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Innanzi tutto dobbiamo considerare autori come John Bowlbly e Peter Fonagy, nei costrutti della Teoria
della mente, metacognizione, mentalizzazione.
Per mentalizzazione si intende il "tenere a mente la mente propria e altrui". In altre parole, il
"rappresentarsi internamente gli stati mentali", riferiti a se stessi e altri.
Il vero precursore del concetto di mentalizzazione è Wilfred Bion, che definisce Funzione Alfa l'attività
mentale che, partendo dalle impressioni sensoriali e dalle emozioni, giunge alla formazione del pensiero;
prima come immagine mentale, poi come funzione cognitiva legata alla parola: ovvero i modi con cui la
mente arriva alla creazione di simboli per rappresentare gli stati emotivi
Alessitimia non avere parole per le emozioni, deficit riguardo la consapevolezza emotiva, sorretto
dall’incapacità di mentalizzare, di percepire e comprendere gli stati emotivi altrui. Usando termini di
Fonagy potremmo dire che è un deficit della funzione riflessiva del sé definito da Fonagy. Per
diagnosticarla si usa la TAS 20 con 20 domande. I soggetti alessitimici hanno grandi difficoltà a
individuare quali siano i motivi che li spingono a provare o esprimere le proprie emozioni, e al contempo
non sono in grado di interpretare le emozioni altrui. La loro capacità immaginativa e onirica è ridotta,
talvolta inesistente; mancano di capacità d'introspezione, e tendono ad assumere comportamenti
conformanti alla media. I soggetti alessitimici tendono anche a stabilire relazioni di forte dipendenza o, in
mancanza di essa, preferiscono l'isolamento.
La qualità dell'esperienza definisce la sicurezza d'attaccamento in base alla sensibilità e disponibilità del
caregiver (madre) e quindi la formazione di modelli operativi interni (MOI), che andranno a definire i
comportamenti relazionali futuri. Con la crescita, l'attaccamento iniziale che si viene a formare tramite la
relazione materna primaria o con un "caregiver di riferimento", si modifica e si estende ad altre figure,
sia interne che esterne alla famiglia, fino a ridursi notevolmente: nell'adolescenza e nella fase adulta il
soggetto avrà infatti maturato la capacità di separarsi dal caregiver primario, e di legarsi a nuove figure di
attaccamento.
Mentalizzazione può essere definita come la capacità di avere presenti nella propria mente il
proprio stato, i propri desideri, e i propri fini ed infine avere presenti stato, fine, desideri dell’altro
quando di questo vogliamo interpretarne il comportamento. Un sé che guarda a sé stesso e agli altri,
provare empatia per sé stessi. L’opposto della mentalizzazione è la cecità mentale, considerata il marchio
di fabbrica dell’autismo. Seguendo la linea di Bowlbly, Mary Ainsworth e Mary Main sugli studi e
strumenti di misura dell’attaccamento, Fonagy definì la mentalizzazione come capacità di essere
consapevoli degli stati mentali e di usare la consapevolezza per regolare gli affetti.
Tenere a mente la mente, prestare attenzione ai propri e altrui stati. In clinica il paziente invece di
mettere le memorie traumatiche, che fanno parte del patrimonio mentale, fuori della mente, riceverebbe
maggiore giovamento se fosse aiutato a contenerle all’interno della mente come esperienza
emotivamente sopportabile e sotto controllo invece di sforzarsi di evitare. Quindi in terapia mentalizzare
significa la presa di contatto delle memorie traumatiche. Non occorre solo desensibilizzarlo.
Cecità mentale come deficit di base dell’autismo e antitesi della mentalizzazione, deterioramento
neurobiologico stabile. Essere consapevoli delle cose fisiche ma totalmente ciechi riguardo l’esistenza
delle cose mentali.
Empatia implica la consapevolezza degli stati di distress altrui, è collocata in pole position nella
psicoterapia. Implica assonanza emotiva
Intelligenza emotiva, lavoro in campo psicologico che interpreta la passione come un’alleata della
ragione, si sovrappone concettualmente all’empatia, al prestare attenzione ai sentimenti
La mentalizzazione accresce l’agency, ovvero la capacità di dare inizio ad un’azione con uno scopo,
promuovendo l’auotdeterminazione.
Mentalizzare significa riuscire ad afferrare pienamente la realtà di un’altra persona, implica intimità e un
senso amorevole di contatto con la realtà dell’altra persona. Pur essendo una virtù è possibile usarla in
modo eccessivo e gravoso, per esempio dagli psicopatici o i sadici, che sanno decifrare abilmente gli stati
emotivi altrui e amano tormentare gli altri, cosa che richiede una certa capacità di sintonizzarsi con gli
stati emotivi altrui
1 Mentalizzazione e maternità
La mentalizzazione è un processo che nelle relazioni può emergere successivamente o in diversi livelli,
‘’emergenza della mentalizzazione’’.Ex di mentalizzazione. Ecco il mostriciattolo sa che devo alzarmi
presto domattina per andare a lavorare. Sarò veramente distrutta. E’ fatta proprio a posta per punirmi.
Poi va dalla bambina e gli domanda come stia, hai troppo caldo, ti cola il naso, hai fatto un brutto sogno.
Inizialmente non prova empatia o intelligenza emotiva per la bambina ma poi mentalizza e si accorge di
ciò che sta facendo. Con l’aiuto del compagno è però capace di recuperare un atteggiamento
mentalizzante e riflettere sullo stato mentale della bambina.
Le persone che soffrono di BDP sono cresciute in un ambiente invalidante. Bambina che a 10 anni veniva
lasciata dalla madre da un vicino perché lei doveva andare a lavoro. Questi sembrava ben disposto a
tenerla per qualche ora solo perché in segreto abusava di lei. Il giorno che la bambina si rifiutò di andarci,
la madre si arrabbiò con lei. E’ stata invalidata due volte, dal vicino e della madre. La madre non ha
mentalizzato il motivo per il quale la bambina non dovesse andare dal vicino. La bambina si rifiutò per
proteggersi e la madre ha compromesso il suo ruolo empatico a causa del grave stress psicologico e
mentale al quale era soggetta.
Lo stress è nemico della mentalizzazione, questa implica la capacità di provare empatia, il mettersi nei
panni di un’altra persona, valutare sé stessi e gli altri, è un fenomeno graduabile e non tutto o niente.
Processo strettamente legato alla possibilità di dare un nome ai sentimenti, si chiama intelligenza
emotiva. L’attaccamento sicuro porta l’emergere della mentalizzazione, nei pazienti BDP è necessaria
provocazione ed empatia per farla emergere, il paziente ha bisogno di sentirsi al sicuro, ascoltato e
compreso, per raggiungere questo grado è necessario coercizione verbale quindi provocazione.
Fondamentale Nessun tentativo ha probabilità di aver successo senza attaccamento sicuro, necessaria
per abbassare l’attività fisiologica e preparare la strada della mentalizzazione, la base sicura.
‘’barriera di contatto’’ Bion, ne parla quando il paziente considera reale ciò che in realtà è prodotto dalle
sue fantasie, confine tra conscio e incoscio.
Modello di Bion il ruolo della madre è relativamente passivo, il suo compito è quello di sognare il
bambino e per contrasto il bambino è il fomentatore di tutto. Il suo modello è una metafora derivata
dall’alimentazione, la madre-altro m-other è un ricettacolo delle proiezioni del bambino e non c’è in
queste uno spazio che permetta il mentalizzare.
Modello di Fonagy è il contrario. La madre mentalizzante fornisce la base sicura, è attiva e si muove in
modo fluido nello spazio mentale del bambino e fornisce risposte rispecchianti e contingenti. La sua
prospettiva è essenzialmente ambiente/deficit, il bambino è deprivato della capacità di mentalizzare a
causa di un processo genitoriale deficiente o malevolo. L’incapacità di mentalizzare è in effetti un deficit
strutturale e finchè permane è improbabile che le normali interpretazioni o ricostruzioni psicologiche
possano aver successo. Si possono utilizzare terapie di gruppo o individuali.
Il mentalizzare è una determinante che si acquisisce nel contesto delle prime relazioni di attaccamento. E’
immaginativo perché dobbiamo immaginare cosa le altre persone possano pensare o provare. Indicatore
della qualità della mentalizzazione è noi non sappiamo e non conosciamo cosa ci sia nella mente di
un’altra persona. Implica una componente autoriflessiva, ecco perché si parla di deficit della funzione
riflessiva di Fonagy.
L’attaccamento descritto da John Bowlby segue un approccio sociobiologico che riguarda la vulnerabilità
del cucciolo di mammifero che cerca protezione presso i membri più anziani della sua stessa specie che
possano provvedere a prendersi cura di lui, come bambino e caregiver.
Il processo percettivo degli stimoli sociali, quindi il captare, è regolato da area frontale fusiforme,
corteccia temporale anteriore.
La regolazione degli affetti, quindi il dar significato agli stimoli sociali, riguarda l’amigdala, l’ipotalamo, il
nucleo accumbens e lo stria terminalis.
Abbiamo detto che l’attaccamento sicuro è fondamentale per lo sviluppo della mentalizzazione ma
esiste sempre l’ eccezione e si parla di casi di attaccamento disadattivo, nell’ambiente neurobiologico.