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La mentalizzazione che cos’è e come inquadrarla

Innanzi tutto dobbiamo considerare autori come John Bowlbly e Peter Fonagy, nei costrutti della Teoria
della mente, metacognizione, mentalizzazione.

Per mentalizzazione si intende il "tenere a mente la mente propria e altrui". In altre parole, il
"rappresentarsi internamente gli stati mentali", riferiti a se stessi e altri.

Il concetto di mentalizzazione, affermatosi ampiamente in psicoterapia negli ultimi tempi[1], in realtà


deriva da precedenti concezioni in ambito psicodinamico

Il vero precursore del concetto di mentalizzazione è Wilfred Bion, che definisce Funzione Alfa l'attività
mentale che, partendo dalle impressioni sensoriali e dalle emozioni, giunge alla formazione del pensiero;
prima come immagine mentale, poi come funzione cognitiva legata alla parola: ovvero i modi con cui la
mente arriva alla creazione di simboli per rappresentare gli stati emotivi

Il termine mentalizzazione è poi introdotto e sviluppato da un gruppo di psicoanalisti interessati alla


psicosomatica. Secondo tali studiosi, coloro che sono affetti da malattie psicosomatiche tendenzialmente
hanno difficoltà di mentalizzazione degli stati emotivi (alessitimia); ovvero, non "simbolizzano i conflitti
affettivi", lasciando nel loro corpo (ed in particolare nei cosiddetti "organi-bersaglio") la contraddizione di
un pensiero che "passa all'atto" (acting-out), cioè un pensiero incapace di produrre un completo lavoro
mentale che si esprima come attività simbolica concettuale [senza fonte].

Alessitimia non avere parole per le emozioni, deficit riguardo la consapevolezza emotiva, sorretto
dall’incapacità di mentalizzare, di percepire e comprendere gli stati emotivi altrui. Usando termini di
Fonagy potremmo dire che è un deficit della funzione riflessiva del sé definito da Fonagy. Per
diagnosticarla si usa la TAS 20 con 20 domande. I soggetti alessitimici hanno grandi difficoltà a
individuare quali siano i motivi che li spingono a provare o esprimere le proprie emozioni, e al contempo
non sono in grado di interpretare le emozioni altrui. La loro capacità immaginativa e onirica è ridotta,
talvolta inesistente; mancano di capacità d'introspezione, e tendono ad assumere comportamenti
conformanti alla media. I soggetti alessitimici tendono anche a stabilire relazioni di forte dipendenza o, in
mancanza di essa, preferiscono l'isolamento.

L'alessitimia è stata associata a uno stile di attaccamento insicuro-evitante, caratterizzato da un bisogno


talvolta ossessivo di attenzioni e cure. Altro processo psichico frequente nei soggetti con tratti di
personalità alessitimici è l'incapacità di mentalizzare e simbolizzare l'emozione. L'emozione viene vissuta
per via somatica (direttamente sul corpo e senza elaborazione mentale), e non interpretata
cognitivamente, né concettualizzata per immagini mentali o parole che la sintetizzino e contengano.
L'emozione è, per il soggetto alessitimico, la sola percezione fisica, disregolata e presimbolica, dei
correlati psicofisiologici dell'attivazione emotiva.

Risulta significativamente correlata con condizioni patologiche di natura psicosomatica o psicologica


come ipertensione, dispepsia, disfunzione erettile, abuso di sostanze e disturbi d’ansia.

Teoria dell’attaccamento Il termine "attaccamento" può essere interpretato come


comportamento di attaccamento, sistema comportamentale di attaccamento e legame di affetto.

Il termine, in sé, ha un significato generale e rimanda alla condizione di "attaccamento relazionale" di un


soggetto: il sostenere che un bambino "ha un attaccamento" vuol dire che egli avverte il bisogno di
percepire la vicinanza ed il contatto fisico con una persona di riferimento, soprattutto in particolari
situazioni.
Il comportamento di attaccamento ha infatti come funzione quella di garantire la vicinanza e la
"protezione" della figura di attaccamento. Tali legami svolgono quindi una funzione fondamentale per la
sopravvivenza dell'individuo.

Secondo Bowlby, l'attaccamento è un qualcosa che, non essendo influenzabile da situazioni


momentanee, perdura nel tempo dopo essersi strutturato nei primi mesi di vita intorno ad un'unica
figura; è molto probabile che tale legame si instauri con la madre, dato che è la prima ad occuparsi del
bambino, ma, come Bowlby ritiene, non sussiste nessun dato che avalli l'idea che un padre non possa
diventare figura di attaccamento nel caso in cui sia lui a dispensare le cure al bambino.

La qualità dell'esperienza definisce la sicurezza d'attaccamento in base alla sensibilità e disponibilità del
caregiver (madre) e quindi la formazione di modelli operativi interni (MOI), che andranno a definire i
comportamenti relazionali futuri. Con la crescita, l'attaccamento iniziale che si viene a formare tramite la
relazione materna primaria o con un "caregiver di riferimento", si modifica e si estende ad altre figure,
sia interne che esterne alla famiglia, fino a ridursi notevolmente: nell'adolescenza e nella fase adulta il
soggetto avrà infatti maturato la capacità di separarsi dal caregiver primario, e di legarsi a nuove figure di
attaccamento.

Mentalizzazione può essere definita come la capacità di avere presenti nella propria mente il
proprio stato, i propri desideri, e i propri fini ed infine avere presenti stato, fine, desideri dell’altro
quando di questo vogliamo interpretarne il comportamento. Un sé che guarda a sé stesso e agli altri,
provare empatia per sé stessi. L’opposto della mentalizzazione è la cecità mentale, considerata il marchio
di fabbrica dell’autismo. Seguendo la linea di Bowlbly, Mary Ainsworth e Mary Main sugli studi e
strumenti di misura dell’attaccamento, Fonagy definì la mentalizzazione come capacità di essere
consapevoli degli stati mentali e di usare la consapevolezza per regolare gli affetti.

Tenere a mente la mente, prestare attenzione ai propri e altrui stati. In clinica il paziente invece di
mettere le memorie traumatiche, che fanno parte del patrimonio mentale, fuori della mente, riceverebbe
maggiore giovamento se fosse aiutato a contenerle all’interno della mente come esperienza
emotivamente sopportabile e sotto controllo invece di sforzarsi di evitare. Quindi in terapia mentalizzare
significa la presa di contatto delle memorie traumatiche. Non occorre solo desensibilizzarlo.

Bisogna considerare la cecità mentale, empatia, intelligenza emotiva, insight, immaginazione.

Cecità mentale come deficit di base dell’autismo e antitesi della mentalizzazione, deterioramento
neurobiologico stabile. Essere consapevoli delle cose fisiche ma totalmente ciechi riguardo l’esistenza
delle cose mentali.

Empatia implica la consapevolezza degli stati di distress altrui, è collocata in pole position nella
psicoterapia. Implica assonanza emotiva

Intelligenza emotiva, lavoro in campo psicologico che interpreta la passione come un’alleata della
ragione, si sovrappone concettualmente all’empatia, al prestare attenzione ai sentimenti

Insight come intuizione

La mentalizzazione accresce l’agency, ovvero la capacità di dare inizio ad un’azione con uno scopo,
promuovendo l’auotdeterminazione.

La mentalizzazione è una forma di attività immaginativa e la stessa mente è immaginativa, ci introduce in


un mondo a metà fra realtà oggettiva e fantasia
La mentalizzazione implica intenzionalità, abilità dinamica. Il mentalizzare è adattivo, è alla base della
nostra socialità, ci permette di interagire in modo efficacie e promuove il problem solving. Le relazioni
che abbiamo con amici, familiari, conoscenti non sono le stesse che abbiamo con cose inanimate, come
un vulcano, un sasso, un frullatore. Con l’animato cerchiamo di prevedere il comportamento e addirittura
controllarlo.

Mentalizzare significa riuscire ad afferrare pienamente la realtà di un’altra persona, implica intimità e un
senso amorevole di contatto con la realtà dell’altra persona. Pur essendo una virtù è possibile usarla in
modo eccessivo e gravoso, per esempio dagli psicopatici o i sadici, che sanno decifrare abilmente gli stati
emotivi altrui e amano tormentare gli altri, cosa che richiede una certa capacità di sintonizzarsi con gli
stati emotivi altrui

Non c’è nessun concetto equivalente e con tale complicato.

1 Mentalizzazione e maternità

La mentalizzazione è un processo che nelle relazioni può emergere successivamente o in diversi livelli,
‘’emergenza della mentalizzazione’’.Ex di mentalizzazione. Ecco il mostriciattolo sa che devo alzarmi
presto domattina per andare a lavorare. Sarò veramente distrutta. E’ fatta proprio a posta per punirmi.

La madre applica un’identificazione proiettiva eccessiva considerare il bambino come un persecutore


anziché mentalizzare con mente recettiva.

Poi va dalla bambina e gli domanda come stia, hai troppo caldo, ti cola il naso, hai fatto un brutto sogno.
Inizialmente non prova empatia o intelligenza emotiva per la bambina ma poi mentalizza e si accorge di
ciò che sta facendo. Con l’aiuto del compagno è però capace di recuperare un atteggiamento
mentalizzante e riflettere sullo stato mentale della bambina.

2 Abuso sessuale e mentalizzante

Le persone che soffrono di BDP sono cresciute in un ambiente invalidante. Bambina che a 10 anni veniva
lasciata dalla madre da un vicino perché lei doveva andare a lavoro. Questi sembrava ben disposto a
tenerla per qualche ora solo perché in segreto abusava di lei. Il giorno che la bambina si rifiutò di andarci,
la madre si arrabbiò con lei. E’ stata invalidata due volte, dal vicino e della madre. La madre non ha
mentalizzato il motivo per il quale la bambina non dovesse andare dal vicino. La bambina si rifiutò per
proteggersi e la madre ha compromesso il suo ruolo empatico a causa del grave stress psicologico e
mentale al quale era soggetta.

Lo stress è nemico della mentalizzazione, questa implica la capacità di provare empatia, il mettersi nei
panni di un’altra persona, valutare sé stessi e gli altri, è un fenomeno graduabile e non tutto o niente.
Processo strettamente legato alla possibilità di dare un nome ai sentimenti, si chiama intelligenza
emotiva. L’attaccamento sicuro porta l’emergere della mentalizzazione, nei pazienti BDP è necessaria
provocazione ed empatia per farla emergere, il paziente ha bisogno di sentirsi al sicuro, ascoltato e
compreso, per raggiungere questo grado è necessario coercizione verbale quindi provocazione.

Fondamentale Nessun tentativo ha probabilità di aver successo senza attaccamento sicuro, necessaria
per abbassare l’attività fisiologica e preparare la strada della mentalizzazione, la base sicura.

‘’barriera di contatto’’ Bion, ne parla quando il paziente considera reale ciò che in realtà è prodotto dalle
sue fantasie, confine tra conscio e incoscio.
Modello di Bion il ruolo della madre è relativamente passivo, il suo compito è quello di sognare il
bambino e per contrasto il bambino è il fomentatore di tutto. Il suo modello è una metafora derivata
dall’alimentazione, la madre-altro m-other è un ricettacolo delle proiezioni del bambino e non c’è in
queste uno spazio che permetta il mentalizzare.

Modello di Fonagy è il contrario. La madre mentalizzante fornisce la base sicura, è attiva e si muove in
modo fluido nello spazio mentale del bambino e fornisce risposte rispecchianti e contingenti. La sua
prospettiva è essenzialmente ambiente/deficit, il bambino è deprivato della capacità di mentalizzare a
causa di un processo genitoriale deficiente o malevolo. L’incapacità di mentalizzare è in effetti un deficit
strutturale e finchè permane è improbabile che le normali interpretazioni o ricostruzioni psicologiche
possano aver successo. Si possono utilizzare terapie di gruppo o individuali.

Obiettivo del metaragionamento e quindi della mentalizzazione è quello di avere un controtranfert


basato sul mentalizzare ‘’ perchè sto pensando o provando queste sensazioni’’ Sottomettere le idee a
costante osservazione per giungere alla verità.

Il mentalizzare è una determinante che si acquisisce nel contesto delle prime relazioni di attaccamento. E’
immaginativo perché dobbiamo immaginare cosa le altre persone possano pensare o provare. Indicatore
della qualità della mentalizzazione è noi non sappiamo e non conosciamo cosa ci sia nella mente di
un’altra persona. Implica una componente autoriflessiva, ecco perché si parla di deficit della funzione
riflessiva di Fonagy.

L’attaccamento descritto da John Bowlby segue un approccio sociobiologico che riguarda la vulnerabilità
del cucciolo di mammifero che cerca protezione presso i membri più anziani della sua stessa specie che
possano provvedere a prendersi cura di lui, come bambino e caregiver.

Il processo percettivo degli stimoli sociali, quindi il captare, è regolato da area frontale fusiforme,
corteccia temporale anteriore.

La regolazione degli affetti, quindi il dar significato agli stimoli sociali, riguarda l’amigdala, l’ipotalamo, il
nucleo accumbens e lo stria terminalis.

Abbiamo detto che l’attaccamento sicuro è fondamentale per lo sviluppo della mentalizzazione ma
esiste sempre l’ eccezione e si parla di casi di attaccamento disadattivo, nell’ambiente neurobiologico.

La neurobiologia della relazione è collegata al circuito di gratificazione dopaminergico


meso-cortico-limbico, che gioca anche un ruolo fondamentale nel caso della dipendenza. E’ difficile
credere che la natura abbia creato un circuito neurale apposito per la dipendenza da alcol o cocaina, indi
per cui l’attaccamento potrebbe essere inquadrato come un disturbo di dipendenza. Nel senso che
l’innamorarsi o l’avere a cuore una persona implica l’attivazione specifica di un circuito sensibile alla
vasopressina o ossitocina che genera maggiore gratificazione guardare il proprio bambino o il partner
rispetto che guardare altre persone.

L’attivazione del sistema di attaccamento insieme al sentimento d’amore e mediante le strutture


dopaminergiche, in presenza di ossitocina e vasopressina, inibiscono gli affetti negativi e stimolano il
mentalizzare.
Nella prima infanzia il bambino è convinto che la sua conoscenza sia conosciuta dagli altri e che gli altri
possano aver accesso a quello che lui pensa. Questa è chiamata polarizzazione della maledizione della
conoscenza ed è legata all’egocentrismo del bambino, il quale crede che tutti credano le stesse cose.
Sono inclini a frustrazione perché si aspettano che gli altri sappiano cosa pensano e di conseguenza agire
secondo il loro volere. Pertanto il fatto che qualcuno intralci i ‘’loro piani’’ sembra visto come un
persecutore o qualcuno che li intralcia. Qui nasce la fioritura dell’Edipo in quanto la maturazione
costringe il bambino a prendere coscienza del fatto che la madre non condivide il suo desiderio di
sposarsi con lui.

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