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3.1 Impressioni e idee
Hume nella sua analisi della conoscenza umana divide le percezioni della mente in due
classi:
a) le percezioni che penetrano a fondo nello spirito umano si chiamano impressioni e
sono tutte le sensazioni, passioni ed emozioni;
b) le immagini svigorite di tali impressioni si chiamano idee o pensieri.
La differenza esistente tra un impressione e un idea è per esempio, la stessa differenza
che vi è tra il male provato per una scottatura e il ricordo di tale male. L’idea non può
mai raggiungere la vivacità e la forza dell’impressione anche se la mente umana fosse
malata, come nei pazzi, la differenza permarrebbe allo stesso modo. Ogni idea deriva
da una precedente impressione, non esistono quindi idee o pensieri di cui non si è
provata precedentemente l’impressione. Per quanto l’uomo possa avere un ampia
libertà di pensiero, in realtà anche le più bizzarre delle fantasticherie che potrebbe
arrivare a pensare, risultano in qualche modo legate alle impressioni che ha provato
durante il corso della sua esistenza. Mentre Locke, dopo aver ammesso che l’unico
oggetto della conoscenza umana fosse l’idea, aveva tuttavia riconosciuto al di là
dell’idea stessa, la realtà dell’io, delle cose e quella di Dio, Hume invece non ammette
nulla al di là delle idee. Egli per spiegare la realtà del mondo e dell’io usa le
impressioni, le idee e i loro rapporti. Hume dunque spiega la realtà nei rapporti con
cui si legano tra loro le idee e le impressioni. Il filosofo scozzese nega perciò l’esistenza
delle idee astratte come ad esempio, “esiste un quadrato con tre lati”. Esistono però le
idee particolari nate dall’unione di idee che l’uomo già possiede, esempio: l’idea di
centauro. Hume spiega inoltre la funzione del segno, cioè la capacità di un idea di
richiamare un gruppo di idee tra loro simili, mediante il principio dell’abitudine.
Indichiamo con il termine “uomo” tutti gli esseri umani, nonostante ogni persona
presenti caratteristiche uniche che lo differenziano dagli altri.
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esempio l’idea di tempo ci è fornita da un battito di mani costante, e tali battiti ci danno
l’idea del tempo che scorre, ma il tempo non è una “sesta impressione” che si presenta
al tatto, all’udito o ad un altro senso.
3.3 Proposizioni che concernono ralazioni tra idee e proposizioni che concernono
dati di fatto
Hume distingue tra: le proposizioni che concernono relazioni tra idee (quelle
matematiche), e le proposizioni che concernono i fatti (quelle delle scienze naturali).
Le prime proposizioni si possono scoprire solo “per mezzo della sola operazione del
pensiero”; si tratta di proposizioni costruite sul rispetto del principio di non-
contraddizione. Le proposizioni che concernono relazioni tra idee hanno in se stesse la
loro veridicità; esempio data la definizione di triangolo equilatero, per via razionale
deduciamo che esso avrà anche gli angoli uguali. Kant chiama queste proposizioni,
proposizioni analitiche.
Le proposizioni che concernono dati o materie di fatto invece non si fondano sul
principio di non-contraddizione, ma sull’esperienza, poichè il contrario di un fatto di
cui l’uomo non ne è in alcun modo la causa è sempre possibile; esempio, “nessuno ci
può garantire che anche domani il sole sorgerà!”. Tale affermazione non è
contraddittoria poichè ci si aspetta che ogni giorno il sole sorga ad una determinata ora,
ma nessuno può garantire che tale fatto possa avvenire con piena certezza, e questo
perchè gli uomini non sono artefici dell’esistenza del sole, non ne sono la causa.
3.4 L’analisi critica del principio di causalità
Tutti i ragionamenti che riguardano la realtà e gli eventi si fondano su un rapporto di
causa-effetto. Secondo il pensiero del filosofo Hume la relazione tra causa ed effetto
non può mai essere conosciuta a priori, cioè con il puro ragionamento, ma bensì sulla
base dell’esperienza. Gli uomini conoscono gli oggetti e le cose solo dopo averli
“sperimentati e studiati”. Ciò significa che la connessione tra causa ed effetto, che
viene scoperta tramite l’esperienza, è del tutto arbitraria. Causa ed effetto sono dunque
due fatti interamente differenti l’uno dall’altro. Tutto ciò che impariamo
dall’esperienza, non è mai un qualcosa di certo in assoluto; ad esempio, nessuno può
affermare che una palla da biliardo colpita da una seconda palla in movimento, segua
per forza una precisa traiettoria; magari essa salta, o devia lateralmente, o curva
descrivendo una parabola nel panno di gioco. Quello però che ci si aspetta è che ciò che
percepiamo oggi con l’esperienza, sia valido anche in futuro, ma di questo non
possiamo averne alcuna certezza. Tutto ciò che impariamo dall’esperienza è che da
cause simili tra loro, ci si aspetta di vedere effetti simili. Secondo Hume è impossibile
dimostrare il legame tra causa ed effetto come oggettivamente necessario, cioè come
assolutamente valido; gli uomini tuttavia lo credono necessario e fondano su di esso il
corso della propria esistenza. La necessità di questo legame è puramente soggettiva. La
ripetizione di un preciso fenomeno a lungo andare crea nell’uomo una sorta di
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abitudine al verificarsi di tal fenomeno e lo si da per scontato; esempio, il sole che sorge
ogni mattina. L’abitudine spiega dunque la congiunzione che noi stabiliamo tra i
fatti, ma non la loro connessione necessaria. Essendo abituati a vedere che cause simili
producono effetti simili, come un metalli che scaldato si dilata, siamo indotti a ritenere
che ciò avverrà anche in futuro con lo stesso metallo.
3.5 La credenza nel mondo esterno e nell’identità dell’io
Dal pensiero filosofico di Hume analizzato nel punto 3.4 si deduce che ogni credenza
riguardante la realtà o i fatti non è altro che, essendo il risultato di un abitudine, un
sentimento o un istinto, non un atto di ragione. Dunque tutta la conoscenza della realtà
non è una conoscenza scientifica vera e propria, ma bensì una conoscenza
probabilistica. Con questo pensiero Hume intende mantenere la differenza esistente tra
credenza e finzione. La credenza infatti è un opinione naturale che non dipende dal
“potere dell’intelletto”. La credenza pertanto è riconducibile alla superiore “forza e
vivacità” che le impressioni hanno rispetto alle idee. Gli uomini credono abitualmente
all’esistenza di un mondo esterno, il quale non sempre coincide con le impressioni che
si hanno di esso (soggettività). Hume cerca di spiegare la genesi di tale discordanza
distinguendo tra il concetto della credenza nell’esistenza continua delle cose, che è
propria di tutti gli uomini e degli animali, e il concetto della credenza nell’esistenza
esterna delle cose, la quale suppone la distinzione pseudo-filosofica delle cose dalle
impressioni empiriche. Per quanto concerne il primo concetto Hume osserva che l’uomo
e gli animali sono portati a credere che tutto ciò che percepiscono, vedono o sentono
con i propri sensi, sia corrispondente all’oggetto esterno con cui entrano in contatto. Per
quanto riguarda il secondo concetto invece, Hume ci dice che la riflessione filosofica
insegna che tutto ciò che si presenta alla mente non è altro che l’immagine e la
percezione dell’oggetto, e che i sensi sono soltanto i mezzi mediante i quali queste
immagini si formano nella mente, senza che ci sia stato mai un rapporto immediato tra
immagini e oggetti. Da tali ragionamenti il filosofo quindi distingue le percezioni,
soggettive, dalle cose, oggettive ed esternamente e continuamente esistenti. Per Hume
la realtà esterna è ingiustificabile in quanto i nostri sensi non possono permetterci di
percepire oggettivamente tutto ciò che ci circonda. Tuttavia i nostri istinti ci inducono a
credere che la realtà sia ineliminabile.
Una spiegazione analoga a quella appena fornita, viene data da Hume anche per
giustificare la credenza dell’unità e identità dell’io. Secondo Hume noi umani non
facciamo nessuna esperienza, ne abbiamo delle impressioni sul nostro “io”, ma le
abbiamo solo dei nostri stati d’animo che si formano nella nostra coscienza, cioè, tutto
quello che noi sperimentiamo come “io” è solo un fascio di impressioni che si
verificano nel tempo.
Ancora una volta, come da secoli di lunghi pensieri filosofici, la credenza e la filosofia,
così come la ragione e l’istinto appaiono in contrasto tra loro. Questo contrasto per
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Hume non deve però essere inteso come un “dualismo insanabile”. Per Hume infatti la
natura umana è principalmente fatta di istinti e sentimenti, e per tal motivo egli stesso
definisce il contrasto fra istinto e ragione, e tra filosofia e credenza un “contrasto
moderato”.