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I MOSTRI A QUATTR'OCCHI

OVVERO: La Strega, il Lepre e le Tartarughe.


Lungo racconto inedito semigiallo – Scritto nel 1986

AVVERTIAMO CHE LA LETTURA DEL RACCONTO E' SCONSIGLIATA AI MINORI

INTRODUZIONE

Sveva esce per fare la spesa e il sole la investe e l’avvolge facendole strizzare gli occhi.

“E’ già meno caldo di ieri!”


Commenta guardando i bagnanti in bicicletta che ondeggiano lungo il viale.

Agosto sta per finire ma ancora la folla si accalca sulla spiaggia e invade i negozi del
centro.

I pesci, in bella mostra sui tavoli della pescheria “Mare blu”, attirano mosche e persone.

Vicino all’insegna del negozio, una grande testuggine imbalsamata occhieggia con
l’iride slavata e smorta e sembra chiedersi quale sia il suo ruolo, in mezzo a quella
confusione.

Sveva si sofferma un attimo ad osservare il collo grinzoso, il mento sfuggente, il profilo,


insomma, delle testuggine; ed ecco che una vecchia favola si fa strada nel suo cervello
collegandosi visivamente elle sue emozioni del momento.

xxx

La fiaba narra che un giorno, un lepre che si riteneva velocissimo e furbissimo,


scommise con una tartaruga a chi giungesse per primo in una corsa a tappe ad un certo
cespuglio di bosso.

Egli, sicuro della vittoria, si gingillò pavoneggiandosi, si fermò a rosicchiare germogli


ma, al termine della prima tappa, vide con stupore la tartaruga che, davanti a lui di
alcuni metri, si era fermata ad attenderlo al margine della via.

Sbigottito, accelerò l’andatura ma anche al secondo traguardo, la tartaruga gli era


davanti.

Sconvolto, il lepre nemmeno si voltò a salutarla e corse più veloce di prima, drizzando
le orecchie per l’ira e rimuginando fra sé la stranezza dell’accaduto.
Ma, per la terza volta, si vide in svantaggio.
“Come cavolo farà quella vecchia scema?” si chiedeva sfiancandosi nella corsa.

Mai aveva faticato tanto:


la lingua gli si stava gonfiando ed il pelo lucido era intriso di sudore.

Tutto inutile! Al traguardo finale, quando stravolto, con gli occhi strabuzzati e il piccolo
cuore sussultante, crollò sfinito sul polverone, la tartaruga era già lì ad attenderlo e lo
fissava con gli occhietti inespressivi.

Semplice; la vecchia carcassa aveva reclutato alcune sue simili che, dall’occhio
inesperto del lepre, distratto dalla foga della corsa, potessero venire facilmente
scambiante con lei e le aveva collocate ciascuna vicino ad un traguardo diverso..

Intanto, si era biascicata la quotidiana razione di lattuga, si era fatta un bagnetto


nell’acqua tiepida di una pozzanghera, poi si era sistemata all’ombra, sotto il cespuglio
che segnava l’arrivo della corsa.

Ora, osservando il leprotto sfinito, considerava quante volte egli l’avesse schernita per
le grinze, la goffaggine e la saggezza.

“Come odio tutto ciò che è vecchio, lento e saggio!…La mia massima è: snello, perfetto
e veloce!”- era solito gridare il lepre mentre si specchiava compiaciuto nelle bozze,
socchiudendo gli occhi lunghi.

E rideva, sporgendo i dentini accavallati!

“Povero piccolo!..Che brutti scherzi possono combinarti l’illusione e la gioventù!!”


Fu il commento della tartaruga che si ritirò nel guscio e si sentì soddisfatta e sicura.

xxx

Sveva conosce una strega, di nome Mamtide, genitrice di un unico figlio che, per
gelosia, tiene da sempre prigioniero dentro una pelle di lepre.

La Mamtide, abitualmente nascosta nel guscio di una testuggine, ha tramutato molte


donne in tartarughe e le ha collocate lungo la strada dove quotidianamente va ad
allenarsi nella corsa il suo leprotto ignaro; cresciuto male dentro quella pelle di bestia
che non si è dilatata seguendone lo sviluppo corporeo e lo sta soffocando, stringendolo
specialmente ai lati del capo e sui genitali, dove il sangue sembra gonfiarsi, sino a farlo
scoppiare!

Presuntuoso ma ingenuo, il lepre non sa che la madre, creduta sempre presente e


disponibile per ogni sua necessità o desiderio, se ne sta invece comoda e
sonnacchiosa a decidere della sorte di lui, delegando altre “comparse-femmine”, pronte
a sostituirla in tutto e per tutto e a “sparire”poi in qualsiasi momento ella decida
opportuno, sicura della propria, ineluttabile, vittoria finale.

Anche Sveva era stata tramutata dalla Strega in una tartaruga e, spinta a forza sulla
strada polverosa, doveva sorvegliare, prevenire, spiare e riferire fedelmente alla
Mamtide, tutte le mosse del figlio.

Ma, per fortuna, è riuscita a rompere l’incantesimo masticando un’erba amara,


miracolosamente scoperta tra la vegetazione incolta di un giardino abbandonato.

E oggi che, specchiandosi nel vetro della pescheria, si compiace nel vedersi ancora
donna, lenta, pesante, grinzosa, ma donna, pensa sia interessante raccontare questa
sua strana esperienza.

In un’epoca tecnologica, dove tutto è meccanizzato, costruito artificialmente,


computerizzato, dove nemmeno i bambini, imprigionati, venduti, torturati, uccisi
barbaramente persino dai propri genitori, conoscono più le favole, ci sarà qualcuno in
grado di ascoltare e capire una storia che potrebbe sembrare proprio una fiaba?

Sveva, appena rincasata, inizia a buttar giù alcune pagine e, nel frattempo, si augura
che a seguito di questa fatica, il leprotto riesca finalmente ad uscire dalla pelle di
animale, le streghe cambino mestiere e le tartarughe…beh… chi se ne frega!…Tanto,
quelle sono corazzate!…

Alberta Rossana Bianchi


P.s. –Seguono i 21 capitoli del libro “inedito”, scritto nel 1986 , con riferimenti a fatti
realmente accaduti negli anni ’83 – ’84 - ’85 - contemporaneamente agli eccidi del
Mostro di Firenze.

Soltanto l'introduzione e i primi 2 capitoli, furono pubblicati nel 1988, come inserto della
rivista "99" - di Alberta Rossana Bianchi.

Il resto del racconto, mai fatto conoscere se non “oralmente”, tramite letture durante
convegni letterari, viene presentato esclusivamente in internet. Pertanto, la
pubblicazione in rete è in assoluto un “regalo” per i frequentatori di questo SITO,
sperando che essi continuino a visitarlo con interesse.

TUTTI I CAPITOLI, DAL I° AL XXI°, SONO STATI INSERITI NEL SITO PRIMA DEL 18
OTTOBRE 2002

AVVISIAMO I LETTORI CHE IL RACCONTO CONTINUA CON "LA CODA DEL


MOSTRO", IN CORSO DI PUBBLICAZIONE DAL 28 MARZO 2005
I° CAPITOLO - UNO STRANO INDIVIDUO
11 Settembre 1983

Due anni or sono, di questi tempi, Sveva era andata ad abitare lontano dal centro della
città e lontano pure dalla spiaggia, dove non si vedeva spesso molta folla, né per strada
, né dentro i negozi.

In quella zona si era creata un angolo di Paradiso ed il sole l’aveva aiutata ad adornarlo
con buganvillee di vari colori, palme in vaso e rampicanti.

Qui svolgeva la sua attività, a contatto con la gente che, a poco a poco, aveva imparato
a frequentare la grande sala dove ella organizzava mostre, presentazioni di libri e dove
si poteva bere un bicchiere in compagnia.

Una specie di Club, insomma.

Sveva non si sentiva tartaruga, allora. Anzi; molto velocemente si era messa su
quell’Eden e più velocemente ancora si era svuotata le tasche, con tutte le spese che
aveva dovuto affrontare.

Questo era uno dei motivi che l’angustiavano. L’altro era la rottura del rapporto con
un uomo di cui era innamorata e la lontananza e il silenzio del quale le procuravano una
grande sofferenza.

Con il passare dei giorni, mentre le ore di sole diminuivano e il caldo si attenuava,
cresceva invece, sempre più acuto, il tormento della forzata separazione.

Settembre, ed ancora silenzio…


E lei rimaneva in sede, sempre, isolandosi dall’esterno, ad aspettare qualcosa che non
arrivava più.

Un lunedì mattina, l’undici di settembre, Sveva si era raccolta i capelli sulla nuca e stava
facendo pulizie nel Club, sbirciando dalle vetrine i rari passanti.

Una piccola macchina grigio-argento, preannunciata da un assordante concerto rock,


si era fermata di botto dall’altra parte della strada.

Sveva sostò, con la scopa sollevata da terra, per osservare lo strano individuo che ne
scese.
Abbondantemente adornato di borchie, anelli e spunzoni metallici; un’aquila dipinta
sulla schiena tra le grinze di un giubbetto di plastica bianca, aveva l’aspetto di uno
straniero.

Pochi capelli, tagliati corti ed attaccati alla cute da una considerevole porzione di
sostanza oleosa.
Si muoveva curiosamente, in modo piuttosto felino, comunque animalesco.

Il viso corto e squadrato, terminante in un mento piccolo e gli occhi chiarissimi e lunghi,
dietro le lenti cerchiate d’oro, gli conferivano un aspetto tra l’inquieto e lo smarrito.

A Sveva, che era più in alto di lui di qualche scalino, al momento non pareva molto alto
e sembrava pure piuttosto gracile.

Lo vide avvicinarsi, salire i tre gradini dell’ingresso principale e spingere la porta a vetri.
Notò l’accento insicuro quando le chiese: “Pe...permesso?…C’è il Professor
Pi….Piccinni?”

“ O questo…da dove salta fuori?” si chiese Sveva.


E, chissà, forse per l’aquila che, fra le grinze, somigliava ad un condor, o per tutti quegli
orpelli argentati, immaginò che il tizio provenisse dal Perù o, quantomeno, dalla
cordigliera delle Ande.

Alla risposta negativa di Sveva, la quale però rassicurò lo pseudo-peruviano che il Prof.
Piccinni sarebbe arrivato di lì a poco, egli si rifiutò di entrare nel locale e tornò ad
aspettare in macchina.

Di nuovo l’aria intorno rintronò di note sparatissime, mentre il tipo, seduto, si dimenava
freneticamente sul sedile al ritmo degli spari.

Sveva lo vedeva di profilo : la testa allungata e stretta, il collo sottile segnato da un


gozzo d’uccello che andava su e giù seguendo la musica, i capelli untuosi appena
spioventi sul collo e sulla fronte.

“Dev’essere un cantante straniero!” si convinse Sveva; e continuò a spazzare.

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Non si trattava di un cantante.


Il Prof. Piccinni, presentandolo, dichiarò in tono solenne.”Questo è il Prof. Morty, figlio
del Prof. Leone Scorpio!…E’ un artista figurativo!”

“ Beh…” – pensò Sveva che conosceva di fama il padre del tizio - “Che fosse un artista,
figurativo o no, l’avevo immaginato!… Quello che non riesco ad immaginare è il perché
un nativo locale debba conciarsi in questo modo!”
Ma disse soltanto: “Piacere” – in maniera molto formale.

Comunque, il falso peruviano non era antipatico.


Quando sorrise, i denti superiori sporgenti e disposti quasi ad angolo acuto, ne
accentuarono la somiglianza con un uccello.
Anche il labbro superiore, più lungo dell’altro, aveva qualcosa di un becco.

Sveva provò a indovinare l’età di Morty, piuttosto indefinibile.


A momenti sembrava un bambino, in altri pareva vecchissimo.
“Però, dev’essere giovane!”

Dopo queste riflessioni, la donna si estraniò dalla conversazione.


Aveva da fare alcune telefonate.
Ogni tanto, però, ne coglieva dei brani, senza ascoltare; ma sentiva sempre lo sguardo
dell’artista puntato su di lei.

Aveva notato, passando vicino al tavolo del salone, alcuni dei lavori che egli stava
presentando al Prof. Piccinni, noto giornalista dedito alle cronache d’arte, che ora, in
compagnia della moglie e di una giovane pittrice, stava esaminandoli attentamente.

A parte i colori, vividi e ben accozzati, il resto aveva procurato a Sveva un senso di
fastidio.
Natiche, falli, vagine e tette, sbattute ripetutamente e ostentatamente in primo piano;
immagini di violenza e di perversioni sessuali, anche se frazionate o addirittura
sminuzzate, dilagavano dalla cartella sul ripiano del tavolo di vimini.

Sveva quasi si meravigliò per l’interesse che i Sigg. Piccini sembravano mostrare per
cose del genere.
La pittrice, invece, timida, aveva le guance di fiamma e si guardava ostinatamente la
punta delle scarpe.

Tuttavia, nonostante l’audacia dei dipinti e l’abbigliamento stravagante, il tipo non


pareva un “duro”, bensì un ragazzino in maschera, desideroso di somigliare a Dracula o
a qualcosa di simile.
Ad un tratto, staccatosi dal tavolo, si diresse rapidamente verso Sveva che si era
allontanata dal telefono, l’afferrò saldamente alla vita obbligandola a seguirlo e la
costrinse a sedersi davanti a quelle immagini sparpagliate.

Ma la forzatura fu fatta con grazia e la donna non si sentì offesa, sebbene, imbarazzata,
dovesse ammettere che il prodotto artistico del giovane non era precisamente di suo
gradimento!

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Più tardi, il Piccinni invitò tutti a pranzo e Sveva consigliò un posticino sul lungomare
dove cucinavano dell’ottimo pesce.

Seduti di fronte alla spiaggia, furono sommersi dall’odore delle onde in tempesta,
mischiato a quello delle meravigliose pietanzea base di molluschi e crostacei, servite
fumanti da simpatiche cuoche, rotonde e ciarliere.

L’uomo-uccello, seduto alla destra di Sveva, così da vicino sembrava più giovane ed
umano.
Era gentile; le riempiva continuamente il bicchiere e la serviva con premura.

Raccontava di un suo recente viaggio in Germania.


“Sono appena tornato!” – disse strascicando le sillabe, un po’ imbarazzato, lo sguardo
metà audace, metà sfuggente.
“Ero con una coppia di amici. I tedeschi sono belli…i maschi, intendo. Hanno corpi
perfetti, alti, muscolosi!..Le donne, invece, sono tutte brutte.”

“Sarà un gay…ma non è molto effeminato!”


Sveva l’osservava attentamente, cercando però di non farlo capire.
La camicia in tessuto operato, pesante per la stagione; pantaloni di plastica, come il
giubbetto, tante borchie, qua e là e un collarino con pendaglio stretto intorno al collo.

Doveva sentirsi malissimo.


Sveva glielo domandò, preoccupata, ma lui negò di provare disagio.

La giornata, ventosa, era splendente di sole e la spiaggia quasi deserta, invitante.


Dopo pranzo, i Piccinni, l’uccello e Sveva, si avventurarono sull’arenile.

Lei era spettinata; i capelli le sferzavano il viso, sciolti ormai dalla forza del vento e si
raccoglieva la gonna ampia, a balze, che le si gonfiava sulle gambe come un pallone.
La sabbia era ancora umida per la recente mareggiata e un paio di ombrelloni chiusi, gli
unici rimasti in piedi, sventolavano con violenza.

Morty e il Prof. Piccinni, sulla battima, noncuranti delle onde lunghe, si stagliavano
contro l’azzurro.

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“Che tipo strano, questo qui!…Però è divertente!…” Rimuginava Sveva incuriosita e


allegra per l’ottimo pranzo gustato, mentre annotava gli sguardi obliqui che l’uccello le
inviava di continuo.

Alla fine, fattosi audace, egli si avvicinò e cominciò a farle dei complimenti in modo
piuttosto buffo.
Addirittura, per darsi un contegno, si mise a fare flessioni a pancia in giù sulla sabbia
bagnata.

“Per farle vedere come sono atletico!” si giustificò.

Sveva rideva di gusto. Da molto tempo non era più di buon umore e, per la prima volta
da un paio di mesi, stava dimenticando i problemi economici e sentimentali.

Quando poi ebbe l’ardire di paragonare l’artista ad un “condor” delle Ande, si dispiacque
nel vederlo offeso.
“Ehi!…Proprio quell’uccellaccio schifoso?!” – Aveva ribattuto lui.

Sì, forse aveva osato troppo. Cercò di rimediare, elogiando il condor come un animale
“nobile quasi quanto l’aquila.”

“Sono stata un po’ cattiva!… Dopo tutto, si comporta gentilmente!…Non devo essere
acida e prevenuta contro ogni uomo che incontro.”

Ma era pur vero che il profilo aguzzo e i capelli radi e unti del giovane, glielo facevano
apparire molto simile ad un rapace!
CAP. II°- UN BAMBOLOTTO DI SEGATURA

Quando, rientrati al Club, i Piccinni si congedarono, Morty sembrò non avere alcun
desiderio di seguirli e si mise a parlare e scherzare con Sveva, accennando ad
un’amica che aveva da qualche parte e abbandonandosi a considerazioni amare
sull’intero genere femminile.

“C’è una donna sola che mi ha voluto veramente bene: mia madre!” – affermava in tono
convinto.
Stava in piedi e Sveva lo guardava dal basso della sedia divertendosi ad immaginare il
tipo nell’intimità e le reazioni che avrebbe potuto avere un individuo del genere, nel
corso di un rapporto sentimental-sessuale.

Come sarebbe stato, spogliato di tutti gli orpelli e con la testa lavata di fresco?…Era
difficile indovinare.

La donna, che quel giorno non aveva impegni di lavoro, accettò la proposta che egli le
fece di accompagnarlo ad acquistare una tenda per il suo studio monolocale, così per
gingillarsi un po’.

Da come Morty si interessava all’abito indossato da Sveva, alla sua pettinatura ed a


tutto il resto, ella capì di piacergli e considerò che, alla fine, un minimo di distrazione
non le avrebbe certamente nuociuto.

Così, a sera, accettò anche l’invito a cena in un piccolo locale dell’entroterra e,


assecondando il desiderio di lui che la voleva “sexi”, si cambiò di nuovo abito,
mettendosi in nero e calzando un paio di zoccoletti dorati, con il tacco alto e sottile.

“Si giri…si giri…si faccia vedere!” La fece piroettare su sé stessa mettendole a posto
una ciocca di capelli che le era sfuggita dalle forcine.
“Bene…è proprio una bella donna!.

Sveva provava un po’ d’imbarazzo ma fu solo quando egli si inginocchiò afferrandole un


piede e cercando di baciarglielo che sussultò.”Cosa fa?…E’ impazzito?” – Chiese
arrossendo improvvisamente.

“No. Io sono nato per essere schiavo delle donne e voglio che lei sia la mia padrona e
faccia di me quello che più le piace.”
E proseguì, serissimo e convinto: “Se me lo chiede, posso farle il bagno…o lavarle i
piedi…tutto…tutto…. Da questo momento, io mi sento schiavo suo, completamente!
Lo sa di avere piedi bellissimi!?…”

Sveva, sconvolta, trovò la presenza di reagire con una battuta umoristica, a proposito
dei piedi lunghi e deformati dall’artrosi che, da sempre, erano il suo cruccio, anzi, la sua
disperazione, quando doveva scegliersi un paio di scarpe!

“Questo qui è proprio matto! O se invece fosse un furbacchione, in cerca di qualcuna da


pelare?”

Ma ella credeva di non aver più nulla da rimetterci, piena di debiti come si trovava e
sentimentalmente libera, ora che la sua ultima storia d’amore pareva proprio finita.

Comunque si mise in guardia: sarebbe stata al gioco, senza permettere che la


solitudine le prendesse la mano.

XXX

Durante il corso della cena, nel localetto tristino dove “conoscono i miei” – disse
alludendo al padre e alla madre di lui, - Morty raccontò di essere figlio unico e di abitare
per conto proprio in una grande città, Z, dove insegnava in un Istituto d’Arte.

Non aveva voluto mai un nucleo familiare diverso, per essere più libero di dedicarsi
all’attività artistica, o forse perché non aveva ancora trovato la donna adatta.

“Potremmo sposarci noi due!” – Tirò subito lì, come una biglia che dovesse andare a
sbattere in mezzo alla fronte di Sveva, per ficcarsi profondamente nel suo cervello!
“Ho sempre provato una forte attrazione per le donne come lei, energiche ed
autoritarie!…

Mi piace anche fisicamente, così robusta e con i tratti del volto decisi…Sì, sì..sarebbe
proprio la mia donna ideale!…Sa, sono molto eccitato all’idea che i presenti possano
pensare che io sia il suo ragazzo!”

E baciava chinandosi la punta delle dita della mano sinistra di Sveva, poggiata sopra la
tovaglia a quadrettoni rossi e bianchi.

Intanto la donna pensava che un secondo matrimonio, specialmente con un tipo del
genere, non sarebbe stato certamente auspicabile, data la pessima esperienza già
avuta in proposito!
Ma contemporaneamente, sbirciava il volto del giovane, che era quasi cianotico.

“Insomma, non sente la necessità di allentarsi almeno il colletto e togliersi il


giubbettino?…Santo cielo!…Deve soffrire moltissimo! E non mi venga a dire che non
sente caldo…Cos’è, per caso…un masochista?”

“Lo sapevo io che è una donna eccezionale!…Come ha fatto a capirlo? Sì sì, sono
proprio un masochista e, guardi, se non ci fosse arrivata da sola a capirlo, glielo avrei
detto io stesso, perché sento che noi andremo pienamente d’accordo.
Veramente..veramente intelligente! Bene..bene..mi piacciono le donne intelligenti.

Le altre non le sopporto proprio…Sono lieto di averla incontrata!


Meglio ancora se lei fosse pure sadica…e mi volesse pestare un po’!…Potrebbe farlo
benissimo, noh?..Con
queste belle braccia robuste!”

E, così dicendo, fissava voglioso le braccia carnose di Sveva che uscivano libere e
nude dall’abito scollato!

XXX

In tal modo, velocemente e senza sforzo alcuno, Sveva era venuta a conoscenza di un
altro aspetto, forse il più caratteristico e determinante, della personalità di Morty.

Continuando la conversazione, apprese poi che aveva viaggiato molto, quasi sempre
durante le vacanze estive, con una coppia di amici che se lo trascinavano appresso
come un cagnolino, per servirsi delle sue prestazioni sessuali.

Lì per lì, pensando si trattasse di una coppia di maschi, la donna non volle approfondire.

Fu Morty che, raccontando che a New-York, dove aveva soggiornato nei mesi di agosto
e settembre dell'estate del 1981, si era prestato persino per uno spettacolo sado-
masochista in un locale, facendosi pestare a sangue per quattro ore filate, precisò:
“Erano solo donne, però, a picchiare!…Mi volesse pestare un maschio, lo ucciderei!”

Era convinto di rappresentare un’eccezione, sia per la prestanza fisica che per le
capacità intellettive.
“Ho dei muscoli di ferro!…Senta…senta!” - e sporgeva i bicipiti.
“Nessuno è più resistente di me…e sono velocissimo! Ho riflessi veramente eccezionali!
Sono anche molto furbo; volendo, posso mettere nel sacco chiunque.
I miei, una volta, mi hanno fatto psicanalizzare, perché ogni tanto soffro di crisi nervose.
Ma sono riuscito a manipolare i tests in modo da far credere solo quello che volevo io.
Comunque il medico disse a mia madre che sono un tipo pericoloso, un duro! …Sono
proprio un duro! “ – E atteggiava il volto a cattivo, stringendo i pugni inanellati.

XXX

“E’ solo un bimbo cresciuto male!…”


Sveva non si sarebbe lasciata intimorire! Fin da piccola, aveva affrontato le situazioni
più inquietanti con una spavalderia che rasentava l’incoscienza.
Ed ora questo bamboccio pensava di impressionarla!?…

Intanto si era già messa in mente di voler chiarire se il tipo fosse un gay o no ed era
curiosa di vedere se, all’atto di coricarsi, si sarebbe tolto anelli, fibbiette e collarino.

“Vuoi scommettere che questo dorme con tutti i teschietti addosso!..E poi, sono
convinta che mi racconta delle balle: Cristo!…Non è possibile che uno si diverta a farsi
pestare a sangue o a farsi sodomizzare!

Pure sembrerebbe abbastanza intelligente. Forse vuole stupirmi…rendersi più


interessante!… E non è nemmeno bello! Magari, se non si ungesse tanto e non avesse
la foruncolosi, potrebbe essere più accettabile!!”

Era discretamente alto, anche se portava tacchi di quattro o cinque centimetri. E sotto
panno sembrava ben fatto.
Ma la sua vicinanza, ora dava a Sveva una sensazione strana, per lei del tutto nuova;
come se avesse accanto non un essere umano ma una sorta di animale selvatico non
bene identificabile, un miscuglio di impulsi che, a livello psicologico, le facevano sfiorare
la paura dell’ignoto.

“Ubbìe” – Si ripeteva!…Questo si dichiarava servizievole, disponibilissimo, affettuoso e


anche se fisicamente non rappresentava certo l’ideale, la novità avrebbe potuto
distrarla, almeno per una sera.

Tanto, ormai - (e cercava di autoconvincersi) - il suo amore era morto e sepolto e non le
andava di serbarsi fedele alla memoria di un fetente maschilista che aveva cercato di
mutarla in una larva di femmina, sottomessa e strisciante!

Inoltre, questo qui, fra un paio di giorni sarebbe ripartito; pertanto non c’èra nemmeno il
rischio di trovarselo sempre appiccicato alle sottane, nel caso si fosse affezionato per
davvero!

XXX

Così Sveva lasciò che Morty la portasse di nuovo alla spiaggia.


Stavolta erano immersi nel buio.
Scesero dalla macchina, di fronte al mare che non si vedeva ma si udiva frusciare piano
al di là delle dune increspate dalla brezza sottile, ora fredda sulle spalle nude della
donna.

Lui la teneva abbracciata e tremava.


Lo sentiva molto magro, sotto gli abiti di plastica.
I suoi baci erano piccoli e fitti, senza slanci passionali…
“Padrona…padrona…hai la pelle bianca delle regine!…Padrona…padrona!”

“Beh… almeno non sembrerebbe un maniaco sessuale …E’ già qualcosa!…”


E Sveva si sentì in parte alleggerita da un peso che aveva iniziato a gravarle sul cranio.
“E’ freddo!..Portami da te!…Andiamo da te!…” – Insisteva Morty.

“Sì, è meglio andare a bere qualcosa di forte!”


“Ma io non posso bere roba forte!…Mia madre dice che mi fa male!”
“Penso che invece ora ti farebbe proprio bene!” – Ribattè la donna che lo vedeva
pallidissimo e tirato.

Durante il breve tragitto in macchina, lui le baciava incessantemente le mani ed il collo,


all’attaccatura dei capelli.
Però, quando scesero nello scantinato dove Sveva era solita dormire, all’improvviso
sembrò un animale in trappola.

Aveva paura del buio, dei luoghi chiusi. “Dov’è un’apertura dalla quale si possa fuggire?
Per favore…lascia tutto acceso! Io sono abituato a stare sotto la luce violenta!”

“Non mi pare molto romantico!”


Lei non era propensa ad un rapporto che si prospettava piuttosto nevrotico.

Perché questa paura del buio? Perché questo bambino – quasi quarantenne – si
proclamava “vissuto” e rotto a qualsiasi esperienza ed ora tremava davanti allo
specchio mentre, cercando di spogliarsi, lasciava scivolare dalle spalle la camicia
lucida, il cui colletto rigido si era impigliato nel collarino, terminante in due spunzoni
d’acciaio?

XXX

Sveva, perplessa, si pentiva di essersi esposta troppo.


Se questo essere strano avesse reagito mutando improvvisamente personalità, la cosa
poteva essere pericolosa!
Lo stato nervoso del giovane era davvero preoccupante!
Fu un momento di tensione crescente, finché Sveva non lo vide svestito.

Era veramente gracile. La pelle macerata, di un rosa tendente al viola, sembrava


tenerissima.
Le spalle ed il petto, dove il pelo era stato rasato malamente, erano deturpati da
foruncoli, pustole e segni scuri, simili a bruciature.

I bicipiti e le cosce portavano segni profondi, di legacci o catene e striature provocate


da frustate o graffi.
E, particolare ancor più scioccante, un paio di mutandine viola , trasparenti, con
incrostazioni di pizzo nero, coprivano alla meglio i fianchi smilzi.

Privo di stivaletti, a gambe divaricate sopra il tappeto di peluche color oro, aveva
l’aspetto di un buffo bambolotto strapazzato che una bambina perversa avesse voluto
travestire da donna!

Senza gli occhiali, gli occhi erano più grandi ma meno espressivi. Adesso li teneva
rivolti verso terra, mentre si lisciava la testa con il palmo di ambedue le mani, in un
vezzo che, col tempo, a Sveva sarebbe divenuto familiare.

Sembrava quasi volersi proteggere dai colpi di un immaginario nemico e ritraeva il collo
sottile fra la spalle magre ma muscolose.

E così, inerme e quasi atterrito, con le tempie contratte, riuscì a destare l’istinto materno
di quella donna che, lontana dai figli e dall’uomo che amava, aveva trovato una creatura
su cui riversare un po’ dell’affetto del quale si sentiva ricolma, fino a scoppiare!

“Povero figlio! Che sciagurato! Allora è veramente un masochista… guarda che roba!”
Ma era ammutolita, annichilita dallo scontro con quella inconsueta, incredibile realtà.

Poi cercò di reagire e di recuperare un po’ di sangue freddo.. Si avvicinò piano piano a
Morty e, lentamente, con pazienza cominciò a sfilare, uno per uno, gli anelli con i teschi
dalle sue lunghe dita.
Ignorando le sue proteste, in modo deciso, che non ammetteva repliche, gli sfilò pure il
collarino dalla testa e lo gettò lontano

Le risate di lui erano isteriche, le sue reazioni esasperate.


E quando egli si dichiarò incapace di "fare l'amore", adducendo come scusa la dolcezza
di lei e ne sembrò sgomento, (“Sono una merda…Lo sapevo che sono una
merda!”…Gridava, contraddicendo tutto quello che aveva prima magnificato sul proprio
conto), Sveva lo strinse a sé consolandolo e lisciandolo come avrebbe fatto una gatta
con il più debole e spelacchiato dei suoi gattini.

Finché egli, rilassatosi, si addormentò con il capo nell’incavo del braccio destro di lei.
Anche la donna si assopì subito dopo, senza provare disagio per quel fardello che le
pareva leggerissimo.

“Proprio un bambolotto di segatura!.. Proprio una testa vuota!”

XXX

Al mattino, meno teso e angosciato, egli si dichiarava pronto a ritentare l’impresa


lasciata incompiuta, dichiarandosi eccitato perché aveva immaginato una scena
truculenta: addirittura un incontro di lotta libera tra Sveva ed una delle sue amiche
sadiche, con la quale – disse – si trovava molto spesso.

“Sai, dopo le ultime esperienze pensavo di non provare più emozioni con una donna
che non mi usasse violenza. Ma tu sei una donna super!..La donna per eccellenza!.
Ora che ti conosco, penso con terrore alla vita che dovrò affrontare, tornando a Z.
Mi piacerebbe molto rimanere con te!”

Mentre prendevano il caffè, egli sbaciucchiava Sveva di continuo e sembrava non


volersene staccare mai più!

Ma ella doveva iniziare la sua giornata di lavoro e non avrebbe permesso a chicchéssia,
per nessun motivo, di scombinare il ritmo stressante che si era imposta, necessario per
tenere in piedi quel Club che era la sua vita ed il suo rifugio.

Il coronamento di otto anni di esperienze, vissute al fianco di molti artisti e che le erano
costate, arricchendola solo nello spirito.

Si era assunte molte responsabilità, non solo verso i figli, i quali si aspettavano
naturalmente qualche cosa, in cambio della forzata lontananza, ma anche verso coloro
(e non erano pochi, ) che le affidavano i propri lavori, fiduciosi nelle sue capacità di
manager e di organizzatrice.

Il lunedì, giorno di riposo da lei scelto per dedicarsi un poco anche a sé stessa, era
passato. Pertanto credette opportuno imporre a Morty, che ancora continuava a
baciarla, appoggiandosi alla porta secondaria del locale, di allontanarsi da lei e di
andarsene.

E lo fece quasi bruscamente, timorosa che egli potesse trovare qualche stratagemma
per trattenersi, pur dicendosi preoccupato per quello che avrebbe pensato sua madre,
non vedendolo rientrare!

Il giorno precedente, egli aveva telefonato molte volte alla madre, per tenerla al corrente
di tutti i suoi spostamenti e per avvisarla che non sarebbe rientrato a casa né per cena
né per la notte; e Sveva si era meravigliata molto che Morty, abituato a vivere da solo a
Z , sentisse la necessità di informare ogni momento la mamma di tutto quanto gli stava
capitando.

Ma ora se ne andava di malumore. Prima di uscire, tentò di insistere prospettando:


“Avrei pensato a tutto io!…”

“Staresti fresco!…” – Rifletteva la donna mentre lo guardava allontanarsi deluso.


Camminava lesto, quasi trotterellando; il labbro superiore allungato e gli occhi stretti
dietro le lenti.

Ora che lo aveva conosciuto meglio e lo giudicava con maggior affetto, Sveva trovò più
appropriato paragonarlo, invece che ad un uccello da preda, ad un lupacchiotto o,
meglio ancora, ad un leprotto.

Un leprotto eccitabile e nervoso, sempre teso e distratto; sempre di corsa, più per
abitudine che per necessità.

Sembrava così vulnerabile, così esposto, che ella pensò: “Chissà quanti cacciatori non
disdegnerebbero di farsi, con il sughetto di quella carne ben frollata, un bel piatto di ben
condite ed abbondanti pappardelle!

XXX

La sera seguente, il Lepre si ripresentò a Sveva all’ora di cena ed ella, che aveva
preparato gamberetti e stuzzichini, per non essere scortese lo invitò a sedersi a tavola.

Lui cominciò ad imboccarla teneramente ed a riempirle continuamente il bicchiere.

Ma, ben presto, cominciò a manifestare il desiderio di essere “pestato”.


“Non capisci che per me è una necessità? Non devi essere dolce con me!…Non ci sono
abituato!” – Ripeteva alla donna che lo fissava sbigottita e cercava di protestare,
impreparata a fronteggiare la situazione.

“Dio Santo! Che pesci prendo? Anche questa mi ci voleva?!" - Un malessere si stava
diffondendo dalla bocca dello stomaco a tutti i centri nervosi del suo corpo.

“Eppure avresti il fisico adatto!....Eppure mi hai raccontato di aver preso a pugni in


faccia quel duro del tuo ex innamorato! Allora perché non mi picchi? Devo farti
incazzare? Eh…tesoro…vuoi che ti costringa a incazzarti?”
E prese a pizzicottare Sveva alla base del collo, dalla parte sinistra, mentre tentava di
immobilizzarla con l’altra mano.

Sveva, consapevole che, se avesse strillato, nessuno l’avrebbe sentita, riuscì in parte a
liberarsi e tentò di sdrammatizzare la situazione facendogli il solletico e ridendo a più
non posso.

“Non così…non così…Non e’ così che devi fare per eccitarmi!”


“Appunto…non mi interessa di farti eccitare! Non sono né sadica né scema!” - Ribatté
lei fingendo sicurezza ed indifferenza, sollevata dal fatto che il solletico avesse
funzionato nel modo giusto.

Ma il Lepre allargò le braccia e tentò una nuova tattica: “Allora, guarda, facciamo che io
sia la vittima e tu mi leghi al letto e mi tieni prigioniero!..Eh..tesoro..ti va meglio così?
..Fai come la mia amica Giulia che due giorni fa, in albergo, a Firenze, mi ha legato e mi
ha conciato come sai!…

E’ forte la mia amica! La mando a fare culturismo, per svilupparsi i muscoli!”

Troppo sconvolta per portare avanti la commedia, Sveva gli voltò le spalle
allontanandosi da lui.
“Che fai? Mi volti il culo? Dai, non fare così…Non ti sarai offesa! Voi donne siete tutte
sadiche. Non è possibile che non ti faccia piacere pestare un uomo! Ho capito…Hai
paura…Hai paura di te..di quello che mi potresti fare!? Non è vero?…”
Lei taceva, spaventata invece per l’espressione ambigua e vuota che aveva visto negli
occhi chiari di lui.

Aveva già osservato quell’espressione negli occhi del mastino nero e pazzo, divoratore
di piante spinose e di lampadine fulminate, che viveva nel giardino della sua casa di
campagna, quando si avventava a mordere i panni stesi che sventolavano al sole per
trascinarli in giro, sulla ghiaia, in una danza di balzi e piroette.

Era uno sguardo, quello, non più rivolto alle cose del mondo ma all’interno di una sfera
propria, isolata, lontana da tutti e da tutto. Un mondo di solitudine, disperazione, follia.

XXX

L’atmosfera si era ormai guastata irrimediabilmente ed il Lepre, forse per darsi un


contegno o cercando un’altra maniera per procurarsi le botte, si mise a fare il licantropo.

Ululava tanto forte che, Sveva, temendo potesse essere udito dalla strada, tentò di
tappargli la bocca con una mano, mentre con l’altra gli propinava, in maniera molto
prosaica, dei volgarissimi “nocchini”che risuonavano come su una zucca vuota e che lo
convinsero a cedere le armi.

Addirittura sembrava che egli fosse molto divertito dalle reazioni della donna, la quale
pensava: “Forse, affrontandolo sempre con allegria, potrei aiutarlo ad abbandonare le
sue prevenzioni contro le donne ed i nostri rapporti potrebbero migliorare!”

Infatti, tutto sommato, superata la crisi egli continuava a dimostrarsi molto affettuoso.
Però, anche questa volta, ella lo congedò con fermezza perché non aveva più tempo da
perdere. Anzi, aveva perfino dimenticato di cucire gli orli della tenda che avevano
acquistato insieme, cosa che invece aveva promesso di fare già il giorno precedente.

Fu per questo che , al mattino, ricordandosene, credette opportuno comporre il numero


telefonico che il Lepre le aveva lasciato.

Al secondo squillo, rispose una voce femminile , molto distaccata e piena di sussiego.
“Il Professore è partito stamani presto. Sono la madre. Riferirò.!”

C’era, in quella voce sorprendentemente giovanile e sensuale, un risentimento


malcelato, una sfida o, meglio, una diffida.
“Chissà cosa le avrà raccontato suo figlio di me!..”- Sveva cercava, nel suo subconscio,
qualche giustificazione.
“Pazienza. Tanto, quello, chi lo rivede?”

E, come sempre, si lasciò assorbire dalle preoccupazioni quotidiane ed i giorni corsero


veloci, fra un impegno e l’altro, fra una manifestazione e l’altra.
CAP. III°- VENEZIA - ED ALTRO
Settembre ' 83

Di Osvaldo, l’uomo che amava, Sveva era riuscita ad avere sporadiche notizie.
Era da poco rientrato da un viaggio che per lui aveva dato esiti favorevoli e lo aveva
appena intravisto un paio di volte, per strada.

Poi, una sera, nella quale i soci del Club avevano organizzato una festa di “Addio
all’estate”, con musica e ballo, egli era stato presente, senza rivolgerle una parola .
Ed aveva ballato con tutte le donne disponibili, fuorché con lei.

La cosa l’aveva mortificata fin nel profondo e non poteva capacitarsi come egli potesse
mostrarle tanta indifferenza!

Sveva era ottimista e generosa, sempliciotta e rotonda.


Era ingrassata un po’ per volta: ogni anno qualche chilo in più, anche se non si poteva
certo dire che facesse una vita riposata e tranquilla!

Amava molto gli artisti e cercava di favorirli, sacrificando loro molto di più di quanto
avrebbe dovuto.
Ad Osvaldo aveva regalato, con allegria, tutta la propria esperienza e molto tempo,
forse fin troppo.

Con lui era riuscita a portare a termine imprese che avevano deciso insieme, alle quali
insieme avevano lavorato, con energia ed entusiasmo, ambedue carichi di una vitalità
enorme e travolgente che riusciva, quasi sempre, a coinvolgere chiunque avesse modo
di frequentarli.

Ora, senza il suo aiuto, Sveva era come sperduta…Si era abituata ai suoi modi rudi e
sbrigativi, che nascondevano però una grande dolcezza ed una profonda umanità.

Fra loro c’era uno speciale feeling, avvertito anche dagli estranei, i quali, spesso, li
scambiavano per una coppia di coniugi. Una coppia apparentemente molto affiatata che
portava dovunque una ventata di simpatia.

Lui, piccolo e scuro, con le spalle larghe e barba e capelli irsuti ed arruffati;
lei, altrettanto piccola e così pienotta, chiara di pelle e bionda, vestita in modo piuttosto
eccentrico ed appariscente, non sempre adatto alla sua figura!
Sveva ripensava spesso a tutte le situazioni divertenti ed emozionanti che si erano
create, ogni qual volta erano usciti insieme, specialmente agli inizi della loro relazione,
quando ancora gli interessi di lavoro e la gelosia non offuscavano minimamente la
contentezza di ritrovarsi; ed ancora potevano dire e fare le cose più strampalate, senza
che fra loro scoccasse quella scintilla di astio che da qualche tempo ne aveva guastato i
rapporti.

XXX

Con Osvaldo, d’inverno, Sveva si era recata a Venezia.


Per tutta la vita aveva desiderato di visitare questa città; un bel sogno non ancora
realizzato.

Osvaldo, da vero artista, era ottimo osservatore e compagno fantasioso.


E Sveva, felice di essere con lui, era certa di poter gustare completamente la gioia di
scoprire tutto quanto ci fosse da vedere, odorare ed ascoltare.

Infatti, avrebbe ottenuto il massimo da questa esperienza così coinvolgente, tanto da


suggerirle una lunga poesia, carica di emozione e di mistero, di felicità e rimpianto.

Erano arrivati in treno, mentre il tramonto sovraccaricava di oro rossastro le cupole e le


guglie di tutti gli edifici.

I colombi disegnavano ellissi biancastre nel cielo, appena mosso dalle nubi.
Era spiovuto da poco ed ancora le calli erano ingombre delle pedane di legno per i
pedoni.

Nonostante questo, Venezia fu subito l’amore, quello con la A maiuscola .


Amore di anima e di carne, in perfetta simbiosi, in sensuale sinfonia di accordi,
in un crescendo di poetico, totale abbandono, nell’atmosfera romantica e decadente del
luogo, densa di muffe e di splendori.

Sveva, all’arrivo, appena uscita dalla stazione, aveva pianto.


Uno sfogo di breve e convulsa felicità, identico a quello di alcune giovani spose alla
prima notte di nozze, tanta era la commozione che in lei traboccava nel sentirsi
finalmente appagata, da quell’incontro carico di magìa.

E la città era diventata subito SUA, in ogni più recondito anfratto, in ogni vicolo e pietra.

Osvaldo, divertente come di solito, l’aveva accompagnata a scoprire l’arte di costruire le


maschere che riempivano le vetrine.
Erano stati a teatro, in giro sul battello ; e si erano specchiati insieme negli antichi pozzi,
al centro delle piazze deserte, mentre il nevischio arrossava loro il volto.

E, quando si erano seduti a riposare sui gradini degli attracchi delle gondole, i gabbiani,
stridendo, avevano eseguito volteggi propiziatori sopra di loro.

Una sera, poiché egli aveva finto di spingerla dentro un canale,


ella aveva gridato; ed il grido, frantumandosi, era riecheggiato sotto le volte marmoree
dei palazzi in un crescendo di vibrazioni.

Erano rimasti fermi ad ascoltare, pensando che qualcuno si sarebbe affacciato a spiare
dai vetri delle altane.
Niente e nessuno. La città sembrava essere tutta per loro, novelli Arlecchino e
Colombina, sperduti nell’eternità delle memorie di secoli.

Ma, all’atto del ritorno, una sorta di presentimento aveva avvertito Sveva che simili
attimi si vivono una volta soltanto.

Ora, ella doveva tornare a Venezia e, purtroppo, sarebbe andata sola ed amareggiata,
consapevole di non poter ritrovare l’incantesimo di quei giorni.

XXX

Infatti partì, con una grande valigia carica di rimpianti, senza riuscire, da sola, a
concludere niente di positivo.

A Venezia, trovò il prof. Piccinni ed altri amici, con i quali parlò a lungo anche di
Osvaldo e di Morty.
Girellò a lungo per le gallerie d’arte e fu ospitata gentilmente e con generosità.

Ma qualcosa si era spezzato, dentro di lei, che si sentiva come curva e svuotata.

L’ultimo giorno della sua permanenza, mentre stava pranzando in un ristorante sul
Canal Grande in compagnia dei Piccinni, passarono gondole di anziani turisti stranieri, i
quali, accompagnati dal suono delle fisarmoniche e dalla voce di tenori ormai quasi fuori
uso, si beavano, proteggendo dal sole i volti grinzosi con grandi cappelli di paglia di
Firenze.

Lo spettacolo, contribuì a deprimerla ancora di più.


“Ecco..” – si disse – “Io mi sento già così…una vecchia carampana senza vita!..E così
sarà per sempre, da ora in poi, se Osvaldo non tornerà a colorare i miei giorni e le mie
notti!”

Il ricordo dell’episodio con il Lepre non serviva certamente a rallegrarla, anzi, ogni volta
che aveva pensato a lui, aveva provato sensazioni angosciose.

Sapere che nel frattempo, a Z , si faceva pestare a sangue da qualche pazza pervertita,
le dava quasi un senso di colpevolezza !

“Povero ragazzo…pure provava piacere a starmi vicino! Chissà quali contrasti, quali
dissensi, dentro quell’essere così doppio, così contorto!”

E si chiedeva se i genitori fossero a conoscenza del genere di vita che il giovane


conduceva.
Le pareva strano che un padre e una madre non avessero notato lo stato preoccupante
in cui si trovava.

“Forse saranno troppo vecchi!” – concluse.

Pure Sveva, figlia unica come il Lepre, era nata da genitori anziani, i quali, anche se
istruiti ed abbastanza emancipati, non comprendevano le necessità ed i problemi di
quella loro bambina, allora pallida e smunta, venuta su piena di complessi e di falsi
pudori.
Aveva poi imparato da sola, pagando sulla propria pelle, come non uscire sconfitta da
ogni esperienza, da ogni battaglia.

Il suo spirito si era irrobustito di pari passo con il fisico; e se ella ultimamente si era
sentita abbastanza protetta, come se intorno a lei si fosse formata una specie di
corazza,
era cosciente di averlo meritato, per quando aveva dovuto subire e masticare.

Ma, evidentemente, Osvaldo era riuscito ad infilarle qualche spina tra la corazza e la
pelle, se ora Sveva avvertiva un tormento che, dall’esterno, difficilmente si sarebbe
potuto notare.

Anche il Lepre, infatti, forse l’aveva scambiata per una “signora” benestante, magari un
po’ annoiata, che si dedicava all’arte per passare il tempo o per trovarsi amici giovani e
divertenti…
In realtà, erano poche le persone che sapevano cosa si nascondesse veramente dietro
il sorriso aperto ed il volto a luna piena della donna.
Quante sofferenze e dispiaceri, dietro un comportamento quasi ingenuo e svampito!

Fortunatamente però, Sveva aveva un’ancora, un appiglio, costituito da uno spiccato


senso dell’umorismo ed in più un gusto quasi “pagàno” della vita, della quale sapeva
cogliere ogni sfumatura, “per farne ghirlande , più o meno colorate e profumate da
appendere alle porte del sentimento”.

Queste parole aveva scritto di lei e della sua produzione poetica, una carissima amica,
donna meravigliosa, la quale era per Sveva un modello di virtù, difficile da imitare
perché troppo vicino alla perfezione che, come tutti sanno, non è di questo mondo.

Forse, per questo, l’amica di nome Luisa, stava combattendo quotidianamente con la
morte una battaglia senza speranza ; ma che sarebbe stata lunga e difficile pure per la
vecchia ossuta megera armata di falce, avvezza alle facili prede ed ignara che , fra gli
umani, esistano creature abbarbicate alla vita con radici tanto salde e profonde, da non
temere né falce né zappa…

E che solo l’usura spontanea del donarsi, sempre e dovunque, può riuscire a
distruggere, mai però definitivamente.

Qualcosa di loro rimane in eterno: un’essenza impalpabile, un profumo sottile, un


fremito appena avvertibile, come il palpitare del cuore di un passero o di un feto da
poco concepito, che debba ancora crescere…

XXX

Appena rientrata al Club, Sveva organizzò un paio di manifestazioni piuttosto


importanti, sicura che, prima o poi, Osvaldo si sarebbe fatto vivo.

Frattanto il Lepre aveva telefonato che presto sarebbe venuto a farle una visitina e, una
sera che Sveva era impegnata per la presentazione di un libro ed il Club era affollato di
gente, la chiamò di nuovo per preannunciarle il suo arrivo.

Ella si sentì arrossire violentemente per tutte le sconcezze sparte ad alta voce nel
telefono ; sconcezze che parevano uscire più dalla bocca di un bambino dispettoso e
perverso, che da quella di un “quasi quarantenne” svampito e depravato.

“Va bene…ti aspetto.” – Troncò decisamente la donna per interrompere la telefonata,


temendo che i presenti potessero udire.

Il caso volle che, proprio quella sera, ci fosse nella sala anche Osvaldo ; e fu così che
Sveva, un po’ per vendicarsi della sua lontananza, un po’ per destare la curiosità dei
presenti facendo coppia con un personaggio tanto strano, si dedicò completamente al
Lepre da quando la macchinina grigio-argento si fermò davanti al Club.

Lui scese, agghindatissimo, giallo e nero come un uccello predone, ancora carico di
anelli e di fibbie, con un aquila “sculata” – disse - stavolta non più sulla schiena ma
appesa al collo a mo’ di cravattino, in sostituzione del cappio biforcuto della volta
precedente.

Sveva era uscita dal locale per accoglierlo, scendendo i gradini.


Si era messa in lungo, tutta in ghingheri, come soleva fare per le serate importanti.

Egli le baciò prima le mani complimentandosi con lei, poi cominciò ad assediarla con
quei suoi bacetti fitti e schioccanti sul viso, seguendola fino alla cucina “ per bere un
bicchiere d’acqua!..”

Gli ospiti, curiosi, allungavano il collo per guardare dalla loro parte: l’ingresso del Lepre,
sconosciuto alla maggior parte dei presenti, aveva fatto sensazione.

Osvaldo era cupo.


Sveva, in un primo momento, gioì nel vedere il suo ex geloso e mortificato. “Ben gli
sta!..”

XXX

Il Lepre sembrava euforico e chiacchierava incessantemente disturbando la


manifestazione; la donna fu costretta a zittirlo molte volte, minacciando scherzosamente
di “buttarlo fuori”.

Più tardi, quando gli ospiti cominciarono a sparpagliarsi nel locale in cerca di un drink,
egli fu al centro dell’attenzione e fece nuove conoscenze.
Sveva lo osservò mentre conversava con Osvaldo, che già conosceva, e notò la faccia
divertita del primo, quanto era astiosa quella del secondo, il quale, dopo poco, se ne
andò.

Le amiche di Sveva, incuranti dell’ora tarda, fingevano di accanirsi in discussioni


culturali per sbirciare il Lepre, tentando di interessarlo.
Fra di loro, una giornalista piuttosto affermata, biondina e bamboleggiante, sul tipo della
Sandra Milo, (però in miniatura), pareva particolarmente colpita.

Finché, constatato che l’oggetto del suo desiderio non la degnava di un’occhiata, salutò
a mezza bocca.
E così fecero anche le altre.

Rimasti soli, dopo qualche nuovo approccio da parte del Lepre e qualche bicchiere in
più, egli si mise a parlare.

“Mi sono accorto che le tue amiche mi guardavano ma a me non interessano i tipi molto
femminili, come quella biondina che era prima qui! Te l’ho detto che mi piacciono le
donne con la grinta e con il fisico robusto, anzi, direi che al momento non mi
interessano nemmeno quelle!…

Un tempo, quando ero più giovane, mi sono innamorato diverse volte ma non sono
stato mai compreso…Le donne non mi hanno fatto felice. Ora, alcune mi correrebbero
dietro…ma io non le “cago” per niente!…”

“A cosa debbo l’onore di queste confidenze?” – Chiese Sveva comprendendo che il


Lepre, per qualche motivo, si sentiva a disagio.
“Se stasera ce l’hai con tutte le donne, perché sei venuto a trovarmi?”

“Perché tu sei diversa e con te posso parlare!”


E infatti raccontò a lungo, come volesse liberarsi di tutto il suo passato, cercando di
sviscerare le sue precedenti esperienze con le femmine che, secondo lui, avevano
avuto un peso determinante nel corso della sua esistenza.

XXX

Mentre le ore passavano, attraverso le sue descrizioni, Sveva cominciò così a


conoscere le varie “Tartarughe” che avevano atteso il Leprotto ai molteplici traguardi
della SFIDA.
(Vedi INTRODUZIONE del racconto)

E poté capire che la gara avrebbe riservato, come “palio” finale al giovane, sempre e
soltanto una sorpresa abbastanza avvilente: la madre.

La madre, che attendeva un figlio perennemente sconfitto, il quale sarebbe arrivato


dopo ogni prova, sfiancato e distrutto, a rifugiarsi tra le sue braccia, a piangere sulla sua
spalla, convinto di non trovare, all’infuori di lei, una sola donna capace di amarlo e di
proteggerlo.

La madre, femmina e “grande figa”, (secondo lui) l’immagine della quale egli mischiava
a quelle delle sue amiche sadiche, nelle torbide fantasie che smuovevano le sue voglie
sessuali, in veste di vittima o di vendicatrice, a seconda che la partner del momento,
presentasse caratteristiche più o meno accentuate di quelli che – secondo il Lepre –
erano gli aspetti essenziali e determinanti della femminilità :

il dispotismo, l’alterigia, la malvagità spinta fino al sadismo più crudele, alla “voglia di
sangue”! Il bigottismo religioso, assunto come maschera per nascondere innominabili
fermenti!…La donna repressiva e reazionaria, ape regina e mantide religiosa, per
intendere!

“Sai, io sono un maschio particolare. Le mie amiche si divertono a vestirmi e truccarmi


da femmina. Quella che ho adesso, Giulia, che frequento ormai da cinque anni, lo fa…e
mi frusta…e mi sodomizza con un fallo di gomma anche mentre lavoro!…Pensa così
che io riesca a trasmettere alle mie creazioni una carica maggiormente erotica e
violenta!

Mi dice che, se voglio essere famoso, devo riuscire a trasmettere sensazioni uniche ed
irripetibili, perciò devo vivere veramente le esperienze che voglio raffigurare nei miei
quadri!… Mi ha promesso che mi farà delle mostre importanti…anche in America!.

Per ora, però, si limita a portarmi nei salotti “bene” e mi presenta come suo schiavo, o
come un dobermann al guinzaglio.

A volte, mi rinchiude in casa sua e mi tiene fino a due giorni interi a fare “sesso”, anche
insieme a suo marito, che è manager di una grande industria, una persona importante!
Mi fa uscire solo quando non ce la faccio più e mi sento scoppiare il cervello.

Giulia mi piace particolarmente perché parla sempre male di mia madre e dice: “Le farei
questo…le farei quello!..”…Porcate! Così io mi eccito sempre di più e riesco a
contentarla.

E’ bella la mia amica; ha fatto anche l’indossatrice! Ora insegna al Liceo Artistico, a Z,
dove insegno io!

Una sera, in un locale dove eravamo andati con altri nostri colleghi, ha voluto che le
strappassi le calze e le leccassi i piedi in ginocchio, di fronte a loro!
Ma è giusto che sia così. Le donne sono tutte così! Porche e cattive!…Le altre, vuol dire
che fingono!”.

“Cosa vorresti dire? Che anch’io fingo?” – Ribatté Sveva, piccata per quella malsana
sicurezza!…”E non ho nessuna intenzione di cambiare atteggiamento nei tuoi confronti,
bada, anche se continuerai a proclamare queste fregnacce!”

“Se mi ami lo farai…tesoro mio!…Tutte le donne che ho avuto e che sono rimaste con
me per un po’ di tempo, hanno capito che avevo ragione!…Il futuro è delle donne,
perché il progresso vive di violenza e la donna è violenza! Se non ci credi è perché hai
avuto sempre maschi tradizionali che hanno soffocato la tua femminilità vera.

Ma hai i lineamenti della donna forte e dura e l’intraprendenza e la grinta necessarie per
diventare come voglio io. Se devo essere il tuo schiavo, dovrai comportarti da padrona!"

XXX

Il Lepre continuava a parlare (strascicando le parole) e Sveva a stupirsi, incredula e


turbata da quel fiume di discorsi!

“Anche la donna che avevo prima di Giulia non mi pestava…poi, per non perdermi, ha
cominciato a farlo ed io mi attaccavo a lei sempre di più.
Era bella ma molto più anziana di me…un’amica di mia madre! Mi sono sempre piaciute
le Signore mature. L’ho frequentata per circa un decennio…poi, quando avevo deciso di
andare a stare con lei, mia madre me l’ha tolta!

Lei ha sempre fatto così : prima mi manda a letto con le sue amiche…poi me le leva!”
“Guarda un po’…tua madre sa della tua situazione attuale?”

“Sì sì…dice che va bene perché, devi sapere, dopo che mi aveva tolto la Anna, quella
di cui ti parlavo prima, non riuscivo più ad avere rapporti sessuali con le donne.

Quando ho conosciuto Giulia e ho detto a mia madre che con lei funzionavo di nuovo,
ha convenuto che era meglio comportarsi da masochista, piuttosto che diventare
omosessuale!.
Tanto più che il marito di lei è consenziente…e che hanno una barcata di soldi!

Giulia mi ha comperato dei quadri…e mi ha fatto fare dei lavori in casa sua!…Mentre le
dipingevo una porta, mi ha scattato una serie di foto…nudo… soltanto con un paio di
mutandine di velo rosso!”
“E tua madre sa che vai a letto anche con il marito di Giulia?”
“No..lei sa soltanto che d’estate andiamo sempre all’estero tutti e tre e che a volte mi
trattengo a casa loro ..a mangiare… Che vuoi…piuttosto che stare da solo…sto in
compagnia e mi diverto!..Vedo il mondo…”

“Da dove lo vedi, il mondo…dal guanciale di un letto d’albergo?” Chiese Sveva , amara.
“Beh…sì …se la metti su questo piano…Non è che, per ora, quello che ho fatto mi sia
servito molto…ma col tempo, non si sa mai!”.

“Il tempo non lo avrai, se continui a fare questa vita!…Non capisci che ti stai
rovinando?!”

Sveva avrebbe voluto urlare…gridargli in faccia di guardare nello specchio la


devastazione che il suo giovane corpo già presentava.

Ella aveva avvertito nelle vene del Lepre il veleno insidioso che lo avrebbe distrutto
come la peggiore delle droghe.
Si era accorta che nella sua mente vi erano già lacune grandi come laghi stagnanti,
dove la sua intelligenza, la sua genialità di artista, stavano affondando a poco a poco,
impregnandosi di liquami.

Ma ebbe pietà ed anche paura che, urtandolo, si richiudesse in sé stesso.


Non sarebbe stato il modo più giusto di dargli una mano…

Continuò a farlo parlare e, dato che egli insisteva nel chiederle di aiutarlo a “sbrogliare
tutto il casino” che aveva nella testa, promise:
“Non so fino a quale punto potrei riuscirci…Anch’io sono così incasinata!…Ma
tenterò…se mi metterai in condizioni di poterlo fare!”
CAP. IV° - IL RITORNO DI OSVALDO
Autunno 1983.

Sveva, prima del matrimonio, non aveva avuto esperienze sessuali e dopo, i suoi
rapporti con i maschi erano stati del tutto normali, sempre poggiati su binari abbastanza
paralleli.

Ora, le stranezze di Morty erano per lei come delle favole e non riusciva a calarsi
completamente nella situazione.

Inoltre, una voce interna le suggeriva di fuggire, allontanarsi da questa creatura che
riusciva a sconvolgerla così profondamente, quasi fosse una fonte di ignote ed
inquietanti malattie, più terribili della peste.

“Che diavolo!…Sono pur sempre una madre che ha allevato tre figli!” –si diceva.
Così, si sentiva di elastico, e le sue corde si allentavano e si stringevano senza posa,
strizzandole e dilatandole alternativamente cuore e cervello.

“Però, non vorrai farmi da madre!… Lei è molto diversa da te!… E’ piccola e magra, non
ti andrebbero i suoi vestiti!.

Quando frequentavo la Anna, nei giorni in cui mia madre era in vacanza, la portavo a
casa mia ; le facevo indossare gli abiti di mia madre e la chiavavo nel suo letto!
A te non andrebbero nemmeno le sue scarpe! Tu sei grande quanto una capanna,
quanto il ponte della sopraelevata per andare a P.

Tu sei come le donne di Fellini. Dovrebbe essere bello potersi sperdere dentro di te!
Giulia ha i lineamenti più regolari e la bocca ben disegnata, ma non è bella come
te…Tirati i capelli..e truccati come Moira Orfei!
Anna portava sempre il foulard legato dietro la nuca. Dovrebbe stare bene anche a
te!…Metti il foulard, per piacere, metti il foulard…!”

E, rievocando tutte queste immagini che si rincorrevano nella sua testa come cavalli al
galoppo, si accendeva come un cerino!

XXX

Più tardi, raccontò di Elisabetta, una ragazza di Montecatini, “bella come il sole”, bruna,
con i capelli a caschetto, che posava per lui ; e disse che egli aveva inventato a Giulia
di avere rapporti anche con questa modella perché non pensasse di essergli
indispensabile.
“Stronza com’è, ne approfitterebbe un po’ troppo!”

Poi parlò di un’ altra amica di sua madre, una francese, che un giorno se l’era portato a
letto facendogli credere chissà cosa!
Ma, una volta spenta la luce, dopo che ella aveva promesso:”Adesso ti faccio vedere
come si fa l’amore a Parigi!”- lui era rimasto lì come un allocco, senza provare alcuna
emozione.

“Così è sfumata anche la speranza di andare in Francia, a lavorare nella sua villa!…Mia
madre ci è rimasta molto male!…
Ultimamente , mia madre ha cercato di farmi incontrare una tua amica, quella Marisa
che ha la galleria a V. – Mi aveva combinato un appuntamento, per andare a vedere
una mostra…Forse con lei, però, non mi sarei divertito!…Come donna, mi sarebbe
piaciuta, ma non ha l’aria di amare molto il sesso!….”

“Senti senti, questa mamma quante belle cose fa, per questo bambino cattivo!” –
Ironizzò Sveva mentre si chiedeva se la Mamtide (ormai aveva soprannominato così la
madre di Mortimer) avesse già predisposto un piano anche nei suoi confronti.

Ma il Lepre, che aveva ormai ingranato la quinta , continuava:


“C’è stata anche un’altra ragazza che avevo conosciuto appena mi trasferii a Z.
Una svizzera molto carina che mi ha lasciato usare il suo appartamento, dopo che si è
sposata con uno che non amava, forse per colpa mia!

Era piuttosto spregiudicata ma voleva stare con me…però un giorno mi ha detto che
sembravo un topo di fogna ed io le ho tirato contro uno sgabello. Così ci siamo lasciati.
E’ morta alcolizzata; si era data al bere.

Anche la Anna si è messa a bere; mi hanno riferito che è sempre ubriaca. L’ho
incontrata l’anno scorso, la vigilia di Natale e mi sono turbato, perché è ancora molto
bella.

Allora, per fare dispetto a mia madre, ho sputato dentro il piatto dei tortelli e me ne sono
andato da casa senza mangiare!…”

XXX

Sveva fissava la lampada dell’applique senza vederla. Le parole del Lepre erano cadute
dentro di lei come sassi dentro una pozza e l’eco, in cerchi concentrici, si stava
allargando dentro la sua anima dilatandola dolorosamente.

Quasi lo stesso dolore con il quale si era dilatato il suo utero per ogni parto che ella
aveva dovuto affrontare.
“Perché proprio a me? Non ne avevo già abbastanza di croci? Dopo questa esperienza
scioccante, non potrò credere più a niente e a nessuno!”

“Basta, leprotto, ora basta…non ne posso più di starti a sentire! Smetti di far girare
questa testa pazza e cerca di riposare un po’!”

“Ma se dormo, penserai che non sono un maschio!”


”Che sciocchezze, certo che sei un maschio! Chi l’ha detto che non sei un maschio?
Figurati se, con tutto quello che ho da pensare, sto a preoccuparmi della tua virilità!”

“Sai, senza conoscerti ho sempre dipinto donne simili a te!”


Ed il lepre si addormentò, mentre Sveva, sveglia, pensava al petto bruno e robusto di
Osvaldo, sul quale sarebbe stato tanto bello poter poggiare il capo.

Era così saldo e sicuro quel porto!


Quando le onde che di notte invadevano i suoi sogni, minacciando di travolgerla, si
arrotolavano sopra di lei che si sentiva soffocare affondando nei gorghi schiumosi e si
destava atterrita, le bastava potersi aggrappare alla sua mano larga, o ai suoi capelli, o
alla sua barba ispida, per sentirsi in salvo.

Lui la stringeva forte, a volte quasi con rabbia, facendole anche male.
Ma lei l’amava!….Oh, quanto l’amava!…

XXX

Sveva sperava che il rapporto con il Lepre si esaurisse presto, perché temeva
addirittura di rimanere coinvolta in qualcosa di losco.
“Questo finirà male!”- si diceva.

Inoltre, avendo notato quanto Osvaldo fosse rimasto toccato dal confronto con
l’antagonista, aveva la struggente sensazione che il vecchio amore, rispolverato per
benino, sarebbe tornato a splendere più che mai!
E l’idea le metteva addosso una piacevole frenesia.

Al mattino, il Lepre fu premuroso come al solito e volle imboccarla, porgendole con lo


stuzzicadenti le olivette rimaste sul vassoio dalla sera precedente.
“Tornerò molto presto e staremo bene insieme! Aspettami buona buona e non te ne
dovrai pentire!”

Ma Sveva non gli dette ascolto perché, dopo due giorni, le arrivò una raccomandata di
Osvaldo, nella quale egli si scusava per il suo comportamento e le lasciava sperare che
fra loro tutto sarebbe tornato come prima.

E quando, ormai completamente ammorbidita, ella decise di andarlo a trovare al


laboratorio, il fatto che si fosse notevolmente scorciato barba e capelli “per rinnovarsi”
(disse) la intenerì ancora di più.

Ancora non si erano ritrovati del tutto, ma ci stavano provando.

“Sabato che fai?” – Chiese lui speranzoso e corrucciato.

Sveva temendo che sabato tornasse il Lepre, fece un gesto vago, stringendosi nelle
spalle.
“Me lo farai sapere?”
“Forse andrò a Pisa, con degli amici.”
“Ci vai con quello?” – Alludendo al Lepre.
“Può darsi.”
“Ho capito…Ciao! ”.

L’angoscia strinse ancora una volta i visceri della donna.


“Speriamo che il Lepre se ne stia a Z !.” – Ed incrociò le dita per fare gli scongiuri.

XXX

L’autunno incipiente riempiva la campagna di brume e la solitudine faceva rabbrividire


Sveva che si sentiva come nuda, di fronte all’inverno.
Le rondini erano partite da un pezzo e al Club non c’era nemmeno un camino dove dar
fuoco ad un ciocco di legno.

Nel corso della settimana, Osvaldo si fece sentire un paio di volte, sollecitando una
risposta che ella ancora non poteva dargli.

E, il sabato mattina, il Lepre telefonò ben tre volte, prima di decidere se doveva partire
subito, o se fosse stato meglio arrivare l’indomani.
Quindi decise per la seconda soluzione.
Sveva era convinta che i tentennamenti di Morty dipendessero dai suoi impegni
“sessuali”e aveva insistito per conoscere la verità. Avvertiva puzza di bugie e pensava
che egli, prima di partire da Z, volesse andare “a farsi spaccare un po’”, visto che con lei
non ci sarebbe certamente riuscito!

Comunque, non era piacevole sapere che si trovasse in un certo ambiente ed in certe
situazioni! Pertanto, pur desiderando ardentemente di ritrovare l’intesa con Osvaldo, la
donna si ripromise d’incontrare ancora una volta il Lepre, magari la domenica, per
chiarire definitivamente la vicenda e comprendere fino a che punto questa “profonda
amicizia” potesse davvero aiutarlo a risollevare la testa!

Quella testina pazza e tormentata, spelata ed unta, piena di desideri folli ed incestuosi!

“Ma sua madre, come sarà? Come può una madre generare e crescere un figlio senza
mai rendersi conto di cosa bolle nel cervello di lui?
E questo è un cervello-calderone, come quello delle streghe, dove sono mischiati
amuleti, stinchi di morto, zampe di lepre e veleno di serpenti!
E il padre?…Come sarà il padre?”

Sveva lo aveva visto ed udito soltanto una volta, nel corso di un pomeriggio di letture
poetiche e le era parso un tipo deciso ed autoritario, culturalmente molto preparato, ma
piuttosto pedante!

“Non mi ha mai compreso ed è un violento!”- Lo aveva descritto il figlio mostrando a


Sveva una cicatrice sull’avambraccio destro…
“Questa me la sono fatta da piccolo per colpa sua. Mi aveva maltrattato ingiustamente
ed io mi sono incazzato ed ho spaccato un vetro con un pugno!”

Poi , sulla scia dei ricordi “violenti”, aveva mostrato alla donna un’altra cicatrice:
“Questa, invece, me l’ha procurata Giulia, un giorno che abbiamo fatto a coltellate!”

“Salute!…E’ tutta salute…:”- Era stato, a mezza bocca, il commento di Sveva.

XXX

A questo punto, era compatibile che ella non volesse rischiare troppo.
Quella speranza di ricongiungersi ad Osvaldo, nata sul Canal Grande, quel delicato
germoglio fiorito in una situazione tanto precaria, quasi in bilico sopra la parete di una
frana, raro e prezioso come una stella alpina, non poteva essere messo in gioco tanto
alla leggera!
L’indomani, avrebbe detto addio al Lepre.
Pertanto, telefonò subito ad Osvaldo e fu un sabato, quello, davvero speciale; come
ritrovarsi a casa dopo un lungo viaggio sul mare in tempesta!

“Non ti lascerò mai più!…Non permetterò che qualcosa o qualcuno mi separi ancora da
te!” – Sveva pianse, stringendosi a lui sotto il piumone, davanti alla T.V. che lasciavano
sempre accesa mentre facevano l’amore, dopo avere spento tutte le lampade ed aver
sorseggiato un po’ della grappa che ella teneva a portata di mano apposta per lui.

“Come hai fatto a tradirmi con quello?” – Si stupiva Osvaldo . “Come hai potuto pensare
di sostituirmi con quel ragazzino, innamorato della madre e, per di più, così violento?
E’ uno di quelli che va a spiare le coppiette e, mi hanno detto, se la fa anche con
qualche vecchiaccio!…Cos’è che hai trovato in lui?!…E poi, chissà a Z cosa
combina?!…”

Sveva evitava di rispondere, per non spiegare troppe cose e doversi giustificare.
Ma era molto scossa dalle parole di Osvaldo, che era furibondo e che, alla fine,
concluse a bruciapelo:

“Non mi meraviglierei se il tuo amico avesse fatto fuori qualcuno. Non hai mai avuto
paura mentre stavi con lui?…Bada, se sapessi che continuerai a frequentarlo…starei
proprio male!…E non per gelosia, ma per la tua sicurezza, per la tua salute…e anche
per via di sua madre…. A volte credo che…fra di loro…mah…meglio non pensarci!”

“Va bene…va bene!…Stai tranquillo, la faccenda è chiusa!..Anche se non credo a tutto


quello che dici!…Con me è stato gentile, …affettuoso…” – E, per rassicurare Osvaldo,
cercò di essere tenera ed appassionata, come non mai…

Pure lui sembrava molto felice! Le confidò, in un momento di debolezza, che anch’egli
aveva provato a scrivere poesie, e gliene lesse una, nella quale faceva cenno proprio a
Sveva, incolpandola di “avere distrutto” tutti i “trofei”, da lui vinti durante le sue
numerose battaglie artistiche!

Quindi, le raccontò che, ultimamente, aveva dedicato molto del suo tempo
all’archeologia e che di notte andava a cercare reperti a L, dove le turbine scavavano la
sabbia, facendo affiorare, tra le conchiglie carbonizzate, punte di selce antichissime e
rare.

(Vedi sommario del sito - riferimento al racconto: “Una breve storia d’amore “)
“Vieni”- le disse, rivestendosi in fretta, -“Vieni con me!”
Ed alle 2,30 di quel sabato notte, volle portarla là dove era solito scavalcare la rete di
recinzione per andare a setacciare la sabbia, al lume di una torcia che teneva tra i denti.

Sveva rimase impigliata con la gonna nel filo spinato, ma, con l’aiuto di Osvaldo, alla
fine ce la fece a passare dall’altra parte.

La luna faceva brillare la distesa di sabbia come argento liquido e un vento sottile
sussurrava fra le canne, mentre si dirigevano verso il capannone delle turbine, dove
stavano gli attrezzi per scavare.

“Senti come fa caldo, qui!..” – Osvaldo l’abbracciò nel capannone.


“Di solito, quando la notte smetto di pitturare, vengo a scavare. Ho riempito lo studio di
selci e di conchiglie!…”

E gioiva di quella insperata e inattesa ricchezza che gli era piovuta così, d’estate, come
una pioggia di stelle nella notte di San Lorenzo.
CAP. V°- PROFONDO ROSSO
Autunno 1983 – ed inverno 1984

L’arrivo di Morty, la domenica, fece giocare a Sveva una carta sbagliata.

Egli aveva telefonato di nuovo, al mattino, con voce canterina, cercando di convincerla
che a Z non era successo “proprio niente” e che desiderava moltissimo rivederla, anche
per mostrarle lo studio e la totalità della sua produzione pittorica..

E lei aveva acconsentito pensando ingenuamente di andare solo per farlo contento e
poi dirgli “definitivamente” addio, forte come si sentiva del suo rinnovato amore per
Osvaldo e sicura che, quella sera, quest’ultimo fosse troppo impegnato per venire a
cercarla.

Invece, lo stato preoccupante in cui si trovava il Lepre, che sembrava addirittura


drogato, la spinse a trattenersi al suo studio più a lungo del previsto, per cercare di
consolarlo (di nuovo) con il calore del proprio affetto che egli sembrava considerare
l’unica medicina capace di alleviare le sue sofferenze.

Era arrivato sotto la pioggia, vestito in maniera tanto eccentrica da parere addirittura
assurdo.
Maglioncino a collo alto multicolore con analoghi stivaletti in cuoio giallo, toppeggiati
anch’essi di varie tinte; ed una redingottina lunga e svasata, molto femminile, in tessuto
scamosciato cangiante sul grigio-argento.

Inoltre, i soliti pendagli con i teschi e bracciali punks, pieni di spunzoni e di vetri colorati.

Aveva la testa quasi rasata, ed evidentemente si era poi pelato ancora di più con la
lametta, poiché , ai lati del capo, presentava delle chiazze chiare dove i capelli
mancavano del tutto.

Lo studio aveva una serranda a pian terreno, su una via centrale, ed era ingombro di
mille cose.
Prima di tutto, egli si gettò letteralmente sulla zuppa che Sveva gli aveva portato, certa
di fargli piacere.

Mangiava con un’ingordigia incredibile, come se non avesse toccato cibo da giorni,
elogiando il piatto e complimentandosi con la donna per qualsiasi cosa!
Fingeva vivacità e vitalità ma era molto scosso.
Dopo il pasto, cominciò a tirar giù dagli scaffali pacchi di cartoni dipinti e a spostare
cumuli di oggetti ammassati negli angoli, trascinando in mezzo alla stanza anche due
vecchi materassi che, in mancanza di sedie, dovevano servire a “mettersi comodi” – egli
disse.

Nel frattempo, Osvaldo, il quale forse la sera precedente aveva notato in Sveva una
passione fino ad allora sconosciuta, era andato a cercarla, contrariamente alle
previsioni e, birbante com’era, non avendola trovata al club, aveva subito scoperto dove
si era recata.

Così, mentre il Lepre mostrava alla donna i propri prodotti artistici, compiacendosi anzi
tutto di un nudo femminile che, appeso ad una parete, aveva bersagliato di freccette
acuminate, conficcatesi numerose sul pube e sul seno sinistro dell’immagine ( i punti
prediletti dal Mostro di Firenze), Sveva, ignara, conficcava altre frecce nel cuore di
Osvaldo che, infuriato, a due passi da loro, si sfogava prendendo a calci i sassi
disseminati sul marciapiede davanti allo studio del Lepre.

Per completare il disastro, il rubinetto nel bagno di Morty, si era guastato all’improvviso,
senza che i due se ne accorgessero, ed aveva allagato rapidamente il locale,
imbevendo d’acqua tutta la roba gettata sul pavimento, compresi i materassi.

Cosicché la serata si concluse con il tentativo disperato di salvare almeno i cartoni


dipinti che né il Lepre, né Sveva, sapevano più come e con cosa asciugare.

Verso le 3,30 del mattino, mentre la donna stanchissima e depressa se ne tornava al


Club, decisa più che mai a troncare ogni rapporto con Morty, Osvaldo già meditava la
sua vendetta.

XXX

Infatti, fingendo di non sapere dove ella avesse trascorso la serata, egli telefonò verso
l’ora di pranzo, ascoltando la filza di balle che Sveva aveva da raccontare dilungandosi
su particolari del tutto inventati, ma infiocchettati in maniera ancor più realistica di
quanto lo sarebbe stata la pura verità.

Per più di un’ora, Sveva rimase al telefono, a parlare con lui, inchiodata dalle domande-
trabocchetto di Osvaldo che, dall’altro lato del filo, probabilmente se la spassava un
mondo.
Il Lepre, il quale aveva promesso di telefonarle proprio in quel lasso di tempo, trovando
la linea sempre occupata, sicuramente ripartì per Z scocciatissimo, soprattutto per aver
dovuto rimediare da solo a tutto quello sfacelo nel suo studio.

Sveva lo immaginava, rannicchiato sul pavimento a raccogliere carta e cartoni fradici,


maledicendo la sorte , deluso per come erano andate le cose e rimpiangendo
certamente di non essere rimasto a Z, tra le braccia muscolose dei suoi diabolici
amanti!

La sera, quando Osvaldo fu di nuovo in panciolle sul divano del Club e la donna gli si
avvicinò per farsi abbracciare e posare la testa sopra il suo petto saldo, la ritrosia di lui
e le cento domande ripetute, battenti come un maglio sulla corazza di menzogne di
Sveva, ne sfaldarono completamente la difesa, lasciandola alla fine, nuda ed inerme in
balìa del carnefice.

Da quell’istante, ella sarebbe stata solo un oggetto, nelle mani di Osvaldo, il quale, in
seguito, non avrebbe fatto altro che procurarle umiliazioni e guai, ben conscio del
potere che il suo fascino, rude e sensuale, esercitava su di lei.

“Mi fai schifo! Sei falsa e spergiura!…Da ora il poi ti tratterò come meriti! – Egli
affermava duramente.

Mentre ella, piangendo, ripeteva di amare solo lui e tentava di fargli capire che, quelle
bugie, dovevano avere lo scopo di non amareggiarlo per una cosa ormai superata
definitivamente e che lei, comunque, avrebbe tentato in ogni modo di fargli dimenticare.

XXX

Una delle cose che Sveva fece per fare contento Osvaldo, fu di prendere in affitto un
piccolo fondo nel centro della città dove poter esporre i suoi quadri, che egli
considerava “sacrificati” nel Club, situato in periferia e “dispersivo” come ambiente!

La nuova galleria, piuttosto carina, li impegnò ambedue per molti giorni, nella
sistemazione del fondo.

Sveva l’avrebbe inaugurata con una mostra personale di lui, avendogli già organizzato
diverse esposizioni in altri luoghi ed altre città, sempre con ottimi risultati di critica e di
pubblico, che l’uomo, però, sembrava non avere apprezzato più di tanto.

L’inverno era quasi trascorso senza troppe scosse, con parecchio lavoro da svolgere,
anche se gli affari non andavano bene.
“Tempo di crisi, per l’arte”, si sentiva dire dappertutto, ma la donna era piena di energie
e di ottimismo e non si risparmiava.

Durante le feste natalizie, il Lepre si era fatto vivo soltanto per telefono e si diceva molto
impegnato. Sveva sapeva bene come e con chi, anche se aveva finto di credere che
stesse dipingendo.
In fondo, le era rimasta l’amarezza di non aver fatto granché per quello sciaguratello
che, d’altronde, aveva dimostrato di star bene dove si trovava.

La donna aveva trascorso le feste abbastanza serena, tra il Club, la famiglia e le visitine
di Osvaldo, il quale continuava a mostrarsi piuttosto duro e non le dedicava molto
tempo.
Chissà se egli avrebbe apprezzato i tentativi che la donna faceva per renderlo felice!

L’inaugurazione della nuova galleria era andata benissimo, secondo lei, che ogni tanto
rivedeva con orgoglio le fotografie della mostra, aperta con grande concorso di
pubblico.

Era sempre così quando lavoravano insieme! Gli amici che avevano in comune erano
molti ed importanti; e Sveva credeva che la cosa si stesse prospettando ottimamente!
Sperava soltanto di farcela a tenere fede ai numerosi e pesanti oneri che si era
accollata.

Certamente, da sola non avrebbe potuto tenere aperti e funzionanti ambedue i locali e
Osvaldo, che inizialmente sembrava propenso a dividere il suo tempo tra la pittura e la
galleria, aveva già cambiato opinione.

“Chiudi il Club!…E’ l’unica soluzione!” – Sentenziava lui, senza tenere conto che Sveva
non avrebbe saputo dove immagazzinare tutta la roba che vi era ammassata.

Le cose più care, più belle e importanti che ella si era procurata a costo di molti sacrifici,
durante il corso della sua vita, erano lì, insieme a quelle non ancora finite di pagare, che
ella aveva acquistato per arredare il salone!

E poi, non sarebbe stato facile trovare un appartamento, specialmente all’inizio della
stagione turistica.
Aveva già avuto un’esperienza in proposito con enorme dispendio di denaro, tempo e
fatica, per ritrovarsi poi, in piena estate, a dormire in un capannone di periferia, senza
finestre ed esposto al sole;
soffrendo le pene dell’inferno per il surriscaldamento del locale, dove aveva dovuto
ospitare anche i bambini!

“Non posso..non chiedermelo! Sono troppo attaccata a questo posto, per lasciarlo così,
su due piedi! Anzi, penso che, se dovessi andarmene, per me sarebbe la fine!”

Ma Osvaldo non capiva, non si rendeva conto di cosa significasse quell’ambiente per
lei, abituata agli spazi ampi con molto verde e alla più grande libertà di movimento; e
preoccupata anzitutto di avere anche le stanze per ospitare i figli e la madre, nel caso
ce ne fosse stato bisogno.

Ora ella aveva tutto questo, anche se lo stava pagando profumatamente; e l’uomo
continuava ad accusarla di “manìa di grandezza” a scapito del “benessere comune”
esaminando la cosa dal suo punto di vista, abituato a vivere in una casa piccolissima.

Senza considerare però, che in ogni momento lo desiderasse, egli poteva uscire e
partire per ogni dove, senza che qualcuno o qualcosa potesse tentare di trattenerlo,
essendo per lui la “libertà” di azione, la cosa più importante di questo mondo.

“Se ti ostini a rimanere qui, non verrò più nemmeno a trovarti”


Ed infatti, con la scusa di voler preparare altre mostre, si faceva vedere sempre di
meno.

XXX

Sveva decise, invece, di assumere una ragazza che la sostituisse in galleria e,


ignorando il comportamento di Osvaldo che diveniva sempre più scorbutico, organizzò
una mostra per un giovane pittore locale, conosciuto da poco.

La primavera era quasi alle porte, e la donna, in vena di cambiamenti, si era tagliata i
capelli cortissimi, alla maschietta, ed aveva acquistato abiti sportivi, in vista di alcuni
viaggi che aveva in programma.

Un giorno che era in galleria , precisamente per l’inaugurazione della mostra di cui
sopra e, indaffarata intorno ai rinfreschi, si trovava sul retro a parlare con la commessa,
ebbe la sorpresa di veder entrare il Lepre, con una signora che ella riconobbe come la
madre di costui.

Mariangela, la commessa, una ragazzona bella e procace, soffice come un “pan di


Spagna”, si prese uno spavento.
“Ohimè!” –Esclamò a dir poco sconvolta – “Mi credevo che fosse la coppia di “Profondo
Rosso!…O Sveva … ma non hai paura di quelli lì!?”

Poi cominciò a ridere, voltando il viso da un’altra parte.

Lui, questa volta era molto “in nero”.


La madre era affogata in un pellicciotto di marmotta.

Ella portava in testa una reticella di lana rosa e beige, che terminava in una grossa
nappa ciondolante sulla sua spalla destra.
Le gambette magre, con le vene sporgenti, uscivano dalle scarpe nere, con il tacco
tozzo, troppo grosso, rispetto alle gambette.

La bocca era dipinta oltre il margine del labbro superiore, in rosso geranio; e le
unghiette affilate, color rosso-fuoco, tormentavano la cerniera di una borsetta, antica
come le cose di “Nonna Speranza”.

“Mia madre sembra un orso!” – Esclamò il Lepre ridendo.

“E tu…cosa ti credi di sembrare?!”


Come l’ultima volta che Sveva lo aveva incontrato, si era tormentato il cuoio capelluto
con il rasoio, procurandosi spiazzi vuoti fra i capelli.

”Si è fatto i parcheggi per i pidocchi!…” – Considerò la donna amara. E ancor più lo
divenne notando le pustole che sbucavano dal colletto della camicia, l’unto giallino sulla
chierica rotondetta, l’aspetto malsano e gli abiti striminziti, quasi gli si fossero ritirati
addosso dopo un acquazzone.

XXX

“Così questa sarebbe la mamma “figa”e questo sarebbe il grande Superman, fortissimo,
furbissimo, intelligentissimo e bellissimo?” – Rifletteva Sveva mentre lui trovava da
ridire sulla pettinatura poco femminile che ella aveva adottato, dichiarando che la
preferiva con i capelli lunghi, o, meglio ancora, con la permanente!

La madre, invece, si atteggiava a critico d’arte, azzardando giudizi non proprio benevoli
sulle opere esposte e, al contrario, elogiando i lavori del figlio che, ella disse, aveva
fatto delle cose bellissime.

“Il guaio è che i galleristi non le capiscono! Non hanno cultura…non sono preparati!…
Lei, che è una signora così brava, perché non trova il modo di esporgli qualcosa?”

Sveva non si sentì, quel giorno, di esprimere ad una madre quello che pensava
esattamente delle opere del Lepre, ritenendo che una galleria d’arte, non doveva
essere un luogo dove le persone vanno per procurarsi delle eccitazioni sessuali.

Addusse a pretesto la mancanza di spazio e la scarsa probabilità di effettuare vendite,


dato il “particolare momento di crisi”.

“Le cose di mio figlio sono troppo diverse, troppo culturalmente avanzate per questi
ambienti e per questa città!” – Concluse la Mamtide, sicura di aver dato una bella
stoccata a tutti i presenti!

Ma, dalla sua espressione, Sveva credette di capire che la cosa non sarebbe finita lì.
“Manderò mio figlio a trovarla, per farle vedere quello che sta facendo!”

Però anche il figlio doveva avere intuito che Sveva non era molto disponibile, perché si
fece vivo soltanto per telefono, dicendo che non poteva trattenersi oltre.
Sarebbe partito per una delle solite tournées sado-culturali.
Doveva andare in Danimarca – disse – per provare altre nuove emozioni, naturalmente
in compagnia della sua amica Giulia.

“Stammi bene, figona!…Non ti ho trovata abbastanza sexi… Fatti crescere i capelli e,


mi raccomando, cerca di chiavare più che puoi!
Non te la prendere per me, tanto io sono come quelli delle SS.
Sesso e soldi…sesso e soldi…Tutto il resto non conta!
Io non i voglio innamorarmi…e così cerca di fare anche tu…Ciao..figona…ciao!”

XXX

“Ho visto Mortimer.” – riferì Sveva ad Osvaldo la sera seguente, mentre cercavano di
scaldarsi , sotto il piumone, davanti alla T.V.

“L’ho trovato eccitatissimo e nervoso. E’ veramente strano, quel ragazzo!”

“Hai letto il giornale?” – Chiese Osvaldo di rimando. – “A Lucca hanno fatto fuori un’altra
coppia...sembrerebbe con la medesima pistola del Mostro di Firenze!
Scherzaci tu, con i maniaci sessuali…scherzaci!”
E, sgusciato fuori dal piumone, se ne andò sbattendo la porta “Perché” – aveva detto –
“parlare di quello là, mi ha fatto venire il mal di stomaco!”
CAP. VI° - TEMPO DI VIAGGI
Primavera 1984

Osvaldo era stato invitato ad esporre in Inghilterra; una mostra itinerante che si sarebbe
spostata da Londra ad altre cinque importanti città del Regno Britannico.

Sveva era entusiasta, e già faceva mille progetti per questo viaggio, al quale sperava di
prendere parte.
Non era mai stata all’estero e, anche se al momento si trovava pochissimi soldi in tasca,
desiderava ardentemente seguire Osvaldo, pur avendo un terrore folle di volare.

Ma egli non sembrava gradire la sua compagnia e molte furono tra di loro le discussioni
piuttosto animate, tanto che, fino all’ultimo momento, pareva che il viaggio dovesse
andare in fumo.

Invece, finalmente, partirono, in compagnia di una coppia di amici.


Sveva udì distintamente il compagno che giustificava la presenza di lei come
un’imposizione forzata, perciò immaginò subito tutti i dispetti che egli avrebbe
architettato per farle ingoiare rospi velenosi nei cinque giorni che avrebbero passato
insieme.

Per di più, da qualche tempo, ella non stava bene. Ogni tanto accusava dolori lancinanti
che le squassavano le reni e si stancava facilmente.
In compenso, i compagni di viaggio erano simpatici e, quando l’aereo si staccò da terra,
a parte un certo vuoto nello stomaco, Sveva si sentì abbastanza serena, segno che la
vicinanza di Osvaldo le dava ancora molta sicurezza.

Il viaggio fu bellissimo e se non fosse stato per l’indifferenza di lui che, inoltre, la
bistrattava ogni momento per qualsiasi cosa ella facesse o dicesse, senza mai farle un
solo complimento durante l’intera permanenza nella City, Sveva avrebbe senza dubbio
vissuto momenti di vero incanto, dato che Londra esercitava su di lei un enorme
fascino.

E non avrebbe voluto staccarsene così abbattuta, così stanca, mentre si trascinava
automaticamente con le gambe pesanti al fianco di Osvaldo, che ora, a momenti, le
pareva niente altro che un qualsiasi ometto affannato a correre chissà dove…

Ella sentiva, in quegli attimi di sofferenza, che il suo amore stava per morire… e il Big-
Ben della cattedrale, fermo per riparazioni, taceva, come per non disturbarne
l’agonia!…

XXX

Dopo Londra e l’amarezza di un rapporto ormai guasto, la Pasqua imminente…

La Mamtide ogni tanto telefonava: “Mio figlio ha tanto da fare!…- Mio figlio le manda
tanti saluti!… - Mio figlio verrà per Pasqua!”

E venne, per le vacanze, teso e dimagrito, con le occhiaie fonde e la testa più svitata
che mai.
Sveva era in galleria, quando arrivò, con una enorme scatola di dolci ed alcuni
animaletti di confetto, tondi e lucidi, sotto gli abitini di zucchero.

“Come mi trovi…come mi trovi…eh, figona…?


“Non troppo bene, dimagrito, allucinato…”
“Ma cosa dici?…Sei di fuori?!…Tu, piuttosto…ti sei data da fare? Hai seguito i miei
consigli?”
“Non proprio..comunque non come credi… Invece tu…ti sei divertito?”

“Sono stato via …e mi sono anche ammalato!…Durante il viaggio in Danimarca,


eravamo in compagnia …In treno, ho conosciuto una signora di Firenze, una
professoressa…Io, le signore..me le farei tutte…Questa era un tipo austero, con gli
occhiali…molto interessante… per i miei gusti!”

“Hai lavorato? Hai fatto qualcosa di nuovo?”


“Sì, un giorno ti farò vedere…Possiamo passare insieme il giorno di Pasquetta?”
“Non credo di avere qualcosa di meglio da fare!..” – Rispose Sveva.

Ma, alle dodici del lunedì di Pasqua, egli era lì a scusarsi, perché – disse – aveva
litigato in casa col padre e con la madre.
“Me ne vado! Ogni volta che vengo, scoppiano casini!…E’ inutile, questo non è il mio
ambiente…Ormai sono abituato in un altro modo. Ho bisogno di condizioni alienanti, per
affermare la mia personalità.

Ho bisogno di stare rinchiuso nella puzza e nello smog, a fare il sesso come piace a
me, o di andarmene in giro da solo, a caricarmi di sensazioni nel piscio e nella merda!
Voglio riuscire a fare delle cose che diano emozioni violente, che facciano stare male,
che facciano masturbare la gente o la facciano vomitare!
Scusami…scusami…devo partire! Dove hai messo i puffi?”
“Sono in campagna, sulla credenza di mia madre, per i ragazzi!”

“Ma perché? Dovevi tenerli qui!…Guarda cosa ti ho portato!”


E, così dicendo, tentava di appuntare ai polsini delle maniche di Sveva, due farfalle di
tulle, una rosa e una celeste, con i lustrini alle estremità delle corna!

XXX

Certo, il fatto che Osvaldo non dimostrasse per lei alcuna tenerezza, le rendeva il Lepre
più interessante e , a volte, provava perfino nostalgia delle sue attenzioni, dei suoi
piccoli, strani regali , dei suoi bacetti lievi come le farfalline di tulle, che ella non aveva
l’ardire di appuntarsi sui vestiti.

“Se anche fosse il Mostro, sono certa che a me non farebbe del male; anzi, forse potrei
aiutarlo a guarire della sua follia” – Erano le illusioni della donna, nei momenti di
sconforto.

La primavera riempiva di fremiti e di sussurri le notti di Sveva e Osvaldo era sempre


meno disponibile e sempre più duro

Nei rari e brevi spazi di libertà, ella correva alla spiaggia, ancora semi deserta, per
rotolarsi sulla sabbia, al sole; e si pungeva le mani per raccogliere mazzi di fiori delle
agavi, con i quali riempire tutti i vasi disponibili nel Club.

Nei giorni di vento, rinvoltata in una sciarpa, sedeva sulla battima e ascoltava il gemito
dei pini e lo schiocco delle onde contro i moli.

Nel frattempo, stava organizzando una manifestazione a Roma, dove avrebbe portato
dipinti, sculture e poesie dedicate alla sua terra, la Versilia, paese che tanto amava,
fortunatamente non ancora soffocato dallo smog e dai rifiuti delle industrie.

Spesso, pensando al “pasticcere folle delle torte a sorpresa”, che su nel Nord
sperimentava sulla carta i colori del “piscio”, del “mestruo” ecc…si chiedeva se fosse
giusto lasciar affondare così miseramente un essere non ancora quarantenne e
indubbiamente geniale, in un pozzo senza uscita….

Sapeva bene che l’attuale produzione artistica di Morty non avrebbe fatto mostra di sé
in una qualunque galleria, sia per i temi scabrosi affrontati, sia per la scarsa affidabilità
che “la persona” avrebbe dimostrato a chiunque fosse stato disposto ad occuparsi di lui!
Peccato! Sicuramente c’erano delle qualità, che venivano del tutto offuscate dal
comportamento strano ed a volte scostante del giovane.

Intanto, lei l’aveva invitato a prendere parte a questa mostra da fare a Roma, ma lui non
aveva accettato, ritenendosi “troppo al di sopra” della media dei partecipanti e anche
perché – disse – non “sentiva l’argomento!”

Osvaldo, invece, a Roma avrebbe tenuto una personale, già in calendario e organizzata
dalla stessa equipe che gli aveva consentito di esporre a Londra.

Era venuto a dirglielo a cose fatte, avvisandola che sarebbe partito “da solo”, senza
“rotture di coglioni…”.

XXX

Sveva, che per la propria iniziativa aveva sperato soprattutto nell’aiuto di lui, si sentì
morire al pensiero di dover trovare altri collaboratori, ben conoscendo le scarse
capacità
e le poche energie della maggior parte dei suoi associati.

Fortunatamente, si prestò un’amica, donna energica e di talento, interessata alla parte


letteraria della manifestazione.

Sveva , che già alcuni giorni prima del viaggio si era dovuta dividere in mille diverse
attività, volte non soltanto alla preparazione del medesimo, si ritrovò, la sera precedente
alla partenza, a dover fare da sola il carico.

Durante molte ore della notte, dopo aver agganciato alla macchina un capace carrello
scoperto, che si era fatto prestare da un pittore, cercò di sistemare come meglio poteva
i molti quadri, tra i quali alcuni piuttosto grandi e pesanti.

Quindi le sculture, di bronzo e di marmo, che quasi non riusciva a sollevare da terra,
attenta che non andassero a sbattere fra di loro o nei vetri delle cornici.

Poi fu la volta dei libri, donati dalle Amministrazioni Comunali dei sette Comuni
versiliesi, unitamente alle pubblicazioni propagandistiche dedicate alle varie località
della zona ed ai diversi pittori che avevano aderito all’iniziativa.

A poco a poco, sia il carrello che la macchina, si riempirono fino a non avere più un
centimetro cubo di spazio vuoto.
E, al mattino presto, dopo avere a stento chiuso gli occhi per il tempo di un breve
sonno, tentando invano di distendere le ossa ed i muscoli che si rattrappivano, Sveva
finì i salmi in gloria, ammassando sul tettuccio dell’auto alcuni cavalletti e mezza
dozzina di basi per le sculture; grandi parallelepipedi di legno truciolare che, con molta
fatica, facendosi aiutare da un passante mattiniero, riuscì ad issare fino a quell’altezza.

Quando l’amica Giovanna scese dalla macchina del marito, che l’aveva accompagnata
al Club, trasecolò.
“O Sveva, o che hai combinato? Come facciamo a portarci dietro tutta questa roba?!”
“Le vie del Signore sono infinite!”
“E tutte portano a Roma?”
“Speriamo!”

XXX

Sveva intanto si era accorta che il bollo auto era scaduto , che una ruota era
semisgonfia e , per di più, non si trovava il foglio complementare con il permesso di
poter trainare il carrello.
“Bisogna partire lo stesso!” – disse decisa, guardando l’orologio – “Altrimenti non
arriveremo in tempo per scaricare stasera!” – Sapendo che i locali del Centro X
chiudevano ad una certa ora del pomeriggio.

“Topolino parte per la villeggiatura!” – Ella esclamò ricordando alcune vignette di Wall
Disney, mentre provava la frizione consumata, che non aveva fatto riparare , sempre
per mancanza di tempo!

Evitando accuratamente le autostrade, fermandosi ogni tanto a far rigonfiare la gomma


che non teneva, (quella di scorta era ancora in condizioni peggiori!) , cambiando
velocemente direzione o fermandosi, quando apparivano pattuglie di carabinieri o della
Guardia di Finanza, presero la litoranea e si avventurarono in quella pazza spedizione
artistica, ammirando il panorama che, per la prima volta, avevano la possibilità di
osservare insieme.

Le balze delle colline umbre, lucide d’erba in gradazioni diverse di verde, dal più pallido
al più intenso, erano tutte una fioritura di bacche rosse; piccoli cespugli selvatici,
disseminati ovunque e cosparsi di granuli dal colore del sangue.

E la vista di questa campagna lussureggiante, ispirò a Sveva dei versi che ella si mise a
recitare ad alta voce.
Giovanna rideva, nell’ascoltare l’amica che narrava “le alterne vicende del suo sesso”.
Quella pazza che affermava: “Porto i miei amori / nelle tasche del cuore / e ogni tanto
controllo / che non si perdano!”
E continuava: “Corro verso Roma / con il vessillo della donna forte / e con il marchio
della donna sola…”

XXX

Come Dio volle, arrivarono a Roma allegre e soddisfatte di averla fatta franca , in barba
alla polizia.

Ma, ahimè…imbottigliate nel traffico della metropoli, con il carrello che impediva le
svolte brusche e le inversioni ad U , si trovarono ben presto in difficoltà.

Passata l’ora di chiusura del Centro X, ancora se ne andavano errando per strade
sconosciute, senza sapere dove sostare per la notte, senza trovare un garage che
potesse ospitare macchina e carrello insieme.

Dopo mezzanotte, bloccate in una piazzetta in salita, la quale non presentava vie di
uscita diverse da quella dalla quale erano entrate, non riuscirono a girare il carrello.

Pertanto, si trovarono costrette ad infilarsi, senza scampo, in un cancello che si apriva


su di un passo, anch’esso in salita, dove spiccava una bella targa sulla quale era scritto:
“Riservato alla Polizia – Divieto di sosta – Anche di notte.”

“E ora?…” – Chiese Giovanna , perché la macchina si era fermata dopo appena un paio
di metri, scivolando verso il basso per il peso del carrello, mentre la frizione si rifiutava
di funzionare.

“Ora siamo fregate! Lascia che arrivi qualcuno della Polizia e finiamo in gattabuia, come
minimo!” – Sveva non ce la faceva proprio più e pensava con terrore a tutte le
inadempienze che avrebbero trovato a suo danno, compresa l’assenza di una bolletta di
accompagnamento per la merce , per di più in sovraccarico di ben oltre il consentito!

Mentre Giovanna si accendeva la sessantesima sigaretta della giornata, ella tendeva


l’orecchio per captare l’eventuale arrivo di qualcuno, studiando cosa avrebbe potuto
inventare per giustificare quella incresciosa situazione.

E, soltanto un quarto d’ora più tardi, ella ringraziava pimpante e felice tre giovanottoni
muscolosi e baffuti, in divisa di poliziotto, i quali, a braccia, avevano rimesso la
macchina ed il carrello sulla piazzetta, il tutto rivolto nel senso giusto…
“Siete gli angeli della notte! Come avremmo fatto, senza di voi!”- Sveva ringraziava
suonando la sviolinata per quei “marcantoni”, mentre essi, ridendo, chiedevano alle due
“disgraziate” cosa cavolo avessero caricato in quel popò di carrello.

“Menomale che, al posto di questi, non ci sia capitato un pezzo grosso, vecchio e
stizzoso, altrimenti…” – Rifletteva Giovanna, scuotendo la cenere dell’ennesima cicca!

Quindi, forti dei consigli dati loro dagli “angeli della notte”, le due sciagurate si diressero
verso un albergo periferico dove, finalmente, trovarono ospitalità.

XXX

Il Centro X era al secondo piano di una via centrale molto nota.


Il giorno dopo, la fatica per portare su tutto il materiale, non fu certo indifferente.

In compenso, molte furono le soddisfazioni morali per Sveva, festeggiatissima e


sommersa fra targhe e coppe che, naturalmente, avrebbe esposto in bella mostra nel
Club.

Al ritorno, però, la stanchezza giocò dei brutti scherzi alla donna che ormai, liberata la
macchina dal carico, aveva imboccato l’autostrada.
Cinque volte rischiò di sbandare, per essersi quasi addormentata al volante; e
inutilmente Giovanna tentava di tenerla sveglia raccontandole barzellette.

Sveva era completamente fusa e pensava con terrore al giorno in cui sarebbe dovuta
tornare a riprendersi il malloppo!

Intanto Osvaldo era già andato a ritirare i quadri della sua mostra, rifiutandosi di
attendere la data nella quale anche lei sarebbe ripartita per fare il carico.
Ed ella gli portava il muso, acida per quel comportamento scostante e strafottente.

Ultimamente, sembrava non curarsi più di essere legato a lei pure da un regolare
contratto di lavoro e, oltre a non consegnarle ogni mese quel certo numero di quadri
che si era impegnato a fare, la escludeva completamente dalle proprie iniziative ed
anche dal suo studio.

Però, forse per compassione, accettò di accompagnarla nel nuovo viaggio, ma lo fece
di malavoglia, dichiarandosi stanco e troppo oberato dal lavoro.

“Non penserai mica di dormire in albergo?!” – Egli chiese, deprecando il fatto che Sveva
la volta precedente, avesse speso una cifra considerevole, per l’unica notte di sosta.

“Cercheremo un posto più conveniente. L’ altra volta non ho potuto scegliere!”


Ribatté ella temendo che Osvaldo volesse dormire in macchina, come minacciava di
fare.

Sveva era convinta che, dopo una giornata di fatica ed una nottata rattrappita sui sedili
della Renault, ella non avrebbe retto alla stanchezza.
CHE BRUTTA FINE PER UN POETA! - CAP.VII°
Primavera 1984

Sveva guidò per tutto il viaggio di andata. Aveva indossato un abito non troppo leggero,
perché il tempo minacciava di guastarsi e si era portata appresso un bel po’ di panini
ripieni e di bevande in lattina, per evitare soste dispendiose in autostrada.

Invece era venuto fuori un sole cocente ed ora ella stava grondando sudore, forse
anche a causa della birra, bevuta per mandare giù i panini.

La mano destra, ogni tanto, si rattrappiva sul volante, formicolando, ma Sveva si sentiva
in dovere di non impegnare troppo l’amico, riservandogli la guida al ritorno, quando la
macchina e il carrello sarebbero stati colmi da scoppiare.

Quando la strada glielo consentiva, ella lasciava il volante e si strofinava la mano con
energia.
Ma si accorgeva che la situazione non migliorava; anzi, ora era tutto l’avambraccio a
dolere in maniera strana e non rispondeva più alle sollecitazioni.

“Andiamo proprio bene!” – Esclamò Osvaldo, quando ella lo pregò di prendere il suo
posto, perché non poteva guidare in centro in quelle condizioni.

La donna era sgomenta, anche pensando che egli, probabilmente, avrebbe dovuto
affrontare da solo l’enorme lavoro che li attendeva, se la mano di lei non avesse
smesso di fare i capricci.

E purtroppo, arrivati a destinazione, le dita di Sveva non si muovevano più, tanto che,
durante la cena in pizzeria dove gli amici di Roma li avevano invitati, insieme ad un
gruppetto di artisti che festeggiavano la fine dei corsi serali di pittura, dovette farsi
tagliare il cibo dal marito di Angela, seduto alla sua sinistra.

Sveva mangiava, ma un malessere accentuato stava crescendo in lei, che sudava


freddo e si sentiva svenire.
E non si muoveva dal tavolo, poiché , per fare questo, avrebbe dovuto scomodare una
dozzina di persone che le bloccavano il passaggio, nel locale piccolo e sovraffollato.

Alla fine però, accorgendosi che non avrebbe più resistito, si fece largo, traballante, con
la faccia cadaverica, tentando di arrivare alla toilette, dove successe il peggio!
Questa, infatti, sporca ed angusta, di un metro per un metro, senza altri sbocchi fuorché
la porta che si apriva sull’interno, non aveva né una mensola, né un attaccapanni e
nemmeno una maniglia alla quale potersi afferrare.

E, peggio ancora, non aveva neppure il water, essendovi solo il buco nel pavimento
che, in questo caso era a cinquanta centimetri dalla soglia.

Sveva, che si era portata con la mano sinistra la borsetta piuttosto ingombrante e non
sapeva dove poggiarla, trovò nell’anti-bagno un cestino per la carta straccia, un fragile
cestino a rete, di filo di ferro plastificato.

Un aggeggio paralleloidale alto circa sessanta centimetri ; e lo trascinò dentro il


gabinetto, allo scopo di posarvi la borsa ed estrarne, con la mano sinistra, le salviettine
di carta.

Ma invece, il fragile cestino capovolto, dovette sostenere il peso non indifferente della
donna, la quale stava per svenire e si lasciò completamente andare , inondando il
pavimento con un getto di liquido maleodorante.

Mentre il terribile odore mozzava il fiato, già corto, della disgraziata che, stringendo la
borsetta sulle ginocchia, pregava Dio affinché non la facesse cadere per terra.

Consapevole che, se fosse svenuta, avrebbe bloccato completamente la porta per


quelli che, non vedendola tornare, sarebbero venuti a cercarla.

E restò lì, immobile, grondando sudore gelido, aggrappata soltanto alla sua
disperazione, sopra quel trespolo oscillante di fil di ferro; senza riuscire a spostarsi di un
millimetro, almeno per un quarto d’ora; mentre, con gli occhi a pesce morto, vedeva
appena una luminescenza lattea che sempre più si oscurava.

E si ripeteva di continuo nella mente”Che brutta fine, per un poeta…che brutta fine per
un poeta!”

XXX

Ogni tanto, Sveva sentiva qualcuno provare la maniglia della porta, che, chiusa dal di
dentro e, bloccata per metà da lei sul cestino, non sarebbe andata giù nemmeno a
spallate.

E, purtroppo, non riusciva ad emettere un filo di voce, nemmeno per segnalare la sua
presenza!

“Muoio…muoio!”- Si diceva sempre più debolmente, tentando invano , in quella


posizione, di rimediare almeno in parte, con la sinistra, a tutto quel disastro.

Osvaldo non si era mosso. Continuava a mangiare e bere senza preoccuparsi


minimamente per la sua assenza.
Fortunatamente si mosse Angela, spaventatissima quando trovò il gabinetto chiuso e
nessuno che rispondeva ai suoi allarmati richiami!

Alla fine, con una voce che sembrava arrivare dallo Stige, la povera Sveva ce la fece, a
monosillabi, a comunicare la sua disgrazia.

Prima che potesse alzarsi in piedi, passò un altro quarto d’ora, mentre Angela, fuori,
cercava di confortarla e sostenerla con il calore del suo affetto, manifestandolo con
strilletti premurosi e frasi d’incoraggiamento.

Poi, come Dio volle, Sveva uscì dal loculo, gialla come un morto e odorosa come un
campo appena concimato in modo tradizionale, cioè col “perugino”, come lo
chiamavano dalle sue parti.

Quando in sala da pranzo la videro apparire in quello stato, ella lesse un dispiaciuto
stupore negli occhi dei commensali.
Osvaldo, invece, sembrava soltanto scocciato.

“ Sei quella che rovina sempre tutto!” – Bofonchiò mentre gli amici li accompagnavano a
casa loro, per mettere a letto la donna che ora, a poco a poco, stava riprendendo
colore.

Angela la aiutò a spogliarsi, lavarsi e indossare la lunga camicia da notte azzurra, che
la copriva fino ai piedi ; mentre l’amico sistemava la sua roba sopra un divano letto
preparatogli dai due premurosissimi sposi.

“Guardala, Osvaldo, com’è bella questa donna , in azzurro..”- Esclamò Angela ,


cercando di risollevare il morale di Sveva, raggomitolata sopra la coperta.

“Sembra un cumulo di cielo…un grande cumulo di cielo…caduto sul mio letto!”

“Mh…mh…” – Muggì Osvaldo che, accusando un gran mal di gola, s’infilò subito sotto
le lenzuola e si mise a dormire.
“Stavolta è proprio finita!…Senza scampo…!” – Pensava Sveva mentre, il giorno
seguente, a tarda sera, scaricava le ultime cose dal carrello, pieno di bozzi e quasi
sfondato per il grave peso!

Osvaldo se ne era andato, senza darle nemmeno un piccolo bacio su una guancia, nero
ed arruffato più che mai e sfatto dalla stanchezza.

Ed ella, mentre sistemava nel Club i trofei portati da Roma, trovò i versi adatti ad
ultimare la poesia che aveva cominciato a comporre durante il viaggio con Giovanna,
attraversando la meravigliosa campagna dell’Umbria.

Afferrò un fogliettino spiegazzato e si mise a scrivere, con la mano sinistra:


“Tornerò con medaglie, con onore, / e forse un grande vuoto / nelle tasche del cuore.”

XXX

Durante l’intero periodo in cui Sveva stette male, con la mano irrigidita dall’artrosi,
Osvaldo non si fece più vedere.

Invece, in una bella mattinata di sole, si rifece vivo il Lepre, con una cartella sotto
braccio, colma delle sue creazioni .
Fotocopie in bianco e nero, su cartoncini di cm. 35 x 50, che voleva commentare
insieme a lei, quel giorno piuttosto indaffarata a montare una mostra nella galleria.

Così, per assicurarsi il suo interessamento, Morty le offrì di pranzare con lui in un
posticino caratteristico verso le Apuane, dove, - disse – si potevano fare spuntini
eccezionali.

Lungo il percorso, fece una sosta in collina e volle che Sveva guardasse quel materiale
al quale egli teneva tanto, anche perché, - così affermava –avrebbe potuto valutare il
quoziente di intelligenza della donna…

Erano composizioni piuttosto interessanti, ancora prevalentemente erotiche o che


riguardavano il cibo; montagne di cibo, nei contenitori dei supermercati o nei piatti di
portata. E dolci, tanti dolci, adorni di canditi e ciliegine.

Sveva cercava di consigliarlo in maniera costruttiva, sull’uso degli spazi e


sull’opportunità di come e quando aggiungere il colore, che – ella pensava - , avrebbe
reso quelle immagini molto più efficaci.
Apprezzava soprattutto la novità di aver saputo ottenere effetti speciali, appoggiando
direttamente alcuni oggetti tra il vetro della macchina fotocopiatrice in movimento e il
foglio della carta da stampare.
Tipo fette di salame, pezzi di stoffa, cravatte, trinati o oddirittura , un’intera camicia con i
volants!…

Ed ecco che lui, ad un certo punto, tira fuori dalla cartella un’altro cartoncino
affermando: “Fino a questo momento mi hai detto delle cose da persona intelligente.

Ora, però, scommetto che questa cosa non la capirai,… non la potrai capire proprio.
Nessuno è riuscito a dirmi come ho ottenuto questi effetti particolari, quale oggetto ho
messo tra il foglio e la fotocopiatrice per avere questo tipo di striature chiare sul nero,
un nero però… che non viene dal nero… ma da un altro colore…a chiazze!…

Beh…io ti ho messo sulla strada…vediamo un po’ quanto sei intelligente!..”

E stava lì, a fissare la donna, ridacchiando.


Sveva osservava attentamente la fotocopia, girando e rigirando il cartoncino per vedere
bene la “cosa” da angolature diverse, pensando che egli avesse usato del materiale
grumoso, che però non poteva essere catrame con qualcos’altro dentro, perché il
catrame è già nero, ma un materiale appiccicoso…di un altro colore…

E disse, quasi subito e con indifferenza: “Per me, hai usato dei peli o dei capelli
appiccicati su qualcosa di raggrumato, magari rosso…” – E si interruppe, spaventata da
un’immagine che le stava passando improvvisamente per il capo…

Stava ricordando, con terrore, le mutilazioni del pube delle ragazze uccise dal mostro di
Firenze, a partire dagli eccidi del 1981...

Il Lepre che, nel frattempo era diventato paonazzo, le strappò quasi con violenza il
cartoncino di mano, fissandola in maniera molto strana…

“L’ho sempre pensato che tu fossi intelligente…l’ho sempre pensato!…”


E, velocemente, si rimise alla guida silenzioso, per un po’, meditando chissà cosa…

XXX

Dopo il pasto, durante il quale egli aveva mangiato e bevuto abbondantemente,


rimpinzandosi di cipolle crude sott’aceto , cibo che sembrava gradire più di ogni altro,
riprese a parlare, guidando lungo la strada del ritorno, raccontando le sue esperienze
con nuovi amici ed i suoi rapporti sessuali, strani e complicati, come sempre.

“Sai, a Z, in casa, mi vesto spesso da donna…Ho le scarpe “ballerine”e una camicia


tutta d’oro, proprio da puttana .
La mia amica Giulia, mi dipinge le labbra e mi appunta i fiori dietro le orecchie…

Però era molto ansioso…Dovendo orinare, prima di inoltrarsi nella boscaglia, prese da
un sacchetto che teneva in macchina uno dei suoi stivaletti multicolori, dicendo di aver
paura di “andare nel bosco da solo”.
Poi, da lontano, lo lanciò contro la macchina, cogliendo di sorpresa la donna che gridò:
“Sei proprio da legare!”

Lungo i tornanti della discesa dalle Apuane, continuò col dire:


“Il cibo mi piace soprattutto per i colori, particolarmente i dolci, che sono molto sensuali.
A me piace che le donne mangino molti dolci, che si rimpinzino di dolci…
La mia amica è ingrassata a furia di dolci. Glieli ho comprati io .
Li comprerò anche a te.

Però, non devi vestire in modo così banale e quel rossetto che metti non va bene. Te lo
comprerò io un rossetto, ma rosso…proprio rosso..non quel colore di merda che ti sei
data!

Così non sei sexi! Ti vedo troppo quieta. Tu non sei alienata. ..te ne stai lì, sorniona
come una leonessa…grande e tranquilla…Potresti essere anche una tigre…come la
mia amica… ma le tigri sono più feroci…

Tu sei una cosa di mezzo, forse una grossa gatta, ecco…una gattona…sì sì, proprio
una gattona…Però truccati…eh…truccati!

Sveva rifletté che anche Osvaldo, molte volte le aveva detto di non trovarla sexi , ma
perché era “troppo di tutto” .
“Sei troppo grassa, troppo allegra o troppo triste, vuoi le cose troppo grandi, fai troppo
da mangiare…” e così via…
Però lo diceva in maniera piuttosto offensiva…e non la chiamava “gattona”…

“Devi gettare questo vestito, non mi piace proprio!…”Continuava il Lepre sempre più
agitato….Infine, affacciandosi al finestrino, cominciò ad inveire verso i pedoni che, sul
ciglio della strada, tutta curve e in pendio, rallentavano l’andatura per lasciar passare la
macchina:
“Merda…stronzo…guarda che faccia di coglione…! Tutta questa gente anonima e
insignificante!..Io non sarò mai come loro…Anche tu devi essere diversa…! Per me
devono esistere solo i geni…solo i geni come me!….”
E Sveva era molto scocciata, anche se non glielo dava a vedere…

Tornarono a pomeriggio inoltrato, incrociando Osvaldo in macchina, che finse di non


vederli.

La donna cominciò subito a lavorare in galleria salendo e scendendo in continuazione la


scaletta a pioli mentre Morty, seduto in terra sulla mouquette a gambe divaricate, le
ripeteva all’infinito: “Ma come sei brava…ma come sei intelligente…Avrei proprio
bisogno di una come te, energica, volitiva..”

E in quella posa, con la voce cantilenante, pareva un bambinello stanco che ripetesse
tante volte, per castigo, il compito sbagliato a scuola.
CAP.VIII° - IL COLLARINO DI PLASTICA ROSA
Giugno 1984

“Andiamo a T a vedere la mostra?”

Il Lepre portava un collarino trasparente di plastica rosa, intorno al collo magro dal
pomo aguzzo.
Un semplice cerchietto, apparentemente senza giunture , che rendeva ancora più
fragile e delicato l’aspetto malsano del giovane.

“Ancora un segno della mia schiavitù!” – Esclamò rivolto a Sveva che subito pensò ad
un regalo di Giulia.

Era tornato da Z il giorno precedente e, come ogni volta che si accomiatava da Giulia,
sembrava uno di quegli stracci messi in bucato nella cenere, dopo essere stati sbattuti
bene bene sulla pietra dalle robuste lavandaie polpacciute che Sveva molte volte aveva
visto all’opera, durante gli anni dell’infanzia.

Stracci che uscivano dalla conca azzurrognoli e consunti, trasparenti contro la luce,
com’era trasparente per la donna l’anima del Lepre, anche se quel giorno non si
leggeva attraverso gli occhi slavati e spenti dell’artista.

E andarono, nel sole del meriggio di giugno, con la gente che si riversava sulle spiagge,
tra il verde rigoglioso dei viali alberati, fiancheggiati dalle tamerici e odorosi di mare.

Già le donne scoprivano i seni, sdraiate sopra gli scogli e i fanciulli sguazzavano
intorno, lucidi d’acqua; snelli e perfetti, piccoli Dèi marini, ridenti e vogliosi.

Il Lepre osservava e commentava, però con tono assente e distaccato, dissertando


sulle “tette delle mamme” e sulle forme acerbe delle fanciulle.
“Sai, avevo sperato che Giulia mi facesse sposare sua figlia, così avremmo potuto fare
una bella ammucchiata!…Mi piacerebbe avere una figlia da chiavare insieme alla
madre; altrimenti , per me, non avrebbe alcun significato mettere al mondo creature di
sesso femminile.”

“Al massimo, potrei desiderare di farmi un figlio, intelligente e bello come sono io,
magari con l’inseminazione artificiale o la clonazione.
Che odio il concepimento naturale, l’avrai capito, noh!?…”
E parlando, fissava con i grandi occhi spenti Sveva, intenta a guidare, accennandole
ogni tanto con le labbra pallide, ben disegnate, dei piccoli baci distratti.

“Cosa ne dici Gattona…eh…cosa ne dici?…Se non fosse per te non verrei davvero fra
questa gente borghese e merdosa che affolla le strade di domenica per andare a
pisciare in mare!…Vorrei essere in montagna, fra la neve, a battere i denti!…Vorrei
avere un mitra e stendere per terra tutte queste persone inutili!”

Sveva ascoltava pensosa, senza rispondere; poi, alla fine, sbottò:


“Sei sicuro che tutto questo odio, in particolare rivolto alle “donne”, non derivi dal fatto
che la tua Giulia non ha voluto darti quel figlio che avevate concepito, adducendo a
pretesto la “necessità” per un “artista come te” di essere libero come l’aria, per poter
avere ogni sorta di esperienze e provare qualsiasi emozione?

Sei ben sicuro che non amerai mai più una qualsiasi femmina normale, per colpa di
quella maledetta, sadica vacca?”

“Eh..come t’incazzi!…Giulia non è assolutamente una vacca ma una donna intelligente


e moderna che è pazza di me!
Perché, Gattona?…Sei forse gelosa? …Vorresti farmelo tu, un figlio?”

Sveva, stavolta, ritenne opportuno tagliare l’argomento e, pensando: “Per amor di


Dio!…” – aggiunse soltanto:
“Non credo che potrei; fortunatamente ho già i “miei figli” e credo che mi guarderei bene
dal mettere al mondo altre creature, con i tempi che corrono!”

XXX

Dopo aver visitato la mostra, il Lepre volle andare a passeggio su e giù per la piazza,
fermandosi ogni tanto per rimirarsi nelle vetrine, per sbirciare giovanottoni negri aitanti e
pieni di muscoli che leccavano coni gelati e per esprimere desideri davanti ai banchetti
di souvenir e cianfrusaglie, allungando il collo, speranzoso alla vista dei frustini di cuoio
e delle cinture ricoperte di borchie metalliche.

“Quand’è che ti decidi a comprare una frusta per pestarmi un po’ ? …O una bella
catena da mettermi come collare per trascinarmi in giro al guinzaglio?
Ti ostini ad essere dolce con me e così non mi aiuti proprio!…Pure, Gattona, lo sai che
sono un maschio tutto particolare e mi sento attratto solo dalle cose strane?
Ecco, vedi? …Dovresti essere come quelle!…”
Aveva voltato il capo verso una gallerista piuttosto nota che, a bordo di una rombante
motocicletta, ostentava sotto i capelli biondastri tagliati a uomo, occhialoni di specchio
ed un viso grinzoso, color caffè-latte.

I seni appiattiti sotto una maglietta da marinaio ed i jeans scoloriti che a stento
contenevano l’abbondante pancia; stava facendo la ruota intorno ad una sua collega,
completamente in blu, in tailleur pantalone dal taglio nettamente maschile.

Sveva, per l’occasione, aveva indossato una tunica lunga con spacchi, molto colorata,
che richiamava gli abiti delle donne asiatiche e si sentiva intorno al collo i grani asciutti
e rassicuranti di una collana fatta di caldi semi tropicali; di conseguenza indirizzò alla
volta del Lepre un’occhiata fra lo scocciato e il compassionevole!

“Andiamo piuttosto a mangiarci un gelato, dai!…”

“Voglio il verde, il rosa e l’azzurro!” Intimò il Lepre molto deciso alla ragazza in camice
bianco che guardava incuriosita quel personaggio da cartone a fumetti, una via di
mezzo tra un robot e un animale selvatico, infilato a forza dentro una guaina di pelle
nera.

“Non ti piacerà!” L’ammonì Sveva.


“Ma sono belli i colori!”

Il Lepre, dopo il primo assaggio, faceva le boccacce.


Come previsto, un attimo dopo attingeva con la sua paletta dal cono di Sveva la
stracciatella e lo zabaione

“Sai, Gattona, ci stanno guardando tutti!”…E sembrava quasi felice!


“Sfido io…dove li raccolgono due fichi così, in un colpo solo!?…”

XXX

Il sole stava tramontando, mentre i due tornavano verso casa.


Sulla sinistra della strada, da un campo di rifiuti, pezzi di specchio riflettevano dardi
rossastri, illuminando cumuli di rottami ed oggetti sporchi.

“Mi fai fermare?…Mi fai andare a spaccare qualcosa?”


Chiese il Lepre e scese d’impeto spalancando con violenza lo sportello.
I suoi occhi avevano acquistato tutt’a un tratto vivacità.
A passo spedito, con quella particolare andatura caracollante, corse ad agguantare il
sasso più grosso che riuscì a sollevare da terra e cominciò a lanciarlo contro ogni
oggetto che potesse spaccarsi ancor di più di quanto non lo fosse già.

E volarono schegge di vetro, spezzoni di gabinetti, tubi di lavandini, tacchi di scarpe,


teste di bambolotti…

Ad ogni centro, ad ogni bersaglio colpito, il Lepre si girava verso Sveva che era rimasta
seduta in macchina ad osservare quella pazza pantomima, allargando le braccia nel
gesto trionfale degli acrobati dei circhi equestri che, dopo aver eseguito un triplo salto
mortale, chiedono l’applauso del pubblico sotto shok, allargandosi dietro le spalle le ali
dei mantelli carichi di lustrini.

Ma Sveva non applaudiva; aveva i raggi del tramonto negli occhi che si erano riempiti di
lacrime. Non poteva applaudire all’angoscia che cresceva in lei ogni volta che il Lepre
dava sfogo alla sua nascosta violenza.

Seppe appena sorridere: un sorriso tirato e poco convinto.


Poi, asciugatesi le guance con il dorso della mano, scese, si avvicinò al Lepre e ordinò
in tono calmo ed affettuoso: “Andiamo… andiamo lupacchiotto, ché è tardi!”

XXX

Morty, come ogni volta che si lasciava andare ad un eccesso di violenza, sembrava
sfinito e se ne andò dicendo che voleva andare a letto presto, lasciando il collarino, tolto
per risciacquarsi viso e collo, sopra in tavolo del Club.

Il mattino seguente, Sveva, prendendolo in mano per osservarlo da vicino, fu tentata di


nasconderlo :
“Non gli renderò questo aggeggio vergognoso..” – Pensava – “Tanto, ci scommetto, non
ricorderà neppure dove lo ha lasciato!”

Lo ripose in un cassetto e non ci pensava già più quando, al pomeriggio, lo squillo del
telefono annunciò una mezza tragedia.

La Mamtide chiedeva, con la voce rotta dall’angoscia, se il figlio avesse lasciato lì il


cerchietto rosa.

“Mi ha fatto impazzire...mi ha accusato di averglielo nascosto!...Per favore, rendiglielo


quando viene da te!...Ha costretto suo padre a girare insieme a lui tutte le bigiotterie
della passeggiata per vedere di trovarne un altro uguale!”

A Sveva venne proprio da ridere, ma si trattenne: “Va bene…va bene!”

A sera, Morty arrivò col muso lungo ed ella non gli accennò del collare.
Voleva verificare le sue reazioni.
Egli aveva promesso di accompagnarla a teatro ma ora sembrava non averne più
l’intenzione.

La donna si mostrò accomodante: “Se non ti va, potremmo fare un giro, dove vuoi tu…”
“Non mi va di andare in giro...non mi va di guidare...mi va di non fare niente di niente!!”
“Allora, come mai sei qui?”
“Non mi andava di stare in casa.”

Sveva però si spazientì e alla fine lui sembrò decidersi per la prosa.
Ma era nervosissimo e lei, pensando che lo fosse ancora per il collarino, provò a tirarlo
fuori da dove lo aveva riposto.

“O questo?!...Me lo avevi nascosto tu!?...” - Strillò il Lepre con gli occhi fuori dalle orbite.
“Volevo metterlo alla mia gatta ma non le è piaciuto!”
La donna rideva. Le pupille di Morty, invece, scintillavano di rabbia.

“Porca puttana!” – imprecò – “Ho girato tutto il giorno per trovarne uno uguale!
Due rotte in culo di commesse me ne hanno rifilato uno che non va bene...quelle
troie!...E poi mi sfottevano...quando hanno saputo che volevo acquistarlo per me!...Per
colpa tua ho speso diecimila lire e ora dovrei anche accompagnarti a teatro?!”

“Ti prego di farla finita!” – Esclamò duramente Sveva. Non le piaceva la situazione e
cominciava a non sopportare più né Morty né sua madre e, meno che mai, gradiva
bestemmie e imprecazioni.

Mise fuori due fogli da diecimila e li sbatté sul tavolo: “Tieni!..Con questi pagaci
l’ingresso e smettila con tutte le tue stronzate!!”.

Il Lepre, per un po’, fece finta di non accettare i soldi; ma visto che la donna insisteva, li
intascò.

“Non ha un briciolo di dignità!” – pensava Sveva mentre, più tardi, egli disturbava lo
spettacolo all’aperto sussurrando cretinerie.
Ed ancor più ella si convinceva di quanto potesse essere dura la lotta se si fosse fatta
commuovere dalle insistenze della Mamtide che, ora, le telefonava quasi
quotidianamente, tentando di affibbiarle la responsabilità di organizzare qualcosa per il
figlio!
CAP. IX° - I DUBBI DI SVEVA
Giugno 1984

Ogni volta che Morty si recava al Club, Sveva lo trovava sempre più tirato, eccitato e
violento. Parlando, scarabocchiava tutti i bigliettini che trovava sui tavoli.

Disegnava, con tratti duri e pigiati, frecce, coltelli, saette, ganci sanguinanti, poppe e
falli, alati o senza le ali ma sempre gocciolanti .
E figure androgine, con natiche enormi e volti baffuti.

“Mi piacerebbe arruolarmi nella Legione Straniera!…La mia vocazione sarebbe quella di
sparare a zero su questa fetente umanità!…Vorrei essere come un robot…cibarmi di
pillole e fare il sesso solo artificialmente, in barba alle donne porche e stronze!”

“Che sia davvero lui il Mostro? – Si chiedeva spesso Sveva.


Poi, subito dopo, cercava di convincersi del contrario.

Intanto, però, invece di buttare via i disegnini del Lepre, li raccoglieva in un cassetto e
andava a ricercare vecchi giornali che riportassero notizie sugli eccidi delle coppiette.

Stranamente, Sveva aveva conosciuto Morty nei giorni immediatamente seguenti


all’uccisione dei due tedeschi (trucidati tra il 9 e il 10 settembre del ‘83 nella zona del
Galluzzo), ed egli aveva raccontato di essere appena rientrato dalla Germania, dopo
essersi fermato un paio di giorni in un albergo nei pressi di Firenze.

Per “lavorare” -diceva- ad un puzzle di immagini oscene (vedi il I° Cap. di questo


racconto), insieme alla sadica Giulia che lo torturava mentre lui dipingeva, per fargli
raggiungere “risultati più veritieri”.

Inoltre, un giorno Sveva gli aveva chiesto se possedesse una pistola, dato che si
dichiarava campione di tiro al bersaglio. Ed egli aveva risposto di averla ma di tenerla
“da un’altra parte”.

Erano piccole cose ma, sommate alla smania crescente del giovane che confessava di
comprare riviste sado-maso allo scopo di eccitarsi e di masturbarsi davanti ai suoi
dipinti, dato che , per lavorare, aveva bisogno di sentirsi sempre “in tiro”, mettevano
Sveva in un perenne stato di angoscia.

Sapeva anche che il Lepre doveva conoscere bene le campagne intorno a Firenze
avendo trascorso molte estati della sua infanzia e della fanciullezza, in una casa
colonica nella zona di Vinci, dove abitava una sua zia paterna.

Là egli scorrazzava per i campi, appiccando il fuoco alle stoppie, solo per il gusto di
sentirsi braccato dalle forche dei contadini adirati.
O si arrampicava sulle collinette sassose, dalle quali lanciava o faceva rotolare grossi
sassi in direzione degli amici del padre, che egli diceva di odiare.

Le stesse campagne e quelle dei dintorni, le aveva poi percorse in motocicletta, qualche
anno più tardi, compiendo pazze gimcane e procurandosi anche un grave incidente,
sulla via di Vaiana.

Infatti, quella sua andatura caracollante, era dovuta ad una placca di accaio, inseritagli
in un ginocchio, proprio a causa di questa caduta.

Un altro scempio, il Mostro lo aveva compiuto nei pressi di Montecatini, ed anche là


Morty avrebbe potuto avere un aggancio, dato che vi abitava la sua modella di nome
Elisabetta.
Lui la chiamava “porca”, perché gli posava nuda “per eccitarlo” senza mai concedergli
qualcosa in più ma facendogli intravedere “paradisi proibiti”.

Così che, dopo, era solito vagare da solo qua e là nella notte, per scaricare in qualche
modo la tensione nervosa.

Sveva aveva riletto questi racconti del Lepre nelle sue creazioni grafiche e pittoriche,
dove ritrovava le tappe delle sue tormentate vicende giovanili che egli, evidentemente,
non riusciva a dimenticare ed annullare.

Tentava soltanto di distorcerne il senso applicando sopra quelle immagini di sesso e di


violenza, cuoricini rossi dedicati alla madre (Mamma, ti amo!) oppure icone sacre come
la Madonna o il Cuor di Gesù ( A Gesù , per Maria! ).

La donna credeva di capire che il Lepre non sarebbe uscito da questo stato di
alterazione mentale e fisica se avesse continuato a bazzicare l’ambiente di Giulia, la
quale aveva anche un’amica dedita alla magia nera; e se non avesse smesso di andare
a cercarsi le peggiori depravazioni, per ricavarne sensazioni da trasmettere agli altri.

Pensava sgomenta ai giovani studenti che a Z frequentavano le classi di Morty e di


Giulia..
Cosa avrebbero potuto donare, questi due “insegnanti”alle loro limpide intelligenze?
Con quanti impulsi negativi avrebbero guastato questi germogli di una nuova
generazione, ai quali sarebbero poi state affidate le sorti di un comune futuro?

Possibile che non ci fosse un modo per interessare il Lepre ad altre cose? Come
aiutarlo a venire fuori da questo liquame?

XXX

La sera seguente, la luna era già alta quando Morty volle portare Sveva sulla
passeggiata a mare. Lei era in nero, e la lunga gonna plissettata svolazzava lievemente
alla brezza.
Egli portava ancora il collarino rosa e se lo rigirava intorno al collo, imprecando perché
si era allargato.

“Se lo perdessi, quando tornerò a Z, Giulia mi punirà duramente” – diceva.

Era irritabile e bizzoso e sembrava tollerare appena la presenza della donna che si
sentiva a disagio.

Il Lepre guardava con ostilità le giovani coppie che si sbaciucchiavano, sedute sul
muretto di marmo bianco. – “Quei maledetti!…Si amano!!…Io non sopporto l’amore,
non sopporto i giovani che si baciano! Mi danno il voltastomaco..li odio!!”
Alzava la voce e si dimenava come un tarantolato.

“Le uniche donne che fanno per me sono le sadiche e le stronze!.. Non ti ho già detto
che posso sopportare solo le zitelle o le vedove, perfide e bigotte!?”

“Allora, dovrei per caso ringraziarti per essere qui con me?…Dovrei forse essere felice,
quando mi dimostri un certo interesse?”

“Che c’entra…che c’entra?… Cosa c’entri tu?” – Rispondeva lui, continuando a rigirare
il cerchietto.

“Sai..se dovessi andare con una ragazzina, il mondo per me potrebbe finire!…Non ce la
farei proprio a sverginarla!…Al massimo, potrei infilarle un tralcio di vite!”

Nell’udire queste parole, Sveva cominciò a tremare e pregò, tutta un brivido:


“Andiamo!?…Comincia a fare freddo!”
Ma lui, di rimando: “Ho fame!.. Andiamo prima a mangiare una pizza!”
I locali del lungomare stavano chiudendo. A Marina trovarono una pizzeria dove già
lavavano il pavimento, così si sedettero fuori, all’aperto.

La luce delle lampade al neon, unita a quella della luna piena, mandava luminescenze
giallastre sulla pelle dei due

“Però” – disse il Lepre osservandola – “Lo sai che sei proprio il mio tipo?…Tutta in nero,
con i capelli così chiari e con la pelle color cadavere…la permanente…la bocca
rossa…sì…Sì!… Mi piaci proprio!”
E Sveva quasi svenne, spaventatissima e sentendosi protagonista di un film dell’orrore!

“Pazzo!…Sei completamente pazzo!… Andiamocene!”E si alzò barcollando, senza più


trovare il coraggio di guardarlo in viso.

XXX

Dopo alcuni giorni, il Lepre si rifece vivo e arrivò con un lavoro piuttosto bello.
Si era impegnato ed ora, sotto le luci della galleria del Club, i colori del quadro
splendevano come una bandiera di speranza ritagliata nell’arcobaleno.

Sveva era soddisfatta ed emozionata. Forse la sua pazienza e il suo affetto


cominciavano a dare qualche frutto.

C’era anche la Mamtide, che scuoteva i riccioletti neri a cavatappi, ai lati del viso. Si
pettinava così, con due ricciolini che lasciava fuori dal ciuffetto, portato alto, sulla
sommità del capo.

“Perché non lo appendi?…Perché non lo appendi?…” – Insisteva riferendosi al quadro


del figlio.
“Certo…certo…lo appendiamo subito!” – E Sveva trovò uno spazio sulla parete.

Il dipinto era dedicato all’infanzia e, anche se fortemente drammatico, almeno non


presentava immagini oscene o nauseanti.

Il Lepre rideva contento, sporgendo i dentini:


”Sei il mio angelo custode, sei proprio il mio angelo! Con te io potrei fare grandi cose…
ma mi devi aiutare…mi devi aiutare!..:”
“Ti sto aiutando, mi pare…”

“Ma perché non gli organizza una mostra?..Perché non lo presenta a qualche critico?”
Continuava a chiedere la Mamtide.

“La faremo…la faremo!” – E in quel momento, Sveva forse sperava davvero che la
personale del Prof. Morty si potesse fare.

“Ti andrebbe bene nel periodo natalizio?…Guarda che , se prendi l’impegno, dovrai
lavorare sodo!..”
“Sì sì…Sì sì…” –Annuiva il Lepre mandando il gozzo su e giù.
Gli occhi azzurri, questa volta brillavano di gioia.

“Oggi mi sembri un falchetto, un falchetto con gli occhi celesti…Ti chiamerò Falchetto
Fiordaliso!”- Disse Sveva ridendo.

E così, dopo averlo soprannominato prima “il Condor” e poi “il Lepre”, con quel nuovo
allegro nomignolo che aveva trovato per Morty, inconsciamente ella aveva segnato
l’inizio di tutti gli altri suoi incredibili, futuri malanni.
CAP. X° - LA VENDETTA E LA CONSAPEVOLEZZA
Estate 1984 - ( Con particolare riferimento al 29 luglio)

Osvaldo andò a trovare Sveva facendole capire di averla vista in giro con “quell’altro”e
l’avvertì: “Cerca di non venire al mio studio, la sera, perché i miei amici devono ospitare
gente, e ci sta che qualcuno di loro si fermi a dormire lì!”

Poi, forse per sua maggior sicurezza, riprese a fare frequenti brevi visite al Club,
sempre piuttosto tardi, per accertarsi che ella non uscisse e gli piombasse
improvvisamente fra i piedi!

Ogni volta cercava di attaccare briga incolpando la donna di cose immaginarie e


dicendosi certo che ella avesse ripreso ad incontrarsi segretamente con il Lepre.
Ed alle proteste di lei, ribatteva sempre: “Fai come ti pare!…Basta che tu non venga a
rompermi le palle!”

Sveva immaginò che tutto quel via vai avesse invece lo scopo di voler nascondere una
nuova relazione di Osvaldo e, finalmente, scoprì l’arcano.

Una giovane tedesca, da lui conosciuta durante un viaggio in Germania, era giunta
all’improvviso ed egli se la teneva allo studio.
Inoltre l’accompagnava in giro e nei locali da ballo, sacrificando tempo e denaro e, per
di più, cercando di menare per il naso la povera Sveva che, a furia di tirare il carro, si
sentiva tanto mula bastonata, altro che leonessa o gattona!

Così, una sera, dopo l’ennesima visita di lui che aveva detto di voler andare a letto
presto, ella, decisa a ripagarsi di tutte le umiliazioni subite ultimamente a causa del
sarcasmo pungente e dell’indifferenza dell’amato, saltò in macchina e si diresse verso
lo studio che da tempo gli era stato precluso.

Era molto tardi e, da lontano, ella aveva già notato la luce accesa sul terrazzino.
Nel cortile, era parcheggiato soltanto un Maggiolino giallo, con la targa straniera.
La macchina di Osvaldo era nascosta accuratamente dietro un angolo , in modo da non
poter essere vista né dalla strada, né dalla corticella.

Sveva era andata a frenare bruscamente proprio là dietro, ed ora la sua macchina
avrebbe precluso la fuga all’uomo se, come altre volte aveva fatto, si fosse calato giù
aggrappandosi ad una canala sul retro dello stabile.
Un attimo dopo la frenata, si erano spente tutte le luci…
La donna scese dall’auto e dentro aveva la tempesta ma si sentiva la grinta adatta ad
affrontare la situazione.

Salì la scala esterna e si attaccò al campanello; ma Osvaldo, evidentemente, era in


difficoltà e nessuno rispose.
Dopo aver insistito a lungo, Sveva, determinata e caparbia, andò a raccogliere un
manico di scopa e cominciò a menare botte da orbi sul tettino della macchina dell’amico
(per modo di dire) .

Ancora niente! Allora raccolse bottigliette vuote e sassi e cominciò a lanciarli contro i
vetri delle finestre dello studio. Non le importava se i vicini si sarebbero destati.
Voleva smascherare a tutti i costi quel fetente fottuto!

Niente di niente. Ricordò di avere in macchina un grosso cacciavite e si mise a cercarlo,


tremando per l’ira.
Frattanto, alcuni cani randagi si erano radunati lì intorno ed ella aveva una paura blu!
Ma nemmeno quello la fece desistere da ciò che si era prefissa di fare.

Con il cacciavite, menando fendenti con tutta la forza che aveva, dapprima fece fuori
due copertoni della macchina di Osvaldo, poi fu la volta del Maggiolino!

Ma, ahimè… le gomme di quello erano resistenti e durissime! Però non si perse
d’animo.

E mentre raddoppiava lo sforzo, le tornavano alla mente tutti gli orrori compiuti dai
soldati tedeschi, che aveva visto o sentito raccontare durante la guerra, quando era
piccola.
Ed i fendenti dati con la baionetta da uno di quei soldati nel materasso del letto dei
genitori, per cercare il papà che era fuggito nella boscaglia… ed i morti di Pioppetti,
appesi per il collo col filo spinato…e…

“Maledetti i tedeschi ! Maledetti..” – Masticava fra di sé, con i crampi allo stomaco ed i
nervi delle braccia tesi fino allo spasimo!

Ma nemmeno dopo quell’ultimo scempio, Osvaldo si era fatto vedere!

Allora ella adottò una nuova tattica e finse di andarsene. Invece, spostata la macchina
per alcuni metri, fece silenziosamente marcia indietro e si appostò a fari spenti, nel
buio.
XXX

Osvaldo sbucò dal retro. Era sceso dalla canala ed era tutto arruffato, con la camicia
fuori dai calzoni e stava esaminando la macchina della tedesca, imprecando a bassa
voce.

Fu solo mentre guardava la propria che si accorse di Sveva, la quale aveva riacceso i
fari ed il motore e fingeva di volerlo investire…

Aveva perduto la grinta e sembrava molto abbattuto!


“Fermati!” – gridò – “Ti devo parlare!”

Ma ella non abboccò ed arretrò a tre metri di distanza e, mentre Osvaldo cercava di
avvicinarsi, arretrò ancora di più.

“Come faccio, ora, ad andare a casa?…Dai…fammi salire!”


Aveva in piedi un paio di zoccoli…un po’ consumati!

Sveva lo fissava in silenzio, con la faccia decisa e crudele.


Ed egli si avviò, piano piano, fermandosi ogni qualche metro per voltarsi verso di lei,
che lo seguiva a distanza e rallentava, finché lui non riprendeva a camminare.

E si fece a piedi tutta la lunga strada per rientrare in città ed ancora tutto il tragitto per
arrivare al quartiere periferico dove abitavano i suoi familiari, serenamente immersi nel
sonno…

“Porco fetente!…Lurido bugiardo zozzo!…” – Gli gridava ogni tanto Sveva dal finestrino.
”Ti insegno io a menarmi per il naso…e non è ancora finita!”

Infatti, un chilometro prima della casa di Osvaldo, mentre egli, a testa bassa, continuava
a portare quella croce che doveva pesargli assai, se ancora ogni tanto si voltava per
supplicarla di farlo salire, Sveva si fermò ad un telefono pubblico e, destati dal sonno i
familiari del “porco fetente”, li informò senza alcuna pietà dell’accaduto; avvisandoli che
da quel momento, ella non avrebbe più, per nessun motivo, continuato a frequentarlo,
né come persona, né come manager.

Poi rientrò al Club con la morte nel cuore, ma convinta di aver agito nell’unico modo che
avrebbe impedito definitivamente ogni probabile tentativo di riavvicinamento fra di loro,
da parte di ambedue.
Infatti, il giorno seguente, quando alzato il ricevitore del telefono che squillava, udì un
“merda!” piuttosto convinto, ebbe la forza di riabbassare immediatamente il braccio ed
interrompere la comunicazione.

XXX

Il Lepre non si fece vedere per un po’, contrariamente a quanto aveva promesso.
Faceva brevi saluti per telefono, dicendo di lavorare.

La madre, invece, telefonava a lungo e spesso, per raccontare che egli era
nervosissimo, smaniava per il caldo e aveva dato più volte in escandescenze, anche
per strada.

“Vorrei che lei lo convincesse ad andare al mare…Perché non ce lo accompagna lei?


Vorrei che lei lo invitasse a cena…ecc..ecc..”

Sveva, che mai si sarebbe sognata di invitare Morty né a cena né, tanto meno, ad
andare al mare insieme, era molto imbarazzata per queste continue richieste della
Mamtide e si chiedeva se l’insistente donnina l’avesse presa per una con voglie
represse da soddisfare, tanto da essere disposta a cercarsi i giovincelli e magari pagarli
anche, per le proprie prestazioni!

Poi, la vicinanza del Lepre, specialmente dopo gli ultimi dubbi che si erano insinuati in
lei, ne avrebbe sconvolto, in qualche modo, l’equilibrio.

Particolarmente ora, che tanto a fatica cercava di rimanere serena, da quando si era
imposta di non incontrarsi più con Osvaldo.

Era sempre molto impegnata con il lavoro, ma gli affari non andavano per il verso giusto
ed ella aveva tanto bisogno di sicurezze e tranquillità, dato che anche la salute
cominciava a darle preoccupazioni.

Non poteva più contare su aiuti dall’esterno ma solo ed unicamente su di sé.


Le ultime disavventure, le avevano dato l’esatta visione di quanto sarebbe potuto
accaderle se si fosse nuovamente affidata ad altri!

XXX

Intanto, aveva organizzato con l’Ente Pubblico, un convegno nazionale di poesia;


poeti che sarebbero arrivati da tutta l’Italia, con la ricompensa di premi per tutti i
partecipanti!

Una manifestazione che, pertanto, aveva creato alla donna problemi a non finire,
essendo sempre lei quella che avrebbe dovuto occuparsi di ogni cosa, anche del
reperimento degli “omaggi” da ottenere gratuitamente dalle ditte e dai negozi
del luogo.

Era di domenica, il 29 luglio 1984.

Un grande striscione dipinto dal figlio minore di Sveva, spiccava sotto il podio dove ella,
coadiuvata dallo speaker di una Radio locale, accoglieva i partecipanti al convegno
dando loro il benvenuto.

Quando il Lepre e la Mamtide fecero il loro ingresso nella grande sala, molte furono le
teste che si girarono dalla loro parte.
Indubbiamente, facevano sensazione!

La madre quel giorno indossava un abito lungo di tela indiana, a colori vivaci e lui,
pantaloni neri stracarichi di cerniere e di fibbie ed una camicia bianca, con il pettorale
guarnito da tramezzi di pizzo sangallo.

Invece del collarino, questa volta si era messo intorno al colletto della camicia un lungo
nastrino di velluto nero, legato a fiocco.

Sotto la stoffa leggera, i muscoli delle braccia, tesi, guizzavano come anguille e la testa,
unta come sempre, luccicava alla luce del sole, che entrava a fiotti dai finestroni
spalancati.

La Mamtide, prima corse a congratularsi con Sveva, poi si collocò accanto al figlio, in
una fila a metà della sala.

Mentre Sveva parlava sul podio e consegnava i premi ai poeti, il Lepre le faceva le
boccacce, strizzando l’occhio e le ammiccava baci, sporgendo le labbra.

Prima che la manifestazione finisse, la donna andò a sedersi un momento vicino alla
Mamtide, per chiedere a Morty come si sentiva. Ma non fu lui a rispondere, bensì la
mamma che approfittò subito della situazione per annunciare in tono solenne:
“Mio figlio vorrebbe invitarla a cena!”

“Perché me lo chiede lei? Suo figlio non ha la lingua? Pure vedo che, per fare le
boccacce, la usa molto bene!”
Il Lepre stava zitto.

“Sa com’è…è timido!…Vorrebbe farsi perdonare la lontananza di tutti questi giorni!”

“Non posso. Lo vede che stasera ho troppo da fare!..” – Rispose Sveva duramente.
“Ma non stasera!…Stasera io non ci sono!…” – Intervenne finalmente il figlio.
“Dove vai?”
“Via..” – Egli rispose evasivamente
“Allora domani sera!…” – Insisteva la madre.

Sveva non disse né sì né no. Dal momento che “l’amicizia” si era molto allentata,
sarebbe stato meglio mantenere le distanze.

XXX

La sera dopo, verso l’ora di cena, di nuovo la Mamtide al telefono:


“Mio figlio si scusa con lei, ma ha dovuto accompagnare fuori alcuni amici arrivati
improvvisamente!”

Sveva capì che erano menzogne, ma rispose “Meglio così…”

Al mattino del martedì, di nuovo la Mamtide:


“Mi deve scusare, ma ieri sera non potevo parlare di fronte a mio figlio…Non è vero che
aveva degli amici!…Mi ha fatto impazzire!…” – E piangeva.

“Sono distrutta…Ha voluto accompagnarmi in pineta, ieri pomeriggio e mi ha detto delle


cose orrende!
A me…a sua madre!…
E la sera si è messo di traverso sul mio letto, impedendomi di andare a dormire! Io ho
paura di mio figlio!…Ho sempre avuto paura…Mi ha terrorizzato!…Lei non ha paura?
…E’ l’unica a non avere paura …

Dice che questo ambiente non fa per lui e vuole partire con Giulia!”

“A che ora è rientrato, domenica sera?”- Chiese Sveva che aveva proprio sotto gli occhi
il giornale, aperto sulla cronaca del nuovo, orrendo delitto del Mostro, scoperto il giorno
avanti a Vicchio, nel Mugello, dove il Lepre aveva raccontato di essersi recato con il
padre, poco tempo prima, a visitare la casa di Giotto.
“Non troppo tardi…forse verso mezzanotte…” – Rispose evasivamente la Mamtide.
“Cosa le ha detto, precisamente, in pineta? – Cercò di indagare Sveva.

“Uh…cose orrende…cose orrende…cose da non dire mai ad una madre…” – E


piangeva di nuovo… “Mi faccia la gentilezza, gli telefoni lei…lo inviti lei…”

“Non posso…è più forte di me…” – Rispose Sveva scocciata.


E invece telefonò, non per invitarlo ma per sapere…

“Non avrai creduto a mia madre…” – Disse egli con tono malvagio…”quando ti ha
inventato che avevo degli amici da portare fuori! Mia madre fa delle stronzate…perché
non ha il coraggio di dire la verità!…Io sono arcistufo di stare in questo posto che non
mi offre quello che voglio, con gente che non mi capisce!…”

Però, rispose alle domande della donna con altre domande:


“Cosa ti frega di dove vado e di quello che faccio?…Sei per caso
gelosa?…Eh…figona…sei gelosa?
CAP. XI° - IL NUOVO ECCIDIO DEL MOSTRO
Fine luglio e agosto 1984

Sveva era rimasta senza una lira. Gli ultimi denari se n’ erano andati per organizzare il
Festival di Poesia, anche se, col tempo, le sarebbero rientrati.
Gli Enti Pubblici sono lenti, nelle liquidazioni dei contributi!

Il martedì 31, al Club non c’era niente da mangiare, fuorché un paio di chili di patate!
Comunque, quel giorno, la preoccupazione maggiore di Sveva, era quella di trovare il
bandolo di un groviglio di sospetti che dal primo mattino le avevano affollato la mente,
dopo aver letto degli omicidi di Pia Rontini e di Claudio Stefanacci, i due giovani
fidanzatini di Vicchio, nel Mugello.

Erano le 19, ed ancora si rigirava in mano La Nazione, rileggendo per l’ennesima volta
le varie cronache dell’accaduto, quando arrivò il Lepre, non atteso ma tutto pimpante!

“Uh…uh…uh.. Sveva che legge il giornale!. Uh…uh…”Sghignazzava con


la faccia cattiva!
“Come la mettiamo se ti dico che io, senza aver letto i giornali, ti posso raccontare con
esattezza tutto quello che c’è scritto?”

La donna, sentendosi arrossire, fece finta di non aver capito e ripiegò il quotidiano
mettendolo da una parte.

“Sono venuto a dirti che parto! Me ne vado con i miei amici di Z a fare una gita
nell’Est…Vado via domani!”

Sveva si sentì gelare: aveva già notato le coincidenze degli arrivi e delle partenze
improvvise di Morty con i tempi dei vari eccidi del Mostro e questa volta, in modo
particolare, aveva la conferma delle sue supposizioni.

Era andata a ricercare le cronache dei fatti accaduti negli anni precedenti e si era
accorta
che i mesi preferiti dal mostro per colpire, erano il giugno, il luglio ed il settembre, cioè
dopo la fine delle scuole ed immediatamente prima dell’inizio del nuovo anno scolastico.

C’era stata stranamente un’eccezione: nel 1981.


Il secondo eccidio non era stato commesso in settembre ma in ottobre.
E Morty, era arrivato dall’America proprio in quel mese; e in ottobre era ancora a casa,
qui in città, pronto a ripartire per Z, dopo aver cambiato anche il proprio “look”,
rasandosi la barba, i baffi alla Mefistofele ed i capelli, che fino ad allora aveva portato
piuttosto lunghi.

I giornali poi , avevano già messo in risalto una notizia riguardante anche i proiettili della
pistola usata dal Mostro, che in Italia non erano più in commercio, dicendo che si
potevano acquistare soltanto in America e dichiarando che quelli usati per gli ultimi
delitti risultavano“diversi”, più nuovi di quelli usati in precedenza, piuttosto rugginosi.

Quale migliore occasione sarebbe stato il viaggio di Giulia e del Lepre, durato due mesi,
(agosto e settembre 1981), per rifornirsi di questi proiettili?

Altri omicidi anomali, che si potevano però considerare in qualche modo “simili”
per alcuni particolari a quelli del Mostro, erano stati compiuti in circostanze a dir poco
strane

E Sveva ripensava alla professoressa fiorentina Adele Barsi Arena, uccisa a coltellate in
Valdaosta di recente, esattamente il 19 luglio scorso, quando il Lepre era tornato per un
paio di giorni su in alta Italia.

Erano ancora fresche le dichiarazioni di lui, quando aveva raccontato di aver conosciuto
durante il viaggio in Danimarca una “professoressa di Firenze, con gli occhiali”, che gli
era piaciuta molto. E la Val d’Aosta era una meta “solita” per i “ritiri” vacanzieri di Morty
e di Giulia, sia in inverno che in estate.

Poi, per di più, il tarlo di Sveva le suggeriva un altro particolare: perché dopo un viaggio
in Danimarca, uccidere, questa volta, una ragazza di madre danese, con i parenti in
Danimarca?
E magari c’era la probabilità che avesse anche conosciuto la poverina a Vicchio, al Bar
della stazione, nel quale ella lavorava da poco tempo.

XXX

Un’altra ragazza era stata ammazzata, sempre a coltellate, nella lavanderia di un


albergo
a Sampieri (Ragusa) il 22 agosto 1982.

Era anche lei di Firenze, studentessa in architettura; ed abitava a pochi metri di


distanza da Susanna Cambi, uccisa dal Mostro dieci mesi prima , una delle vittime
dell’ottobre 1981.
In più si chiamava come la modella “porca” del Lepre, quella di Montecatini…

Sveva, senza fare commenti all’annuncio del Lepre, relativo alla prossima partenza,
affrontò l’argomento alla larga:
“Ogni anno d’estate te ne vai a fare questi tours sado-culturali, come li definisci tu:
Nell’ottantuno, New-York, nell’ottantatré Berlino, nell’ottantadue, dove sei andato? “

“Egli guardò Sveva con diffidenza:


“Perché lo vuoi sapere?”
“Così, per avere un quadro della situazione, per curiosità. Non me ne hai parlato mai…”

La donna cercava di sorridere, di fingere superficialità…


“Sono andato a fare un giro lungo la costa, fino in bassa Italia”.- Egli rispose.

Intanto, si era seduto e scarabocchiava come al solito su alcuni depliants in mostra sul
tavolo. Aveva disegnato una macchina lancia-dardi, dalla quale partivano varie freccette
che si andavano a conficcare in un brenciolo sgocciolante, infilato in un gancio da
macellaio appeso da qualche parte.

Un brandello che avrebbe potuto rappresentare benissimo uno dei macabri trofei del
Mostro, appeso ad asciugare…

“Lo sai che non posso rimanere qui…lo sai che sono troppo veloce, troppo furbo, troppo
intelligente per persone come voi…e mi annoio!…
Io mi sento un Dio e vorrei essere Giove per scagliare fulmini a destra e a sinistra!”- ( e
intanto li disegnava).

“Mi dispiace per te..gattona…che rimani qui a lavorare ma non posso farci niente…”

“E allora vattene…vai…vai!…Spero che stavolta ti pestino tanto da levartene la voglia


per sempre. E, quando sarai tornato pieno di pustole e magri con le brache piene di
merda, non venire a piangere sulla mia spalla…!”

“Uh..come la butti sul tragico! Io sono abituato e sono troppo forte per venire demolito
così alla svelta!…Tu parli così perché sei gelosa…lo dici solo per questo!…
Vedi di non pensarci…anzi, se vuoi venire con me, ti porto a sentire il concerto di
James Brown alla Bussola.

Posso pagare solo i biglietti, però, perché ho litigato con mio padre che non ha voluto
darmi altri soldi e sono uscito di casa anche senza cena.
Ma se vuoi venire sbrigati, altrimenti facciamo tardi!”

Sveva, fatti rapidamente due calcoli, capì che, se non fosse andata con lui quella sera,
non l’avrebbe veduto più prima che partisse. E lei, ora , voleva “sapere” , aveva bisogno
di chiarire ancora alcune cose troppo importanti.

Intanto, mentre erano in macchina, riuscì a scoprire che il concerto in questione doveva
esserci stato la domenica scorsa.
Invece era stato rimandato perché la “band” di James Brown era stata fermata dalla
polizia sui monti del Mugello per problemi di “droga”.

Così che il Lepre, il quale la fatidica sera del 29, era uscito di casa assai prima delle 20
per acquistare il biglietto, aveva dovuto cambiare programma…

“Allora, dove sei stato, se non sei andato alla Bussola?”


“Cosa fai…mi spii?…Perché lo vuoi sapere?…”

Sveva credette opportuno di non insistere e tacque per un po’..


Dopo il concerto, tornati al Club, la donna si mise a friggere una padellata di patate, con
aglio e rosmarino, per insaporirle, dato che ambedue erano senza cena e, mentre i due
sedevano al tavolo per mangiare, si accorse che, dall’apertura della camicia del Lepre,
sulla parte alta del petto, si scorgevano alcune striature rossastre.

“Cos’hai fatto, sul collo, ti sei graffiato?”


Morty si sbottonò e, allargando la camicia, fece vedere a Sveva il torace, dove si
notavano tanti segni paralleli che, in certi punti, sembravano quasi incrociarsi fra loro.

“Vedi…per divertirmi mi sono tagliuzzato un po’ con la lametta , mentre mi rasavo!”

E Sveva pensava al Mostro, che aveva lasciato sotto le unghie di Claudio Stefanacci
“pelle e peli…” - Così era scritto sul giornale!

XXX

Partito il Lepre, ella continuò ad informarsi leggendo tutti i quotidiani reperibili, trovando
ogni giorno qualcosa da aggiungere ai suoi già molti sospetti.

Per prima cosa, telefonò alla Polizia per informarsi se una Mini con il motore truccato
avrebbe potuto raggiungere Vicchio, partendo da Lido di Camaiore prima delle 8 di
sera, in tempo per compiere i delitti. Ed ebbe risposta affermativa.

Quindi, ancor più determinata, il 5 agosto telefonò alla redazione fiorentina de La


Nazione, per conoscere il nome della medium , la quale, intervistata dal giornalista
Umberto Cecchi e da un collega di costui, aveva rilasciato una descrizione del Mostro,
somigliante sorprendentemente a Morty fino nei minimi particolari.

Si parlava infatti di un uomo agile e snello, sulla quarantina, che indossava


prevalentemente abiti di pelle con borchie e placche di metallo, che zoppicava da una
gamba (un notevole difetto ad una gamba o ad un piede - e lui li aveva ambedue) e che
portava uno strano bracciale. (Morty ultimamente si era messo al braccio sinistro un
collare da gatto).

L’uomo in questione, sembrava avere molto a che fare con la scuola ed i mezzi di
trasporto e doveva avere una madre anziana alla quale confidava tutti i suoi segreti.

La casa dove abitava doveva essere a poca distanza da una stazione ferroviaria, e si
presentava "trascurata e piena di libri".

Si parlava anche di un istituto scolastico per ragazzi difficili (e Sveva pensava a quello
di Colle Salvetti, vicino a Livorno), di un padre forse assente (vedi i sentimenti di Morty
per il padre) e di un amico del Mostro il nome del quale ricorreva spesso nei racconti di
costui e che, per la medium, sembrava essere Guglielmo.

Il Lepre aveva avuto infatti un amico carissimo, compagno di scorribande e morto in


giovane età in un incidente d’auto, il nome del quale era molto simile a Guglielmo. (E
infatti cominciava con la G e finiva con MO )

E, parlando di quest'ultimo, diceva sempre: “Lui ha già pagato…io devo ancora


pagare…!”
(Cosa avrebbe pagato, il suo amico preferito, di tanto grave da dover scontare con la
propria morte?)

XXX

Sveva non era riuscita a sapere di più sulla medium. In compenso era uscito, sempre
su un giornale , un identikit spaventosamente somigliante a Morty.

A questo punto, la donna non sapeva se fosse bene o male avvisare la polizia dei propri
sospetti o attendere il ritorno del Lepre cercando di avere ulteriori conferme.
Esporsi direttamente, in assenza di lui e dei suoi “compari”, i quali sicuramente
dovevano avere un ruolo determinante nel comportamento di Morty, le sembrava poco
saggio.

E poi, nel frattempo, poteva darsi che succedessero fatti nuovi e che gli inquirenti
arrivassero da soli a trovare qualche indizio.

Decise perciò di aspettare e, intanto, di riordinare le idee e cercare di ricordare altri


interessanti particolari che potessero servire allo scopo.

XXX

Continuando ad osservare le immagini dei giornali e a rileggere di continuo le cronache


relative ai fatti di Firenze, Sveva aveva notato che gli occhiali dell’identikit erano uguali,
come forma, a quelli di Morty; che l’altezza del Mostro doveva essere almeno di un
metro e settantacinque centimetri, ed anche questo corrispondeva; e che, per muoversi
così bene nelle notti senza luna, poteva darsi che l’uomo fosse anche albino.

Morty, per spaventare Sveva, si muoveva al buio nelle stanze urlando e facendo un
gran baccano. E quando lei, di rimando, gli gridava:”Accendi la luce…scemo!”-
rispondeva ridendo:
“Lo sai che io non ho bisogno di accendere! Di notte, ci vedo come un gatto!”

Sommando tutti questi indizi al fatto che il Lepre usava il taglierino come un dio ed
aveva studiato anatomia per potersi laureare a Brera, il quadro che se ne poteva
ottenere
era veramente preoccupante.

Tanto che la donna si convinceva sempre di più che sarebbe stato meglio porre fine a
qualsiasi tipo di rapporto con lui e con la sua famiglia, cominciando a temere anche per
la propria sicurezza e per quella dei propri figli, i quali venivano spesso a trovarla.

XXX

Mentre Sveva si tormentava così, fra il desiderio di sapere e il timore di frequentarlo di


nuovo, il Lepre folleggiava in Turchia e la Mamtide si disperava perché non dava segno
di voler tornare.

“Aveva detto di trattenersi al massimo dodici giorni…invece si trattiene ancora un po’!”


E piangeva nel telefono…
Ogni momento telefonava al Club, raccomandandosi a Sveva che, al ritorno di Morty gli
stesse vicino… e gli organizzasse il lavoro…e così via…

Finché Sveva, stanca, malinconica e nauseata per tutto quello che stava accadendo, le
rispose che , invece, avrebbe evitato definitivamente di avere contatti con suo figlio non
avendo intenzione di frequentare persone poco chiare e poco pulite!

La Mantide, scandalizzata, fingendo di ignorare la realtà, cominciò a protestare che il


figlio non faceva nulla di sconveniente con quegli amici che bazzicava.

E tanto disse e tanto supplicò, che Sveva dovette consigliarla di torchiare per benino il
figlio al suo ritorno a casa, se veramente, voleva saperne di più.

Evidentemente, la signora conosceva già molte cose se, prima del rientro di
Morty,facendo pressioni su persone importanti, riuscì a farlo trasferire a sua insaputa,
dalla scuola di Z ad un’altra scuola, distante due ore di treno dal capoluogo, affinché
avesse meno tempo a disposizione per stare con Giulia.

Quindi si era messa d’accordo con il medico di famiglia, perché spaventasse il Lepre e
lo convincesse a cambiar vita; ed infine, aveva persuaso il marito ad imporre al figlio di
troncare con l’amica ad ogni costo, avendo compreso che ormai, Sveva sapeva già
“troppo”e non avrebbe più frequentato Morty, per nessun motivo, se la situazione non
fosse cambiata radicalmente!

Dopo aver organizzato tutto quanto, come pareva a lei, la Mamtide ricominciò a
telefonare a Sveva ad ogni ora del giorno, adducendo mille pretesti per
vederla,chiederle informazioni, farsi accompagnare con la macchina…ecc…sempre per
ottenere il vero scopo di quell’armeggiare, cioè destare la compassione della donna,
affinché non rifiutasse di incontrare il Lepre al suo ritorno.

E tanto disse, tanto fece e tanto pianse che egli, appena arrivato, dopo ventuno giorni di
permanenza in Turchia, si precipitò al Club carico di cianfrusaglie che- mentì–
aveva comperato apposta per Sveva, “il suo angelo…la sua unica speranza”, alla quale
aveva tanto pensato, rimpiangendo che anch’ella non fosse “con loro” in vacanza, per
fare “magari” qualche bella “ammucchiata”, tutti insieme!

XXX

I “regalini” di Morty, consistevano in : un profumo dolciastro e verdognolo, imprigionato


in una boccetta a forma di moschea, una sciarpa trasparente rosa e oro,
un anello zodiacale con il segno dell’ariete (cosa c’entrasse, questo, non si sa), un
opuscolo pubblicitario scritto in turco ed una scatola di dolcetti morbidi con una
mandorla nel centro, che – disse un giovane scultore amico di Sveva, - dovevano
essere stati impastati con la saliva!

La donna, con un occhio alla chincaglieria ed uno al Lepre, ne osservava gli zigomi
arrossati, quasi tumefatti e ne annotava l’aspetto allucinato.

Sembrava che il viaggio fosse stato burrascoso. Infatti egli confermò di “averne
combinate di tutti i colori”.
“Ho fatto indigestione di sesso! Scopare e mangiare…Non sono riuscito a fare altro!
Sai, gli uomini mi venivano a toccare per la strada e mi baciavano sulla bocca!
Anche la mia amica si lasciava palpare per strada…E’ carina..sai…molto carina!…”

Sveva cercava di fingere indifferenza ma provava un grande disgusto nell’udire l’elenco


delle “prodezze” del lepre e nel constatarne il progredire della follia.

Fisicamente sembrava molto più maturo, più adulto; ma gli schizzetti che ora
disegnava, rasentavano il parossismo.

La Mantide si era raccomandata a Sveva che lo accogliesse con dolcezza,


“Perché” –aveva detto, - “quando saprà del trasferimento e di tutto il resto, darà
sicuramente in escandescenze.
E se si accorgesse di aver perduto anche il tuo affetto (era ormai passata al TU), chissà
cosa potrebbe combinare! Magari potrebbe anche uccidersi!
Lo porterò con me, in vacanza, in un posto tranquillo, vicino a Livorno, dove si sta
tranquilli e potrà riposare!”

XXX

Ma dopo due soli giorni, la Mamtide telefonò che il figlio voleva suicidarsi.
“Mi raccomando a te…Quando verrà a trovarti, cerca di convincerlo a rimanere qui e a
stare calmo…Solo tu lo puoi fare…ti prego..non abbandonarlo…proprio in questo
momento!”

Il Lepre venne; e parlò di suicidio, di volersi arruolare nella Legione Straniera, di


ammazzare un po’ di gente..e, in macchina, tirava sputacchi dal finestrino contro tutti e
tutto.

Raccontò che, nel pensionato al mare, c’erano ragazzi e ragazze che gli chiedevano di
uscire con loro, sulla spiaggia…
“Ma non lo sanno, questi idioti, che a me i giovani interessano soltanto se sgozzati e
squartati!…”
Quindi, ribadì cose già dette, come: “Non posso rimanere in questi posti di merda!…Ho
bisogno di emozioni forti!…”

E la donna capì che i programmi della Mamtide sarebbero serviti a ben poco, contro
quel fuoco malsano che divorava la carne ed il cervello del figlio!
Peccato!

Aveva portato a far vedere a Sveva una serie di studi piuttosto interessanti, ma ancora
cose estremamente violente e crude; ed ella si era complimentata con lui per la sua
abilità, ma gli aveva ripetuto chiaramente che non avrebbe potuto organizzargli una
mostra con opere di quella specie e di quelle dimensioni.

“Dovresti modificarle ed ingrandirle, per renderle commerciabili. Se pensavi davvero di


fare una mostra per Natale, hai già perso troppo tempo! Non ce la farai!”
“Io sono un Superman…vedrai che ce la faccio!”

Ma non faceva che pensare alla sua “amica”, al suicidio e, tra una visita e l’altra al Club,
passava giorni interi a trastullarsi sul letto, litigando aspramente con il padre perché
aveva scritto una lettera di diffida a Giulia accusandola di “plagio”e con la madre, alla
quale gridava.”Brutta troia!…Sei gelosa perché mi vorresti chiavare tu!…”
CAP. XII° - SOLUZIONI AMARE
Fine dell’estate 1984

Intanto, per Sveva, era giunto il dolorosissimo momento di prendere una decisione
anche a proposito del Club.

Le ultime mostre organizzate non avevano dato introiti sufficienti a mantenere aperto il
locale ed ella, che aveva sperato nel soccorso degli Enti pubblici, si stava accorgendo
quanto spreco di tempo e di energie comportasse questa ipotetica soluzione.

Ormai, senza Osvaldo, la colonna crollata nel terremoto delle emozioni di Sveva, ella si
sentiva esposta a tutte le bufere e la stanchezza si stava stratificando giorno per giorno
sulle sue spalle rotonde, gravandole anche sui seni, fino a toglierle il respiro.

Avrebbe dovuto trovare un appartamento e trasferire una parte dei mobili nella galleria,
compresi i grandi pannelli di legno per le esposizioni che, adatti al Club, sicuramente,
avrebbero portato via un bel po’ di spazio nelle due piccole stanze in centro!

Ma non poteva permettersi di gettare tutte quelle cose ancora nuove che aveva scelto
ed acquistato con tanto amore!.
E nemmeno le altre che ella stessa aveva costruito, con le proprie mani e la propria
fantasia e che si era trascinata dietro dalla casa dove aveva abitato col marito, prima
della separazione !

Le bollette da pagare per le spese del Club, si erano ormai ammonticchiate in un


cassetto ed era urgente traslocare…ma l’unico appartamento che la donna aveva
trovato e che si era potuta concedere, sarebbe stato a sua disposizione soltanto per
pochi mesi, fino alla primavera del 1985.

E, ahimè…era poco distante dalla casa del lepre!

XXX

Sveva, oppressa da questi pensieri, aveva rimandato la decisione riguardante Morty, il


quale, guardato a vista da papà e mamma e messo energicamente “in cura” dal medico
di famiglia con calmanti e disintossicanti, era caduto in depressione e, più che di
uccidere qualcuno, aveva voglia di suicidarsi. (O almeno, così diceva.)

Tanto per passare il tempo, aveva aiutato la donna ad allestire l’ultima manifestazione
da lei programmata e dedicata all’infanzia, nell’atrio di un Palazzo Comunale della
Versilia.

E, dato che ella si era procurata uno squarcio in una gamba con un vetro rotto e
zoppicava notevolmente, egli si era dato molto da fare piantando chiodi con la velocità
del fulmine e trasportando il materiale necessario per la mostra, compreso il quadro che
aveva dipinto in precedenza e che era tanto piaciuto a Sveva.

Però lavorava con lena finché la cosa lo divertiva; poi mollava improvvisamente
accusando fame o sete, stanchezza e noia e scompariva fino al giorno seguente, per
ripresentarsi con il registratore sotto il braccio o con una piccola “batteria” elettronica
che non riusciva a far funzionare come avrebbe desiderato.

Ogni tanto, riproponeva alla donna qualche composizione rielaborata da vecchi studi,
aggiungendovi alcuni particolari arricchiti con il colore e lamentandosi di non avere
stimoli sufficienti per produrre cose nuove.

Un giorno arrivò addirittura con una fotocopia, raffigurante la propria immagine


impressa su di un grafico di linee ascendenti e discendenti;
una iperbole – egli disse – dell’orgasmo femminile scientificamente rappresentata, con
tanto di numeri riguardanti le pulsazioni cardiache, le frequenze del respiro, ecc… ed in
più, con l’aggiunta del volto di una bionda urlante ed atterrita!

Sveva osservò che, nella foto personale, egli era vestito esattamente come il 29 luglio
scorso, con la camicia guarnita di sangallo. Gli mancavano soltanto gli occhiali, ed
aveva veramente l’aspetto di un maniaco, esibizionista ed assassino.

“Vedi questo grafico? Ecco, io vorrei potermi introdurre nella vagina della donna
soltanto nel momento culminante, quando fosse già stata eccitata sufficientemente da
un altro, al punto più alto della iperbole…Lo sai che a me non interessa il rapporto di
coppia… anzi..lo odio!… Sarebbe così una specie di jus primae noctis, come dovrebbe
toccare ad un Dio… ad un robot del sesso come me!”

“Come ti sei fatto brutto!”- Esclamò la donna , impressionata, che però accolse di buon
grado la richiesta che lui le fece di tenere il lavoro per ricordo.
Era un documento in più da poter mostrare se, per caso, le cose fossero mutate
improvvisamente.

“Sai…fra qualche giorno ripartirò per Z, pertanto dovrai arrangiarti da sola. Ho chiesto ai
miei di darti una mano, per il trasloco…
Sono contento che tu abbia trovato casa vicino a loro…così potremo tenerci meglio in
contatto, gattona mia!…

Ora che ci sono io, potrai stare tranquilla…senza soffrire e senza stancarti come hai
fatto fino ad ora…Hai visto…noh…come sono veloce e come sollevo i pesi quando
lavoro!…Io sono giovane e forte…anche se in questo periodo, senza Giulia che mi
picchia e senza poter frequentare ambienti di un certo tipo, non mi va di fare sesso!
Non mi eccito…proprio non mi va!

Tu, del resto, con questa storia del lavoro…ti vesti da borghese, con le scarpe basse ed
i capelli sulla fronte, che non ti donano…Poi, la sera, ti metti alla televisione, mentre
fuori c’è gente che si “spacca” o va ad ascoltare concerti che sfondano il cervello, con la
luce dei laser o dei riflettori che “splash” …lampeggiano da far impazzire!”

Ti avevo chiesto di mettere nel Club degli amplificatori per la batteria elettronica, perché
mi sarebbe piaciuto, una sera, di sorpresa, spaccare le orecchie a questa folla di
borghesi di merda che ti vengono a trovare!
Ma ora, invece, chiudi anche il Club… A casa, non lo posso fare di certo, perché mio
padre s’incazza da matti!”

Così il Lepre si sfogava a tenere le cassette a tutto volume, mentre accompagnava


Sveva qua e là, in quella fine-estate afosa ed umida di pioggia, mentre ella, dolorante
da capo a piedi, tossiva continuamente per un’influenza che non aveva curato
abbastanza!

XXX

Dato che ormai la scuola stava per riaprire i battenti , i genitori del Lepre temevano che,
una volta rientrato a Z si sarebbe precipitato di nuovo tra le braccia di Giulia, nonostante
il trasferimento e le promesse di “voler lavorare” per preparare quella “benedetta
mostra”.

E il padre, ossessionato dalla Mamtide, la quale fingeva svenimenti a catena e stava al


telefono per ore, a raccomandarsi a Sveva e ad altri conoscenti per cercare di “salvare il
figlio da quella vipera sgualdrina affamata di carne (di Lepre)”, decise di seguire il
frustrato “robottino” a Z, per tentare di impedirgli ulteriori approcci sado-amorosi.

Così, padre e figlio partirono insieme, lasciando sola la Mamtide che dichiarò di essere
tranquilla, perché “ora” c’era Sveva alla quale avrebbe potuto rivolgersi in caso di
bisogno.
Sveva, invece, rimase a sgomberare il Club da tutti i cimeli provenienti dalle mille
battaglie delle sue crociate di donna, sposa, madre, artista e commerciante, mentre una
pioggia insistente ne lavava la polvere e le scorie, bagnando pure la pelle ed i capelli
della donna che, a forza di stare sotto l’acqua, si sentiva ormai più un “pesce” che un
“sagittario”!

“Mi è venuto anche il mal di cuore!” - Rifletteva caricando la sua povera Renault ,
sempre traboccante di cenci e di scartoffie!

Infatti, il peso sul torace si era fatto ogni giorno più greve ed il respiro sempre più corto.
Fitte dolorose e frequenti pungevano lo spazio fra le costole, dalla parte sinistra del
dorso della poverina, braccata dai creditori e dal proprietario del locale che ne esigeva
la restituzione entro breve termine, pena il pagamento di nuovi, pesanti tributi.

Il giovane medico al quale si era rivolta, strappando pochi minuti di tempo al trasloco,
aveva ipotizzato un’ ischemia, consigliando alcuni esami clinici che la donna dovette
rimandare, poiché ambedue gli uomini che ella aveva a fatica trovato per trasportare gli
oggetti più pesanti, si erano ammalati seriamente a causa degli sforzi compiuti sotto la
pioggia..Quindi, toccava a lei, ora, finire il lavoro, nel più breve tempo possibile!

XXX

Il Lepre, rientrato alla fine della settimana con il papà, si dimostrava piuttosto
preoccupato.
“Non ammalarti, ti prego…non ammalarti!…Proprio ora , che non mi rimani che
tu!…Giulia non mi ha più cercato, per paura di mio padre…ed io sono disperato, anche
perché devo sobbarcarmi ogni giorno, per andare a scuola, un viaggio lungo e noioso,
in un posto di merda!

Poi, il fatto di essere accompagnato e sorvegliato, mi fa andare di fuori! Pensa che mi


vengono idee parricide e l’altro giorno ho preso mio padre per il collo, per la strada; e
poco ci manca che non l’abbia strozzato!

Pure, è un uomo in gamba e non è noioso! E’ molto diverso, quando è solo con me, da
com’è in presenza di mia madre! Evidentemente lei lo manda in tilt.

Le commesse dei supermercati, si meravigliano quando dico loro che è mio padre!
Un tipo come me, non dovrebbe avere un padre!…Caso mai un amante anziano…un
protettore…Così fanno certe facce!
Certo, il fatto che mi si vieti di fare quello che voglio, non è giusto!…Ucciderei volentieri
chiunque mi impedisca di fare il comodo mio, anche mio padre e mia madre…tanto,
hanno già vissuto abbastanza….Non si può interferire nella vita dei giovani e non si
deve proibire questa o quella cosa!

Per favore, vieni tu a casa mia e cerca di calmare i miei, che mi vogliono rinchiudere in
un ospedale psichiatrico perché ho fatto volare un po’ di roba e ho rotto un portaritratti
con una fotografia di mia madre!

Per favore, dai…vieni! Non ho altri che te, Sveva, non ho altri che te!…”

I bacetti del Lepre cadevano sulle mani e sul viso della donna come le gocce della
pioggia, che batteva sul tetto a terrazza del Club, ormai quasi deserto!

Ed ella trovò anche il tempo di andare a calmare quelle esasperazioni, quegli eccessi di
violenza.
Si sedette a tavola con gli Scorpio, accettando di dividerne il pasto, insipido e
rinsecchito, cucinato dalla Mamtide sul fornello unto e bisunto, mentre Morty, sempre
provocatorio, lanciava attraverso i coperti le mele e le prime arance della stagione.

Questi, ruzzolando, andarono a rimbalzare sulla scodella del Prof. Leone, dopo aver
rovesciato un paio di bicchieri colmi di vino rosso, denso e pastoso, che ben legava con
le rape e con le cipolle crude che arricchivano il piatto del “robottino” urlante.

Poi, tutto si risolse in qualche strizzatina d’occhio che il Lepre, ormai calmato,
indirizzava a Sveva mentre il padre, ancora adirato, sbatteva violentemente i pugni sul
tavolo.

E più tardi, nell’uscita precipitosa della donna che, arraffata la borsetta, si lanciò giù per
le scale scocciatissima, con il Lepre che la inseguiva trotterellando, timoroso di non
rivederla “mai più”.

XXX

Piano piano, Sveva ce la fece a finire il trasloco e ad ammucchiare le sue cose nel
piccolo appartamento, affittato fino alla primavera.
Il Lepre era stato carino con lei, questa volta, facendole mettere a disposizione due
giovanottoni con un furgone, per evitare che ella si strapazzasse ulteriormente.

Questo, prima di ripartire per Z, ma “da solo”, poiché il padre, spaventato dalle sue
imprevedibili reazioni, si era rifiutato di seguirlo.

La donna, però, nonostante le promesse di Morty, temeva che egli non avrebbe resistito
alla tentazione di tornare con Giulia, una volta abbandonato a sé stesso, nella grande
città.

Comunque, il sabato seguente, egli arrivò di nuovo, con il treno della sera.
Già il crepuscolo calava sul terrazzino, affacciato sul cortiletto della nuova abitazione di
Sveva ed alcune luci erano già accese, su in alto.

Il Lepre era euforico e gli occhietti azzurri brillavano, dietro le lenti.

“Non posso crederci! Hai già messo tutto a posto!…Ma è una reggia…Incredibile come
da sola tu sia riuscita a fare tutto questo!…Questa è una di quelle sere che non si
dimenticheranno mai, nella vita!”

E volle che la donna lo seguisse sul terrazzo, dove, appoggiati al davanzale, seguirono
con gli occhi le nubi giallastre e le luci, mentre i treni sferragliavano poco più in là.

Più tardi, mentre Sveva friggeva le solite patate nella nuova cucina, egli si prodigò in
mille attenzioni.
Poi, allungati sui cuscini colorati del divano, bevvero insieme il tè alla rosa che ella
aveva comperato a Londra.

“Questa è una svolta decisiva, per la mia vita!…Questa è una svolta decisiva…”
Ripeteva il Lepre incessantemente.

XXX

Però, parlando della mostra che avrebbe dovuto preparare per le feste natalizie, egli si
dimostrava piuttosto evasivo.

E Sveva pensava sgomenta che ora, l’unico posto in cui ella avrebbe potuto svolgere la
propria attività era la piccola galleria in centro e sarebbe stato meglio non impegnarla
affatto per Morty, a rischio di compromettere e scombinare tutti i programmi invernali!

Inoltre, ella stava molto male, anche se gli elettrogrammi non avevano denunciato
notevoli alterazioni…I dolori nel petto e tra le costole non accennavano a diminuire e le
forze scemavano, giorno dopo giorno.
“Vorrei andare alla spiaggia per godermi un po’ dell’ultimo sole della stagione e per
parlare seriamente con te” – Disse la donna al Lepre la domenica mattina, dopo che la
Mamtide, venuta a trovarla di nascosto mentre il figlio ancora dormiva, si era
nuovamente raccomandata a lei promettendole mari e monti, se si fosse occupata
esclusivamente della mostra di Morty, tralasciando ogni altra eventuale esposizione per
seguirlo addirittura a Z.

“Non combinerà mai niente da solo!


In tutto questo tempo, monopolizzato dalle continue visite di Giulia, non ha fatto niente
di niente! Quella ha assorbito ed annullato ogni sua velleità!

Vai tu!…Vai tu…non devi preoccuparti per le spese! Provvederemo a tutto, mio marito
ed io. Tu sei tanto brava…hai tanto ascendente su di lui! E non capisco come fai ad
avere tanta pazienza… senza averne paura, poi… Io sono terrorizzata dalle sue
scenate…e non potrei andare, perché, con il mio mal di stomaco e senza le mie
comodità, morirei in tre giorni!…
Tu non dovrai pensare a niente…fuorché a mio figlio!…”

XXX

Il Lepre aveva fatto opposizione al “giretto sulla spiaggia” e sembrava proprio non
avesse alcun desiderio di “parlare seriamente”.

Ma Sveva lo convinse e, camminando lungo la battima del mare di T, mentre con una
mano si riparava gli occhi stanchi dal sole alto di mezzogiorno, lo affrontò:
“Amico, parliamoci un po’ da uomo ad uoma! Tu mi stai facendo perdere un sacco di
tempo! Mi chiedi continuamente di occuparmi di te e sai benissimo che non mi segui!

Voglio vederci chiaro!…Ho il sospetto che tu mi stia vendendo vento e che il lavoro non
sia per te, come vuoi farmi credere, la cosa più importante.

Se desideri veramente che io ti faccia una mostra, sarò costretta a partire insieme a te,
per vederti muovere nel tuo ambiente, capire veramente chi sei, saggiare e spremere
ogni tua possibilità!

Io non posso mettere in gioco la mia credibilità per una persona ambigua che giura e
spergiura senza mai mantenere la parola data! Dove sono le cose che vorresti esporre?
A parte qualche foglio di carta o di cartoncino fotocopiati, lavori pronti per
un’esposizione non ne vedo proprio!”
Il Lepre ascoltava eccitato; la durezza di Sveva lo aveva scosso.
Ella, aveva raccolto da terra uno straccale e, camminando e parlando, con esso
sferzava la sabbia.

Gli occhi del giovane ne seguivano il movimento, brillando di emozione.


Evidentemente le sferzate dello straccale gli dovevano ricordare i colpi infertigli sul
corpo dalla sua sadica amica!…E tutti i suoi muscoli stavano fremendo, sotto il
giubbetto di pelle!

“Bene…bene…come mi piaci quando sei incazzata! Hai proprio ragione…la volta


prossima partiremo insieme! Sei contenta tesoro?…Sei contenta!?…”

Ma la donna, che con il sole e l’aria pungente aveva riacquistato un po’ della sua grinta
battagliera, lo guardava con gli occhi torvi.
La faccia del Lepre non sembrava davvero sincera!

E poi, con quello che la donna sospettava sul conto di lui, anche se, durante quel mese
di settembre, non c’era stato, fortunatamente, nessun delitto del Mostro, ci voleva un
bel coraggio soltanto a pensare di partire e rimanere qualche giorno da sola con Morty!

Forse, se ancora non c’era stato alcun misfatto da segnalare, si doveva proprio alla
sorveglianza esercitata su di lui dai genitori, o ai farmaci che il medico gli aveva
prescritto, o alla forzata lontananza da Giulia, la quale doveva essere sicuramente
l’istigatrice delle sue follie!

XXX

Dopo la partenza del Lepre, le condizioni di salute di Sveva erano peggiorate


rapidamente.
Una notte in cui ella si era trattenuta fino a tardi al tavolo da lavoro per scrivere indirizzi
sui depliants di una mostra in preparazione, aveva accusato fitte fortissime al fianco
sinistro, che le impedivano di respirare.

Così si era provata la temperatura, che da tanto non controllava, scoprendo di avere
39,5 gradi di febbre.

Spaventatissima e priva di telefono (l’appartamento non aveva il collegamento


telefonico), si era messa a letto rimanendo immobile per più di due ore, trattenendo il
fiato per non gridare e temendo di non potersi alzare mai più.
Non sarebbe stata certamente in grado di salire al piano di sopra per bussare ai vicini o
di affacciarsi al terrazzo per invocare aiuto.

Al mattino, attenuatisi finalmente i dolori, si era trascinata in bagno ed era poi riuscita a
scendere le scale, salire in macchina ed arrivare alla casa del giovane medico che
l’aveva visitata tempo prima.

“Devo avere la pleurite!” –Disse a questi che la guardava preoccupato. – “Altro che mal
di cuore, Federico...questa è pleurite di sicuro!”

Il medico, ancora incredulo, la controllò accuratamente.


“Hai proprio ragione! Ti accompagno subito all’ospedale!”

Il liquido, aveva invaso il polmone sinistro di Sveva che, ignara, si trascinava in quella
situazione da un mese e mezzo!

“Devi ricoverarti!…Dovrai fare molte cure…Sei sola in casa e non hai nessuno che
provveda a te!”

“Non posso!…Se non sistemo le mie pendenze entro tre giorni, mi sbatteranno fuori
anche dalla galleria e dall’appartamento!
Federico, non posso proprio! Segnami la cura…mi arrangerò! Mi farò le iniezioni da sola
e starò a letto più che potrò, ma non è il caso di ricoverarmi!”

Il figlio maggiore di Sveva era soldato, i piccoli erano da poco rientrati a scuola e la
vecchia madre era ormai un pappagalletto ricurvo e rinsecchito, che ce la faceva
appena a reggersi in piedi, appoggiandosi al manico della scopa.

Rivolgersi a qualcuno di loro, avrebbe voluto dire complicare notevolmente la vita a tutto
il nucleo familiare e dover sentire, per di più, un sacco di rimproveri per essersi
trascurata così a lungo!

Nei tre giorni che seguirono, la mattina Sveva si trascinò da una banca all’altra, tra uffici
postali ed agenzie, fermandosi ogni tanto in qualche cabina telefonica, per comunicare
con qualcuno e per riprendere fiato.

Faceva anche le provviste per il pranzo e poi rientrava, infilandosi subito nel letto.
Si iniettava gli antibiotici davanti allo specchio della camera, ogni quattro ore; e cercava
di mantenersi calma e lucida di mente, ragionando freddamente sulle proprie condizioni.
Il quarto giorno, fortunatamente la febbre era caduta!

XXX

Sveva aveva avvisato la Mamtide della situazione ed ella si era soltanto rammaricata:
“Allora non potrai partire!”
Ma tanto lei che il marito, contrariamente al solito, in quei giorni non si erano fatti
vedere, forse temendo un contagio, anche se erano stati rassicurati che non avrebbero
corso alcun pericolo.

Sveva aveva dovuto abbandonare una mostra che si stava svolgendo in galleria e si
sarebbe conclusa a fine settimana e, in quello stato di salute, per un po’ non avrebbe
potuto prepararne altre.

Pertanto, date le promesse dei coniugi Scorpio, considerava più vantaggiosa la


proposta di andare qualche giorno a Z per aiutare il Lepre a terminare i suoi lavori, in un
ambiente asciutto e riscaldato e spesata completamente, piuttosto che rimanere sola e
senza soldi in un appartamento freddo, senza telefono e senza prospettive di guadagni
immediati.

Era convinta che, con i sui consigli, Morty avrebbe lavorato speditamente e bene.
Intanto egli aveva ottenuto un nuovo trasferimento (tramite le solite pressioni paterne,
su qualcuno che “contava”nell’ambiente scolastico), che l’aveva fatto riavvicinare a Z.
Così avrebbe avuto tempo sufficiente per dedicarsi alla pittura ogni pomeriggio , fino a
tarda sera.

Sempre che non avesse già riallacciato rapporti con Giulia, contrariamente a quanto
aveva affermato!

“Non dite niente a vostro figlio di quello che mi è successo! Tanto, probabilmente, al suo
ritorno starò già bene e potrò seguirlo senza alcun problema!” – Sveva mandò a dire
alla Mamtide.
“Quel mascalzone!…Sarebbe meglio si preoccupasse per te, invece che per quella
vipera!” – Fu la risposta di lei!
CAP. XIII° - L'INCONTRO CON GIULIA
Fine ottobre - e novembre 1984

Il “mascalzone”, il sabato non venne.


Arrivò la domenica, baldanzoso e tutto pimpante; ma la pelle arrossata sugli zigomi e
l’aria stralunata, insinuarono subito in Sveva il sospetto che, nonostante i giuramenti, la
storia con Giulia fosse ricominciata e le botte pure!

La donna non parlò della propria malattia; voleva apparire energica e in forma,
altrimenti egli le avrebbe impedito di partire!

Ottobre languiva, lasciando dietro di sé odore di mosto e scie di moscerini!

“Comprami…perché non mi compri?… Se vuoi sarò il tuo schiavo…se vuoi, Giulia non
la vedrò mai più!… Mi piacerebbe essere la tua puttana!” – Supplicava il Lepre e Sveva
lo guardava con aria tra compassionevole e sospettosa.
“Lascia tutto!…Andiamo insieme all’estero…saremo famosi!..Che importa se all’inizio
dovremo lavare i piatti per vivere?…”

La donna pensava a tutti i piatti che aveva dovuto lavare durante la sua vita!
Uno sull’altro, li immaginava contro il cielo, a formare strane colonne simili alle bobine
delle centrali elettriche, poste una vicina all’altra, lungo i corsi d’acqua schiumosa che
scendevano dai monti della Garfagnana!…

Così scuoteva la testa: “Povero pazzerello! Cerca di startene buono e calmo e tieni
stretto il posto invidiabile che hai!…Abituato come sei a spendere e a divertirti, non
resisteresti tre giorni!”

“Merda!…Lo sai che non mi piacciono le prediche…merda!


Almeno potresti farmi divertire tu...magari facendomi provare paradisi artificiali!..”

E si mise il rossetto di Sveva sulle labbra, dopo aver indossato una gonna lunga, a
balze, che era appesa all’attaccapanni.
Come tocco finale, tolse una margherita falsa da un vaso del tinello e se la passò dietro
un orecchio…

XXX

Il giorno successivo, egli si fingeva malato e non rispondeva al telefono.


La partenza venne rinviata.
Ma Sveva, che annusava l’inganno e non voleva passare per scema, si dichiarò
irremovibile (anche perché non aveva altra scelta) e fece sapere al Lepre che niente le
avrebbe fatto cambiare idea!

Partirono il mercoledì, con la macchina di Sveva, carica di roba invernale, comprese


due coperte di lana per la brandina del Lepre destinata agli ospiti e con la benedizione
(si fa per dire!) della Mamtide che si raccomandò di telefonarle spesso.

Lungo il viaggio, la donna raccontò della pleurite, dei malesseri di vario genere, delle
iniezioni di antibiotico che ancora doveva continuare, delle grandi difficoltà che aveva
dovuto superare.
Morty sembrava stupito, ma non afferrava bene la situazione ; forse non ci stava proprio
con la testa…!

Pioveva.
Si fermarono a Genova per mangiare e, sotto l’ombrello, risero e scherzarono.
Arrivarono a destinazione verso sera e la metropoli li afferrò con le sue braccia di
polipo, quasi volesse stritolarli.

Il monolocale del Lepre, macchiato di umidità e un po’ cupo, ammantato di torbidi


segreti, dette a Sveva la sensazione di entrare nella tana di un animale selvatico…
L’odore che emanava dai radiatori e dal gabinetto…la grande svastica su fondo rosso,
appesa sul muro come un arazzo, dietro il letto…le farfalline di tulle attaccate sopra le
appliques di plastica rosa!…

Tutto era assurdo ed irreale; opprimente per Sveva, abituata a respirare aria marina e a
starsene sotto il sole per ore, come una lucertola!

Appena entrata nella stanza, aveva notato sul pavimento di cotto una cosa quadrata
che sembrava la copertina di un disco. Si era chinata a raccoglierla, accorgendosi che
si trattava invece di una rivista geografica, scritta in lingua tedesca.
Sulla copertina spiccava la scritta “GEO”.

Il Lepre si precipitò a strappargliela di mano e la infilò velocemente sotto una pila di


dischi.”Tanto tu non puoi leggerla!…Non conosci il tedesco!”
“Nemmeno tu conosci il tedesco! Come mai l’hai comperata!”
“Perché io compro di tutto.” – Fu la risposta evasiva di Morty.

Sveva ricordava di aver già veduto una rivista simile, in una fotografia in bianco e nero,
pubblicata da un giornale; e anche quella era posata sopra un pavimento.
E precisamente il pavimento del camper nel quale erano stati uccisi i due tedeschi dal
Mostro di Firenze, il giorno prima che ella avesse conosciuto Morty…

“Ormai sono qui…ormai il guaio è fatto…Dovrò stare molto attenta…molto…


Cercare di prenderlo per il verso giusto….Sì, ma quale sarà il verso giusto?…”

Così pensava la donna mentre riponeva le proprie cose sul fondo dell’armadio del
Lepre, dove egli teneva appese le sue camicie d’oro e d’argento ed i suoi giubbetti
strani.

Ma la stanchezza del viaggio e la sensazione di debolezza procuratale dai farmaci,


prevalsero su tutte le ansie e sul malessere psichico, facendola cadere ben presto in un
sonno profondo.

XXX

Il Lepre le aveva ceduto il lettuccio, sistemandosi sulla brandina.


Appena desto, tirò fuori da sotto il letto gli estensori per fare ginnastica e li usò per
alcuni minuti. Poi passò alle flessioni, sul cotto del pavimento.

“Vedi, per mantenermi snello e in forma!? … Dovresti usarli anche tu, questi attrezzi.
La mia amica va in palestra a farsi i muscoli, per picchiarmi più forte…!”

Prima di uscire, salutò affettuosamente Sveva.


“Ti farò trovare tutto in ordine!” – Ella disse; ma si sentiva molto debole e scossa.
Il Lepre avvisò:“Non preoccuparti per me…fai i comodi tuoi e non aspettarmi per il
pranzo. Mangerò fuori. ”

Invece, la donna, dopo aver aggredito con energici colpi di scopa il soffitto, dal quale
cadevano calcinacci grandi come le foglie che a Z avevano già ricoperto gran parte dei
viali, aveva ripulito anche il frigo, dove alcuni peperoni dormivano, ibernati in scatolette
incrostate e semi arrugginite.

E, all’ora di pranzo, una zuppa incredibile di peperoni, con pane fritto a dadini, fumava
nei piatti di plastica rossi e gialli , trovati nella credenza.
Il fornello aveva già un aspetto meno zozzo e i calzini del Lepre, pendevano in fila da
una cordicella stesa sopra la vasca da bagno.

Contrariamente a quanto aveva pronosticato, Morty tornò presto.


“Sapendoti qui, non ho saputo resistere! Avevo la smania di tornare!”
Sveva si compiacque con sé stessa: con niente aveva cucinato un pranzo ed egli
sembrava felice.

Nulla faceva prevedere che, di lì a poco, sarebbe successo “il fattaccio”.


E, mentre Sveva, abbastanza provata, si riposava sul lettino alla turca e il Lepre si
dedicava alle sue ricerche di colore, si avvicinava la tempesta, nelle sembianze della
donna che ella mai avrebbe voluto incontrare.

L’oggetto dei maledetti piaceri del Lepre: la peste bubbonica che gli scoppiava nella
pelle in forma di pustole, che riempiva i suoi sogni di oscene fantasie e ne eccitava gli
istinti peggiori, spingendolo alla distruzione di sé e del prossimo.

La bella, altera, giunonica e collerica Giulia, amorale e falsamente dolciastra, come un


pericoloso veleno nascosto dentro un bignè allo zabaione!

XXX

Sveva era da poco entrata nell’acqua calda della piccola vasca da bagno, chiudendosi
la porta alle spalle e cercando di sistemarsi alla meglio, seduta sul rialzo scavato come
un sedile , quando udì bussare il Lepre che si affacciò tutto agitato.

“Scusami…scusami…c’è la mia amica, qui fuori, che vorrebbe entrate. Cosa faccio?..”

“Fa’ un po’ quello che vuoi!..”- Rispose Sveva, che cominciò subito a preoccuparsi,
debilitata com’era e infilata dentro ad una vasca dalla quale non si usciva con facilità.

Dopo qualche istante, udì una voce femminile: “Chi è l’amica che sta in bagno?” – E di
seguito: “Allora mi hai ingannato…mi hai preso in giro!…” – Poi, più niente.

Ma ecco il Lepre, che si era precipitato nella stanza da bagno con una bacinella in
mano:
“Scusami…scusami…ma la mia amica è incazzatissima e devo lavarle i piedi…”
Afferrò anche asciugamano e sapone e proseguì: “Guarda in che situazione mi dovevo
trovare!”

Sveva , al corrente del temperamento di Giulia, pensò che fosse meglio asciugarsi ed
uscire rapidamente dalla vasca, manifestando la propria presenza con la richiesta al
Lepre di un accappatoio e di un pettine, che egli le porse velocemente attraverso lo
spiraglio della porta per tornare di corsa nell’altra stanza.
Allora la donna si fece coraggio ed uscì, in vestaglia, dallo sgabuzzino!

L’altra, seduta sul letto, aveva i pantaloni, arrotolati fin sotto al ginocchio e il Lepre,
accovacciato sul tappeto, le stava insaponando i piedi.
E, senza cambiare posizione, tentò di fare le presentazioni.

“Ah… allora questa sarebbe una nuova amica!…Mi avevi fatto credere che andavi con
Elisabetta…invece ci avevi lei!…” – Esclamò Giulia, con un’aria schifata, segno
evidente che considerava ambedue le rivali quanto il due di picche!

Al che, Sveva: “Avevo pregato Mortimer di non mettermi in questa spiacevole


situazione!…Sarebbe stato semplice dirmi che ancora vi frequentavate e non sarei
venuta certamente fin qui, illudendomi di poter rimanere tranquilla!..”

Il Lepre, rivolto a Giulia, ora tentava di farle credere che la visita di Sveva fosse stata
una cosa improvvisa, ma la seconda lo smentì.
“Mi hai detto quindici giorni fa di venire quando volevo e di restare finché lo avessi
creduto necessario.
Ed io, per essere sicura che tu non mi prendessi in giro, ti avevo preannunciato la mia
decisione anche per scritto!”

“Mortimer fa sempre così: rende le cose complicate e gode delle situazioni difficili!
Senz’altro in questo momento si sta divertendo moltissimo!..” – Rispose Giulia.

Egli, infatti, si era alzato in piedi e, in mezzo alla stanza, con le braccia allargate, stava
recitando:
“Io non provo il minimo imbarazzo, perché sono sicuro di potervi amare profondamente
ambedue!…Anche se non intendo appartenere a nessuna di voi, posso servirvi e
accontentarvi benissimo!..Anzi, comandatemi pure…ditemi cosa volete che faccia!
Certo a me non dispiace che due come voi, due calibri tali, siate qui insieme…per
me!…"

Sveva si risentì, affermando che ella non avrebbe certamente voluto “appropriarsi” del
Lepre e, se si trovava lì era soltanto per motivi di lavoro e perché egli le aveva
assicurato che la “sua amica” non sarebbe venuta più a trovarlo per paura di suo padre!

Quindi, consapevole che i due si sarebbero messi a fare i propri comodi in sua
presenza, visto che i preliminari erano già a buon punto, espresse il desiderio che se ne
andassero a fare un giretto, lasciandola da sola nell’appartamento:
“Dato che io, in questa situazione, vorrei tanto uscire di qui, ma sono ancora in vestaglia
e dovrei prima vestirmi e poi preparare i bagagli, sarebbe opportuno che foste voi ad
allontanarvi; così, nel frattempo, magari vi potreste dare una calmata e vi schiarireste
pure le idee!

“Hai sentito, Mortimer…dovremmo andarcene noi, sotto la pioggia!…Io non ne ho


voglia…sono venuta per stare con te!…” – E. rivolta a Sveva: “Io lo conosco da cinque
anni ed ho fatto molto per lui!…Tu, cosa hai fatto per lui?”

“Avrei potuto fare qualcosa…ma mi accorgo che ha interessi diversi a cui pensare!
Lei, piuttosto…oltre a praticare il sesso, quali altre cose sa fargli?” - Ribatté Sveva.

“Perché…cosa dovrei fargli?…Forse, pulirgli anche il culo?…” – Chiese la


“raffinatissima” Giulia ridendo.
Cominciava a dare segni di nervosismo!…
“Deciditi a scaldarmi questi piedi…che sono gelati!” – Impose al Lepre; e intanto, gli
sbandierava davanti al naso le due delicatissime “fette” di carne ed ossa, con dita di
almeno dieci centimetri.

Il Lepre, di nuovo chino sul tappeto, disse con aria servile: “Vedi..lei non vuole
andarsene…non posso mica costringerla!…Però…potrei lavare i piedi anche a te…se
vuoi!…Oppure, potremmo mangiare!..”

“No, grazie, non sono affamata…ed i piedi, io, me li lavo da sola..!”

“Uh…come sei borghese e antiquata!…Hai sentito…Mortimer?…Perché non le racconti


cosa abbiamo fatto noi in Turchia?…Le hai detto che ne abbiamo combinate di tutti i
colori?…Hai sentito?…Lui è disposto a servirci tutte e due…Avanti caro…comincia a
spogliarti…”

“Devo spogliarmi?…Tu come la prendi?” – Chiese il Lepre a Sveva.


“Diciamo che la prendo né bene né male…diciamo anzi che non la prendo affatto…non
la prendo proprio!…E se ti spogli, esco subito di qui, in vestaglia, come mi trovo!…”

Frattanto Giulia, che fumava nervosamente, continuava ad agitare gli alluci in faccia a
Morty che cominciò a leccarglieli.”

“Ora basta davvero!..Non sai comportarti decentemente nemmeno una volta!” – Gridò
Sveva, afferrando una gonna ed una maglietta ed uscendo velocemente
dall’appartamento.
“Lasciala perdere…non farci caso!…” – Giulia redarguiva l’amico che, con voce debole,
cercava di trattenere la donna mentre ella, sbattendo la porta, li stava mandando
solennemente a quel paese…

“Ma dopo…ritorni?” – Piagnucolava lui…

XXX

Nell’atrio del palazzo faceva un freddo cane. Fuori stava ancora piovendo e Sveva,
senza borsa e senza cappotto, non poteva certamente uscire per strada!

Attese per un po’ tremando , seduta sui gelidi gradini delle scale ; quindi si fece
coraggio e suonò il campanello di Mortimer per chiedergli il cappotto.

Egli si affacciò, pallidissimo. dichiarando che avrebbe tentato di fare uscire Giulia.
“Cercherò di portarla via!…Aspettami nell’atrio!
Le ho detto che saresti andata a telefonare a mio padre, per spaventarla!”

Sveva si infilò il cappotto e si sedette di nuovo, pazientemente.


Sembrava che il tempo si fosse fermato.
Poi, finalmente, sentì sbattere una porta ed una chiave che girava nella toppa.

I due scesero: lei, davanti, con una mantella a quadri bianchi e neri sopra i pantaloni.
Era adirata, con la faccia scura e ancora stava fumando.
Più alta di Mortimer, era molto bella, ma in viso portava già i segni di un incipiente
disfacimento.
Mentre lui le leccava i piedi, Sveva aveva notato pure parecchia cellulite sulle gambe
della donna.

Il giovane la seguiva a testa bassa e si stava infilando l’impermeabile lucido di plastica


nera.

Giulia ebbe un moto di stizza, appena vide Sveva ferma nell’atrio.


”E’ così che sei andata a telefonare? Hai finto di andare via!…Cos’è…una tua tattica?”

“Non ho bisogno di alcuna tattica…io!”

“Allora, perché suonavi il campanello? Sei forse isterica?”


“Eh…da tanto che sono isterica, me ne sto qui ferma e tranquilla ad aspettare i tuoi
comodi!…Tu, piuttosto…non ti sei calmata nemmeno dopo che ti sei fatta grattare?”
E fu allora che Giulia si lanciò su Sveva, menandole un manrovescio sulla guancia
sinistra…

“Brava!…Picchia…picchia…!…Questa è l’altra cosa che sai fare bene! Proprio quello


che potevo aspettarmi da te!

Giulia ora aveva afferrato Sveva per i capelli, cercando di cavarle gli occhi ; ma ella,
ancora non reagiva.
Un’unghiata profonda le solcava la fronte, sopra l’occhio destro.

Tutto si era svolto in un attimo e l’uomo, preso alla sprovvista, ora cercava di trattenere
Giulia, prendendola per le spalle e preoccupato soprattutto per sé.

“Fatela finita!…Mi volete rovinare?…Mi volete fare sbattere fuori di casa?…”

XXX

“Per favore, lasciami le chiavi!..” - Chiese Sveva a Mortimer mentre i due, finalmente,
uscivano dal portone.
“Non posso stare qui al freddo aspettando che tu ritorni!”

Non aveva reagito all’aggressione di Giulia con la speranza che ella si facesse notare
dalla portiera del palazzo, in modo da poter avere una testimone a suo favore in caso
fosse stata costretta a sporgere denuncia.
Ma la portineria era rimasta chiusa.

Risalì le scale, stancamente, per rientrare nell’appartamento, affumicato dalle sigarette


di Giulia che aveva riempito di mozziconi tinti di rossetto l’unico portacenere disponibile.

Sveva cercò di comportarsi normalmente, nonostante la dura prova.


Si fece l’iniezione, alzandosi la gonna davanti allo specchio e accese lo stereo mentre
metteva in ordine la sua roba, sparsa qua e là.

Quando Mortymer fu di ritorno, la trovò apparentemente tranquilla e sdraiata sopra la


coperta del letto, nella penombra della sera che aveva invaso la stanza.

“Ho dovuto lottare, per fare uscire Giulia di qui…hai visto?!…Quella mi vuole
rovinare…Fammi vedere? Cosa ti ha fatto sulla fronte?!..”
E cominciò a premere sul graffio di Sveva un minuscolo fazzoletto femminile a fiorellini
che si era tolto dalla tasca dei pantaloni!

“Ora tu vorrai andartene…Ma non puoi mica lasciarmi così!….Cerca di dimenticare


quello che è successo...che poi, tesoro mio…non è mica successo niente…noh? …Non
è successo proprio niente!…
Te l’avevo detto che Giulia è una pazza!…Cosa ci posso fare se mi piacciono le donne
stronze!…E poi…è stata lei a venire a cercarmi…te lo giuro…Io non sapevo che
sarebbe tornata…”

“Vorresti darmi ad intendere che non l’avevi rivista, prima?”


“Oh…no…l’avevo rivista…sì…ma non sapevo che sarebbe venuta…proprio oggi!…”

“Sei un lazzerone…sei un gran lazzerone!….Ma mi fai tanta pena…!”


“Angelo mio…dimmi che mi perdoni….mi perdoni?”

“No…non ti perdono…e non so nemmeno se riparto!”


Rispose la donna con la faccia dura. Aveva ormai deciso di rimanere e di cambiare
sistema.

Se Morty voleva la guerra…avrebbe trovato pane per i suoi denti…

XXX

Giulia, prima di uscire dall’appartamento del Lepre, aveva preso il secondo mazzo di
chiavi di costui che stavano posate sopra un mobiletto, forse per tornare a verificare la
presenza di Sveva nel locale e magari convincerla a “sparire” con le buone o con le
cattive maniere.

Morty sembrava adirato e volle cambiare subito la serratura. Poi, al mattino, dopo una
notte insonne, chiese a Sveva di accompagnarlo a scuola con la macchina adducendo
a pretesto la paura che la sua amica potesse tornare ad infastidirla, sapendola sola in
casa.

Ella era distrutta; si sentiva sull’orlo di un collasso ma trovò la forza di andare, anche se
pioveva a dirotto ed il freddo era veramente intenso.

Durante le ore di lezione del Lepre, telefonò ai genitori di lui, raccontando l’accaduto.
Il padre, furibondo, la consigliò di ripartire subito e di piantare in asso “quell’imbecille”.
La madre, invece, pianse e si raccomandò disperatamente alla donna perché
rimanesse, insistendo nel tentativo di farle denunciare Giulia, tramite un amico
avvocato, suo antico amore, che esercitava a Z.

Sveva, in effetti, capiva che avrebbe dovuto andarsene ma, a parte il fatto che al suo
arrivo a casa non avrebbe trovato né cibo, né riscaldamento, né denaro, non aveva la
forza di affrontare da sola il viaggio di ritorno.

Intanto, si recò a trovare Alessandro, un amico giornalista che abitava nei paraggi e si
confidò con lui chiedendogli anche qualche consiglio.

La cordialità della famiglia di costui, che la invitò a rimanere a pranzo a casa sua
insieme al Lepre, riuscì in parte a riportare un po’ di serenità nel rapporto, alterato dai
violenti scontri del giorno precedente, tra i due compagni di viaggio, ma solo per poco.

Il Lepre, in casa di Alessandro e fino al momento di tornare a Z, si comportò quasi come


un innamorato nei confronti di Sveva.
Ma, appena rientrati nello studio-alloggio, alle prime ombre di quel 16 novembre,
l’atmosfera torbida dell’ambiente dovette agire in maniera negativa su di lui, perché,
dopo aver strapazzato e accartocciato alcuni dei lavori quasi terminati, improvvisamente
espresse il desiderio di ripartire subito per T.

Sveva rifiutò decisamente. Era troppo stanca, troppo provata e l’umidità unita al freddo,
le aveva ridestato dolori al petto ed alle spalle.
E rispose al Lepre che avevano un lavoro da fare insieme e che ella avrebbe mantenuto
l’impegno, preso con i genitori di lui, di aiutarlo a preparare la mostra.

Allora egli divenne violento quasi come un drogato in crisi di astinenza e inveì
brutalmente contro di lei, paragonandola a Giulia con aria di disprezzo, perché – disse –
non aveva avuto il coraggio di “ricambiare le botte” quando ella l’aveva aggredita,
lasciandosi malmenare; e la chiamò “pusillanime e priva di carattere”, oltre che
borghese e retrograda.

Sveva, fino a quel momento taciturna e dolorante, ripensando a tutto quello che aveva
dovuto subire dal suo arrivo a Z, riuscì a raccogliere le poche forze rimaste e affibbiò
sulle guance del Lepre due sganassoni talmente poderosi, da fargli oscillare il capo da
sinistra a destra e viceversa come fosse una pallina da ping-pong.

“Ecco….prendi e porta a casa!…Così ti sei beccato anche gli arretrati tuoi e quelli che
avrei voluto dare alla tua amica!…E ricordati che non sono affatto un angelo…anzi…dì
a Giulia di stare lontana da me e di evitare accuratamente di attraversarmi la strada,
altrimenti ti giuro che IO la uccido!
Io non potrei nemmeno concepire di mettermi in competizione con un essere simile! Mi
verrebbe subito da vomitare! Ma potrei benissimo ammazzarla, come si fa con le serpi o
con i topi di fogna…

In quanto a te, smettila di fare l’idiota e comincia a darti da fare, perché la sottoscritta è
stanca di perdere tempo per le tue stronzate!…”

E Sveva sembrava così convinta di tutto quello che aveva detto che il Lepre, dapprima
rimasto di sasso per le sberle, ora sembrava dovesse mettersi a piangere….

Non immaginava sicuramente che anche lei avesse voglia di piangere, per quel
comportamento così lontano dal proprio modo di sentire e di pensare che ella aveva
scelto per necessità e per paura, convinta che fosse l’unica soluzione valida a risolvere
almeno temporaneamente tutti i problemi.

Guardando il Lepre che era pallidissimo e teneva gli occhi imbambolati fissi verso un
unico punto della stanza, ella ripeteva fra sé: “Oh, Dio…è stato come picchiare un
bambino…Era già suonato prima…figuriamoci adesso!…”

Ma, proprio come un bambino castigato e desideroso di farsi perdonare, egli, nei dieci
giorni che seguirono, non accennò più alla partenza; lavorò con lena ed entusiasmo alle
nuove tecniche propostegli da Sveva e fu gentile, premuroso e divertente…

E ogni tanto, ripensando ai potenti manrovesci ricevuti, rideva tutto eccitato ed


esclamava:”Accidenti, che sberle! Lo sai che sei molto più forte tu della mia amica?
Porco cane…che donna…la mia Sveva!…”

Per lei, tutto sommato, furono giorni da ricordare anche se sapeva benissimo che,
appena fosse rientrata a T, egli avrebbe ripreso la sua solita vita dissoluta con la pazza
routine di sempre e le mostra…la mostra?… Chissà!

Ma intanto, il Mostro di Firenze, non aveva più dato segnali di allarme…quasi fosse
assopito, in ibernazione, in attesa di quegli stimoli e di quella carica omicida fatta di
malvagità ed erotismo sfrenato che Morty, ultimamente, non era riuscito a procurarsi!
CAP. XIV° - RIFLESSIONI - E VENNE NATALE
Dicembre 1984

Durante il periodo trascorso a Z, nelle ore in cui il Lepre era a scuola, Sveva aveva
scuriosato qua e là nell’appartamento, scoprendo cose molto interessanti.

C’erano, in un cassetto, alcune lettere che Giulia aveva spedito al Lepre dai mari del
Sud, dove, un po’ di tempo prima, si era recata in vacanza con un altro dei suoi amanti,
un importante e famoso fotografo.
Ella rivolgendosi a Morty, prometteva di spaccargli le mascelle e tagliuzzargli le natiche
“per punizione”, quando sarebbe tornata a Z e firmava con tagli di lametta sulla carta e
goccioline di sangue intorno al proprio nome!

In uno scompartimento dell’armadio, invece, c’era un sacchetto di nylon trasparente


pieno di cianfrusaglie femminili: rossetti, ciprie, profumini, catenine, fermagli ecc…
e, sempre nell’armadio, in un cassetto di fondo, Sveva vide tante fotografie un po’
ingiallite e sciupacchiate, come quelle che si tengono nel portafoglio per ricordare
bambini, parenti ed amici cari.

Le cronache avevano riferito che il “Mostro” spargeva sempre per terra il contenuto
delle borsette delle sue vittime, appropriandosi degli articoli da toilette e delle fotografie
trovate nei portafogli!…
Che anche questa fosse una semplice coincidenza ?
Sveva lo riteneva poco probabile…

Tutto questo, sommato alle 252 piccole composizioni fotografiche che il Lepre le aveva
lasciato in visione dopo il viaggio in Turchia, non faceva altro che accrescere i timori
della donna, divenuta ormai sospettosa e sempre all’erta.

Aveva capito ormai che non avrebbe potuto allentare la guardia, nemmeno per un
istante, se non voleva lasciarsi cogliere alla sprovvista dalla imprevedibilità de Lepre e,
soprattutto, non poteva, in ogni caso, dare segni di debolezza.

Ancora non aveva avuto tempo di esaminare attentamente quelle piccole immagini che
Morty aveva chiamato “Memory” ma, ad una prima occhiata, aveva subito notato quanto
quegli studi fossero particolari.

Già il fatto stesso che egli si fosse ritratto proprio come “il Mostro”in decine di quei
montaggi, addirittura con una svastica al posto del cervello e con due fori di proiettile,
uno sulla guancia destra e l’altro sotto l’orecchio sinistro, i due punti dove il Mostro dava
il colpo di grazia rispettivamente alle femmine e ai maschi, era agghiacciante.

C’erano poi delle file di lettere e di numeri molti significativi: per esempio la ripetizione
per 8 volte della sigla “74 F” seguita da tre numeri sempre diversi ( vedi per 8 le coppie
uccise, 74 l’anno in cui la pistola aveva ripreso a sparare dopo il 1968 – F per Firenze e
i tre numeri che potevano forse indicare la distanza in chilometri colmata dal Mostro per
ogni delitto).

Sveva era convinta che nelle scritte in inglese che corredavano quelle immagini, si
dovesse trovare la chiave di lettura di tutto l’album del Lepre, visto che ella vi aveva
letto già perfino la “motivazione” per cui il Mostro avrebbe ucciso e precisamente:
“START BUTTON - Push down together with Gear Button to start a race!”

XXX

Durante il viaggio di ritorno a T, il Lepre si era mostrato assente e nevrotico, come ogni
volta che si riavvicinava ai genitori; e i suoi pensieri erano persi nel ricordo di Giulia
dalla quale – disse – non aveva intenzione di staccarsi, nonostante tutto quello che era
successo e pur sapendo quali sarebbero state a proposito le decisioni di Sveva

Ella, che era già stata molto esplicita in precedenza, confermò duramente il proprio
parere, guidando distratta e tesa, attraverso un paesaggio denso d’umidità e di brividi.

“Se intendi rivedere Giulia, dovrai rinunciare a me! Se mi darai ascolto e cercherai di
collaborare con impegno e serietà, bene; altrimenti segui la tua strada e , per favore
lasciami andare pacificamente per la mia!”

Ma egli insisteva dicendo di non aver ancora capito il motivo per il quale avrebbe dovuto
rinunciare ad una o all’altra delle due, al che, Sveva, preferì smettere addirittura di
rispondergli e non gli rivolse più la parola fino al loro arrivo a T.

A casa del Lepre, furono subito aggrediti dai genitori di lui che si lagnarono per le
scarse telefonate e rimproverarono soprattutto la donna, perché non gli aveva tenuti
abbastanza al corrente degli sviluppi della situazione.

Ella, che aveva evitato di proposito di telefonare perché le chiacchiere della Mamtide
erano interminabili, con enorme spreco di gettoni, fra l’altro difficili da reperire nella zona
in cui abitava il Lepre a Z, fu molto scocciata e rispose in malo modo.
Non intendeva prestarsi ulteriormente alla pantomime dei tre, visto che, tanto, i suoi
tentativi di far ragionare quell’animale del loro figlio, sembravano completamente vani.

Ora che la malattia era superata e le era tornata la voglia di lavorare, desiderava
frequentare di più i suoi figli e prepararsi a vivere le prossime feste natalizie con la
massima serenità.

XXX

Nei giorni che seguirono, infatti, i rapporti con gli Scorpio si allentarono e Sveva si
sentiva come liberata.
E se non ci fosse stata l’insistenza della Mamtide, la quale le faceva trovare
continuamente bigliettini scritti a matita infilati sotto la porta dell’ingresso, chiedendole
ostinatamente di denunciare Giulia, forse sarebbe anche riuscita a dimenticare tutta la
faccenda e fingere che il Lepre non fosse mai esistito.

Egli era ripartito da solo, preannunciando alla madre che avrebbe rivisto la sua amica il
giorno seguente; e la vecchietta era eccitatissima e cercava disperatamente una
maniera per tenere lontano il figlio da “quella là” che lo voleva rovinare!

Arrivò addirittura a proporre a Sveva una vacanza di fine anno sulla neve insieme al
Lepre che, disse, avrebbe pagato lei per intero e si mise anche a telefonare a destra e a
manca, per trovare il posto adatto!

Ma Sveva sapeva bene che le cose non sarebbero andate secondo i desideri della
“cara” donnina, come sapeva che la mostra era ormai saltata e che i mesi a venire
sarebbero stati freddi e duri per le proprie finanze, senza un solido programma di lavoro
da presentare!

Comunque, si lasciò coinvolgere di nuovo dalla Mamtide a scrivere una lettera ai


“diabolici amanti” del figlio, ossia Giulia e suo marito, per avvertirli che, nel caso il loro
comportamento avesse causato seri danni alla psiche o al fisico del Lepre, già
notevolmente compromessi, ella si riservava di denunciarli e di rivelare tutto quello che
sapeva sul loro conto a chi di dovere.

A seguito di questa missiva, il Lepre telefonò incazzatissimo.


Una serie di telefonate a raffica alle quali la donna non si degnò mai di rispondere,
stanca di tutto quel “casino”e preoccupata soltanto di dover pagare gli affitti e le bollette
della galleria e dell’appartamento, che gli Scorpio avevano promesso di corrisponderle
almeno per i mesi di novembre e dicembre e che invece ora fingevano di aver
dimenticato…

XXX

E venne Natale; come al solito, negli ultimi anni, pieno di problemi.


La vigilia, Sveva era seduta nel piccolo ufficio della sua galleria, stanca e sconvolta per
quell’accavallarsi di avvenimenti negativi e, dietro il paravento, con la testa fra le mani,
tentava invano di trovare una soluzione.

Da molti giorni andava avanti a pancotto e spaghetti conditi male.


Si sentiva vecchia e sporca; non si era più fatta i capelli, che erano stinti e arruffati e,
per di più, stava attraversando i giorni “critici” di ogni mese.

Mentre, così disperata, si lambiccava il cervello, silenziosa come sempre, le apparve


davanti la Mamtide.

Sveva sussultò. Questa presenza che, mai desiderata, s’intrometteva nella sua vita e
pretendeva di dirigerla a modo proprio, era diventata l’incubo dei suoi giorni e delle sue
notti.

“Che c’è?” – Chiese allarmata, asciugandosi gli occhi col dorso della mano.
“C’è che mio figlio ci fa vivere l’inferno!…Mi fa morire!…Ti prego, aiutami!”
“Non so proprio come potrei…Mi sembra di aver fatto tutto quello che mi era possibile e
non è servito.
E poi, ho cose ben più gravi a cui pensare!”

“Come, cose più gravi?…Quali cose?” – Rispose la Mamtide con l’aria scandalizzata
che assumeva ogni volta che qualcuno aveva l’ardire di anteporre altre cose a “suo
figlio”.
Il disappunto le faceva balenare gli occhioni bistrati e i riccioletti penduli ai lati del viso
ondeggiavano increduli sotto la sciarpetta traforata.

“Sono nei guai… un mare di guai …e ci sto sprofondando dentro…anche per merito
vostro!
Dovrei trovare otto milioni in cinque giorni!…Non è certamente uno scherzo!”
Ribadì Sveva molto seccata dall’atteggiamento della donnina.
E scoppiò in un pianto dirotto, perché era arrivata ormai al limite della sopportazione.

“Che sciocchezze!…Ti aiuterà mio marito a risolvere tutto!…Ti ho già detto altre volte
che non ti devi preoccupare…Lui conosce persone influenti.Ti troverà i soldi!
Dai, smettila!…Guarda piuttosto di venire stasera a casa mia, perché IO VOGLIO che
mio figlio la finisca di farci dannare e soltanto se vieni tu lui si calma!…Ci ha minacciati
di ripartire; dice che qui non ha più motivo di restare ed io non vivo più. Sto proprio
male…”

“Non so che farci…Non sono nello spirito adatto.”


“Come? Cosa ti costa salire un momento da noi? Non vorrai farci trascorrere un Natale
da cani?!”

Nonostante il disgusto, Sveva sentì che stava ancora per cedere. L’insistenza della
vecchietta le faceva venire i crampi allo stomaco!
“Dovrei cercare una scusa…magari portarle un regalo!…” – E intanto pensava ai pochi
spiccioli rimasti nel borsellino.
L’indomani avrebbe avuto bisogno di fare benzina per andare a trovare i suoi figli e poi,
in casa, non aveva più niente ; nemmeno il sapone!

Guardò con tristezza una “stella di Natale” rossa che aveva acquistato per abbellire la
galleria e che risplendeva sopra un basamento da sculture. Avrebbe dovuto sacrificare
anche quella.

“Va bene…va bene…troverò un sistema!” – Annuì sospirando. “Ma proprio perché è


Natale e non abbiate a dire che non mi sono voluta prestare per togliervi dal brodo
bollente!” - Si sentiva sfinita.

La Mamtide se ne andò speranzosa ma Sveva, mentre le ore passavano, sentiva


crescere dentro di sé lo spirito della ribellione.
“Perché devo sempre cedere di fronte e questa donna dispotica e noiosa?
Ora dovrò andare; privarmi ancora di qualcosa che mi appartiene per fare contenta
lei…e magari sarò ancora maltrattata da quel pazzo del figlio e rimproverata dal
presuntuoso del marito!…Perché mi sono lasciata convincere?”

Però, si mise a cercare un cartoncino natalizio già usato e ne tagliò via la parte scritta.
Sotto l’illustrazione, appose con la penna biro: “A papà e mamma Scorpio, con l’augurio
che, come ha fatto fiorire questa pianta, Gesù faccia fiorire anche le rape!”
Ed ella voleva alludere così non solo alla “testa di rapa” del Lepre ma anche ai rapini
rinsecchiti che quotidianamente la Mamtide serviva in tavola come contorno.

Poi, trovò un foglio di carta crespata rossa e ricoprì il vaso della piantina, aggiungendovi
pure un bel fiocco lucido (anche questo riciclato) e vi spillò il bigliettino.
Intanto, dopo la visita della strega, in galleria non era entrato più nessuno, pur essendo
la vigilia di Natale; quasi che, uscendo, ella avesse lasciato dietro di sé una malefica e
pestifera scia di veleno!

XXX

A sera, Sveva chiuse tristemente le vetrine e, in macchina, si avviò verso la casa di


Morty.
Andava piano, contro voglia. Il presentimento di cose spiacevoli era tormentoso.

Arrivata, suonò ed attese; la voce stridula della Mamtide, la invitò con sollecitudine
dall’alto delle scale.
“Ma guarda chi c’è…che sorpresa!…Vieni…vieni…Uh, che bello!…Perché ti sei voluta
disturbare? – E intanto si sbracciava in gesti molto eloquenti alzando gli occhi al cielo e
facendo le boccacce.
“Ti prego…entra! Vuoi cenare con noi?”

Il Lepre era in camera sua, con la porta aperta e stava di spalle, con il viso rivolto alla
parete, fingendo di disegnare.
Portava il maglioncino con le greche colorate, i pantaloni con le cerniere e la cintura con
i teschi. Non si mosse di un capello.

La madre continuava la mimica, ammiccando ed alzando le braccia, come disperata.


Il Prof. Scorpio, invece, leggeva il bigliettino.

“Sono passata soltanto per fare gli auguri!…Scusatemi ma devo proprio andare” –
Disse Sveva. E, rivolta al vecchio: “La prego Professore, lo faccia leggere anche a suo
figlio!”

Ella si stava già dirigendo verso l’uscita, ma la Mamtide la prevenne e si piazzò davanti
all’uscio bloccandolo con la propria persona.
“Ehi…figliolo…vieni qui!…Esci di camera…guarda chi c’è!” – E intanto, la strega, non si
scostava dalla porta!

Il Lepre si affacciò dalla camera con aria assente, senza guardare Sveva, mentre il
padre gli ficcava il biglietto in mano.
Egli lo rigirò davanti e dietro, ma non lo lesse ; poi si tastò il moschettone da bovi che
teneva agganciato alla cerniera dei calzoni e fece dietro front senza dire una parola.

La vecchia lasciò momentaneamente la porta per andare a prendere il figlio per un


braccio. “Sei un maleducato!…Lei è venuta a fare gli auguri e tu…nemmeno la saluti!…”
E lo trascinava verso Sveva che tentava disperatamente di aprire la serratura per
scappare via dicendo: “Non importa…non importa!…Buona sera!”

“No no…” – Di nuovo la strega – “Tu non te ne vai, a meno che Mortimer non venga con
te!” – E, rivolta al figlio – “Tu, ora, ti vesti e l’accompagni!”

Sveva protestava: “E’ meglio di no…Sono stanca e voglio andare a lavarmi e a


riposare!…”
Macché…tutto inutile! La vecchia aveva tirato il chiavistello e, afferrato saldamente
Morty gli stava infilando il giubbetto di pelle.
Quindi, visto che Sveva era riuscita finalmente ad aprire ed era già a metà delle scale,
spinse letteralmente giù per i gradini il figliolo sbraitando: “Resta a cena da lei e non
tornare a casa!”

Imbambolato e passivo, il Lepre camminava quasi barcollando dietro alla donna, con il
bavero bianco del giubbetto che gli era rimasto per metà infilato dentro, sopra la spalla
sinistra.
Mentre ella pensava con sgomento alle poche foglie d’insalata che avrebbe dovuto
dividere con lui!

Il cappotto le pesava come un macigno e gli stivali parevano di piombo. Era veramente
la peggior cosa che potesse capitarle, quella sera!

Nessuno dei due apriva bocca. Quando entrarono in casa di Sveva, ella fece cenno al
Lepre di sedersi e, dopo essersi cambiata , sempre in silenzio, mise due piatti sul tavolo
e condì l’insalata.

Fu allora che Morty sbottò: “Grazie, Sveva…grazie! Perché immagino che, a questo
punto, ti dovrei pure ringraziare!” – E lo disse con cattiveria, perché era molto irritato.

Ma la donna non rispose. Fissava il Lepre da cima a fondo; poi cominciò a ridere…e
rise…rise… fino a farsi venire le lacrime agli occhi.

L’assurdità della cosa, il paradosso, potevano avere solo due soluzioni: il pianto o il riso
ed ella aveva scelto la seconda.
Ma il Lepre, come al solito, non aveva capito che si trattava di un riso nervoso e
cominciò ad osservarsi preoccupato dappertutto, pensando che la donna volesse
prenderlo in giro.
Egli aveva abbassato la guardia e Sveva ne approfittò subito per capovolgere la
situazione: “ Come sei buffo quando ti arrabbi!”

Poi ella proseguì: “Penso che tu sia venuto qui soltanto per avere delle spiegazioni.
Cos’è che vuoi sapere?”
“La mia amica dice che non vuole più vedermi perché è stata offesa da te e l’hai
minacciata di non so cosa! La mia amica piangeva per colpa tua e mi ha detto che devo
scegliere fra lei e te!”

“Non ho più visto né sentito Giulia da quella volta che mi ha preso a schiaffi a casa tua
e, per il rimanente, tu hai già scelto dal momento che sei rimasto in contatto con i tuoi
cari amici. Se stai bene con loro, restaci!
Però, se vuoi sapere cosa ho scritto a loro, questa è la copia della mia lettera, che ho
fatto recapitare anche ad un mio legale di fiducia!
Leggila attentamente e, se trovi una sola parola che non corrisponda alla verità, dico
una sola parola, mi potrai fare ingoiare tutti i fogli! Se invece, tutto corrisponde, esci
subito da rompermi i corbelli e non farti vedere mai più!

Bada, io non ho nessuna paura di rivelare i vostri sudici affari! Perché, invece di andare
all’estero, nei bordelli, dove la tua amica si fa sedici uomini in un giorno per farti piacere,
non vi mettete a fare sesso sulla pubblica piazza, o magari a scuola, dove insegnate tu
e Giulia?

O anche negli uffici della ditta o nei salotti bene, dove lavora e si muove il tuo manager
del cacchio, di fronte a chi lo stima e gli dà i soldi da andare a spendere con i ragazzini,
per le sue porcherie!”

Il Lepre stava sfogliando lo scritto e le sue lunghe dita, con i teschi degli anelli che
brillavano sotto la luce della lampada, denunciavano il suo nervosismo.

Disse soltanto:“Cos’è questo linguaggio di merda che hai usato? Cos’è questa cosa
squallida? Non ti sei accorta di come hai scritto?” –Il Lepre alludeva al linguaggio
burocratico usato dalla donna che, avendo venduto pubblicazioni legali, conosceva
qualcosa dei codici, il civile ed il penale.

“Soltanto quello che resta di tutta la vicenda, spogliata degli orpelli, senza le
infiocchettature della tua sporca fantasia! Come quello che resterebbe di te, una volta
che ti fossi tolto di dosso tutti quei fronzoli!” – Esclamò Sveva, proprio con l’intento di
ferirlo, di toglierselo di torno!
Il Lepre si era zittito di nuovo. Quindi allungò il labbro superiore e se ne andò sbattendo
la porta. Ma era rimasto scosso.

Ella, invece, si gettò bocconi sul letto gelido, di traverso, completamente svuotata e
stroncata. Mentre le campane, fuori, spargevano allegrezza nei cuori di coloro che si
dirigevano verso le chiese addobbate di luci e di fiori.

Fiori rossi e vivi, come le macchie del sangue con il quale il Lepre aveva “forse”
imbrattato i giorni più caldi della propria esasperata giovinezza.

XXX

La mattina di Natale, Sveva si destò tardi, con le palpebre che sembravano albiccocche
per il troppo piangere ed un trapano che le ronzava nel cervello.

I suoi ragazzi, a quell’ora, sarebbero stati già ai fornelli per preparare il pranzo e lei era
sempre lì a brancolare tra gli abiti da indossare e a cercare di trattenere nuove lacrime
che, ormai senza controllo, ricominciavano a fluire.

Infine partì, inforcando gli occhialoni scuri. Per il gonfiore agli occhi, avrebbe dato la
colpa ad un insistente mal di testa, seguito ad una infreddatura.

In compenso, dopo un po’, il sorriso dei suoi figli era riuscito a consolarla.
Era così bello trovarsi con loro!
Si erano fatti veramente onore, in cucina; ed il buon pasto abbondante, prometteva un
certo relax. Ma, erano ancora al risotto, quando squillò il telefono.
“La solita rottura di palle!”- Annunciò il figlio minore che era andato a rispondere.

La Mamtide squittiva dall’altra parte del filo.


“Mio figlio è uscito di casa e non è ancora rientrato. Come mai?…Cosa ti ha detto? Che
cosa ha fatto?…E tu gli dovevi dire quello…e tu gli dovevi rispondere quest’altro…”
E così per trenta minuti abbondanti di tortura, mentre Sveva la supplicava inutilmente di
farla finita!

Addio risotto di pesce!...Concerto in T.V. - …Addio pace, volatizzata…sparita..nel nulla!


Sveva non riuscì più a mangiare né a calmarsi, perché le lacrime avevano ricominciato
a scendere spontaneamente e finivano nel piatto, tra le occhiate perplesse dei suoi
familiari.

Alle 16 era già ripartita, per andare a rintanarsi tra le lenzuola. Ma, invece di dormire,
ripercorse con la mente tutti gli ultimi Natali della sua vita, a partire dall’anno in cui
era morta la sua figlioccia diciottenne che ella aveva amato come una figlia vera...
Da allora, ogni Natale le aveva portato soltanto lutti, abbandoni, delusioni e miseria.

Ed ora si trovava senza salute e senza un soldo alla mercè di una famiglia di pazzi che
pretendevano di gestire la sua vita a modo loro!
E, in più, c’era lo spettro di Giulia che, da lontano, si faceva beffe di tutto questo,
consapevole del proprio malvagio potere!
Che schifo!

XXX

Erano le dieci di sera quando una scampanellata prepotente, a lei ben nota, la fece
sussultare.
Il Lepre, come se niente fosse accaduto, le chiedeva di accompagnarlo a “fare un giro”
in macchina perché aveva bisogno di parlarle…

La donna si fece coraggio e scese…ma…invece di parlare, ambedue non accennarono


una sillaba per qualche chilometro, nell’angusto abitacolo della Mini.
Finché egli decise di fermarsi e accompagnò Sveva in un bar per “ingozzarla”
letteralmente di cioccolatini, perché “sorridesse ed abbandonasse quell’aria da
funerale…”

Ed ella capì allora che, bene o male, non avendo al momento alcuna risorsa, sarebbe
stato meglio stringere i denti e sopportare ancora un po’.
CAP. XV° - COSE DA PAZZI !
Gennaio – febbraio e marzo 1985

Nei giorni che seguirono, il Lepre riprese a lavorare di gran lena.


Andava da Sveva, in galleria, e si metteva a dipingere nel piccolo ufficio, dietro la
saletta delle mostre.

La donna ascoltava le sue chiacchiere e cercava di dargli buoni consigli, per distoglierlo
dagli argomenti da lui preferiti.
“Cerca di affrontare temi meno crudi!…La gente ha già tanti pensieri e tanto
dolore…Non ama avere davanti agli occhi immagini indisponenti. Possibile che tu non
riesca a capire!”

Così, dopo un po’, sui grandi fogli che il Lepre stendeva sul tavolo, cominciarono a
fiorire stupende composizioni variopinte, non più frazionate, come prima, ma armoniose
e ben costruite tra gli spazi meditati ed equilibrati .

Sotto il pennello veloce, la donna vedeva sbocciare le più belle promesse che mai
avrebbe sperato.
Era come un miracolo, che compensava in parte le angosce degli ultimi mesi.
Però la serenità della donna ebbe breve durata.
Dopo alcuni giorni, egli si rintanò di nuovo.

“Non mi va di lavorare dove viene gente!” – Disse.


E se ne stette a dipingere per conto proprio, nella torbida atmosfera della sua casa.

Si tagliuzzò di nuovo peli e capelli e si ricaricò di orpelli e di fibbiette.

XXX

Faceva un gran freddo. La neve, caduta abbondantemente, aveva stretto la città e le


campagne limitrofe in una morsa gelata.
Così la galleria rimase chiusa di nuovo e i debiti si accumularono sempre di più.

I genitori del Lepre non avevano mantenuto nemmeno questa volta la promessa di
“trovare il denaro” per Sveva, che si era dovuta arrangiare chiedendo brevi proroghe.

“Non prendertela..non ci pensare!…Quando riscuoto, te lo pago io l’affitto!” Ripeteva


sempre il Lepre.
Invece, i suoi soldi se ne andarono in un attimo, allorché, entusiasta per le abbondanti
nevicate, volle uscire in macchina, di sera, per fare i soliti “giri”.

Non contento dell’ottima cena a base di farro che avevano consumato insieme in un
piccolo ed accogliente locale, aveva tentato una “notte brava” da perfetto teppista sul
lungomare, intraprendendo una pazza gincana tra le aiuole e le panchine e usando la
macchina come slittino, nonostante le ammonizioni di Sveva che cercava di convincerlo
a rientrare.

Così, dopo aver semidistrutto le aiuole e divelto steccati, era andato a cozzare
violentemente contro un albero.
“Bello!” – Aveva urlato il Lepre.
“Bello un corno!”- Aveva ribattuto la donna, che, fra l’altro, aveva visto il tronco
dell’albero, fortunatamente flessibile e abbastanza sottile, proprio davanti al suo naso.

XXX

Come se non bastasse, il giorno dopo venne anche maltrattata dagli Scorpio perché
non era riuscita a dissuadere Morty dal “fattaccio”, che sarebbe costato, in riparazioni
della macchina, la cifra esatta che doveva servire a pagarle l’affitto.

Sveva; adesso, non sapeva proprio cos’altro inventare per ottenere nuovi rinvii.
Per fortuna, durante il periodo di Carnevale riuscì a racimolare qualcosa per sanare i
debiti più pressanti.
Ma, il giorno in cui doveva consegnare il denaro al proprietario del fondo della galleria,
manco a farlo apposta, le rubarono il borsellino, con tutti i suoi averi, proprio mentre
mostrava alcuni quadri a dei clienti piuttosto sospetti.

Di nuovo, disperazione e sconforto.


C’era un’ultima chance da poter tentare: l’Expo-Arte di Bari, che si sarebbe svolta di lì a
poco.

Sveva decise di partire, se avesse trovato i soldi per il viaggio; pertanto caricò sulla
macchina un certo numero di piccoli quadri e di grafiche di autori diversi e, in una
mattinata, facendo alcune visite a domicilio tra i suoi migliori clienti, riuscì ad ottenere
abbastanza per un pieno di benzina e per qualche pasto modesto, senza pretese.

Il Lepre si era offerto per accompagnarla.


Così, il 5 marzo, partirono di pomeriggio facendo sosta a Roma per dormire un po’sui
sedili della Renault di Sveva; e il giorno 6 erano a Bari, nello stand dei Piccinni, i quali li
accoglievano sempre con piacere.

Morty però non era soddisfatto, non abituato a viaggiare in economia, con la
consuetudine di sperperare acquistando qualsiasi cosa gli venisse in mente.
E Sveva si accorse ben presto quanto fosse difficile tentare delle vendite, senza avere i
regolari permessi ed un proprio stand, come lo aveva preso nell’ottantadue, insieme ad
Osvaldo.

Pertanto, considerato che l’iniziativa non avrebbe dato i risultati sperati, i due decisero
di ripartire il giorno seguente, prima di sprecare quanto rimaneva ancora alla donna
delle vendite fatte a domicilio; e che sarebbe servito, giusto giusto, per l’affitto arretrato.

Ma, ahimè, la sorte era davvero crudele con Sveva, la quale, ad un mese esatto dal
precedente furto in galleria, venne scippata a Bari, proprio nell’atto di salire in macchina
per ritornare a casa.

Questa volta, non solo del borsellino ma della borsa con tutto il contenuto, compresi i
pochi gioielli che ella non aveva voluto lasciare a casa, ( proprio per paura dei ladri) e
gli occhiali “buoni” del Lepre, che egli vi aveva riposto perché non gli entravano nelle
tasche dei calzoni..

XXX

Stavolta la donna andò fuori dalla grazia di Dio e, nauseata da tutto quanto le stava
capitando, compreso il comportamento di Morty che aveva assistito impassibile allo
scippo , senza nemmeno cercare di reagire, se la prese con lui, convinta che tutte le
disgrazie che le stavano piovendo sul groppone, derivassero da una sorta di iella che
egli le aveva trasmesso o da qualche”fattura” malefica da parte della perfida Giulia.

“Sei tu che mi porti sfortuna, con la tua malvagità e con tutti quei teschi che ti porti
indosso! Tu, che continui a masturbarti sulle foto oscene della tua amica stronza e
conservi i suoi regali come cose preziose, compresi gli strumenti di tortura e i cazzi
finti!…

Giuri di aver interrotto i rapporti con lei, ma non è vero!


Sei sempre in comunione con il suo spirito, tramite le sue immagini e le sue memorie!”

“Ma davvero sei convinta di quello che dici? Pensi davvero che sia per questo, che ne
succedono di tutti i colori?”
“Certo! Tutte queste disgrazie che mi capitano da quando ti ho conosciuto!…Cos’è? Sei
dannato?…Mi hai dato il malocchio?!”

“Guarda…se dici che è così…guarda!” – E il Lepre cominciò a sfilarsi rapidamente gli


anelli dalle dita e li gettò, uno dopo l’altro, dal finestrino.
Poi si sfilò la cintura (soltanto quella aveva diciotto teschietti) e la lanciò fuori .

“Ed ora” –disse – “quando tornerò la prossima volta da Z , porterò tutta la roba che mi
ha regalato Giulia e la butteremo via insieme…foto, dischi, mutandine e lenzuola!
Che ne dici gattona…eh…ti piace l’idea?”

Sveva, che non si era aspettata una reazione del genere, ora stava ridendo…
“Vuoi vedere che questo qui forse sta cambiando veramente!…Tutto sommato, se si
comporta così, può essere segno che almeno il desiderio di migliorare non gli manca!”

“Bravo!…Ora sì che mi piaci!…E se penserai meno alle cazzate e più al tuo lavoro,
vedrai che belle cose faremo insieme!”
Ella, mentre pensava che ora, sicuramente, avrebbe dovuto lasciare anche la galleria e
magari cambiare pure mestiere, sperava però che, se il Lepre si fosse comportato
onestamente, avrebbe potuto organizzargli comunque una bella mostra;
magari con l’aiuto di un Ente pubblico ed anche in un ambiente prestigioso!

L’incubo di trovarsi a tu per tu con il “mostro”, si era momentaneamente allontanato


dalla sua mente ed era riuscita perfino a riderci sopra…Cose veramente da pazzi!

XXX

Era una di quelle sere in cui il mare, stanco di starsene al di là del molo, cercava di
spingersi oltre il porticciolo, oltre i pini, per spruzzare di schiuma sabbiosa le case
calcinose dei vageri, aiutato da una tramontana tagliente che sferzava le gambe e
faceva slittare le gomme delle auto in sosta sulle banchine.

Il Lepre, appena arrivato da Z , era corso a casa a prendere la sua macchinina e, con
Sveva, si era recato a casa di conoscenti che avevano invitato a cena i suoi genitori.

“Io verrò più tardi, con “una mia amica”, aveva specificato ai due sposi, ex allievi del
papà.

Era tutto agitato. Aveva portato, in due borse di nylon, pacchi di fotografie sconce
scattate da lui e da Giulia nel corso dei cinque anni di relazione.
In più, una coppia di lenzuola rosa ed alcune paia di mutandine e di reggiseni di tulle,
eterei trofei delle loro battaglie d’amore.

Le due borse, attendevano nel portabagagli di essere svuotate del loro contenuto
“scottante”, che avrebbe dovuto essere “bruciato”, come aveva suggerito Sveva.

Ma, terminata la cena, quando i due uscirono per andare ad eseguire quanto era
programmato, la serata non si prestava minimamente ai falò, anzi: la fiammella
dell’accendino, voltando la testina rossa in segno di diniego, si rifiutava di appiccare il
fuoco a qualsiasi cosa.

Perfino le stelle e la luna si erano nascoste, forse in qualche nera spelonca dove il
vento non potesse arrivare a scompigliarne i luminosi capelli.

“Tempo da lupi” – avrebbe detto Sveva se, invece che a due passi dal mare, si fossero
trovati in montagna, vicino a qualche baita isolata, simile a quella che avrebbe dovuto
ospitarli per l’ultimo dell’anno, ormai lontano nel ricordo.

Così, decisero di buttare tutto nel porto e il Lepre, sempre più eccitato, tolse dalla
bauliera le borse, una rossa e l’altra gialla, aprendole con difficoltà, perché aveva le
mani intirizzite.

“Tira bene il freno!” – Gli gridava intanto la donna, osservando come il vento riuscisse a
spostare la macchinina, ferma vicino ai paranchi.
Il foulard di Sveva sventolava violentemente e un miscuglio di acqua e sabbia le
pungeva le palpebre, costringendola a tenere gli occhi quasi chiusi.

Attraverso la luce dei fari, gli spruzzi brillavano in aria come manciate di diamanti e
l’acqua del porticciolo s’increspava in migliaia di collinette che mutavano continuamente
forma e dimensione; e luccicavano inseguendosi l’una con l’altra, sotto i lampioni
allineati lungo il molo.

Le prime foto, sfuggirono dalle dita del Lepre, andandosi a perdere lontano.
“Strappale…strappale!” – Gridava la donna per farsi sentire.
“Non lasciarle intere!…Qualcuno potrebbe ripescarle e riconoscerti!

Morty cominciò a strappare le foto in tanti piccoli pezzi e a gettarle in acqua. Erano
almeno un centinaio di immagini, più svariati spezzoni di negativi a colori e molte
diapositive.
Sveva, con la coda dell’occhio, cercava di sbirciare le foto, prima che lui le facesse a
pezzetti: le natiche, i seni, i piedi di Giulia, straripavano dappertutto.

Dagli shorts rosso fuoco, dalle mutandine rosa-fucsia, da ogni e per ogni dove,
inseguite dal fallo leporino onnipresente e perennemente in erezione, sostenuto dalle
mani inanellate del Lepre medesimo o dai legacci che Giulia vi aveva arrotolato intorno,
più o meno nel modo in cui si legano i salamini.

A mano a mano che i pezzi delle foto e delle pellicole cadevano in mare, il moto delle
piccole onde increspate li portava subito al largo, lasciando spazio per i pezzi seguenti,
che si distribuivano sulla superficie con regolarità, distanziandosi l’uno dall’altro e
disponendosi a ventaglio.

Ed in breve, ogni increspatura ebbe il suo pezzo di cartoncino o di pellicola a colori.


Quindi, a finire in acqua, fu la volta delle lenzuola rosa, degli slips di Giulia, dei
reggiseni di Giulia…

Le lenzuola si gonfiarono a mo’ di paracadute, i reggiseni come palloncini di gomma e,


mentre il tutto danzava tra le rade imbarcazioni ormeggiate, allontanandosi
velocemente nel vento, il Lepre abbracciava Sveva sbaciucchiandola sulle tempie,
all’attaccatura dei capelli, dicendole a muso lungo, come un bimbo che avesse dovuto
separarsi dai suoi giocattoli preferiti:
“Sarai contenta…ora che non potrò più masturbarmi su quelle foto!…”

Sveva rideva felice, anche se l’aria fredda, entrandole nei bronchi e nei polmoni, le
procurava sofferenza.

Infine, osservando lo spettacolo di quelle foto ballerine, paracadutate da un aereo


carico di sogni e di speranze ma sballottato dalla tempesta, si lasciò sfuggire:
“Sai come saranno contenti stanotte i pesci sega! Chissà che movimento…che
festa..sotto l’acqua!”

E allora rise di cuore anche il Lepre e continuarono ambedue a ridere per tutta la strada
del ritorno fino all’alloggio di Sveva, dove i sonagli cinesi appesi in aria dalla donna e gli
uccellini di paglia colorata, attaccati al lampadario dal Lepre, li avrebbero accolti pure
essi con allegria.
CAP. XVI° - PERIPEZIE IN TOSCANA
Aprile, maggio e giugno 1985

Con il ritorno della primavera, Sveva fu costretta ad abbandonare definitivamente anche


la galleria, dato che gli Scorpio, soprattutto il Lepre, invece di aiutarla , cercavano di
dissuaderla dal mantenere un impegno che, a loro, non sembrava conveniente.

“Tu sei sprecata in questa zona e, con gli artisti che frequenti, meglio se lasci tutto e
segui Mortimer a Z, così potrai conoscere gente che conta e potrai lavorare con lui,
introdurlo nelle gallerie ed organizzargli le mostre!”

“Quand’è che ti decidi a venire con me?…Quando me lo fai il contratto?…Dov’è che mi


organizzi una bella mostra?..” – Ripeteva continuamente il Lepre. E si raccomandava a
lei perché le trovasse un nuovo studio, poiché per il vecchio aveva ricevuto lo sfratto,
consigliandola di affittare qualcosa insieme a lui, “uno spazio grande” – diceva – per
poter lavorare bene e in tranquillità.

In quel periodo, si era messo a lavorare sodo e si comportava molto affettuosamente


con Sveva, anche se, ogni tanto, dava in escandescenze, quasi sempre per via dei
genitori che pretendevano di controllarne tutte le spese e tutte le mosse.

La donna rimaneva però molto perplessa sul fatto di andare a stare insieme, pure se
egli giurava e spergiurava di non avere più alcun rapporto con Giulia e con il marito di
lei!

In effetti ultimamente egli le dimostrava un grande attaccamento, tanto da convincerla


ad organizzargli alcune cose molto importanti.
Mostre collettive e personali, presentazioni su riviste qualificate e “la grande mostra
antologica” da tempo desiderata, presso uno spazio adeguato di proprietà di un Ente
pubblico, da allestire nel mese di agosto.

Sveva stava rischiando molto assumendosi delle responsabilità per conto di persone
che in effetti non le offrivano molte garanzie, ma era entusiasta per il lavoro che ella ed
il Lepre portavano avanti in coppia.
Tanto che finì per farsi coinvolgere più del dovuto, anche se cercò di chiarire bene con
gli Scorpio fino a che punto fossero disposti ad investire economicamente sul lavoro del
figlio, per non ritrovarsi poi nei guai, come era successo per Osvaldo.

“Non vorrai per caso paragonare me e mio marito con certe persone! “ – Aveva
osservato la Mamtide inorridita, come già aveva fatto altre volte.
“Se mio marito ti dà una parola, stai tranquilla che la manterrà!…Puoi anche non avere
fiducia in mio figlio…ma nel Professore!”

Invece Sveva non era affatto tranquilla e ne aveva ben donde, dato che già si stava
accorgendo della crescente gelosia della vecchia nei suoi confronti, maturata
soprattutto dacché il figlio aveva cominciato a seguirne sempre i consigli ed a passare
con lei quasi tutto il suo tempo libero, spendendo in trasferte e in materiale per la
preparazione della mostra, più di quanto la madre avesse desiderato.

Infatti, non appena Sveva ebbe trovato un ambiente grande e confortevole dove poter
lavorare insieme al Lepre, lontano però dalla intromissione continua e dai frequenti
controlli della Mamtide, la seconda iniziò una tattica di “demolizione” contro la prima,
criticandone apertamente ed aspramente il modo di agire ed accusandola di far
“stancare” suo figlio, quasi volesse incolpare la donna di “consumarglielo” chissà con
quali nefandezze!

“Non te la prendere!…Tanto io sono con te…io ti difendo!” – Diceva il Lepre.


Ma intanto cominciava ad osservare che “Giulia gli preparava sempre da mangiare delle
belle bistecche…che Giulia gli faceva sempre dei regali…che presto sarebbero arrivate
le vacanze e che, quest’anno, non sarebbe partito con Giulia per andarsi a
divertire…per via della mostra di agosto…”

XXX

Sveva, la quale lavorava più di Morty, stancandosi più di lui e mangiando meno e
peggio di lui, sentiva come il proprio lavoro venisse ingiustamente valutato e
ricompensato.

Tuttavia, orgogliosa dei risultati ottenuti dal Lepre e ostinata nel cercare di tenerlo
lontano da pericolose ed inquietanti trame, ( infatti del Mostro al momento non c’erano
state più notizie) perseverava non curandosi degli attacchi della strega, che divenivano
sempre più duri ogni qualvolta suo figlio voleva condurre Sveva a pranzo “in famiglia”.

In quelle occasioni, la Mamtide cominciava a sottolineare il fatto che il figlio avrebbe


dovuto “prendere moglie”, desiderando tanto un nipotino…Che c’era un’amica di Morty,
professoressa, che gli telefonava sempre e, “quell’imbecille”, non andava mai a
trovarla…C’era perfino una vedovella…tanto carina…amica del papà…che sarebbe
stata proprio un buon partito…oltretutto piena di soldi!”
E così, facendo allusioni all’età di Sveva, alla miseria della medesima, alla sua scarsa
salute e al fatto che il figlio “si era esaurito” da poi che lavorava con lei, pensava di
trovarsi di fronte ad una sprovveduta che si sarebbe lasciata menare per il naso
impunemente.

Mentre la donna ritornava col pensiero a quante volte Morty aveva accusato la madre di
avergli messo una donna accanto, per poi allontanarla quando questa non le sarebbe
più servita; e lo ammoniva dicendogli:
“Guarda, se tua madre fa di tutto per staccarti da me, ora che ti ho messo il piatto
pronto in tavola, potrebbe anche riuscire nell’intento, ma non creda di passarsela tanto
liscia, dopo…”

“Hai ragione!…Ci penso io!…Non preoccuparti…ci penso io!”- Ma invece Morty


ricominciava a pensare soltanto a sé stesso, si faceva sempre più svogliato e
malediceva il giorno in cui si era detto disponibile per tutte le mostre che erano in
programma.

XXX

Sveva era amica di un giovane critico d’arte, molto bravo e stimato nell’ambiente e
l’aveva invitato a visitare la casa e lo studio del Lepre allo scopo di fargli scrivere una
presentazione per le prossime mostre del giovane.

La sera in cui egli arrivò a casa degli Scorpio, la Mamtide inscenò una mezza tragedia,
cercando addirittura di cacciarlo via, soltanto perché l’invito non era partito direttamente
da lei e rovinando già sul nascere un rapporto che avrebbe potuto rivelarsi molto
importante in futuro.

Comunque egli fu comprensivo e, dopo aver esaminato attentamente tutti i lavori che
Morty aveva a disposizione, lo invitò addirittura a partecipare ad una mostra nazionale,
selettiva ed assai prestigiosa, che si sarebbe tenuta nel mese di giugno in un antico
chiostro, nel cuore della Toscana.

Una delle cose che interessarono maggiormente il critico, durante quella sua visita allo
studio del Lepre, furono i cartoni , tutti intagliati, che Morty aveva preparato anni prima,
per eseguire pitture con la tecnica dell’aerografo.

Disse che nessuno degli artisti di sua conoscenza aveva mai dimostrato un’abilità così
“mostruosa” nell’usare il “taglierino” e che quei cartoni erano cose preziose, da
conservare con cura, quali passi importanti nel curriculum artistico del Lepre.
Nessuno allora avrebbe pensato che, invece,l’autore li avrebbe ben presto distrutti
completamente, forse temendo che potessero costituire una “prova” a suo carico
nell’eventualità di un’indagine sul proprio operato….

XXX

L’esposizione di giugno nel chiostro di SM, fu un duro lavoro per Sveva, che si ritrovò a
fare lavori da falegname, quasi sdraiata sul pavimento nel tentativo di inchiodare i telai
di legno necessari al montaggio delle opere del Lepre, mentre egli sfarfallava
mettendosi in posa davanti a coloro che assistevano alle operazioni e sbagliava quattro
martellate su cinque.

Era tutto preso a pavoneggiarsi per quanti venivano a sbirciare i suoi lavori e lo
elogiavano per il numero considerevole di immagini, assai notevoli, che sarebbero state
esposte.

Per aiutarlo a realizzare e plastificare quelle immagini, Sveva si era di nuovo recata a Z,
insieme a lui e, per alcuni lunghissimi giorni, grondando sudore da tutti i pori, aveva
maneggiato carta e plastica adesiva in continuazione, oltre a curare i pasti e lavare le
camicie ed i calzini dell’amico.

Ed ora, veniva lasciata da sola a finire l’allestimento ed a provvedere alle pulizie dello
stand, mentre egli, tutto euforico per l’interesse destato, se ne andava a casa a
prendere i genitori ed a cambiarsi d’abito per l’inaugurazione.

Quando, dopo qualche ora, i tre Scorpio arrivarono, Morty, questa volta tutto vestito di
bianco e adorno delle solite cerniere, dai polpacci alle spalle, prima accompagnò
mammà in cerca di un ristorante che potesse prepararle i cibi particolari, sempre gli
stessi, che ella pretendeva in ogni circostanza; poi si mise a cavalcioni sul muretto del
chiostro, attendendo con ansia l’arrivo di Elisabetta, la sua amica modella di
Montecatini, che egli dichiarò di aver invitata per la cerimonia.

Ma questa non si fece vedere, con grande disappunto dell’intera famiglia del Lepre,
che, per un bel po’ ne magnificò la bellezza e gli altri pregi…

Inoltre, la Mamtide che si era messa in lungo, tutta in bianco e rosa, con scialletto
traforato e sandaletti con taccone, si lamentò per tutta la sera sentendosi “sprecata”
lassù, senza una poltrona sulla quale sedere e nemmeno una bottiglia di spumante!

“Questa mostra è una schifezza!” – Dichiarò con convinzione. E, al braccio di Sveva


che dovette sorreggerla per evitare che inciampasse ad ogni passo nelle pietre
sconnesse del selciato, volle abbandonare prestissimo la compagnia degli artisti ( tra i
quali era anche Osvaldo) e dei numerosi presenti, perché “stanchissima e stufa”.

Durante il viaggio di ritorno a casa, sulla macchinina del Lepre, accusò Sveva perfino di
essere “troppo pesante”, tanto da far cigolare le “sospensioni” e la costrinse a cambiare
di posto un paio di volte.
Infine, giunti a T, pretese che il figlio si ritirasse subito per andare a dormire, perché,
disse, era troppo “provato” per rimanere ancora fuori.

XXX

Dopo tre giorni, nei quali il Lepre non si era fatto più vivo, Sveva seppe che era stato
denunciato, con ben quattro denunce, per avere esposto a SM immagini ritenute
pornografiche e contrarie alla decenza, con il risultato che alcuni dei suoi lavori erano
stati tolti dai pannelli dello stand.

Sveva l’aveva ammonito, a proposito, a non portare quelle pitture incriminate che
anch’ella non riteneva adatte ad una esposizione in un luogo “sacro”, ma egli non le
aveva dato ascolto, dicendo che i “falli” presenti nelle immagini di cui sopra, erano
dipinti in modo da sembrare dei gelati alla fragola e al limone e nessuno ci avrebbe fatto
caso!

E Leone Scorpio, ora tuonava nel telefono contro la povera Sveva come al solito:
“ E’ colpa tua!…Dovevi impedirglielo di esporre quella roba… a tutti i costi!”
Come se la donna fosse la “governante” responsabile di un bambino dispettoso e
disubbidiente, affidatole dai genitori incapaci di tenerlo a freno!

Al che, la donna, dovette, come sempre, cercare di ammansire le ire del


Professore,recandosi con il Lepre nella caserma di SM, a perorare animosamente la
causa dello sciagurato compagno, il quale, “furbo, veloce ed intelligente” come si
diceva, mancò poco che se la facesse sotto e tentò, in ogni modo, di mettere subito a
tacere la cosa.

XXX

Il suo modo di fare, però, di fronte al Maresciallo dei carabinieri, aveva insospettito la
donna che da tempo cercava di allontanare dalla mente le supposizioni relative alla
somiglianza dell’amico con il Mostro di Firenze.
Egli si dimostrava spesso addirittura terrorizzato in presenza della polizia…come se
avesse davvero qualcosa di molto grave da nascondere…

Sveva che era riuscita ad abituare il Lepre al lavoro, cercando di tenerlo sempre
occupato anche fisicamente, costringendolo a volte a rimuovere mobili, portare pesi,
caricare e scaricare quadri ,ecc…. aveva avuto la soddisfazione di notare, giorno dopo
giorno, i mutamenti positivi avvenuti in lui.

Le sue spalle si erano allargate, la sua pelle si era schiarita ed aveva acquisito
elasticità; il suo carattere si era fortificato e addolcito e , senza bisogno di tutte le pillole
che sua madre gli faceva buttar giù sei volte al giorno, aveva guadagnato in mascolinità
ed era più spontaneo, meno complicato.

Alla donna sembrava che il “masochismo” di Morty fosse ormai divenuto una posa, da
rispolverare ogni tanto solamente per sentirsi “diverso”.
E il rapporto che si era creato fra loro era , tutto sommato, abbastanza buono.

Qualche crisi depressiva si era risolta ben presto per la schiettezza e l’umorismo di lei
e, passato il momento peggiore, egli l’aveva sempre gratificata con un bel sorriso
dichiarandole:
“Come si può litigare con te?!…Sei troppo forte!…Tu sai sempre come fare e cosa
dire…Tu comanda, che io ubbidisco…tanto sei sempre tu la mia padrona…E poi…io
con te mi diverto più che andare al cinema!…”

E, ogni tanto, si entusiasmava anche per quello che ella stava scrivendo e la pregava di
“fare un libro” dedicato a lui.
“Dovresti raccontare la nostra storia…sì, perché noi faremo storia, gattona mia!…
Siamo una coppia inimitabile!…Insieme gliela faremo vedere a tutte queste facce di
merda che ci stanno intorno!…Faremo epoca!…Faremo la moda!…”
Al che Sveva si metteva a ridere, pensando che, se tutti avessero indossato quello che
si mettevano di solito loro due, il mondo sarebbe diventato molto, molto buffo!

XXX

Ora però, per i troppi rimbrotti dei genitori, ricominciava ad innervosirsi ed a ricorrere ai
farmaci, denunciando tendenze e desideri che spaventavano la donna, e, forse anche
per il caldo incipiente, presentava sonnolenza ed apatia.

Proprio durante uno dei viaggi al chiostro si era scontrato verbalmente con Sveva e si
era lasciato andare a reazioni piuttosto violente, dapprima colpendola con una gomitata
al braccio sinistro, poi, giunti a casa di lei, lanciando contro una parete del soggiorno un
piatto contenente la cena che ella aveva preparato per tutti e due.

Al che, ella, senza battere ciglio, nonostante il tremore interno , per evitare chissà quali
sgradevoli sviluppi, aveva afferrato scopa e segatura e, sempre in silenzio, si era messa
a raccogliere i cocci.

La scena recitata da lui era stata addirittura disgustosa e le imprecazioni e le accuse


erano andate avanti a ruota libera ancora per un bel pezzo, finché Sveva, riacquistata
fermezza e la completa padronanza di sé gli aveva intimato duramente di sparire per
sempre.

Ma egli, il mattino seguente, era di nuovo a bussare alla porta con i fiori e le paste in
mano per chiederle scusa, pensando che la cosa si sarebbe dissolta in una bolla di
sapone.
Mentre lei cominciava veramente ad avere paura e voleva davvero troncare ogni
rapporto, prima di arrivare a conclusioni ben più traumatizzanti.

Così, in un momento di calma, provò ad affrontare l’argomento, chiedendo al Lepre se,


ora che ella gli aveva praticamente già organizzato tutto, poteva ritirarsi dall’impegno,
adducendo stanchezza e necessità di intraprendere un lavoro diverso, che potesse
procurarle introiti immediati e sicuri, visto che , da casa Scorpio non arrivava mai una
lira e che ella, per tirare avanti, doveva sacrificare sempre più spesso, oggetti personali
di un certo valore e, affettivamente, molto importanti.

“Tanto” – gli disse – “ tua madre qui non ti manda perché dice che c’è umidità e i tuoi
lavori si sciupano! Inoltre tu non pensi ad altro che ai viaggi che quest’anno non puoi
fare…e ti arrovelli dalla rabbia, non lasciandomi alcuna speranza che arriverai alla
mostra di agosto in condizioni ideali per garantirne la messa a punto.

Per me, invece, ora che la stagione balneare è ancora agli inizi, non dovrebbe essere
difficile trovare qualche lavoro più remunerativo e sicuro!”

Ma il Lepre, cominciò subito a dare in escandescenze e a gridare: “No!…Tu mi devi fare


la mostra!…Hai capito bene?!…E solo dopo farai quello che ti pare!…Anzi…faremo
quello che ci pare…perché anch’io ho bisogno di curarmi…e non posso stare qui ad
aiutarti, ora che non hai più nemmeno la macchina e dovrei accompagnarti qua e là.

Mia madre qui non mi manda, perché non hai il telefono e non mi può controllare come
vorrebbe…e poi, vuole che vada al mare…dice che ho bisogno di mare!…
Al massimo..se vuoi, potresti venire al mare anche tu...!"
“Senti..ho capito tutto...Anzi, non mi par vero se tu non vieni qui a lavorare…
Così potrò finalmente far rimanere con me anche i miei figli…
Pure loro hanno bisogno di mare e, da qui, potranno facilmente arrivarci anche in
bicicletta!…” – Rispose la donna sorridendo.

"Porca puttana!" - Le gridò il Lepre mentre se ne andava con la coda tra le gambe!
CAP. XVII° - LA MOSTRA DI MORTY
Luglio e agosto 1985

Sveva fu molto felice che uno dei suoi figli, il maschio più piccolo, venisse a farle
compagnia.
Era l’unico in famiglia a dimostrarle molto affetto e, dato che era mingherlino e un
po’cagionevole di salute, ella gli dedicò molte attenzioni, ripagata dal fatto che , in pochi
giorni, fosse rifiorito ed avesse riacquistato peso e una bella abbronzatura.

“Avevo tanto bisogno della mia mamma!” – Affermava il ragazzo; e si prodigava in


tenerezze che, per Sveva, erano la migliore ricompensa, anzi, il miglior dono che ella
avesse mai ricevuto, nella lunga e faticosa odissea della propria vita.

Fare la mostra al Lepre, significava lavorare ancora almeno due mesi per lui senza
vedere un soldo, almeno momentaneamente, in attesa di stilare un contratto a lungo
termine per le percentuali sulle possibili vendite e per un compenso immediato alla fine
dell’esposizione.

Questo avrebbe dovuto essere piuttosto ingente, considerando il tempo, le trasferte e la


fatica di tanti mesi spesi a fianco di Morty e mantenendo in piedi una situazione che,
senza il presupposto di guadagni futuri, sarebbe stata addirittura pazzesca.

D’altronde, la donna non si sentiva disposta a fare un contratto con l’artista finchè non
fosse stata più che sicura che egli e i suoi genitori avrebbero mantenuto la promessa di
farle trovare il materiale pronto e decorosamente incorniciato entro il mese di luglio,
volendo evitare le solite faticacce degli ultimi giorni ed i probabili accessi d’ira di Morty,
che avrebbe potuto anche mollare tutto all’improvviso e lasciarla da sola a scontrarsi
con le Autorità e l’Ente Comunale patrocinante della manifestazione.

Però, anche se a malincuore, ella affrontò l’impegno senza lasciare niente al caso e
nulla d’intentato.

Frattanto il Lepre, che nel pomeriggio aveva ricominciato a venire a lavorare da lei,
diventava sempre più strano ed irascibile e, a distanza di pochi giorni dalla mostra,
dopo aver dato in escandescenze e minacciando, come previsto, di far saltare tutto,
dichiarò di non poter disporre di una lira perché i suoi gli negavano altri soldi da
spendere per le cornici e la pubblicità.

Allora Sveva, con molta, anzi, troppa pazienza, cercò di trovare un’altra soluzione per
appendere al muro i lavori plastificati di Morty, ipotizzando di utilizzare strisce di doppio
adesivo della stessa larghezza dei dipinti, che potessero farli aderire alle pareti smaltate
del locale di proprietà dell’Ente.

Cosa che rasserenò il giovane, convincendolo a continuare il lavoro.

XXX

Due giorni prima della mostra, la donna e il Lepre, dovettero spostare un bel po’ di
materiale pesantissimo che era accumulato nel locale da adibire all’esposizione e
dovettero pure provvedere ad una sommaria imbiancatura delle pareti che erano molto
sporche e trascurate.

Faceva un caldo insopportabile e i due erano costretti a riposarsi e rinfrescarsi ogni


tanto, usando il getto della pompa, nel giardino del palazzo.

Morty era piuttosto euforico e si divertiva a mostrare a Sveva la “potenza” dei suoi
muscoli.
Dal suo studio, aveva trasportato grandi e vecchi dipinti su tavola, senza cornici e,
anche per sistemare quelli, la povera Sveva dovette rimboccarsi le maniche e battere di
martello, applicandovi listelli di due o tre metri di lunghezza e relative attaccaglie.

“Vedrai che bella mostra faremo…eh…gattona!…” – E il Lepre osservava compiaciuto


l’ambiente ripulito e i grandi quadri che la donna cominciava a disporre contro le pareti
delle sale laterali , ben ordinati e per successione cronologica.

Ma, quando iniziarono ad appendere i lavori in plastica, nella grande sala centrale,
furono guai, perché lo smalto degli alti zoccoli delle pareti, non era abbastanza liscio e
nemmeno saldo e l’adesivo, forse anche per la temperatura dell’ambiente, dette ben
presto segno di volersi staccare dal muro.

Nonostante questo, a sera , i lavori facevano tutti bella mostra di sé, ben allineati e
distanziati, con i colori vividi che risplendevano sotto le lampade, come tante fiammate
multicolori.

XXX

Però, il mattino seguente, quando Sveva arrivò per lavare il pavimento della sala, si
accorse che servivano ulteriori accorgimenti per fissare bene le opere al muro, poiché,
a causa del caldo asfissiante, la colla dell’adesivo non faceva presa e la plastica, con il
suo peso, faceva slittare in basso le pitture.

Mentre ella, pensierosa, stava strofinando in terra con la scopa insaponata e ancora
rifletteva su che pesci prendere, il Lepre arrivò e cominciò subito a sbraitare.

“Io non farò più un bel niente!…Io non spenderò più nemmeno una lira per questa
mostra di merda!” – E correva da un capo all’altro della sala staccando tutti i dipinti e
gettandoli sgarbatamente sul tavolo che era in mezzo alla stanza, con grande
costernazione di Sveva che vedeva così annullato tutto il proprio lavoro del giorno
precedente, e comprendeva che, in quella maniera, l’adesivo non sarebbe stato più
utilizzabile.

“Non fare così!…Non rovinare tutto!…Troveremo una soluzione!”


Ma il Lepre non sentiva o non voleva capire e, stravolto, saltava qua e là, schizzando
per ogni dove l’acqua saponosa sparsa sul pavimento e imprecando contro tutto e
contro tutti, ma specialmente contro la donna che si sentì qualificare con ogni sorta di
titoli, dall’inetta all’impostora, dalla rompi-palle alla troia!

“Lo sapevo io…” – gridava il Lepre – “Che mi volevi rovinare!…L’hai fatto apposta a
farmi fare questo schifo di mostra perché sei gelosa!…Almeno se non ti avessi dato
retta…a quest’ora sarei a chiavare chissà dove, invece di stare qui a rompermi le
palle!…”

Sveva che aveva sopportato già abbastanza e ormai le palle se le sentiva pure
lei,sbottò:
“Se tu ce l’hai rotte, io ce l’ho tanto cresciute e ciondoloni che adesso posso asciugarci
il pavimento a mo’ di strofinaccio!

Falla finita di sbraitare…pazzo e fannullone che non sei altro!…E muovi invece le
chiappe per uscire di qui, altrimenti stavolta ti spacco il bastone della scopa su quel
cranio spelacchiato!”
E gridava tanto da sopraffare gli insulti del Lepre, il quale si zittì e si mise a sedere su
una sedia, posta proprio nel mezzo di una pozza d’acqua e sapone.

Sveva , al contrario, non si chetò affatto e tirò fuori tutto il veleno che da tempo le stava
rovinando il fegato.

Quindi, tirandosi dietro Morty, ridotto ai minimi termini e che ora sembrava un uccelletto
bagnato da un acquazzone estivo, fece il giro delle poche mesticherie della zona che
ancora non avevano “chiuso per ferie” per racimolare grappette e chiodini con i quali,
alla meglio, riuscì a far aderire al muro tutte le immagini plastificate.

Dopo tanto soffrire, quando tutto fu sistemato e la donna capì che, nonostante i guai era
riuscita, ancora una volta, a realizzare un’ottima mostra, Morty, mogio mogio, se ne
andò da solo verso casa sua, con la testa bassa.

XXX

“Ora è tempo di pensare a stringere! Domani gli chiederò di firmare subito un impegno
scritto!
Dato che ce l’ho fatta a concludere questa fatica terribile e dovrò rimanere al pezzo
ancora per molti giorni, meglio premunirsi per evitare altri dispiaceri…” – Rifletteva la
donna mentre ritornava in circolare verso il proprio alloggio, disfatta e madida di sudore
e conscia soprattutto di dover affrontare ancora il peggio, non fidandosi più di nessuno
degli Scorpio.

In particolar modo della Mamtide, con la quale aveva completamente rotto i rapporti,
dopo aver chiamato, in vena di sincerità, “il bacio di Giuda”, un bacio di saluto che ella
le aveva propinato schifiltosamente sopra una guancia!

L’inaugurazione della mostra fu un successo. I manifesti, sovvenzionati dal Comune,


erano senza dubbio “originali” ed esercitavano un forte richiamo per gli appassionati del
settore.

Per di più, Sveva aveva scelto un periodo in cui, nel palazzo, c’erano altre esposizioni
collettive di un certo valore ed i visitatori arrivavano a frotte.

Il Prof. Scorpio si era dichiarato soddisfatto, ma la donna aveva colto brani di


conversazione tra lui e la moglie, accompagnata da un’amica coperta da medaglioni
raffiguranti i segni astrologici, (che faceva tanto“megèra d’alto bordo”), nella quale essi
discutevano sulla cifra irrisoria, addirittura ridicola, che avrebbero voluto darle come
compenso per tutto il lavoro svolto.

Inoltre, aveva notato certi intrallazzi della Mamtide, la quale stava cercando di
interessare di nascosto altri galleristi, anzi, galleriste, ai lavori del figlio, con tutta l’aria di
voler “cospirare” alle spalle di Sveva e, tutto questo, le dava piuttosto fastidio.

Perciò, il giorno dopo, ella sottopose al Lepre la bozza del contratto con il quale egli
avrebbe dovuto impegnarsi a corrisponderle le percentuali sulle eventuali vendite delle
opere in esposizione e su tutte le altre che avesse presentato in futuro, in ulteriori
mostre organizzate da Sveva, pena la cessione immediata alla medesima di un terzo
delle pitture presenti nel locale o , in denaro, di un terzo del valore attribuito alle stesse.

Appena Morty ebbe finito di leggere, obiettò di avere molte riserve, dichiarando che non
avrebbe firmato senza avere prima interpellato i genitori e pretendendo che la donna
non reclamasse l’esclusività né per gli allestimenti delle mostre né per le vendite dei
quadri.

Sedici giorni durò la guerra tra Sveva e gli Scorpio, prima che Morty si decidesse a
firmare il contratto, in assenza del padre.

Nel frattempo, la Mamtide aveva già provveduto a rimpiazzare la donna, utilizzando la


vedovella della quale si è già fatto cenno nel corso del racconto, come “un buon partito”
da sfruttare.

Questa si era presentata durante il corso della mostra, tutta tremolante e sventolando
davanti a Sveva una busta bianca contenente una poesia che, ella dichiarò, aveva
scritto per Morty ; il quale, rosso per l’emozione, si era fissato a guardarle i piedi nudi e
grandi che uscivano dagli zoccoli di legno e poi era uscito insieme a lei, senza farsi più
rivedere fino al giorno seguente.

La nuova “tartaruga”, scelta dalla Mamtide, aveva tutte le caratteristiche per piacere al
figlio: oltre ai piedi lunghi, i capelli scoloriti, la cellulite sulle cosce e la vocetta da
bambina, con la quale pretendeva di recitare in pubblico addirittura tragedie
Shakesperiane strillando come una pazza.

Nel suo passato , c’erano stati un fidanzato morto suicida a trentatré anni ed un marito
malato di nervi, pure lui suicidatosi dopo otto anni di matrimonio.
E, dato il proverbio “non c’è due senza tre”, le prospettive non erano certamente
incoraggianti per il Lepre.

Anche se il giovane critico d’arte che gli aveva scritto la presentazione, venuto a
conoscenza dell’inizio della nuova storia d’amore, aveva sentenziato ridendo:
“Mi sa che questa volta morirà prima lei!”

XXX

Nei giorni che seguirono, la Tartarughina colse ogni pretesto per incontrarsi con il Lepre
nell’ambito della mostra, all’insaputa di Sveva, trainandosi dietro modesti fotografi ed
operatori di piccole TV private e promettendo a Morty mari e monti ma, soprattutto,
monopolizzandolo anche durante l’orario di apertura dell’esposizione, tanto da farlo
arrivare sempre in ritardo o assentarsi addirittura con varie scuse.

Coadiuvato in questo dalla Mamtide che sosteneva di avergli fissato appuntamenti con
il dentista, con il dermatologo e così via…

Per provare fino a che punto arrivasse l’assenteismo degli Scorpio, un giorno Sveva
rimase a casa.
Ebbene, la mostra restò chiusa, con i visitatori che attendevano davanti al portone!

E pensare che ella aveva persino fatto arrivare da Firenze la TV regionale e la


propaganda della manifestazione figurava in una delle più note riviste d’Arte Moderna,
con un dipinto del Lepre in copertina!

Senza dimenticare che, a quella mostra, ne sarebbero seguite altre due, non così
grandi ma sempre molto importanti.
Una delle quali, addirittura nella città in cui Morty insegnava, dato che Sveva, tramite
l’interessamento del suo amico giornalista, aveva preso contatti con una delle migliori
gallerie del luogo e stretto amicizia con il proprietario; il quale si era dichiarato
disponibile perfino ad offrire al Lepre un contratto piuttosto vantaggioso!

In precedenza, il Lepre si era raccomandato spesso: “Se vuoi che io riesca a dare il
meglio di me, mi devi tenere sempre impegnato, sempre in tiro…con tante mostre, una
dietro l’altra.
Devo sentirmi al centro dell’attenzione…come in palcoscenico!

Mi piaceva stare con Giulia anche perché con lei era come se avessi i riflettori
perennemente puntati su di me!
Voglio diventare famoso, ricordatelo…a tutti i costi e con qualsiasi mezzo! Come posso
fare per essere famoso?…Eh…come posso fare?”

Sveva, una volta - ed erano in presenza dei Piccinni – gli aveva risposto seriamente:
“Fai come Cicci, il Mostro di Scandicci. Senza troppa fatica, lui ammazza una coppietta
ogni tanto e, voilà, si ritrova sulle prime pagine di tutti i quotidiani!”

Il Lepre, rosso come un tacchino, aveva biascicato: “Ah…sì?!” – Senza avere il


coraggio di aggiungere una sola parola.

XXX
Nei giorni precedenti la firma del contratto, nonostante le tensioni, qualche volta il Lepre
aveva accompagnato alla spiaggia Sveva e suo figlio, in un luogo non molto
frequentato, che si raggiungeva da una zona boschiva, frequentata dalle prostitute.

Ogni volta che ne avevano incontrato un gruppetto, Morty si era affacciato dal finestrino
ad inveire contro di loro gridando: “Puttane!…oh…puttane!” – Con grande imbarazzo
della donna che aveva temuto un inseguimento da parte di qualche magnaccia; ed
invece con grandi risate di suo figlio, il quale, non preparato alle stranezze dell’uomo,
ne era rimasto parecchio sconcertato ed aveva chiesto alla madre come facesse a
sopportare un pazzo di quel genere.

“Sai…” – diceva il Lepre – “io non sono mai stato con le puttane! Semmai ho
accompagnato degli amici miei, ma io stavo soltanto a guardare. Non ci riesco
proprio!…Allora mi fanno rabbia…perché mi piacerebbe andare con loro…le puttane
sono molto belle!”

Poi, sulla spiaggia, si metteva a fissare qualche grassona anzianotta con le cicce al
sole, avvicinandosi piano piano, facendole dei giri intorno come un gatto che studi un
topo e, per fingere indifferenza, lisciandosi ogni tanto la testa con il palmo delle mani,
come fosse intento ad asciugarsi la testa al sole.

Inoltre, ricominciava ad essere ossessionato dai piedi femminili e, dato che in estate le
donne vanno tutte con i piedi scoperti, non faceva che voltarsi qua e là, maledicendo
tutte le femmine e gridando che avrebbe volentieri mozzato le gambe a tutte quante!

Sveva che, conoscendo ormai il tipo, per andare in spiaggia metteva un pareo lungo
fino sopra i piedi, cercava comunque di evitare contatti con lui e, quando la sera, dopo
la chiusura della mostra, egli l’accompagnava a casa, non lo faceva nemmeno entrare,
ricordandogli che “c’era il bimbo” che dormiva e non poteva disturbarlo.

Intanto, il bimbo che aveva trovato in casa un quadernetto sul quale il Lepre faceva
degli studi di colore sul “piscio, la merda e il vomito”, si allentava dal gran ridere” .
Però era d’accordo con la madre nell’ammettere che i prodotti artistici del Lepre fossero
molto interessanti e, anzi, si era fatto insegnare alcune tecniche per colorare i propri
disegni, che non erano per niente male!

XXX

La mostra era piaciuta, tanto che Sveva era riuscita ad ottenere una proroga di una
settimana, contro il desiderio di Morty che si diceva stanco e senza voglia di impegnarsi
ogni pomeriggio.

Ma purtroppo, non essendoci state vendite, la donna tentava il tutto per tutto, cercando
di battere ancora un po’ finché il tasto era ancora caldo.

Invece l’artista si preoccupava quasi esclusivamente del lato esibizionistico della cosa e
si pavoneggiava soprattutto davanti alle donne, intavolando con loro conversazioni
quasi esclusivamente basate sul sesso e sull’erotismo.

Sveva, più di una volta lo aveva richiamato, invitandolo a comportarsi più seriamente,
sempre rimbeccata da lui che sapeva soltanto risponderle: “Cos’è?…Non rompere
eh…!"

Ogni giorno le stranezze del Lepre aumentavano, come pure le provocazioni,


evidentemente per stancare la pazienza della donna.

Non era andato più a Z, nemmeno per riscuotere lo stipendio; e anche questo era un
motivo di attrito con Sveva, la quale, non avendo ancora ricevuto una lira come
compenso a tutto il lavoro svolto, si trovava ormai senza mezzi di sussistenza.

“Non si può più andare avanti così!” –Si ripetevano alternativamente i due , durante gli
scontri sempre più frequenti, mentre lui accusava l’altra di gelosia e lei, di rimando, gli
dava dell’incosciente e dello scansafatiche.

“Mi hai messo di mezzo! Mi hai fatto credere che l’arte fosse la cosa più importante, per
te.
Che avresti accettato qualunque sacrificio pur di riuscire a compiere quello che io ti ho
messo in grado di poter fare! Invece non sei che un esibizionista e un pittore da
strapazzo e ti basta una sottana che sventola per perdere la testa!

Secondo te ed i tuoi genitori, sono soltanto gli altri che dovrebbero fare sacrifici per voi,
che state lì a sindacare sull’operato altrui ed a raccoglierne i frutti!
Tu hai messo in gioco la mia rispettabilità e le mie capacità per poi voltarmi le chiappe
in questo modo indegno! Ma non finirà così!

Per tre anni, bene o male, dovrai rispettare il contratto che hai firmato …e mi dovrai
sopportare, come io ho tollerato te e la tua famiglia, per tutto questo tempo!

Aveva ragione Osvaldo nel dire che sei solo un burattino…un povero bimbo viziato e
succube di tua madre! E se è il palcoscenico che ti interessa, finalmente l’hai trovato,
con la Tartaruga prima donna e gli altri due burattini che vi tengono la candela!

Quattro personaggi in cerca di autore! Vedrai che bella farsa ne verrà fuori! Altro che
libro su di te…altro che libro!
E quando starai tanto male da battere la testa contro il muro, ricordati di me e di quello
che mi avete fatto, tu e tua madre, in un momento in cui avevo bisogno di tutto e di tutti!
Voi mi avete letteralmente tolto la voglia di vivere!”
CAP. XVIII° - COLPO DI GRAZIA
Agosto 1985

Dopo l’avvento della Tartaruga, Morty aveva cominciato anche a sparlare di Sveva, con
gli amici ed i parenti, raccontando che era gelosa della sua nuova amica.
Così che ella, una delle rare sere in cui egli l’aveva riaccompagnata a casa in
macchina, uscì proprio dai gangheri e gli fece una grande scenata cacciandolo via.

Dopo un po’, sentì suonare alla porta e il Lepre le riapparve davanti con un “regalo, per
farsi perdonare…” – disse.
Era stato a trafugare uno di quei cartelli dei benzinai, giallo con le scritte blu, completo
di telaio e sostegno di ferro.
“Tieni…guarda quant’è bello!…Puoi collocarlo davanti alla porta del bagno, così,
quando sei dentro metti la scritta CHIUSO; oppure lasci APERTO se vuoi che entrino
anche gli altri!”

“Sei proprio da legare!…” – E Sveva si era affrettata a nascondere il cartello in cantina,


temendo che qualcuno potesse accusare lei di averlo rubato!

XXX

Si era stancata moltissimo durante la mostra e la sera si ritirava presto nel locale del
residence dove era andata ad abitare, per trovare un po’ di pace e di intimità, lontana
dalle follie del Lepre e dalla malvagità di sua madre.

E non immaginava certamente la nuova disgrazia che stava per piombarle addosso!

Tant’è che una notte, destata da un forte rumore d’acqua che scrosciava, aveva
soltanto pensato che fuori piovesse e si era rimessa tranquillamente a dormire.

La mattina, spalancate le imposte del pianterreno, si era rallegrata vedendo che il cielo
era azzurro e splendente di sole ed aveva deciso di uscire per fare la spesa.

Intanto, pensò di recarsi prima nello scantinato, dove erano ammassati tutti i suoi mobili
ed i quadri di sua proprietà, per aprire anche le piccole finestre in alto che davano sul
giardino.

A metà delle scale, premétte l’interruttore della luce, ma la lampada non si accese;
così, al buio, finì di scendere gli ultimi scalini e si trovò improvvisamente con l’acqua
fino al ginocchio.

Sgomenta, riuscì a raggiungere le finestre e, aperti gli scuri, si accorse dell’entità del
disastro che era successo.

L’acqua aveva sommerso tutti gli oggetti posti a livello dei materassi, compresi i bei
tappeti di pelouche color oro e stava ora salendo sui muri, che ella aveva
pazientemente e faticosamente ricoperto di tendaggi ed altri tessuti, proprio per isolare
la stanza dalla preesistente umidità.

Un alone minaccioso di fango e sporcizia era già arrivato quasi al soffitto e, sull’acqua
maleodorante, galleggiavano miseramente le scatole contenenti le medaglie e le targhe
che Sveva si era guadagnata partecipando ai concorsi di poesia, mischiate alle scarpe
ed agli stivali quasi nuovi, ai quali la donna teneva tanto!

XXX

Uscì dall’appartamento disperata per andare a parlare con l’amministratrice del


residence la quale, candidamente, le rivelò che una delle idrovore che pompavano
l’acqua marina dal sottosuolo, si era guastata.

Pertanto, lo scantinato si era riempito fino al livello del mare e non si poteva far niente
per togliere l’acqua finché l’ingegnere incaricato del funzionamento delle pompe non
fosse arrivato da fuori (abitava in un’altra regione e , per di più, era in ferie).

Per Sveva, questo fu il colpo di grazia!


Aveva toccato veramente il fondo ed ora non sapeva davvero più come tornare a galla!
Cosa avrebbe potuto escogitare per tirare avanti?

L’ultimo approdo era stato per lei quell’appartamento dal quale, le avevano promesso,
nessuno l’avrebbe potuta far uscire a meno che non si rendesse morosa.

E invece, l’acqua aveva distrutto , insieme alle sue speranze, anche gli unici oggetti che
avrebbero potuto aiutarla ad uscire dal tunnel: i quadri che gli amici pittori le avevano
regalato o lasciato in conto vendita, ai quali, quando si era trovata in difficoltà, era
sempre ricorsa per garantirsi un minimo di sopravvivenza.

Pensava con immenso dolore alla sua famiglia; ai suoi ragazzi, ai quali aveva fatto delle
promesse che non avrebbe potuto più mantenere.
E gli altri?…Cosa avrebbero pensato di tutte queste avversità che si accanivano contro
di lei? Gli amici forse si sarebbero rattristati ma i nemici….chissà quante risate si
sarebbero fatti alle sue spalle! Osvaldo compreso, si capisce!

Questa volta, tutto era troppo duro da sopportare.


Con molte probabilità, avrebbe dovuto andarsene via per un po’ e trovare velocemente
un lavoro da qualche parte dove non fosse necessario raccontare ad ognuno le proprie
disgrazie; dove nessuno la conoscesse e potesse gioire del suo dolore e infierire su di
lei o, peggio ancora, sui suoi adorati figli.

I più piccoli, erano ormai adolescenti ma ancora troppo giovani per poter valutare
serenamente la situazione. E ne avrebbero sicuramente sofferto molto! Ma ella che
ormai si sentiva distrutta non poteva farsi vedere piangere da loro dalla mattina alla
sera!
Avrebbe dovuto fingere di essere ancora forte e sicura di sé, come erano abituati a
considerarla!

Per fortuna, il maschietto era già tornato in campagna dalla nonna e la bambina aveva
tante amiche con le quali passava tutto il suo tempo libero!

Sveva potè così dare sfogo al suo dolore in solitudine, versando tutte le lacrime che
ancora le rimanevano da piangere!

XXX

Il Lepre era partito per andare a riscuotere, finalmente! Ma Sveva pensava non si fosse
recato a Z da solo, poiché si era assicurato, prima di andarsene, che ella non avesse
alcuna intenzione di seguirlo.

Era quasi certa che si fosse fatto accompagnare dalla Tartaruga, con la quale aveva
affermato di “sentirsi in debito” per quanto ella aveva fatto per lui, dimenticando quanto
invece dovesse ancora a Sveva di gratitudine, oltre che di denaro!

Infatti, al suo ritorno, non si preoccupò minimamente di quanto nel frattempo le era
accaduto; anzi, si fece vedere sempre più raramente e faceva in modo di avere sempre
delle scuse pronte per non trattenersi che pochi minuti.

E, in merito al compenso promesso,la donna dovette accontentarsi di trattenere per sé


alcuni dei lavori che erano stati in mostra: opere di carta e plastica, di piccolo formato e
senza cornice.
Ma si trattenne anche tutti gli studi che egli le aveva affidato dopo il viaggio in Turchia,
nonostante il Lepre pretendesse che gli fossero restituiti, comprendendo forse la
“pericolosità” di lasciarli nelle mani di lei..

Egli era così teso…così irascibile!

Sveva si era accorta che aveva ricominciato ad ungersi e tagliuzzarsi i capelli come un
tempo. Stava dimagrendo a vista d’occhio, anche perché si era imposto una dieta
contro la foruncolosi, che sua madre gli faceva osservare scrupolosamente.

Inoltre, senza l’aiuto manuale della donna per plastificare i suoi dipinti, ne aveva
sciupati parecchi ed anche di ottima qualità!

Pertanto era nervosissimo per non potere più restare a lavorare insieme a lei,
evidentemente intralciato anche dai suoi genitori che gli vietavano di continuare a
frequentarla .
E perciò si sfogava gridandole: “Maledetta…maledetta! Io non voglio stare con te…però
tu mi servi! Io voglio venire qui quando mi pare….e tu devi aspettarmi quando mi fa
comodo!”

Ma Sveva gli rispondeva con decisione: “Scordatelo!…Adesso che hai trovato chi mi
può sostituire, perché non ti fai aiutare dalla tua Tartaruga?
Lo vedi che senza di me stai andando indietro come i gamberi!..Non ti guardi allo
specchio che occhiaie fonde che hai?..E tua madre…non lo vede come sei ridotto?”

“Sei di fuori?…Che cazzo dici?…Io sono bellissimo!…Sono un Dio!…Vuoi fare il sesso


con me..eh…!…Dimmi che muori dalla voglia di fare il sesso con me!…Tu sei pazza di
me!”

La donna lo guardava con aria compassionevole, rammaricandosi al pensiero di quante


energie avesse sprecato per lui e ormai conscia di non potere, in nessun caso, aiutarlo
ulteriormente.
Temeva, inoltre, che lasciandolo alla deriva, in balìa di persone deboli ed inette avrebbe
potuto di nuovo nuocere a sé e ed agli altri.

A settembre, prima che ricominciasse l’anno scolastico, il Mostro avrebbe potuto colpire
di nuovo!

E, stranamente, dato che la nuova amica di Morty, la Tartaruga, era insegnante di


francese e frequentava molte persone di nazionalità Francese , Sveva pensava che la
prossima volta il Mostro avrebbe potuto uccidere una coppia proveniente dalla Francia,
confermando così, ancora una volta, le troppe coincidenze che ella aveva notato e si
era impresse a fuoco nella memoria.

XXX

In cuor suo, visto che nessuno era ancora riuscito a svuotare lo scantinato
dell’appartamento e che dal sottosuolo si sprigionavano odori malsani e stuoli di
zanzare, Sveva aveva ormai deciso di partire da sola per Z, allo scopo di poter
organizzare alcune mostre per artisti, amici suoi, i quali le avevano espresso il desiderio
di presentare le loro opere nella galleria dove già ella aveva preso contatti per Morty.

Ella sperava così di racimolare subito un po’ di denaro, con l’alternativa, in ogni caso, di
trovarsi anche un lavoro più sicuro e remunerativo, che le avesse consentito di mandare
avanti la famiglia , dalla quale desiderava poter tornare ogni fine settimana per tenere
sotto controllo la situazione.

Non appena accennò al Lepre di questa idea, egli andò su tutte le furie, imprecando e
sbraitando:
“Tu non verrai a Z!…Io non ti voglio d’intorno! Tu vuoi venire apposta per dare noia a
me!…Per spiarmi ed impedirmi di andare con chi mi pare!…Io voglio fare quello che
cazzo mi va!…E nella galleria dove devo esporre io, non ci devi portare nessun
altro!…Hai capito!…Si…tu mi vuoi rovinare!
Se io sono legato a te dal contratto , anche tu sei legata a me…e non puoi portare un
altro dove hai organizzato la mia mostra!”

“Certo che posso! Il contratto, come non impedisce a te di avere altri galleristi, non
impedisce a me di tenere altri pittori!…A questo punto, starei fresca se dovessi
raffidarmi solamente al Prof. Morty!"

“Peggio per te!…Avevi trovato un Dio e te lo lasci scappare così?…Perché tanto, non
avrai più nessuno come me!…Nessuno…hai capito?…E dove andrai a stare a Z?
Voglio sapere dove andrai…perché sono sicuro che verrai per spiarmi!”

“ Se è per questo, non saprai mai né dove sarò né cosa avrò intenzione di fare…ora
che mi detesti… a tal punto che potresti arrivare anche ad uccidermi!”

E si separarono, voltandosi le spalle con rabbia…lui, caracollando e inciampando.


Lei, camminando lentamente, stanca, sfinita…
XXX

(28 Agosto 1985)

Sveva era molto triste. Con un sole che invitava ad uscire, a respirare salsedine e
vento, se ne stava tappata in casa, a pensare che il Lepre l’indomani sarebbe partito.

E così, in un’epoca nella quale avevano il sopravvento la tecnologia e le scoperte


scientifiche, la Strega avrebbe vinto di nuovo.

Povero Lepre! Dopo la faticaccia dell’ultima sfida con la madre, si era dato una
guardatina nel ruscello, s’era rassettato per benino il pelo ed aveva ripetuto a lungo per
autoconvincersi:
“Io sono il più bello, il più veloce e il più furbo!”

E domani se ne sarebbe andato da solo a Z, lasciando in casa di Sveva un flacone di


schiuma da barba e qualche lametta usata.

La Strega lo aveva tenuto in isolamento per alcuni giorni, allo scopo di ricaricarlo un po’,
prima di buttarlo di nuovo allo sbaraglio, più stupidamente che mai.

E Sveva, che già aveva gioito per le spalle da uomo e l’incarnato dorato dal sole intorno
agli occhi da bambino di Morty, ora sapeva benissimo che egli non avrebbe ritrovato
facilmente dopo di lei altre tartarughe tanto rubuste da poterselo caricare sul dorso,
pesto e senza fiato, per riportarlo ogni volta a casa e rimboccargli le coperte intorno al
collo!

A Z, egli non avrebbe trovato ruscelli o specchi d’acqua che ingentiliscono le immagini
di chi si guarda, e riflettono, come in una cornice, i colori del cielo ed i rami verdi degli
alberi!

Sarebbe stato costretto a contemplarsi sotto le luci artificiali e spietate degli agglomerati
urbani, che soffocano il respiro della terra.

Avrebbe inciampato negli avvallamenti dell’asfalto e si sarebbe aggrappato invano alle


maniglie dei trams in moto, strappato dal suolo con violenza, sbattuto contro le vetrate
dei mezzi urbani, offeso dall’indifferenza o dalla crudeltà degli ignoti!

E, se anche fosse tornato, non avrebbe più trovato Sveva, risucchiata con prepotenza
dalla calamita delle necessità quotidiane, lontana da questa spiaggia assolata e
confortevole!

Ci sarebbe stata sempre la Strega, invece, intenta a preparargli un cesto di insalata


avvizzita, un pugnetto di legumi secchi e qualche fetta di pane tostato spalmato di
marmellata, la più insipida che si possa trovare.

E avrebbe cercato di convincerlo che un leprotto ben educato, che voglia rimanere
snello e veloce, non debba desiderare altro che questo, perché tutto il resto potrebbe
essergli nocivo.

Ogni tanto lo avrebbe accompagnato dal veterinario a controllare che tutti gli organi
fossero funzionanti e lubrificati, (compreso quelli sessuali) ; e lo avrebbe spinto a
correre sempre più forte; ora che gli ha messo appostata al prossimo traguardo quella
testuggine chiara e piena di rughette e di macchioline, con il nasetto rincagnato ed il
mento smussato, paurosa e, tremante come una foglia sbattuta dal libeccio, da
raggiungere prima che arrivino gli uragani di fine estate!

Prima che il Lepre si possa accorgere dell’inganno; e magari torni indietro, a cercare
nella tana ormai vuota di Sveva, il caldo ricordo di lei, dura e pesante come il pane di
mais, ma resistente a tutte le intemperie e ai denti aguzzi delle streghe iettatrici!
CAP. XIX° - UN FATIDICO SETTEMBRE
4 Settembre 1985

Il Lepre non è partito.

Sveva ha saputo che si è ammalato ed è rimasto a T senza nemmeno avvisarla.


Pure, con la mostra di Firenze così prossima, avrebbe potuto almeno chiederle di
provvedere lei al da farsi!

Se non fosse stata Sveva a telefonare, non ne avrebbe avuto notizia.


Lui non ha voluto parlare; le ha risposto la Mamtide, dicendo che il figlio aveva un
abbassamento di voce, che era molto debole perché aveva preso gli antibiotici e molto
depresso perché non aveva alcuna voglia di tornare a scuola.

“Colpa tua!”- Ha detto la Mamtide – “Perché l’ultima volta che è venuto da te l’hai fatto
stare male!”

“E la mostra?…Come si fa per la mostra?”

“Uh…la mostra si farà!…Non c’è mica bisogno di te!…Abbiamo telefonato al gallerista


che venga lui di persona a prendersi i quadri!”

“E le cornici?”

“Se la vedrà il gallerista!…Mio figlio ora non può certamente pensare alle cornici!”

“Dica a suo figlio che, prima di partire, venga qui da me, perché devo assolutamente
parlargli!”

XXX

(7 settembre)

Il Lepre era arrivato, in camicia verde pisello con i doppi polsi ed i gemelli; pallido,
magro e svanito!

“Andiamo a fare un giro!” – Aveva imposto a Sveva, per non rimanere solo con lei.

Ora erano in pineta, seduti su due monconi d’alberi abbattuti.


“Sai, sto male…La notte non sono più riuscito a chiudere occhio… Pensavo a com’è la
morte quando uno non può respirare. E mi tappavo la bocca ed il naso per sapere
quanto avrei potuto resistere!

Dopo un po’ mi sentivo scoppiare i polmoni e il cervello…ma io devo sapere cosa


succede nella testa di un uomo che sta per morire!
Io devo conoscere tutto quello che c’è da conoscere e devo provare tutte le sensazioni
possibili ed immaginabili!…

Ora non mi interessa più dipingere, finché non avrò provato quello che voglio provare!
Io devo saperne più degli scienziati, più dei medici e dei matematici!
Ma sto male, Sveva…sto male!

“Lo vedo! Ogni volta che prendi gli antibiotici, ti succede questo!”

“Sì…Questo ed altro!”

La donna pensava che egli alludesse al fatto di sentirsi impotente; il che, per il Lepre,
costituiva ogni volta un dramma.

“E poi, dovrò tornare a Z e starmene lassù da solo! E non ho voglia di stare da solo!”

“Potevi avere la mia compagnia, ma non ti va più bene!”

Non è che non ti voglio come compagnia!… Ma non ti voglio lassù!…Perché mi


impediresti di fare i comodi miei!”

“In ogni caso, io sto per partire; me ne andrò il giorno 9, poiché non posso attendere
oltre! Prenderò il treno del mattino…te lo dico per conoscenza…se tu decidessi di
fare il viaggio insieme!”- Aggiunse Sveva.

“Non credo proprio… perché devo portare il giorno 8 tutti i miei quadri grandi a
Navacchio, nella casa di quella cugina di mia madre che ha sposato l’architetto,
sai…quello di cui ti ho parlato!
Ho smantellato ormai lo studio che avevo qui…Ho distrutto tante cose, anche quei
cartoni intagliati per l’aerografo…che piacevano tanto al critico amico tuo!…”

“Allora ti saluto adesso e probabilmente, se non sarai tu a cercarmi, non ci vedremo


tanto presto!”
XXX

Era evidente, per Sveva, che il Lepre fosse nel bel mezzo di un’altra crisi esistenziale,
simile a quelle che ella aveva già verificato altre volte e che coincidevano, ahimè, con i
duplici omicidi del Mostro di Firenze.

Egli aveva gli stessi problemi di allora, lo stesso sguardo allucinato, come fosse sotto
l’effetto di una droga; la medesima sfrenata volontà di morte, che solo le emozioni
strane ed impossibili sarebbero riuscite a placare momentaneamente, dandogli ancora
l’illusione di essere forte, veloce ed invincibile!

La donna era certa che avesse già programmato di voler ripetere le stesse esperienze
di prima, convinto di riuscire, in questo modo, ad emergere su tutti e rimanere ancora a
galla!

Ella tremava violentemente. Se davvero, ora, abbandonato a sé stesso,egli fosse


ricorso di nuovo al sangue, al delitto?

L’attuale compagna del Lepre non sarebbe stata certamente in grado di capire e di
soddisfare certe necessità fondamentali per il giovane, almeno per il momento.
Era troppo svampita, sciocca e romantica, per tenere in pugno la situazione.

E, probabilmente, egli avrebbe cercato di nuovo Giulia, ricaricandosi prima


sessualmente nell’unico modo in cui sapeva fare ; rivolgendosi al solo Dio che egli
riconosceva e che era il Dio della Morte.

Forse, anche per questo, ultimamente il Lepre era ricomparso adorno di monili con i
teschi, identici a quelli che un giorno aveva gettato via dal finestrino dell’auto e che egli
affermava di aver ricomprato per non “sentirsi di nuovo nudo ed inerme”.

XXX

Così, prima di partire per Z, Sveva manifestò a due sue carissime amiche i propri
sospetti su Mortimer, avvisandole che, se le fosse capitato qualcosa di brutto o di
strano, riferissero alla polizia quanto ella aveva raccontato loro.

Queste, molto impressionate dalle rivelazioni della donna, promisero.


Ed ella partì, con novantamila lire in tasca, il giorno 9 settembre con il treno delle 10;
procurandosi, appena giunta a destinazione, un alloggio presso un pensionato
femminile, tramite l’interessamento di Alessandro, l’amico giornalista, e di sua moglie,
ambedue carini e gentili, come sempre.

Sveva era consapevole che, se non avesse trovato lavoro entro tre giorni, non avrebbe
potuto nemmeno fare ritorno a casa, a meno che qualcuno non le avesse offerto
gratuitamente il biglietto di ritorno!

Nello stesso pomeriggio, ella, seduta su una poltrona damascata color vinaccia del
soggiorno di Alessandro, stava raccontando pure a lui le stesse cose riguardanti il
Lepre, che le avevano procurato tanti sospetti e che già aveva confidato alle amiche.

“Avrei forse dovuto parlarne prima con qualcuno della squadra speciale antimostro;
magari andando a Firenze di persona.
Ho telefonato, qualche volta; però mantenendo l’anonimato. Evidentemente non mi
hanno dato retta.

E se ora succedesse di nuovo qualcosa di grave…perché io sento che


succederà…avrei il rimorso per tutta la vita per non aver trovato il tempo e il coraggio di
farmi avanti!

So che Mortimer, in questo momento, si trova nella situazione psicologica adatta per
uccidere!
Ti dico che mi ha fatto proprio effetto, vederlo muovere e sentirlo parlare in una certa
maniera, come in preda agli allucinogeni!”.

“Ma dai!…” – rispose Alessandro – “Non penserai davvero che un bamboccio così
possa avere le capacità di fare una cosa del genere? Servono riflessi d’acciaio e una
grande forza fisica! Quel mingherlino lì…non può essere il Mostro!”

“Tu non lo conosci bene! Ha uno sdoppiamento di personalità veramente incredibile!


A volte è velocissimo, preciso e riesce ad alzare e spostare dei pesi enormi!
Sai, ha gli attrezzi per fare culturismo ed ogni mattina, appena sveglio, fa un sacco di
esercizi per tenere allenati i muscoli!” – Insisteva la donna, che lo aveva osservato nel
corso dei traslochi e sapeva che l’ unico handicap del Lepre consisteva nella scarsa
resistenza e non certo nella potenza dello scatto o nella rapidità delle azioni.

Mentre Sveva continuava a sfogarsi, Alessandro si era alzato dalla sedia e si era diretto
verso il televisore per accenderlo e sintonizzarsi sulle cronache sportive.

Erano passate da poco le 17 e, quando la donna alzò gli occhi verso lo schermo, vide
subito apparire su di esso due macchie bianche di lenzuoli, ammucchiati contro il verde
e il marrone di un boschetto.

La voce di uno speaker, stava annunciando: “I corpi sono stati trovati soltanto oggi.
Il Mostro, questa volta, ha cercato di nasconderli, come se avesse avuto paura di non
fare in tempo ad allontanarsi!
Il delitto, avvenuto a San Casciano, presenta le medesime caratteristiche dei
precedenti!”

XXX

Sveva ormai non sentiva e non vedeva più; in preda ad una crisi di pianto, scossa da un
tremito convulso, non faceva che gridare fra i singhiozzi: “Lo sapevo!…Lo sapevo!…”

Alessandro e la moglie, tentavano invano di calmarla, spaventatissimi per quanto era


accaduto.
Alla fine, Sveva chiese all’amico di telefonare subito alla madre del Lepre, a T, per
sapere se il figlio fosse ancora là o se invece fosse già partito per Z, dove avrebbe
dovuto trovarsi soltanto il mattino seguente.

La Mamtide rispose, con la voce acuta di sempre: “Mortimer è partito stamani di fretta,
con il primo treno delle 6,30.
E mi ha già telefonato da Z, dicendomi di stare molto male.
Se Lei è un amico, la prego, vada a trovarlo, perché è agitatissimo e sconvolto!
Per piacere…ci vada…ci vada!”

“Non mancherò!…” – Rispose Alessandro perplesso, fissando Sveva che, appoggiata


allo stipite della porta, sembrava sul punto di svenire.

XXX

Così, le previsioni della donna si erano avverate; e l’enorme peso della responsabilità,
la stava schiacciando , tanto da non farle capire più come si doveva comportare.

I due coniugi, cercarono di calmarla, dichiarandosi convinti che il Lepre non potesse
avere a che fare con tutta la faccenda, ma ella continuava a tremare e li pregò di non
rivelare, per nessun motivo, il suo recapito a Mortimer, poiché era certa che, sapendola
in città, l’avrebbe ben presto cercata.

A sera, lasciata la casa di Alessandro,prima di rientrare nel pensionato, la donna fece


da un telefono pubblico il numero della S.A.M. (Squadra speciale Antimostro) e chiese
che fossero controllati i movimenti di Mortimer, comunicando tutti i dati utili per poterne
seguire gli spostamenti.
Anche se, in cuor suo, temeva che la polizia non avrebbe dato molto peso ad una
sconosciuta, la quale, da molti chilometri di distanza dal luogo del delitto, in poche
parole, cercava di far saltare il banco con un due di picche!

XXX

Ed ora, che fare?


Spaventata, con poche lire in tasca e totalmente distratta dagli scopi che si era prefissa
prima della partenza, non si sentiva più le forze per intrecciare relazioni d’affari o di
pensare serenamente ad una soluzione dei propri problemi.

Ma, il giorno successivo, l’urgenza di procurarsi velocemente un mezzo di


sostentamento, se non voleva lasciarsi morire di stenti, così lontana dalla famiglia, dove
non avrebbe avuto il coraggio di rientrare senza aver trovato un lavoro, la fece correre
da un capo all’altro della città, inseguendo gli annunci pubblicitari dei molti quotidiani
che si era procurata.

Passando da un mezzo di comunicazione ad un altro, senza tralasciare nemmeno una


delle inserzioni che sembravano fare al caso suo, dopo due giorni soltanto, credette di
aver trovato la soluzione ideale, tramite un’agenzia di collocamento che le aveva offerto
un posto di governante nella casa di un’attrice molto famosa.

A Sveva, fra l’altro, questa piaceva moltissimo; quindi, accettò con entusiasmo di
presentarsi, il mattino del mercoledì, in casa della suddetta.
Ed era piena di speranza, anche se ormai non le rimanevano in tasca che poche lire.

XXX

Frattanto, la donna era riuscita a seguire, sulle cronache dei giornali, gli sviluppi sul
caso di San Casciano, apprendendo che la coppia uccisa dal Mostro era in effetti
proprio proveniente dalla Francia (Come volevasi dimostrare!) ; che il Mostro aveva
agito di gran fretta, lasciando molti indizi che avrebbero potuto essere utili per le
indagini e che si supponeva potesse avere anche dei graffi sul dorso delle mani.

Il luogo del ritrovamento di alcuni oggetti perduti dal Mostro, tra i quali un paio di guanti
da chirurgo, era, stranamente, vicino ad un ospedale periferico, dove si trovava pure
una fontana, nella quale sembrava egli avesse avuto la possibilità di lavarsi.
Queste notizie, rafforzavano ancor di più le supposizioni della donna, per la quale il
Lepre avrebbe potuto, la sera del giorno 8, al ritorno da Navacchio (Provincia di Pisa),
dalla casa della cugina della madre, proseguire speditamente per San Casciano Val di
Pesa.

Tanto più, che a Sveva sembrava di ricordare che la suddetta parente fosse una
dottoressa in medicina e che lavorasse proprio in un ospedale alla periferia di Firenze .
Pertanto se così fosse stato, egli avrebbe avuto anche la possibilità di procurarsi
facilmente un alibi per giustificare la sua presenza nella zona.

Tutto questo, poteva rappresentare per lui il coronamento di un progetto preordinato e


studiato alla perfezione, come per tutte le altre barbare uccisioni del Mostro, realizzato
soltanto meno perfettamente a causa di alcuni imprevisti o ritardi sulla tabella di marcia,
che potevano essere capitati a disturbare le azioni dell’omicida.

Il quale, in ogni caso, sarebbe dovuto rientrare a T, in casa propria, prima di


mezzanotte, per non rimanere chiuso fuori dalla Mamtide, che, puntualmente, ogni sera
a quell’ora chiudeva il chiavistello dell’ingresso.

(E anche questa ipotesi, che il Mostro dovesse rientrare ogni volta a casa prima di
quell’ora, era stata più volte ventilata dagli inquirenti e dai giornalisti che si occupavano
della cosa).
CAP. XX° - UN' ALTRA GATTA DA PELARE
Settembre 1985

(Mercoledì - 11 settembre)

Sveva andò all’appuntamento a casa della Diva e venne ricevuta in cucina, passando
dalla porta di servizio.

La persona che aveva aperto, era una donna sulla sessantina, dai modi decisi e dal
viso piuttosto simpatico, che la squadrò ben bene con attenzione, mentre la pregava di
attendere “la Signora” che aveva ancora da fare “un attimo di là”.

Sveva, emozionantissima, aveva infatti sentito “di là” la voce inconfondibile della
“Signora” e, sbirciando attraverso l’uscio socchiuso che dava nel salone, aveva scorto
una figura alta ed esile in jeans, chinarsi come per raccogliere qualcosa da terra.

In cucina, intento a rigirare lo zucchero in una tazzina da caffè, un uomo giovane e


piuttosto bello, dall’aria trasandata, si era voltato verso Sveva per darle il “buon giorno”,
scoprendo nel sorriso una fila di denti candidi e un bel paio di occhi azzurri, dietro le
lenti da vista.

Un ciuffo di capelli castani gli ricadeva disordinatamente sulla fronte. I suoi calzoni
erano sfilacciati agli orli sul retro e la camicia che indossava era tutta sgualcita, come se
vi avesse dormito dentro.

Sveva, quel giorno, aveva indossato l’unico vestito con le maniche lunghe che aveva
con sé.
Un abito piuttosto vistoso che, data la stagione ancora calda, la faceva sudare
abbondantemente e non si sentiva per niente a proprio agio.
I capelli non erano a posto ed il trucco piuttosto marcato che ella era solita usare sulle
palpebre e sulle labbra, si stava squagliando, dandole una sensazione di appiccicaticcio
intorno agli occhi e alle labbra.

Quando la Diva entrò nella stanza, Sveva quasi non riconobbe il suo idolo, tanto la
donna era diversa da come appariva sugli schermi televisivi.

Magrissima e fasciata nei pantaloni aderenti, con una camicetta di seta ecrù ricamata ai
polsi ed al collo, senza un filo di trucco e con la pelle del viso tiratissima e coperta di
efelidi, i capelli corti sul collo e piuttosto lunghi ed arruffati intorno alla fronte, era ben
diversa dall’immagine spavalda e piena di verve che Sveva da tanti anni era solita
ammirare, a volte quasi con invidia, per la carica sensuale che emanava, non solo con
la voce ma con tutto il corpo.

Sveva osservò le mani sottili dalle unghie lunghe e curate, che non riuscivano a
nascondere un certo tremore; e lo sguardo un po’ sfuggente e diffidente negli occhi
stretti ed obliqui .

Si accorse subito della preoccupazione della Diva, quasi ella fosse in preda ad una
sorta di timor panico sentendosi osservata da una sconosciuta, la quale avrebbe dovuto
convivere con lei, sotto lo stesso tetto e avrebbe rovistato tra le sue cose, preso visione
della sua vita.

“Siamo sicuri che lei è una persona seria?


Vuole proprio tentare?.. Guardi che io ho un carattere piuttosto difficile! Grido…faccio
scenate!…”

“Non si preoccupi…sono abituata agli artisti…ai tipi strani e difficili!…” –Rispose Sveva
che, per questo, ahimè, si sentiva ormai una certa esperienza.
E continuò: “Non ho avuto una vita facile!…So fare un po’ di tutto e mi adatto con facilità
alle persone e agli ambienti che frequento.
Poi, lei mi è sempre piaciuta e questa casa è splendida!”

La donna era sincera perché, da quel poco che aveva visto, pensava davvero che
avrebbe potuto trovarsi facilmente a suo agio, in quell’ambiente e con quelle persone.

L’appartamento, in alto, dominava il centro storico della città e la luce entrava a fiotti
dalle vetrate, distanti dai muri degli altri palazzi.
I rumori arrivavano lassù piuttosto attenuati ed il cortile interno dello stabile, appariva
pulito e silenzioso.

XXX

“Venga, le faccio vedere la casa!”


La Diva accompagnò Sveva in giro per l’appartamento e le mostrò l’angolo del
guardaroba dove avrebbe dovuto dormire.
Le parlò del figlio e del compagno, che era il giovane incontrato in cucina e le disse che,
per qualsiasi cosa, in sua assenza, avrebbe dovuto rivolgersi alla donna che l’aveva
ricevuta, la governante che da oltre venti anni si occupava di lei e dell’andamento della
casa.
Mentre giravano per le varie stanze, la tensione della Diva si stava attenuando, di fronte
alla serenità di Sveva che “finalmente” – si diceva – “avrò un lavoro con un mensile
sicuro!”.
E già si sentiva calda e protetta, felice di quella soluzione che le avrebbe tolto, almeno
momentaneamente, buona parte del fardello dei suoi pesanti problemi.

Anche i familiari, ne era certa, avrebbero apprezzato la sua decisione, sapendo che
avrebbe potuto risparmiare per loro una cifra mensile sufficiente per le necessità più
pressanti.

“Peccato” – pensava Sveva – “che in questa casa non ci siano dei bei quadri !” – Ella
aveva subito notato il cattivo gusto dell’attrice in fatto di pittura.
E si rammaricava per l’assenza alle pareti dei lavori di Osvaldo e del Lepre; e di tutti gli
altri amici ed amiche i quali, con i pennelli, ci sapevano fare!

Intanto, le due donne erano arrivate nella stanza da bagno e qui, la Diva si fermò.
“Senta, Sveva, per cominciare, lei deve cambiare trucco; studieremo insieme dei colori
adatti ed, eventualmente una pettinatura diversa.
Si dovrà acquistare le vestagliette di rigatino, in rosa e in azzurro, perché a me
piacciono i colori tenui; e penserò io a trovarle scarpe basse come fanno nel Veneto,
simili a quelle che porto io!”

“Va bene…va bene!” Rispondeva Sveva che, dentro di sé sentiva già una sorta di
ribellione!
Che cavolo…non andava bene per niente!

Se c’erano dei colori che ella odiava per i propri abiti, erano proprio il rosa e l’azzurro e
non avrebbe potuto portare le scarpe basse della Diva, nemmeno se l’avessero pagata
a peso d’oro!
Ma ripeteva, già sconsolata: “Va bene!…Va bene!”

Si sarebbe adattata, forse, alle vestaglie; ma, alle scarpe…proprio no!

Poi, però, quando la Diva le disse con convinzione: “E si ricordi che IO non sbaglio
mai!” – Sveva capì che anche questa volta, si sarebbe presa un’altra bella “gatta da
pelare!…”

XXX
Intanto, il Lepre la stava cercando disperatamente, chiedendo di lei agli amici comuni, i
quali, ligi alle disposizioni di Sveva, non gli avevano rivelato dove si trovasse.

Ella, pur temendo fortemente per la propria incolumità, era curiosa di saperne di più
sugli ultimi omicidi del Mostro e avrebbe voluto verificare se il Lepre avesse sulle mani
qualche segno di graffi o contusioni.

Erano trascorsi ormai una decina di giorni dal fattaccio, per cui la donna si decise ad
accettare un appuntamento con lui, pensando che, se qualche segno fosse rimasto,
sarebbe stato già molto tenue e sul punto di scomparire.

Sveva sperava anche che egli si potesse tradire con lei, parlando degli ultimi
avvenimenti di Firenze; o che invece potesse scagionarsi definitivamente, producendo
un alibi relativo alla sera del giorno 8.

Un giorno l’aveva visto per strada, mentre lei stava telefonando da una cabina.
Era tutto in bianco, come per la mostra di SM, e camminava in compagnia di un giovane
bruno, alto e robusto, che aveva l’aspetto di un gay, con collanine e braccialetti di
perline multicolori. Ma era troppo distante perché ella potesse notare in lui qualcosa di
strano!

Così, tramite Alessandro, riuscì a combinare l’incontro per il primo pomeriggio di libertà
che ella aveva a disposizione.
E stette ben attenta che si dovessero vedere in un luogo pubblico e molto frequentato,
scegliendo perciò l’uscita della stazione ferrovia della città nella quale egli insegnava.

Lui aveva le occhiaie violacee, i capelli unti e i soliti foruncoli sulle guance.

“Come mi trovi…gattona?…Eh…come mi trovi?”

“Non mi piaci nemmeno un po’. Ti vedo scosso e stralunato!”

“Ricominci con le solite cazzate?! Forse perché non riesco a chiudere occhio, la notte!”

“Allora, vedi che non dico cazzate! Si capisce subito che stai male!”

“Non faccio che pensare…e non sono più abituato a stare da solo!”

Sveva intanto gli osservava le mani che, in effetti, presentavano delle leggere striature
grigiastre sia sul dorso che sul centro delle dita, fino alla falange più piccola.
Non era sicura che si trattasse di graffi rimarginati; avrebbe potuto trattarsi anche di
grafite; perciò rimase col dubbio!

“Sei riuscito a lavorare? Hai fatto qualcosa di nuovo?”- Chiese ella curiosa di leggere
dentro di lui attraverso le immagini dei suoi ultimi studi.

“Sì…ho fatto un solo lavoro, molto grande e molto bello! Tu potrai anche dire che non ti
piace, perché non è il genere che preferisci, ma io lo trovo bellissimo.
Vieni a vederlo! L’ho esposto nella galleria dove farò la mostra!”

Sveva si avviò con lui verso la galleria, già sapendo in cuor suo quello che avrebbe
trovato.
Infatti, il quadro che troneggiava nel centro di una parete, era un assemblaggio di
poppe, falli e fiche, colorate in rosso sangue e rosa fucsia, con i peli dei primi piani
talmente evidenti da sembrare vivi.

Una cosa di un’oscena e crudele bellezza, terrificante nella sua “realtà”, soprattutto per
la povera Sveva, rimasta annichilita.

Però il Lepre si mostrava di nuovo così sottomesso, verso di lei, da farle quasi pena.
Si capiva che aveva tremendamente bisogno di qualcosa o di qualcuno che sapesse
trarlo da quel vortice di perversioni che minacciava di spazzarlo via!

“Hai ancora bisogno di me? Vorresti davvero che io venissi a trovarti?”– Chiese la
donna che sentiva assurde fitte nel petto; come una pietà dolorosa.

“Oh…sì! Ti prego…ti prego!”

XXX

In attesa di prendere l’autobus per Z, i due si sedettero ad un tavolo esterno di un


grande bar nella piazza principale, davanti al Municipio e, dato che faceva ancora
caldo, ordinarono due granite.
Il Lepre indossava un paio di pantaloni di nylon color vinaccia, comperati all’estero e,
per dimostrare a Sveva quanto fossero impermeabili, si versò tutta la granita alla menta
sulle cosce, strofinandosela ben bene con le mani lungo tutte e due le gambe.

Quindi, lestamente, si diresse verso una fontana e si risciacquò i calzoni sotto l’acqua
corrente, senza toglierseli di dosso e ridendo come un pazzo!
(Come avtrebbe fatto il Mostro per ripulirsi dal sangue delle vittime nei piccoli corsi
d'acqua vicini ai luoghi degli eccidi!)

Poi raccontò a Sveva che ne aveva un altro paio, neri, dello stesso tipo…E, sempre in
tema di vestiario, disse che molte cose che gli erano divenute strette le aveva regalate
a degli amici di Firenze, comprese alcune giacche di cui una in velluto a coste rosso
bordò.

E, alla domanda di Sveva che voleva sapere chi fossero questi amici, rispose con la
solita ironia: “Perché lo vuoi sapere? Cosa ti frega di conoscere i miei amici di Firenze?”

Comunque, pur chiacchierando animatamente , egli non volle sbottonarsi sugli


avvenimenti che avevano preceduto la sua frettolosa partenza da T; e, ogni volta che la
donna ritornava sul discorso, si manteneva sempre molto evasivo.

XXX

Nell’appartamento del Lepre, c’erano segni evidenti e recenti di visite e di soste di


qualche amica o amico.

Non era lontano il giorno in cui aveva gettato via, in presenza di Sveva, tutti i prodotti
cosmetici che teneva nel cassetto dell’armadio; ed ora ce n’erano di nuovi, come
c’erano nuove fotografie che ella non aveva visto prima; anche quella di una ragazzina
molto giovane, con i capelli lunghi ed i sandali bianchi.

Che fossero gli oggetti asportati dalla borsetta dell’ultima ragazza uccisa , la francese
Nadine Mauriot?

Si accorse ben presto che Morty aveva mutato modi di dire e di pensare.

Ora indossava normalissime canottiere di cotone bianco, che prima definiva “borghesi”e
non parlava più di voler lavare i capelli alla donna o farle il “pedicure”, apparendo
sicuramente meno “strano di prima”.

Ma il drappo rosso con la svastica a capo del letto”, portava segni inequivocabili di
spaghetti cotti e poi gettati contro il muro.
E le uova, messe a bollire con il guscio nella stessa pentola del “cavolfiore”, erano
segnali di una crescente follia che egli si sforzava invano di reprimere.

Sveva seppe anche che una mattina, forse dopo la sua telefonata fatta alla S.A.M., egli,
all’uscita dalla scuola, era stato fermato da due poliziotti che gli avevano rivolto molte
domande e avevano voluto vedere il giornale che teneva in tasca, dicendogli che era
“una persona sospetta”.

Sì, perché adesso, ogni tanto, comperava anche un quotidiano, per tenersi aggiornato
sui fatti del Mostro di Firenze ; anzi, fece vedere a Sveva un ultimo identikit che
raffigurava un uomo di profilo con un gozzo identico al suo ma con il naso aquilino,
dichiarando:
“Avevi detto che su un giornale c’era un identikit che mi somigliava moltissimo, ma
questo invece non mi somiglia affatto!”

La donna, al contrario, aveva notato che, a parte il naso, il resto poteva benissimo
appartenere proprio a lui!

Inoltre, osservando alcuni cambiamenti e spostamenti effettuati nella stanza, ella vide
sul tavolo una pila di album da disegno di varie misure e, dato che si era soffermata ad
esaminarli, Morty giene offrì un paio, dicendole che li aveva acquistati a Dublino nel
1983, durante il viaggio in Germania, perché costavano molto meno che in Italia.

E, parlando le fece notare i prezzi scritti a lapis indicati in marchi sul retro di ogni blocco.
Poi, egli andò nel bagno e ne uscì subito con due portasapone di plastica rosa,
affermando che anche quelli li aveva comperati in Germania, perché erano molto
robusti; e se Sveva ne avesse avuto bisogno, avrebbe potuto benissimo prenderne uno.

Questi oggetti, ricordarono immediatamente alla donna l’uccisione dei due tedeschi nel
settembre dell’83 e la rivista GEO che aveva notato sul pavimento di quella stessa
stanza la prima volta che era venuta a Z con il Lepre.

Così, di nuovo, ella si mise sulla difensiva, accorgendosi di essersi esposta troppo e
ripromettendosi di stare più attenta da allora in poi.

XXX

In merito al nuovo lavoro di Sveva, il Lepre si era espresso favorevolmente,


rammaricandosi soltanto che ella avesse ormai poco tempo a disposizione da dedicare
alle mostre ed alla letteratura.

“Sai, mia madre, quando ha saputo che eri andata a stare dalla Diva, si è svenuta!”

“Come?… E’svenuta?!”
“Si…si è sentita male!…Si è sentita mancare…come te lo devo dire?”

La donna rideva. Ah…finalmente un punto a suo favore!


Chissà come stava male la cara donnina, sapendola nella stessa città dove abitava suo
figlio e, per di più, in casa di una personalità!
Immaginava benissimo gli strilletti di disperazione e gli impacchi di acqua fredda sulla
fronte!

“Eh, sì…La ruota gira…e, chissà, cara Mamtide, se troverai qualche altra da comandare
a bacchetta!?” – Pensava Sveva mentre usciva dallo studio del Lepre per rientrare a
casa della Diva.
CAP. XXI ° - CAMBIO DI FAVOLA E SCAMBIO DI RUOLI
Ottobre, novembre e dicembre 1985

Certo, le ore di Sveva erano molto dure, dato che ella ci teneva a dimostrarsi efficiente
e volonterosa!

Già dal terzo giorno dalla sua assunzione, la Diva aveva cominciato ad invitare a casa
personaggi di grosso calibro, forse anche per saggiare le capacità della donna.
Ed ella si doveva barcamenare tra fornelli, argenterie, tovaglie ricamate…oltre a
pensare al guardaroba, alla spesa e a rispondere al telefono che squillava in
continuazione, insieme al campanello della porta.

La Diva era la regina del quartiere; ed era un susseguirsi di omaggi da parte dei
commercianti, di visite di colleghi o di amici, di fotografi e di giornalisti.

Sveva l’aveva sempre immaginata molto diversa da quello che era in realtà.
E il fatto che la “Signora” esasperata urlasse nel telefono parolacce con tutto il fiato che
aveva o girellasse per le stanze nuda come un bruco, mettendole le chiappe sotto il
naso ogni volta che si chinava a frugare nei cassetti di cucina, era un duro colpo da
sopportare!

Sveva si sentiva molto “oggetto” e, come tale, avrebbe avuto bisogno di quattro ruote,
per spostarsi più velocemente attraverso il lungo salone che collegava le varie stanze
della casa; specialmente quando la Diva scampanellava nevroticamente dalla camera
da letto.

In compenso, la ragazza delle pulizie, che faceva servizio la mattina, era una creatura
ferma e dolcissima; una giovane sposa emiliana, robusta e soda, nata apposta per far
brillare gli ottoni e stirare le pieghe dei letti.

Sveva si sfogava a chiacchierare con lei mentre le dava una mano a tirar su i tappeti e
le coperte, che il compagno della signora strapazzava senza pietà e senza rispetto,
seminando dappertutto pedalini sporchi mischiati a fogli battuti a macchina, a mozziconi
di sigaretta e tazzine sporche di caffè.

XXX

Comunque Sveva stava bene, lassù vicino al cielo che si faceva ogni giorno più grigio,
in attesa dell’inverno.

Però, la sera, mentre apparecchiava la tavola rotonda vicino alla vetrata del salone, la
poetica urbana di quel panorama costellato di lumi velati dallo smog, le faceva dolere il
cuore.
Allora, andava ad annaffiare le roselline selvatiche sul balcone e respirava forte,
tentando di lenire quella pena che le arrivava da lontano.

Da un trascurato giardino di campagna, dove due ragazzi, una bambina bruna ed un


giovinetto biondo, giocavano a nascondino con l’immagine della mamma, inafferrabile e
strana, confusa tra la terra e il cielo, fra miseria e nobiltà, tra angeli e demoni.

Una mamma tanto diversa da quella di Francesca o di Stanislao, o da quella di Cristina


e di Roberto!

XXX

Con il trascorrere dei giorni, il lavoro di Sveva si appesantiva.


Le mansioni che le venivano affidate, erano sempre più numerose ed ella si chiedeva
se non avesse sbagliato a mostrarsi tanto disponibile e capace.

Era la storia di sempre: più uno dà e più gli altri pretendono.

La donna , nelle ore di libertà non usciva quasi mai, perché non sapeva dove andare e
cosa fare fuori, senza poter coltivare i propri interessi o avere un posto per riposare in
santa pace e, pertanto, continuava a lavorare in guardaroba, aggiustando gli oggetti che
la signora aveva maltrattato per incompetenza o per qualcuno degli scatti d’ira che la
distinguevano, senza ottenere nemmeno un briciolo di riconoscenza.

Cosìcché prese in affitto un piccolo locale in una “casa di ringhiera”, trovato ad un costo
irrisorio e ad una mezz’ora di viaggio in tram.

Pensava che avrebbe potuto portarsi da casa un po’ di materiale utile a tenere contatti
con qualche galleria e, magari, poter continuare parallelamente la propria attività di
manager per alcuni dei pittori che conosceva, arrotondando così i suoi introiti mensili,
che non erano certamente un granché.

Intanto, fra il lavoro per la Diva, i viaggi settimanali per visitare la famiglia e la
provvisoria sistemazione del piccolo appartamento, Sveva sgobbava a più non posso e
stava perdendo peso.
Mentre, dovendo stare spesso con le mani nell’acqua, i dolori artritici si erano
accentuati, costringendola a camminare con le pianelle e a ritirarsi più presto la sera,
lasciando che la Diva si arrangiasse da sola se arrivava improvvisamente in compagnia
di persone invitate a cena.

Con il risultato che al mattino seguente, trovava il bigliettino quotidiano sul tavolo di
cucina, con l’elenco delle mansioni da svolgere che si allungava ogni giorno di più!

Considerando poi che molte volte si doveva comperare anche il cibo, poiché in casa
della signora si praticavano diete con alimenti che a Sveva davano semplicemente la
nausea, fra telefonate a casa e acquisti di oggetti personali, non è che il tutto
presentasse molti vantaggi!

XXX

Frattanto il Lepre, le rare volte che si erano incontrati, si era mostrato sempre più
scorbutico e sgarbato, anche perché gli era arrivato lo sfratto pure per il monolocale di Z
!
Stava coltivando la sua relazione con la tartarughina, dalla quale riceveva lunghe lettere
che andava a leggere in bagno e poi strappava gettandone i pezzi nel water.
E, sicuramente, continuava a ricevere visite di amici ed amiche strani come lui!

Poi, il sabato o la domenica partiva sempre per T, ossessionato dalle telefonate della
madre che lo cercava a scuola, promettendogli programmi domenicali molto allettanti ai
quali non sarebbe stato facile rinunciare.

Egli stava distruggendo sistematicamente tutto il lavoro di “pubbliche relazioni” che


Sveva aveva costruito per lui, trattando male ogni mercante d’arte o gallerista con i
quali ella avesse preso contatti; ed aveva sempre il muso lungo.

C’era mancato poco che la donna non avesse sotterrato la testa per la vergogna,
nell’udire gli epiteti offensivi con i quali Morty si era scagliato contro di loro, perché gli
erano sembrati “non troppo entusiasti”dei suoi lavori.

Perfino con Alessandro, l’amico giornalista, egli tentava sempre di mettere Sveva in
imbarazzo e, nei locali pubblici, si comportava in maniera tanto strana, da togliere
definitivamente alla donna ogni possibilità di accompagnarlo.

E lei, che con tanta fatica aveva cercato di mantenere intatti i propri rapporti con le
suddette persone, le sole che avrebbero potuto aiutarla comunque, per un’attività
diversa da quella che stava svolgendo, si vedeva così di fronte ad un futuro ignoto e
freddo;
ché già il vento di tramontana spazzava le strade, congelandole gli arti doloranti e la
notte calava presto, sulla città e sulle sue speranze.

XXX

La Diva era partita per una tournée in Oriente, lasciandole un lungo elenco di cose da
fare e affibbiandole il compito di soddisfare i capienti stomaci del figlio e dell’amante.
I quali, in assenza della signora, non si curavano più di nasconder l’astio che provavano
reciprocamente, andandosene a desinare l’uno in camera e l’altro nel punto più lontano
del salone.

Sveva, per evitare che al ritorno della Diva succedessero le scene d’isterismo che ella
recitava quotidianamente a favore della servitù, si era accordata con la ragazza
emiliana per farle trovare tutto in perfetto ordine.
Ed aveva lucidato personalmente gli specchi, gli argenti e persino le sculture in bronzo
che qualcuno, poco accorto, aveva rovinato con il Sidol.

Anche queste erano tornate perfette e la casa brillava e profumava in tutta la sua
grandezza.

Pure le piante, accuratamente potate ed annaffiate, erano verdi e lussureggianti.

Sveva non immaginava che la Diva potesse trovare al suo rientro qualcosa fuori posto;
ma, evidentemente, non la conosceva abbastanza.

Infatti, nonostante la spossatezza per il lunghissimo viaggio, ella ebbe la forza di


sdraiarsi per terra, per trovare dietro i radiatori dell’impianto di riscaldamento una
benché minima traccia di scorie di fumo ; e di salire cento volte sullo scaleo, per cercare
la polvere che, fortunatamente era stata tolta, sugli scaffali più alti della casa.

Ma la scenata ci fu comunque, per una cornicetta d’argento posta nel bagno che, senza
che Sveva se ne accorgesse, si era opacizzata a causa del vapore ; come ce ne fu
un’altra, terribile, per la governante uscente, la quale non trovava più un top di
paillettes, nascosto sul fondo di una valigia.

Sveva soffriva per tutto ciò; non tanto per sé, ma per le altre due donne della casa che
sapeva tanto attaccate al proprio lavoro e molto coscienziose!

“Che merda, questa donna!”- Pensava.

Ella trovava assurdo sprecare tanto tempo per lucidare i portaritratti di una che si dava
arie da raffinata, mentre non era che una rompi palle cafona e taccagna, capace di
avvelenare la vita ad una persona per un bicchiere rotto o un cucchiaino d’acciaio che
non si trovava più!

Il malessere di Sveva aumentava giorno dopo giorno, mentre il vassoio con il quale la
“divina” voleva le fosse servita la colazione a letto, diventava sempre più grande, tanto
da non passare più dalla porta di camera; tanto da costringere la donna a fare la
contorsionista per evitare che la teiera d’argento andasse a finire sul pavimento.

Per di più, le mancavano tanto i suoi figli che, pur avendo il telefono in casa, non si
facevano sentire, aspettando che fosse sempre lei a chiamare, con enormi difficoltà di
reperire ogni volta gettoni sufficienti e cabine funzionanti.

XXX

Erano trascorsi appena due mesi e la donna, ridotta l’ombra di sé stessa, già si
ritrovava a piangere ogni sera nel cuscino.
A tutto ciò si univa la struggente malinconia del suo “mare d’inverno”, con le strida dei
gabbiani che volavano bassi sui moli ed i tramonti rossi come il fuoco.
La sensazione di non avere accanto qualcuno che la amasse, le stava togliendo a poco
a poco la forza di lottare e a volte si sorprendeva ad invocare la morte come una
liberazione!

“Ora basta!” – Si disse infine una mattina in cui la Diva, più irascibile che mai per un
contratto sfumato, la richiamò più volte in camera per farle delle osservazioni, fino a
rimproverarla aspramente per un paio di grinze trovate sotto il guanciale e in fondo alle
lenzuola, dalla parte dei piedi.

“Non penserà mica che io possa dormire in un letto così schifoso!” – Aveva blaterato la
signora, con gli occhi fuori dalle orbite!

E Sveva decise di andarsene, senza ripensamenti, considerando che era meglio morire
di stenti, ma vicina ai propri figli e con la propria dignità, piuttosto che essere bistrattata
per simili baggianate!

Per alcuni giorni provò a trasferirsi nella casetta di ringhiera ed iniziò a lavorare per la
Mondadori ma, accorgendosi che stava per ammalarsi, alla fine del mese di novembre,
fece fagotto e se ne tornò a casa, comprendendo che anche questo capitolo della sua
vita era definitivamente terminato.

Si era soltanto illusa di poter dare ad una vecchia fiaba una conclusione diversa, un
tocco di originalità alla monotonia delle cose di sempre, ignorando che , in fondo alla
strada, avrebbe trovato il cartello da benzinaio con la scritta “Oggi chiuso”!

XXX

Cercando di recuperare il salvabile dal disastro dell’allagamento del residence, riunì


alcune cose che trasportò nella casa di campagna e, avendo un po’ di tempo libero,
cominciò ad esaminare e studiare con attenzione tutti i lavori del Lepre che le erano
rimasti, quale compenso per la mostra di agosto.

Fu così che , passo dopo passo, riuscì ad entrare nella logica di quegli studi in bianco e
nero che egli aveva chiamato “memory”, scomponendo e riassemblando le ventun
pagine di dodici tessere ciascuna e confrontando quelle immagini con le fotografie di
tutte le vittime del Mostro di Firenze.

Fino a capire perfettamente l’ordine di successione di quei tasselli; le distanze di ogni


eccidio misurate in “quantità di benzina” utilizzata, gli orari e le date degli omicidi, la
“qualità” delle sensazioni provate, il grado delle difficoltà incontrate e così via.

Ormai Sveva non dubitava più: aveva soltanto certezze.


E uno dei primi giorni dopo il suo ritorno a casa, prese da sola il treno per Firenze e si
recò a sporgere denuncia alla S.A.M., la squadra speciale anti Mostro.
Alla S.A.M fu accolta in un grande ufficio, dove un Maresciallo di mezza età di
corporatura robusta e con i capelli rossi, accolse la sua deposizione, scrivendo le cose
al contrario di quello che lei voleva dire, tanto che Sveva fu costretta ad interromperlo
continuamente per verificare cosa avesse capito in realtà di tutta la faccenda.

Per fortuna, si fece avanti un giovane bruno, con i capelli nerissimi pettinati all’indietro e
l’aria intelligente, il quale sembrava molto interessato a quanto la donna stava
raccontando e cercò di pilotare il lavoro del collega nel migliore dei modi, per evitare
pasticci.

Egli aveva tutta l’aria di un superiore, forse un Commissario; ed ascoltò le dichiarazioni


della donna per circa due ore.
Quindi, Sveva promise che avrebbe inviato alla S.A.M. alcune delle immagini
plastificate create da Morty, cosa che fece sollecitamente tramite un plico spedito con
ricevuta di ritorno, (restituita regolarmente al mittente); e che sarebbe stata disposta a
collaborare ulteriormente se ve ne fosse stata necessità.

XXX

Ella continuò a seguire quotidianamente i notiziari e le cronache giornalistiche sul caso,


non meravigliandosi più che ogni qual volta il Mostro dava notizie di sé, le sue azioni o i
suoi scritti rivelassero sempre profonde analogie con il Lepre.

Per esempio, l’ultima lettera spedita dal Mostro alla polizia, era stata battuta su una
macchina da scrivere nuova, con i caratteri del tutto diversi dalle lettere precedenti.
E, guarda caso, il padre di Morty, Prof. Leone Scorpio, aveva cambiato la macchina da
scrivere proprio poco tempo prima!

Anche le parole usate dal Mostro “Ve ne bastano uno per uno?”, relative all’invio di
proiettili allegati alla lettera, erano usate molto di frequente da Morty!

Egli si era fatto vivo di nuovo con Sveva per cercare in ogni modo di riprendersi i propri
lavori e, un giorno in cui aveva convinto la donna a salire sulla sua macchina, con la
scusa di volerla accompagnare a casa, ella, intuendo durante il viaggio il vero scopo di
lui, per indurlo a farla scendere, aveva cominciato a prenderlo in giro a proposito della
sua relazione con la Tartaruga e per altri motivi annessi alla cosa.

Al che, egli, come al solito, aveva cominciato a gridare che lei parlava così solo per
gelosia e che continuava a spiarlo sempre per gelosia…E che era pazza di lui, perché
era bello e furbo e poteva permettersi qualsiasi cosa…anche prendere in giro tutti
quanti…compresi i genitori… e i poliziotti !…

E fu allora che Sveva, punta nell’orgoglio, cominciò col dire:


“Tu che sei tanto furbo e intelligente…dov’eri la sera del 28 luglio dell’anno scorso,
quando sei sparito dalle 8 a mezzanotte senza mai rivelare a nessuno le tue mosse?
E dov’eri la sera dell’8 settembre di quest’anno, dopo aver portato i tuoi quadri a
Navacchio, dalla cugina di tua madre?

E perché ambedue le volte, tornato a casa, hai impedito a tua madre di dormire,
dicendole cose oscene e fuggendo via subito dopo?… L’anno scorso con gli amici in
Turchia e quest’anno da solo a Z, dichiarando di stare “malissimo” e di volerti uccidere?

E perché nei tuoi lavori ci sono tante informazioni sul Mostro di Firenze, compresi gli
anni in cui egli non ha colpito, che sono poi quelli in cui tu avevi delle relazioni stabili
con donne che, evidentemente, sapevano tenerti a freno?

Guarda caso, gli eccidi più atroci sono ricominciati nell’ottantuno, quando sei partito per
l’America con l'amica sadica e sei ritornato in ottobre, proprio in tempo per il secondo
omicidio.
Come mai, l’unico delitto in ottobre è accaduto proprio in quell’anno?

E, nell’ottantatré, i due tedeschi ammazzati, non erano arrivati da Dublino insieme a te


ed alla tua amica Giulia? Con tanti album da disegno ed i portasapone rosa nel
camper?

E l'ultima coppia, quella dei francesi, che prima che a Firenze si erano accampati a
Marina di Massa, non è che, per caso, te li avesse presentati la tua Tartaruga,
professoressa di francese?

Forse tu potresti spiegare tutto questo ?…Non è vero ?”

Mi hai chiesto tante volte di scrivere un libro su di te, perché hai detto che volevi essere
famoso ..a tutti i costi….!
Mi sa proprio che lo scriverò…questo libro!…Ma non come lo vorresti tu!”

Annichilito da questo assalto frontale non previsto, il Lepre si era come paralizzato ed
aveva fermato la macchina in mezzo alla strada .

“Stai attenta…Stai attenta!…Tu sei troppo intelligente e troppo furba!..” – Disse con la
faccia cattiva; mentre la donna, aperta la portiera, si precipitava fuori e, camminando
velocemente, raggiungeva un gruppetto di pedoni.

XXX

Da quel giorno, Sveva evitò accuratamente di Incontrare il Lepre, ma fece in modo che
egli sapesse di essere stato denunciato e che una parte dei suoi lavori era ormai in
mano della Polizia.

Ogni tanto, cercava di provocarne da lontano le reazioni, con qualche vignetta


umoristica che inviava a lui e alla sua Tartaruga, sperando di costringerlo, in qualche
modo, a tradirsi, compiendo un passo falso.

Fatto sta, che dopo la sua deposizione ed i vari interrogatori che Sveva dovette
affrontare in seguito, l’unica volta in cui il Mostro si rifece sentire, fu per scrivere alla
polizia che “non era ancora morto”!

E questo, era successo dopo che la donna, per l’ennesima volta, aveva indirizzato al
Lepre una satira feroce, in versi, che aveva pure diffuso negli ambienti artistici
solitamente frequentati da lui e dalla sua ultima amica.

“Gatta ci cova!” – Aveva esclamato Sveva esultando, appena saputa la notizia!

In quanto alla MAMTIDE, l’aveva vista una sola volta, per strada.
Era vestita come Cappuccetto Rosso, con tanto di mantella color ciliegia e fazzolettino
rosso, con le cocche legate dietro la nuca.

E aveva pensato : “Ahimè, la favola continua! Forse per il momento, ha soltanto


cambiato titolo!
O, magari, si sono invertite le parti!”

Così, stuzzicata dall’idea che il Lepre, questa volta, finalmente uscito dalla propria pelle
troppo stretta, si fosse tramutato in Lupo, Sveva andò subito ad acquistare una cartolina
postale da spedire agli Scorpio e vi disegnò, con i pennarelli colorati, un lupo lungo e
magro, con gli occhiali, stravaccato sotto un albero, ed un Cappuccetto Rosso con le
sembianze della Mamtide e con i ricciolini neri a cavatappi che uscivano da un
fazzolettino , pure quello, rosso!.

Poi, come nei fumetti, scrisse per il lupo la domanda: “ Cosa mi hai portato oggi nel
panierino, per desinare?”

E, dalla bocca di Cappuccetto Rosso, fece uscire la risposta: “Rapini e zuppa di


Tartaruga, amore mio!”

Alberta Rossana Bianchi

Questa è la parte finale del racconto scritto nel 1986 , lasciato inedito per 16 anni e
riveduto e corretto dall’autrice durante il periodo estivo del 2002
PUBBLICATO ESCLUSIVAMENTE IN INTERNET IN VENTUNO CAPITOLI

Tanti quanti sono i fogli che componevano l’album del Lepre, comprendenti 12
assemblaggi di immagini ciascuno, per un totale di 252 tessere di cm. 9x9, in bianco e
nero; le fotocopie delle quali furono fatte conoscere, a suo tempo, anche alla stampa ed
ai genitori di una delle ragazze uccise dal Mostro di Firenze.

In un futuro prossimo, ci auguriamo di poter pubblicare un SEGUITO alla presente


storia, raccontando quali sono oggi le considerazioni di Sveva, dopo tante, inutili
chiacchiere e supposizioni e dopo le morti sospette di molte delle persone coinvolte
nelle indagini.

A PRESTO!

Addì 23 FEBBRAIO dell'anno 2005

Per eventuali comunicazioni, consultare la rubrica AGGIORNAMENTO 2005 - alla fine


del SOMMARIO del sito.

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