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L’AMMINISTRAZIONE PUBBLICA

L’amministrazione, sia in senso oggettivo che in senso soggettivo, è retta da norme giuridiche che nel loro complesso
formano il Diritto Amministrativo.
Nel nostro ordinamento i principi fondamentali in tema di amministrazione sono stabiliti dalla Costituzione: è
dedicata, infatti, all’amministrazione, la II sezione del Titolo III della Parte Seconda, ma se ne fa cenno anche in altre
occasioni.
All'art 97, Cost troviamo infatti:
“I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge in modo che siano assicurati il buon andamento e
l'imparzialità dell'amministrazione”.

Nell'ordinamento degli uffici, sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei
funzionari.
“Agli impieghi nelle PA si accede mediante CONCORSO, salvo i casi stabiliti dalla legge”.

PRINCIPI DELLA PA
1.PRINCIPIO DI IMPARZIALITA’:
L’amministrazione deve curare gli interessi pubblici che la legge determina, sottolineando che ciò deve avvenire
senza discriminazione dei soggetti coinvolti. È un principio che ha importanti riflessi anche sull’organizzazione,
stabilendo il criterio del concorso per l’accesso ai pubblici uffici.

2.PRINCIPIO DI BUON ANDAMENTO:


L’amministrazione deve agire nel modo più conveniente e adeguato possibile.

3.PRINCIPIO DELLA SEPARAZIONE DEI POTERI, concepita come forma di garanzia delle libertà individuali.

Secondo l’insegnamento di Montesquieu, ciascun potere (legislativo, esecutivo, giudiziario) deve essere esercitato da
organi tendenzialmente separati. Ciò al fine di consentire una sorta di bilanciamento e di reciproco controllo
all’interno del sistema.

art 95, Cost “Il Presidente del Consiglio dei Ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile.
Mantiene l'unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l'attività dei Ministri.
I Ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei Ministri, e individualmente degli atti dei loro
dicasteri.
La legge provvede all'ordinamento della Presidenza del Consiglio e determina il numero, le attribuzioni e
l'organizzazione dei ministeri”

art 5, Cost offre uno schema caratterizzato dal decentramento amministrativo e dalla promozione delle autonomie
locali, capaci di esprimere un proprio indirizzo politico-amministrativo. Dunque, le autonomie locali detengono
importanti poteri e possono esprimere una maggioranza politica diversa da quella presente a livello nazionale.

Mentre in passato l’attività politica e l’attività amministrativa risiedevano sostanzialmente negli stessi soggetti
(pensiamo ad esempio agli enti locali: il Sindaco aveva sia funzioni politiche sia amministrative, sottoscrivendo i
provvedimenti), oggi, a seguito della Riforma del Pubblico Impiego (L. 165/2001), vi è una netta distinzione fra
politica e amministrazione, con l’istituzione dei livelli dirigenziali.
Gli organi politici danno l’indirizzo politico, ossia la volontà di raggiungere certi fini, obiettivi che rispondono
all’orientamento politico nazionale.
I dirigenti amministrativi, che si trovano nella posizione apicale dell’organizzazione amministrativa, hanno anch’essi
funzioni direttive, ma di indirizzo amministrativo. Dati cioè gli obiettivi da raggiungere, definiti dall’indirizzo politico,
essi individuano le modalità attraverso cui raggiungerli.

Vi sono due carriere dirigenziali differenti:


• la carriera dirigenziale interna (per concorso);
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• la carriera dirigenziale di nomina politica.

Un’eccezione al principio della separazione dei poteri è il cosiddetto Spoil System, nel caso in cui i dirigenti siano
nominati politicamente. Questi decadono automaticamente dal loro ruolo nel momento in cui viene votata la fiducia
al nuovo Governo. Questo non avviene nel caso dei dirigenti di ruolo.

4.Si ha poi il PRINCIPIO DI LEGALITA’ che, invero, non è indicato in modo esplicito nella Costituzione, ma si ricava dal
complesso di norme che subordinano l’attività dell’amministrazione al rispetto delle leggi.
Il contenuto del principio di legalità impone in primo luogo che l’amministrazione non ponga in essere atti contrari
alla legge, ed esprime poi l’esigenza che l’azione amministrativa abbia una specifico fondamento legislativo.

La PA pone in essere atti:


• Vincolati:quelli i cui contenuti sono normativamente predeterminati (non residuano margini di valutazione in capo
all’organo decidente);
• Discrezionali:di contro è discrezionale la scelta assunta attraverso la ponderazione comparativa di tutti gli interessi
(pubblici e privati) rilevanti, in vista del miglior perseguimento dell’interesse pubblico.

5. art 28, Cost prevede il fondamentale PRINCIPIO DELLA RESPONSABILITA’ dell’amministrazione e dei suoi
dipendenti. In particolare, la norma stabilisce che i dipendenti sono direttamente responsabili secondo le leggi
penali, civili e amministrative degli atti compiuti in violazione dei diritti, specificando che la responsabilità civile si
estende agli enti pubblici di appartenenza.
I dipendenti degli enti pubblici sono poi assoggettati, oltre alla responsabilità amministrativa, anche a quella
contabile e disciplinare; inoltre i dirigenti sono assoggettati alla responsabilità dirigenziale.

Gli articoli riguardanti la tutela nei confronti della PA sono:


• art 24, Cost “Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”;

• art 113, Cost “Contro gli atti della PA è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi
dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa.
Tale tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate
categorie di atti.
La legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi e
con gli effetti previsti dalla legge stessa”.

Se i principi costituzionali rimangono tendenzialmente fissi, il diritto amministrativo è in continuo mutamento perché
l’amministrazione è oggetto di continui interventi legislativi di riforma, nel tentativo di migliorare le prestazioni,
tenendo conto dell’importante problema del contenimento della spesa pubblica.

Si pensi alla legge sul procedimento amministrativo (241/1990) e alla legge sulle autonomie locali, ora trasfusa in un
Testo Unico (d.lgs. 165/2001).
Una significativa costituzionale che ha avuto importanti ripercussioni sull’amministrazione e sul suo diritto è stata la
l.Cost. 3/2001 che ha modificato il libro V della Parte II della Costituzione, accentuando il ruolo ed i poteri di Regioni
ed enti locali.

La legge 15/2005 ha modificato e integrato la l.241/1990, affiancando ai criteri regolanti l’attività della PA i principi
dell’ordinamento comunitario, nonché il PRINCIPIO DI TRASPARENZA.
La trasparenza costituisce un mezzo per rafforzare il carattere democratico delle istituzioni e la fiducia dei cittadini
nei confronti dell’amministrazione, offrendo ad essi la possibilità di controllare l’esercizio del potere pubblico.
Tutti i soggetti possono prendere visione ed estrarre copia dei documenti amministrativi.

Il DIRITTO DI ACCESSO incontra limiti derivanti da prevalenti esigenze di riservatezza concernenti taluni documenti
amministrativi a tutela o di interessi pubblici o di terzi.
La l.241/1990 presenta un elenco di documenti sottratti all’accesso.

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Tra le novità introdotte dalla l.15/2005 vi è l’obbligo di utilizzare da parte della PA, nell’esercizio di attività non
autoritative, la disciplina propria del diritto privato.
L’attività non autoritativa si contrappone all’attività autoritativa con la quale la PA è in grado di produrre atti in
grado di produrre effetti nella sfera giuridica di terzi unilateralmente, cioè a prescindere dalla loro volontà.

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GLI ENTI PUBBLICI
Gli enti pubblici (o pubbliche amministrazioni) sono quelle particolari persone giuridiche cui la legge attribuisce
specifici poteri amministrativi al fine di realizzare interessi pubblici.

Il diritto amministrativo si occupa della disciplina giuridica relativa all’organizzazione, ai beni e all’attività della PA,
nonché della disciplina concernente i rapporti giuridici che quest’ultime intrattengono con gli altri soggetti
dell’ordinamento.

Con ENTI TERRITORIALI indichiamo quegli enti pubblici per i quali il territorio è elemento costitutivo insieme alla
popolazione ed agli organi di governo(Regine,Comune,Provincia).
Per GOVERNI LOCALI (o autonomie locali) intendiamo quei particolari enti territoriali che godono di autonomia
politica ed hanno organi rappresentativi della volontà popolare (Consigli e Giunte).

Evoluzione storica
L’evoluzione storica degli enti pubblici è caratterizzata da due fasi principali:
• la prima va dalla seconda metà dell’800 agli anni ’70 del Novecento, in cui si registrò un progressivo aumento
delle PA.
In origine, gli unici enti esistenti erano quelli territoriali (Stato, Provincie, Comuni), cui si aggiunsero numerose altre
amministrazioni la cui istituzione fu determinata da una serie di cause: ad esempio, il passaggio dallo Stato liberale al
modello sociale, in cui il crescere dei bisogni individuali e collettivi, che non sempre i privati riuscivano a soddisfare,
manifestò la necessità di creare strutture pubbliche che potessero adeguatamente rispondere a tali esigenze.
Il primo Parlamento nazionale, dopo l’Unità di Italia, emanò la prima legge comunale e provinciale (l.2248/1865),
che attua un sistema accentrato di tipo Francese, in cui gli enti locali erano amministrazioni indiretta dello Stato
centrale. Non avevano alcun tipo di autonomia (sintesi di poteri che spettano ad un soggetto) normativa od
organizzativa. Tale situazione non muta con le norme successive, anzi tale subordinazione si aggrava quando il
regime fascista rafforza i poteri del governo centrale, azzerando anche l’autonomia politica degli enti.

La situazione cambia solo con la Costituzione, che già nel testo originario, all’ART. 5 COST. riconosce e valorizza
l’autonomia degli enti territoriali esistenti (Comuni e Provincie), crea le Regioni a Statuto ordinario come nuovo
livello di governo e riconosce autonomia speciale ad alcune Regioni.

• la seconda fase ha inizio negli anni ’70 del Novecento e giunge fino ai nostri giorni: è contraddistinta dalla
riduzione numerica degli enti pubblici. Tale riduzione fu causata da diversi fattori:
1. Istituzione delle Regioni (1972), che segnò il passaggio alle amministrazioni regionali di funzioni pubbliche fino a
quel momento svolte da altri enti;
2. La necesssità di ridurre la spesa pubblica per limitare il deficit pubblico, divenuta condizione imprescindibile ai
fini del rispetto del Patto di Stabilità sancito nel Trattato di Maastricht del 1992;
3. L’affermarsi di una concezione meno invasiva dell’intervento pubblico, riconoscendo ai privati il diritto/libertà di
svolgere attività sia di natura economico-produttiva, sia attività di interesse generale (Principio di sussidiarietà
orizzontale).

Con la legge n 59/1997 e le seguenti, ma soprattutto con la riforma costituzionale del 2001, si attua un deciso
rafforzamento autonomistico delle Regioni e degli altri enti territoriali.

L’art 114, Cost afferma che:


“La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”.
Vi sono quindi sia rapporti tra i diversi livelli di governo, sia tra lo Stato centrale e i governi locali.
“I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni
secondo i principi fissati dalla Costituzione”.
Rispetto al passato, l’autonomia di tali enti trova origini e limiti solo nella Costituzione e non più in una legge statale.

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FUNZIONE AMMINISTRATIVA
Per funzione amministrativa intendiamo la cura concreta dell’interesse pubblico.

Nella ripartizione tra livelli di governo, tale funzione, ai sensi dell’art 118 Cost spetta, in linea di principio, ai Comuni,
individuando nella collettività territoriale di minori dimensioni quella in grado di rispondere meglio alle esigenze dei
cittadini.

art 118 Cost “Spettano alla Regione le funzioni amministrative per le materie elencate nel precedente articolo, salvo
quelle di interesse esclusivamente locale, che possono essere attribuite dalle leggi della Repubblica alle Provincie, ai
Comuni o ad altri enti locali.

Lo Stato può con legge delegare alla Regione l'esercizio di altre funzioni amministrative.

La Regione esercita normalmente le sue funzioni amministrative delegandole alle Provincie, ai Comuni o ad altri enti
locali, o valendosi dei loro uffici”.

Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite
a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi
di sussidiarietà,differenziazione ed adeguatezza (1). I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di
funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive
competenze (2). La legge statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie di cui alle lettere
b) e h) del secondo comma dell'articolo 117 (3), e disciplina inoltre forme di intesa e coordinamento nella materia
della tutela dei beni culturali (4). Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono
l'autonomainiziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del
principio di sussidiarietà (5) (6).

Note

(1) La norma definisce i principi in base ai quali le funzioni e i compiti amministrativi vengono distribuiti fra i diversi livelli di governo. Destinatario di tutte le
attribuzioni è tendenzialmente il Comune (nella forma del cd. municipalismo d'esecuzione), l'ente originario più vicino ai cittadini, fatta eccezione per le funzioni
che richiedono un esercizio unitario a livello sovracomunale, sia esso provinciale, regionale o statale. Si pensi, ad esempio, alle funzioni di puissance, oggetto di
legislazione esclusiva statale (moneta, politica estera, difesa dello Stato, ordine pubblico), che richiedono necessariamente un esercizio uniforme a livello
nazionale.

(2) Gli enti locali possono esercitare funzioni proprie o conferite da leggi statali o regionali, secondo le rispettive competenze. Nell'interpretazione data dalla L.
131/2003, le funzioni proprie sono incluse nelle funzioni fondamentali, individuate dalla legge statale anche nelle materie di competenza legislativa regionale. A
Stato e Regioni, nell'ambito delle rispettive competenze, spetta il compito di trasferire le ulteriori funzioni amministrative che non richiedono l'esercizio unitario
a livello statale e regionale agli enti locali. La L. 131/2003 ribadisce che in ogni caso l'allocazione di funzioni, siano esse fondamentali o conferite, ad un ente
diverso da quello che attualmente le esercita dovrà avvenire contestualmente al trasferimento di beni e risorse.

(3) Si tratta delle materie dell'immigrazione e dell'ordine pubblico e sicurezza.

(4) Si tratta di una delle poche norme del nuovo testo costituzionale che prevede esplicitamente forme di raccordo fra due diversi livelli di governo, quello
statale e quello regionale.

(5) La norma costituzionalizza un principio già sancito dall'art. 4 della legge 59/1997 con una formulazione che appare significativa ma limitata: essa non
impedisce l'intervento pubblico in tutti quei settori in cui esso è ritenuto necessario sulla base di valutazioni politiche discrezionali, anche se in tali settori i privati
possono operare o già operano proficuamente. Viceversa, impedisce al legislatore di trasformare in enti pubblici istituzioni private o sostituire con attività delle
pubbliche amministrazioni attività private nei settori in cui sia presente l'iniziativa autonoma dei soggetti privati. Manca, quindi, ogni riferimento al principio di
semplificazione delle norme e delle procedure amministrative, pur presente nella legislazione degli ultimi anni (legge 59/1997, leggi annuali di semplificazione),
in base al quale le potestà normative ed amministrative devono essere esercitate solo quando se ne dimostri la necessità in riferimento ad un'alternativa
regolazione da parte dell'autonomia privata, previa valutazione dei costi e benefici dell'intervento pubblico.

(6) Articolo così sostituito dall'art. 4 L. cost. 18-10-2001, n. 3. Il testo previgente così recitava: «118. -- Spettano alla Regione le funzioni amministrative per le
materie elencate nel precedente articolo, salvo quelle di interesse esclusivamente locale, che possono essere attribuite dalle leggi della Repubblica alle Province,
ai Comuni o ad altri enti locali. Lo Stato può con legge delegare alla Regione l'esercizio ddi altre funzioni amministrative. La Regione esercita normalmente le sue
funzioni amministrative delegandole alle Province, ai Comuni o ad altri enti locali, o valendosi dei loro uffici».

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L’ art 118 Cost, attribuisce la funzione amministrativa in capo ai Comuni, ma congiuntamente con l’individuazione di
meccanismi atti a garantire un esercizio ottimale.

Infatti, lo stesso articolo precisa che tali funzioni possono essere conferite con legge, in via ascendente, a Provincie,
città Metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.

Il PRINCIPIO SI SUSSIDIARIETA’ è un criterio procedurale per l’attribuzione della funzione che può essere anche
bidirezionale:
1 SUSSIDIARIETA’ VERTICALE è un modo di ripartizione delle funzioni tra diversi livelli di governo;
2 SUSSIDIARIETA’ ORIZZONTALE è un principio regolatore di rapporti tra privati e PA.

Relativamente alla funzione legislativa, il riparto, dopo la riforma costituzionale del 2001, è incentrato sul criterio di
competenza per materia.
È importante, quindi, rilevare che, nella gerarchia delle fonti del nostro ordinamento, le leggi regionali figurano
come fonti primarie al pari delle leggi statali anche se si caratterizzano per la portata applicativa limitata al territorio
regionale.

Il nuovo testo dell’art 117 Cost individua tre ambiti di legislazione:


1 Competenza esclusiva dello Stato;
2 Legislazione concorrente dello Stato e delle Regioni: lo Stato ha il compito di individuare i principi
fondamentali della materia da disciplinare e le Regioni quello di provvedere in concreto alla disciplina di
dettaglio e di sviluppo;
3 Residuale: attribuito alle Regioni nelle materie che non siano né concorrenti, né esclusive dello Stato.

Gli enti locali possono emanare:

• Statuti (art 114 Cost)che stabiliscono:


- Principi di organizzazione e funzionamento dell’ente;
- Forme di controllo;
- Garanzie delle minoranze;
- Forme di partecipazione popolare.

• Regolamenti (art 117 Cost), emanati da Comuni, Provincie e Città Metropolitane per disciplinare lo
svolgimento e l’organizzazione delle funzioni loro attribuite.

Il problema di stabilire il c.d. Regime di pubblicità degli enti è stato in parte risolto dalla l. n70/1975 secondo cui
”nessun nuovo ente può essere costituito o riconosciuto se non per legge”.

Tuttavia oggi molti enti, come i consorzi e le aziende speciali, continuano comunque ad essere istituiti da altri enti
pubblici con determinazioni amministrative "sulla base della legge" e non "per legge".
Pertanto, si distingue una dottrina tra configurazione astratta e istituzione concreta dell'ente.
Inoltre, la norma in esame, non è applicabile per gli enti istituiti prima del ’75 dei quali è infatti molto difficile
stabilire la natura.

Per queste ragioni, il problema assai dibattuto negli anni è stato risolto dalla giurisprudenza utilizzando i cosiddetti
indici esteriori di pubblicità.
Si tratta di una serie di elementi e aspetti che,laddove si riesca ad individuarne un numero significativo in capo ad un
ente, ne segnalano il regime pubblico. Tra questi vi sono:

1. La costituzione dell’ente ad opera di un soggetto pubblico;


2. La nomina degli organi direttivi, in tutto o in parte, da parte dello Stato o di altro ente pubblico;
3. L’esistenza di controlli o finanziamenti pubblici;
4. L’attribuzione di poteri autoritativi.

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Gli enti pubblici:

• sono dotati di autonomia che, a seconda della tipologia di enti, può essere statutaria o regolamentare,
finanziaria, organizzativa, tributaria, contabile, funzionale;

• sono autarchici, ossia hanno la capacità di conseguire i propri fini mediante l’esercizio dell’attività
amministrativa, disponendo di poteri pubblici;

• possono esercitare il Potere di autotutela, ossia verificare la validità del proprio operato.
Il potere di rivedere il proprio operato è un principio di carattere generale che ha sempre retto le attività della PA e
che è stato sostanzialmente codificato con la l. n 15/2005 di modifica della l.n 241/1990.

Sono state introdotte una serie di figure che la PA può utilizzare nell’esercizio del potere di autotutela.

La l. 241/1990, disciplinandone i presupposti, riconosce oggi carattere generale ai poteri amministrativi di:

REVOCA l’amministrazione interrompe l’efficacia di un atto per sopravvenuti motivi di interesse pubblico o in base
ad un nuova valutazione della situazione rilevante; la revoca, non ha efficacia retroattiva, cioè non incide sui diritti
acquisiti ed obbliga l’amministrazione ad indennizzare il soggetto svantaggiato dall’interruzione anticipata del
rapporto.
ANNULLAMENTO ha efficacia retroattiva e può essere disposto dallo stesso organo che ha emanato l’atto o dal
superiore gerarchico, qualora ne risulti la relativa illegittimità o sussista un interesse pubblico alla rimozione.
Questo potere può essere esercitato entro 60 giorni, trascorsi i quali, l’affidamento a terzi in buona fede e l’esigenza
di certezza del diritto prevalgono sull’interesse pubblico all’annullamento.

Nella direzione opposta operano i provvedimenti con cui l’amministrazione conferma un proprio precedente atto o
lo convalida, emendandolo dai vizi che sono stati riscontrati.

Hanno invece natura cautelare gli atti interinali ed urgenti con cui l’amministrazione sospende gli effetti di un
provvedimento vigente o anticipa quelli di un provvedimento in corso di adozione.

L’intervento cautelare ha carattere interinale essendo volto alla definizione provvisoria dell’assetto di interessi per il
tempo necessario alla scelta amministrativa definitiva.

La PA prevede poi che il potere di imporre coattivamente al cittadino l’adempimento degli obblighi possa essere
previsto solo dalla legge (cd. esecutorietà), così come il recesso unilaterale dai contratti è ammesso nei casi previsti
dalla legge o dal contratto.
Questo potere è anche inteso come quello di risolvere i conflitti con i soggetti privati da sola (qualora sia possibile)
accogliendo, ad esempio, i ricorsi amministrativi (ricorso gerarchico, ricorso straordinario al capo dello Stato) che
sono alternativi rispetto a quello dell’autorità giurisdizionale.
Inoltre, è anche un potere di difendere i propri beni: qualora un privato eriga un fabbricato su un bene demaniale,
l’amministrazione non deve rivolgersi al giudice ma può emettere direttamente un provvedimento immediatamente
esecutivo.

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CATEGORIE
• Enti pubblici territoriali: sono lo Stato, le Regioni, le Provincie, le Città metropolitane e i Comuni (secondo
l’ART. 118 COST., gli ultimi tre sono definite anche enti locali o autonomie locali). Il territorio è elemento
costitutivo di questi enti e permette di collegare l’ente alla comunità territoriale. Questi eleggono gli organi
di indirizzo politico-amministrativo, instaurandosi in tal modo il rapporto di rappresentanza politica tra l’ente
ed il gruppo stabilmente stanziato su quel territorio;

• Enti parastatali: sono enti che pur essendo costituiti dallo Stato, da questo se ne distinguono e ne sono
strumentali, ossia svolgono attività e funzioni serventi. Sono sottoposti al controllo dello Stato e ne sono
esempi l’INPS e INPDAP che è stato recentemente accorpato all'Inps;

• Enti associativi: sono amministrazioni esponenti di un determinato gruppo sociale che sceglie al suo interno
rappresentanti eletti o delegati, cui spettano le decisioni in merito all’indirizzo politico-amministrativo. Ne
sono esempi i collegi professionali, i CONI;

• Autonomie funzionali: sono enti cui la legge conferisce in via esclusiva lo svolgimento di determinate
funzioni volte al perseguimento di specifici interessi pubblici. Ne sono esempio Camere di Commercio
Industria Agricoltura ed Artigianato: CIAA;

• Agenzie: sono enti pubblici disciplinati in modo assai differenziato dalle diverse leggi istitutive. Svolgono
attività di alta specializzazione tecnica in settori specifici. Di solito sono poste al servizio dello Stato e sotto la
vigilanza del Ministro competente, ma altre volte sono al servizio di Regioni e di enti locali. Ad esempio
l'Agenzia Spaziale Italiana, Aran;

• Enti pubblici economici: come stabilisce l’ART 2201 Codice Civile, “Un ente pubblico economico, nel diritto
italiano, è un ente pubblico che è dotato di propria personalità giuridica, proprio patrimonio e proprio
personale dipendente,il quale è sottoposto al rapporto d'impiego di diritto privato; essendo separato
dall'apparato burocratico della pubblica Amministrazione può adattarsi più facilmente ai cambiamenti del
mercato, anche perchè tali enti hanno ad oggetto esclusivo o principale l'esercizio di un'impresa
commerciale,inoltre,devono iscriversi nel registro delle imprese". Rimane tuttavia il legame con la Pubblica
Amministrazione in quanto gli organi di vertice sono nominai in tutto o in parte dai Ministeri competenti per
il settore in cui opera l'ente; ai dett Ministeri spetta un potere di indirizzo generale e di vigilanza. Spesso
sono il passaggio intermedio nella trasformazione di un'azienda autonoma n una società per azioni. Per
questi motivi vengono classificati come enti pubblici strumentali in quanto agiscono secondo gli indirizzi e
sotto il controllo di u organo dello Stato per svolgere funzioni ausiliarie(INA- istituto nazionale assicurazioni,
Enel)

• Aziende: In Italia le aziende autonome statali, costituite(o, come si suole dire, incardinate)presso un
Ministero, sono state largamente impiegate in passato per la gestione di monopoli fiscali, come quelli dei sali
e dei tabacchi, e di importanti servizi pubblici, come le ferrovie, le strade statali, i telefoni,le poste e telegrafi.
Dagli anni novanta molte delle aziende autonome statali hanno subito processi di privatizzazione e sono
state trasformate in società per azioni,spesso con il passaggio intermedio in ente pubblico economico; atre
sono state trasformate in agenzie.
Ad eccezioni delle ASL, enti strumentali delle Regioni che gestiscono e assicurano l’erogazione delle
prestazioni sanitarie. Ne sono esempi l’azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato, oggi Ferrovie dello Stato
Spa, l’Azienda nazionale autonoma delle strade oggi ANAS Spa.

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ORGANISMI DI DIRITTO PUBBLICO
L’ordinamento comunitario ha introdotto questa figura di natura mista.

Si tratta di un organismo:

• istituito per soddisfare specificamente bisogni di interesse generale con carattere non industriale o
commerciale. È irrilevante se l’organismo sia libero di svolgere altre attività.Possono essere, inoltre,
organismi di diritto pubblico anche quelli per cui esista una concorrenza sul mercato in cui operano;

• avente personalità giuridica;

• la cui attività è finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti locali o da altri organismi di diritto
pubblico, oppure la cui gestione è soggetta al controllo di questi ultimi, oppure il cui organo di vigilanza ed
amministrazione o di direzione sia costituito per più della metà da membri designati dallo Stato, dagli enti
locali o da altri organismi di diritto pubblico.

Le tre caratteristiche hanno carattere cumulativo.


Sono soggetti che, quando svolgono attività di interesse pubblico, devono sottoporsi alle norme di diritto pubblico; al
contrario, in caso di attività di tipo differente, seguono la normativa privatistica.

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PRIVATIZZAZIONI
Si tratta di enti pubblici (aziende ed enti pubblici economici) che sono stati trasformati in società per azioni
lasciando allo Stato una grossa percentuale di partecipazione azionaria e consentendo l’ingresso di soggetti privati
attraverso la collocazione delle azioni sul mercato.

Oggi, la discussione principale riguarda la natura di questi soggetti.


- Da un punto di vista formale, infatti, sono società per azioni (hanno una gestione di natura privatistica,
organi collegiali che eleggono al proprio interno rappresentanti, dirigenti apicali spesso nominati
dall’esterno),
- Sostanzialmente esplicano un’attività di interesse pubblico e pertanto si devono attenere alle norme di
interesse pubblico (soprattutto nell’ipotesi della contrattualistica pubblica).

Tipologie
Innanzitutto ci sono enti che provengono dalla privatizzazione:

1. Società per azioni che svolgono attività di interesse pubblico;

2. Società miste: possono essere create dalle PA per perseguire determinati scopi con il compito di fornire
servizi pubblici che l’ente locale, da solo, non è in grado di fornire. Si decide di ricorrere alla disciplina
privatistica in quanto più snella rispetto a quella pubblicistica, ma anche perché l’ingresso di un privato nella
società aiuta l’amministrazione nella gestione dell’attività. Sono dette miste perché il capitale è in parte
pubblico ed in parte privato. Per poter scegliere il socio privato però è necessario adeguarsi alla normativa
pubblicistica quindi al Codice dei Contratti Pubblici.

3. Società in house: si tratta di società il cui patrimonio è per la maggior parte appartenente all’ente (è quindi
difficile distinguerle da quest’ultimo). Sono una forma di esternalizzazione - in applicazione del principio di
sussidiarietà orizzontale nei rapporti tra pubblico e privato – nel momento in cui non si riesce a far fronte
alle esigenze da soddisfare.

In genere, il procedimento avviene tramite una gara: l’amministrazione che concede ad un privato l’esercizio della
pubblica attività, stipula con questo una convenzione/contratto ed esso, nell’esercizio di determinate attività, dovrà
comportarsi come un soggetto pubblico attenendosi alle norme del diritto pubblico pur essendo un soggetto privato.
Nel caso delle società in house ci si è chiesto se anche queste debbano partecipare ad una gara. Secondo gli ultimi
orientamenti, mentre è obbligatorio per le società miste, per le società per azioni o organismi di diritto pubblico,
nelle società in house l’amministrazione potrebbe direttamente affidare loro l’incarico in quanto non si distinguono
dalla stessa.

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ATTO AMMINISTRATIVO
è un atto giuridico posto in essere da autorità amministrativa nell'esercizio di una funzione amministrativa.

• La perfezione dell’atto amministrativo si raggiunge quando sono presenti tutti gli elementi costituiti dalla
manifestazione di volontà o di giudizio; nei provvedimenti pluristrutturati si richiede il concerto di due o più volontà
ed in mancanza delle necessarie manifestazioni di volontà l’atto non può considerarsi esistente.

• L’efficacia dell’atto amministrativo può essere condizionata dalla previsione di termini o condizioni: le ipotesi più
frequenti riguardano la sottoposizione dell’atto al controllo degli organi di vigilanza o la comunicazione obbligatoria
dell’atto.

La dottrina e la legislazione distinguono due forme di invalidità:

• Nullità: l’atto amministrativo è nullo in caso di violazione di leggi che fissano gli elementi essenziali del potere
attribuito (soggetto titolare, oggetto, forma, contenuto). In questo caso l’atto non produce effetto in quanto la nullità
ne comporta insanabilità e inefficacia.

• Illegittimità: l’atto è annullabile quando adottato in violazione di legge, viziato da eccesso di potere o da
incompetenza.
La sequenza di atti amministrativi al'interno di un procedimento amministrativo,porta all'emanazione di un
provvedimento amministrativo.

Il procedimento amministrativo
Per i soggetti pubblici la nozione procedimento assume una valenza tecnica particolare, perché sta ad indicare le
necessarie articolazioni dell’attività in fasi che è necessario porre in essere per il conseguimento delle finalità
assegnate dall’ordinamento.
Ritenute tendenzialmente irrilevanti nei rapporti interprivati, le fasi ed attività preliminari che precedono una scelta
assumono rilevanza nell’ambito politico, in ragione del perseguimento di interessi pubblici.
Inoltre, anche l’attività contrattuale delle amministrazioni, pur se retta da regole di diritto comune, è preceduta da
sequenze procedimentali (cd. Procedimento ad evidenza pubblica) disciplinate in via generale dal Codice sui
Contratti Pubblici del 2006, sulla scia delle decisioni comunitarie. Il procedimento costituisce la forma tipica
dell’azione amministrativa.

La disciplina generale del procedimento amministrativo è contenuta nella l. 241/1990 che ha codificato una serie di
regole innovative che hanno concorso a dare piena attuazione al Principio democratico nei rapporti amministrativi,
elevando la posizione dei cittadini al ruolo di compartecipi, con pieni diritti e anche correlative responsabilità della
gestione.
Al metodo unilaterale della definizione dell’interesse pubblico si sostituisce quello più appropriato ad una società
pluralista e complessa della dialettica e del confronto tra le posizioni in campo.
Ciò non toglie che la responsabilità della decisione finale, salvi i casi di accordi, spetta sempre alla PA, ma implica
che a tal esito, pur sempre unilaterale del procedimento, si pervenga nella piena consapevolezza degli interessi
coinvolti.
In secondo luogo il cuore del procedimento non è più rappresentato dal procedimento finale (ridotto a mero
riepilogo di quanto accaduto nelle fasi precedenti), ma dall’istruttoria, nel corso della quale vengono conosciuti fatti
rilevanti e valutati gli interessi in conflitto. Si forma in modo graduale e progressivo la decisione destinata ad essere
poi versata nel provvedimento costitutivo dell’effetto giuridico finale.

Al fine di prendere in esame i principi che regolano l’attività amministrativa è opportuno partire dalla Legge generale
sul procedimento amministrativo, l. 241/1990, il cui ART.1 indica i fini dell’azione amministrativa, individuandoli in
quelli determinati dalla legge e nei criteri operati, che sono:

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• Il criterio di efficacia misura il rapporto tra ciò che si è realizzato e quanto si era programmato di realizzare.
• Il criterio di efficienza misura il rapporto tra il risultato dell’azione e la quantità di risorse impiegate.
• Il criterio di economicità assume nell’ ordinamento giuridico almeno tre diverse accezioni: una organizzativa, una
funzionale e una di tipo strettamente economico

Non può ritenersi ispirata al criterio di economicità un’amministrazione pubblica nella quale non vi sia una chiara
distribuzione delle competenze tra i suoi organi; sotto il profilo funzionale, non sarà ispirata al criterio di economicità
un’azione che si sviluppi attraverso iter procedimentali inutilmente complessi; dal punto di vista strettamente
economica la PA chiamata a conseguire il miglior risultato possibile con il più basso dispendio possibile di energie
umane e materiali.
Anche il fattore tempo ha una sua specifica rilevanza in quanto un ottimo risultato conseguito in tempi
eccessivamente lunghi non è frutto di una buona amministrazione.

L’esercizio dell’attività amministrativa si basa su diversi principi, tra cui:

• Principio di pubblicità: corrisponde all’esigenza dei destinatari dell’attività amministrativa di conoscere gli atti e le
motivazioni degli stessi i cui effetti ricadono, seppure non in via esclusiva, sulla loro sfera giuridica (principio di
evidenza pubblica). La pubblicità costituisce lo strumento privilegiato per la verifica, da parte del destinatario
dell’attività, del rispetto delle regole del giusto procedimento, consentendone la partecipazione, l’accesso agli
atti,ecc.

• Principio di trasparenza: la pubblicità non coincide con la trasparenza. Mentre la prima risponde ad un’esigenza di
tipo prevalentemente comunicativo, la trasparenza afferisce alla sfera della comprensibilità e della conoscenza
delle decisioni dell’amministrazione.
Occorre considerare che tutti i principi concernenti l’esercizio dell’attività amministrativa si racchiudono nel Principio
di legalità.

Fasi
1. L’iniziativa che può essere di parte o di ufficio, a seconda che provenga da un soggetto (privato o pubblico) o dalla
stessa amministrazione.
- Nel caso di iniziativa di parte, il procedimento ha inizio con la presentazione di un’istanza di colui che
aspira al rilascio di un provvedimento favorevole e ampliativo della propria sfera giuridica.(es. permesso
di costruire, concessione relativa all’uso di un bene demaniale). La giurisprudenza ha chiarito che la
presentazione dell’istanza determina in capo all’amministrazione competente un obbligo a procedere, a
meno che la domanda non sia palesemente assurda, illegale, e sempre che non sia riproduttiva o di
riesame di precedenti istanze già rigettate con provvedimenti non impugnati nei termini. L’iniziativa è di
parte anche se proviene da altra amministrazione mediante atti tipici chiamati richieste o proposte.

- L’iniziativa d’ufficio, invece, è frutto di un’autonoma valutazione della stessa amministrazione agente,
riguardo a fatti e circostanze attinenti la sua competenza istituzionale. (es. i procedimenti sanzionatori e
ablatori, che hanno effetti limitativi delle sfere giuridiche dei destinatari). Può capitare che la
conoscenza dei fatti derivi da rapporti di vigilanza o ispettivi interni all’amministrazione, o può derivare
da fonti esterne, come notizie di stampa, esposti, denunce anche da parte di enti, associazioni o
individui.

Il procedimento ha inizio con la comunicazione ai soggetti nei cui confronti il provvedimento finale è destinato a
produrre i suoi effetti e a quelli che hanno facoltà di intervento, di un avviso contenente una serie minima di
informazioni (l’amministrazione competente, l’oggetto del procedimento, la persona responsabile del procedimento,
il termine di conclusione, l’ufficio presso cui chiedere l’accesso agli atti). La comunicazione deve essere personale e,
solo nel caso di impossibilità, l’amministrazione può ricorrere ad altre forme di pubblicità come la pubblicazione di
avvisi e manifesti anche su riviste e quotidiani.

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2. La seconda fase è quella dell’istruttoria che è volta alla verificazione e qualificazione dei fatti nonché alla
valutazione degli interessi che rilevano ai fini della decisione finale.
Se ne occupa un apposito ufficio, nell’ambito del quale ogni amministrazione individua il funzionario responsabile
che rappresenta il punto di riferimento sia interno per gli uffici e gli enti coinvolti nel procedimento, sia esterno per i
cittadini che vengono così messi in condizione di interloquire e discutere delle proprie pratiche. Il suo compito è
quello di formalizzare l’avvio del procedimento, chiedere pareri, valutazioni ed ogni altro atto utile per accertare le
circostanze di fatto e di diritto rilevanti per la decisione, convocare conferenze di servizi, ricevere memorie e
documenti da parte dei soggetti interessati, curare ogni altro adempimento fino alla trasmissione delle risultanze
istruttorie all’organo competente a provvedere.
Una parte rilevante dell’istruttoria è destinata alla partecipazione(Contraddittorio) dei soggetti portatori di interessi
pubblici e privati.
Con tale termine si intende l’apertura del procedimento ai terzi le cui posizioni siano coinvolte dall’esercizio del
potere da parte dell’amministrazione, volendo ad essi attribuire la possibilità di una difesa preventiva, nel senso che
colui che interviene nel corso dell’istruttoria procedimentale lo fa per difendere una propria particolare posizione
giuridica e per contraddire il punto di vista dell’amministrazione procedente, prospettando alla stessa ipotesi
decisorie alternative e differenti.
Dal punto di vista dell’amministrazione, invece, il confronto con i terzi può essere utile per acquisire dati ed elementi
utili a comprendere meglio i termini del problema.
Per i terzi quindi il contraddittorio offre una fondamentale possibilità di influire sugli esiti del procedimento, per
l’altra implica invece un dovere di dibattito.

La partecipazione si concretizza in due diritti fondamentali:

• prendere visione degli atti del procedimento (diritto di accesso endoprocedimentale) per avere consapevolezza
del loro contenuto e dell’attività istruttoria compiuta;

• presentare memorie scritte e documenti, che l’amministrazione ha l’obbligo di prendere in considerazione e di


valutare ove siano pertinenti all’oggetto del procedimento.
Particolari sono le ipotesi in cui il contraddittorio si svolge in modo orale. La più importante è rappresentata dalla
conferenza di servizi, che è una riunione collegiale tra rappresentanti di amministrazioni diverse, in cui si discute e si
delibera di questioni di interesse comune.

L’amministrazione ha l’obbligo di assicurare la pubblicità dei propri atti, fatti salvi i casi tassativi di segreto d’ufficio,
tutela dell’ordine pubblico, di sicurezza e difesa nazionale, rispetto della riservatezza dei terzi.
Inoltre, è decisivo l’obbligo di motivazione delle scelte compiute. Si tratta di una garanzia fondamentale che
costituisce presidio essenziale del diritto di difesa dei cittadini. Per tale ragione l’assenza o illogicità o incompletezza
della motivazione costituisce un vizio di legittimità che non può essere sanato neppure attraverso l’integrazione
postuma.
3. La conclusione del procedimento può manifestarsi in varie forme, tutte tipizzate dal legislatore in quanto
condizione necessaria per la produzione di effetti giuridici.

Principio generale è quello della tempestività cioè del rispetto di un termine ragionevole predeterminato in via
generale dalle stesse amministrazioni per i procedimenti di propria competenza, oppure fissato in via residuale e
suppletiva dalla legge (30-90 giorni).
Lo spirare del termine, però, non determina il venire meno del potere dell’amministrazione, essendo strettamente
correlato alla tutela di determinati interessi pubblici. Anzi, la violazione del termine non comporta neanche
l’illegittimità del provvedimento tardivo, perché anche dopo la scadenza non viene meno il potere-dovere
dell’amministrazione di attivarsi comunque per il soddisfacimento degli interessi di cui è responsabile.
L’inosservanza del termine rileva invece per altri aspetti. Anzitutto, all’interno dell’organizzazione degli uffici, è
assunta quale elemento di valutazione della responsabilità dirigenziale. Sul piano esterno, essa dà luogo ad
un’ipotesi di silenzio cd. inadempimento che legittima il soggetto interessato a ricorrere al giudice amministrativo
non per chiedere l’annullamento di un inesistente provvedimento, ma la condanna dell’amministrazione a

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provvedere in modo esplicito accogliendo l’istanza a seguito dell’accertamento della fondatezza della pretesa con la
stessa fatta valere.

La sentenza del giudice amministrativo è munita di capacità autoesecutiva, nel senso che, nel caso di ulteriore
inerzia oltre il termine assegnato, il giudice può provvedere tramite un commissario ad acta.
Infine, a seguito dell’entrata in vigore della l.241/1990, è consentito chiedere anche il risarcimento dei danni subiti in
conseguenza dell’inerzia o del ritardo nel provvedere. L’azione si prescrive in cinque anni ed è affidata alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. In alcuni ordinamenti regionali, (es. regione Toscana) è stato
altresì previsto, oltre al rimedio risarcitorio, il pagamento di un indennizzo forfettario, calcolato nella misura fissa di
100 euro per ogni dieci giorni di ritardo, fino a un massimo di 1000 euro.
La forma tradizionale di conclusione del procedimento sfocia nell’adozione di un provvedimento, frutto della volontà
unilaterale dell’amministrazione procedente.

Altre forme oggi diffuse, a seguito della politica di semplificazione degli oneri burocratici, sono le decisioni tacite e
negoziate.
Le prime sono ipotesi di silenzio cd. diniego, assenso o rigetto qualificato dal legislatore come accoglimento o rigetto
dell’istanza del privato.
Le ipotesi di silenzio assenso hanno ricevuto notevole impulso per effetto della riforma del 2005, tanto che, almeno
in linea teorica, vige oggi il principio secondo cui nei procedimenti a istanza di parte per il rilascio di provvedimenti
autorizzatori, il silenzio dell’amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda.
Appartengono infine alla categoria delle decisioni negoziate tanto le ipotesi di accordi tra privati ed amministrazioni
o tra amministrazioni, quanto le determinazioni concordate assunte in conferenze di servizi.

Gli accordi tra privati e le amministrazioni devono essere stipulati, a pena di nullità, per atto scritto e sono
assoggettati ai principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili e ove non
diversamente stabilito. Gli esempi vanno dalle convenzioni urbanistiche, ai contratti di sponsorizzazione, ai patti
territoriali per la promozione dello sviluppo locale con finanziamenti statali, alle concessioni di aree demaniali in
ambito portuale.
Gli accordi tra amministrazioni sono invece conclusi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di
interesse comune e rispondono ad un’esigenza di coordinamento amministrativo.

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POTERE CONTRATTUALE DELLA PA
L’attività principale che svolge la PA è tipicamente un’attività di interesse pubblico, tradizionalmente svolta
attraverso il potere provvedimentale.

Tuttavia, oggi, il potere contrattuale prende sempre più forza nell’attività dell’amministrazione. Questo è dovuto
all’evoluzione dottrinale in materia (anche giurisprudenziale), ma anche perché si è sentita la necessità di rendere il
processo di privatizzazione più snello e più rapido, utilizzando gli strumenti che consentono di raggiungere più
celermente il risultato.

È un’evoluzione che si è concretizzata con l’art 1 della legge 241/1990:


“L’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di
imparzialità, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni
che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai principi dell’ordinamento comunitario”.
art 1 – bis “ La PA, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato, salvo
che la legge disponga diversamente”.
art 1 – ter “I soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative assicurano il rispetto dei criteri e dei
principi di cui al c.1”

Questi principi di carattere generale sono menzionati anche nel Codice dei Contratti pubblici.
In passato questa materia è stata disciplinata da numerosi leggi che si sono succedute nel tempo, ma che spesso non
erano in relazione organica tra di loro: non sempre le successive leggi abrogavano le precedenti, inserendo, invece,
soltanto nuovi aspetti della disciplina che risultava così particolarmente complessa e difficile da rispettare.

Tipicamente, l’amministrazione opera in tre grandi categorie:

1. Contratti di lavoro: sono ad esempio i contratti per la realizzazione delle opere pubbliche che la PA è
chiamata a realizzare (nel diritto privato vi è la figura dell’appalto regolato dal Codice Civile).

Nell’ambito privatistico, all’ordinamento non interessa tanto come il soggetto privato sceglie la ditta; volge
più attenzione alla forma del contratto, valutando se il contratto sia valido, legittimo, efficace e se le parti
rispettino i patti contrattuali.

Nel settore pubblico, rileva, invece, il momento della scelta del contraente privato, che non può avvenire
utilizzando gli stessi criteri utilizzati in un rapporto strettamente privatistico, ma attraverso un procedimento,
costituito da una serie di fasi, che porta poi alla fase dell’aggiudicazione.

2. Contratti di servizi: la PA tende a stipulare contratti con soggetti privati per la fornitura di servizi (servizi di
vigilanza negli aeroporti,tribunali) di cui possa avere bisogno.

3. Contratti di forniture: sono tutte quelle attività volte a consentire il buon funzionamento della PA. Per
queste attività l’amministrazione deve svolgere delle gare (esempio nel settore degli arredi, dell’energia
elettrica, della telefonia).

In passato queste tre attività venivano gestite in maniera differente per via delle diverse leggi che le regolavano.
L’amministrazione si trovava quindi ad espletare delle gare diverse a seconda del tipo di contratto.
In secondo luogo, non era dato un particolare rilievo al principio di pubblicità:essa veniva spesso trascurata
precludendo, così, la possibilità di partecipazione a molti soggetti economici.

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L’esigenza di trovare organicità ad una normativa che risultava difficilmente applicabile porta all’emanazione di un
Testo Unico.
Esso è:
• Compilativo, in quanto riorganizza le varie norme già preesistenti, rendendone più agevole la lettura, la
comprensione e l’applicazione;
• Innovativo, poiché introduce delle novità che derivano dall’ordinamento comunitario (in ambito di gare, appalti
pubblici, etc), alle quali tutti gli Stati membri si sono dovuti attenere.

Contratto ad evidenza pubblica


Il contratto ad evidenza pubblica è caratterizzato da una fase procedimentale, precedente la stipula del contratto, di
grande rilievo,la cui fase conclusiva non è fine a se stessa: precede,cioè,la stipulazione del contratto vera e propria.
L'atto provvedimentale in questo caso prende il nome di aggiudicazione.
Gran parte della dottrina ha sostenuto chetale disciplina fosse giustificata dall'interesse dell'amministrazione a porre
in essere procedimenti improntati al pincipio di imparzialità, tali da comportare l'applicazione della tecnica della
concorsualità al fine di ottenere il confronto tra più offerte, portando ad una migliore scelta per l'amministrazione.

Mentre il contratto ad evidenza pubblica presuppone una serie di fasi procedimentali volte a selezionare il miglior
contraente privato e l'offerta vantaggiosa, quando bisogna stipulare un contratto di diritto privato (ad esempio
una locazione) l'amministrazione guarderà l'esigenza e l'obiettivo da raggiungere. Non vi è in questo caso una gara
ad evidenza pubblica che consenta a tutti i soggetti interessati di partecipare.
Il soggetto che stipula il contratto,essendo un'amministrazione,deve scegliere il contraente sulla base di alcuni
requisiti chetale soggetto deve possedere, non potendone prescindere (non deve essere un soggetto con condanne
penali; non avere procedimenti fallimentari in corso,etc).

Codice dei contratti pubblici


art 1
Oggetto
1. “Il codice disciplina i contratti delle stazioni appaltanti (organismi di diritto pubblico chiamati a scegliere un
contraente privato per svolgere attività di interesse pubblico), dagli enti e dei soggetti aggiudicatori aventi per
oggetto l’acquisizione di servizi, prodotti, lavori e opere”.

1-bis (introdotto col d.lgs 208/2011)


“Il presente codice si applica ai contratti pubblici aggiudicati nei settori della difesa e della sicurezza, ad eccezione dei
contratti cui si applica il decreto di attuazione della direttiva 81/2009 e dei contratti di cui all'art.6 dello stesso
decreto legislativo di attuazione”.

2. “Nei casi in cui le norme vigenti consentono la costituzione di società miste per la realizzazione e/o gestione di
un'opera pubblica o di un servizio, la scelta del socio privato avviene con procedure di evidenza pubblica”.

art 2
Principi
1.”L’affidamento e l’esecuzione di opere e lavori pubblici, servizi e forniture, ai sensi del presente codice, deve
garantire la qualità delle prestazioni e svolgersi nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e
correttezza; l’affidamento deve altresì rispettare i principi di libera concorrenza, parità di trattamento, non
discriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonché quello di pubblicità con le modalità indicate nel presente
codice”.
Sono principi che ricalcano quelli elencati dall’ART.1 della 241/1990 sul procedimento amministrativo, espressione
del potere autoritativo. Il codice dei contratti pubblici offre, invece, una serie di principi volti a regolare un
procedimento contrattuale (in ogni caso, entrambi i procedimenti sono svolti dalla PA per il perseguimento di fini di
interesse pubblico).

1-bis (introdotto nel 2011 e modificato poi nel 2012 e nel 2013)

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“Nel rispetto della disciplina comunitaria in materia di appalti pubblici, al fine di favorire l'accesso delle piccole e
medie imprese, le stazioni appaltanti devono, ove possibile ed economicamente conveniente, suddividere gli appalti
in lotti funzionali. I criteri di partecipazione alle gare devono essere tali da non escludere le piccole e medie imprese.
Nella determina a contrarre le stazioni appaltanti indicano la motivazione circa la mancata suddivisione dell’appalto
in lotti”.
In origine la formulazione del codice era diversa, ma essendo una disciplina di grande rilievo soprattutto per
l’economia, gli aggiornamenti sono continui per via della volontà di adeguare la normativa alla esigenze effettive che
nel corso degli anni sopravvengono.

1-ter
“La realizzazione delle grandi infrastrutture, ivi comprese quelle disciplinate dalla parte II, titolo III, capo IV, nonché
delle connesse opere integrative o compensative, deve garantire le modalità di coinvolgimento delle piccole e medie
imprese”.
L’aspetto di consentire a piccole e medie imprese di partecipare alle gare indette dalle amministrazioni è stato
inserito proprio nei principi del codice, perché ci si era accorti che queste erano state inizialmente tagliate fuori,
violando il principio di non discriminazione.

2. “Il principio di economicità può essere subordinato, entro i limiti in cui sia espressamente consentito dalle norme
vigenti e dal presente codice, ai criteri, previsti dal bando, ispirati a esigenze sociali, nonché alla tutela della salute e
dell’ambiente e alla promozione dello sviluppo sostenibile”.
È un articolo che consente una deroga al principio di economicità se prevista dalla legge. Questo perché la salute e
l’ambiente sono interessi costituzionalmente garantiti, per cui questa tutela supera ogni altra esigenza, anche di
economicità da parte dell’amministrazione.
Per quanto riguarda la promozione dello sviluppo sostenibile, la normativa da una parte promuove lo sviluppo che
deve essere sostenibile in relazione a quelli che sono gli eventuali pregiudizi che da questo sviluppo potrebbero
derivare, soprattutto con riguardo alla tutela della salute e dell’ambiente.

3. “Per quanto non espressamente previsto nel presente codice, le procedure di affidamento e le altre attività
amministrative in materia di contratti pubblici si espletano nel rispetto delle disposizioni sul procedimento
amministrativo”.

4. “Per quanto non espressamente previsto nel presente codice, l’attività contrattuale dei soggetti di cui all’articolo 1
si svolge nel rispetto, altresì, delle disposizioni stabilite dal codice civile”.

art 1
Definizioni
3. “I «contratti» o i «contratti pubblici» sono i contratti di appalto o di concessione aventi per oggetto l’acquisizione
di servizi, o di forniture, ovvero l’esecuzione di opere o lavori, posti in essere dalle stazioni appaltanti, dagli enti
aggiudicatori, dai soggetti aggiudicatori”.

Distinguiamo due settori:


1. “I «settori ordinari» dei contratti pubblici sono i settori diversi da quelli del gas, energia termica, elettricità, acqua,
trasporti, servizi postali, sfruttamento di area geografica...”

2. “I «settori speciali» dei contratti pubblici sono i settori del gas, energia termica, elettricità, acqua, trasporti,
servizi postali, sfruttamento di area geografica, come definiti dalla parte III del presente codice”. Hanno una
disciplina leggermente diversa dai settori ordinari, pur restando fermi quelli che sono i principi di carattere generale.

Per quanto riguarda gli appalti:


• “Gli «appalti pubblici» sono i contratti a titolo oneroso, stipulati per iscritto tra una stazione appaltante o un ente
aggiudicatore e uno o più operatori economici, aventi per oggetto l’esecuzione di lavori, la fornitura di prodotti, la
prestazione di servizi come definiti dal presente codice”.

• “Gli «appalti pubblici di lavori» sono appalti pubblici aventi per oggetto l'esecuzione o, congiuntamente, la
progettazione esecutiva e l'esecuzione, ovvero, previa acquisizione in sede di offerta del progetto definitivo, la
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progettazione esecutiva e l’esecuzione, relativamente a lavori o opere rientranti nell’allegato I, oppure,
limitatamente alle ipotesi di cui alla parte II, l'esecuzione, con qualsiasi mezzo, di un'opera rispondente alle esigenze
specificate dalla stazione appaltante o dall’ente aggiudicatore, sulla base del progetto preliminare o definitivo posto
a base di gara”.

L’appalto di lavoro può essere diviso in due momenti: progettazione del lavoro ed esecuzione.
Nel momento in cui una stazione appaltante deve indire una gara, può decidere di consentire lo svolgimento di
entrambe le attività allo stesso soggetto.

Differenza tra appalti e concessioni


• Il contratto di appalto è volto all’esecuzione e progettazione o solo esecuzione (ad operare comunque per conto
della PA), in esecuzione dei dettami dell’amministrazione. In questo caso il rapporto è sostanzialmente regolato dal
contratto. L’appaltatore è un mero esecutore, un soggetto, cioè, che opera per la PA.
La differenza con la concessione si coglie di più analizzando l’ipotesi in cui la ditta che sta svolgendo l’attività causa
danni a terzi: la responsabilità, in caso di appalto, ricadrà sull’amministrazione.
Si deve valutare, poi, se vi è un’inadempienza contrattuale nel rapporto tra PA e ditta, e verso l’esterno il
responsabile è l’amministrazione, dal momento che la ditta è un mero esecutore che realizza l’attività per conto della
PA, in forza di rapporto contrattuale.

• Quando l’amministrazione dà in concessione un’attività, un servizio, un lavoro tutte le conseguenze di quelle


attività ricadono sul concessionario e non sull’amministrazione.

Avendo l’amministrazione potere di diritto pubblico e potere di diritto privato, pone in essere contratti di diversa
natura con i soggetti privati.

Ogni gara ha una serie di riferimenti normativi:


• Codice dei contratti pubblici
• Regolamento attuativo dei codice dei contratti pubblici
• Capitolato generale di appalto (per quanto concerne i contratti di lavoro).

Modalità di scelta del contraente


Il nostro codice dei contratti pubblici, all’ art 54, indica quattro principali procedimenti di scelta del contraente
privato.
“Per l’individuazione degli operatori economici che possono presentare offerte per l’affidamento di un contratto
pubblico, le stazioni appaltanti utilizzano le procedure aperte, ristrette, negoziate, ovvero il dialogo competitivo, di
cui al presente codice”.

Ci sono poi altre tipologie come i contratti elettronici e le centrali di committenza.


“Esse aggiudicano i contratti mediante procedura aperta o mediante procedura ristretta.
Alle condizioni specifiche espressamente previste, le stazioni appaltanti possono aggiudicare i contratti pubblici
mediante il dialogo competitivo.

Nei casi e alle condizioni specifiche espressamente previste, le stazioni appaltanti possono aggiudicare i contratti
pubblici mediante una procedura negoziata, con o senza pubblicazione del bando di gara”.

La procedura negoziata e il dialogo competitivo costituiscono eccezione in quanto sono utilizzabili alle condizioni
specifiche previste negli articoli successivi: art. 56 Procedura negoziata previa pubblicazione di un bando di gara;
art. 57 Procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara;
art. 58 Dialogo competitivo.

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art 55
Comma I
“ Il decreto o la determina a contrarre, ai sensi dell’articolo 11, indica se si seguirà una procedura aperta o una
procedura ristretta, come definite all’articolo 3”.

1) Procedura aperta: richiama la vecchia normativa di comparto e consente a tutti i soggetti che abbiano interesse a
partecipare di presentare un’offerta. In questa tipologia svolge un ruolo più importante il contenuto del bando che
deve essere molto dettagliato in quanto deve contenere indicazioni chiare sull’attività da svolgersi e le modalità
attraverso cui l’amministrazione intende svolgerli in modo tale che il privato possa formulare l’offerta.
Il bando deve indicar un termine entro cui il soggetto interessato, trattandosi di procedura aperta, può proporre
istanza di partecipazione. A volte possono esserci due termini differenti: uno per proporre l’istanza di partecipazione
e l’altro per presentare l’offerta.
Il privato deve autodichiarare tutte le caratteristiche sostanziali della società che rappresenta e quindi di essere in
possesso dei requisiti generali e speciali per poter partecipare, indicati in due articoli specifici del codice dei contratti.
Quando le caratteristiche del bene e le modalità di svolgimento dell’intera procedura sono chiare e predeterminate,
la modalità di valutazione dell’offerta sarà quella del prezzo più basso.

2) Procedura ristretta: è quella in cui tutti gli operatori economici possono chiedere di partecipare ma soltanto alcuni
saranno invitati a presentare l’offerta.

Differenze tra procedura aperta e ristretta


Nella procedura aperta vi è un termine per la presentazione dell’istanza di partecipazione e delle offerte.
Nella procedura ristretta vi sono due fasi: una prima con un termine per tutti gli operatori interessati per presentare
l’istanza di partecipazione; dopodiché l’amministrazione fa una prima selezione alla luce dei requisiti di carattere
generale e poi invia una lettera di invito ai soggetti economici selezionati indicanti i requisiti per la formulazione
dell’offerta.

Comma II - III
“Le stazioni appaltanti utilizzano di preferenza le procedure ristrette quando il contratto non ha per oggetto la sola
esecuzione, o quando il criterio di aggiudicazione è quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa”.
Spesso l’amministrazione può bandire non soltanto per l’esecuzione di lavori, ma anche per attività di progettazione
(nella procedura aperta, infatti, la progettazione viene effettuata prima e l’attività degli operatori è limitata alla sola
formulazione dell’offerta).
Il bando di gara indica il tipo di procedura e l’oggetto del contratto, e fa menzione del decreto o della determina a
contrarre.

Comma IV - V - VI
“Il bando di gara può prevedere che non si procederà ad aggiudicazione nel caso di una sola offerta valida, ovvero
nel caso di due sole offerte valide, che non verranno aperte. Quando il bando non contiene tale previsione, resta
comunque ferma la disciplina di cui all’articolo 81 comma 3.
Nelle procedure aperte gli operatori economici presentano le proprie offerte nel rispetto delle modalità e dei termini
fissati dal bando di gara.
Nelle procedure ristrette gli operatori economici presentano la richiesta di invito nel rispetto delle modalità e dei
termini fissati dal bando di gara e, successivamente, le proprie offerte nel rispetto delle modalità e dei termini fissati
nella lettera invito”.

3) procedura negoziata: è una procedura particolare che può essere utilizzata solo in determinati casi e a condizioni
specifiche.
• Procedura negoziata preceduta da bando di gara (ART. 56 C.1) è prevista quando, in esito all’esperimento di una
procedura aperta, ristretta, o di un dialogo competitivo, tutte le offerte presentate sono irregolari o inammissibili
(quindi non perché nessuno ha presentato istanza di partecipazione alla gara o offerte) secondo quanto disposto dal
codice in relazione ai requisiti degli offerenti e delle offerte.
Nelle procedure negoziate non possono essere modificate in modo sostanziale le condizioni iniziali del contratto. Le
stazioni appaltanti possono omettere la pubblicazione del bando se invitano alla procedura negoziata tutti i
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concorrenti in possesso dei requisiti di cui agli articoli 34 e 38 che, nella procedura precedente, hanno presentato
offerte rispondenti ai requisiti formali della procedura medesima.

Questa procedura si definisce negoziata perché la stazione appaltante e gli operatori economici interessati
negoziano e concordano le modalità di esecuzione del contratto.
È più dinamica ma anche più rischiosa , perché l’amministrazione corre il rischio di elusione del principio di non
concorrenza, di non discriminazione, di parità di trattamento e per evitare ciò è intervenuta la comunità europea e
anche l’ordinamento interno attraverso il codice dei contratti pubblici.

• Procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara: art 57

1. Le stazioni appaltanti possono aggiudicare contratti pubblici mediante procedura negoziata senza previa
pubblicazione di un bando di gara nelle ipotesi seguenti, dandone conto con adeguata motivazione nella
delibera o determina a contrarre.

2. Nei contratti pubblici relativi a lavori, forniture e servizi, la procedura è consentita:


a) qualora, in esito all’esperimento di una procedura aperta o ristretta, non sia stata presentata nessuna
offerta, o nessuna offerta appropriata, o nessuna candidatura. Nella procedura negoziata non possono
essere modificate in modo sostanziale le condizioni iniziali del contratto. Alla Commissione, su sua richiesta,
va trasmessa una relazione sulle ragioni della mancata aggiudicazione a seguito di procedura aperta o
ristretta e sulla opportunità della procedura negoziata.
b) qualora, per ragioni di natura tecnica o artistica ovvero attinenti alla tutela di diritti esclusivi, il contratto
possa essere affidato unicamente ad un operatore economico determinato;
c) nella misura strettamente necessaria, quando l’estrema urgenza, risultante da eventi imprevedibili per le
stazioni appaltanti, non è compatibile con i termini imposti dalle procedure aperte, ristrette, o negoziate
previa pubblicazione di un bando di gara. Le circostanze invocate a giustificazione della estrema urgenza non
devono essere imputabili alle stazioni appaltanti.

3. Nei contratti pubblici relativi a forniture, la procedura del presente articolo è, inoltre, consentita
a) qualora i prodotti oggetto del contratto siano fabbricati esclusivamente a scopo di sperimentazione, di
studio o di sviluppo, a meno che non si tratti di produzione in quantità sufficiente ad accertare la redditività
del prodotto o a coprire i costi di ricerca e messa a punto;
b) nel caso di consegne complementari effettuate dal fornitore originario e destinate al rinnovo parziale di
forniture o di impianti di uso corrente o all’ampliamento di forniture o impianti esistenti, qualora il
cambiamento di fornitore obbligherebbe la stazione appaltante ad acquistare materiali con caratteristiche
tecniche differenti, il cui impiego o la cui manutenzione comporterebbero incompatibilità o difficoltà
tecniche sproporzionate; la durata di tali contratti e dei contratti rinnovabili non può comunque di regola
superare i tre anni;
c) per forniture quotate e acquistate in una borsa di materie prime;
d) per l’acquisto di forniture a condizioni particolarmente vantaggiose, da un fornitore che cessa
definitivamente l’attività commerciale oppure dal curatore o liquidatore di un fallimento, di un concordato
preventivo, di una liquidazione coatta amministrativa, di un’amministrazione straordinaria di grandi imprese.

4. Dialogo competitivo (art 58): si utilizza nei casi in cui l’amministrazione, dato l’obiettivo da raggiungere, non
ha in concreto le idee chiare sulla modalità utile per farlo. Mentre nella procedura negoziata vengono
concordate le condizioni del contratto, ma nella delibera a contrarre sono già individuati i requisiti essenziali
del contratto (che non possono essere modificati), nel dialogo competitivo viene posta in essere una
procedura particolare che parte come procedura aperta, diventando poi ristretta ed in parte anche
negoziata.
Nel dialogo competitivo c’è il bando di gara e vi è un’ampia possibilità di richiesta di partecipazioni per gli
operatori economici interessati. Successivamente, le istanze di partecipazione sono oggetto di una prima
selezione alla luce dei requisiti richiesti dal bando stesso, dopodiché viene dato un termine ai soggetti
selezionati per consentire all’amministrazione di effettuare una valutazione sulle modalità attraverso cui
perseguire l’obiettivo fissato.

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Questa procedura si differenzia, quindi, molto da quella aperta o ristretta in quanto vi sono fasi di dialogo continuo
volte ad individuare la modalità per raggiungere al meglio l’obiettivo.
Una volta valutate le proposte dei soggetti selezionati viene stilata una graduatoria dalla Commissione di gara che
nella prima riunione, se non espressamente stabiliti nel bando di gara, è tenuta a precisare i criteri di aggiudicazione
del contratto sulla base dei quali attribuirà un certo punteggio alle varie ditte. In questa procedura la particolarità
della commissione di gara è un collegio perfetto: tutte le attività devono essere compiute da tutti i presenti.
Tipicamente, negli organi collegiali è previsto un quorum strutturale per il funzionamento (metà +1 dei componenti
del collegio) ed un quorum deliberativo funzionale per prendere la decisione. La Commissione di gara costituisce
un’eccezione alla regola generale del collegio perfetto perché alcune attività della Commissione possono essere
delegate ad uno o più membri, soprattutto quelle accertative. Gli aspetti tecnici-valutativi devono essere sottoposti
all’intero collegio.

Prezzo più basso


art 82
Il prezzo più basso, inferiore a quello posto a base di gara, è determinato come segue.

Il bando di gara stabilisce:
a) se il prezzo più basso, per i contratti da stipulare a misura, è determinato mediante ribasso sull’elenco prezzi posto
a base di gara ovvero mediante offerta a prezzi unitari;
b) se il prezzo più basso, per i contratti da stipulare a corpo, è determinato mediante ribasso sull’importo dei lavori
posto a base di gara ovvero mediante offerta a prezzi unitari.

Per i contratti da stipulare parte a corpo e parte a misura, il prezzo più basso è determinato mediante offerta a prezzi
unitari.
Il prezzo più basso è determinato al netto della spesa relativa al costo del personale, valutato sulla base dei minimi
salariali definiti dalla contrattazione collettiva nazione di settore tra le organizzazioni sindacali dei lavoratori e le
organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, dalle voci retributive
previste dalla contrattazione integrativa di secondo livello e dalle misure di adempimento alle disposizioni in materia
di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
Le modalità applicative del ribasso sull’elenco prezzi e dell’offerta a prezzi unitari sono stabilite dal regolamento.
L’elenco prezzo posto a base di gara è riportato nel disciplinare di gara.

Differenza tra contratto a misura e contratto a corpo


Nei contratti a corpo viene considerata l’attività nel suo complesso, a differenza di quanto accade nei contratti a
misura dove, ad esempio, il compenso è a m2.

Offerta più vantaggiosa


art 1
Quando il contratto è affidato con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, il bando di gara stabilisce i
criteri di valutazione dell’offerta, pertinenti alla natura, all’oggetto e alle caratteristiche del contratto, quali, a titolo
esemplificativo:
a) il prezzo;
b) la qualità;
c) il pregio tecnico;
d) le caratteristiche estetiche e funzionali;
e) le caratteristiche ambientali e il contenimento dei consumi energetici e delle risorse ambientali dell'opera o del
prodotto;
f) il costo di utilizzazione e manutenzione;
g) la redditività;
h) il servizio successivo alla vendita;
i) l’assistenza tecnica;
l) la datadi consegna ovvero il termine di consegna o di esecuzione;
m) l’impegno in materia di pezzi di ricambio;
n) la sicurezza di approvvigionamento;
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o) in caso di concessioni, altresì la durata del contratto, le modalità di gestione, il livello e i criteri di aggiornamento
delle tariffe da praticare agli utenti.

Il bando di gara ovvero, in caso di dialogo competitivo, il bando o il documento descrittivo, elencano i criteri di
valutazione e precisano la ponderazione relativa attribuita a ciascuno di essi, anche mediante una soglia, espressa
con un valore numerico determinato, in cui lo scarto tra il punteggio della soglia e quello massimo relativo
all’elemento cui si riferisce la soglia deve essere appropriato.

Le stazioni appaltanti, quando ritengono la ponderazione di cui al comma 2 impossibile per ragioni dimostrabili,
indicano nel bando di gara e nel capitolato d’oneri, o, in caso di dialogo competitivo, nel bando o nel documento
descrittivo, l’ordine decrescente di importanza dei criteri.
Il bando per ciascun criterio di valutazione prescelto prevede, ove necessario, i sub-criteri e i sub-pesi o i sub-
punteggi. Ove la stazione appaltante non sia in grado di stabilirli tramite la propria organizzazione, provvede a
nominare uno o più esperti con il decreto o la determina a contrarre, affidando ad essi l'incarico di redigere i criteri, i
pesi, i punteggi e le relative specificazioni, che verranno indicati nel bando di gara.
Per attuare la ponderazione o comunque attribuire il punteggio a ciascun elemento dell’offerta, le stazioni appaltanti
utilizzano metodologie tali da consentire di individuare con un unico parametro numerico finale l’offerta più
vantaggiosa. Dette metodologie sono stabilite dal regolamento, distintamente per lavori, servizi e forniture e, ove
occorra, con modalità semplificate per servizi e forniture. Il regolamento, per i servizi, tiene conto di quanto stabilito
dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 13 marzo 1999, n. 117 e dal Decreto del Presidente del Consiglio
dei Ministri 18 novembre 2005, in quanto compatibili con il presente codice.

Offerta anomala
art 86 Criteri di individuazione delle offerte anormalmente basse, cioè fuori dai canoni di riferimento del prezzo posto
a base d’asta.

È previsto un ampio potere discrezionale della PA che deve valutare se l’offerta presumibilmente anomala potrebbe
anche non esserlo.

Si applica quindi l’articolo di riferimento del codice dei contratti pubblici, il quale stabilisce che quando il criterio di
aggiudicazione è il criterio del prezzo più basso le stazioni appaltanti valutano la congruità delle offerte (senza
escluderle a priori) che presentano un ribasso pari o superiore alla media aritmetica dei ribassi percentuali di tutte le
offerte ammesse, con esclusione del 10% arrotondato all’unità superiore, rispettivamente delle offerte di maggiore e
di minore ribasso, incrementata dello scarto medio aritmetico dei ribassi percentuali che superano la predetta
media.

Quando invece il criterio è quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa, le stazioni appalti valutano la
congruità delle offerte in relazione alle quali sia i punti relativi al prezzo, sia la somma dei punti relativi agli altri
elementi di valutazione, sono entrambi pari o superiori ai 4/5 dei corrispondenti punti previsti dal bando gara.
In ogni caso le stazioni appaltanti possono valutare la congruità di ogni altra offerta che in base ad elementi specifici
appaia anormalmente bassa.
Nella predisposizione delle gare di appalto e nell’individuazione e valutazione delle anomalie delle offerte, gli enti
aggiudicatori sono tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro e al
costo relativo alla sicurezza, il quale deve essere specificamente indicato (non sono soggetti a ribasso d’asta).

Soggetti ammessi alla gara


Sono ammessi alla gara i soggetti di cui all’ART.34, cioè i soggetti dotati di requisiti di carattere generale e speciale e
che, in caso di assegnazione, non possono essere diversi da quelli indicati in sede di offerta.
Il bando di gara ammette la partecipazione anche di consorzi e raggruppamenti temporanei di imprese, alle
condizioni previste dall’ART. 47.
I bandi di gara possono prevedere anche l’ ipotesi dell’avvalimento (ad esempio quando manca un requisito e si
chiede in prestito ad un’altra azienda).
In caso di RTI o consorzi, nell’offerta devono essere specificate le parti del servizio che saranno eseguite dai singoli
operatori economici nella percentuale corrispondente alla quota di partecipazione al raggruppamento.

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Requisiti di partecipazione
Ciascun concorrente non deve trovarsi nelle condizioni di cui all’ art 38 è rubricato Requisiti di ordine generale e
richiede l’assenza di stati di fallimento, condanne penali, etc.

Il bando può poi contenere dei requisiti di carattere speciale specifici per quella gara, capacità economico-finanziaria,
capacità tecnico-professionale (per queste capacità si rinvia all’ART. 41 e 42, la cui dimostrazione è richiesta con
documentazione idonea o dichiarata).

Tutti questi requisiti, che all’inizio della procedura vengono autocertificati, saranno sottoposti a verifica (in mancato
possesso o nel caso di mancata presentazione nel termine si ha l’esclusione della gara).
È previsto, poi, nel bando di gara, il versamento di un contributo per la partecipazione; viene comunicato il CIG
(Codice identificativo di gara), assegnato dall’autorità di vigilanza, per poterne individuare la gara e seguirne l’iter.

L’autorità di vigilanza è un’autorità amministrativa, indipendente dall’indirizzo politico che:


• svolge un’attività di controllo e vigilanza per verificare il legittimo svolgimento delle gare e l’attività contrattuale
della PA;
• ha poteri sanzionatori;
• ha il potere di risoluzione delle controversie fra la stazione appaltante ed uno o più operatori economici che
intendono contestare il procedimento di gara. Tale risoluzione è condotta prima di un eventuale giudizio innanzi al
TAR competente territorialmente e non si tratta di una procedura obbligatoria;
• svolge anche un’importante attività consultiva nel corso della procedura al fine di rispondere ai dubbi di operatori
economici e stazioni appaltanti, norme sulla tutela dei lavoratori, sopraluogo (al fine di verificare lo stato dei mezzi
messi a disposizione dalla stazione appaltante. Al termine, il responsabile rilascia apposite attestazioni di avvenuto
sopraluogo), termine e modalità di presentazione dell’offerta (termine fissato in rispetto del principio di
immediatezza e tempestività dell’attività amministrativa).

L’offerta deve essere presentata in due buste diverse:

1) nella prima, detta Documentazione amministrativa, sono riportati tutti i documenti richiesti nel bando:domanda di
partecipazione, requisiti di carattere generale, requisiti speciali, requisiti economico-finanziari e tecnico-
professionali, documentazione relativa all’impresa (pagamento dei contributi presso gli enti previdenziali), cauzione
provvisoria commisurata al valore dell’appalto (istituto a garanzia dell’amministrazione previsto dal Codice dei
Contratti pubblici ed ha una funzione di deterrente e garanzia per l’amministrazione), dichiarazione di avvenuto
sopraluogo, etc.

2) nella seconda busta deve essere indicata:


- l’offerta economica in cifre ed in lettere;
- il ribasso rispetto al prezzo posto a base di asta;
- il certificato antimafia;
- la stipula del contratto.
Il contratto si perfezionerà soltanto nel momento della sottoscrizione, che avviene non prima di 35 giorni dall’invio
dell’ultima comunicazione.

Capitolato speciale di appalto (disciplinare)


Indica la modalità di svolgimento dell’attività oggetto dell’appalto.
Il disciplinare prevede che il prezzo complessivo, definito in sede di aggiudicazione per il servizio oggetto
dell’appalto, si intende fisso ed invariabile per il primo anno del contratto. I prezzi e le prestazioni dedotte in appalto
saranno soggetti a revisione annuale in rapporto agli indici ISTAT sul costo della vita, a partire dal secondo anni di
gestione.

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LA RESPONSABILITA’ PUBBLICA
Nel sistema giuridico italiano per responsabilità si intende l’assoggettabilità a sanzione dell’autore di un illecito, un
comportamento antigiuridico e, in quanto tale, censurato dall’ordinamento. Gli ART.28 e 113 COST. introducono un
sistema di tutela generalizzata, in via giurisdizionale, contro gli atti dell’amministrazione nonché una forma di
responsabilità civile, penale ed amministrativa imputabile agli enti pubblici ed ai suoi dirigenti.
In particolare, L’ art 28 Cost dispone che “i funzionari ed i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono
direttamente responsabili secondo le leggi civili, penali ed amministrative degli atti compiuti in violazione dei diritti.
In tali casi, la responsabilità civile si estende anche allo Stato e agli enti pubblici”.
Mentre in origine si riteneva che la responsabilità ricadesse direttamente sul pubblico dipendente e solo
indirettamente sull’amministrazione, gli orientamenti più recenti hanno affermato l’imputabilità diretta
all’amministrazione, alla luce del rapporto di immedesimazione organica che intercorre fra amministrazione e
dipendente. Infatti, la PA agisce attraverso una persona fisica che prende il nome di organo.
Il rapporto organico va distinto dalla rappresentanza (istituto di diritto privato):nella rappresentanza ricadono sul
rappresentato solo gli effetti dell’azione imputata al rappresentante; nel rapporto organico, sia l’azione che gli effetti
sono imputati direttamente all’amministrazione.

In tema di responsabilità della PA si hanno due esigenze contrapposte: da un lato, consentire un’azione
amministrativa efficiente e rapida, salvaguardando le finanze della PA da risarcimenti considerevoli e, dall’altro, far
ottenere al cittadino una tutela nell’ipotesi in cui dalla PA pervenga un atto o fatto, un’azione o un omissione,
arrecante danno ingiusto al terzo.

Gli ART. 28, 103 e 113 Cost. sottolineano una responsabilità dell’amministrazione che può essere diretta o indiretta:
la prima incorre quando il dipendente violi il rapporto di servizio arrecando danno a terzi, per via della cd. teoria
dell’immedesimazione organica, fatta salva la possibilità di quest’ultima di rivalersi nei confronti del dipendente.

La responsabilità penale
Si configura in tutte le ipotesi di violazione di norme penali e ricade unicamente sui dipendenti pubblici che abbiano
violato dette norme nell’esercizio delle funzioni pubbliche (in conseguenza del principio della personalità della
responsabilità penale). Vengono, pertanto, applicate le norme penali per ciò che concerne sia l’individuazione degli
elementi della responsabilità, che le sanzioni conseguenti, ferma restando la possibilità per l’amministrazione di
esperire, nei confronti del dipendente, azione di responsabilità amministrativa o contabile laddove l’illecito abbia
causato danno all’ente pubblico.
Non può estendersi all’amministrazione: l’ART. 27 COST. stabilisce che “la responsabilità penale è personale”;
riguarda cioè esclusivamente l’autore dell’illecito.
Il codice penale italiano prevede specifici reati che si caratterizzano per poter essere commessi soltanto dai
funzionari pubblici e dagli altri soggetti che svolgono funzioni pubbliche: peculato, concussione, corruzione, abuso
d’ufficio, etc.

La responsabilità amministrativa
Va distinta da quella di diritto comune per la sussistenza del rapporto di servizio tra l’agente e l’amministrazione,
nonché per il verificarsi del danno a carico di un soggetto pubblico.
Gli elementi che caratterizzano tale tipo di responsabilità, vista come una responsabilità contrattuale, sono:
• il rapporto di servizio: si intende qualunque rapporto, anche di natura temporanea, che comporti l’esercizio di
attività di diritto pubblico, nell’ambito dell’organizzazione dell’ente, secondo il sistema di immedesimazione
organica;
• il pregiudizio nei confronti dell’amministrazione: un altro elemento che consente di distinguere la responsabilità
amministrativa da quella di diritto comune è la natura pubblicistica del soggetto danneggiato. Al fine di avvalersi
dell’azione di responsabilità dinnanzi alla Corte dei Conti, è necessario che il soggetto danneggiato sia una PA (in caso
contrario, qualunque soggetto può rivolgersi al giudice ordinario per ottenere il risarcimento dei danni attraverso
l’ordinaria azione risarcitoria);
• la condotta imputabile: si traduce nella violazione, dolosa o gravemente colposa , degli obblighi derivanti dal
rapporto di servizio. La violazione può riguardare sia norme di natura formale che la correttezza sostanziale

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dell’azione amministrativa. Quindi, anche l’azione compiuta in contrasto con il principio di buona amministrazione e i
criteri di efficacia, efficienza ed economicità costituisce una condotta imputabile.
Il pregiudizio nei confronti dell’amministrazione può essere immediato o mediato, a seconda che dalla condotta
derivi danno all’amministrazione in via diretta o pregiudizio a soggetti terzi, i quali sono legittimati ad agire contro
l’amministrazione per conseguire il risarcimento del danno (fatta sempre salva la possibilità per l’ente pubblico di
rivalersi nei confronti del dipendente).
Tale condotta non è in sé sufficiente a determinarne la responsabilità in capo all’agente, ma deve essere
accompagnata dall’elemento psicologico del dolo o della colpa grave (cd. elemento soggettivo).
• il danno o elemento oggettivo si concretizza in ogni forma di pregiudizio non economico ed economico e
comprende sia il danno emergente (perdita subita) sia il lucro cessante (mancato guadagno).
Il danno economico deve essere certo, effettivo ed attuale.
Il danno non economico si configura nelle ipotesi in cui l’illecito non determina un depauperamento del patrimonio
dell’amministrazione in via immediata, ma produce, comunque, effetti gravemente lesivi.
La giurisprudenza ha individuato alcune tipologie di danno non economico, in relazione alle quali può sussistere
responsabilità amministrativa:
- Il danno all’immagine consiste nella lesione dell’immagine e del prestigio dell’amministrazione causata dall’azione
illegittima del dipendente che, con la sua condotta, abbia screditato l’ente pubblico innanzi alla collettività,
determinando il deteriorarsi del rapporto fiduciario che c’è tra cittadini ed enti pubblici.
- il danno da tangente: dazione di una somma di denaro in favore di amministratori o dipendenti pubblici in relazione
alle funzioni da queste svolte
- il danno da disservizi si verifica laddove il dipendente compie un’attività pregiudizievole per l’ordinario
funzionamento dell’amministrazione.
• l’elemento soggettivo: elemento psicologico del dolo o della colpa grave;
• il nesso di causalità è la stretta relazione che intercorre tra la condotta e l’evento dannoso.

La responsabilità civile
Consegue alla violazione delle norme civili da parte di privati o di enti pubblici ed è una responsabilità diretta.
Il riferimento è all’ART. 2043 C.C. che stabilisce che:
“qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a
risarcire il danno”.

Il codice civile italiano prevede tre tipi di responsabilità civile:


• Responsabilità extracontrattuale o aquilana:
Gli elementi costitutivi, rinvenibili all’ART. 2043, sono:
1) la condotta: può consistere in un’azione o omissione della PA, di natura dolosa o colposa (il silenzio, la mancata
emissione di un provvedimento amministrativo), dalla quale sia derivato un danno. La condotta deve essere
imputabile ad un’autorità amministrativa nell’esercizio delle sue funzioni.
2) l’antigiuridicità della condotta: si concretizza nella violazione della sfera giuridica di un soggetto e sorge per la
violazione di norme giuridiche di relazione (norme che regolano i rapporti fra cittadini e PA: impongono, ad esempio,
alla PA, nell’emissione di un provvedimento, il dovere di contemperare sia l’interesse pubblico che quello dei
soggetti privati interessati).
3) Evento dannoso o elemento oggettivo: è costituito dal danno che si concretizza in ogni forma di pregiudizio non
economico o economico derivante dalla lesione di un diritto soggettivo o interesse legittimo. Anche qui è necessaria
la riferibilità del fatto all’amministrazione nell’esplicazione della sua attività istituzionale.
4) Imputabilità: è l’elemento psicologico. L’ART. 2043 richiede che il fatto dannoso sia riferibile a colpa o dolo.
Quindi, la condotta e l’antigiuridicità della stessa non sono sufficienti a determinare responsabilità in capo all’agente,
dovendo essere accompagnate da dolo o colpa grave (allo scopo di evitare che i dipendenti pubblici rimangano inerti
per il timore di provocare un danno, è il D. P.R. 3/1957 che ha stabilito che essi sono responsabili soltanto quando
agiscono con dolo o colpa grave).
- L’azione dolosa può essere compiuta con la volontà cosciente di causare un pregiudizio (dolo diretto); con la
consapevolezza del rischio che l’azione stessa possa determinare un certo evento dannoso (dolo indiretto o
eventuale); con l’intenzione di trasgredire gli obblighi nascenti da un rapporto contrattuale (dolo contrattuale) o con
la volontà di arrecare un danno ingiusto ad un altro soggetto (dolo extracontrattuale).
- Dal dolo va distinta la colpa grave che attiene non tanto alla sfera psicologica della volontà di nuocere, quanto alle
modalità con cui l’azione viene compiuta. In particolare, la colpa grave si individua nelle ipotesi in cui l’azione sia
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compiuta con negligenza, imperizia, imprudenza, inosservanza di norme, sprezzante trascuratezza dei propri doveri.
Considerato che l’agente è vincolato all’amministrazione dal rapporto di servizio, la colpevolezza va esclusa quando
l’azione viene compiuta in esecuzione degli ordini impartiti dal superiore gerarchico, nei cui confronti è obbligato dal
dovere di obbedienza. Tuttavia, nel caso in cui ritenga che l‘ordine ricevuto sia illegittimo, deve segnalarlo con
esplicita motivazione al superiore ed eseguire comunque l’ordine solo se confermato per iscritto, a meno che non si
tratti di illecito penale o amministrativo.
L’elemento della colpa grave è oggetto di attenta valutazione da parte del giudice contabile (Corte dei Conti), il quale
può escludere la colpevolezza nelle ipotesi in cui venga provato che il dipendete abbia agito in stato di necessità, per
caso fortuito, per forza maggiore o fosse incapace di intendere e di volere. Inoltre, è previsto dalla giurisprudenza,
l’esclusione della colpevolezza nel caso in cui il fatto dannoso sia causato da un provvedimento che abbia superato
positivamente il controllo di legittimità della Corte dei Conti.
5) Nesso di causalità: è la stretta relazione che intercorre tra la condotta e l’evento dannoso. Perché possa sussistere
responsabilità è necessario che il pregiudizio sia stato provocato in via immediata dall’azione.

• Responsabilità contrattuale: sorge quando un soggetto debitore non esegue esattamente la prestazione dovuta,
sulla base del rapporto obbligatorio previsto da un contratto, dalla legge, da un atto unilaterale o dall’obbligo di
risarcire un fatto illecito commesso in precedenza.
ART. 1218 C.c. recita, infatti:
“ Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che
l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non
imputabile”.
Quando un ente pubblico non adempie ad un obbligo che discende da un rapporto obbligatorio con un cittadino,
tale obbligo grava unicamente in capo alla PA e non sul funzionario. A quest’ultimo, il cittadino potrà al più chiedere i
danni invocando la responsabilità extracontrattuale (ad esempio, danno causato da medico del servizio sanitario
pubblico ad un paziente: l’amministrazione risponderà a titolo contrattuale, il medico a titolo extracontrattuale);

• Responsabilità precontrattuale: in passato non era prevista, ma, attualmente, la giurisprudenza riconosce al privato
aspirante contraente che abbia subito danni dal comportamento precontrattuale dell’ente pubblico, in violazione
degli ARTT. 1337 e 1338 C.c., il diritto al risarcimento del danno.
ART. 1337 C.c.:
“Le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona
fede”.
ART. 1338 C.c.:
“La parte che, conoscendo o dovendo conoscere l'esistenza di una causa di invalidità del contratto non ne ha dato
notizia all'altra parte, è tenuta a risarcire il danno da questa risentito per avere confidato, senza sua colpa, nella
validità del contratto”.

L’attività della PA, anche nel campo della pura discrezionalità, deve svolgersi nei limiti posti dalla legge e dal principio
primario del neminem leader codificato dall’ ART. 2043 C.C., per cui è consentito al giudice ordinario di accertare se
vi sia stato da parte delle stessa PA un comportamento doloso o colposo in violazione di tale norma.

L’accertamento giudiziale
Al fine di configurare l’ipotesi di responsabilità amministrativa occorre accertare la sussistenza degli elementi
costitutivi tale responsabilità nel corso del giudizio innanzi alla Corte dei Conti.
Nel momento in cui essa riceve la notizia di danni, in relazione ad un’azione dannosa compiuta dal dipendente nei
confronti dell’amministrazione, il Procuratore generale della Corte dei Conti da impulso al processo. A tal fine i
dirigenti sono obbligati a denunciare i fatti dannosi compiuti dal dipendente (in caso di omissione saranno chiamati a
rispondere del danno unitamente). Il Procuratore può avere, altresì, conoscenza dell’illecito in virtù delle
segnalazioni pervenute dalle sezioni di controllo, dalla comunicazione del PM che esercita l’azione penale per un
reato che abbia arrecato danni all’erario, nonché attraverso qualunque strumento di informazione.

La responsabilità contabile
Ha gli stessi presupposti di quella amministrativa, ma da questa differisce perché non riguarda tutti i soggetti titolari
del rapporto di servizio, ma i soli agenti contabili. Essi sono quei soggetti che hanno avuto in consegna o in
disponibilità denaro, beni o altri valori di un ente pubblico. Tale responsabilità emerge quando vi è una discordanza
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fra le cose e i valori ricevuti in consegna e le cose e i valori restituiti. Anche in questo caso la competenza
giurisdizionale è della Corte dei Conti.

Tutti i soggetti che sono titolari di un rapporto di lavoro con un ente pubblico sono assoggettati alla responsabilità
disciplinare.
L’azione di responsabilità, da compiersi dinanzi alla Corte dei Conti, va esercitata, a pena di prescrizione, entro 5 anni
dal momento in cui si è concretizzato il danno.
La prescrizione è un termine entro il quale un soggetto deve esercitare un diritto: scaduto tale termine, il diritto in
questione non è più esperibile. La prescrizione ordinaria è decennale, ma vi sono altre ipotesi, con termini diversi,
previsti dal Codice Civile o dalle leggi speciali in merito.

Principio introdotto dalla sentenza 500/1999 delle Sezioni Unite (Cassazione Civile)
È una sentenza di grande rilievo nella responsabilità con la quale si è riconosciuta anche la responsabilità per la
lesione degli interessi legittimi e non più soltanto degli interessi soggettivi (trovano, adesso, risarcimento una serie
di situazioni giuridiche che prima della sentenza sfuggivano dal raggio applicativo della tutela come, ad esempio, il
permesso di costruire rilasciato illegittimamente).
È stato inoltre stabilito che un’attività dannosa è imputabile alla PA anche quando sussiste un rapporto di
occasionalità necessaria con il servizio prestato dall’amministrazione.
A seguito di tale sentenza, il giudice amministrativo ed anche la Corte dei Conti può, in tutte le questioni relative al
risarcimento del danno, chiedere la reintegrazione in forma specifica (ripristino dello status quo ante) o per
equivalente (risarcimento in denaro che va calcolato alla luce del danno).

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I BENI PUBBLICI

La nozione di bene in senso giuridico è opera della dottrina privatistica, secondo la quale tale termine indica una cosa
intorno alla quale si annodano rapporti giuridici, che forma oggetto di interesse da parte di determinati soggetti.
L’ART. 42 COST. stabilisce che i beni possono appartenere allo Stato o ad enti privati. Ciò significa che i titolari di
diritti sui beni possono essere individui, enti privati, enti pubblici. Essi dispongono di diritti reali.
I beni per gli enti pubblici non sono che i mezzi dei quali si avvalgono per il soddisfacimento dei propri scopi di
interesse pubblico. Non può escludersi che beni appartenenti a privati possano essere oggetto di discipline
pubblicistiche e,allo stesso modo, i beni appartenenti allo Stato o ad enti pubblici possano essere soggetti tanto al
diritto comune quanto a norme speciali, caratterizandosi in ogni caso come strumenti diretti al soddisfacimento delle
finalità pubbliche che l’ordinamento assegna all’ente che ne è titolare.

Proprietà pubblica
L’ART. 42 C.1 sembra alludere ad una proprietà pubblica, distinguendola da quella privata.
Art. 42 Cost.
“La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati.
La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti
allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.
La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d'interesse
generale.
La legge stabilisce le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità”.

Tuttavia, in seguito, al concetto di proprietà si sovrappone quello di appartenenza, in linea con il codice civile che,
quando si riferisce ai beni dello Stato, degli enti pubblici e degli enti ecclesiastici usa il termine appartenenza ed evita
quello di proprietà.
Art. 822 C.c.
“Appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico il lido del mare, la spiaggia, le rade e i porti; i fiumi, i
torrenti , i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia; le opere destinate alla difesa nazionale.
Fanno parimenti parte del demanio pubblico, se appartengono allo Stato, le strade, le autostrade e le strade ferrate;
gli aerodromi; gli acquedotti; gli immobili riconosciuti d'interesse storico, archeologico e artistico a norma delle leggi
in materia; le raccolte dei musei, delle pinacoteche, degli archivi, delle biblioteche; e infine gli altri beni che sono
dalla legge assoggettati al regime proprio del demanio pubblico”.

Il codice civile del 1942 segna un momento di rilevante importanza nel percorso che ha condotto l’elaborazione
teorica sulla cosiddetta proprietà pubblica.
La diversità di regime dei beni pubblici si giustifica in ragione del fatto che è diversa la loro funzione rispetto a quella
dei beni appartenenti ai privati. I beni che costituiscono l’oggetto di diritti collettivi delle persone o che sono
strumentali all’esercizio di funzioni o servizi pubblici godono, ai sensi delle norme del codice civile, di un regime
particolare rispetto a quello ordinario di proprietà privata. Nel corso degli anni, grazie alla dottrina e alla
giurisprudenza, il codice civile ha elaborato una distinzione dei beni pubblici in due macrocategorie:
• i beni appartenenti al demanio pubblico, art 822 C.c.
• i beni appartenenti al patrimonio dello Stato e degli altri enti pubblici, art. 826.
Si è passati da una distinzione fondata sull’appartenenza del bene a determinati soggetti (impostazione
soggettivistica), all’individuazione di categorie di beni che, in quanto tali, ricevono una determinata disciplina
giuridica. In altri termini è sul bene individuato dal legislatore che si fonda il regime di pubblicità e non sul fatto che
esso sia oggetto di titolarità pubblica.
Occorre precisare che le PA possono essere proprietarie di beni che, fatta eccezione per alcuni specifici aspetti,
ricadono nel regime ordinario della proprietà privata. L’ingente patrimonio dello Stato e degli altri enti pubblici è
composto, infatti, da una notevole quantità di aree ed edifici che non sono destinati all’uso collettivo o allo
svolgimento di funzioni o servizi pubblici e che, pertanto, non sono sottoposti ad un regime particolare rispetto a
quello ordinario.

I beni pubblici tra spinte comunitarie e processi di privatizzazione


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Con la crisi della finanza pubblica la situazione era diventata sempre più intollerabile finchè, a partire dai primi anni
’90, il legislatore cominciò ad occuparsi ripetutamente del problema adottando una serie di misure che si possono
raggruppare sotto la comune etichetta della privatizzazione. Perlopiù si semplificarono le procedure di alienazione da
parte dello Stato e delle altre amministrazioni, dei beni patrimoniali già disponibili o divenuti tali, in seguito a
sdemanializzazione (fuoriuscita dei beni dalla categoria) o cessazione della loro destinazione pubblica.
Tra queste misure spiccano quelle inerenti le cd. cartolarizzazioni dei beni pubblici, intendendosi l’incorporazione del
loro valore in strumenti finanziari da collocare sul mercato i cui sottoscrittori dovranno poi essere remunerati con il
ricavato dalla vendita dei beni stessi.
Il legislatore si è occupato pure dei beni pubblici in senso stretto, cioè quelli demaniali, dei quali deve essere
mantenuta la destinazione istituzionale, prevedendo forme di gestione e valorizzazione economica attraverso
l’impiego del diritto privato. Questo fenomeno non deve essere confuso con una sottrazione dei beni pubblici alla
loro destinazione istituzionale. Si tratta, invece, dell’adozione di nuove modalità di gestione di beni dei quali si
intende continuare ad assicurare la destinazione pubblica. Da notare, innanzi tutto, la modalità di appartenenza di
beni, anche demaniali, a soggetti formalmente privati (determinate Spa in mano pubblica come Enel, Anas, Ferrovia
dello Stato).

La normativa comunitaria ha avuto una notevole incidenza sulla pubblica proprietà. Il profilo che ha interessato il
legislatore comunitario è quello funzionale di accesso al bene pubblico, piuttosto che quello relativo alla titolarità o
privata.
Com’è noto, il diritto pubblico dell’economia è stato via via interessato da un processo di “fuga dallo Stato” del
settore pubblico, caratterizzata, in un primo momento, dalla nascita di enti pubblici separati dall’organizzazione
ministeriale e di aziende e amministrazioni cd autonome e poi, a partire dagli anni ’90, dalla nascita di vere e proprie
società commerciali subentrate negli enti locali alle vecchie aziende municipalizzate.
In questo conteso, l’ART. 113 TUEL ha introdotto il principio della separazione tra la proprietà pubblica dei beni e la
gestione privatistica delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni.
La vicenda della privatizzazione passa, da un lato, attraverso la cd. privatizzazione sostanziale in cui il soggetto
pubblico si trasforma in società privata ritraendosi completamente dal mercato; dall’altro, attraverso la cd.
privatizzazione formale in cui il soggetto pubblico, pur mutando veste, non si ritrae dal mercato mantenendo la
partecipazione e il controllo azionario. Si conferma, dunque, una visione funzionale del bene pubblico che,
prescindendo dal criterio soggettivo di appartenenza, fa rilevare soprattutto il vincolo di destinazione.
Inoltre, le direttrici lungo le quali si è svolto il processo di privatizzazione portano ad una patrimonializzazione dei
beni pubblici, cioè al superamento della distinzione tra beni demaniali e beni patrimoniali indisponibili.
Il processo di privatizzazione costituisce applicazione dell’ormai costituzionalizzato principio di sussidiarietà.

Beni pubblici e federalismo


In attuazione dell’ART. 19 l. 42/2009 è stato emanato il d.lgs. 85/2010. Esso prevede che, con uno o più decreti
attuativi del Presidente del Consiglio dei ministri, vengano individuati i beni statali che possono essere attribuiti a
titolo non oneroso a Comuni, a Provincie, Città metropolitane e Regioni, cui spetta il compito d assicurarne la
massima valorizzazione funzionale a vantaggio diretto o indiretto della collettività, sulla base dei principi di
sussidiarietà, adeguatezza e territorialità. Oltre a questi, a guidare il trasferimento, c’è soprattutto un principio di
semplificazione enunciato dallo stesso d.lgs. in questione, che va letto come facoltà di dismissione e che si colloca
nell’ambito di una serie di interventi legislativi volti alla “depubblicizzazione del patrimonio immobiliare ed alla
dismissione come significativa misura di risanamento finanziario”.
Dunque, i beni entrano a far parte del patrimonio disponibile di Comuni, Provincie, Città metropolitane e Regioni ad
eccezioni di quelle appartenenti al demanio marittimo, idrico e aeroportuale. Questo trasferimento li rende
alienabili, se questo risulta essere l’impiego ritenuto più adeguato alla loro valorizzazione. Quanto ai beni del
demanio marittimo e idrico, essi sono trasferiti unitariamente alle loro pertinenze, alle Regioni con uno o più decreti
del Presidente del Consiglio dei ministri, adottati entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto sul
federalismo demaniale.
I beni trasferiti agli enti territoriali possono essere conferiti ad uno o più fondi comuni di investimento allo scopo di
favorirne la valorizzazione.
Gli enti territoriali acquisiscono, per un ammontare pari al 75%, i proventi netti derivanti dall’eventuale alienazione
del patrimonio disponibile loro attribuito e quelli derivanti dall’eventuale cessione di quote di fondi immobiliari cui i
beni sono stati conferiti. Queste risorse sono destinate alla riduzione del debito dell’ente o a speso di investimento.

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Classificazione codicistica
Il codice civile classifica i beni pubblici in demaniali (822-824 C.c.) e patrimoniali.
Entrambi sono beni di interesse pubblico assoggettati a regime di diritto pubblico. Si distinguono tra loro sulla base di
un criterio meramente formale: in altri termini “sono demaniali o patrimoniali indisponibili i beni pubblici
rispettivamente indicati o disciplinati come tali dall’ordinamento”.

• Beni demaniali. L’ART. 822 C.c. c.1, si riferisce ai beni demaniali che, in modo esclusivo e necessario, appartengono
allo Stato e che pertanto costituisco il demanio necessario (marittimo, idrico, militare).
Il c.2 indica poi una serie di beni che, se appartengono allo Stato o agli altri enti territoriali, sono assoggetti a regime
del demanio pubblico. Si tratta di beni che costituiscono il demanio eventuale (strade, autostrade, immobili di
interesse storico-artistico) e si distinguono da quello necessario per il fatto che possono appartenere anche ad altri
soggetti pubblici o privati.
Il comune denominatore dei beni demaniali elencati è quello di essere beni immobili o universalità di mobili e di
appartenere ad enti territoriali. Quindi, i beni demaniali sono tali per la loro intrinseca qualità o per il fatto di
appartenere ad enti territoriali.
Vale anche per i beni demaniali il regime delle pertinenze stabilito dall’ART. 818 C.C., che estende alle pertinenze
demaniali atti e rapporti giuridici aventi ad oggetto la cosa principale.
Il regime giuridico dei beni demaniali è dettato dall’ART. 823 C.C. COMMA I, secondo cui “i beni che fanno parte del
demanio pubblico sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti in favore di terzi, se non nei modi e nei
limiti stabiliti dalla legge”. Ciò significa che i beni demaniali, almeno finchè rimangono tali, sono incommerciabili e
non possono essere oggetto di trasferimento o procedure esecutive, né possono essere usucapiti. Non possono
quindi formare oggetto di diritti nei confronti di terzi se non attraverso provvedimenti amministrativi di tipo
concessorio che, ferma restando la titolarità pubblica del bene, ne consento no le gestione. Ciò nonostante è
radicalmente nullo per impossibilità dell’oggetto (ART. 1418 C.C.) qualsiasi atto di disposizione dei beni demaniale.
Alla tutela provvede l’autorità pubblica competente (ART. 823 C.C.), con la facoltà di avvalersi di mezzi ordinari a
difesa della proprietà e del possesso o, alternativamente, di agire in via amministrativa.
L’inizio della demanialità è segnato, per il bene del demanio naturale (che vengono in essere o perdono la propria
consistenza per fatti naturali), dal loro mero venire ad esistenza con i caratteri corrispondenti a quelli indicati dalla
legge.
Diversamente avviene per i beni del demanio artificiale per i quali l’inizio della demanialità è segnato sia dal loro
venire ad esistenza per opera dell’uomo con i caratteri indicati dalla legge, sia da una manifestazione di volontà della
PA che li destini alla realizzazione di esigenze di interesse pubblico previste dall’ordinamento giuridico.
La cessazione della demanialità avviene in modo analogo e contrario.
Infine, l’ART. 829 DEL C.C. stabilisce che il passaggio dei beni dal demanio pubblico al patrimonio dello Stato deve
essere dichiarato con atto dell’autorità amministrativa, di cui va data comunicazione nella GU della Repubblica.

• Beni patrimoniali. Secondo l’ART. 826 C.C. COMMA I, sono beni patrimoniali tutti quei beni non demaniali che
appartengono allo Stato o agli enti territoriali. Si distinguono in beni patrimoniali disponibili e beni patrimoniali
indisponibili. Anche per questi beni si distingue patrimonio necessario e patrimonio ed accidentale.
L’ART. 828 C.C. comma II detta il regime giuridico dei beni patrimoniali indisponibili, prevedendo che “non possono
essere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano”.
Lo stesso regime, secondo l’ART. 830 C.C., si applica ai beni degli enti pubblici non territoriali destinati ad un pubblico
servizio per i quali non esiste una norma generale che stabilisca un regime di indisponibilità.
È solo attraverso tipici procedimenti delineati dall’ordinamento che può validamente rimuoversi il vincolo di
destinazione dei beni patrimoniali indisponibili, con la conseguenza che qualunque atto diretto a sottrarre il bene
dalla sua destinazione è ritenuto nullo.
Per quanto riguarda i beni patrimoniali disponibili essi sono individuati sulla base di un criterio di residualità. Il loro
regime giuridico non differisce, almeno in linea generale, da quello dei beni appartenenti a soggetti privati.

Uso dei beni pubblici


Occorre distinguere tra:
• Uso diretto, quando la PA titolare del bene lo utilizza per la propria attività. Vi è in questo caso una riserva di
utilizzazione amministrativa da cui discende la preclusione all’uso generale.
• Uso promiscuo, quando il bene viene utilizzato direttamente dalle PA titolari senza che ciò ne escluda l’utilizzo
secondario da parte di altri soggetti pubblici o privati (ad esempio strade militari aperte alla circolazione pubblica).
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• Uso generale, è consentito alla collettività per il soddisfacimento, in via prioritaria, delle proprie esigenze e delle
sue libertà, non dei bisogni delle amministrazioni (ad esempio le strade). La dottrina ha a lungo distinto l’uso
generale in uso normale (a sua volta ripartito in comune e speciale) ed eccezionale.
La normalità dell’uso si fonda sulla coerenza dell’impiego del bene rispetto alla sua natura. All’interno di tale
categoria è comune “l’uso normale che sia consentito a chiunque in condizioni di proprietà, generalità e gratuità
sostanziali”, mentre è speciale “l’uso che pur rispondente al requisito di normalità, sia consentito solo a soggetti
individuati da un provvedimento amministrativo di natura autorizzativa”.
• Uso particolare, quando il bene pur apparentemente suscettibile di uso generale non lo è in concreto per la sua
limitatezza, che impone di attribuirne il godimento a soggetti privati attraverso provvedimenti amministrativi di tipo
autorizzatorio o concessorio.

L’uso autorizzato non allarga i confini della fattispecie aldilà di quelli propri dell’uso generale.
L’uso concesso, nell’ambito della categoria dell’uso particolare o eccezionale, rimanda, secondo la dottrina, ad una
fattispecie diversificata che comprende l’ipotesi di:
• Concessione di produzione: ricorre quando l’amministrazione concede ad un soggetto l’uso del bene pubblico
perché, attraverso di esso, produca le utilità tipiche della propria impresa. L’interesse pubblico che sorregge tale
concessione è inerente l’attività di produzione in sé, piuttosto che il bene;
• Concessione di bene (in senso tecnico): costituisce l’elemento patrimoniale di un’azienda, privata o pubblica, che
produce servizi al pubblico;
• Concessione di bene attrezzato: in altri termini, il bene oggetto della concessione deve inserirsi in una relazione di
stretta strumentalità rispetto alla sua attrezzatura nella quale si identifica l’interesse pubblico.
IL SISTEMA DEI CONTROLLI

Organi
Altra caratteristica dei soggetti pubblici è la capacità di agire attraverso gli organi. Questi possono essere monocratici
o collegiali e sono in grado di manifestare la volontà dell’ente all’esterno. Per la teoria dell’immedesimazione
organica, l’atto posto in essere dall’organo è imputato direttamente alla PA: ne deriva che, nel caso di responsabilità
(contrattuale o precontrattuale) nei confronti di terzi, essa sarà dell’amministrazione anche se potrà poi rivalersi su
chi ha manifestato la volontà nel caso in cui ricorrano i presupposti della responsabilità amministrativa e contabile.

Tipologie
1) Esterni: sono competenti a emanare provvedimenti o atti aventi rilevanza esterna. In particolare, i dirigenti
adottano gli atti che “impegnano l’amministrazione verso l’esterno” (d. lgs 165/2001);
2) Procedimentali (o interni): sono competenti ad emanare atti aventi rilevanza endoprocedimentale;

3) Centrali: estendono la propria competenza all’intero spettro dell’attività dell’ente;


4)Periferici: hanno competenza limitata ad un particolare ambito di attività;

5) Ordinari: sono previsti dal normale disegno organizzativo dell’ente;


6) Straordinari: operano in sostituzione degli organi ordinari (in genere sono denominati Commissari);

7) Permanenti
8) Temporanei: svolgono funzioni solo per un determinato periodo di tempo (Commissioni di concorso);

9) Attivi: sono competenti a formare ed eseguire la volontà dell’amministrazione in vista del conseguimento dei fini
ad essi affidati, ossia alla cura dell’interesse pubblico sia attraverso l’esercizio del potere provvedimentale
(autoritativo), sia attraverso il potere negoziale;
10) Consultivi: rendono pareri, manifestazioni di giudizio che intervengono nella fase istruttoria e offrono all’organo
decidente il necessario supporto informativo. Svolgono, quindi, un’attività di supporto all’amministrazione attiva:
abbiamo un’attività interna consultiva, in quanto ogni PA può avere uno o più organi consultivi volti a supportarne
l’attività, oppure degli organi consultivi esterni alla PA che svolgono principalmente quella funzione (ad esempio
quella consultiva svolta dal Consiglio di Stato, tipicamente organo della giustizia amministrativa di 2° grado, ma
dotato anche di 3 sezioni consultive di supporto all’attività amministrativa). Gli atti consultivi sono atti
endoprocedimentali che non producono efficacia all’esterno;

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11) Di Controllo: sindacano l’attività posta in essere dagli organi attivi. La funzione amministrativa affidata alla PA
volge alla cura dell’interesse pubblico attraverso organi attivi (monocratici o collegiali). L’attività di controllo serve a
preservare l’interesse pubblico e a garantire che vengano ponderati gli interessi pubblici e privati;
12) Rappresentativi: sono quelli i cui componenti, a differenza degli organi di rappresentanza, vengono designati o
eletti dalla collettività che costituisce l’ente. Tipico esempio è il Sindaco. Organo non rappresentativo è, invece, il
Prefetto.

13) Monocratici: il titolare è una sola persona fisica;


14) Collegiali: quelli in cui più persone fisiche hanno la contitolarità; le ragioni per cui si procede all’istituzione
dell’organo collegiale sono fondamentalmente due : riunire in un unico corpo i portatori di interessi differenti e/o far
confluire nel collegio più capacità professionali e tecniche.

Il sistema dei controlli ha subito una grossa modifica, parallelamente a quella che è stata la riforma della PA degli
anni ’90, cambiando il ruolo dell’amministrazione attiva.
Prima della riforma, il controllo era accentrato sul provvedimento. Oggi, al contrario, gran parte dell’attività di
controllo ricade sul procedimento.
Occorre tenere cono anche del fatto che prima si trattava di un’amministrazione accentrata, dove l’attività
organizzativa risiedeva nelle mani dell’amministrazione centrale (Stato, Ministeri e altre organizzazioni centrali),
mentre gli enti periferici non godevano di alcun tipo di autonomia, con la conseguenza che tutti gli atti degli enti
locali erano soggetti a controllo da parte dello Stato.

Sistema dei controlli dopo la riforma


Il controllo, che nel linguaggio comune indica un’attività di verifica dell’operato altrui, costituisce nel diritto
amministrativo un’autonoma funzione svolta da organi peculiari. Nel nostro ordinamento vige il principio di
separazione tra soggetto controllato e soggetto controllore.
In quanto relazione interorganica, il controllo consiste in un esame, da parte in genere di un apposito organo, su atti
e attività imputabili ad un altro organo controllato.
Il controllo, che è sempre doveroso (nel senso che l’organo chiamato a svolgerlo non può rifiutarsi di esercitarlo),
accessorio rispetto ad un’attività principale è svolto nelle forme previste dalla legge, si conclude con a formulazione
di un giudizio, positivo o negativo, sulla base del quale viene adottata una misura.
Occorre distinguere:
• Controlli interni (interorganici) sono esercitati da organi dell’ente, ma possono anche essere esterni perché il
controllo può essere esercitato da organi di un ente nei confronti di organi di un altro ente;
• Controlli esterni (intersoggettivi) fra soggetti diversi esterni.

Tipologie di controllo
• Controlli parlamentari, soprattutto nell’ambito della legge finanziaria (ora legge di stabilità), quindi nell’attività di
bilancio delle amministrazioni;
• Controlli giurisdizionali, la Magistratura svolge attività di verifica (ad esempio, il giudice amministrativo chiamato a
verificare la legittimità di un provvedimento) non da compiersi necessariamente, ma solo su richiesta del soggetto
interessato;
• Controlli amministrativi, sono tipicamente i controlli eseguiti all’interno della stessa amministrazione (attività di
revisione dei provvedimenti in secondo grado). E’ espressione del potere di autotutela.
Sono considerati di secondo grado i provvedimenti attraverso i quali l’amministrazione interviene sui suoi precedenti
atti: annullamento d’ufficio, revoca, conferma o convalida.
• Controlli delle autorità amministrative indipendenti, il primo tratto caratteristico è l’indipendenza dal potere
esecutivo. Altra caratteristica strettamente legata a quest’ultima è l’elevato grado di competenza richiesto ai
componenti di tali organi, scelti tra soggetti di grande professionalità ed integrità, sottolineando la prevalenza, nelle
valutazioni che tali autorità sono chiamate ad assumere, della componente tecnica su quella politica.
• Controllo della Corte dei Conti
Possono aversi:
Controlli sugli atti, possono essere amministrativi, quindi emessi dall’amministrazione attiva.
Controlli sull’attività della PA. Fino a qualche tempo fa non esistevano e non erano neanche pensabili, in quanto
prima della riforma della PA degli anni ’90, l’iter procedimentale alla base del provvedimento non era regolamentato
da norme specifiche per cui un controllo sull’attività endoprocedimentale era impensabile. Con l’entrata in vigore
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della l. 241/1990 fu anche introdotto il controllo su quest’attività a tutela degli interessi procedimentali di soggetti
coinvolti dall’attività della PA.
Controllo sugli organi: è sul comportamento di quest’ultimi, che svolgono funzioni particolare e sugli obbiettivi che
questi organi sono riusciti a raggiungere. In particolar modo si fa riferimento all’attività dei soggetti che operano in
una posizione apicale (pensiamo al controllo dirigenziale, che riguarda l’attività dei dirigenti e che prendono in
considerazione la corrispondenza tra l’obiettivo che avrebbe dovuto seguire e quello che ha effettivamente
perseguito.
I parametri di raffronto possono essere:
Controllo di legittimità: volto a confrontare l’oggetto del controllo con la norma di riferimento;
Controllo di merito: si va a verificare l’opportunità delle scelte operate tenendo conto degli interessi (pubblici o
privati) in gioco. La PA, pur in applicazione di un potere discrezionale, è tenuta a contemperare gli interessi in gioco,
ed è tenuta, inoltre, a rendicontare le ragioni per cui gli atti e le richieste dei soggetti privati possono o non possono
essere prese in considerazione. Si tratta di un potere proprio della PA che non può essere svolto da altri soggetti ed
avviene tipicamente nell’ambito del rapporto gerarchico, che sussiste cioè fra un soggetto sottordinato ed un
soggetto sovraordinato. Quest’ultimo può rivedere sia attraverso il potere di sostituzione (a seguito di inerzia
dell’organo inferiore), sia attraverso il potere di avocazione (per singoli affari, per motivi di interesse pubblico,
indipendentemente dall’inadempimento dell’organo inferiore), ma anche attraverso il potere di annullamento
d’ufficio (controllo di legittimità) e la revoca (controllo di merito);
Controllo di produttività: il riferimento è all’attività aziendalistica della PA (ad esempio gli enti pubblici economici);
Controllo preventivo, rispetto alla produzione degli effetti dell’atto;
Controllo successivo, il quale si svolge quando l’atto ha già prodotto i suoi effetti. Sono dei controlli ex post effettuati
al fine di verificare se gli obiettivi prestabiliti sono stati perseguiti. Questo controllo è incentrato sull’attività e non
sull’atto.

Principali controlli
• Controllo di ragioneria dell’amministrazione statale.
Il d.lgs. 143/2011 disciplina il controllo di regolarità amministrativa e contabile su tutti gli atti di spesa: sugli atti
statali è svolto dagli Uffici centrali del bilancio operanti presso le amministrazioni centrali; in periferia, dalle
Ragionerie territoriali dello Stato.
Il controllo si svolge in via preventiva o successiva. Per quanto riguarda il controllo preventivo, gli atti di spesa,
contestualmente alla loro adozione, sono inviati all’ufficio di controllo che effettua la registrazione contabile delle
somme relative agli atti di spesa, con conseguente effetto di rendere indisponibili ad altri fini le somme ad essa
riferite fino al momento del pagamento.
Il d.lgs. elenca alcuni atti che non possono sottrarsi al controllo, ad esempio gli atti soggetti a controllo preventivo di
legittimità della Corte dei Conti (in tal caso vi è un coordinamento tra le due forme di controllo) e i decreti di
approvazione di contratti.
Accanto al profilo contabile vi è quello che incide sull’efficacia dell’atto del controllo di legittimità con riferimento alla
normativa vigente: entro 30 giorni dal ricevimento degli atti di spesa, l’ufficio provvede all’apposizione del visto di
regolarità. Fatte salve le norme in materia di controllo da parte della Corte dei Conti, i termini sono interrotti sino alla
ricezione dei chiarimenti (ma se il dirigente non si attiva, il provvedimento non acquista efficacia ed è improduttivo di
effetti contabili). In caso di esito negativo del controllo, gli atti non producono effetti a carico del bilancio, salvo che,
sotto la responsabilità del dirigente titolare della spesa, sia esplicitamente richiesto di dare ulteriore corso al
provvedimento.
Il D.Lgs 123/2011 disciplina il controllo successivo di taluni atti (ad esempio i rendiconti amministrativi): gli uffici, nel
caso in cui siano riscontrate irregolarità, inviano al funzionario delegato una nota di osservazione; i funzionari sono
tenuti a rispondere entro 30 giorni e, in caso di inerzia o qualora le controdeduzioni rese non siano idonee a
superare le osservazioni formulate, i rendiconti non sono discaricati.
• Controllo della Corte dei Conti.
Il controllo esterno, costituzionalmente garantito, è quello esercitato dalla Corte dei Conti attraverso il meccanismo
della registrazione e dell’apposizione del visto (atto con cui si accerta la legittimità dell’atto).
La L. 20/1994 ha drasticamente limitato l’ambito degli atti soggetti a controllo preventivo di legittimità: esso si
esercita, ad esempio, su provvedimenti emanati a seguito di deliberazione del consiglio dei ministri, sugli atti
normativi, sugli atti di programmazione , sulle direttive ministeriali generali, sui decreti che approvano alcuni
contratti delle amministrazioni dello Stato, sui provvedimenti di disposizione del demanio e del patrimonio
immobiliare.
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Per quanto riguarda gli atti assoggettati (in via eccezionale) al controllo successivo della Corte dei Conti, in cui i poteri
sono in tal caso privi di effetti impeditivi nei confronti dell’efficacia dell’atto, si discute in dottrina ed in
giurisprudenza circa le conseguenze dell’esito negativo del controllo: secondo un orientamento si avrebbe un
implicito annullamento dell’atto controllato; secondo l’altra tesi vi sarebbe l’obbligo dell’amministrazione di
prendere atto della pronuncia di illegittimità e, dunque, di non dare corso all’esecuzione dell’atto (questa pare
l’opinione da preferire, in quanto, la legge non prevede espressamente alcun potere di annullamento in capo alla
Corte dei Conti).
La tendenza è quella di ridurre i controlli solamente formali e di accentuare quelli gestionali (incentrati sul
raggiungimento del risultato) e finanziari.

Il quadro dei controlli spettanti alla Corte dei Conti (organo dotato di ampia autonomia regolamentare circa
l’organizzazione della funzione), contempla:
1) Un controllo preventivo sugli atti espressamente indicati dalla L. 20/1994;
2) Un controllo preventivo sugli atti che il Presidente del Consiglio dei Ministri richiede di sottoporre
temporaneamente a controllo o che la Corte dei Conti deliberi di assoggettare, per un periodo determinato, a
controllo in relazione a situazioni di diffusa e ripetuta irregolarità rilevata in sede di controllo successivo;
3) Un controllo successivo sui titoli di spesa relativi al costo del personale (D. lgs. 165/2001), sui contratti ed i relativi
atti di esecuzione stipulati dalle amministrazioni statali e sugli atti di liquidazione dei trattamenti di quiescenza dei
dipendenti pubblici;
4) Un controllo successivo sugli atti di notevole rilievo finanziario individuati per categorie e amministrazioni statali
che le sezioni unite stabiliscono di sottoporre a controllo per un periodo determinato (la corte può chiedere il
riesame degli atti entro 15 giorni dalla ricezione, ferma restandone l’esecutività; le amministrazioni trasmettono gli
atti adottati a seguito del riesame alla Corte, la quale, ove rilevi l’illegittimità, ne da avviso al Ministro);
5) Un controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria, esercitato da una
sezione speciale della Corte. Assoggettati a questo controllo sono gli enti che godono di contributi pubblici ordinari
con carattere di periodicità o iscritti a bilancio da oltre un biennio; gli enti i quali sostengono il proprio fabbisogno
finanziario a mezzo di imposte, tasse e contributi con carattere di continuità. Nei casi citati la Corte è tenuta a riferire
al Parlamento i risultati del controllo eseguito, anche sulla base dei dati e delle informazioni raccolte dalle sezioni
regionali di controllo.
Va notato che, secondo la Corte Costituzionale, le Spa derivanti dalla trasformazione di enti pubblici, sono
assoggettate a questo tipo di controllo finchè permanga la partecipazione esclusiva o maggioritaria dello Stato (sono
esclusi da questo controllo: Regioni, Provincie, Comuni ed enti di interesse esclusivamente locale);
6) Un controllo sulla gestione degli enti locali effettuato dalla sezione delle autonomie;
7) Un controllo successivo sulla gestione del bilancio e del patrimonio delle PA, nonché sulle gestioni fuori bilancio e
sui fondi di provenienza comunitaria. La Corte dei Conti, riferisce almeno annualmente al Parlamento e ai Consigli
regionali sull’esito del controllo; le relazioni sono inviate anche alle amministrazioni interessate. Il controllo concerne
anche il rispetto della disciplina sui tetti al trattamento economico di chiunque riceva, a carico delle pubbliche
finanze, retribuzioni. La Corte dei Conti verifica la legittimità e la regolarità delle gestioni, nonché il funzionamento
dei controlli interni a ciascuna amministrazione e accerta la rispondenza dei risultati dell’azione amministrativa agli
obbiettivi stabiliti con legge, valutando comparativamente costi, modi e tempi dello svolgimento dell’azione
amministrativa stessa.

La disciplina del controllo preventivo risulta dalla combinazione della L. 20/1994 e del TU della Corte di Conti. I
provvedimenti soggetti a controllo preventivo divengono efficaci -oltre che nei casi in cui il controllo si concluda
positivamente, con il visto del consigliere delegato dalla sezione per il controllo degli atti del ministro interessato; su
proposta del Magistrato istruttore (nelle ipotesi in cui il competente ufficio di controllo non abbia rimesso l’esame
dell’atto alla sezione di controllo entro 30 giorni dal ricevimento dell’atto; il termine è però interrotto se il Magistrato
istruttore richiedere all’amministrazione chiarimenti o elementi integrativi di giudizio e ricomincia a decorrere nel
momento in cui questi siano comunicati) - ai sensi della L. 340/2000, trascorsi 60 giorni dalla sua ricezione senza che
sia intervenuta una pronuncia della sezione di controllo.
L’esecutività non si realizza, quando, nel termini di 60 giorni, la Corte abbia sollevato questione di legittimità
costituzionale per violazione dell’ART. 81 COST., delle norme aventi forza di legge, che costituiscono presupposto
dell’atto, ovvero abbia sollevato in relazione all’atto, conflitto di attribuzione (il termine è sospeso nel periodo
intercorrente le eventuali richieste istruttorie e le risposte dell’amministrazione, e che non può essere superiore ai
30 giorni).
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Appare comunque difficile, salvo il caso in cui il controllo operato sia positivo, che nei tempi assai ristretti stabiliti
dalla legge più recente, si riesca a procedere al visto e alla registrazione dell’atto controllato. In caso di esito negativo
del controllo è previsto il meccanismo della registrazione con riserva, il quale consente all’atto di venire visitato e
registrato. In tal caso accade che, il Consiglio dei Ministri, su iniziativa del Ministro interessato, può adottare una
deliberazione con cui insiste nella richiesta della registrazione: la Corte è chiamata a deliberare a sezioni unite e, ove
non riconosca cessata la causa del rifiuto, ne ordina la registrazione e vi appone il visto con riserva. Questo istituto
impegna la responsabilità politica dell’esecutivo: per questa ragione ogni 15 giorni la Corte dei Conti trasmette al
Parlamento un elenco di tutti i provvedimenti registrati con riserva; inoltre la Corte, in sede di relazione annuale sul
rendiconto generale dello Stato, deve esporre al Parlamento le ragioni per le quali ha apposto con riserva il visto.
Per quanto attiene all’esito negativo del controllo preventivo, in precedenza si affermava trattarsi di un mero fatto,
non formalizzato in alcun atto impeditivo dell’efficacia del provvedimento, mentre oggi è da ritenere che il rifiuto
debba essere esternato. In caso contrario, il silenzio equivarrebbe ad assenso e, dunque, a controllo positivo.

Dai controlli interni alla valutazione del personale e delle strutture


Il sistema italiano è stato per lungo tempo caratterizzato dalla prevalenza dei controlli preventivi di legittimità sui
singoli atti, che impedivano di cogliere e valutare nella sua complessità l’attività amministrativa, costituita dagli atti
nel loro insieme, trascurando così la verifica della convenienza e proficuità dell’azione, ritenendo che la mera
legittimità dell’atto fosse sufficiente garanzia della proficuità dell’attività amministrativa.
Tuttavia la Costituzione prevedeva forme di controllo diverse, in particolare assegnando con l’ART 100 COST., alla
Corte dei Conti il compito di svolgere il controllo successivo sulla gestione del bilancio dello Stato: il legislatore ha
tuttavia preferito mantenere il vecchio modello del controllo preventivo, tra l’altro esteso fino alla riforma della L.
20/1994, a molteplici atti dell’amministrazione, spesso però non a quelli più importanti; pure il controllo sugli atti
della Regione e degli enti locali è stato mantenuto nella forma del controllo preventivo.
Un importante cambiamento di rotta è stato imposto, nel nostro ordinamento, dalla L. 142/1990, la quale ha
previsto negli enti locali il controllo successivo di gestione affidato ai Revisori dei Conti degli enti locali, i quali
possono esprimere rilievi e proposte mirate ad una migliore efficienza, produttività ed economicità della gestione;
tale legge ha pure consentito che lo statuto dell’ente locale prevedesse altre forme di controllo della gestione, oggi
disciplinato dal D. Lgs. 165/2001.
In seguito, il D. Lgs. 286/1999 ha introdotto quattro tipologie di controlli interni, solo in parte rivisti dal D. Lgs.
150/2009 “Decreto Brunetta”. Delle quattro tipologie previste (controllo di regolarità amministrativa e contabile,
controllo di gestione, valutazione della dirigenza, valutazione e controllo strategico), solo quella relativa alla
valutazione della dirigenza è stata espressamente abrogata e riformulata nel D. Lgs. 150/2009 (negli enti locali parte
della riforma medesima non trova applicazione).
In definitiva, anche dopo la riforma Brunetta, permane il sistema di controlli interni previsto dal D. Lgs 286/1999,
anche se, con riferimento a tre di essi, viene individuato un unico soggetto competente a svolgerli (non più i servizi di
controllo interno, ma l’organismo indipendente di valutazione delle performance previsto dal decreto Brunetta).

AUTORITÀ DI VIGILANZA
Anche nell’attività contrattuale della PA esiste una fase di controllo: è quella fase intermedia tra l’aggiudicazione (che
costituisce l’atto provvedimentale del procedimento amministrativo) e la stipula del contratto (momento in cui i
rapporti cominciano ad essere regolati da norme di diritto privato). Viene definita anche fase integrativa
dell’efficacia.

Tipi di controlli
• Innanzi tutto, il contratto stipulato dalla PA rientra in una delle tipologie di atto soggetto al controllo della Corte dei
Conti (controllo preventivo di legittimità sugli atti di cui alla L. 20/1994)
• Ancora prima, quindi, fra la fase dell’aggiudicazione provvisoria e l’aggiudicazione definitiva, vi è un lasso di tempo
di 30 giorni, entro cui l’amministrazione può verificare l’esito delle scelte operate dalla Commissione di gara, non
tanto dal punto di vista del merito, quanto su quelli che sono i requisiti di cui l’impresa aggiudicatrice sia dotata
(requisiti di carattere generale: certificazione antimafia, etc).
Il codice dei contratti pubblici chiarisce un problema oggetto di numerose controversie, ritenendo che i requisiti di
carattere generale devono essere presenti durante l’intero iter procedurale ed anche durante l’esecuzione del
contratto, per un’esigenza di tutela dell’interesse pubblico. Qualora questi requisiti non siano presenti durante
l’esecuzione del contratto, si procede alla revoca dello stesso (l’atto non è viziato a monte e, infatti, bisogna
distinguere l’annullamento dalla revoca).
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Come evitare che le PA vadano a relazionarsi con soggetti che abbiano problematiche a monte?
Tipicamente, l’amministrazione al momento della scelta del contraente ha la responsabilità di operare delle verifiche
e dei controlli, avvalendosi delle banche dati contenute nell’osservatorio per i contrati pubblici. Abbiamo, quindi,
due organi che agevolano le amministrazioni nelle verifiche, nei controlli e negli accertamenti: l’osservatorio e
l’autorità di vigilanza per i contratti pubblici. L’osservatorio compila delle banche dati in cui vengono indicati,
sostanzialmente, le varie ditte, gli operatori economici operanti nei singoli settori di appartenenza ed indicano quelli
che sono stati i comportamenti di questi soggetti. L’autorità di vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi,
fornitura svolge un’attività di affiancamento alla PA durante lo svolgimento della gara (l’art. di riferimento è l’ART. 6
Codice dei contratti pubblici).
L’autorità di vigilanza non è una novità nell’ambito del codice dei contratti pubblici perché istituita con la l. 109/1994
sotto il nome di autorità di vigilanza sui lavori pubblici.
Il comma II stabilisce che “l’autorità è l’organo collegiale costituito da 7 membri nominati con determinazione
d’intesa dai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. I membri dell’autorità, al fine di
garantire la pluralità delle esperienze e delle conoscenze, sono scelti tra personalità che operano nei settori tecnici,
economici e giuridici con riconosciuta professionalità. L’autorità è dotata di autonomia piena: sceglie tra i suoi
componenti il Presidente e stabilisce le norme sul proprio funzionamento (autonomia regolamentare)”. I membri, di
nomina politica, sono indipendenti dal potere politico in quanto non devono andare contro il nostro sistema,
rispettando una sorta di rapporto fiduciario.
Il comma III stabilisce che “ i membri dell’autorità durano in carica 7 anni, fino all’approvazione della legge di
riordino delle autorità indipendenti e non possono essere confermati. Essi non possono esercitare, a pena di
decadenza, alcuna attività professionale o di consulenza; non possono essere amministratori o dipendenti di enti
pubblici o privati, né ricoprire altri uffici pubblici di qualsiasi natura o rivestire cariche pubbliche elettive o cariche nei
poteri politici” (nel caso contrario vi sarebbe incompatibilità).
“I dipendenti pubblici sono collocati fuori ruolo o in aspettativa per l’intera durata del mandato. Con decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, è determinato il
trattamento economico spettante ai membri dell’autorità”.
Il comma IV stabilisce che “l’autorità è connotata da indipendenza funzionale (non è soggetta ad attività di indirizzo),
di giudizio e di valutazione e da autonomia organizzativa”.
Il comma V recita che “l’autorità vigila sui contratti pubblici, anche di interesse regionale, di lavori, di servizi e
forniture nei settori ordinari e nei settori speciali, nonché, nei limiti stabiliti dal presente codice, sui contratti pubblici
di lavori, servizi e forniture esclusi dall’ambito di applicazione del presente codice, al fine di garantire l’osservanza
dei principi di cui all’ART. 2, ed il rispetto dei principi di correttezza e trasparenza delle procedure di scelta del
contraente, di tutela delle piccole e medie imprese attraverso adeguata suddivisione degli affidamenti in lotti
funzionali e di economica ed efficiente esclusione del contratto, nonché il rispetto delle regole della concorrenza
nelle singole procedure di gara”.
Il comma VI: “sono fatte salve le competenze delle altre autorità amministrative indipendenti”.
Il comma IX: “nell’ambito della propria attività l’autorità può:
• richiedere alle stazioni appaltanti, agli operatori economici esecutori dei contratti, nonché ad ogni altra PA ed a
ogni ente, anche regionale, operatore economico o persona fisica che ne sia in possesso, documenti, informazioni e
chiarimenti relativamente ai lavori, servizi e forniture pubbliche, in corso o da iniziare, al conferimento di incarichi di
progettazione, agli affidamenti;
• disporre ispezioni, anche su richiesta motivata di chiunque ne abbia interesse, avvalendosi anche della
collaborazione di altri organi dello Stato;
• disporre perizie e analisi economiche e statistiche nonché la consultazione di esperti in ordine a qualsiasi elemento
rilevante ai fini dell’istruttoria;
• avvalersi del corpo della GDF, agendo con i poteri di indagine ad esso attribuiti ai fini degli accertamenti relativi
all’imposta sul valore aggiunto e alle imposte sui redditi..”
Il comma XIII stabilisce che “qualora accerti l’esistenza di irregolarità, l’autorità trasmette gli atti e i proprio rilievi agli
organi di controllo e, se le irregolarità hanno rilevanza penale, agli organi giurisdizionali competenti. Qualora
l’autorità accerti che dall’esecuzione dei contratti pubblici derivi pregiudizio per il pubblico erario, gli atti ed i rilievi
sono trasmessi anche a soggetti interessati e alla Procura generale della Corte dei Conti”.

IL BILANCIO DELLO STATO


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Il bilancio può essere definito come un documento contabile dal quale, attraverso il confronto tra valori di segno
opposto, emergono i risultati che un’ impresa o un ente pubblico prevede di conseguire o ha conseguito.

È un atto con forma di legge con il quale il Parlamento assume la principale decisione di finanza pubblica,
autorizzando il Governo all’erogazione delle spese, all’acquisizione delle entrate e alla realizzazione delle operazioni
necessarie per la copertura dell’eventuale disavanzo.

Il potere di decisione del Parlamento in materia di bilancio fonda le sue radici in una tradizione antichissima,
considerato che esso è sorto originariamente per deliberare il consenso al prelievo dei tributi da parte del Monarca.
Tale consenso trova riscontro nell’art 23 Cost che fissa il principio della riserva di legge in materia tributaria
(“nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”).
È una riserva relativa, poiché la stessa legge può limitarsi ad individuare gli elementi necessari di un tributo
demandando ad un regolamento o ad altra fonte subordinata la disciplina di dettaglio.

Dal secondo dopoguerra il bilancio dello Stato si è accresciuto enormemente ed è divenuto uno strumento per
vincolare le amministrazioni pubbliche agli obiettivi individuati dal Parlamento.

La sua funzione principale è oggi quella di assicurare che i fondi pubblici vengono erogati nel rispetto dei vincoli
quantitativi fissati dal Parlamento e solo per l’attività e gli scopi specificati dalla legislazione in vigore.

La disciplina di carattere generale è contenuta nella legge 196/2009.

I bilanci possono esser classificati in base a diversi criteri:

Relativamente al rapporto con l’anno finanziario:


• Bilancio di previsione, redatto prima dell’inizio dell’anno finanziario ed ha quale finalità quella di indirizzare
l‘attività di gestione. Si individuano le operazione e le transazioni che si prevede di realizzare nel corso di un
dato esercizio successivo;

• Bilancio consuntivo, registra ad anno concluso i risultati effettivamente conseguiti dalla gestione e consente
di esprimere un giudizio sulla stessa.
Nella contabilità pubblica, quando si impiega il termine bilancio senza altra qualificazione, si intende il bilancio
preventivo annuale. Esigenze di programmazione rendono inoltre necessario affiancare ai preventivi annuali, quelli
pluriennali.

Contenuto:
• Bilancio economico, particolarmente adottato dalle imprese, ha la finalità di individuare i costi e i ricavi di
competenza economica di un dato esercizio ed il corrispondente risultato finale della gestione (utile o
perdita). Con esso gli effetti delle operazioni di gestione e degli altri eventi sono imputati all’esercizio nel
quale hanno ceduto utilità economica indipendentemente dal momento in cui avviene la corrispondente
regolazione finanziaria.

• Bilancio finanziario, particolarmente adottato dagli enti pubblici, registra le entrate e le spese monetarie a
prezzi correnti con riferimento ad un dato periodo amministrativo. Ha un contenuto più limitato del bilancio
economico, poiché contempla soltanto i fatti di gestione che comportano un aumento (le entrate) o una
diminuzione (le spese) delle risorse monetarie.
Va ricordato che l’art 40 della 196/2009 prevede l’affiancamento, a fini conoscitivi, al sistema di contabilità
finanziaria di un sistema di contabilità economico-patrimoniale funzionale alla verifica dei risultati conseguiti dalle
amministrazioni.

Tenendo conto delle precedenti considerazioni, il bilancio dello Stato si configura dal punto di vista contabile come a
cadenza annuale, preventivo e finanziario e dal punto di vista giuridico come atto con forma di legge.
Combinando i due aspetti possiamo affermare che la legge di bilancio ha una duplice funzione:
• di indirizzo dell’azione amministrativa del governo e, più in generale, di programmazione finanziaria nel
breve e medio termine;
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• di autorizzazione e vincolo alle attività di tassazione e di spesa.

Il bilancio non è altro che la trasposizione in termini finanziari della programmazione resa dal Governo al
Parlamento al momento del suo insediamento e su cui le camere hanno votato la fiducia.

Pertanto è, al contempo:
• strumento di rappresentazione delle risorse pubbliche disponibili (funzione informativa),
• strumento per la decisione politica (funzione allocativa)
• strumento per la gestione delle risorse stanziate (funzione esecutiva).

PRINCIPI DI BILANCIO
1. Annualità
Svolgendosi l’attività dello Stato in modo continuativo, la scelta dell’anno come periodo di riferimento serve
soltanto a far sì che il bilancio si riferisca ad un periodo di tempo determinato e non eccessivamente lungo.

2. Chiarezza
Essendo il bilancio statale un documento piuttosto voluminoso e redatto con particolari metodologie, per far
sì che le informazioni siano comprensibili anche da parte dei non addetti ai lavori, occorre adottare schemi
riepilogativi delle principali grandezze e anche classificazioni che ne agevolino la lettura.

3. Competenza finanziaria
Comporta la corretta imputazione di entrate e spese al periodo in cui effettivamente si manifestano.

4. Correttezza
Riguarda il rispetto formale e sostanziale dei criteri giuridici e contabili.

5. Costanza La costante applicazione dei principi generali e dei criteri di valutazione è un requisito
fondamentale. La deroga a tale principio deve essere opportunamente motivata ed effettuarsi solo in casi
eccezionali.

6. Equilibro tendenziale I principi europei, contenuti nel Patto Europeo di stabilità e crescita, impongono ai
Paesi della moneta unica non il pareggio finanziario (che tra le entrate considera anche quelle derivanti
dall’accensione di prestiti), ma piuttosto il pareggio reale, giudicando il ricorso al debito pubblico uno
strumento non idoneo a garantire la solvenza delle finanze pubbliche. Inoltre, rappresentando le spese delle
amministrazioni circa 1/3 delle spese totali pubbliche, ne deriva che il mero riferimento, così come è nella
nostra Costituzione, al solo bilancio dello Stato, risulta superato una volta recepiti gli obiettivi europei.

7. Flessibilità
È finalizzato ad assicurare al bilancio la capacità di far fronte a circostanze straordinarie o imprevedibili. Le
norme di contabilità pubblica prevedono al riguardo la predisposizione all’interno del bilancio di appositi
fondi di natura generica, ossia non destinabili ad uno specifico oggetto di spesa.

8. Imparzialità o neutralità
Essendo il bilancio dello Stato destinato ad informare tutta la collettività, deve fondarsi su principi che non
siano subordinati ad interessi o esigenze particolari (anche se è inevitabile la presenza di elementi soggettivi
nelle valutazioni).
9. Integrità
Questo principio vieta che nel bilancio di previsionale entrate vengano iscritte al netto delle relative spese di
riscossione e, viceversa, che le spese sia registrate al netto di eventuali entrate. Queste voci devono quindi
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essere iscritte al lordo di qualsiasi onere o provento ad essa collegato in modo da valutare correttamente sia
la convenienza di servizi erogati all’amministrazione sia l’effettiva consistenza del carico tributario che grava
sui contribuenti.

10. Omogeneità dei valori


Le entrate e le spese del bilancio devono essere espresse tutte con la stessa unità di misura e nella stessa
moneta, che attualmente è l’euro.

11. Pubblicità
Tale requisito viene rispettato mediante la pubblicazione annuale del bilancio dello Stato sulla Gazzetta
Ufficiale.

12. Rilevanza e significatività


Dal momento che la formazione del bilancio implica necessariamente delle stime e delle congetture,
arrotondamenti, errori e compensazioni sono ammessi, ma solo nel caso in cui non siano di entità tale da
alterare la significatività dei dati.

13. Specializzazione o valutazione separata delle voci di bilancio


La suddivisione degli stanziamenti del bilancio statale in base a natura e destinazione trova giustificazione
nel’esigenza del Parlamento di comprime i margini di discrezionalità del Governo ed esercitare un effettivo
controllo sull’amministrazione delle risorse pubbliche.
Questi obiettivi vengono perseguiti ripartendo entrate e spese in aggregati di differente livello fino a
giungere ad un’unità minima o elementare di voto. In particolare, la legge 196/2009 prevede l’introduzione
delle seguenti unità di voto:
- per le entrate: le tipologie (IRES e IVA, ad esempio, per le entrate tributarie e ricavi di vendita di beni e
servizi per le entrate extratributarie);
- per le spese: i programmi, ossia gli aggregati diretti al perseguimento degli obiettivi definiti nell’ambito
delle missioni. Più incisivo e stringente è il controllo Parlamentare, più analitiche saranno le partizioni e
più ristretti gli spazi di manovra dell’esecutivo. Suddivisioni eccessivamente minuziosi finiscono, però,
con l’irrigidire il bilancio ed è quindi necessario mediare tra le due esigenze.

14. Unità
Nel bilancio la corrispondenza tra entrate e spese deve avvenire soltanto a livello globale, non essendo
possibile stabilire una precisa correlazione tra singola entrata e singola spesa. Sono pertanto vietati i cd.
tributi di scopo, ossia quei tributi istituiti con l’espressa destinazione del loro gettito al finanziamento di una
spesa determinata.La rassegnazione di entrate per i “proventi e le quote riscossi per conto di enti, le
oblazioni e simili, fatte a scopo determinato” costituiscono un’eccezione che non intacca l’unità di bilancio,
riferendosi a mere partite di giro in cui la correlazione tra entrata e spesa ha carattere necessario in quanto
al terzo deve essere corrisposto quanto per suo conto è stato riscosso.

15. Universalità
Sono vietate le cd. gestioni extra-bilancio, cioè quelle costituite con fondi dello Stato amministrati al di fuori
del bilancio e delle norme che ne regolano l’esecuzione.

Le “gestioni fuori bilancio” possono trovare una giustificazione nei casi in cui le normali procedure di acquisizione e
di impiego delle risorse risultino di grave ostacolo all’immediatezza degli interventi programmati.

In Italia, fino agli inizi degli anni ’90, queste gestioni avevano assunto un rilievo enorme in quanto tramite esse
venivano amministrati quasi tutti gli stanziamenti disposti con leggi di agevolazione e incentivazione del settore
industriale.
Questo permetteva al Governo di snellire le procedure di spesa, scavalcando il controllo preventivo della Ragioneria
generale dello Stato e della Corte dei Conti e adottando tecniche di copertura del tutto censurabili.
Alcune di queste gestioni erano autorizzate da disposizioni legislative, mentre altre erano costituite in assenza di
coperture legislative e spesso senza un effettivo interesse pubblico.

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Si cercò di porre un freno già nel 1971 con la legge 1041, disponendo la soppressione di tutte le gestioni non
espressamente regolate da leggi speciali. Tuttavia né questa, né le leggi seguenti riuscirono a comprimere il
fenomeno.
Solo con le legge 559/1993 ne è stato drasticamente ridotto il numero, ma sono rimaste escluse dalla soppressione:
• Le gestioni fuori bilancio in senso stretto, cioè quelle a carattere assistenziale che amministrano in forma
diretta e privatistica entrate derivanti da contribuzioni da parte di associati o dalla cessione a pagamento di
beni e servizi (spazi, mense, circoli militari, ecc.);

• Il fondo speciale rotativo per l’innovazione tecnologica e il fondo di rotazione per l’attuazione delle
politiche comunitarie.
Il primo è gestito fuori bilancio dal Ministero delle attività produttive ed è finalizzato a sostenere e finanziare attività
di progettazione, sperimentazione e sviluppo di prodotti e processi altamente innovativi.
Il secondo è gestito fuori bilancio dalla Ragioneria generale dello Stato ed ha l’obiettivo di consentire l’attuazione
degli interventi cofinanziati dall’Unione Europea. Si avvale di due conti correnti infruttiferi accesi presso la Tesoreria
Centrale e destinati l’uno a registrare i movimenti in entrata e in uscita delle risorse comunitarie e l’altro a registrare
le analoghe operazioni con riferimento ai finanziamenti nazionali.

La legge 196/2009 dispone la “progressiva eliminazione delle gestioni contabili operanti a valere su contabilità
speciali o conti correnti di Tesoreria i cui fondi siano stati comunque costituiti mediante versamento di somme
originariamente iscritte in stanziamenti di spesa del bilancio dello Stato, ad eccezione della gestione relativa alla
Presidenza del Consiglio, nonché delle gestioni fuori bilancio autorizzate per legge dei programmi comuni tra più
amministrazioni, enti, organismi pubblici e provati, nonché dei casi di urgenza e necessità”. Per le gestioni fuori
bilancio che resteranno attive però è previsto “l’obbligo di rendicontazione annuale delle risorse acquisite e delle
spese effettate secondo schemi classificatori armonizzati con quelli del bilancio dello Stato”.

16. Veridicità
Le informazioni contenute nel bilancio devono essere quanto più possibile obiettive e fornire un quadro
fedele delle entrate e delle spese. Tale principio limita la discrezionalità di coloro che concorrono alla
redazione del bilancio, senza tuttavia pretendere da questi ultimi verità oggettiva, che sarebbe del tutto
impossibile. Le informazioni devono essere attendibili, cioè prive di errori rilevanti e di pregiudizi e tali da
poter essere considerate agli utilizzatori come la fedele rappresentazione di ciò che con esse si intende
descrivere.

17. Verificabilità delle informazioni


Principio di carattere generale in base al quale le informazioni fornite dal bilancio devono essere verificabili
sia da organi interni alle amministrazioni, sia da organi esterni.

Nel nostro Paese la competenza parlamentare in materia di bilancio trova il suo fondamento nell’ART. 81 della
Costituzione che recita: “Le camere approvano ogni anno i bilanci e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo.
L’esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non superiori
complessivamente a quattro mesi.
Con la legge di approvazione del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese. Ogni altra legge che
comporti nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte.”
L’ art 81 Cost quindi stabilisce:
• la cadenza annuale della procedura di bilancio;
• il ruolo attivo del Governo nella predisposizione dei documenti finanziari e nella gestione del bilancio;
• il controllo preventivo e successivo del parlamento;
• l’unitarietà della decisione parlamentare e del relativo prospetto di bilancio.
Il termine bilanci non si riferisce ad una pluralità di bilanci ma evidenzia il contributo dei singoli ministeri al processo
di formazione dell’unico bilancio.

Vi è una netta separazione di ruoli tra Parlamento e Governo:

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• Il Governo, dal quale dipende la burocrazia, amministra il bilancio e detiene in via esclusiva il potere di
iniziativa legislativa in materia;
• Il Parlamento ha il potere di adottare la decisione di bilancio ed esercitare il controllo sull’azione esecutiva.
Le Commissioni parlamentari, quando esaminano e approvano un progetto di legge, agiscono in sede
deliberante; quando invece si limitano ad esaminarlo riservandone l’approvazione all’assemblea, come nel
caso della legge di bilancio, agiscono in sede referente.

Inoltre la legge di bilancio può essere assoggettata al sindacato di legittimità della Corte Costituzionale, ma non a
referendum abrogativo (art 75 Cost)

L’approvazione parlamentare, che avviene con procedura normale (la procedura rapida è espressamente vietata
dall’ art 72 Cost) appare finalizzata a:
• verificare la rispondenza dei contenuti del bilancio al programma politico del Governo;
• accertare la coesione tra governo e la maggioranza parlamentare che lo sostiene;
• salvaguardare le prerogative delle minoranze parlamentari, grazie al dibattito in aula.

Per quanto riguarda la natura delle leggi di approvazione occorre distinguere tra:

- Leggi materiali, nelle quali la forma legislativa del provvedimento si accompagna ad un contenuto
normativo;
- Leggi formali che, pur presentandosi come atti legislativi, non modificano i preesistenti rapporti giuridici
o la legislazione vigente.

La legge di approvazione del rendiconto appartiene alla categoria delle leggi formali in quanto quest’ultimo è un
documento contabile riepilogativo del trascorso esercizio.

Quanto alla natura della legge di approvazione del bilancio preventivo, una parte della dottrina ritiene che il
provvedimento in questione possa essere assimilato ad una legge formale, ma anche materiale. Tale posizione
troverebbe giustificazione da un lato, nella circostanza che la decisione di bilancio è un atto di programmazione
finanziaria e quindi a contenuto normativo; dall’altro, nella considerazione che il Parlamento concorre, attraverso il
potere di emendamento, alla formazione sostanziale del bilancio.
Al contrario, l’orientamento tradizionale considera la legge di bilancio un provvedimento meramente formale, in
considerazione dei limiti posti dal comma 3 dell’ art 81 Cost che vieta di innovare con la legge di approvazione del
bilancio il quadro legislativo vigente.

L’accorpamento in un unico progetto di legge di norme meramente recettizie e di norme a contenuto innovativo
potrebbe rendere difficoltoso valutare adeguatamente e in maniera equilibrata gli effetti delle decisioni e monitorare
efficacemente la dinamica delle grandezze e dei saldi finanziari.
Di qui, la scelta di tenere nettamente distinti il momento della ricognizione della legislazione tributaria e di spesa,
coincidente con la stesura del bilancio, dal momento della loro modificazione ed integrazione.

Il bilancio, dunque, è redatto a legislazione vigente, in quanto recepisce e sintetizza gli effetti prodotti da tutte le
precedenti decisioni di entrata e di spesa.

Va tenuto distinto il bilancio a politiche invariate, che ipotizza previsioni in cui saranno adottate tutte le misure
necessarie per proseguire nell’attuazione delle politiche di entrata e di spesa.
Ogni atto di spesa o di entrata dello Stato poggia quindi su un duplice fondamento: uno specifico capitolo di bilancio,
che ne autorizza l’esecuzione, e una vigente legge di spesa, che ne costituisce titolo giuridico di legittimazione.
Si deduce che, qualora fosse necessario ritoccare le aliquote delle imposte, introdurre un nuovo tributo, stanziare
maggiori risorse per specifici interventi, lo si potrà fare con un qualsiasi provvedimento legislativo che non sia legge
di bilancio.
La circostanza che il bilancio sia a legislazione vigente non significa però che vengano del tutto eliminati gli spazi di
discrezionalità di coloro che lo redigono.

Le congetture e le stime sono pur sempre soggettive. In particolare:


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 con riferimento alle entrate, la valutazione della loro consistenza presuppone la formulazione di una serie di
ipotesi in merito al futuro scenario macroeconomico: si pensi, ad esempio, alla quantificazione del gettito IVA
che è incentrata sulla stima della formazione del reddito e dei consumi delle famiglie;

 con riferimento alle spese, occorre distinguere tra:


- oneri inderogabili, sono le spese vincolate a particolari meccanismi o parametri che regolano la loro
evoluzione, determinati sia da leggi che da altri atti normativi. Vi rientrano le spese obbligatorie, ossia
quelle relative al pagamento degli stipendi, di assegni, pensioni e altre spese, fosse, le spese per interessi
passivi e quelli derivanti da obblighi comunitari e internazionali.
- i fattori legislativi sono le spese autorizzate da espressa disposizione legislativa che ne determina
l’importo, considerato quale limite massimo di spesa, e il periodo di iscrizione in bilancio. Nel bilancio
l’ammontare dello stanziamento risulterà identico a quello stabilito nella legge di spesa;
- l’adeguamento al fabbisogno è costituito dalle spese non predeterminate legislativamente, che sono
quantificate tenendo conto delle esigenze delle amministrazioni. In questo caso bisogna specificare
l’oggetto della spesa.

Entro il 15 ottobre, il Governo presenta al Parlamento il disegno di legge di bilancio a legislazione vigente, affinché le
camere lo approvino e autorizzino così la gestione finanziaria dello Stato per il successivo esercizio.

Nel caso in cui il Parlamento non riesca ad approvare il progetto entro il 31 dicembre, il comma 2 dell’ art 81 Cost
prevede la possibilità che le camere concedano al Governo l’esercizio provvisorio del bilancio, che deve essere
disposta con legge e per un periodo non superiore ai quattro mesi, cioè non oltre il 30 aprile.
Nel corso dell’esercizio provvisorio, il Governo è autorizzato ad impegnare e pagare le spese sulla base delle
previsioni di competenza e di cassa contenute nel bilancio non ancora approvato. Secondo quanto disposto dall’ART.
31 della legge 196/2009, le spese di ogni mese dell’esercizio provvisorio non possono eccedere un dodicesimo del
totale degli stanziamenti preventivati, a meno che non si tratti di spese obbligatorie e non suscettibili di impegni o
pagamenti frazionati. L’amministrazione, comunque, non può disporre pagamenti di spese le cui scadenze maturino
oltre il termine dell’esercizio provvisorio.

La gestione provvisoria cessa automaticamente con l’approvazione della legge di bilancio,


Se questo non dovesse succedere alla scadenza del quarto mese, si determinerebbe una grave crisi istituzionale che
renderebbe necessarie la dismissioni del Governo in carica, generando un problema che trascende il mero dato
finanziario.

Una regola fondamentale di equilibrio gestionale, valida sia per le aziende di produzione che per quelle di
erogazione, prevede che nuove iniziative e nuove attività possano essere intraprese solo dopo che siano state
individuate le corrispondenti fonti di finanziamento.

Il comma 4 dell’ art 81 Cost introduce l’obbligo della copertura finanziaria per i provvedimenti legislativi che
comportino nuove o maggiori spese, ovvero minori entrate rispetto a quelle contemplate nell’ordinamento in vigore.

I mezzi di copertura devono essere definiti, sia che la nuova legge di spesa vada a gravare sul bilancio in corso o già
formato all’atto della sua deliberazione, sia che la stessa vada a gravare sui bilanci futuri:

• nel primo caso (o per la prima quota annuale nel caso di spese pluriennali) la copertura deve essere indicata con
riferimento all’equilibrio del bilancio in corso e deve essere realizzata o riducendo altre spese, o utilizzando nuove
entrate, o attingendo ad appositi accantonamenti di fondi iscritti in bilancio;

• nel secondo caso, la copertura deve essere indicata con riferimento alle previsioni del bilancio pluriennale.

Tuttavia, mentre le nuove spese in conto capitale possono anche essere fronteggiate con l’accensione di prestiti nei
limiti stabiliti dal bilancio pluriennale, la copertura di quelle correnti deve essere assicurata da entrate effettive.
Si deve ammettere la possibilità di ricorrere, nei confronti della copertura di spese future, oltre che ai mezzi consueti
(quali nuovi tributi o l’inasprimento di tributi esistenti, la riduzione di spese già autorizzate, l’accertamento formale
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di nuove entrate, l’emissione di prestiti via enumerando), anche alla previsione di maggiori entrate tutte le volte che
essa si dimostri sufficientemente sicura, non arbitraria o irrazionale, in un equilibrato rapporto con la spesa che si
intende effettuare negli esercizi futuri, e non in contraddizione con le previsioni del medesimo Governo.
L’indicazione dei mezzi di copertura deve avvenire, da parte dell’autorità cui compete l’iniziativa legislativa, all’atto
stesso dell’approvazione dei disegni di legge, o al momento dell’emanazione dei decreti legge. Nel caso di
legislazione delegata, dove è soltanto in forza della precedente legge di delega che il Governo assume l’esercizio
della funzione legislativa, spetta al legislatore delegante l’obbligo di disporre le modalità di copertura delle spese.
Per quanto riguarda il concreto rispetto del principio di copertura, l’ART.17 comma 1 della 196/2009 precisa che la
copertura di ciascuna legge che comporti nuovi o maggiori oneri deve essere indicata:
• per ogni intervento da essa previsto, nel senso che non è ammessa una copertura onnicomprensiva;
• per ciascun anno, nel senso che l’onere deve essere ripartito con riferimento a ciascuno degli anni nei quali si
dispiegheranno gli effetti finanziari della norma.

Un’importante distinzione è quella tra leggi pluriennali di spesa in conto capitale, cioè spese di investimento, e leggi
di spesa a carattere permanente, cioè quelle che si ripetono nel tempo e hanno natura corrente. In particolare:
• le leggi pluriennali di spesa in conto capitale (costruzione di una ferrovia), devono quantificare la spesa
complessiva, l’onere relativo al primo anno di applicazione, nonché le quote di competenza di ciascuno degli anni
compresi nel bilancio pluriennale. Nei limiti dell’autorizzazione complessiva, la legge di stabilità può annualmente
rimodulare le quote previste per ciascuno degli anni considerati nel bilancio pluriennale.
• Le leggi di spesa a carattere permanente (assunzione di personale), devono quantificare l’onere annuale per
ciascuno degli esercizi compresi nel bilancio pluriennale; inoltre, devono indicare l’onere a regime ovvero, nel caso di
spese non obbligatorie, possono rinviare le quantificazioni dell’onere annuo alla legge di stabilità. Nel caso in cui
l’onere a regime superi quello indicato per il terzo anno del triennio di riferimento, la copertura segue il profilo
temporale dell’onere.

Quanto alle modalità di copertura finanziaria degli oneri delle leggi di spesa, occorre preliminarmente distinguere
tra:
• Spese autorizzate, in cui deve essere indicato il limite massimo di spesa. Si tratta quindi di spese definite in cifra
fissa o con il metodo del tetto di spesa. Una volta giunti al limite massimo la spesa si blocca fino all’emanazione di un
nuovo provvedimento legislativo di finanziamento;
• per le spese previste occorre integrare la copertura definendo una specifica clausola di salvaguardia per la
compensazione degli effetti che eccedano le previsioni medesime. In tal caso, infatti, trattandosi di spese il cui onere
deriva da una stima (si pensi ad esempio ad un’indennità concessa dalla legge a tutti coloro che si trovano in una
determinata situazione), l’onere effettivo può variare rispetto all’originaria previsione, talché occorre disporre di una
rete di protezione offerta dalla clausola di salvaguardia.

Venendo ora ad analizzare le modalità di copertura finanziaria degli oneri delle leggi di spesa, la legge di contabilità
distingue tra:
• mezzi interni, che presentano la caratteristica di non derivare da nuove risorse, ma da compensazioni e utilizzazioni
di voci di spesa già previste in bilancio.
Essi comprendono:
Utilizzo degli accantonamenti iscritti nei fondi speciali destinati alla copertura di esigenze finanziarie derivanti da
leggi in corso di approvazione. (E’ il mezzo di copertura tradizionalmente più impiegato).
Nel bilancio questi fondi sono distinti a seconda che siano destinati alla copertura di spese correnti o di spese in
conto capitale. Per quel che concerne la copertura attuata mediante il ricorso ai fondi speciali, previsti dalla legge di
stabilità, è escluso sia l’utilizzo di accantonamenti del conto capitale per iniziative di parte corrente, sia l’utilizzo per
finalità difformi di accantonamenti per regolazioni contabili e debitorie e per provvedimenti in adempimento di
obblighi internazionali;
La riduzione di precedenti autorizzazioni legislative di spesa. Il fondamento di tale mezzo di copertura è da rinvenirsi
nell’accertata disponibilità di risorse rilevate contabilmente a fronte di specifiche autorizzazioni legislative che
risultino inutilizzate e quindi impiegabili ad altri fini.
• mezzi esterni, rappresentati da risorse che in ogni caso affluiscono ai diversi titoli dell’entrata e comprendono:
Le modificazioni legislative che comportino nuove o maggiori entrate. Si può trattare dell’introduzione di nuovi
tributi o oneri contributivi o dell’inasprimento di quelli esistenti. Resta in ogni caso esclusa la copertura di nuovi o
maggiori oneri di parte corrente attraverso l’utilizzo dei proventi derivanti da entrate in conto capitale.
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Per le leggi ordinarie non costituisce una modalità idonea ai fini della copertura l’utilizzo delle entrate derivanti
dall’incremento spontaneo del gettito (dovuto ad un aumento dei contribuenti o crescita economica); tali maggiori
entrate devono essere finalizzate al miglioramento dei saldi di finanzia pubblica e del debito.
Quanto all’accensione di prestiti a medio lungo termine, che un tempo rappresentava la fonte principale di
finanziamento della legislazione di spesa, questa non è utilizzabile ai fini della copertura. In materia vige il principio
secondo cui, alla maggiore spesa corrente, si può far fronte solo nei limiti delle nuove o maggiori entrate tributarie,
extratributarie e contributive, con l’esclusione quindi di quelle derivanti dall’accensione di prestiti. Tale modalità è
invece consentita, ma esclusivamente per la copertura delle spese in conto capitale e nell’unica sede della legge di
stabilità, purché sia garantivo il rispetto degli obiettivi programmatici determinati nel documento di economia e
finanza (DEF) risultante dalle conseguenti deliberazioni parlamentari.

È previsto che i disegni di legge, gli schemi di decreto legislativo e gli emendamenti di iniziativa governativa che
comportino conseguenze finanziarie siano corredati da una relazione tecnica, predisposta dalle amministrazioni
competenti e verificata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, contenente la qualificazione delle entrate e degli
oneri recati da ciascuna disposizione, nonché le relative coperture.
In particolare:
• per la spesa corrente e per le minori entrate, occorre quantificare gli oneri annuali fino alla completa attuazione
della spesa;
• per le spese in conto capitale, va quantificata la modulazione degli oneri per gli anni compresi nel bilancio
pluriennale e l’onere complessivo necessario per la realizzazione dell’investimento.
Nella relazione tecnica devono essere indicati anche i metodi utilizzati per la loro quantificazione e le relative fonti,
nonché il raccordo con le previsioni tendenziali del bilancio dello Stato, del Conto Consolidato di Cassa e del Conto
Economico delle amministrazioni pubbliche contenute nel DEF.
La relazione tecnica deve essere in ogni caso verificata dal Ragioniere generale dello Stato. È prevista, inoltre, una
costante verifica delle disposizioni in materia di copertura sia da una parte della Corte dei Conti, sia da parte della
Ragioneria generale dello Stato.
Quanto alla Corte dei Conti, questa deve trasmettere alle camere, ogni quattro mesi, una relazione sulla tipologia
delle coperture finanziarie adottate nelle leggi approvate nel periodo considerato e sulle tecniche di qualificazione
degli oneri. Nella medesima relazione la Corte dei Conti riferisce sulla tipologia delle coperture finanziarie adottate
nei decreti legislativi emanati nel periodo considerato e sulla congruenza tra le conseguenze finanziarie di tali decreti
legislativi e le norme di copertura recate dalla legge di delega.
Quanto alla Ragioneria generale dello Stato, questa, con decreto dirigenziale da pubblicare nella GU, accerta
l’avvenuto raggiungimento dei limiti di spesa autorizzata nei provvedimenti legislativi, con conseguente automatica
caducazione dell’efficacia delle disposizioni recanti autorizzazioni di spese per le quali sia accertato il superamento
dei predetti limiti.
In caso di carenza della copertura finanzia di una legge di spesa, il Presidente della Repubblica può sospenderne la
promulgazione e rinviare il provvedimento alle Camere affinché vi apportino le necessarie integrazioni. Tuttavia, nel
caso in cui il Parlamento approvi nuovamente il testo nella versione originaria, la legge deve essere promulgata.

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