facendoli porre i loro indumenti distanti
dalla macchina, oserei dire che tale ricostruzione striderebbe con la
linearità dei colpi poi inflitti alla vittima maschile. Nel senso, se
ipotizziamo che abbia interagito con loro allora tale interazione si è
spinta fino a farli porre uno sopra l'altro sul sedile passeggero in una
sorta di mimica dell'atto sessuale. Difficile.
- per i colpi sparati la difficoltà nella ricostruzione di questi consta nel
fatto che E.E. ed AUT. svolta sul ragazzo differiscono. In ogni caso,
sommariamente (per il dettaglio rimandiamo alla seconda parte
come accennavo), il ragazzo sembrerebbe essere stato attinto da 6
colpi d'arma da fuoco, mentre la ragazza da 5. Per complessivi 11
colpi. Se preferisce, mi scriva all'indirizzo mail e saprò indicarle con
piacere il punto preciso di questi.
- circa invece il reggiseno, non ritrovato in sede di primo sopralluogo,
il caso è forse ancor più spinoso, come vedremo. Altri autori hanno
ipotizzato circa la posizione di questo, o meglio, la direzione non
meglio specificata in atti ufficiali e pertanto valevole ora solo di
supposizioni non utili al nostro lavoro.
Grazie ed a presto
E.O.
Eh, infatti, Omar... l'idea che perdesse la calma era proprio quella
che mi ero fatto. Per il resto sottoscrivo tutto il tuo ragionamento.
Grazie.
Unknown ha detto...
In conclusione, non credo che qui giochi col corpo della giovane.
Compie la stessa cosa che avrebbe poi fatto gli anni successivi, solo
in una forma "embrionale". Ma per questo non mi anticipo su quello
che saranno poi i futuri capitoli.
E.O.
Unknown ha detto...
E.O.
Una ultima domanda per il prof. Oltremari. Nel testo si parla "di un
foglio di carta da confezione recante l’intestazione di una
lavanderia". Ma si intende che i pantaloni erano (o erano stati)
impacchettati? Oppure si tratta di uno scontrino?
Grazie.
Unknown ha detto...
Sì Giuseppe, i pantaloni erano stati (perché ne vengono ritrovati
fuori) impacchettati all'interno di una confezione non grande come
una sacca ma comunque abbastanza da contenere più indumenti.
A presto,
E.O.
Thisisdaniela ha detto...
Thisisdaniela ha detto...
Buonasera Daniela,
Anche io ritengo difficilmente plausibili la condizione dell'omicida che
"diriga" i giovani prima dell'atto omicidiario in comportamenti come
spogliarli, farli avvicinare, inscenare un atto sessuale ecc.
Non ritengo che l'omicida sia una persona che non sappia
rapportarsi coi vivi. Anzi, credo che fra questi riesca a viverci
quotidianamente con facilità senza destare sospetti.
Da quel che la dinamica suggerisce, non credo che all'omicida
interessi proprio rapportarsi con le vittime. L'atto omicidiario è freddo,
preciso, necessario. La sua non è una relazione con le persone, ma
si sostanzia ed esaurisce nella condizione in cui si trova quando
uccide.
Sembrano quasi un mezzo verso un fine. Corpi necessari ad uno
scopo.
E.O.
Unknown ha detto...
Buongiorno Enea
Le faccio i miei più vivi complimenti per lo studio che ha realizzato.
Mi sono avvicinato relativamente da poco a questo caso e sto
cercando di districarmi tra tutto il materiale che trovo in rete. Devo
dire che ho trovato il suo articolo estremamente illuminante.
Vorrei se permette rivolgerle alcune domande di carattere tecnico.
1- Sia lei che De fazio nella sua perizia affermate che un proiettile
colpisce il ginocchio sinistro della Pettini . Nella perizia Zuntini che
ho trovato in rete egli parla di ferite solo alla gamba destra. Lei può
confermare che sulla perizia autoptica si parla di ferita al ginocchio
sinistro?
2-Leggo inoltre dal suo articolo che cè discordanza tra esame
esterno ed esame autoptico sul gentilcore. é possibile reperire la
perizia medico legale per approfondire ? io non sono riuscito a
trovarla in rete.Grazie e distinti saluti.
Segue da LUdm3
Qui, sia che l’azione si sia svolta nel primo o nel secondo modo, l’assassino
si trova di fronte allo sportello passeggero con due corpi privi di vita all’interno
della macchina.
L’omicida sfila la ragazza dalla macchina, la quale cade a terra vicino allo
sportello. La afferra per i piedi e la trascina dietro la vettura.
Circa poi l’esatto luogo di ritrovo della borsetta e del reggiseno della ragazza,
non comparendo alcun dato certo (se non una sommaria indicazione dei mt
di distanza dall’abitacolo), chi scrive non ritiene utile né corretto addentrarsi in
pericolose ipotesi circa i perché della direzione presa dall’omicida per
sbarazzarsi degli oggetti in questione. A riguardo, già ne è stato ampiamente
parlato da altri autori a cui - con piacere - rimandiamo.
Venendo ora alla introduzione della trattazione criminologia del duplice delitto
del 1974, che sarà oggetto di apposito capitolo - non possiamo esimerci da
una riflessione circa l’assoluto disordine - unico, considerati gli altri delitti -
che caratterizza la scena del crimine di Rabatta. Difatti, diversamente da
quanto accaduto sei anni prima a Castelletti, l’omicida sembra apparire meno
meticoloso e preciso rispetto a quanto già operato in precedenza, mostrando
maggiori difficoltà sia nell’abilità sparatoria sia nella gestione della situazione
omicidiaria.
E’ lecito credere che quella fosse la prima volta che l’omicida si trovava di
fronte al corpo nudo, privo di vita, di una donna da lui uccisa (Sei anni prima
difatti - nell’ipotesi che lui stesso fosse stato l’autore dell’omicidio di Castelletti
- il corpo della Locci si presentava ai suoi occhi, maggiormente vestito
rispetto a quello della giovane Stefania).
Esauritosi la violenza che aveva poco prima caratterizzato l’azione
omicidiaria, l’assassino vive con apparente quiete - e qui risulta davvero
sorprendente questo repentino mutamento emotivo - i momenti che
sarebbero invece, comprensibilmente, utili ad una fuga, per chinarsi e
“saggiare” con la lama del suo coltello - utilizzata qui con la sua azione “da
punta” - il corpo della giovane. Sul tema: “l’azione esploratoria è stata inoltre
condotta con un’altra modalità, attraverso l’uso dell’arma da
2 commenti:
E.O.
E.O.
Sullo spazio che forma l’angolo fra due strade sterrate a lato di Via dell’Arrigo
si trova la Fiat Ritmo 60, di color rame, della vittima maschile. L’automobile è
parcheggiata leggermente in obliquo, poco distante da un cipresso e dal
ciglio della stradina sterrata. Ha gli sportelli chiusi, con quelli posteriori a
sicura inserita. Il cristallo dello sportello anteriore sinistro è in frantumi. Vicino
a questa, sono rinvenuti 4 bossoli cal. 22 (a 90 cm, 75cm ed 80 cm dalla
ruota posteriore sinistra). Sempre sul lato sinistro della vettura, si trova una
borsetta da donna in paglia a bordi metallici, una carta d’identità, un mazzo di
chiavi, due biglietti A.T.A.F. ed alcuni oggetti per il trucco come un rossetto
ed un pettine.
All’interno della vettura, sul pannello dello sportello anteriore destro (cm. 35
dal bordo destro e 19 cm da quello superiore) è presente una soluzione di
continuo a forma ellissoidale ci circa 2 cm, mentre sotto di questo si
osservano tracce ematiche di forma circolare e lineare. Sul sedile anteriore
destro, nella parte superiore si trova un’altra larga chiazza di sangue
coagulato, che interessa sia il coprisedile che il bordo in pelle sul quale si
evidenzia sia un piccolo foro che alcuni capelli attaccati alla traccia ematica.
Sempre sulle stesso sedile, più in basso, e sulla stessa spalliera destra sono
presenti due fori, uno di entrata ed uno di uscita per un traiettoria che per il
tramite di questa si esaurirà sul montante dello sportello anteriore destro.
Sul sedile posteriore si rinviene un bossolo cal. 22, come altro - uguale -
viene ritrovato sul tappetino posteriore destro. Sotto di questo, vengono
repertati un altro bossolo ed un proiettile cal. 22 deformato. Uno della stessa
indole verrà infine estratto dal foro presente, in alto, sulla spalliera anteriore
destra.
È stato attinto sia da colpi di arma da fuoco che da fendenti d’arma bianca.
Quest’ultimi sono stati vibrati sul corpo del ragazzo in limine vitae (risultando
difatti poco infiltrate, evidenza quest’ultima - seppur approssimativa - di un
indice di vitalità al momento in cui sono state inferte) e lo hanno colpito due
volte alla regione antera-laterale sinistra del collo ed a pochi centimetri l’una
dall’altra ed entrambe con angolo acuto superiore. Una terza ferita da punta e
da taglio - non infiltrata - è invece localizzata all’emitorace sinistro al di sopra
del capezzolo e, con profondità di circa 5 cm, attraversa il lobo inferiore del
polmone, il diaframma, terminando nel parenchima splenico.
Questi invece i colpi d’arma da fuoco rinvenuti sul corpo della vittima
maschile:
- poco distante dal precedente, altro foro d’ingresso anche qui con proiettile
ritenuto a livello encefalico.
Per ultimo, si segnalano, sempre in regione nucale, numerose escoriazioni.
A circa 13 mt dalla vettura, al di sotto (1,5 mt) della strada principale viene
ritrovato il corpo della vittima femminile. È distesa supina; la testa, reclinata
verso sinistra, guarda leggermente in direzione opposta, gli occhi sono aperti
mentre le labbra stringono parte della colonnina che indossa al collo; il
braccio destro è disteso e ruotato verso l’esterno mentre il sinistro aderisce al
corpo; gli arti inferiori sono in direzione di via dell’Arrigo, il destro disteso
mentre il sinistro ha la coscia piegata in avanti (e verso l’esterno) mentre la
tibia verso l’interno.
Come per il fidanzato, l’assassino ha agito nei confronti della ragazza sia con
la pistola che con l’arma bianca.
- un altro colpo ha interessato la regione laterale sinistra del collo, con foro
di entrata sul lato sinistro e di uscita sul lato destro dopo aver attraversato la
seconda vertebra;
Per la prima volta, nei delitti del Mostro di Firenze, l’omicida asporterà la
ragione pubica per un’ampia zona ovlare con asse longitudinale di 16 cm e
trasversale di 10 cm. I margini appaiono molto netti, non infiltrati, con una
sola incisura a lembo dalle ore 10 con lievi irregolarità solo nel tratto
compreso tra le ore 6 e le ore 7. La lesione ha una profondità di circa 5 cm
con fondo modicamente regolare. In conclusione risultano asportati la cute ed
i peli della regione pubica fino alle grandi labbra, risparmiate in larga misura.
******
Diversamente da quanto accaduto nel 1974 l’omicida qui, più che dimostrare
una miglioria della sua perizia di mira, modifica il suo modus
operandi giungendo più in prossimità delle vittime, fino quasi a toccare con
l’arma il corpo dei ragazzi. La vicinanza gli permette di semplificare
l’esecuzione dei colpi in zone vitali (nuca, cuore) più agevoli da raggiungere a
bersaglio fermo e da brevissima distanza. Sul tema si è spesso supposto di
un’abilità sparatoria dell’omicida migliorata nel corso dei delitti come frutto,
magari, di un suo esercizio ai poligoni di tiro. A ben vedere, però, l’esercizio
al poligono non sembra così idoneo a incrementare l’abilità dello sparatore
dato che il bersaglio al poligono certo non si trova a pochi centimetri di
distanza, ma ad una distanza diversa. Difatti, nel caso in cui l’omicida avesse
voluto dar senso ai suoi allenamenti, sarebbe riuscito a colpire i ragazzi da
distanza maggiore, evitando quindi il rischio di essere scoperto giungendo in
prossimità di questi o che i ragazzi si accorgessero di qualcosa.
Diversamente, con l’aumentare del tempo utile ad un esercizio per
l’assassino, minore diventa la distanza tra lui ed i suoi bersagli. Diventa lecito
pensare quindi che proprio la sua volontà mortifera si traduca non in un
incremento della mira, quanto del raggiungimento della vicinanza tra i corpi,
così da ridurre la distanza fra sé ed le sue future vittime.
Azione, questa, che deporrebbe per una precisa e primaria volontà di
privazione della vita da parte dell’assassino che, almeno questa volta -
magari memore delle difficoltà riscontrate sette atti prima - raggiunge una
posizione tale da poter sparare a circa 20-30 cm dal suo obiettivo, senza
aprire lo sportello ma parandosi dietro il finestrino, ponendo quindi una
barriera tra sé e le vittime. Condizione che, paradossalmente, seppure di
maggior favore non avrebbe adoperato neanche al suo primo (forse) delitto,
ovvero quello dell’Agosto 1968, dove, ben 13 anni più giovane rispetto ad
ora, aveva ucciso una coppia senza anteporre tra sé ed i bersagli alcun
elemento ostativo magari utile, al tempo, per placare una paura, una
incertezza o una inesperienza coerente con questa su prima volta.
In tal senso, quindi l’assassino indirizza il suo assalto verso non tanto un
effetto sorpresa irruento, quanto più un azione silente sia di appostamento
che di aggressione. Evidenza, questa, che potrà rinvenirsi anche nei delitti
successivi (quantomeno per quello dell’Ottobre successivo) ove l’omicida
assiste alla scena, non in senso voyeristico, ma solo utilitaristico al fine di
poter colpire la coppia nella condizione di miglior favore. Ed è la condizione,
ovvero il momento in cui si trova la coppia, che spinge l’omicida a colpire.
Segue...
3 commenti:
Unknown ha detto...
Salve, una cosa che non capisco, secondo me una figura chiave di
questa vicenda è Vincenzo Spalletti, che per forza di cosa sa
qualcosa e non ha mai parlato. è stato in prigione fino al secondo
omicidio dell'81 senza parlare e prendendosi la responsabilità degli
omicidi.
il secondo omicidio dell'81 è stato realizzato per scagionare V.S. che
era accusato in quel momento di essere il mostro.
come mai nessuno, sia gli investigatori, sia voi scrittori/giornalisti vi
occupate di questa figura e sul come mai "non ha mai parlato" pur
sapendo qualcosa?? è una domanda che mi pongo da quando mi
sono avvicinato a questa storia e non riesco a darmi una risposta
Unknown ha detto...
Salve Alessandro,
Kekko ha detto...
E. Oltremari
Sulla parte interna dello sportello di sinistra, sul relativo vetro e sul lungarone
di base dell’autovettura, si rinvengono alcune macchie di sostanza ematica.
Sul piancito anteriore destro si rinviene un bossolo per proiettile cal. 22.
Gli arti inferiori sono divaricati, la gamba destra è distesa e poggia sul terreno
con il tallone, mentre la gamba sinistra è leggermente flessa e con la punta
del piede in direzione del filare di vite.
Uno al fianco destro, con tramite obliquo verso l’alto e medialmente, con
proiettile ritenuto a livello della parete toracica.
Uno al braccio sinistro, al terzo medio della faccia laterale, con tramite
obliquo dall’alto verso il basso in senso latero-mediale con proiettile ritenuto
sulla faccia mediale del braccio.
Uno, appunto, al pollice destro, sulla faccia mediale, con foro d’uscita sulla
faccia laterale.
Qui, oltre all’azione escissoria, sono presenti ferite da punta e da taglio: una
poco profonda e scarsamente infiltrata in regione sottomammaria sinistra,
altra in regione scapolare sinistra. Si segnalano piccole escoriazioni allo
zigomo destro, all’angolo labiale sinistro, alla faccia laterale dell’emitorace
destro ed al fianco sinistro. Alla coscia sinistra ed al ginocchio escoriazioni
coperte da terriccio. La regione pubica si osserva completamente asportata
mediante dei tagli che dipartendosi dall’inguine terminano nella regione
anale. Detta area, irregolarmente quadrangolare, presenta un margine curvo
a convessità superiore di circa 13 cm in regione sovrapubica, che con
andamento curvilineo continua verso il basso fino alla regione mediale delle
cosce fino a raggiungere il perineo e la zona perianale. I margini sono netti e
non infiltrati. Sul margine laterale destro, alle ore 10, si rileva una intaccatura
superficiale a margini netti e non infiltrati simili a quelli caratterizzanti il caso
del Giugno ’81.
Sul lato sinistro della vettura, si ritrova invece il cadavere del ragazzo, con la
testa rivolta verso di questa ed i piedi in direzione dei filari di vite. La testa,
rotata a destra, poggia sul terreno con la regione pario frontale destra. Gli
occhi sono chiusi e la bocca semiaperta.
Gli arti inferiori sono divaricati. La gamba destra è flessa verso il corpo e con
la punta del piede rivolta verso l’autovettura, mentre la gamba sinistra è
distesa con la punta del piede rivolta verso il filare di viti.
******
La zona in cui colpisce è buia, isolata ma non distante da alcuni piccoli nuclei
abitativi. Uno dei quali dista poche centinai di metri oltre a sporadiche case
coloniche disposte lì nelle vicinanze ma non tutte, almeno all’epoca, abitate. Il
viottolo in cui è parcheggiata la vettura, sfocia in quello che ora è il Parco di
Travalle. L’automobile potrebbe essere raggiunta, tramite strada battuta, solo
da tergo ma passando attraverso i campi e guadando un piccolo rigagnolo
d’acqua anche dalla strada, asfaltata, di Via di Macia, quindi frontalmente.
I giovani escono di casa della madre del ragazzo e prima di tornare a Firenze
deviano per Le Bartoline parcheggiando in un luogo dove già erano stati più
volte. Probabile che volessero fare in fretta quindi dopo le prime effusioni
iniziano subito a predisporre l’abitacolo per il rapporto reclinando entrambi i
sedili, la ragazza - afferrandoli entrambi - si toglie i maglioni mentre il
ragazzo, toltosi gli occhiali da vista, si scalza uno stivale (il destro) e si inizia
a calare i pantaloni e le mutande facendo però in tempo a sfilarli dal solo
gambale destro perché poi è probabile che qualcosa abbia attirato la sua
attenzione verso la fidanzata, ruotando quindi il busto verso di lei.
Il finestrino esplode. Una pioggia di vetro.
Una volta esplosi tutti i colpi l’omicida rinfodera la pistola e, dal punto di
sparo, gira attorno al cofano e si posiziona di fronte allo sportello lato
guidatore da dove estrarrà i corpi dei ragazzi.
Sul tema, si sostiene che l’assassino non abbia estratto il cadavere della
ragazza dallo sportello passeggero in quanto questo è stato ritrovato chiuso
(anche se da verbale di sopralluogo viene dichiarato accostato) e con il
piolino della sicura abbassato. Difficile, difatti, che questo sia stato premuto
dall’omicida stesso una volta estratto il corpo, in quanto risulta poco plausibile
e difficilmente spiegabile l’azione di richiudere lo sportello e inserire una
mano all’interno del vetro (infranto solo in parte) per abbassare il piolino.
In questo delitto l’omicida torna ad utilizzare l’arma bianca sul corpo della
donna, oltre che per l’escissione, anche per infliggerle due ferite, una a livello
scapolare e l’altra sotto il seno sinistro. La prima di queste è presumibile che
le sia stata inflitta, come per il fidanzato, quando questa era ancora vicina alla
vettura. Difficilmente difatti si potrebbe credere che l’omicida abbia girato la
giovane - o addirittura che l’abbia sollevata - per poterla colpire dietro la
schiena e poi riposizionarla supina in un’azione inutile quanto
incomprensibile. Più logico sarebbe credere che l’assassino abbia colpito la
ragazza la prima volta in prossimità della vettura quando magari questa,
come il fidanzato, si trovava appena sfilata dalla vettura, e poi, una volta
portata sul luogo prestabilito, l’abbia colpita altra volta sotto il seno sinistro e,
una volta tagliata la gonna, abbia eseguito l’escissione.
Circa il perché del taglio della gonna - così da poter fugare ancora preconcetti
come “l’omicida non vuole toccare il corpo femminile” - possono farsi le
stesse considerazioni circa i jeans della vittima femminile del Giugno dell’81
ed a cui si rimanda per praticità.
L’escissione della zona pubica questa volta si concentra, però, per una zona
molto più ampia rispetto a quella dell’anno precedente. Seppur presentando
le stesse analogie di taglio ed angolazione, l’omicida questa volta,
aumentando il diametro superiore, giunge fino alla zona perianale
scempiando oscenamente il corpo della sventurata ragazza.
Vero che l’omicida esplode tra gli 8 ed i 9 colpi, comunque ancora non pochi,
ma resta il fatto che la pistola con cui spara non ha un grandissimo potere di
arresto e che - a conferma di quanto da noi supposto - l’assassino non è uno
sparatore professionista né esperto tanto da volere utilizzare tutti i colpi -
anche oltre il necessario - al raggiungimento del suo scopo.
7 commenti:
Unknown ha detto...
Salve Omar,
E.O.
Unknown ha detto...
Spererei.
Però posso dirle che - avendo avuto la fortuna di parlare per anni
con amici della coppia - non è una eventualità da escludere in
quanto pratica da loro talvolta usata (ma difficilmente ipotizzabile
trattandosi non di un mese caldo).
Unknown ha detto...
Unknown ha detto...
Giuseppe salve,
Non credo lo si possa escludere con certezza. Ora, magari non
proprio con la breccia africana, basterebbe anche un primo colpo e
poi il calcio della pistola stessa, o il gomito. Credo di ricordare di
aver letto su internet un saggio sul tema. Io chiesi solo ad esperto
balistico sul tema e questo mi disse che la cal22 pur avendo un
bassissimo potere d'arresto, poteva, da breve distanza infrangere il
vetro di un auto. Magari ecco non farlo esplodere in mille pezzi, ma
lasciarne porzione - come effettivamente avviene - sì, possibile.
Circa la persona attenzionata sì, potrebbe benissimo essere
compatibile. Anche se, ritengo più probabile una libertà "attiva"
dell'omicida, cioè che sia lui a crearsela e non a profittare della
mancanza altrui (magari aleatoria). Però possibile, certo.
Buona lettura,
E.Oltremari
******
Dopo circa 800 m dall’imbocco di Via Virginio Nuovo ci si imbatte in una Fiat
147 Seat di colore blue adriatico. Ha il muso rivolto verso uno spiazzo, chiuso
a semicerchio, sterrato e delimitato da cespugli sito dall’altro lato della
carreggiata, mentre la metà posteriore è incastrata dentro il canaletto di scolo
che costeggia l’altro lato della strada. La portiera destra è aperta, mentre
quella sinistra è chiusa a chiave. Il finestrino lato guidatore è frantumato con i
detriti di questo sparsi all’interno dell’abitacolo. In prossimità del piolino
interno c’è una striatura di sangue.
I fanalini di posizione sotto i fari sono, uno lesionato (quello destro) mentre
l’altro ha la parte bianca rotta.
Sulla metà destra del parabrezza (37 cm dal bordo destro ed a 27 cm dalla
base) si rinviene un foro di proiettile. Il contakilometri è fermo sui 23.749Km,
la leva del cambio è in posizione di retromarcia mentre quella del freno di
sicurezza sollevata per 3/4. Il sedile anteriore sinistro è leggermente reclinato
e sia su di esso che sul divanetto posteriore si ripetono larghe chiazze di
sangue. All’interno dell’auto è stato poi rinvenuto un fazzoletto di carta che
era stato usato per pulire liquido seminale ed un profilattico usato, annodato e
contenente liquido seminale. Sono stati repertati 9 bossoli. Tre sulla piazzola
a destra della carreggiata, due sulla strada, tre davanti all’autovettura ed uno
all’interno di questa.
******
Solitamente, quando si tratta dei delitti del maniaco delle coppiette, questo
duplice omicidio risulta uno di quelli maggiormente discussi, tanto il dibattito
che suscita in merito alla posizione del corpo del ragazzo al momento sia
degli spari che del suo ritrovamento. Proprio per tale ragione - sia per evitare
di ripetermi, sia per il piacere di rimandare ai tanti Autori che se ne sono
meritevolmente, anche di recente, occupati - concentreremo la nostra
indagine sugli spunti che, questo omicidio, si reputa possa fornire. Difatti,
nuotando controcorrente, riguardo a questo duplice omicidio scriveremo
pochissimo. Nello specifico: circa i luoghi dove avvengono i delitti e circa il
rapporto dell’omicida con l’uccisione e l’asportazione delle parti anatomiche.
Iniziamo dal primo di questi: il luogo. Sappiamo bene come questo slargo
lungo una via asfaltata di traffico frequente rappresenti una scelta
apparentemente inusuale se paragonata alle scene del crimine degli anni
precedenti (ed in ogni caso anche in riferimento a quelli a venire). Non la si
può certo definire una zona appartata, né nascosta o comunque lontana da
sguardi indiscreti. Certo, non la si poteva definire una via di traffico pedonale,
ma il rischio o comunque la possibilità di essere visti dalle automobili di
passaggio lungo la stretta carreggiata (a doppio senso di marcia) era
altamente probabile. Cosa che, oltretutto, è effettivamente avvenuto a
distanza di pochi minuti (come ampiamente dimostrato nel recente “Mostro di
Firenze, Al di là di ogni ragionevole dubbio" di Cochi, Cappelletti, Bruno).
Quindi, è lecito domandarsi, per quale ragione l’omicida abbia deciso di
colpire proprio in quel luogo così - quantomeno per il suo agire - pericoloso.
Si è spesso sentito dire di un eccesso di sicurezza dell’omicida che in preda
a manie di grandezza abbia voluto fare il passo più lungo della gamba Ad
avviso di chi scrive, nel caso in cui la scelta del luogo fosse dovuta ad un
voler mettere alla prova le proprie capacità, ci troveremmo di fronte a manie
di stupidità più che di grandezza. Difficilmente, difatti, potremo ipotizzare un
assassino che prima di colpire non analizzi e studi il luogo dove dovrà agire.
La mancanza di segnalazioni certe, come di sicuri avvistamenti, la vicinanza
delle scene alle vie principali o a nuclei abitativi fanno ipotizzare uno studio
del luogo da parte dell’omicida che - probabilmente - si è ritagliato del tempo
per pianificare logisticamente il delitto nell’azione di avvicinamento al luogo e
soprattutto in quella di fuga.
Pensiamo, inoltre, che l’omicida quando esce di casa per colpire, abbia con
sè, quantomeno: una pistola (carica), un coltello, dei guanti, una torcia ed un
contenitore per i feticci. Oggetti, questi, che se rinvenuti in auto, ad esempio,
in una ispezione dovuta ad un posto di blocco garantirebbero un pass diretto
per l’ergastolo.
Proprio a causa della possibilità che il giovane fosse sul divanetto posteriore
e che quindi non fosse lui stesso - come ipotizzato da molti - alla guida della
vettura al momento del suo incagliamento nel canaletto di scolo, si è
ipotizzato che l’omicida volesse spostare la vettura con dentro i corpi in loco
più isolato e più consono per eseguire le escissioni, considerando quindi la
loro mancanza come un errore dell’omicida.
La risposta, ad avviso di chi scrive, non potrebbe essere altro che negativa.
Ancora, se il suo obiettivo fossero stati i feticci e - come è accaduto - non
fosse riuscito a recuperarli, non si sarebbe corretto? Uccidendo magari
nuovamente? Come nell’anno precedente ad esempio ove uccide due volte
nello stesso anno magari per rimediare al pericolo che il soggetto in carcere
avesse visto qualcosa e potesse parlare (o anche solo per rivendicare la
paternità dei delitti).
No, per farlo aspetterebbe un anno e tre mesi per poi uccidere due uomini e
non eseguire, neanche qui, le escissioni.
Con gli altri omicidi hanno in comune il chi (una coppia appartata), il dove in
un luogo pubblico e la (la morte). Tanto bastano queste condizioni a far
confluire questo delitto del 1982 nella scia degli altri. Le escissioni
rappresentano un post alla morte da eseguirsi soltanto quando la fantasia ed
il volere dell’assassino lo richiedono. Quando, in altre parole, la condizione
specifica in cui l’assassino trova i due ragazzi è tale da giustificare il suo
agire, non solo in senso mortifero, ma anche punitivo.
conseguenza
Segue...
4 commenti:
Molto interessante.
Come forse saprà, nel mio libro, con gli scarsi mezzi di allora, avevo
tentato sia un' ANALISI PSICOLOGICA DEL COMPORTAMENTO
DI NATALINO (frutto di un paio di conversazioni con una psicologa
dell'età evolutiva), sia un RIEPILOGO CRONOLOGICO
COMPARATO DELLE DIVERSE VERSIONI DELL’ACCADUTO
FORNITE DA STEFANO E NATALE MELE . Sono capitoli che oggi
necessiterebbero aggiornamenti, in parte condotti sul mio blog; tanto
più sono curioso di conoscere le conclusioni alle quali perverrà la
sua consulente. Quanto al contenuto dell'articolo, mi scusi, ma per
concludere che il semplice atto di uccidere fosse sufficiente a
soddisfare i suoi bisogni, occorrerebbe trovare un omicidio in cui,
senza alcuna influenza estranea, l'assassino rinunci ad accanirsi col
coltello sulla vittima femminile.Ma questa situazione non c'è, in
alcuno degli otto duplici omicidi per i motivi che ben sappiamo.
Unknown ha detto...
Unknown ha detto...
Salve Omar,
Sapevo di questa sua opera - di cui mi complimento - e sarò ben
lieto di poterle mostrare il parere di altro professionista.
Circa invece il secondo tema da lei citato, le posso dire che in tale
conclusione, che potrà essere così chiamata solo quando
pubblicherò i capitoli centrali de L'Uomo dietro il mostro (ad ora
infatti viene solo suggerito o supposto) cercherò, per quanto
possibile in campo di profilazione, di basarmi non su cosa manca (di
cui possono essere fatte mille e mille ipotesi), ma su cosa invece
abbiamo a disposizione.
A presto,
E.O.
https://www.lanazione.it/pisa/2008/08/21/112646-
giuseppe_meucci_passata_poco_mezzanotte_dicembre_1970_quan
....shtml
Sicuramente lo conoscerete. Ha alcuni punti di contatto col delitto di
Baccaiano come luogo e svolgimento. Il colpevole del delitto della
Bigattiera Claudio Del Grande, scontò una decina di anni di pena a
Montelupo.
E.Oltremari
Lungo Via di Giogoli, a circa 100 mt. dall’inizio della strada, troviamo sulla
sinistra uno spiazzo di forma rettangolare delimitato a destra e di fronte da
uliveti ed a sinistra da una siepe che si erge a ridosso di un muricciolo in
parte diroccato. Al centro di questi si intravede un passo che immette in un
terreno incolto.
Le due portiere della cabina di guida ed il primo sportello laterale destro sono
completamente aperti (sic).
Sul vetro del secondo sportello laterale destro (a cm. 20 dalla base e sempre
a cm 20 dal bordo destro), una soluzione di continuo (foro di proiettile) a
forma rotondeggiante con rotture radiali e concentriche con stacchi di vetro
sulla parete interna.
Sul vetro fisso, per tre quarti opaco, posto a sinistra del secondo sportello, è
presente analoga soluzione a cm 10 dalla base e cm 12 dal bordo sinistro.
Sulla fiancata sinistra sono presenti altre soluzioni di continuo: una a bordi
introflessi e precisamente sulla carrozzeria a cm. 70 dallo spigolo laterale
destro e cm 90 dal bordo inferiore; una sul vetro fisso a cm 12 dalla base e a
cm. 10 dal bordo della cornice destra; altra sul secondo vetro fisso a cm 9 dal
bordo inferiore e cm 28 dal bordo destro.
****
Lo abbiamo fatto per i due precedenti delitti e così faremo anche per questo
che, con la sua assoluta unicità in tema di vittime ci impone, preliminarmente,
di sottolineare - seppur brevemente - alcune tematiche vittimologiche.
Non si tratta difatti della sola figura femminile, tanto che potremo censurare
qualsiasi affermazione sulla scia de il suo reale obbiettivo tra i due era la
donna come un grossolano errore di interpretazione. Così fosse, difatti,
l’omicida avrebbe ricercato - come tanti altri assassini e come magari uno in
particolare di cui parleremo in un prossimo lavoro come anticipato in UdM7 -
le sole donne, magari da sole, di ritorno da casa o da lavoro.
Un uomo ed una donna. Ogni volta? No. Come ben sappiamo, in questo
duplice omicidio del Settembre 1983 vengono uccisi due ragazzi tedeschi in
vacanza in Italia. Due uomini.
Poco distanti dal loro pulmino - il cui van era stato adibito con una branda a
due piazze a dormitorio - vengono ritrovati brandelli della ristampa di un
giornaletto pornografico gay stralciato con una lama (non quindi strappato) e
che non presenta segni di deterioramento dato dal tempo né da agenti
atmosferici. Segno, quest’ultimo, che dovevano trovarsi lì da poco tempo.
Questo - unito alle voci di frequentazioni da parte di uno dei ragazzi di locali
dell’ambiente omosessuale, l’orecchino portato da uno di questi e comunque
la condizione di essere entrambi in mutande, l’uno accanto all’altro, prima di
coricarsi - portò a far circolare la voce di una presunta omosessualità dei due
e che quello stralcio di rivista fosse appunto una sorta di rappresaglia verso il
mondo omosessuale.
Altra ipotesi, vede l’assassino sbagliarsi. Tratto in inganno dal taglio di capelli
di uno dei due ragazzi, confonde uno di questi per una ragazza esplodendo i
colpi verso quelli che crede essere una coppia di amanti. La domanda che ci
poniamo adesso è: se l’omicida ha confuso il ragazzo per una donna, questi
cosa stavano facendo?
Dalle foto della scena del crimine - che ho cercato di riprodurvi in disegno nel
modo più chiaro possibile - si può infatti notare che il Rusch fosse a petto
nudo quando è stato attinto dai colpi di pistola.
Difficile non notare questo particolare anatomico dal finestrino del pulmino -
aiutati anche dalla luce all’interno - e strano che ciò non sia avvenuto per un
assassino - come il nostro - che ha sempre mostrato un’attenzione particolare
per la situazione che ricercava per colpire, cioè di una coppia intenta ad
amoreggiare in macchina. Se pensiamo poi alle attenzioni rivolte in passato
(1974) e nei due anni successivi (1984, 1985) al seno femminile risulta
curioso che un soggetto del genere non si sia accorto che al Rusch
mancasse proprio il seno e comunque avesse una corporatura diversa da
quella di una donna. Perché possono essere tirati in ballo capelli lunghi che
poi tanto lunghi non erano, fantomatiche barbe, presunte posizioni sessuali
ma da quella distanza, un soggetto come lo sparatore, di minimo trent’anni -
che magari non espertissimo ma quantomeno un corpo femminile nudo lo
avrà visto in vita propria (anche solo delle sue precedenti vittime) - credo sia
capace di riconoscere le differenze tra un uomo in mutande ed una donna in
slip.
Da qui, si riaprono le due vie prima citate circa la condizione dei ragazzi al
momento degli spari.
Così non fosse, l’assassino una volta sbagliato grossolanamente nel Giugno
del 1982, aspetta un anno e tre mesi - insoddisfatto a causa del suo
fallimento - per andare a colpire due uomini, o meglio, per non accorgersi -
dopo averli osservati coperto dalle lamiere di un pulmino e da metà vetro
opacizzato - che un ragazzo in mutande in realtà era proprio un uomo e non
una ragazza, rimanendo così a bocca asciutta per il secondo anno di fila.
Avrebbe, quindi, atteso più di un anno per rivolgere la sua pistola verso due
senza prima assicurarsi quantomeno chi ci fosse dentro quel pulmino?
Già crediamo improbabile un errore, figuriamoci due.
Ciò che le vittime rappresentavano per l’omicida - magari anche solo per una
sua visione distorta del loro rapporto - è la condizione generale, comune a
tutti i delitti della serie, che comporta la susseguente pena della morte: il
trovarsi appartati in un luogo pubblico.
Così l’omicida spara. Come l’anno precedente e come quello prima ancora,
senza errori, senza correzioni. Tutto si pone al suo posto in perfida armonia
tra intenzioni ed esito.
Ancora una volta.
9 commenti:
Thisisdaniela ha detto...
Posso dire solo che Le faccio i complimenti per l'analisi della scena
del crimine Di Giogoli( anche delle altre ovviamente ).Secondo me
Lei ha sfatato tutte quelle ingenue supposizioni sulla reale volontà
del killer . Non si è sbagliato voleva uccidere proprio loro ! Grazie !
Unknown ha detto...
Buongiorno ad entrambi,
perdonatemi se utilizzo un solo post per rispondere ad entrambi.
E.O.
Unknown ha detto...
Salve Omar,
A presto,
E.O.
penso solo che la sequenza: tutto rame (2) tutto piombo (3) piombo
+ 1 rame (2) tutto piombo (1) è strana. Per coincidenza, proiettili di
rame ricompaiono nel momento in cui FV è in carcere.
Questo sempre che effettivamente a Vicchio sia stato sparato un
proiettile ramato - ho solo una pagina dei rilievi e non ho la perizia
balistica
Grantottero ha detto...
Grantottero ha detto...
Beh, mica del tutto necessariamente vero che avrebbe avuto tutto
l'agio e il comodo d'accorgersi per tempo che erano due uomini:
supponiamo che la decisione d'agire sia stata presa dopo un
avvistamento fatto ore prima e un po' "al volo", magari passando in
auto (ci torno sopra alcune righe più avanti) e avendo davvero
equivocato Uwe per una donna, magari perché visto di spalle solo
per un attimo.
Tornato la sera, per uccidere, il mostro, pressato dall'esigenza di
fare un po' più alla svelta del solito (la vicinanza della villa della
Sfacciata da dove facilmente si sarebbero potuti udire gli spari e
telefonare alla polizia, magari anche affacciarsi alla finestra, non
consentiva di tergiversare più di tanto) potrebbe, affacciandosi al
vetro laterale del furgone, aver trovato una situazione con Horst
sdraiato a sonnecchiare e a costituire un comodo bersaglio, mentre
Uwe potrebbe facilmente essere stato rannicchiato a leggere nel
punto più libero dalle gambe di Horst, cioè nell'angolo posteriore
destro, privo di vetratura, e da dove dunque il mostro non riusciva a
vedere di lui altro che non i piedi. Da ciò ne sarebbero scaturiti quei
successivi secondi di sarabanda, col mostro che girava intorno al
furgone sparando alla cieca attraverso le lamiere e sperando in un
colpo fortunato (per lui) ed Uwe che disperatamente zompava qua e
là in cerca di salvezza, finché il mostro non intuì che valeva la pena
di provare ad aprire il portellone laterale. Ebbe fortuna, perché lo
trovò non chiuso con la sicura, aprì ed entrò, trovando Uwe
rannicchiato terrorizzato in un angolo e sparandogli a bruciapelo.
Riuscendo, stavolta sì, ad ammazzarlo. Chiaro che in quel
frangente, avendo finalmente visto (forse per la prima volta ) Uwe
frontalmente, in faccia e senza maglietta e dunque palesemente
senza seno, avrà a quel punto capito che anche lui era un uomo. Ma
ormai, giunto a quel punto, il mostro, QUALUNQUE FOSSERO LE
RAGIONI PERSONALI DEL SUO AGIRE, non poteva certo
permettersi il lusso di graziare Uwe (perché corresse fuori ad urlare
e chiedere aiuto? Perché potesse descrivere agli inquirenti le
fattezze e la faccia del mostro?). (SEGUE seconda parte del
commento).
Grantottero ha detto...
“È stato alquanto difficile scrivere riguardo questo duplice omicidio che verrà
oggi preso da spunto per iniziare a decifrare - seppur timidamente - la
fantasia che ha spinto l’assassino ad uccidere. Disegnare i corpi delle vittime
è stato straziante. Più del solito. La loro giovane età, non potrebbe mai
essere resa da nessuna matita. Soprattutto da quella di un dilettante come
me. Ad ogni sguardo su quei volti levigati, ripenso alla drammaticità del tema
che stiamo affrontando e di quante volte giochiamo su quanto accaduto a
quei ragazzi. Non dovremo permettercelo, mai. Anzi, a voler essere sinceri,
non dovremo permetterci un sacco di altre cose. Ma questa è un’altra storia
di cui un giorno, forse, parlerò. Ora che entriamo nel vivo di questo percorso
cercherò di rendere puntuali gli appuntamenti nonostante le ferie. Nel caso
ritardassi, come questa volta, chiedo preventivamente venia. Detto questo,
auguro una buona lettura a chi legge e buone vacanze.”
E.O.
Gli sportelli sono chiusi, di cui quello sinistro e posteriore con le sicure
inserite; il vetro del finestrino sinistro abbassato per 8 cm; il vetro del
finestrino destro è totalmente frantumato. Quasi al centro del paracolpi in
plastica nera della portiera destra, che è uniformemente cosparso di polvere,
si notano due aloni di forma semi circolare, del diametro di cm. 10x6 derivati
da asportazione di polvere le quali distano dal suolo 60 cm. Le stesse che
verranno utilizzate dai periti per ipotizzare un’altezza dell’omicida ben
superiore ai 185 cm grazie ad una stima dell’altezza tibiale.
Sulla guida sinistra del sedile sinistro, parte terminale posteriore, è presente
un altro bossolo; sotto di questo due scarpe di colore bianco da uomo.
Sul vetro del lunotto laterale destro, sono presenti vari schizzi di sangue in
massima parte puntiformi; altri schizzi si notano sulla superficie laterale
destra del lunotto, per chi osserva dall’interno.
Sulla destra del pianale, giace, sul fianco sinistro, il cadavere del ragazzo. E’
rigido, cereo, inodore, freddo, integro, senza pantaloni, con la testa rivolta al
portellone posteriore, alla cui base aderisce con la regione parietale; gli occhi
e la bocca sono chiusi, il viso è sporco di sangue e poggia con la guancia
sinistra; dalla boccia fuoriuscita della sostanza organica. Questa è
intervenuta dopo i primi colpi ricevuti segno di indici di vitalità del ragazzo che
l’assassino potrebbe aver represso poi con le molte ferite d’arma bianca.
Il cadavere indossa una maglia a mezza manica, di colore beige con righe
blu, macchiata di sangue con più accentuazione nella parte inferiore; un paio
di slip completamente intrisi di sangue ed un paio di calzini bianchi anche
essi macchiati di sangue.
È stato inoltre colpito numerose volte (10) con uno strumento da punta e da
taglio, più precisamente: all’emitorace sinistro (1), al fianco sinistro (2),
all’ipocondrio (1), alla fossa iliaca destra (1), all’avambraccio destro (1), alla
coscia sinistra (2) ed in regione lombare destra (2) tutte con scarsi indici di
vitalità. (Si presenta qui un problema di fonte perché l’esame autoptico
differisce dalla perizia nel numero di un colpo inferto).
Gli arti sono divaricati e distesi. Al di sotto è uno slip tanga strappato (sic) su
di un lato. Sulla guancia sinistra una macchina di sangue coagulato che
seguendo la linea di gravità imbratta braccio ed ascella.
Ai lobi degli orecchi orecchini in metallo giallo, al collo una catenina di metallo
giallo, spezzata nella parte anteriore, all’anulare ed al medio della mano sistri
due anelli in metallo. Al polso sinistro un orologio intriso di sangue col
cinturino slacciato.
******
Il duplice delitto del Luglio del 1984 si presenta particolarmente atroce agli
occhi di chi guarda per alcuni elementi che, purtroppo, caratterizzano la
scena: 1) la giovane età delle vittime; 2) l’escissione - oltre al pube - del seno
sinistro della vittima femminile.
Giunti ormai al nostro nono appuntamento, è tempo ora di affrontare due temi
essenziali per la natura di questo nostro percorso: il concetto di colpa e
quello di pena.
La colpa.
La difficoltà nella ricostruzione risiede nella direzione dei colpi ricevuti dai due
giovani (soprattutto l’uomo) e la fonte di questi, ovvero il finestrino lato
passeggero.
Considerando l’ipotesi per la quale i due ragazzi si trovassero già nella parte
anteriore della panda, dalla quale era stato divelto il divanetto, si vedrebbe il
ragazzo semi-seduto col fianco sinistro rivolto verso il parabrezza/finestrino
passeggero da dove, appunto, provengono i colpi che si infrangono, difatti,
sul porzione di corpo esposta. La ragazza, diversamente, poteva essere
seduta frontalmente essendo stata colpita allo zigomo destro.
L’omicida esplode qui 5 colpi d’arma da fuoco, due dei quali diretti al cranio
dei due ragazzi con fini evidentemente mortiferi nel senso di giungere alla
morte nel modo più rapido possibile come aveva fatto anche negli anni
precedenti ad esclusione del delitto del 1974 dove, ancora inesperto, era
mancato di mira e precisione preferendo un’irruenza che lo aveva costretto a
finire la povera ragazza col coltello. Le altre circostanze collimano così come
negli altri delitti.
Troveremo così più corretto identificare tale pratica post mortem dell’omicida
che si sussegue negli anni, non come evoluta, bensì some modulata. Quella
che sembra una mera bizza lessicale, presenta invece - a nostro avviso -
notevoli e sostanziali conseguenze.
Ricordiamo i due duplici omicidi del 1981, dove le coppie vengono uccise in
un primo momento di svestizione, durante - probabilmente date le circostanze
- i preliminari. Qui l’omicida, ad una situazione generale e particolare
pressoché identica, reagisce in una funzione maggiormente punitiva rispetto
alla morte, con l’escissione del pube e con altre ferite da punta e da taglio in
quelle zone (Ottobre ’81) coperte invece nel delitto del Giugno dello stesso
anno.
Basta osservare i due ritratti per poter apprezzare le incredibili somiglianze
tra i due delitti.
Stessa considerazione potrebbe essere fatta per il delitto del 1982 e quello
del 1968 (anche se, in merito a questa corrispondenza sarà presente più
avanti un apposito approfondimento). Anche qui, le due coppie,
completamente vestite se non per i pantaloni solo sganciati della vittima
maschile del 1968 non porta al compimento di alcuna azione lesiva
aggiuntiva, in quanto come già detto in Udm7 la condotta omicidiaria poteva
già ritenersi esaurita con la semplice (mai parola potrebbe essere più
scomoda) morte dei giovani, rei di una colpa meno grave rispetto ai coetanei
precedenti.
L’omicidio del 1983 presenta invece una situazione per l’omicida in cui non si
era mai imbattuto, ovvero due uomini, ma che presenta le stesse
caratteristiche generali di cui sopra e che non provoca in lui alcuna attività
susseguente alla morte né correttiva (vd. L'uomo dietro il mostro 8).
Arrivando ora al 1984, l’assassino si trova di fronte ad una situazione:
ragazzo in mutande, calzini e maglietta con forse indosso i pantaloni (che poi
l’omicida avrebbe sfilato o a cui avrebbe sparato perché tenuti sollevati dal
ragazzo?), ragazza completamente nuda ad eccezione delle mutandine che
da rapporto vengono descritte come strappate e quindi non tagliate come per
quello delle vittime del 1981. Particolare questo che riconferma quanto già
detto in merito (vd. L'uomo dietro il mostro 5), ovvero che queste risultano
tagliate quando l’assassino ha già in mano la lama per averla utilizzata per
recidere i pantaloni (o la gonna) seguendo quindi la linea del suo agire,
quando invece la ragazza indossa solo quelle (1974 e 1984) è l’assassino
stesso a strapparle, non avendo nessun ostacolo da recidere tra lui ed il
pube.
È la prima volta dal 1974 che l’omicida si trova di fronte la stessa situazione
generale e particolare. Le altre (1981, Ottobre 1981, 1982 e 1983) erano
difatti tutte diverse.
L’omicida lascia agli occhi dei propri spettatori una orribile rappresentazione
del suo agito. Spettatori composti sia dagli organi inquirenti sia, grazie
all’opera dei mezzi di comunicazione, la collettività stessa. Lungi dal rischiare
di porgere un complimento con questo termine ad un perfido assassino, la
“teatralità” in questo caso identifica una particolare attenzione dell’omicida
per il momento in cui verranno ritrovati i cadaveri.
L’omicida utilizza, quindi, la pubblicità data ai suoi omicidi come mezzo per
inviare un messaggio a quella collettività di cui lui stesso fa parte ed al
contempo sente di dover educare. Le orribile nefandezze dell’assassino,
dunque, riecheggiano indirettamente in ogni dove mandando un messaggio
ben preciso e purtroppo non sempre compreso: non dovete voi compiere
questi atti, in questi luoghi ed in questi momenti altrimenti la punizione che
meritate è questa. Il tutto sotto forma di un vero e proprio principio di legalità:
chiarezza sul fatto vietato e conseguenze per questo stabilite.
La cosa curiosa, è che l’omicida, il Mostro, qua, non si inventa niente. Anzi,
prende appunti e copia, riproducendolo a sua immagine e somiglianza.
Perché sì, tutto quello che fa era già stato scritto. E non da lui.
Segue... (A settembre).
5 commenti:
Orbital ha detto...
Signor Oltremari,
I sardi entrarono nelle indagini mdf nel 1982, e nel 1981 mi pare
fosse sospettato solo Enzo Spalletti.
Unknown ha detto...
Salve Orbital,
E.O.
Purtroppo anche i link ai miei post sono stati cancellati - come tutto il
forum-, inutile dire anche sotto quale nick scrivevo, ma le posso dire
che nel forum ero giunto ad avanzare le stesse perplessità su alcuni
punti che vengono dati per scontati.
L'omicidio dell'82.
Il punto di arrivo e di fuga dell'assassino, non dalla via principale ma
dal bosco retrostante, implica di nuovo una scelta premeditata del
luogo, perchè quindi considerarlo un luogo meno calcolato e più
contingente degli altri?
Altra mia curiosità era data dall'arma bianca. Nel 1968, l'aveva con
sè? Nel 1974, l'uso della lama, quanto era premeditato e quanto
contingente?
Queste e mie altre perplessità che nel forum non trovavano risposte,
vengono argutamente analizzate, e secondo me risolte nel suo
lavoro. Ancora complimenti.
Unknown ha detto...
Buonasera Orbital,
E.O.
Unknown ha detto...
50 anni. Cinquanta.
Non si sono mai visti crescere, non si sono mai lasciati e poi rincontrati, non
si sono mai guardati negli occhi davanti ad un altare, né hanno mai avuto
alternativa alla loro relazione. Non hanno mai supportato l’altro durante la
gravidanza, né dibattuto sul nome da dare al nascituro. Non lo hanno mai
visto nascere, né crescere, studiare, vincere, perdere, amare, piangere,
mettere su famiglia, invecchiare. Un po' come loro.
Tanti anni fa ebbi la fortuna di parlare con un amico della coppia uccisa a
Calenzano. Stefano e Susanna. Ero agli inizi dei miei studi e gli chiesi di
raccontarmi di quei giorni. Mi raccontò di come seppe della morte dei suoi
amici, della incredulità, della disperazione e della paura. Mi disse che a volte
pensava al fatto che se quella notte di Ottobre i suoi amici non avessero
avuto voglia di far l’amore, magari, oggi, i loro figli avrebbero avuto la stessa
età dei suoi. Magari sarebbero cresciuti assieme, avrebbero frequentato le
stesse scuole e magari, sì, giocato insieme a pallone. Un po' come loro.
Ho una sorella molto più piccola di me. Ha la stessa età di Pia. Una bambina.
Non una ragazza, ma una bimba. Non riesco a vederla altrimenti. E per
deformazione professionale penso a chi, Pia, se l’è trovata di fronte quella
notte di Luglio. A chi le ha rivolto contro un’arma. Non ha visto quei tratti dolci
del viso o la pelle ancora levigata dalla natura. Non ha visto tutte le possibilità
che la sua età le poteva offrire. Ha visto altro e lo ha preferito a Pia e
Claudio.
E credo che nessuno potrà mai perdonarci per questo. Soprattutto Loro.
Anni fa mi trovai bordo lago (non Trasimeno, tanto per sviare dubbi sul tema)
seduto su una panchina a parlare con uno dei protagonisti di questa storia.
Gli raccontavo le mie idee, i miei dubbi, gli spunti e quelle che
narcisisticamente ritenevo essere validissime intuizione riguardo a chi, quelle
notti, aveva ucciso sedici ragazzi senza…
Sorpreso, risposi che era il numero dei ragazzi uccisi. Otto duplici omicidi,
quindi sedici corpi.
Mi interruppe nuovamente e con la mano mi fece cenno che no, non erano
sedici, ma molte di più.
Intuii dove voleva andare a parare, così fui io ad interromperlo quella volta
assecondando la sua correzione e suggerendogli - per mostrarmi preparato -
che, certo, si riferiva alle morti collaterali, le prostitute, chi incaprettato e
mutilato, chi impiccatosi coi piedi che strusciavano per terra…
Ancora quella mano che diceva no, no Enea, sono ancora molte di più.
Siamo noi, mi disse. Io e te. Ma non solo. Chi sulle scene del delitto si è
chinato sui corpi per descriverli nel verbale, chi in divisa si trovava ogni estate
col timore di sentire i rintocchi della Calibro 22 che sancivano un loro nuovo
fallimento e chi ci credeva davvero; chi era in quell’aula di tribunale a
prendere appunti da trasporre in un articolo di giornale, o chi sui banchi nella
convinzione di far giustizia e chi invece deciso a difenderla; chi era lì a
decidere; chi a casa davanti alla tv; chi dentro quelle macchine ci ha lasciato
un amico, un amore mancato, una sorella, un fratello, un figlio o una figlia o
un nipote o chi in quegli occhi spenti ha visto solo sé stesso e da quel giorno
non ha fatto altro che collezionare articoli di giornale; chi ha aperto un blog,
chi ha passato le notti a ricopiarvi sentenze, chi ci ha scritto un libro, chi due,
chi ci ha fatto un film o un documentario dvd con contenuti speciali, chi si
mette un microfono in mano per parlare ad una folla di appassionati in un
qualche circolo toscano, chi ne parla alla radio, chi ne scrive per lavoro e chi
passa le giornate a spulciare e commentare pagine Facebook dedicate al
tema.
Siamo noi, che ci pensiamo ogni singolo giorno della nostra vita. Vittime
collaterali di questa storia. Certamente non equiparabili a quei ragazzi, ma
comunque vittime, chi in un modo o chi nell’altro, di quegli spari nel buio.
E. Oltremari
Non lo pubblicai al tempo solo perché il clima di quei giorni le avrebbe poste
nella coda delle tante parole, trasmissioni, dirette, presentazioni, articoli che
si sono susseguiti. Adesso, invece, rappresentano quanto di meglio avrei mai
voluto considerato che stiamo arrivando ad un punto nevralgico del nostro
percorso.
E sarà anche qui rispettato lo stesso principio di colpa e pena come espresso
negli anni precedenti dove il maggior avanzamento dell’atto sessuale della
coppia, intuibile dalla maggior nudità dei corpi, verrà ripagato dall’assassino
con l’escissione del pube e del seno sinistro della vittima femminile e con i
molti colpi inferti a quella maschile (di cui comunque parleremo nella seconda
parte).
Solo che questi quattro termini, che troviamo violati in ogni delitto attribuito al
Mostro di Firenze non me li sono inventati ora io - non vagliatemene per il
piccolo bluff - estrapolandomi ex post dall’analisi delle scene, ma sono già
stati descritti da qualcuno qualche tempo fa.
(segue…)
7 commenti:
Unknown ha detto...
Salve Enrico,
E.O.
Piper ha detto...
MiniRombo ha detto...
Dom ha detto...
Dom ha detto...
Unknown ha detto...
Salve Domenico,
Dipende da cosa si vuole intendere per "predicatore".
Provo a spiegarmi: la classificazione che noi diamo ai vari omicida
seriali - così rubricata come da prassi nel C.C.M. - è un tentativo del
soggetto terzo di spiegare (e poi raggruppare) l'agire dell'omicida in
relazione a quello che lo ha spinto a compiere l'insano gesto.
Ora, questa razionalizzazione del comportamento dell'omicida è utile
per chi, appunto, classifica.
Spesso però non corrisponde affatto al reale movente dell'omicida
che agisce, invece, spinto, ad es. da un altro "trauma" che lui stesso
proietta - perché incapace di risolverlo - in una giustificazione, come
lei suggeriva, predicatoria ad il suo agire.
Ed è lì, a mio modesto avvisto, il terreno su cui dovremo muoverci
ponendoci questa domanda: la spiegazione che noi cerchiamo di
trovare in questi delitti è la stessa che muove l'agire dell'omicida o
solo una proiezione giustificativa di questa?
E' un terreno impervio anche di difficile indagine.
E.O.
Iniziamo così ad esporre quello che rappresenta, secondo chi scrive, il mo-
vente ai delitti, ciò che ha spinto l’omicida ad agire e che lui stesso ha posto
come giustificazione ai suoi crimini, frutto - in realtà - di un diverso trauma
che solo un nome ed un cognome potrebbero davvero spiegarci.
Buona lettura,
E.O.”
1490.
“[…] molte persone si truovano in questo tale stato, le quali o per negligen-za
o per ignoranza o per malizia vivono tanto bruttamente, e senza freno di
ragione e di conscienzia, che poca differenzia è intra loro e gente pagana, o
vero animali bruti e bestiali che non hanno intelletto niuno né ragione; e così
facendo si vengono a dannare, la qual cosa è assai nociva et in perpetuum
dan-nificativa.”
Già si può intuire come la prima cagione sia quella della procreazione, da
svolgersi - comunque, non sia mai - con tristezza d’animo per limitare al
massimo la libido sessuale. Procreazione di quei figli destinati a riempire quei
seggi vuoti lasciati in Paradiso dalla caduta di Lucifero ed i suoi seguaci.
La seconda, consiste nel compiere l’atto sessuale per soddisfare il debito nei
confronti dell’altro, del coniuge, perché l’atto - quando richiesto - è dovuto.
La terza, più pragmatica, è quella di copulare per evitare distrazioni verso al-
tri mali disonesti. Dopotutto, ci dice il predicatore, da quando Adamo e la sua
compagna non si mostrarono certo probi, è difficile per l’uomo mantenersi alla
distanza dalla tentazioni e per questo, Iddio, creò il matrimonio. Quindi, per
evitare di andare a peccare a giro, meglio sfogare - seppure con estrema
riluttanza - i propri deprecabili istinti verso la propria compagna che non è
peccato mortale, ma solo veniale. Tant’è che la quarta ragione è appunto
proprio quella di attrarre a te il tuo compagno o compagna che credi
frequentatrice di pensieri disonesti così da ricordargli quale sia il più corretto
e giusto fra i piaceri.
Perché se abbiamo visto quali sono le ragioni per cui può esser validamente
praticato l’atto sessuale, vediamo ora quali sono le condizioni che ti fanno
staccare un biglietto di sola andata per il peccato mortale.
Il primo fra questi consiste nei limiti del matrimonio. Fuori da questi limiti,
anche qualora si trattasse di promessi sposi, poco importerebbe perché
condizione prima per la liceità dell’atto sessuale è proprio questa, cioè il
matrimonio.
La seconda consiste nel farlo pensando ad altre persone perché la sessualità
con la propria compagna non può essere utilizzare per aggirare i divieti sopra
posti.
La terza regola, si definisce locale che qui predica sotto duplice accezione
sia il dove luogo fisico l’atto sessuale non deve essere fatto sia - senza usare
tanti giri di parole - dove luogo anatomico questo debba (o meglio, non
debba) essere praticato.
Circa invece i luoghi geografici dove non si doveva in alcun modo aver atti
sessuali di alcun tipo così da non peccar mortalmente perché il sangue ed il
seme li profanerebbero irrimediabilmente.
Fra questi troviamo i luoghi sacri, come chiese e cimiteri e luoghi a questi
limitrofi. Ancora, i luoghi pubblici e manifesti dove la coppia potrebbe essere
vi-sta così da generare in chi li vede la voglia ed il desiderio di far la stessa
cosa. Come e soprattutto dai fanciulli le cui menti non devono essere viziate
dal peccato altrui.
Mi sono imbattuto per caso in questo scritto mentre seguivo la scia di pensie-
ri che ho cercato di riprodurre negli appuntamenti de L’Uomo dietro il mostro,
allontanandomi per un attimo dai soliti sentieri battuti, dai soliti nomi (vedo
che se ne parla comunque tantissimo quindi cosa altro avrei potuto dire se
non get-tarmi in una bagarre che avrebbe portato più tensioni che
soddisfazioni) e pro-vando ad analizzare le scene del crimine con la mente
sgombra e libera dai pre-giudizi - certo necessari - dati dal “senno di poi”.
Il movente. Tradendo quanto detto poco sopra in merito al non voler trattare,
né considerare, la vicenda investigativa e giudiziaria, ho sempre trovato
deboli i grandi nomi sul tema appunto del perché, questi, avrebbero
commesso questi delitti. Rigettando fin da subito qualsiasi ottica di
mercimonio tra esecutori e mandanti e quindi un movente dettato
esclusivamente da una semplice richiesta di adempiere ad un compito
(uccidere) per soddisfare non meglio precisati riti; e volendo andar oltre al
semplice - seppur validissimo lo confesso - tradimento della fiducia della
donna e susseguente volontà di riappropriarsi di questa idealizzandola nelle
giovani vite che l’omicida intendeva recidere, ho ritenuto di dover ricercare un
elemento che legasse questi omicidi così teatrali, brutali, appariscenti.
Una società italiana post 1968, un primo movimento di rivoluzione dei co-
stumi sessuali, un tempo di cambiamento, il sesso, i delitti, la punizione, la
predica.
Mi sono spinto dove la mia conoscenza ed il mio sapere non potevano arri-
vare e così mi sono fatto aiutare da esperti del settore, storici e teologi (che
rin-grazio infinitamente per il contributo). Mi hanno descritto una Firenze del
1400 lussuriosa, proibita, scandalosa, sodomita, dove il sesso si mescolava e
legava col potere, la chiesa e la società, tanto che fu necessario creare un
organo ad hoc per potesse arginare gli episodi che potevano attentare alla
pubblica decen-za. Le pene, severissime, per adultere, omosessuali,
fedifraghi ed attentatori del buon costume, contemplavano stigma sul corpo,
lembi di pelle ed arti appesi sugli edifici cittadini come monito per i cittadini. E
poi il cammino di penitenza, lungo le chiese della città, per mostrare ed
espiare i propri peccati fino alla casa del boia (interessantissimo qui vedere
dove questa si trovava ma sarà oggetto dei prossimi appuntamenti).
Tutto questo quadro, aiutato anche dalle rappresentazioni dell’epoca presenti
su volumi che invito i lettori a poter apprezzare in qualsiasi biblioteca
fiorentina o anche solo ad alzar la testa lungo le vie della nostra città e notare
quelle targhe che raccontano esecuzioni, gogne ed episodi avvenuti negli
angoli della città e sfido lo stesso lettore a non trovare questo quadro così
incredibilmente vicino ai delitti del Mostro: una società - ricordiamo in piena
fine degli anni ’60, colta dai primi venti parigini - che deve essere educata, un
sermone, una predica, sfortunati mezzi per poterla esprimere, un risultato. Lì
dove nasce la rivoluzione culturale, nasce il Mostro, che vi rema contro, che
recalcitra verso altri costumi, altra morale, altra epoca i cui valori (comunque
protrattisi nel corso dei secoli identificandosi nel c.d. buoncostume sessuale),
sono minacciati da una nuova corrente, che ha spostato la vivacità sessuale
(mai sopita) dei giovani - fuori dalla costanza del matrimonio - prima ad una
sua tacita accetta-zione e poi, data comunque l’impossibilità di poterla
praticare liberamente, pro-trattasi fin fuori dalle mura domestiche. Abbiamo
sempre visto questi omicidi come diretti verso, anche solo indirettamente, un
dialogo con l’opinione pubblica, ma ci siamo dimenticati che la prima opinione
colpita da questi delitti - oltre alle povere vittime - erano i loro stessi genitori.
Loro i destinatari del messaggio. Loro, forse, i veri soggetti che avrebbero
dovuto mutare le loro abitudini, riconducendo i propri figli all’interno di quelle
mura che gli avrebbero impedito di profanare il pubblico con la loro sessualità
manifesta. Perché là fuori, vi era un uomo che in determinati notti avrebbe
por-tato avanti quel suo percorso di insegnamento. Un cammino di penitenza,
di sacrificio, rispondente ad un unico dettame: voi non dovete fare ciò che
state facendo.
Un messaggio (il giusto fare) attraverso un atto brutale (gli omicidi) per edu-
care sia i giovani a comportarsi in preparazione a quelle che sarebbero state
le regole da seguire in costanza di matrimonio sia verso quei genitori che
avrebbe-ro dovuto - di proprio conto - impartire ai figli i giusti precetti e proprio
perché questi erano stati rinvenuti dentro ad un automobile ad amarsi, si
erano dimostrati negligenti ed avevano fallito nel loro compito.
È così assurdo pensare che il Mostro non si sia inventato niente, ma abbia di-
storto un messaggio ed abbia indossato le vesti del predicatore per arginare
quella, ai suoi occhi, follia che stava divampando di fronte a lui. È così
insensa-to ritenere che quei corpi straziati non fossero altro che un
messaggio da mandare alla cittadinanza, un sermone utile ad ammonire e ad
insegnare in relazione non ad un suo privato convincimento, ma a ciò che era
già stato detto, centi-naia di anni prima, fra le vie della sua stessa città.
Questa è una eventualità che nell’analizzare le scene del delitto non sento in
alcun modo di escludere, anzi, il nostro esperimento di profilazione criminale
mi sta portando proprio verso quella direzione. Ciò ovviamente non significa,
superficialmente, una lettura distorta di un testo o di un bagaglio culturale tale
da aver avuto per l’assassino delle coppiette un effetto criminogenetico, ma
l’utilizzo di questa cultura, di questo sapere, di queste idee per giustificare un
proprio agire omicidiario generato da un evento, da una psicopatologia che
troverà fondamento in un evento o condizione a noi, ad ora, sconosciuti.
Lascio al lettore, adesso, poco prima del Settembre 1985, mettere in
correlazione i dettami di Regole di vita matrimoniale (date, eventi, luoghi) con
i delitti stessi.
3 commenti:
Orbital ha detto...
Unknown ha detto...
Salve Orbital,
29 Luglio, più che ad un discorso di "santi" (che credo che per mera
distrazione, si riferisca a Santa Maria di Betania e non Santa Marta)
qui si debba far riferimento alla Domenica, come giorno elencato
nella regola temporale.
A presto,
E.O.
Unknown ha detto...
Bella ricostruzione, assolutamente degna di nota.
In cuor mio ho sempre ritenuto che l'obbiettivo del Mostro fosse
quello di punire "l'intimità" della coppia, forse mosso da invidia. Però
l'idea di un "fondamentalismo religioso" di contorno è molto più
plausibile e anzi, non è detto che l'invidia non c'entri: lo scatenarsi di
pulsioni sessuali nel vedere certi atteggiamenti che le coppiette gli
risvegliavano erano sufficienti per punire i poveretti con la morte, e
più in là si spingevano i due, più lui si eccitava e si sentiva invidioso
e più dovevano essere puniti, proprio per aver suscitato in lui
pensieri peccaminosi.
Introduzione.
Caso 1 (Pettini/Gentilcore);
Caso 3 (Cambi/Baldi);
Caso 4 (Mainardi/Migliorini);
Caso 5 (Rush/Meyer);
Caso 6 (Rontini/Stefanacci),
Caso 7 (Mauriot/Kraveichvili)
Il tramite dei colpi d’arma da sparo riferibili al Caso 0 depone per un’azione
omicidiaria rapida, fulminea, tale da cogliere di sorpresa i due amanti così da
recarne la morte nel più breve tempo possibile. Azione a sorpresa verificatasi
nonostante la difficile geografia del luogo del delitto: l’automobile si trova,
difatti, parcata su una superficie composta da sassi - non propriamente utile
ad una camminata silenziosa e felina - e con una vegetazione di copertura
distante dalla vettura (fig. 1),
dovendo considerare quella limitrofa alla fiancata destra della vettura come
non consona ad un occultamento e comunque opposta dal punto di origine
dei colpi d’arma da fuoco.
In tal senso, l’omicida avrebbe quindi dovuto muoversi senza coperture per
alcuni metri prima di arrivare allo sportello lato guidatore, aprirlo ed esplodere
i colpi di pistola. Il tutto, ricordiamo, con estrema efficienza ed efficacia,
stante il risultato.
Il livello di attenzione delle future vittime qui è bassissimo: non esiste alcun
Mostro né altra minaccia proveniente da terzi. Considerata poi la storia
sessuale dei giovani è facile poi presupporre che il focus dei ragazzi fosse
diretto su loro stessi e su quanto erano in procinto di fare.
Ora, risulta doveroso premettere, per quanto riguarda il Caso 1, che vi è una
profonda discrasia tra le due ricostruzioni sulla dinamica dell’omicidio: una
che propende per i colpi esplosi prima dal lato guidatore e poi dal lato
passeggero; altra che invece propone per un unico punto di sparo originato
dallo sportello lato passeggero. Senza volersi dilungare oltre e rimandando
all’approfondimento de L’uomo dietro il Mostro presente su IdP ed al già
ottimo lavoro di Valerio Scrivo sul tema, per il tramite dei colpi, le ferite
inferte, il posizionamento del corpo del ragazzo, chi scrive propende più per
una dinamica circoscritta ad un unico punto di sparo, cioè dal lato del
passeggero. Seguendo tale linea di pensiero vediamo come l’omicida, per
emulare l’azione del delitto Caso 0 e magari forte della riuscita dell’azione,
decida di agire analogamente, cioè puntare il lato della donna. Questa
volta, però, la portiera - come dicevamo - è quella sbagliata.
Nel Caso 0, l’omicida apre la portiera lato guidatore con la sinistra, la tira a sé
e si trova un angolo di tiro ampio per la pistola impugnata con la destra; qui,
nel Caso 1, la portiera da aprire è quella lato passeggero che aprendo con la
sinistra copre il proprio angolo di tiro sia con la sua stessa mano che con la
portiera stessa. Possibile, dunque, che l’omicida abbia aperto la portiera con
la mano destra (azione più naturale) ed abbia provato a sparare con la
sinistra, mano non da lui perfettamente gestibile e causa della scarsa mira e
dello spreco di proiettili; ancora, possibile che l’omicida abbia fatto tutto con
la mano destra, cioè aprire lo sportello e sparare, creando quello scarto di
tempo che ha reso i giovani purtroppo consci dell’aggressione e spiegando
così la rotazione del corpo del ragazzo, la sua gamba sul tappetino del lato
passeggero ed il suo voltare il corpo all’omicida, senza contare la reazione
della vittima femminile e la sua interazione con l’assassino. Non
dimentichiamoci poi che con la mano libera l’assassino qui è anche costretto
ad estrarre l’arma bianca per utilizzarla nei confronti della giovane donna (già
nell’approfondimento in UdM si presentava la suggestione di una “mano in
più” durante l’aggressione alla vittima femminile ma di cui, almeno ora, non
parleremo).
La ragazza verrà poi trascinata dietro la vettura per essere poi attinta dalle
pugnalate post mortem. Sarà la prima ed unica volta in cui l’omicida
effettuerà tale azione nella prossimità della vettura, prediligendo poi negli
anni successivi uno spostamento del corpo a metri di distanza. Evento questo
a cui più avanti proveremo a dare una spiegazione.
Per i primi due delitti lo sparatore predilige, dunque, il lato che presentava la
donna più vicina a sé. Considerato che nel Caso 0 potrebbe aver assistito al
cambio di posizione tra il guidatore e la Locci e nel Caso 1 - ricordiamo la
questione dei vestiti fuori dalla vettura - ad un posizionamento dei giovani sul
sedile del passeggero, potremo pensare ad un assalitore che decide di
colpire dal punto in cui aveva più vicino a sé la donna, magari come primo
oggetto del suo agire punitivo e maniacale.
Sono condizioni queste che rendono la dinamica del Caso 1 più fragile e
pericolosa rispetto a quella del Caso 0: crea confusione, rumore eccessivo,
probabili grida, finisce i proiettili, deve utilizzare in senso mortifero l’arma
bianca ed entra in contatto con le vittime. Difatti, questa modalità d’assalto
verrà accantonata dall’omicida che, difatti, non la utilizzerà più. Da qui
potrebbe ipotizzarsi come il duplice omicidio del Caso 1 non sia un omicidio
programmato o studiato, o quantomeno non sia un delitto ben
pianificato. Le circostanze non si presentano così favorevoli ad un assassino
che paradossalmente sei anni prima, più giovane e con vittime più vecchie
rispetto a quelle del Caso 1, con elementi ancor più di sfavore (terreno e
presenza del bambino in auto), riesce ottimamente nel suo obbiettivo
compiendo anni dopo un apparentemente inspiegabile passo indietro
esperenziale. Qui, per il Caso 0, potremo propendere per una buona abilità
dell’assalitore avendo il paragone di una dinamica simile di qualche anno
dopo dove, uno stesso agire, ha creato un risultato molto diverso. Risultato
dovuto forse ad un cambio dell’offender che voleva emulare l’assalto del
delitto 1968 o magari ad un difetto di programmazione o strategia o ancora in
una incapacità di gestione della situazione dovuta - come in tanti pensano -
ad una conoscenza delle vittime.
Passano gli anni e ne trascorrono ben sette. Ormai del delitto del Caso 1 se
ne è perso le tracce nei giornali, nessuno ne parla più e qualcuno, purtroppo,
nemmeno lo ricorda più. Il livello di attenzione da parte delle vittime del Caso
2 è quindi bassissimo.
La vittima maschile è stata colpita per la prima volta alla nuca da distanza
ravvicinata. Tanto vicino che il terzo colpo ed i successivi verranno esplosi
con la mano immessa all’interno della cabina. La vegetazione circostante non
è idonea ad un perfetto occultamento, anzi (fig. 3). I metri che avrebbe
dovuto percorrere per passare dal suo rifugio alla prossimità dell’auto sono
ben maggiori rispetto a quelli del Caso 1 e del Caso 0.
Chi scrive ritiene quindi che l’omicida abbia utilizzato una tecnica per far
abbassare le difese ai due giovani, manifestandosi a loro prima dell’assalto
per poi colpirli quando loro meno se lo aspettavano. Potrebbe trattarsi di una
divisa, come diceva il buon Avv. Filastò, o comunque anche solo una
parvenza di questa ma comunque utile a poter far abbassare le difese ai
ragazzi e permettersi così di poter sparare a distanza ravvicinata, senza far
neanche voltare il ragazzo (magari intento a parlare con la fidanzata per
richiederle di passargli, ad es. il libretto tenuto nel cruscotto o altro, o magari
la borsa che ricordiamo è stata ritrovata fuori dal lato guidatore).
Accade qui che i colpi vengono esplosi al di là del finestrino di quel lato della
vettura che è proprio coperto dalla vegetazione. Spazio utile quindi
all’omicida per potersi avvicinare il più possibile all’auto rimanendo coperto e
celato dal filare di cespugli che segue la strada sterrata dove era parcata la
Volkswagen del Baldi. È talmente importante - adesso - questa componente
per l’assassino che preferisce colpire da quel lato nonostante il suo
avversario più pericoloso, cioè l’uomo, sia seduto sul sedile lato guidatore e
quindi più lontano dalla sorgente di sparo (come diversamente aveva operato
nel Caso 2 solo alcuni mesi prima).
Anche qui (fig. 5), come nei due precedenti casi, troviamo la stessa
conformazione geografica che permette all’omicida di rimanere celato fino
alla prossimità del veicolo giungendovi frontalmente. La sua unica sfortuna -
ponendo noi ora la vittima maschile alla guida dell’auto poi finita nel fossato a
lato strada - è di essere stato scoperto dai giovani, permettendo loro una
iniziale fuga nella prossimità di una strada già utile a questa (la Virginio
Nuova).
Non credo sia un caso che questo sarà l’ultimo delitto del Mostro che vede
fra le vittime un soggetto in posizione di guida. Sarà una condizione, questa
della guida che non si ripeterà più nei successivi tre episodi. Pare difatti una
curiosa coincidenza che l’anno successivo l’omicida preferirà colpire un
mezzo fermo, come il pulmino dei turisti tedeschi, ove nessuno si
presentava sul sedile del guidatore ma entrambi i bersagli lontano dal
volante.
2.4. Gli ultimi tre delitti: gli omicidi lontani dal volante.
Anche qui, nel Caso 5, si evidenza la medesima condizione degli ultimi delitti,
ovvero una vegetazione che copre e segue una fiancata dell’abitacolo. Oltre
a questa, gioca in favore dell’omicida la struttura stessa del pulmino che,
proprio per i finestrini - alcuni dei quali opacizzati - e l’ampia carrozzeria,
rende meno visibile l’avvicinamento di un terzo, soprattuto da tergo dove non
vi è alcuna apertura. L’azione, però, rappresenta un unicum per l’assassino,
costretto a colpire in uno spazio più ampio rispetto a quello dove fino ad
adesso avevo rivolto i colpi di Beretta e soprattuto non in una automobile.
L’ampiezza del vano è difatti certamente più confortevole rispetto a quella
dell’abitacolo di guida. È forse per tale ragione che - scioccamente -
l’assassino non rivolge fin da subito i colpi ponendosi verso l’unica via di fuga
dei due giovani turisti, rischiando qui, proprio per il movimento dei corpi
all’interno del vano, che uno di questi fuggisse. Arriva a tale conclusione
probabilmente durante l’azione stessa, quando dopo i primi spari, gira attorno
all’abitacolo per porsi a sparare dalla parte del portellone. È una dinamica,
questa, che permetterà all’omicida di muovere un secondo gradino
esperenziale perfezionando il suo modus operandi nel Caso 7, quando -
come vedremo - si posizionerà in modo tale da accogliere la via di fuga delle
sue vittime con i colpi di proiettile.
A dieci anni di distanza dal primo delitto mugellano il Mostro torna a colpire a
pochi km di distanza da quella zona che sembrava ormai lontana dagli
obiettivi dell’assassino, tanto che, seppur su un livello di “allerta mostro”
abbastanza elevato, la zona mugellana non ne risentiva particolarmente.
Forse a causa di quella distanza geografica rispetto al clima fiorentino o al
senso di protezione dato dalla valle mugellana che le due vittime del Caso 6
si pongono in una condizione di rischio elevatissima: appartati in auto,
durante il fine settimana, dopo cena, in un luogo isolato ed adiacente alla
vegetazione ed a pochi km da dove era già avvenuto un altro delitto (che per
convenzione indichiamo come “quello di Borgo” ma in realtà rappresenta un
delitto di Vicchio anche questo).
L’omicida approfitta, come negli altri casi precedenti, della geografia del
luogo, dopo averlo studiato (o, comunque, già conosciuto) precedentemente
(fig. 7). Attende che i giovani si posizionino in modo tale da allontanarsi dal
posto di guida, impossibilitando così una loro eventuale reazione utile alla
fuga. Uscito dal suo rifugio, probabilmente arrivando da tergo della vettura,
l’omicida spara i suoi colpi dal finestrino dove aveva i giovani più vicini a lui,
uccidendo quasi subito la ragazza centrandola al volto e con più difficoltà il
ragazzo, più lontano dalla fonte di sparo, per cui saranno necessari più
proiettili. È il delitto, questo, che meglio identifica ormai il modus operandi del
Mostro, proiettato sulla minima esposizione al pericolo ed al rischio e
finalizzato all’ottenimento del miglior risultato possibile. È una condizione che,
quindi, difficilmente potrebbe adattarsi ad un soggetto psicotico, schizofrenico
o totalmente vittima della propria maniacalità. È, invero, una evoluzione
empirica e metodologica che propende per una personalità dell’omicida
estremamente organizzata e metodica, sintomatica di una lucidità modale e
comportamentale pienamente coordinata con quella psicologica, anzi,
talvolta forse ben più fredda di quanto la psiche dell’omicida vorrebbe
esprimere ed utile, di conseguenza, a garantire quella cadenza annuale dei
delitti riscontrabile da quando l’assassino prende dimestichezza con l’azione
omicidiaria. Difatti, siamo ormai giunti al momento in cui l’omicida si veste da
vojeur ed attende che i giovani siano impossibilitati ad una fuga, magari -
come in questo caso - più spogliati e lontani dal volante.
Ed il Caso 7, rappresenta la sua più fine espressione.
La tenda, chiusa, con due persone all’interno lascia spazio ad alcuni quesiti e
riflessioni:
Come faceva l’omicida a sapere che dentro si stava consumando l’atto
sessuale. Impossibile da vedere, ma possibile da sentire. Si nasconde fino
a che non vede i giovani chiudere la tenda e dopo poco si avvicina a questa
ed una volta che ha sentito lo strofinio dei corpi sul piumone o dei gemiti
decide di colpire? O semplicemente giunge sulla piazzola comunque
frequentata da coppiette e trovandovi una tenda spara sapendo che per forza
dovevano esservi due persone dentro? Se le avesse sentite dormire avrebbe
sparato lo stesso? Se la risposta a questo quesito fosse negativa, allora
dovremo pensare che anche i tedeschi del Caso 5 dovevano essere intenti in
atti sessuali e quindi omosessuali ma - come già detto nell’approfondimento
su IdP, a cui si rimanda - come può l’omicida confondere il corpo nudo di un
uomo con quello di una donna? Dopotutto mira. Ed il seggiolino presente
nella vettura? Come faceva l’assassino a sapere che dentro quella tenda non
ci fosse anche un bambino? Davvero dobbiamo pensare che l’omicida abbia
rischiato di uccidere un infante? Difficile.
È possibile, muovendosi per ipotesi, che l’assassino abbia agito, stante il suo
posizionarsi fuori dall’entrata della tenda lievemente accovacciato e tenendo
l’arma in senso parallelo al terreno ma in posizione più bassa rispetto a
questo (la scarpata poco distante), in modo da poter sparare verso la tenda
con i due turisti attratti verso l’uscita di questa. Potremo forse azzardare che
quel famoso taglio sul retro della tenda, sia stato eseguito proprio in tal senso
per creare paura nei soggetti all’interno che per vedere cosa stava
accadendo si sarebbero diretti verso l’unica uscita o via di fuga possibile. O
ancora, qualora il taglio fosse dovuto ad altre cause, magari l’omicida
avrebbe potuto attirare la loro attenzione fuori dalla tenda, intimandogli di
uscire per poi accoglierli coi colpi di pistola. Dopotutto l’omicida invece di
sparare dalla direzione a lui più favorevole e riparata, ovvero il retro della
tenda, preferisce colpire frontalmente a questa probabilmente proprio per
bloccare l’uscita delle vittime avendole fatte confluire verso la cerniera della
zanzariera. Deporrebbero in tal senso i fori di proiettile in senso longitudinale
verso l’alto, come a dover colpire non una persona sdraiata, ma bensì
seduta o comunque semi eretta all’interno della tenda.
È questo l’apparente correttivo o strategia messa in atto dall’omicida che per
la prima - ed ultima - volta è costretto a colpire “alla cieca”.
La problematica che qui nasce è però altra. Come può l’omicida sincerarsi
della morte dei due? È costretto ad aprire la tenda.
Qui, a chi scrive, sorge un dubbio che porta ad una riflessione che sarà poi
argomentata in altra sede: come è possibile che l’omicida, che deve
sincerarsi dell’avvenuta morte delle vittime - dato che non può vederle - con
ancora colpi nel caricatore venga sorpreso da un soggetto che da posizione
semisdraiata, colpito, impaurito ed in stato confusionale, deve rialzarsi ed
uscire da una apertura larga poco meno di un metro. È una dinamica, questa,
che dovrà essere approfondita ed affrontata.
3. Conclusioni.
Salta subito all’occhio come, dal delitto di Baccaiano (Caso 4), l’assassino
smetta di colpire soggetti in prossimità del volante di guida. Dal 1982, difatti,
predilige un’azione più ponderata, meno assalitoria e più d’attesa. Come se,
diversamente dagli anni precedenti, prediligesse attendere il momento giusto
in cui colpire. Un’attesa sulla scena del crimine che, paradossalmente, si
scontra con lo stato di maggior allerta dell’epoca dovuto al susseguirsi sui
delitti. L’assassino, pur di giungere al proprio obiettivo, preferisce attendere,
nascosto nella boscaglia, il momento in cui le vittime sono lontane dal volante
(Caso 5 e 6) si spogliano del tutto o per la quasi totalità (Caso 6 e 7) così da
essere impossibilitate ad una fuga improvvisa. Non ritengo affatto un
caso che gli unici corpi nudi che l’omicida lascia siano quelli degli ultimi due
delitti e che a questi abbia riservato quella atroce doppia escissione prima
mai adoperata. Dopotutto, erano 10 anni (da Caso 1 a Caso 6), che ai suoi
occhi non si presentava davanti un corpo nudo di donna. Non si tratta, come
già ampiamente espresso in sede di UdM, di una evoluzione di fantasia - la
escalation escissoria - quanto più una diversa reazione ad una situazione
primaria ben diversa dai casi precedenti al Caso 6. È l’azione a determinare
la reazione.
Tutta questa preparazione, ci riporta quindi a quel quadro che vede l’omicida
perfettamente in grado di controllare il proprio impulso omicida, capace di
attendere un’annualità ed anche in sede criminis di essere in grado di
scegliere il momento migliore in cui agire, nonostante l’attesa e la visione dei
corpi.
Sono riflessioni, queste, che - ad avviso di chi scrive - non solo farebbero
propendere per un soggetto dominatore dei propri impulsi (e non viceversa,
escludendo quindi qualsiasi senso di megalomania e di raptus omicidiario,
leggasi “delitto di Baccaiano”) ma che sottolineerebbero la natura
prettamente predatoria ed organizzata di un omicida che probabilmente
consapevole di un’unica finestra temporale ove colpire vive i momenti di
latenza predisponendo una miglioria del suo agire, sempre più volto,
purtroppo, ad una assoluta efficacia.